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Nowak, M. - Supercooperatori (2012)

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L'evoluzione è stata spesso presentata come un meccanismo prevalentemente competitivo. Questa prospettiva ha avuto notevoli effetti sul modo in cui studiamo le scienze della vita e la stessa cultura. Eppure nella storia della biologia c'è molto altro, ci dice Martin Nowak: a qualsiasi livello il mondo animale ha sempre trovato e trova tuttora nella cooperazione un motore evolutivo altrettanto potente. Dai filamenti di batteri, in cui alcune cellule "si sacrificano" per nutrire le cellule vicine, fino al comportamento di alcune specie animali come le api e le formiche, l'altruismo e la collaborazione sono meccanismi che insieme alla selezione agiscono nel processo evolutivo. Fino ad arrivare alla specie più cooperativa, ai "supercooperatori": gli uomini.

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Martin A. Nowakcon Roger Highfield

Supercooperatori

Altruismo ed evoluzione:perché abbiamo bisogno l’uno dell’altro

Traduzione di Libero Sosio

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Martin A. Nowak con Roger HighfieldSupercooperatori

Altruismo ed evoluzione: perché abbiamo bisogno l’uno dell’altro

Progetto grafico: studiofluo srlImpaginazione: Kibo graphic design Redazione: Francesco Rossa

Coordinamento produttivo: Enrico Casadei

Martin A. Nowak with Roger HighfieldSuperCooperators

Altruism, Evolution, and Why We Need Each Other to SucceedCopyright © Martin Nowak and Roger Highfield, 2011

All rights reserved

© 2012 Codice edizioni, TorinoTutti i diritti sono riservati

ISBN 978-88-7578-277-1

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A Karl e Bob, cooperatori instancabili

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L’unica cosa che redimerà l’umanità è lacooperazione.

Bertrand Russell, 1954

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Prefazione

La lotta

Dalla guerra della natura, dalla carestia e dallamorte, direttamente deriva il più alto risultato che sipossa concepire, cioè la produzione degli animalisuperiori. Charles Darwin, 19671

La biologia ha un lato oscuro. Charles Darwin si riferì aquesto aspetto cupo della natura nei termini della lottaper l’esistenza. Egli si rese conto che la competizione èal cuore stesso dell’evoluzione. «La lotta per l’esistenza èpiù aspra fra individui e varietà di una stessa specie»2, e avincerla sono gli individui più adatti (o meglio adattati),mentre tutti gli altri periscono. Di conseguenza tutti glianimali che oggi strisciano, nuotano e volano hanno

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animali che oggi strisciano, nuotano e volano hannoprogenitori che un tempo hanno avuto un grandesuccesso e si sono riprodotti più spesso dei lorocompetitori meno fortunati. Quanto agli altri, hanno persoun’opportunità di dare un contributo utile alla generazionesuccessiva. Sono stati sconfitti, e sono usciti di scena.

La lotta ha avuto inizio almeno 4 miliardi di anni fa, frale prime cellule primitive. Erano semplici batteri, poco piùche piccole aggregazioni organizzate di sostanzechimiche. Se una di queste macchine chimiche aveva unvantaggio sulle altre, si riproduceva più velocemente. Seaveva un accesso un po’ migliore della media a una fontedi cibo limitata, prosperava, condannando le sueavversarie a sparire. Questa lotta continua ancora oggi, intutta una varietà di habitat. Attualmente la Terra èsoprattutto il pianeta delle cellule: i microrganismiprosperano in quasi tutti gli habitat, dai poli ai deserti, aigeyser, alle rocce e ai bui abissi degli oceani. Persino nelcorpo umano le cellule batteriche sovrastano in numero lealtre. Se vogliamo calcolare il numero totale delle cellulepresenti sulla Terra oggi (circa 1030, ossia un 1 seguitoda 30 zeri) tutto quello che si deve fare è stimare ilnumero delle cellule batteriche; il resto sono spiccioli.

Possiamo imbatterci in questa lotta anche in quelle

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Possiamo imbatterci in questa lotta anche in quellecollezioni organizzate di cellule che chiamiamo animali.Nelle savane, in Africa, un leone si acquatta nell’erbaalta, con i muscoli tesi e i sensi acutamente concentrati suuna vicina mandria. Lentamente e in silenzio si avvicinafurtivo alle antilopi e poi d’improvviso, conun’accelerazione esplosiva, corre verso un animale, salta,lo afferra al collo e con le lunghe zanne acuminate gliperfora la pelle, i vasi sanguigni e la trachea. Trascina poila preda al suolo e la tiene immobile finché essa non esalal’ultimo respiro. Quando il leone ha terminato il suopasto, un gruppo di avvoltoi si posa come un manto suiresti sanguinolenti della vittima.

Nell’Origine dell’uomo Darwin notò che l’uomomoderno era nato dalla stessa lotta nello stessocontinente: «È probabile che l’Africa fosse inizialmenteabitata da scimmie estinte, strettamente affini al gorilla eallo scimpanzé. Poiché queste due specie sono oggi lepiù vicine all’uomo, è molto più probabile che i nostriprimi progenitori abitassero sul continente africano chenon altrove»3. Negli ultimi 60 000 anni i nostri avi sidiffusero fino a colonizzare gran parte del pianeta,soppiantando specie arcaiche come l’Homo erectus e ineandertaliani dal grande cervello (anche se i lettori

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neandertaliani dal grande cervello (anche se i lettorieuropei, asiatici o della Nuova Guinea potrebbero avereancora oggi nelle loro vene qualche traccia di sangueneandertaliano). La lotta per l’esistenza continua ancoraoggi a passo spedito, dalla concorrenza fra isupermercati per far calare i prezzi alla spietata rivalità frale società quotate in borsa.

Nel “gioco della vita” tutti noi siamo impegnati nellalotta per il successo, e tutti vogliamo vincere. Perconseguire questo obiettivoc’è un modo onesto: corri piùveloce degli altri; salta più in alto; vedi più lontano; pensadi più; fa’ meglio quello che fai. Come sempre però c’èanche un lato oscuro, la logica calcolatrice dell’interesseegoistico, la quale dice che non si dovrebbe mai aiutareun concorrente. In effetti, perché non dovremmoimpegnarci al massimo e rendere più dura la vita ai nostririvali? Perché non barare e non ingannare anche loro,come ci sono altri che cercano di ingannare noi? C’è ilpanettiere che cerca di truffarti rifilandoti un panino di ieriinvece di quello appena sfornato. C’è il cameriere che tichiede una mancia quando il ristorante ti ha già messo inconto il servizio. C’è il farmacista che ti raccomanda unamarca famosa mentre puoi avere un farmaco con lostesso principio attivo comprando un generico che costa

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stesso principio attivo comprando un generico che costamolto meno. Tutto sommato i tipi onesti possono essereabbindolati facilmente.

Gli esseri umani sono scimmie egoiste. Noi siamoquelli che non riconoscono i bisogni degli altri: siamoegocentrici, mercenari e narcisisti. Pensiamo prima ditutto a noi stessi, e siamo motivati solo dall’interessepersonale, che abbraccia fino all’ultimo ossicino delnostro corpo. Si dice che persino i nostri geni sianoegoisti. Eppure la storia della biologia non si riduce allasola competizione: in questa visione manca qualcosa dipiù profondo.

Animali di ogni sorta e di qualsiasi livello dicomplessità fanno ricorso alla cooperazione per vivere.Alcuni fra i batteri più antichi formavano filamenti neiquali alcune cellule morivano per nutrire quelle vicine colloro azoto. Alcuni batteri conducono battute di cacciacollettive, un po’ come un branco di leoni coopera perchiudere ogni via di fuga a un’antilope; le formicheformano società di milioni di individui capaci di risolvereproblemi complessi, dall’agricoltura all’architettura allanavigazione; le api raccolgono instancabilmente pollineper il loro alveare; le talpe permettono generosamente ailoro simili di cibarsi dei loro escrementi, fornendo loro

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loro simili di cibarsi dei loro escrementi, fornendo lorouna deliziosa seconda opportunità di digerire radicifibrose; e i suricati rischiano la vita per vigilare su un nidocomune.

Nella società umana abbonda la cooperazione. Anchele cose più semplici che facciamo implicano piùcooperazione di quanto si possa immaginare.Consideriamo per esempio di fermarci una mattina a unbar per fare colazione con un cappuccino e un croissant.Per permetterci di godere di questo semplice piaceremattutino possono avere collaborato molte personeappartenenti ad almeno mezza dozzina di paesi.Il caffè è stato coltivato da contadini colombiani, mentredai verdi campi di canne da zucchero ondeggianti delBrasile proviene lo zucchero che usiamo per dolcificarela nostra bevanda. Il latte cremoso è stato munto damucche di una fattoria locale ed è stato riscaldato grazieall’elettricità generata da una centrale nucleare che sitrova in uno stato confinante. Il barista, che è un tipettopretenzioso, ha preparato il caffè con acqua mineraledelle isole Figi. Quanto al croissant di pasta sfoglia, lafarina arriva dal Canada, il burro dalla Francia e le uovada una cooperativa locale. L’impasto è stato riscaldato epoi cotto in un forno fabbricato in Cina a fargli assumere

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poi cotto in un forno fabbricato in Cina a fargli assumerequel bel colore biondo scuro. Molte altre persone hannolavorato in linee di approvvigionamento attraverso ilpianeta per far trovare insieme tutti questi ingredienti.

La preparazione di quel cappuccino e di quel croissantcaldo è fondata anche su un gran numero di idee, chesono state ampiamente diffuse dal notevole mezzo dicomunicazione del linguaggio. Ne risulta una rete dicooperazione strettamente interconnessa attraverso legenerazioni, poiché le grandi idee sono generate,trasmesse, usate e abbellite a cominciare dalla primapersona che bevve un infuso preparato con semi tostati,per continuare con l’invenzione della lampadina cheillumina il bar, per arrivare fino al brevetto concesso allaprima macchina per la preparazione del caffè espresso.

Il risultato, quella semplice prima colazione quotidiana,è una straordinaria impresa cooperativa che si espandenel tempo come nello spazio. Quel piccolo pasto si fondasu concetti, idee e invenzioni che sono stati trasmessi a ungran numero di persone nel corso di centinaia, e persinomigliaia di anni. Il mondo moderno è una straordinariaimpresa collettiva. La conoscenza dei modi perselezionare le varietà giuste di caffè, per produrre lafarina, per costruire forni e per produrre la schiuma di

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farina, per costruire forni e per produrre la schiuma dilatte è disseminata in centinaia di teste. Oggi la misura incui collaboriamo è più importante del peso del nostrocervello.

Questo è il lato luminoso della biologia. Il livello e lamisura in cui collaboriamo fanno di noi dei supremicooperatori, i massimi nell’universo noto. Sotto questoaspetto, i nostri parenti biologici più stretti rimangonomolto lontani da noi. Prendiamo quattrocento scimpanzée sistemiamoli in classe economica su un volo di otto onove ore. Con ogni probabilità al loro arrivo siprecipiteranno fuori dall’aereo con le orecchie lacerateda morsi, con grandi ciuffi di pelliccia mancanti e con gliarti sanguinanti. Milioni di noi tollerano invece di essereaccalcati in spazi altrettanto ristretti per poter viaggiare inlungo e in largo sul nostro pianeta.

La nostra stupefacente capacità di cooperare è unodei mezzi principali grazie ai quali siamo riusciti asopravvivere in ogni sorta di ecosistemi sulla Terra, dagliaridi deserti bruciati dal sole alle gelide distese inospitalidell’Antartide, alle buie profondità oceaniche, alle cuipressioni solo pochi organismi sono in grado di resistere.La nostra notevole capacità di unire le forze con i nostrisimili ci ha permesso di compiere i primi passi in una

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simili ci ha permesso di compiere i primi passi in unagrande impresa destinata a portarci al di fuoridell’atmosfera per viaggiare verso la Luna e le stellevicine.

Con la parola cooperazione intendo qualcosa di più diuna semplice collaborazione in vista del raggiungimento diun fine comune. Qualcosa di più specifico, ossia ladecisione di potenziali competitori di adottare unastrategia nuova aiutandosi reciprocamente. Questa cosanon sembra avere molto senso se osservata da un puntodi vista darwiniano tradizionale. Aiutando un altro, uncompetitore arreca danno alla propria fitness – alproprio ritmo di riproduzione – o semplicemente smussala sua competitività. Eppure è facile trovare esempi:un’amica ti accompagna in macchina dal dentista, anchese questo atto di generosità la farà arrivare tardi allavoro; tu decidi di donare 50 dollari a un ente beneficoanziché spenderli per te stesso. Le cellule del tuo corpo,volenti o nolenti, anziché riprodursi per espandereegoisticamente il loro numero, rispettano le superiorinecessità del corpo e si moltiplicano in modo ordinatoper creare i nervi, il fegato, il cuore e altri organi vitali.

Molte situazioni quotidiane possono essereinterpretate come conseguenze di una scelta sul problema

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interpretate come conseguenze di una scelta sul problemase cooperare o no. Poniamo che tu abbia deciso diaprire un conto di risparmio in una banca britannica(come abbiamo scoperto in Mary Poppins, che uscìmolto tempo prima della stretta creditizia: «Una bancabritannica è gestita con precisione»). Immagina di trovartiallo sportello con davanti un impiegato sorridente che tispiega pazientemente le varie possibilità. Le banchepreferiscono cercare di confondere i loro clienti con moltitipi di conto diversi fra loro per spese, tassi di interesse,accesso e condizioni. Se chiedi quale conto offra ilmigliore tasso di interesse, l’impiegato può interpretarequesta domanda apparentemente semplice in due modi.Dal suo punto di vista il tasso di interesse migliore èquello minimo, che procura alla banca il massimoprofitto. Dal punto di vista del cliente, il migliore tasso diinteresse è quello che frutta più denaro a lui. Sel’impiegato propone il tasso di interesse minimo, questoèun esempio di defezione; se invece raccomanda un contoche offre il massimo rendimento al cliente, e non allabanca, il suo consiglio è un esempio di cooperazione.

L’idea che la cooperazione possa essere espressa inquesto modo pare sorprendente. Perché mai qualcunodovrebbe trovare un vantaggio, per quanto indiretto,

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nell’indebolire la propria fitness per migliorare quella diun competitore? La cooperazione va contro il principiodell’interesse egoistico: è irrazionale. Nell’ottica dellaformulazione darwiniana della lotta per l’esistenza, non hasenso aiutare un potenziale rivale; eppure ci sono proveche questa situazione abbia luogo persino fra gliorganismi inferiori. Quando un batterio si dà la pena diprodurre un enzima per digerire il suo cibo, aiuta alcontempo a nutrirsi anche le cellule vicine a lui, sue rivalinella lotta per sopravvivere.

Questa sembra una fatale anomalia nel grande pianodella vita. La selezione naturale dovrebbe condurre glianimali a comportarsi in modi che accrescano le loroprobabilità di sopravvivenza e di riproduzione, e che nonmigliorino le fortune di altri. Nella continua lotta evolutivaper assicurarsi cibo, territori e partner sessuali, perché unindividuo dovrebbe preoccuparsi di rinunciare ai suoisperimentati comportamenti abituali per aiutarne un altro?

Al di là della cooperazione

Noi dipendiamo tutti uno dall’altro, ognuno di noisulla Terra.

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George Bernard Shaw, Pigmalione, atto IV

Scienziati delle più svariate discipline hanno tentato dapiù di un secolo di spiegare come cooperazione,altruismo e abnegazione abbiano potuto sorgere in unpianeta come il nostro, dominato dall’egoismo edall’aggressività. Lo stesso Darwin fu turbato dalcomportamento altruistico, che non si conciliava con laselezione naturale. Nelle sue grandi opere il problemadella cooperazione rimase marginale, un dettaglio chedoveva essere eliminato. Questo atteggiamento prevale inmolti biologi ancora oggi.

In forte contrasto con tale posizione, io credo che lanostra capacità di cooperare vada di concerto colsuccesso nella lotta per sopravvivere, come congetturòpiù di un secolo fa Pëtr Alekseevič Kropotkin (1842-1921), principe russo e comunista anarchico,convintoche una società libera dai ceppi di un governoavrebbe prosperato sulla base della cooperazione di tutti.In Mutual Aid (1902) Kropotkin scrisse: «A fianco allalegge della Lotta reciproca, vi è nella natura la leggedell’Aiuto reciproco, che è molto più importante per ilsuccesso della lotta per la vita, e soprattutto perl’evoluzione progressiva della specie. Questa ipotesi […]

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l’evoluzione progressiva della specie. Questa ipotesi […]in realtà non era [nient’altro] che lo sviluppo delle ideeespresse dallo stesso Darwin nella Originedell’Uomo»4.

Per più di due decenni ho cooperato con molti grandiscienziati nel tentativo di risolvere il mistero di come laselezione naturale possa condurre al reciproco aiuto, cosìche la competizione possa trasformarsi in cooperazione.Ho introdotto alcune idee nuove in questo campo già benesplorato e ho affinato questo miscuglio con la miacompetenza specialistica, che si fonda su unacombinazione di matematica e biologia. I miei studimostrano che la cooperazione è del tutto compatibile conla dura aritmetica della sopravvivenza in un ambienteinsensibile e competitivo. Fondandomi su intuizionimatematiche, ho creato al computer comunità idealizzatee ho definito le condizioni nelle quali la cooperazione puòattecchire e fiorire. La mia fiducia in ciò che horiscontrato è sostenuta da ricerche su una grande varietàdi specie, dagli insetti agli esseri umani. Alla luce di tuttequeste ricerche ho definito chiaramente cinquemeccanismi base di cooperazione. Il modo in cui noiesseri umani collaboriamo è descritto dalla matematica inmodo altrettanto chiaro di quello in cui è descritto il

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modo altrettanto chiaro di quello in cui è descritto ilmovimento della mela che un giorno cadde nel giardino diNewton.

Questi meccanismi ci forniscono molte informazioni sulmodo in cui funziona il mondo. Rivelano per esempio cheil nostro grosso cervello si è evoluto per poter far fronteai pettegolezzi e non viceversa; che il nostro intestinopossiede ghiandole simili a coni per difenderci da quelvenir meno potenzialmente mortale della cooperazionecellulare che conosciamo come cancro; che noi siamopiù generosi se abbiamo la percezione di essere osservati(anche se in realtà non è così); che quanto minore è ilnumero dei nostri amici, tanto più fortemente la nostrasorte è legata alla loro; che dopotutto i geni possono nonessere egoisti; che se sei un cooperatore, ti troveraicircondato da altri cooperatori, così che quel cheraccogli è l’equivalente di quello che semini; chequalunque cosa tu faccia gli imperi continueranno adeclinare e a cadere; e che, per avere successo nella vita,dovrai collaborare – coltivando per esempio i rapportiaffettivi – con la stessa assiduità con la quale ti sforzi divincere la lotta per l’esistenza. In questo modo la ricercaper capire la cooperazione ci ha permesso di coglierel’essenza di tutti i processi evolutivi, la vita, la

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l’essenza di tutti i processi evolutivi, la vita, larespirazione, l’efficienza fisica.

Alla base dell’innovazione non c’è la lotta, bensì lacooperazione. Per spronare la creatività e incoraggiare lepersone a concepire idee originali dobbiamo usare lalusinga della carota, non la paura del ba-stone. Lacooperazione è l’architetto della creatività attraversol’evoluzione, da cellule a esseri pluricellulari, a formicai,villaggi e città. Senza la cooperazione non sono possibili,nell’evoluzione, né costruzione né complessità.

Io posso derivare intuizioni quotidiane, come anchemolte idee inattese, da modelli matematici edevoluzionistici di cooperazione. Benché sia nota a moltil’idea che grazie a equazioni possono essere tracciate letraiettorie di lance, palle di cannone e pianeti, ritengostraordinario che si possa usare la matematica anche perrappresentare la traiettoria dell’evoluzione. E,ovviamente, una cosa è sapere come promuovere lacooperazione e una cosa del tutto diversa è spiegareperché un’azione ci aiuti ad andare d’accordo con inostri simili, e inquale misura. L’esplorazione matematicadi questi meccanismi ci permette di farlo con unacomprensione profonda e anche con precisione. Questaè una prova, qualora ne avessimo avuto bisogno, del

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è una prova, qualora ne avessimo avuto bisogno, delfatto che la matematica sia universale.

Nei capitoli seguenti spiegherò l’origine di ognimeccanismo di cooperazione e intreccerò questoragionamento col mio percorso intellettuale: un viaggiocominciato a Vienna e proseguito a Oxford, Princeton eora ad Harvard. Nel corso di questo viaggio ho avutol’onore di cooperare con molti brillanti scienziati ematematici. Due di loro mi hanno ispirato in modoparticolare per ragioni che diventeranno chiare: KarlSigmund e Robert May. Ho dovuto anche ricorrereall’aiuto di programmi per computer, di studentidisponibili a partecipare a giochi, e di vari finanziatori, dafondazioni a filantropi. È molto bello ed entusiasmantepensare che per capire la cooperazione si richieda un altogrado di cooperazione. E per sottolineare ulteriormentequesta idea forte, questo libro è anche un prodotto dellacooperazione fra Roger Highfield e me.

Le implicazioni di questa nuova comprensione dellacooperazione sono profonde. In precedenza c’eranosolo due principi fondamentali dell’evoluzione: lamutazione e la selezione naturale, dove la prima generala diversità genetica e la seconda sceglie gli individuimeglio adattati a un determinato ambiente. Per poter

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meglio adattati a un determinato ambiente. Per potercapire gli aspetti creativi dell’evoluzione dobbiamo oraaccettare la cooperazione come terzo principio. Per laselezione c’è bisogno della mutazione e, allo stessomodo, per la cooperazione c’è bisogno sia dellaselezione sia della mutazione. Dalla cooperazione puòemergere il lato costruttivo dell’evoluzione, dai geni agliorganismi, al linguaggio e ai comportamenti socialicomplessi. La cooperazione è il mastro architettodell’evoluzione.

Le mie ricerche hanno mostrato anche che lacooperazione non è stabile ma che sempre cresce escema, come le pulsazioni del grande cuore della natura.Ecco perché, anche se noi siamo straordinaricooperatori, la società umana è – e sarà sempre –spaccata da conflitti. Oggi la cooperazione umanaglobale è a una soglia di grande instabilità. La grandeportata della crescita della ricchezza e dell’industria dellapopolazione del nostro pianeta, in costante aumento – eche è di per sé un trionfo della cooperazione –, staestenuando le capacità della Terra di sostentarci tutti. Suciascuno di noi è esercitata una crescente pressione perindurci a competere per le risorse in continua diminuzionedel pianeta.

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del pianeta.Molti problemi che ci sfidano oggi possono esserericondotti a una profonda tensione fra quel che è buono edesiderabile per la società nel suo insieme e quel che èdesiderabile per l’individuo. Questo conflitto può esserericonosciuto in problemi globali come il cambiamentoclimatico, l’inquinamento, l’esaurimento delle risorse, lapovertà, la fame e la sovrappopolazione. I massimiproblemi del nostro pianeta – salvare la Terra emassimizzare la durata di vita collettiva della specieHomo sapiens – non possono essere risolti dalla solatecnologia. Essi richiedono nuovi modi che ci permettanodi lavorare in armonia. Se dobbiamo continuare aprosperare, abbiamo una sola scelta. Se dobbiamovincere la lotta per l’esistenza ed evitare una cadutadisastrosa, non abbiamo altra scelta oltre a quella diimbrigliare questa straordinaria forza creativa. Oradobbiamo affinare ed estendere la nostra capacità dicooperare. Dobbiamo familiarizzarci con la scienza dellacooperazione. Ora più che mai il mondo ha bisogno disupercooperatori.

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Supercooperatori

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Introduzione

Il dilemma del prigioniero

Credo che la realtà matematica sia fuori di noi, che ilnostro compito sia di scoprirla o di osservarla, e che iteoremi che noi dimostriamo, qualificandolipomposamente come nostre “creazioni”, sianosemplicemente annotazioni delle nostre osservazioni.Godfrey H. Hardy, Apologia di un matematico1

In principio non apprezzai la funzione della matematica.Durante le lezioni alle scuole superiori giocavo con inumeri e mi divertivo soprattutto a risolvere problemi. Lelezioni di aritmetica erano divertenti. La matematica, tuttosommato, era interessante, ma non mi era chiaro a cosaservisse. Forse era una specie di ginnastica mentale che

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servisse. Forse era una specie di ginnastica mentale cheera stata escogitata, insieme al latino, nel preciso intentodi rendere un po’ più difficile la vita ai giovani.

All’università cambiai opinione. Ebbi un’epifania, unmomento da brivido quando mi resi conto che i termini,le equazioni e i simboli della matematica, esattamentedefiniti, sono fondamentali. Mi resi conto che lamatematica racchiudeva la chiave per formulare le leggiche governano il cosmo, dai massimi filamenti, vuoti estrutture che si distendono in cielo al comportamentopeculiare dei minimi e più ubiquitari granuli di materia.Cosa più importante, poteva dire qualcosa di profondosulla vita quotidiana.

La matematica è caratterizzata da ordine e coerenzainterna, come pure da numeri, forme e relazioni astratte.Benché voi possiate pensare che questi concetti sianopresenti solo nella mente dell’uomo, alcuni di essi sonocosì reali e assoluti da poter significare esattamente lastessa cosa per noi e per un alieno intelligente dai moltitentacoli che galleggi su un esopianeta coperto dai ghiaccidall’altra parte dell’universo. In effetti, non mi limitereisolo a dire che le idee della matematica sono obiettive econcrete. Il cosmo stesso è matematico: qualsiasi cosaaccada in esso è la conseguenza di una logica universale

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accada in esso è la conseguenza di una logica universaleche opera sulla base di regole universali.

Al di là delle dimensioni dello spazio e del tempo, lamatematica dimora in un regno immateriale, un regnoeterno, immutabile e sempre vero. Il dominio dellamatematica si estende molto oltre quello che possiamovedere intorno a noi, al di là di ciò che siamo in grado dipercepire e al di là di ciò che possiamo immaginare: ununiverso mai visto, un universo di possibilità perfetto etrascendente. Persino alla fine di una degradazionecosmica, del collasso e rovina universali, gli abitanti dialtri universi potranno ancora osservare l’infinita bellezzadella matematica, la sintassi stessa della natura. La veritàè davvero nella natura e può essere espressa in questolinguaggio straordinario.

Ma c’è chi si spingerebbe ancora oltre. Questepersone considerano la matematica che descrive il nostrocosmo una manifestazione dei pensieri di un creatore.Albert Einstein osservò una volta: «Credo nel Dio diSpinoza, che si rivela nell’armonia delle leggi chegovernano il mondo». Per il filosofo olandese delSeicento che aveva impressionato così profondamenteEinstein, Dio e la natura era come se fossero una cosasola (deus sive natura), e lo studio della matematica

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sola (deus sive natura), e lo studio della matematicaequivaleva a una ricerca del divino. Ogni volta che riflettosu questa connessione mi vengono in mente gli ultimiesaltanti versi del Chorus mysticus nel Faust di Goethe:

Tutto l’Effimero / È solo un simbolo. / L’Inattuabile / Sicompie qua. / Qui, l’Ineffabile / È Realtà. / Ci trae,superno / Verso l’Empireo / Femineo eterno.2

La mia epifania all’università fu che da qualche parte inquesto infinito, inimmaginabile oceano di verità c’era unamatematica corporea, uno spruzzo di matematica chepuoi sentire, annusare e toccare. Questa è la matematicadel tangibile, dalle equazioni che governano le belle figureformate dai rossi petali di una rosa alle leggi chegovernano gli ampi moti di Marte, Venere e degli altripianeti in cielo. E fra tutte le notevoli intuizioni che offre,scoprii che la matematica poteva catturare laquintessenza della vita quotidiana, la tensioneonnipresente fra conflitto e cooperazione.

Questa tensione è palpabile. Essa acuisce le emozionidei partecipanti a un acquisto su internet, dove per gliacquirenti c’è la tentazione di non pagare per procurarsidelle merci, e per i venditori c’è quella opposta di nonspedirgliele. La tensione emerge quando si valuta se

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spedirgliele. La tensione emerge quando si valuta secontribuire al bene comune, attraverso il pagamento ditasse o licenze, o se valga la pena di ripulire la spiaggiadopo un picnic e di separare tutti i rifiuti che possonoessere riciclati. Si può percepire questa tensione fra ladimensione personale e quella pubblica anche nei sistemidi mobilità, i quali si fondano sulla convinzione che ilnumero dei passeggeri che pagheranno il biglietto saràsufficiente ad assicurare l’impiego di un numero adeguatodi autobus, treni e tram.

Questa tensione fra egoismo e altruismo può esserecolta nel dilemma del prigioniero. Benché si tratti di unasemplice idea matematica, è risultata essere una sorta ditrappola magica che ha irretito per decenni alcune dellementi più brillanti. Io stesso mi infatuai a tal punto diquesto straordinario gioco matematico da cambiare il miocorso all’università e da modificare, in un sol colpo, ilcorso della mia vita.

La mia ricerca sul dilemma del prigioniero mi fornì leprime intuizioni critiche del perché la nostracomprensione tradizionale dell’evoluzione sia incompleta.Mi rivelò perché, in aggiunta alle forze fondamentali dellamutazione e della selezione, abbiamo bisogno di unaterza forza dell’evoluzione, quella della cooperazione, e

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terza forza dell’evoluzione, quella della cooperazione, eaffinò la mia comprensione dei meccanismi che induconoqualcuno a modificare le sue abitudini per aiutare qualcunaltro. Il dilemma ha svolto un ruolo chiave nel cementarele basi per una comprensione del futuro dellacooperazione umana.

Prigioniero del dilemma

Da ragazzino il mio sogno era di diventare un medico.Quando però lessi L’ottavo giorno della creazione. Lascoperta del DNA (1979), del giornalista di “Time”Horace Judson, questa meravigliosa cronaca dellanascita della biologia molecolare fece mutare la miaambizione. Mi orientai verso lo studio della base stessadella chimica della vita, le molecole che costruiscono lenostre cellule, che forniscono loro energia, che leorganizzano e le fanno funzionare. Optai per lo studiodella biochimica all’Università di Vienna. Non tutti furonoentusiasti della mia decisione, men che meno i mieigenitori, contrariati dal fatto che abbandonassi laprogettata carriera di medico, il modo garantito didiventare un membro rispettato della società. Il lorounico figlio stava per dedicarsi allo studio di una scienza

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unico figlio stava per dedicarsi allo studio di una scienzache, ai loro occhi, aveva attinenza soprattutto col lievito,ingrediente fondamentale per la fermentazione di birra evino.

Nell’ottobre 1983 entrai in aula per ascoltarvi la primalezione e finalmente incontrai delle ragazze, molte più diquante ne avessi viste prima di allora, e tutteopportunamente riunite in un unico luogo. Grazie allapartecipazione a forte prevalenza femminile a un corso difarmacologia, le ragazze costituivano quasi due terzi delleseicento persone ora accalcate nell’aula intorno a me:avendo frequentato una scuola solo maschile, misembrava di trovarmi in paradiso. Fra i pochi studenti dichimica c’era Ursula, che come me si sforzava di tenere ilpasso con l’intensa introduzione alla matematicauniversitaria. Sei anni dopo eravamo sposati. Midomando se per caso non mi abbia scelto per la miabravura nel risolvere problemi matematici.

Man mano che la mia esaltazione universitariacresceva, mutava gradualmente la mia valutazione dellevarie materie. Al primo anno adorai la fisica, al secondola chimica-fisica. Nel corso del terzo anno ebbil’immensa fortuna di poter frequentare le lezioni dichimica teorica del grandissimo Peter Schuster, che

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chimica teorica del grandissimo Peter Schuster, checontribuì a fondare la scuola viennese di biologiamatematica e che in seguito divenne presidentedell’illustre Accademia austriaca delle scienze e arrivò atenere una lezione a papa Benedetto XVI sulla scienzadell’evoluzione. Mi resi immediatamente conto di volerlavorare sotto la supervisione di Peter. Durante il quartoanno cominciai a studiare con lui per una tesi. Dicarattere esuberante, era estremamente intelligente ebene informato, i suoi interessi si estendevano ben oltre lascienza. Una volta che eravamo in montagna adarrampicare insieme disse: «Non esiste il cattivo tempo,ma solo un equipaggiamento insufficiente».

Il momento in cui mi accorsi di essermi preso una verae propria cotta per la matematica fu l’anno successivo,durante un’escursione sulle Alpi con Peter. Era il marzo1988, i miei primi giorni di studio per il dottorato, e citrovavamo in un rifugio. Con me c’era un gruppo digiovani talenti, fra i quali Walter Fontana, che oggi è uneminente biologo della Harvard Medical School. Ilnostro gruppo abitava una primitiva baita in legno sullemontagne austriache per godersi l’aria buona e poterlavorare al meglio, senza dimenticare il divertimento.Sciavamo, ascoltavamo lezioni, bevevamo birra e vino e

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Sciavamo, ascoltavamo lezioni, bevevamo birra e vino econtemplavamo i misteri della vita. La cosa migliore ditutte era che discutevamo di nuovi problemi e di teoria,sia che ci trovassimo nell’accogliente tepore della piccolabaita o all’esterno, nella gelida aria alpina. Mentre le ideeuscivano dalla nostra bocca a quelle grandi altezze, ilnostro respiro si condensava in vapore. Non ricordo sefossero sogni matematici o solo nuvolette di aria calda.L’esperienza, però, fu esaltante.

La miscela di studenti dagli occhi raggianti fu arricchitada accademici formidabili. Fra di loro c’era il matematicodell’Università di Vienna Karl Sigmund. Con la suagrande zazzera ribelle, i suoi baffi vagamente simili ascovoli che ricordano le infiorescenze di varie specie diCallistemon e gli occhiali, Karl aveva un aspettoriservato e inavvicinabile. Era scostante, più simile a unostudente che a un professore; teneva tutte le sue lezioni amemoria, parlando con un ritmo ipnotico, quasiincantatore. L’ultimo giorno di quell’inebriante convegnoalpino, parlò di un problema affascinante di cui lui stessoaveva letto poco prima in un articolo di giornale.

L’articolo descriveva una ricerca in un campo notocome teoria dei giochi. Nonostante qualche intuizioneanteriore, la maggior parte degli storici riconosce il merito

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anteriore, la maggior parte degli storici riconosce il meritodi avere sviluppato questo tipo di teoria al grandematematico di origini ungheresi John von Neumann(János Neumann), che pubblicò il suo primo articolosull’argomento nel 1928. Egli continuò ad affinare le sueidee e ad applicarle all’economia con l’aiuto di OskarMorgenstern, economista austriaco che era sfuggito allapersecuzione nazista andando a lavorare negli Stati Uniti.Von Neumann usò i suoi metodi per costruire modellidell’interazione propria della Guerra fredda fra Stati Unitie Unione Sovietica. Anche altri adottarono lo stessoapproccio, fra questi in particolare la RAND (ResearchAnd Development) Corporation, della quale vonNeumann era stato un consulente. Il think tank originariofu fondato come Progetto RAND nel dicembre 1945dall’aviazione americana e da aziende che lavoravano peril dipartimento della difesa con lo scopo di pensarel’impensabile.

Nella sua conversazione Karl descrisse la ricerca piùrecente che era stata compiuta sul dilemma delprigioniero, gioco molto interessante escogitato per laprima volta nel 1950 da Merrill Flood e Melvin Dresher,che lavoravano per la RAND a Santa Monica. Karl eraentusiasta del dilemma perché, come i suoi inventori si

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entusiasta del dilemma perché, come i suoi inventori sierano resi conto, è la potente rappresentazionematematica di una lotta centrale per la vita, quella fraconflitto e cooperazione, fra individuo e bene collettivo.Il dilemma del prigioniero è chiamato così perché, nellasua forma classica, considera il seguente scenario:immaginiamo che tu e il tuo complice siate entrambidetenuti, essendo stati catturati dalla polizia e accusati diun grave crimine. Il pubblico ministero vi interrogaseparatamente e offre a ciascuno di voi uncompromesso. Questa offerta è al cuore del dilemma esuona come segue: se uno di voi due, scegliendo ladefezione, permetterà di incriminare l’altro, mentre l’altronon aderisce all’offerta di tradire il suo complice, ildefezionista sarà accusato di un crimine minore, e la suacondanna sarà ridotta a un anno per avere fornitoinformazioni sufficienti a condannare a una lunga penadetentiva il suo complice. Questo invece, non avendocooperato col pubblico ministero, sarà accusato di uncrimine più grave e condannato a quattro anni di carcere.

Se entrambi i detenuti tacciono, e cooperano quindifra loro, non ci saranno prove sufficienti per accusarel’uno o l’altro del crimine più grave, ed entrambi sarannocondannati a due anni per un reato meno grave. Seinvece entrambi tradiscono, accusandosi l’un l’altro,

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invece entrambi tradiscono, accusandosi l’un l’altro,saranno accusati ambedue del crimine più grave, masaranno condannati alla pena di tre anni anziché quattroper essere stati almeno disposti a fornire informazioni.

Nella letteratura si trovano infinite varianti del dilemmain relazione alle circostanze, alle punizioni e alle tentazionidi tradire il complice, ai dettagli della detenzione, e viadicendo. Quale che sia la formulazione, c’è una sempliceidea centrale che può essere rappresentata da una tabelladi scelte possibili, nota come matrice dei payoff (omatrice delle vincite). La matrice può sintetizzare tutti equattro i possibili esiti del gioco, scritta nella forma di dueannotazioni per ognuna delle sue due righe; e puòriassumere anche le tensioni fondamentali della vitaquotidiana.

Cominciamo con la prima riga della matrice deipayoff: entrambi cooperate (questa possibilità comportauna condanna a due anni di carcere, che indicheròscrivendo -2 per riferirmi ai due anni di vita in libertà cheperdete); oppure tu collabori col tuo socio e lui ti tradisce(-4 anni per te e -1 per lui). Nella seconda riga appaionole altre due possibili varianti: tu tradisci il tuo partner,mentre il tuo partner coopera con te (-1 per te, -4 perlui). Entrambi tradite (-3 anni ciascuno). Da un punto di

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lui). Entrambi tradite (-3 anni ciascuno). Da un punto divista puramente egoistico, la migliore soluzione per te è laterza, la seconda migliore è la prima, a cui seguono laquarta, e infine la seconda. Per il tuo socio le soluzionimigliori sono, nell’ordine la seconda, la prima, la quarta ela terza.

Che cosa dovresti fare, se ti consideri un individuorazionale, egoista, che ambisce a curare al massimo ilproprio vantaggio? Il tuo ragionamento dovrebbeprocedere così. Il tuo socio o ti tradirà o invececollaborerà con te. Se ti tradisce, dovresti farlo anche tu,per evitare di incorrere nell’esito per te più sfavorevole.

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per evitare di incorrere nell’esito per te più sfavorevole.Se invece coopera con te, dovresti tradirlo e accusare luidel crimine, poiché in questo caso avrai la sentenza piùfavorevole possibile, il tuo risultato preferito (-1). Così,qualsiasi comportamento tenga il tuo partner, la cosamigliore per te è tradirlo.

Tradire il partner (la defezione) è considerata lastrategia dominante in un gioco con questa matrice deipayoff. Secondo quanto indicato dai teorici questa èsempre la strategia migliore da adottare, a prescinderedal comportamento adottato dall’altro giocatore. Eccoperché, se entrambi cooperate, avrete due anni dicarcere, mentre se tu tradisci il tuo complice, la tua penadetentiva sarà di un solo anno. Se il complice ti tradisce,mentre tu non parli, avrai quattro anni di carcere, mentrene avrai solo tre se avrete tradito entrambi. Così, aprescindere da quel che farà il tuo partner, la cosamigliore per te è tradirlo.

In questa catena di ragionamento c’è però unproblema. Il tuo complice non è uno sciocco e staruminando sul dilemma esattamente come fai tu,giungendo alla medesima conclusione. Di conseguenzaentrambi scegliete la defezione, e quindi finirete per avereentrambi tre anni di carcere. Il dilemma sorge dal fatto

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entrambi tre anni di carcere. Il dilemma sorge dal fattoche, se entrambi seguite la migliore strategia dominante,quella più razionale, entrambi vi troverete peggio che seaveste taciuto. Entrambi finirete per avere il terzo migliorrisultato (-3, -3), mentre se aveste cooperato fra voiavreste avuto il secondo miglior risultato (-2, -2).Questo è in sintesi il dilemma del prigioniero. Se vi fostefidati l’uno dell’altro, cooperando fra voi, avresteottenuto risultati migliori che agendo entrambi in modoegoistico. Con l’aiuto del dilemma possiamo apprezzarechiaramente cosa significhi cooperare: un individuo pagaun costo perché un altro possa riceverne un beneficio. Inquesto caso, se entrambi cooperano, perdono lapossibilità di ottenere il beneficio maggiore (la condannaa un solo anno di carcere) ed entrambi ottengono ilsecondo miglior risultato: due anni di carcere. Questa èancora una condanna meno dura di quella che entrambisubireste se sceglieste entrambi la defezione.

Per creare il dilemma, è importante disporre in modocorretto nella matrice la grandezza relativa di ognuno deipayoff per la cooperazione e la defezione. Il dilemma èdefinito dalla graduatoria completa dei valori dei payoff,dove R è la remunerazione per la reciprocacooperazione; S è il payoff (il risultato) ottenuto da un

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cooperazione; S è il payoff (il risultato) ottenuto da unbabbeo (sucker) per avere cooperato col proprio socioquando questi lo tradiva; T è la tentazione di tirarsiindietro, di rinnegare, quando il proprio socio tradisce; eP è la punizione se entrambi i giocatori tradiscono. Vorreiora spiegare meglio le varie situazioni. Quando i duegiocatori cooperano fra loro, la remunerazione (R) èmaggiore della punizione (P) nel caso de l reciprocotradimento. Quando però uno dei due giocatori coopera,la remunerazione (R) è maggiore della punizione (P) seentrambi tradiscono. Quando però uno coopera e l’altrotradisce, la persona che tradisce ottiene la remunerazionemaggiore, mentre il partner sfortunato che ha deciso dicooperare col socio subisce la condanna maggiore, ilpayoff del credulone (S). In generale, noi possiamocreare il dilemma se T è maggiore di R che è maggiore diP che è maggiore di S (se T > R > P > S). Noi possiamoordinare i payoff nel gioco base in altri modi, diversi, eritrovarci ancora in dilemmi di cooperazione. Fra tuttiquesti dilemmi, però, quello del prigioniero è di granlunga il più difficile da risolvere. Lo si potrebbeconsiderare il dilemma supremo della cooperazione.

Noi tutti ci imbattiamo di continuo nel dilemma in unaforma o in un’altra nella vita quotidiana. Dovrei aiutare un

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forma o in un’altra nella vita quotidiana. Dovrei aiutare unmio collega in ufficio – per esempio offrendomi disvolgere il suo lavoro mentre lui è in vacanza – quandoquesta persona è in competizione con me per unapromozione? Quando due società rivali fissano i prezzidei loro prodotti, dovrebbero cercare di cooperare fraloro nella misura del possibile, o una società dovrebbecercare di fissare prezzi più bassi di quelli dellaconcorrente? Le corse agli armamenti fra superpotenze,fra nazioni localmente rivali o anche fra specie diverseoffrono altri esempi pratici del dilemma. I paesi rivalihanno tutto da guadagnare quando cooperano perevitare una corsa agli armamenti. Eppure la strategiadominante per ogni nazione è ancora quella di armarsimassicciamente. E così via.

Incarcerazione

Fin dal primo incontro col dilemma del prigioniero nellabaita sulle Alpi ne rimasi avvinto. A quell’epoca Karl eradiventato a tutti gli effetti mio prigioniero. Non avevaalcun mezzo di trasporto e io mi offrii di riaccompagnarloa Vienna. Il giorno dopo discutemmo del dilemmadurante il viaggio sulla vecchia Volkswagen che mio

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durante il viaggio sulla vecchia Volkswagen che miopadre ancora oggi usa per viaggiare qua e là perl’Austria. Anche dopo aver accompagnato Karl,continuai a tenerlo presente nei miei pensieri. Non passòmolto tempo che cominciai a studiare con lui per il miodottorato all’Istituto di matematica a Vienna. Fra glistudenti che vi avevano studiato prima di me c’erano ilgrande fisico Ludwig Boltzmann, il logico Kurt Gödel e ilpadre della genetica Gregor Mendel.

Mentre studiavo per il dottorato, Karl e io civedevamo spesso in caffè locali, i genii loci della gloriapassata. In questi ambienti ispiratori Gödel avevaenunciato il suo teorema dell’incompletezza, Boltzmannaveva lavorato sull’entropia e Wittgenstein aveva sfidatoil Circolo di Vienna, un gruppo di intellettuali che siriunivano per discutere di matematica e filosofia. Ungiorno eravamo seduti nel Café Central, un edificioimponente con soffitti a volta e con colonne di marmo,dove Trotskij aveva progettato la Rivoluzione russa.

Mentre bevevamo un caffè denso e forte ediscorrevamo su come risolvere il dilemma delprigioniero, Karl e io riscoprimmo le sottigliezze di unproblema che sfidava da generazioni le menti più brillanti.Non ci rendevamo ancora conto che nei decenni seguentiavremmo escogitato una nuova matematica per esplorare

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avremmo escogitato una nuova matematica per esplorareil dilemma. Avremmo creato comunità di soggetti agentiin un computer, avremmo studiato come si evolvevano, eavremmo compiuto analisi per rivelare i meccanismi ingrado di risolvere il dilemma. Io avrei costituito gruppi distudio a Oxford, Princeton e Harvard, e istituitocooperazioni con matematici, biologi, chimici, medici edeconomisti di tutto il mondo per capire in che modoquesti meccanismi funzionavano e quali fossero le loroimplicazioni più vaste.Alcuni scienziati considerano il dilemma del prigionierouna metafora notevolmente rivelatrice delcomportamento biologico, dell’evoluzione e della vita.Altri lo considerano troppo semplice perché possacomprendere tutte le sottili forze in gioco nelle societàreali e in biologia. Io concordo con entrambi gliorientamenti. Il dilemma non è di per sé la chiave per lacomprensione della vita. Perché il dilemma possa dirciqualcosa di utile sul mondo biologico, abbiamo bisognodi situarlo nel contesto dell’evoluzione.

L’evoluzione può aver luogo solo in popolazioni diindividui che si riproducono. In queste popolazioni, nelcorso della riproduzione hanno luogo errori checonducono a mutazioni. Gli individui mutanti che ne

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conducono a mutazioni. Gli individui mutanti che nerisultano possono riprodursi con tempi diversi, poiché unmutante si trova a essere meglio adattato in un ambienteche in un altro. E la riproduzione a diverse velocitàconduce alla selezione: gli individui che si riproducono piùrapidamente sono favoriti dalla selezione e prosperano.In questo contesto possiamo pensare ai payoff deldilemma del prigioniero in termini di quella che gliscienziati dell’evoluzione chiamano fitness (concetto chepossiamo considerare sinonimo di velocità diriproduzione). Ora possiamo esprimere il senso dellacooperazione come nel dilemma del prigioniero collocatoin un contesto evoluzionistico: se io ti aiuto diminuisco lamia fitness e aumento la tua.

È qui che la storia diventa affascinante. Ora cheabbiamo espresso il dilemma in una formaevoluzionistica, scopriamo che c’è un problemafondamentale. La selezione naturale si oppone in realtàalla cooperazione in un dilemma del prigioniero“semplice”. Fondamentalmente la selezione naturale minala nostra capacità di cooperare. Perché avviene questo?Perché in quella che i matematici chiamano unapopolazione ben assortita, nella quale c’è la stessaprobabilità di incontrare due individui qualsiasi, i

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probabilità di incontrare due individui qualsiasi, icooperatori hanno sempre una fitness inferiore a quelladei defezionisti; e infatti è sempre meno probabile chesopravvivano. Mentre essi si estinguono, la selezionenaturale causerà un graduale aumento dei defezionisti,finché tutti i cooperatori non saranno stati sterminati.Questa è una conclusione sorprendente, perché unapopolazione formata per intero da cooperatori ha unafitness media maggiore di quella di una popolazionecomposta per intero da defezionisti. Qui in realtà accadeche la selezione naturale distrugga quello che sarebbe ilmeglio per l’intera popolazione. La selezione naturalemina il bene maggiore.

Per favorire la cooperazione, la selezione naturale habisogno di aiuto nella forma di meccanismi perl’evoluzione della cooperazione. Sappiamo che talimeccanismi esistono perché intorno a noi vi sonoabbondanti prove del fatto che la cooperazione paghi:dagli alti termitai al concerto rock da stadio alle folle deipendolari che tutti i giorni vanno in città per lavoro e neescono la sera per tornare a casa. In realtà l’evoluzioneha usato questi vari meccanismi per andare oltre i limitidella selezione naturale. Nel corso dei millenni questimeccanismi hanno plasmato l’evoluzione genetica nelle

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meccanismi hanno plasmato l’evoluzione genetica nellecellule, nei microrganismi o negli animali. La naturasorride alla cooperazione.

I meccanismi cooperativi plasmano anche l’evoluzioneculturale, i modelli di mutamento del modo in cui cicomportiamo. L’aspetto dell’evoluzione a noi piùfamiliare è quando impariamo l’uno dall’altro emodifichiamo di conseguenza il nostro modo di agire.Esso opera inoltre su scale di tempo molto più brevi.Pensate a una popolazione di esseri umani in cui lepersone imparano strategie diverse per far fronte almondo che le circonda, si tratti della religione, dellacostruzione di una barca o di piantare un chiodo in unpezzo di legno. L’effetto della cooperazione sulla culturaè immenso, e, secondo me, è la ragione centrale del fattoche la vita è così seducente e bella.

Ricerca sull’evoluzione della cooperazione

La matematica, considerata nel modo giusto, nonpossiede solo verità, ma anche suprema bellezza: unabellezza fredda e austera, come quella della scultura,che non esercita alcuna attrazione sulle parti dellanostra natura più debole, una bellezza priva degli

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nostra natura più debole, una bellezza priva deglisplendidi ornamenti della pittura o della musica, etuttavia di una purezza suprema, e capace di unaperfezione sublime quale solo la massima arte puòmostrare. Bertrand Russell, Study of Mathematics

Il mio approccio complessivo alla rivelazione ecomprensione dei meccanismi della cooperazione è facileda spiegare, anche se i dettagli del mio lavoropotrebbero apparire misteriosi. Mi piace prendere ideeinformali, istinti e persino impressioni della vita etrasformarli in forma matematica. La matematica mipermette di lavorare su problemi confusi, complicati e,con sagacia e un po’ di fortuna, rivelarne la semplicità ela grandezza sottostanti. Al cuore di un modellomatematico di successo c’è una legge di natura,un’espressione della verità capace di generare meravigliae reverenza allo stesso modo delle straordinarie sculturedi Michelangelo, la cui capacità di sorprendere provienedalla verità che catturano della bellezza fisica.Secondo una leggenda, quando qualcuno domandò aMichelangelo come avesse creato il David, egli avrebberisposto di avere semplicemente tolto da quel blocco dimarmo «tutto quello che non era David». Anche un

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marmo «tutto quello che non era David». Anche unmatematico, quando si trova di fronte alla misteriosacomplessità della natura, lotta con una quantità diosservazioni e di idee finché l’essenza stessa delproblema non diventa chiara, insieme a un’ideamatematica di una bellezza senza pari. ComeMichelangelo voleva liberare le sue figure dalla pietra incui erano imprigionate, così io vorrei che i miei modellimatematici assumessero vita al di là delle mie attese efunzionassero in circostanze diverse da quelle nelle quali liho concepiti in origine.

Michelangelo cercava ispirazione nella forma umana,in particolare nel nudo maschile, nonché nelle idee delneoplatonismo, filosofia che considerava il corpo comesemplice ricettacolo per un’anima desiderosa di tornare aDio. Nei pochi secoli trascorsi da quando la scienza hainiziato a cercare di dare un senso alla natura, è cambiatal’ispirazione per le rappresentazioni matematiche delmondo. Dapprima l’attenzione si concentrò soprattuttosulla comprensione del mondo fisico. Pensiamo a comeNewton usò la matematica per dare un senso al moto, daquello dei pianeti intorno al Sole alle traiettorie di freccescoccate verso un bersaglio. Con stupore di molti,Newton dimostrò che i corpi che osserviamo sulla Terra

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Newton dimostrò che i corpi che osserviamo sulla Terrae nella maestosa sfera celeste sono governati da un’unicaforza, la gravità, anche se i pianeti sono costretti aripercorrere senza fine le loro orbite, mentre oggetticome le frecce e le mele cadono infine al suolo.

Oggi i modelli del nostro cosmo si occupano anchedella biologia e della società. Fra i vortici e le onde delgrande fiume di idee che è fluito nel corso dellegenerazioni, plasmando i modi in cui gli scienziaticostruiscono modelli di questi aspetti viventi del mondo,ci sono le impetuose correnti generate da Charles Darwin(1809-1882), il quale escogitò una visione unificantedelle origini della vita, intuizione rivoluzionaria dalla qualesi propagano ancora oggi forti onde d’urto.

Dopo molti anni di lavoro lento e metodico, usando lasua notevole abilità nel dare un senso agli studi minuziosi– condotti nel corso di decenni – nei quali aveva raccoltoi frutti delle sue lunghe ricerche, giunse infine allaconclusione che tutte le specie oggi esistenti avrebberoun progenitore comune. Egli mostrò che il processo dellaselezione naturale era il principale meccanismo dicambiamento negli organismi viventi. Poiché lariproduzione non è una forma di replicazione perfetta,esistono variazioni ed è da questa diversità che prende

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esistono variazioni ed è da questa diversità che prendeforma il potenziale di evolversi. Ma come il gioco del“telefono senza fili” mostra bene, se non c’è un metododi selezione dei cambiamenti di significato – che porti afrasi di senso compiuto – il risultato che si ottiene è nellamigliore delle ipotesi sviante, e nella peggiore unfarfugliamento caotico. Darwin ipotizzò che un carattereavrebbe preferito nel corso di molte generazioni solo seconferisce un vantaggio evolutivo, e oggi questa possenteidea è uno dei dogmi fondamentali della scienza.

Il messaggio di Darwin è semplice, ma porta a unacomplessità illimitata. In ogni organismo vivente esistequalche informazione che può essere trasmessa da unagenerazione all’altra. In una popolazione le informazionitrasmesse presentano una certa variabilità. Quando lerisorse sono limitate e nascono più individui di quantipossano sopravvivere o riprodursi, si sviluppa una lottaper la sopravvivenza e, cosa altrettanto importante, per laricerca di un partner: in questa lotta gli individui portatoridi certi tratti (tipi di informazione) falliscono e sonosoppiantati da altri meglio adattati. Queste differenzeereditate nella capacità di trasferire geni da unagenerazione all’altra – la selezione naturale – comportanoche le forme vantaggiose diventino più comuni col

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che le forme vantaggiose diventino più comuni colsuccedersi delle generazioni. Soltanto una cosa conta:sopravvivere abbastanza a lungo da riprodursi.

La teoria escogitata da Darwin per spiegare ladiversità e continua mutevolezza della vita è statacorroborata da una quantità sempre crescente di datiaccumulati dai biologi. Col passare del tempo l’azionedella selezione in un dato ambiente ha come conseguenzal’emergere di differenze importanti nel corsodell’evoluzione. All’accumularsi di sempre nuovevariazioni, una linea evolutiva può diventare così diversada non potere più scambiare geni con altri organismi cheun tempo facevano parte del suo stesso ceppo. Nascecosì una nuova specie. Cosa interessante, benché ogginoi chiamiamo questo meccanismo evoluzione, taletermine non compare nell’Origine delle specie3.Lo stesso Darwin era convinto che la selezione fossegovernata dal conflitto. Egli scrisse di continuo aproposito della lotta per l’esistenza, onnipresente innatura. Questo suo tema assunse vita propria e furaccolto e abbellito con grande piacere da molti altri. Lanatura è «rossa nei denti e negli artigli», come si espressein un verso famoso Alfred Tennyson scrivendo inmemoria di un amico morto. Quanto all’efficace

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memoria di un amico morto. Quanto all’efficaceespressione sopravvivenza del più adatto, fu coniatanel 1864 dal filosofo Herbert Spencer, paladino dellibero mercato; l’introduzione di questa espressionesegnalò al tempo stesso l’ingresso del pensierodarwiniano nell’arena politica.

La selezione naturale si fonda sulla competizione, sullupus homini lupus e sul “chi vince prende tutto”.Darwin stava però riferendosi alla specie meglio adattataa un ambiente, e non necessariamente a quella più forte.Tuttavia un articolo pubblicato su un quotidianoconcludeva che era la forza a fare il diritto e che perciòNapoleone aveva ragione, e che aveva ragione ancheogni negoziante disonesto. Il pensiero di Darwin sarebbestato usato sempre più scorrettamente per giustificarecose come il razzismo e i genocidi, per spiegare perché icolonialisti bianchi trionfassero sulle “inferiori” razzenative, perché procreassero esseri umani “superiori” ecc.Questi abusi testimoniano, anche se in un modo contortoe deprimente, la forza delle sue idee.

Come ho però già sottolineato, non c’è solo lacompetizione. Gli esseri umani si aiutano a vicenda. Avolte aiutiamo anche gli estranei. A volte lo facciamoanche su scala mondiale, con enti di beneficenza come

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l’Oxford Committee For Famine Relief (OXFAM), cheaiuta le persone a migliorare le proprie condizioni di vitain più di settanta paesi, e la Bill & Melinda GatesFoundation, che opera in più di cento nazioni. Lofacciamo anche in modi complessi organizzando costosecene per la raccolta di fondi alle quali partecipano grandicelebrità. Ci prodighiamo anche in aiuto degli animali.Perché? Potrebbe sembrare un vicolo ciecodell’evoluzione, ma in realtà è un elemento assolutamentecentrale nella storia della vita.

Il dilemma del prigioniero, inquadrato in una corniceevoluzionistica, ci mostra che la competizione e quindi ilconflitto sono sempre presenti, così come lo yin èinseparabile dallo yang. Darwin e la maggior parte diquanti hanno seguito le sue grandi orme hanno parlato dimutazione e di selezione. Ma per creare entitàcomplesse, dalle cellule alle società, occorre un terzoingrediente: la cooperazione. Ho accumulato una grandequantità di prove per mostrare come la competizionepossa a volte portare alla cooperazione. Comprendendoquesto punto, potremo spiegare in che modo si sianoevolute le cellule e organismi pluricellulari come lepersone, e perché agiscano in modi complicati comenelle società. La cooperazione è l’architetto della

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nelle società. La cooperazione è l’architetto dellacomplessità vivente.

Per apprezzare correttamente questa affermazione,dobbiamo collocare l’evoluzione stessa su una base piùsolida. Concetti come quelli di mutazione, selezione efitness assumono contorni precisi solo quando fissati informa matematica. Lo stesso Darwin non lo fece, unamancanza di cui fu fin troppo consapevole; e nella suaautobiografia confessò la propria incapacità di servirsidello strumento matematico. Nel periodo trascorso aCambridge (dal 1828 al 1831) aveva tentato invano diimparare un po’ di matematica, anche facendo ricorso alezioni private: «Negli anni successivi, ho profondamenterimpianto di non essere arrivato al punto da poter capirealmeno qualcosa dei grandi principi fondamentali dellamatematica, e ho invidiato gli uomini che hanno questaabilità e sembrano perciò dotati quasi di un sestosenso»4. Egli parve rendersi conto che si richiedeva piùrigore per rimpolpare le implicazioni delle sue ideeradicali sulla vita. Gli sembrava che la sua mente fosse«diventata una specie di macchina per estrarre delle leggigenerali da una vasta raccolta di fatti»5. Ma persino luidesiderava un approccio più analitico, in modo da poter

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desiderava un approccio più analitico, in modo da poterricorrere a leggi più precise per spiegare una grandemassa di dati. Quello di cui aveva bisogno era unmodello matematico.

La moderna comprensione del processo di ereditàbiologica è detta oggi mendelismo in onore di GregorMendel, il quale scelse di diventare monaco agostinianodopo aver fallito i suoi esami di botanica all’Università diVienna. Dopo avere ordinato i risultati dell’incrocio dipiselli lisci e piselli rugosi, Mendel rivelò che nellatrasmissione ereditaria i caratteri rimangono separati, enon si mescolano nel senso di originare qualitàintermedie. I figli ereditano dai genitori istruzioniindividuali (costituite da singoli geni), così che genitoriportatori dei caratteri liscio e rugoso producono unaprole o con semi lisci o con semi rugosi, ma non concaratteri intermedi. Quel che spesso si trascura in questastoria è che Mendel era un bravo studente di matematica.Il grande genetista e statistico Sir Ronald Fisher lo definìaddirittura «un matematico con interesse per la biologia».Mendel scoprì queste regole dell’ereditarietà perché eramotivato da una chiara ipotesi matematica, motivazioneche lo spinse al punto di ignorare i risultati ambigui chenon si conciliavano con i suoi ragionamenti. Se Mendel

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avesse condotto un’analisi statistica obiettiva dei suoirisultati, probabilmente non avrebbe avuto successo.

Un’equazione semplice per mostrare l’effetto dellatrasmissione di geni da una generazione all’altra fu trovatanel 1908 da Godfrey H. Hardy, il matematico diCambridge appassionato di cricket che celebrò ivirtuosismi della sua scienza nell’immortale Apologia diun matematico. In un rovesciamento insolito delle regoleusuali, l’opera di questo matematico puro fu generalizzatadal medico tedesco Wilhelm Weinberg per mostrarel’incidenza dei geni in una popolazione. Robert May(oggi Lord May di Oxford) si spinse un giorno fino adefinire la legge di Hardy-Weinberg l’equivalente inbiologia della prima legge di Newton. Grazie ad Hardy ea Weinberg si era pervenuti a una legge matematicaapplicabile a una grande varietà di organismi viventi.

Questo tentativo di costruire un modello di comel’ereditarietà funzioni in natura fu esteso in ricerchefondamentali compiute negli anni Venti e Trenta delNovecento da uno strabiliante trio. Il primo di questipersonaggi fu Sir Ronald Fisher, la cui straordinariacapacità di visualizzare problemi derivò dall’essere statoistruito in matematica da bambino senza l’aiuto di carta epenna, a causa della sua vista difettosa. Il secondo fu la

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penna, a causa della sua vista difettosa. Il secondo fu lagrande figura di John Burdon Sanderson Haldane,aristocratico e marxista, che fu un tempo direttore del“Daily Worker”. Tornerò a occuparmi di Haldane nelCapitolo 5. L’ultimo componente del trio fu SewallWright, genetista americano appassionato di filosofia,questa parente della matematica (perdonatemi se svelo lasoluzione del vecchio indovinello sulla loro diversità:mentre i matematici hanno bisogno di carta, matita e uncestino per la carta da buttare, i filosofi hanno bisognosolo di carta e matita).

In collaborazione fra loro, questi tre uominicollocarono per la prima volta in una cornice matematicai concetti fondamentali dell’evoluzione, della selezione edella mutazione: fusero l’insistenza di Darwin sullacompetizione fra singoli animali per procreare lagenerazione seguente con gli studi mendeliani di comedistinti tratti genetici siano trasmessi dai genitori alla prole:una combinazione a cui ci si riferisce oggi generalmentecon le espressioni visione sintetica dell’evoluzione,sintesi moderna o neodarwinismo. Insieme a molti altri,anch’io ho esteso queste idee, considerando il dilemmadel prigioniero in popolazioni in evoluzione, nell’intento diidentificare i meccanismi basilari che spiegano come la

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identificare i meccanismi basilari che spiegano come lacooperazione possa prosperare in uno spietato mondodarwiniano.

Nel corso degli anni ho esplorato il dilemma usandomodelli informatici, matematica ed esperimenti perrivelare come la cooperazione possa evolversi, e comesia intessuta nella trama stessa del cosmo. Sonocomplessivamente cinque i meccanismi che conduconoalla cooperazione. Me ne occuperò ora, dedicando unodei cinque capitoli seguenti a ciascuno di essi; nella parterestante del libro mostrerò come questi offrano nuovepercezioni su una diversa gamma di problemi, daisemplici fatti della cooperazione molecolare alle molte ecomplesse forme della cooperazione umana.

Esaminerò i processi che hanno preparato la viaall’emergere dei primi organismi viventi e allestraordinarie imprese di cooperazione che hannocondotto agli organismi pluricellulari, oltre che al modo incui una cooperazione cellulare può andare male econdurre al cancro. Delineerò una nuova teoria perspiegare la grandissima quantità di cooperazione che siosserva nel comportamento sociale avanzato degli insetti.Passerò poi a discutere il linguaggio e come esso si siaevoluto fino a diventare il collante che lega gran parte

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evoluto fino a diventare il collante che lega gran partedella cooperazione umana; il gioco delle risorse comuni,la massima sfida attuale alla cooperazione; il ruolo dellapunizione; e poi le reti, di amici o di conoscenti, e lestraordinarie intuizioni sulla cooperazione che proven-gono proprio dallo studio di tali reti. Gli esseri umanisono supercooperatori: possiamo attingere a tutti imeccanismi della cooperazione che prenderò in esamenelle pagine seguenti in gran parte grazie alle nostrespettacolari capacità linguistiche e comunicative.

Spero anche di poter spiegare perché sono giunto allaconclusione che, benché gli esseri umani siano icooperatori dominanti sulla Terra, non abbiamoalternative alla possibilità di evolverci ulteriormente, conl’aiuto dello straordinario grado di controllo che sta oggiesercitando sull’ambiente moderno. Questo nuovo passoavanti nella nostra evoluzione è necessario perchédobbiamo affrontare seri problemi globali, molti dei qualisi riducono a una fondamentale questione disopravvivenza. Noi siamo oggi così potenti chepotremmo autodistruggerci. Abbiamo bisogno diimbrigliare il potere creativo della cooperazione in nuovimodi.

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Parte I. Cinque modi perrisolvere il dilemma

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Capitolo 1

Reciprocità diretta: tit for tat

Vi sarà sangue, dicono: sangue vuol sangue.William Shakespeare, Macbeth1

Nel buio più fitto le creature cominciano a volare.Evitano il più possibile la luce della luna sfruttando almassimo il senso dell’olfatto per individuare le lorovittime, dopo di che scendono nelle vicinanze per tendereloro un agguato. Dopo un avvicinamento a rapidi saltelli aquattro zampe, catturano la preda. Servendosi di unsensore termico sul naso, ognuna di loro può determinarei punti in cui il sangue scorre più vicino alla superficiedella cute della vittima. Spesso un pasto comincia con unrapido morso al collo. Queste creature della notte

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rapido morso al collo. Queste creature della nottepossono rimanere attaccate al collo della vittima fino amezz’ora, usando la loro lunga lingua a mo’ di cannucciaper sorbire il caldo sangue della vittima. Nel corso divarie notti tornano a succhiare dalle stesse ferite, e sipensa siano in grado di riconoscere i suoni dellarespirazione delle loro vittime allo stesso modo in cui noiusiamo il suono della voce per riconoscerci.

La cosa che mi sembra più straordinaria dei pipistrellivampiri – pipistrelli appartenenti a vari generi, che vivonosoprattutto nell’America centrale e meridionale, e che sinutrono del sangue di piccoli animali – è ciò che accadequando tornano nei loro ripari, dove si riuniscono acentinaia, addirittura a migliaia, a dormire appesi a testain giù. Se qualche individuo è incapace di trovare predenel corso della caccia notturna, i suoi compagnirigurgiteranno un po’ del sangue di cui si sono cibati e lodivideranno con lui. Lo scambio di sangue fra i pipistrellivampiri fu rivelato per la prima volta in studi compiutiall’inizio degli anni Ottanta del Novecento da GeraldWilkinson, dell’Università del Maryland. Durantericerche sul campo in Costa Rica, Wilkinson riscontròche, ogni notte, una piccola percentuale di adulti e unterzo degli individui giovani non riescono a procurarsi un

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terzo degli individui giovani non riescono a procurarsi unpasto. Non muoiono però di fame, grazie al fatto che ipipistrelli vampiri che hanno avuto successo nella lorocaccia notturna rigurgitano parte del loro pasto pernutrire i loro simili affamati. Una cosa interessante rivelatada questi esperimenti è che i pipistrelli vampiri offronosangue con maggiore probabilità a un loro simile cheaveva in precedenza nutrito loro (questi animali dedicanoparte del loro tempo a pulirsi l’un l’altro, facendoparticolare attenzione al pelo attorno allo stomaco, cosache permette loro di tenere conto dei reciproci doveri didare e avere).

Questo è un esempio di quella che io chiamoreciprocità diretta , con cui intendo semplicemente ilprincipio del contraccambio. Quanto ti gratto la schiena,mi aspetto che in cambio tu gratti la mia. Lo stesso valeper i pasti di sangue fra i pipistrelli vampiri. Questa formadi reciprocità riconosciuta in modi di dire popolari cometit for tat (espressione inglese traducibile genericamentecon occhio per occhio per l’aspetto egoistico o con setu fai una cosa per me, io faccio una cosa per te perl’aspetto collaborativo). I romani usavano l’espressionequid pro quo (qualcosa per qualcosa). Comesuggeriscono i pipistrelli vampiri, questo tipo di

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suggeriscono i pipistrelli vampiri, questo tipo dicooperazione risale a molto tempo prima di Romolo eRemo, anzi a molto tempo prima dell’origine dell’uomomoderno.

Perché la reciprocità diretta possa funzionare, duepersone devono avere ripetuti contatti, così che possaesserci un’opportunità di ripagare gli atti di cortesia. Ledue persone possono abitare nella stessa strada o nellostesso villaggio. Forse lavorano insieme, oppurepotrebbero incontrarsi ogni domenica in chiesa. Nel casodei pipistrelli vampiri possono bazzicare la stessa cavernao lo stesso riparo. In questo modo hanno la possibilità distipulare un “contratto” fondato sul reciproco aiuto.

Questi pipistrelli sono un esempio spesso citato direciprocità diretta in natura. Un altro esempio si puòtrovare sulle barriere coralline, dove pesci di ogni sorta sirecano in “stazioni di pulizia” dove pesci più piccoli egamberetti si occupano di liberarli dai parassiti: i clientisono liberati da fastidiosi parassiti e chi pratica la puliziaguadagna un pasto gratis. Quando un labro pulitore fa latoeletta a una grande cernia si trova a dover entrare nellecamere branchiali e nella bocca della cernia, dimostrandouna grande fiducia nel fatto che non sarà mangiato.Quando la cernia vuole mettere fine alla seduta,

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Quando la cernia vuole mettere fine alla seduta,comunica ai suoi pulitori l’intenzione di andare viadiminuendo un po’ l’apertura della bocca e scuotendo ilsuo corpo, cosa che fa anche quando corre il pericolo diessere attaccata. Un modo più sicuro di procederesarebbe quello di inghiottire il piccolo pulitore e diallontanarsi immediatamente. La prima strategia puòessere interpretata come una forma di cooperazione, laseconda in termini di defezione.

La fastidiosità dei parassiti – in particolare degli acari(ordine della classe degli aracnidi, contenente anche lezecche) – ha condotto all’emergere di un altro esempiodi questo meccanismo, nella forma della reciprocatoeletta o grooming, questa volta fra gli impala, un tipodi antilopi che vivono in Africa. E quando si passa ainostri parenti più stretti, i testi sono zeppi di esempi. Unofu riferito nel 1977 da Craig Packer nel Centro diricerche del fiume Gombe, in Tanzania, dove fu svoltouno studio a lungo termine sui babbuini olivastri, cosìchiamati a causa del colore caratteristico del loro pelo.Packer, che insegna all’Università del Minnesota, riferì dicome un maschio ne aiuterà un altro, accorso inprecedenza in suo aiuto, a entrare in rapporti amichevolicon babbuini più maturi, così che uno di loro due possa

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con babbuini più maturi, così che uno di loro due possafare sesso con la femmina di un senior. Anche se ilbabbuino che presta il suo aiuto non riesce a fare sessosubito dopo essere entrato in buoni rapporti col gruppo,continua tuttavia a collaborare perché si attende cheprima o poi riceverà il contraccambio.

I macachi dello Sri Lanka, appartenenti alla specieMacaca sinica, curano le ferite di un altro maschio perassicurarsene l’aiuto in future ostilità. Non sorprende chei giovani maschi siano particolarmente attenti alle feritedegli adulti più robusti, in grado di fornire loro un aiutopiù vigoroso in un futuro scambio di idee troppoconcitato. Uno studio sui macachi svolto a KalimantangTengah, in Indonesia, si spinse fino a suggerire che imaschi avessero migliori probabilità di accoppiarsi confemmine che avevano in precedenza liberato dei loroparassiti, dato che questo tipo di cura era consideratouna sorta di pagamento anticipato per poter praticarel’accoppiamento con la femmina in tal modo beneficata:una vera scoperta, data la colorita interpretazionerisultante del fatto che la “professione più antica”sembrerebbe risalire a molto tempo prima dell’uomo.

Gli scimpanzé maschi praticano la condivisione dellacarne per formare alleanze sociali, e ci sono prove delfatto che essi accrescono la loro cooperazione nella

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fatto che essi accrescono la loro cooperazione nellamisura in cui un partner è stato loro utile. La reciprocitàpuò essere praticata con ogni forma di valuta, come ilgrooming, l’aiuto negli scontri, il babysitting, gli allarmi,l’insegnamento, il sesso, e ovviamente il cibo. Frans deWaal, della Emory University di Atlanta, osservò comeuno scimpanzé di alto rango, Socko, avesse maggioriprobabilità di ottenere un servigio dalla femmina May sele aveva già praticato il grooming nel corso dellagiornata.

Ci sono però delle avvertenze da tener presenti. Una èche gli scienziati usano termini come reciprocità in varimodi. Un’altra è che, quando si osservanocomportamenti in natura, possono occorrere molti studilunghi e dettagliati per capire che cosa stia realmenteaccadendo. Tim Clutton Brock, professore di ecologia ebiologia evoluzionistica alla Cambridge University, diceche può essere difficile distinguere gli esempi genuini direciprocità da quelli ingannevoli, spiegabili in altri modi.

Consideriamo per esempio l’istruttiva ricerca di CraigPacker sui babbuini olivastri: in origine Packer avevapensato che i maschi si stessero scambiando favori nellaloro ricerca di sesso. Il suo argomento originario era chegli alleati interpretassero di volta in volta vari ruoli, così

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gli alleati interpretassero di volta in volta vari ruoli, cosìche tutti potessero trarre beneficio dall’associazione.Studi successivi suggerirono però che i maschi checooperano fra loro entrerebbero in realtà in competizionequando si tratta di assicurarsi la preda. L’unico modo incui possono avere un’opportunità di copulare è quello diunire le forze e cooperare. Ma una volta che il consorteattuale è stato costretto ad allontanarsi, ogni maschio sidà da fare per se stesso al fine di assicurarsi i favori dellafemmina. Packer presenta la situazione in questi termini:«In questo scenario la cooperazione è come una lotteria,nella quale non si può vincere se non si compra unbiglietto. Poiché il rapporto di due contro uno dà ottimeprobabilità di successo, il prezzo del biglietto è moltobasso rispetto al valore del premio. Se si partecipa a unnumero abbastanza grande di lotterie di questo genere sifinisce sempre col trovarsi in una situazione di vantaggio,e lo stesso vale per il proprio partner».

Regole di reciprocità

Ollio: Mi ricordo bene di lei.Negoziante di alimentari: E anch’io mi ricordo di voi.Ora uscite dal mio negozio e non fatevi rivedere mai

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Ora uscite dal mio negozio e non fatevi rivedere maipiù!Ollio: Suvvia, non faccia così. Il passato è passato.Aiutiamoci a vicenda. Lei ha un negozio, propriocome noi. Noi manderemo persone al suo negozio elei ne manderà al nostro. Che cosa ne dice?Negoziante di alimentari: Voi pensate al vostronegozio e io penserò al mio. Ora uscite prima che vibutti fuori!Stan Laurel e Oliver Hardy, in Tit for Tat (Questioned’onore)

Un modo per accertare quali esempi di reciprocità direttasiano reali è quello di pensare alle qualità necessarie alfunzionamento di questo meccanismo. L’evoluzione dellacooperazione per reciprocità diretta richiede che isoggetti riconoscano il loro partner presente e ricordinol’esito dei precedenti incontri con lui o con lei. Essi hannobisogno di una memoria per ricordare ciò che qualcunaltro ha fatto per loro, e di un po’ di capacità diragionamento per stabilire se devono o no ricambiare. Inaltri termini, una reciprocità diretta richiede capacitàcognitive ragionevolmente avanzate.

Io sono certo che capacità cognitive sufficienti siano

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Io sono certo che capacità cognitive sufficienti sianodisponibili in certe specie di uccelli e fra i nostri parentipiù stretti, soprattutto nelle grandi scimmie antropomorfe.Sono certo che ci sia materia grigia più che sufficienteanche negli esseri umani. Se Harry fa un favore a Fred,questi è in grado di ricordare la faccia di Harry. Ricordaanche il favore che gli ha fatto e come si sia comportatocon lui in passato. Fred ha certamente una capacitàcognitiva sufficiente per stabilire sulla base di ciò chericorda se Harry sia o no degno di fiducia, e di regolaredi conseguenza il suo comportamento.

Venendo alla soap opera della vita quotidiana,troviamo dappertutto esempi di reciprocità diretta. Lagestione di una famiglia dipende da uno scambiocontinuo, per lo più inconscio, di beni e servizi. Allapersona che cucina è spesso risparmiato l’ingratocompito di lavare i piatti e viceversa. La concordia in unacasa abitata collettivamente da giovani studenti dipendeda un equo contributo di tutti ai doveri della pulizia, deldar da mangiare al gatto, o a qualsiasi altra incombenza.Se un amico ci aiuta a traslocare, abbiamo l’obbligo diaiutarlo a imballare i mobili quando sarà lui a lasciare lavecchia casa, e ad aprire le casse e gli imballaggi quandoarriva nella nuova. Spesso nelle famiglie ci si aspetta che i

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arriva nella nuova. Spesso nelle famiglie ci si aspetta che ifigli contraccambieranno le cure che hanno ricevuto dapiccoli, prendendosi cura dei loro vecchi genitori.

Quando riceviamo inviti a cena, a teatro e via dicendo,ci assumiamo l’obbligo non scritto di ricambiare inqualche modo, in genere o con un regalo di altro tipo. Seun collega ci fa un regalo, prendiamo mentalmente nota diricambiare al suo compleanno. Quando qualcuno ci tieneaperta una porta, o invita ad avvicinarsi alla quantità dicibi presentati agli ospiti in un buffet, dicendo: “Dopo dilei”, molti rispondono subito: “No, no, prima lei”. Ilmedesimo senso di reciprocità contribuisce a renderecostosi i regali di Natale. E lo stesso comportamento siriscontra in tribù e gruppi di persone sempre più grandi:le imprese possono avere obblighi contrattuali reciproci alungo termine; gli stati stipulano trattati fra loro ecc.

E ripaghiamo la tirchieria con la stessa moneta. Questasituazione si riflette nel modo migliore nell’espressioneocchio per occhio, dente per dente, dall’Esodo, 21,24-27, in cui una persona che ha cavato un occhio aun’altra in battaglia riceve l’istruzione di concedere ilcontraccambio, offrendo un suo occhio. Nel Codice diHammurabi, antico re babilonese, il principio direciprocità è espresso nello stesso modo («Se un uomo

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reciprocità è espresso nello stesso modo («Se un uomocava un occhio a un altro uomo, gli sarà cavato unocchio» [196] e «Se un uomo causa la perdita di undente a un suo eguale, gli sarà cavato un dente» [200]).Possiamo riscontrare la stessa logica del tit for tatnell’idea di una guerra giusta, nella quale i metodi usatinello svolgimento del conflitto sono proporzionati allaminaccia data.

Non sorprende, dato il suo ruolo centrale nella vitaumana, che la reciprocità abbia ispirato la comicità. Ilclassico duo Stan Laurel e Oliver Hardy usòcomportamenti di pacchiana comicità per conseguire neisuoi film effetti irresistibili. Uno dei film brevi del 1935ruota completamente attorno a vendette reciproche. Ilfilm è intitolato opportunamente Tit for Tat (in italianoQuestione d’onore).

Esistono dunque molte prove a sostegno del fatto cheviviamo in un mondo in cui vige la reciprocità.Ovviamente non ne consegue che un altro partecipante al“gioco della vita” adotterà ogni volta un comportamentoimprontato alla reciprocità. Poiché nell’aiutare un altroc’è sempre un costo, la cooperazione è sempreaccompagnata dalla minaccia di uno sfruttamento. Perchémai qualcuno dovrebbe aiutare liberamente un altro nel

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mai qualcuno dovrebbe aiutare liberamente un altro nelcompimento di un duro lavoro o ricambiare un favore?Perché non barare? Perché non lasciare che sia l’altro asgobbare e sfacchinare, in modo da condividere i fruttidel suo duro lavoro senza preoccuparsi di fargli un favoresimile? In effetti, perché mai dovremmo preoccuparci diaiutarci l’un l’altro?

Dopotutto, la selezione naturale attribuisce un premioalla trasmissione dei propri geni alle generazioni future, ecome può plasmare un comportamento “altruistico” alungo termine quando la defezione offre premi cosìallettanti e immediati? Nella società moderna unimponente apparato di leggi e norme assicura che questatentazione di ingannare non diventi irresistibile. Ma comesi può dirigere il lavoro della reciprocità in assenza diistituzioni autoritarie? Perché nel caso delle stazioni dipulizia nella barriera corallina, i “clienti” si astengono dalmangiare i pesci più piccoli che hanno reso loro unservigio utile, dopo che questi hanno terminato il lorolavoro?

Questo problema è stato discusso per decenni ma,dalla prospettiva del mio campo di studio, fu inquadratoper la prima volta nel modo giusto in un articolo delbiologo evoluzionista americano Robert Trivers.

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biologo evoluzionista americano Robert Trivers.Personaggio affascinante, affetto da disturbo bipolare, sitrovò coinvolto in una controversia a causa della suaamicizia col leader delle Pantere nere, Huey Newton.Oggi, alla Rutgers, l’università statale del New Jersey, sista specializzando nello studio della simmetria negli esseriumani, specialmente dei giamaicani. Steven Pinkeracclama Trivers come uno dei grandi della storiaintellettuale occidentale.

Una delle ragioni per cui Pinker ha una stima cosìelevata di Trivers è legata a un articolo fondamentale suibabbuini da lui pubblicato nella “Quarterly Review ofBiology” nel 1971, dopo una visita in Africa.Nell’articolo, intitolato The Evolution of ReciprocalAltruism, Trivers aveva illuminato l’enigma dell’ingannoattingendo a una ben nota metafora della teoria deigiochi. Mostrò che il conflitto fra ciò che è vantaggiosodal punto di vista dell’individuo e ciò che è vantaggiosodal punto di vista collettivo può essere racchiuso neldilemma del prigioniero. Come ho spiegato nel capitoloprecedente, si tratta di una potente metafora matematicautile per compendiare in che modo la defezione possaminare la cooperazione.

A quel tempo Trivers non si riferì alla reciprocità

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A quel tempo Trivers non si riferì alla reciprocitàdiretta ma usò l’espressione reciproco altruismo , dovel’altruismo è un’attenzione disinteressata per il benesseredi altri. Pur essendo l’opposto del comportamentoegoistico che è alla base della visione tradizionaledell’evoluzione, l’altruismo è carico di un pesante fardelloquando si cerchino di chiarirne le ragioni sottese. Speroche nel corso della lettura di questo libro diventi chiaroche, per quanto la cosa possa sembrare paradossale, ilcomportamento altruistico può emergere come direttaconseguenza dei motivi egoistici di un giocatore razionale.

Fra i meccanismi che possono permetterci di sottrarcialle grinfie del dilemma del prigioniero, quello più ovvio,come ho già accennato, è la semplice ripetizione dellapartita. È così perché la cooperazione per reciprocitàdiretta funziona nel modo migliore in una società dallalunga durata. In molti tipi di società gli stessi due individuihanno un’opportunità di interagire non una bensì moltevolte nel bar del paese, sul luogo di lavoro o… nellabarriera corallina. Una persona ci penserà due volteprima di tradire se questa decisione indurrà il suoavversario a tradire all’occasione successiva, e viceversa.Lo stesso vale anche per un pesce.

Trivers fu il primo a stabilire l’importanza per labiologia del dilemma del prigioniero ripetuto (o

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biologia del dilemma del prigioniero ripetuto (oiterato), mostrando che in una serie di incontri fra animalipuò emergere la cooperazione. Citò esempi come quellidei pesci pulitori e le grida di avvertimento degli uccelli.La cosa notevole è che Trivers andò oltre questo stadio.Discusse come anche «ogni singolo essere umano risultipossedere tendenze altruistiche e truffaldine», dallasimpatia e dalla fiducia alla disonestà e all’ipocrisia.

E continuò suggerendo che una larga parte delleemozioni e dell’esperienza umane (come gratitudine,simpatia, senso di colpa, amicizia e oltraggio morale) sisia sviluppata dallo stesso tipo di semplice logica dellareciprocità che governa le interazioni quotidiane fra igrandi pesci e gli organismi marini più piccoli che sioccupano della pulizia delle loro branchie. Nell’Eticanicomachea Aristotele discute di come la forma miglioredi amicizia implichi una relazione fra uguali, nella quale siapossibile un rapporto di genuina reciprocità. Nel dialogoplatonico Critone, Socrate considera se i cittadinipossano avere un senso di gratitudine che li induca aobbedire alle leggi dello stato, in modo simile a quello incui hanno doveri verso i loro genitori per la loroesistenza, il loro sostentamento e la loro educazione. Nelcomplesso risulta manifesto un fatto: a regnare è la

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complesso risulta manifesto un fatto: a regnare è lareciprocità.

Il dilemma iterato

Da quando il dilemma del prigioniero fu formulato per laprima volta nel 1950, fu poi espresso in molti modi eforme. Il gioco era stato praticato già prima in formaripetuta, ma Trivers fece un nuovo passo avanti quandointrodusse il gioco ripetuto in un’analisi delcomportamento animale. Questo dilemma del prigionieroin forma iterativa è possibile in una colonia di pipistrellivampiri e nelle stazioni di pulizia usate da pesci dellabarriera corallina, che furono gli oggetti di studiodell’articolo di Trivers.

Tuttavia le implicazioni di quel che accade quando ilgioco del dilemma del prigioniero è ripetuto varie voltefurono descritte per la prima volta nel 1965, qualcheanno prima dell’analisi di Trivers, da Albert Chammah eda Anatol Rapoport. Chammah era emigrato dalla Sirianegli Stati Uniti per studiarvi ingegneria industriale,mentre Rapoport era un eccelso psicologo-matematicoamericano nato in Russia che usava la teoria dei giochiper esplorare i limiti del pensiero puramente razionale e si

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per esplorare i limiti del pensiero puramente razionale e sisarebbe infine dedicato alla causa della pace mondiale.Nel volume Prisoner’s dilemma, nato dalla lorocooperazione, diedero conto dei molti esperimenti in cuisi erano serviti del gioco per le loro ricerche.

All’incirca al tempo in cui Trivers fornì il suocontributo, un’altra intuizione chiave sulla possibilità diusare il gioco come risorsa scientifica era venuta dalmatematico israeliano Robert J. Aumann, che negli anniSessanta era stato consigliere sul controllo delle arminella Guerra fredda, e avrebbe ricevuto un premio Nobelcondiviso per l’economia nel 2005. Aumann avevaanalizzato l’esito di ripetuti incontri e aveva dimostratoquali sono le condizioni per la cooperazione in variesituazioni: per esempio la presenza di molti partecipanti,l’infrequenza delle interazioni e la mancanza ditrasparenza nelle azioni dei partecipanti.

Nella partita a singolo turno, quella che ho analizzatoin precedenza nella discussione della matrice dei payoffdel dilemma del prigioniero, era logico che i due detenutisi tradissero a vicenda. Aumann mostrò però che nellaripetizione del gioco può emergere una cooperazionepacifica, anche quando i due giocatori hanno fortiinteressi conflittuali a breve termine. Un giocatore

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interessi conflittuali a breve termine. Un giocatorecollaborerà con l’altro sapendo che, se sarà tradito oggi,potrà vendicarsi domani. Pare che la prospettiva di unarappresaglia spiani la strada a una cooperazioneamichevole. Da questo punto di vista, la cooperazionepuò nascere anche dal semplice calcolo razionale delproprio interesse egoistico. Aumann ha chiamato questaintuizione folk theorem (teorema popolare): un teoremache è circolato di bocca in bocca, come molte canzonipopolari, non ha un autore unico ed è stato abbellito dapiù autori. Nel 1959 Aumann lo generalizzò nella formadi giochi fra molti giocatori, alcuni dei quali potevanocoalizzarsi contro gli altri.

Il teorema, per quanto potente, non ci dice qualestrategia usare quando la partita è ripetuta. Il teoremapopolare dice che c’è una strategia che può indurre unavversario razionale a cooperare, ma non dice qualestrategia sia buona e quale cattiva. Così, per esempio,potrebbe mostrare che la cooperazione è una buonarisposta alla grim strategy (strategia del grilletto).Questa strategia dice che io collaborerò con te fino aquando tu collaborerai con me, ma se tu una voltatradisci la mia fiducia, io passerò permanentemente alladefezione. In realtà queste strategie sono ben lungi

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defezione. In realtà queste strategie sono ben lungidall’essere il modo migliore per stimolare lacooperazione in giochi ripetuti.Per trovare quale strategia seguire, i pensatori in questocampo dovettero attendere un nuovo tipo di torneo, chefacesse luce su tutte le sfumature del dilemma delprigioniero ripetuto. Questo torneo fu sviluppato daRobert Axelrod, professore di scienze politicheall’Università del Michigan, che ne discusse i risultati inun pregevole saggio, The Evolution of Cooperation(trad. it. Giochi di reciprocità. L’insorgenza dellacooperazione), con un notevole incipit: «In qualicondizioni emergerà la cooperazione in un mondo diegoisti in assenza di un’autorità centrale?».

Nella sua prosa diretta, Axelrod descrisse chiaramentecome aveva escogitato un brillante nuovo modo pereliminare le complicazioni del dilemma. Egli organizzò unesperimento insolito, un torneo virtuale all’interno di uncomputer. I partecipanti erano programmi presentatidagli scienziati, e ognuno di loro doveva battersi controtutti gli altri. Il successo ottenuto da ogni programma erafacile da misurare. La strategia vincente era quella cheaveva ricevuto il maggior numero di punti dopo averegiocato contro tutte le altre strategie. Durante l’intero

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giocato contro tutte le altre strategie. Durante l’interotorneo Axelrod esplorò 120 000 mosse e 254 000scelte.

Poiché i computer non ponevano limiti alla complessitàdei programmi partecipanti al torneo, ci si potrebbeaspettare che risultassero vincenti i programmi più grandi,e quindi più “intelligenti”. Ma la grandezza non è tutto. Ineffetti, vinse a mani basse il competitore più semplice,con grande sorpresa dei teorici. Il campione risultòessere un piccolissimo programma per computer di solequattro righe, scritto nientemeno che da AnatolRapoport.

La strategia del programma di Rapoport, detta tit fortat, comincia con una mossa cooperativa e poi ripetesempre l’ultima mossa dell’altro giocatore. Un giocatorecomincia sempre con una mossa di lealtà verso il partner,ma poi passa a rispondere ripetendo l’ultima mossa delsuo competitore, tradendolo solo quando è il suo partnera tradire lui. Questa strategia è più benevola di quella delgrilletto, dove una singola defezione dà origine aun’eternità di defezioni.

Prendendo le distanze dal dilemma del prigioniero, èfacile vedere da dove derivi il vantaggio di adottare unastrategia semplice: se sei troppo intelligente, il tuo

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strategia semplice: se sei troppo intelligente, il tuoavversario può avere difficoltà a capire le tue intenzioni;se appari troppo inerte, oscuro o enigmatico, non avràalcun incentivo a cooperare con te. Allo stesso modo, seun programma (o una persona) agisce in modo chiaro einvia un messaggio che non può essere frainteso, hasenso cooperare.Un’altra cosa che risultò sorprendente fu che questascoperta non era nuova. I partecipanti al torneo percomputer sul dilemma del prigioniero conoscevano giàquesta potente strategia e ricerche pubblicate all’iniziodel decennio avevano già dimostrato che la strategia titfor tat dà buoni risultati. Essa riecheggiava, in effetti,quella che le superpotenze nucleari avevano adottatodurante la Guerra fredda, promettendosi reciprocamentedi non usare le loro scorte di bombe atomiche e nuclearifinché anche l’altra parte si fosse astenuta. Molti fra ipartecipanti al torneo tentarono di migliorare questaricetta base. «Il fatto sorprendente è che nessuno deiprogrammi più complessi sottoposti fu in grado diottenere risultati migliori di quelli conseguiti dalla semplicestrategia originaria tit for tat», osservò Axelrod.

Quando Axelrod esaminò in modo dettagliato lestrategie di alto e di basso rango per estrarne il segreto

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strategie di alto e di basso rango per estrarne il segretodel successo, rilevò l’importanza di una proprietà inparticolare. «Questa è la proprietà di essere leali, ossia dinon essere mai i primi a tradire». Questa strategia èinteressante in quanto non ammette la persistenza di unaforma di animosità dopo la rappresaglia immediata,concedendo così sempre l’opportunità di un ripristinodella “fiducia” fra gli avversari: se l’avversario èconciliante, entrambi i giocatori potranno raccogliere ifrutti della cooperazione.

Axelrod organizzò successivamente un secondotorneo, raccogliendo le iscrizioni di 63 contendenti, da 6paesi. La partecipazione fu abbastanza eterogenea, da unragazzo di dieci anni maniaco dei computer a un brancodi professori di varia specializzazione. Fra i partecipantic’era il biologo britannico John Maynard Smith, sul qualeapprenderemo molte altre cose più avanti. Questipresentò un programma tit for two tats: una strategiache cooperava, passando alla rappresaglia solo dopodue defezioni consecutive. Maynard Smith, figura riveritanel suo campo, si classificò solo al ventiquattresimoposto.

Rapoport, invece, seguì una massima in uso nellesquadre di calcio: “Squadra che vince non si cambia”.

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squadre di calcio: “Squadra che vince non si cambia”.Ancora una volta mise in campo la strategia tit for tat, evinse di nuovo: questa semplice strategia era davveroefficace. Si trattava dello stesso torneo che aveva ispiratoKarl Sigmund a concentrarsi sul dilemma, e che ispiròanche me a partire da quella conversazione in montagna.Il saggio di Robert Axelrod Giochi di reciprocità è oggiconsiderato meritatamente un classico in questo campo.

Ma il torneo per computer organizzato da Axelrod haqualche cosa da dirci sul mondo reale? Sì. Un esempio digara simile nella vita reale fu descritto nel 1987, quandoManfred Milinski, oggi direttore del Max-Planck-Institutfür Evolutionsbiologie a Plön, in Germania, studiò ilcomportamento degli spinarelli. Quando compare ungrande predatore come un luccio, uno o più banchi dispinarelli gli si avvicineranno per accertare quanto siapericoloso. Questa “ispezione del predatore” è rischiosaper gli spinarelli che gli si avvicinano, ma le informazioniche essi riusciranno a raccogliere saranno preziose nonsolo per loro ma anche per i loro simili del banco: sel’intruso non è un predatore, o se si è appena nutrito enon è affamato, i piccoli pesci non hanno bisogno diallontanarsi. Il fatto che gli spinarelli si soffermino avalutare la necessità di fuggire o no può sembrare

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valutare la necessità di fuggire o no può sembrareun’imprudenza ma in realtà è importante, perché nel lorohabitat naturale vagano molti lucci e altri predatori,cosicché la fuga non è sempre una buona strategia: puòaccadere che, allontanandosi dal percorso di unpredatore si possa cadere in bocca a un altro.

Milinski scoprì che, durante questa rischiosa manovra,gli spinarelli adottano la strategia tit for tat. Se neidintorni fa la sua apparizione un luccio, spesso duespinarelli nuotano insieme con un sequenza di brevi scattinella direzione della bocca aperta del predatore. Ognibreve scatto può essere concepito come un singolo turnodel dilemma. In questa versione del dilemma lacooperazione è la cosa migliore per i due spinarelli,riducendo il rischio per ciascuno di loro di esseremangiato. Ciò si deve all’effetto della confusione delpredatore, per la quale il luccio può sprecare tempoprezioso mentre decide quale delle due o più predeattaccare per prima, versione nella vita acqutica delparadosso dell’asino di Buridano: l’ipotetica situazione incui un asino non riesca a scegliere fra due misure di fienoin tutto uguali ed equidistanti e quindi muoia di fame.Eppure ogni piccolo spinarello avrebbe un incentivocomprensibile a bighellonare un po’ in giro e lasciare che

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fosse l’altro spinarello ad assumersi un po’ più delrischio.

Per investigare che cosa stesse passando nella loropiccola testa, Milinski usò in modo ingegnoso unospecchio: tenuto nella giusta posizione, poteva dare a unsingolo spinarello l’impressione di essere accompagnatoda un altro esploratore. Inclinando opportunamente lospecchio, Milinski poteva far credere allo spinarello che il“compagno” scout che vedeva nuotare accanto a séstesse cooperando, o che rimanesse invece indietrolasciandolo solo, come l’ufficiale che guida la carica, eche lentamente scivola dietro le sue truppe sottraendosial pericolo. Il pesce reagiva spesso all’apparentedefezione dell’immagine che appariva nello specchiorallentando o virando con la coda, senza completare lasua missione esplorativa. Se invece l’immagine delpresunto secondo pesce nello specchio teneva il passocon lui, di solito lo scout si avvicinava al predatore più diquanto avrebbe fatto se avesse nuotato da solo.

Informazione e rumore

Finora è tutto soddisfacentemente semplice. C’è però un

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problema con la strategia tit for tat, problema che non èimmediatamente ovvio quando si hanno programmi percomputer che interagiscono in modo impeccabile. Gliesseri umani e altri animali commettono errori. A volte icavi si intrecciano, altre volte i giocatori si distraggono, osoffrono di sbalzi di umore, o semplicemente stannoavendo una cattiva giornata. Dopotutto, nessuno èperfetto. Un tipo di errore è dovuto al cosiddettotremito della mano: avrei voluto cooperare, ma commisiun errore e non vi riuscii. Un altro tipo di errore ècausato dalla mente confusa: sono convinto che questapersona sia stata ostile nei miei confronti e mi abbiatradito nell’ultimo turno, ma, in effetti, non fu così. Forsel’ho scambiata con qualcun altro. Mani che tremano ementi confuse conducono a interazioni alterate dalrumore.

Il ruolo del rumore per l’evoluzione della cooperazionefu sottolineato per la prima volta in un articolo pubblicatosu “Nature” da Robert May dell’Università di Oxford, unbrillante ex fisico che avrebbe esercitato una profondainfluenza sulla biologia teorica. Bob (come preferisceessere chiamato essendo australiano) è noto soprattuttoper i grandi passi avanti da lui compiuti nel porrel’ecologia su una base matematica. Nel suo breve scritto

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l’ecologia su una base matematica. Nel suo breve scrittosostenne che i biologi evoluzionisti avrebbero dovutostudiare l’influenza degli errori sul dilemma del prigionieroripetuto. Egli si rese conto che le conclusioni tratte da untorneo perfetto, senza errori, come i tornei di Axelrod,non sono necessariamente robuste o realistiche.

Questo è un punto importante. Anche erroriinfrequenti possono avere conseguenze devastanti.Quando la strategia tit for tat è opposta a un avversarioche adotta la stessa strategia, può innescare infiniti cicli dirappresaglia. Poiché tutto ciò che si sa fare è ribatterecolpo su colpo, un segnale confuso o un errore possonoportare chi sceglie la strategia tit for tat a una spirale diviolenze che oscurano quelle di Montecchi e Capuleti aVerona al tempo in cui è ambientato Romeo e Giulietta,e quelle della faida scoppiata nel 1881 tra le due famiglienemiche degli Hatfield e dei McCoy2, o anche a quelledegli scontri sanguinosi che si sono verificati nel corsodella storia in Corsica. Il modo ovvio per mettere fine aquesta cruenta spirale di vendette è dimenticare ilpassato: chiedendo vendetta solo di tanto in tanto, olasciando che a decidere sia la sorte, per esempioattraverso il lancio di un dado. Ispirato da questaimportante intuizione, amplierò l’opera pionieristica di

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importante intuizione, amplierò l’opera pionieristica diAxelrod includendovi gli effetti del rumore per renderlapiù fedele alla vita reale.

Trarre vantaggio dagli errori

Nel periodo in cui studiavo per il dottorato con Karl,escogitammo un modo per tenere conto di confusione,errori e imprecisioni. In gergo, invece di usare leconvenzionali strategie deterministiche, facemmo ricorsoa strategie probabilistiche, nelle quali l’esito del giocodiventa più incerto e casuale. Decidemmo di esplorare,per mezzo di un torneo probabilistico in un computer,l’evoluzione della cooperazione in presenza di rumore,muovendo dall’opera pionieristica di Axelrod. L’idea eraquella di usare uno spettro di strategie, generate a caso aopera di mutazioni e valutate dalla selezione naturale.

Tutte le nostre strategie furono influenzate dal caso.Esse cooperavano con un certo livello di probabilitàdopo che l’avversario aveva cooperato, e avrebberocooperato anche, con una certa probabilità, dopo chel’avversario avesse defezionato. Consideriamo lasituazione: noi possiamo introdurre varie gradazioni di“perdono” nell’insieme di strategie che esploriamo.

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“perdono” nell’insieme di strategie che esploriamo.Alcune perdonano una volta ogni due defezioni, altre unavolta ogni cinque e via dicendo. E alcune strategie,ovviamente, sono inflessibili. Queste strategie in stileAntico testamento non perdonano quasi mai: come nelcaso della grim strategy, si rifiutano di continuare acooperare già dopo una sola defezione della loroavversaria.

Per studiare l’evoluzione della cooperazioneinsaporimmo il miscuglio col processo della selezionenaturale, così che le strategie vincenti si moltiplicasseromentre le loro rivali meno fortunate cadessero sul cigliodella strada e perissero. Le strategie che avesseroottenuto i punteggi più alti sarebbero state premiate dallamaggiore quantità di figli, portatori di una maggiorediversità, i quali avrebbero preso parte tutti al prossimoround del gioco. Analogamente, coloro che avesseroottenuto cattivi risultati sarebbero stati subito eliminati.Per rendere più realistica la situazione, facemmo in modoche la riproduzione non fosse perfetta. Eventualimutazioni avrebbero potuto generare nuove strategie.

Karl e io potemmo allora metterci comodi e osservarele strategie battersi fra loro nella nostra creazionenell’arco di migliaia e migliaia di generazioni. La nostra

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nell’arco di migliaia e migliaia di generazioni. La nostrafervida speranza era che alla fine una strategia emergessevittoriosa. Anche se nessuna traiettoria evoluzionistica siripeteva mai in modo del tutto uguale, osservammo chequa e là si notavano regolarità e modelli coerenti. Iltorneo cominciava sempre con una condizione di caosprimordiale. Intendo dire, con ciò, che c’erano solostrategie casuali. Da questo disordine balzavainevitabilmente in testa in un primo tempo una strategiatradisci sempre (always defect); come si vede spessoin molti film di Hollywood, all’inizio sono sempre i cattivia spadroneggiare.

Per un centinaio di generazioni circa, il nostro torneoera dominato dalla strategia tradisci sempre. La storiadella vita sembrava avere una deprimente introduzione incui la natura appariva indifferente e non disposta allacooperazione. Ma c’era un barlume di speranza. Difronte a questo nemico inesorabile, una minoranza digiocatori che praticavano la strategia del tit for tat,ridotti sull’orlo dell’estinzione, cominciarono a opporreuna strenua resistenza. Come per ogni eroe diHollywood, anche per loro sarebbe finalmente arrivatauna giornata di gloriose vittorie: quando gli sfruttatori nonavessero più avuto niente da sfruttare, e tutti i parassiti

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avessero più avuto niente da sfruttare, e tutti i parassitifossero stati spazzati via, il gioco avrebbe assuntoimprovvisamente un diverso indirizzo. Karl e ioprovammo molto piacere nel vedere indebolirsi e poiestinguersi la fazione del tradisci sempre, spianando lavia all’ascesa trionfante della cooperazione.

Un solitario tit for tat, gettato in un gruppo di ostinatidefezionisti, farà meno bene di loro perché dovràimparare dalla dura realtà, perdendo sempre gli scontriiniziali, prima di passare all’uso della rappresaglia.Quando però parteciperà all’incontro con altri avversariche praticano la strategia del tit for tat, se la caveràdecisamente meglio dei fautori del tradisci sempre e dialtri traditori inveterati. In un miscuglio di giocatori cheadottano le strategie tradisci sempre e tit for tat, anchese questi ultimi costituiscono una percentuale minore dellapopolazione, la politica dell’onestà comincerà amoltiplicarsi e assumerà ben presto il controllo del gioco.Spesso i defezionisti si comportano in modo cosìinefficiente da estinguersi, lasciando dietro di sé unapopolazione aperta alla cooperazione, compostainteramente da tit for tat.

Ma Karl e io ci imbattemmo in una sorpresa. Neinostri tornei per computer, i tit for tat non ereditarono la

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nostri tornei per computer, i tit for tat non ereditarono laTerra. Essi persero infine per mano dei loro vicini piùonesti, che sfruttarono l’errore fatale dei tit for tat di nonessere abbastanza disposti al perdono per sopportare uneventuale incidente. Dopo alcune generazioni l’evoluzioneadotta un’altra strategia, che chiameremo tit for tatgeneroso, nella quale la selezione naturale è sintonizzatasul livello ottimale di disposizione al perdono: risponderesempre alla cooperazione con la cooperazione, e quandol’avversario usa la defezione, cooperare una volta su tre(le grandezze precise dipendono dal valore dei payoffusati). Così, per non far sapere esattamente al proprioavversario quando si intendeva adottare un atteggiamentobenevolo, cosa che si sarebbe dimostrata un errore (inquanto sarebbe entrata in gioco la strategia del tit fortwo tats di John Maynard Smith alternandocooperazione e defezione), la ricetta per il perdonodoveva essere probabilistica, così che la decisione di nonrichiamare in vita il passato dopo un atto di tradimentodell’avversario non fosse certa, ma lasciata al caso. Il titfor tat generoso funziona in questo modo: nondimenticare mai una risposta buona, ma di tanto in tantodimenticarne una cattiva.

La strategia del tit for tat generoso è facilmente in

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La strategia del tit for tat generoso è facilmente ingrado di spazzare via quella del tit for tat e di difendersicontro la prospettiva di essere sfruttata dai defezionisti.Data però la casualità presente nei nostri tornei, nondominerà per sempre. Abbiamo osservato con quantalentezza, quasi impercettibilmente, una popolazione di titfor tat generosi muti, spostandosi gradualmente versostrategie sempre più miti. Infine, la popolazione diventauniformemente onesta, e tutti cooperano. Ciò dipendedal fatto che, quando tutti cercano di essere cooperativi,il perdono paga bene. C’è un costante incentivo aripagare sempre più rapidamente perché le ricompensepiù alte derivano dall’avere molte interazioni produttive(ossia cooperative). Ora, infine, la defezione ha unapossibilità di rialzare la testa, con l’aiuto della mutazionegiusta. Una popolazione di giocatori onesti checooperano sempre è un’occasione particolarmentefavorevole per ogni defezionista residuo o emersorecentemente. In questo modo il ciclo può ricominciareda capo.Questi giochi probabilistici sono sempre diversi fra loronei particolari, ma in tutti c’era sempre un modellocomplessivo. Karl e io osservavamo sempre le stessestrategie crescere e altre svanire. Nel complesso i cicli si

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strategie crescere e altre svanire. Nel complesso i cicli sisusseguono sempre in modo prevedibile, passando datutti defezionisti a tit for tat a tit for tat generosi, epoi a tutti cooperatori. Infine, con un grande disastro, lacomposizione della comunità subisce un drasticomutamento tornando a essere dominata da vilidefezionisti.

La buona notizia è che il torneo è dominato da unastrategia ragionevolmente onesta: se si calcola la mediadella durata delle singole strategie sull’intera durata di ungioco, la strategia più comune risulta essere quella del titfor tat generoso. La cattiva notizia è che, nel mondoreale, questi cicli potrebbero durare anni, decenni oaddirittura secoli. Un’abbondanza di prove aneddotichesuggerisce che questi cicli siano presenti anche nellastoria umana. I regni vengono e vanno. Gli imperi siespandono, declinano e si sgretolano sprofondando inetà buie. Talune aziende si sviluppano fino a dominare unmercato, dopo di che si frammentano e vanno in pezzi difronte a competitori ambiziosi e innovativi.

Proprio come questi tornei non vedono mai unastrategia emergere fino a conquistare una vittoria totale,così pare che nelle società umane persisterà sempre unmisto di cooperatori (cittadini che rispettano le leggi) e

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misto di cooperatori (cittadini che rispettano le leggi) edefezionisti (criminali). Lo stesso vale per le credenze.Una fede sorge e un’altra declina, proprio lo stessoscenario che indusse Agostino a scrivere il De civitateDei dopo il sacco di Roma da parte dei visigoti nel 410.Agostino voleva controbattere alla tesi che Roma fossestata indebolita all’adozione del cristianesimo, ma, comechiarirono i nostri tornei per computer, i grandi imperisono destinati a declinare e cadere: era più un caso didelapsus resurgam (dopo la caduta risorgerò) eviceversa.

Come ha vividamente sottolineato l’ultima recessione,e come si è notato nel corso degli ultimi decenni, ci sonoanche cicli economici. Sono introdotti dei regolamenti,dopo di che la gente escogita modi ingegnosi per aggirarlinel corso degli anni. A periodi di duro lavoro e strenuoimpegno ne seguono altri di tolleranza, in cui la genteallenta lo sforzo, si prende del tempo libero e sfrutta ilsistema. Nelle nostre simulazioni al computer non cieravamo forse imbattuti in una spiegazione matematicadei cicli fondamentali della vita che ruotanocontinuamente intorno a fasi di cooperazione e didefezione?

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Addio Vienna

Dopo quattro articoli e un po’ più di un anno dicollaborazione, Karl mi disse che avevo fatto abbastanzaricerche per completare la mia tesi sull’evoluzione dellacooperazione. Mi misi immediatamente a battere il miolavoro al computer, e dopo qualche giorno gli consegnaila tesi. La prese, la esaminò di taglio, scosse la testa edichiarò che era troppo sottile: «Una tesi di dottoratodeve essere più spessa». Il giorno dopo gli riconsegnai lastessa tesi, dopo averne cambiato il corpo dei caratteri eraddoppiato l’interlinea. Karl non si lasciò ingannare, maera un pragmatista. La soppesò di nuovo e disse: «Cosìva bene».

Mi consigliò di fare richiesta per andare a lavorare conla figura più importante nel nostro campo, Bob May,all’Università di Oxford. A quel tempo Bob era famosoper il modo in cui aveva iniettato il rigore dellamatematica nella biologia, al fine di rivelare l’ordine allabase del mondo vivente. Aveva studiato se la stabilitàfosse la causa della diversità fra ecosistemi, o se fossevero l’inverso (risulta che popolando un ecosistema conuna grande varietà di organismi viventi non si ottiene

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una grande varietà di organismi viventi non si ottieneautomaticamente la stabilità). Bob registrò in un grafico lerelazioni fra insetti e loro parassiti. Usando modellimatematici, Bob aveva rivelato come le connessioni fraspecie potessero condurre a fluttuazioni nel numero degliindividui. In questo modo aveva introdotto il caos inbiologia, rivelando come apparentemente l’associazionedi caso e comportamento complesso sia ordinata dasemplici regole sottostanti (sto scrivendo queste pagine acasa, seduto alla stessa scrivania alla quale lavorava Bobquando fece questa scoperta: mi fu regalata da Bobqualche tempo dopo per aiutarmi ad ammobiliare la miaprima casa).

Karl non riteneva molto grandi le mie probabilità ditrasferirmi a Oxford, cosicché inviai delle domande diassunzione anche a Berkeley e a Gottinga. La mia vitafutura, la mia carriera e tutto il resto dipendevano ora daquesti inconsistenti fogli spediti a mezzo posta aerea.Mentre queste domande di assunzione volavano intornoal mondo, vivevo una situazione romantica e al tempostesso triste. Stavo per sposare Ursula e il nostro tempoa Vienna stava volgendo al termine. La malinconia dilasciare la patria era attenuata dall’euforia di una nuovaavventura. Non sapevamo in quale parte del pianeta

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avventura. Non sapevamo in quale parte del pianetasarebbe stata la nostra nuova casa.

All’inizio il giudizio di Karl parve azzeccato. Bobrespinse la mia domanda, dicendo che non aveva ungruppo; inoltre non lavorava molto con i dottorandi. Gliriscrissi facendogli presente che potevo portare con meun finanziamento che mi era già stato assegnato, unaborsa di studio Erwin Schrödinger. A quel tempo ancheKarl stava cercando di convincere Bob. Infine, con miogrande piacere, Bob accettò. Finalmente il prossimopasso nella mia carriera era chiaro, o almeno fino a uncerto punto. Non avevo alcuna idea di cosa potesseattendermi a Oxford.

Ursula e io ci sposammo a Vienna il mese prima dellanostra partenza. Dopo la cerimonia nuziale salutammo gliintervenuti e andammo a casa dei rispettivi genitori, finoal giorno in cui prendemmo il treno per quella che sisarebbe rivelata una luna di miele di nove anni,cominciata nel 1989. Il giorno della partenza il nostrobagaglio constava di sette valigie e due biciclette. Era unagiornata fredda e ventosa, il cielo grigio come unacorazzata minacciava una pioggia torrenziale. Le nostrefamiglie ci videro partire dalla Westbahnhof di Vienna.Un amico stette rigido davanti a me e mi strinse

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formalmente la mano: «Non metterci in imbarazzo»,scherzò. Mentre il treno usciva dalla stazioneimmergendosi nel buio, mia moglie pianse.

Il giorno seguente, dopo che il traghetto cheattraversava la Manica ci fece sbarcare sul suolobritannico, potemmo dare la nostra prima occhiata alRegno Unito. Non era il paese verde e gradevole diWilliam Blake. Il suolo era screpolato e arido, erba efoglie erano di un colore marrone e il paese si dibattevanella morsa della siccità. Le riserve d’acqua eranoesaurite e c’erano divieti per tubi di gomma flessibili emulte per chiunque fosse sorpreso a lavare unamacchina. A Plymouth campi coperti di fiori eranoannaffiati con acque di fogna trattate. In uno zoo le acqueprovenienti dalla piscina dei pinguini erano spruzzate supianticelle in germoglio bruciate dalla siccità. Mentre ilnostro treno attendeva di partire, fu estinto un incendiosui binari dinanzi a noi.

Le mie attese si allontanarono ancora una voltabruscamente dalla realtà quando infine entrai nel mionuovo posto di lavoro, il dipartimento di zoologiadell’Università di Oxford, sgradevole costruzione incemento affacciata sulla South Parks Road. C’eranoposter che raffiguravano uccelli e altri animali, ma non si

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poster che raffiguravano uccelli e altri animali, ma non sivedevano né un’equazione né un diagramma. Ero nelposto giusto? Sì, certo, e avrei scoperto che ero statodavvero fortunato ad arrivare lì: c’erano pochissimeformalità; diversamente dal gerarchico sistemaaccademico austriaco, che scoraggia gli studenti mediocridal disturbare i signori professori, sempre occupati incose più importanti, in Inghilterra mitrovai a chiacchierareinformalmente davanti a una tazza di caffè o nella classicapausa del tè pomeridiano con molte figure influenti, dalgrande William D. (Bill) Hamilton, che fece ricerchepionieristiche sulla cooperazione, a Sir RichardSouthwood, Richard Dawkins, Paul Harvey e John (inseguito Lord) Krebs. Era un’atmosfera intellettuale,inebriante. Mi innamorai di quel luogo.

Bob May talvolta giocava a calcio, con chiunque: tuttigli studenti e i professori erano altrettanto ossessionati daigiochi quanto lo ero io. La cosa era un po’preoccupante, considerata la grande competitività diBob. Nella tradizione britannica la vittoria non era unapreoccupazione, e prendere il calcio troppo sul serio eraoggetto di disapprovazione. Ma non quando si trattava diquesto forte e rapido australiano. Fortunatamente pernoi, non era tanto forte. Abbastanza opportunamente,

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noi, non era tanto forte. Abbastanza opportunamente,però, di tanto in tanto la dea bendata gli sorrideva.Stavamo giocando una delle prime partite, il punteggioera 7-7 e io ero in porta, Bob riuscì a segnarmi un golall’ultimo minuto. Traboccante di felicità, gridò: «Martin,questa è stata un’ottima cosa per la tua carriera!»

Lui e io siamo molto diversi, sembriamo un po’ lastrana coppia. Lui è un tizio tozzo, spiritoso, un capellonecon la testa piena di riccioli con poca simpatia per lareligione. Io sono molto più alto di lui, un cattolicoavviato alla calvizie, con una parlata inglese “allaSchwarzenegger”, che è una favola quando si tratta diregistrare sulla segreteria telefonica il messaggio: «Almomento sono fuori, ma poi tornerò!». Bob è dotato diun miscuglio inebriante di caratteri: una passione per laprecisione, un amore uguale per il profano e un ilaredisprezzo per i suoi pari (disse: «Un biologo è uno cheavrebbe voluto essere uno scienziato ma che non eraabbastanza bravo per essere un fisico»). Eravamo unitidalla comune passione per i giochi, da quelli matematici aquelli fisici, ed entrambi volevamo vincere. Egli fu moltodivertito quando gli dissi che, cosa alquanto notevole, nelmio tedesco quotidiano manca una parola per“competitivo”.

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“competitivo”.Il nostro rapporto fu molto stimolante per il mio

lavoro. Per il primo progetto seguii un’idea che mi eravenuta per la prima volta durante un convegnoorganizzato dal premio Nobel Manfred Eigen a Klosters,in Svizzera. Ascoltando un talk di Bill Haseltine sul virusdell’immunodeficienza umana, l’HIV, mi resi conto che ilcorpo di un morto di AIDS doveva contenere una grandequantità di virus replicanti strettamente connessi. Questofatto mi richiamò alla mente la ricerca in biologiamatematica che avevo compiuto con Peter Schuster. Ungiorno, pensai tra me e me, mi sarebbe piaciutosviluppare un modello matematico delle infezioni virali. Aquel tempo però il mio rispetto per la difficoltà delrisolvere problemi era quasi paralizzante.

Fu una fortuna che Bob avesse già studiato l’HIV conun collega, Roy Anderson. Insieme avevano costruito ungrafico del modo in cui il virus si diffonde fra le persone.Io volevo però usare questo approccio in un’altradirezione. Volevo costruire un modello di ciò che accadeall’interno di una persona che ha avuto la sfortuna diessere infettata. Questo compito richiedeva, comecondizione preliminare, la spiegazione di come il virus sidisperdesse fra le cellule di fronte agli attacchi del sistema

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disperdesse fra le cellule di fronte agli attacchi del sistemaimmunitario. Per scoprire in che modo l’HIV si muova nelcorpo umano, avrei dovuto usare un tipo di matematicasimile a quello che avevo usato nei miei tornei con Karl.

Scoprii che così avrei potuto spiegare il ritardoenigmaticamente lungo fra il contagio con l’HIV e lamanifestazione dell’AIDS, e perché questo periodopotesse presentare variazioni così grandi fra un paziente el’altro: la malattia poteva manifestarsi in meno di due anniin una persona e rimanere latente per più di dieci inun’altra. La cosa notevole era che avrei potuto giungerealle mie conclusioni sulla base dei dati esistenti, senzabisogno di nuovi esperimenti su animali e di test supazienti. Era necessario solo un computer con unapotenza di calcolo sufficiente a esplorare il modo in cui ilvirus si riproduce e muta all’interno del corpo.

Bob fu così entusiasta di questo risultato da insistereperché mostrassi le mie scoperte a Roy Anderson, che inquel periodo lavorava all’Imperial College di Londra.Anche lui ne fu strabiliato. Dopo che ebbi pubblicato imiei primi risultati sulla rivista “AIDS” nel 1990, unaversione estesa della mia teoria e dei dati clinici uscìl’anno dopo sulla prestigiosa rivista “Science”. Lavoraianche sul virus dell’epatite B con Barry Blumberg,

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anche sul virus dell’epatite B con Barry Blumberg,master del Balliol College, che vinse il premio Nobel perla scoperta del virus e per la produzione del vaccino.Questo tipo di ricerca contribuì alla fondazione delcampo noto oggi come dinamica virale, in cui modellimatematici permettono di determinare il progresso delleinfezioni virali all’interno di ospiti contagiati.

Aquile che volano in alto, strategie di caccia

Karl e io avevamo ancora un gran numero di partite dagiocare, con molte varianti e molti esiti potenziali. Nel1992 le nostre ricerche sul tit for tat generoso furonopubblicate sulla rivista britannica “Nature”, che condividecon la rivista americana “Science” la caratteristica diessere il periodico sul quale tutti gli scienziati vorrebberovedere pubblicati i risultati dei propri studi. Karl e ioavevamo molte nuove idee quando decidemmo diapplicarci a estendere le nostre ricerche. Nella secondaestate del mio periodo oxoniano tornai ancora una voltain Austria per riprendervi le nostre esplorazioni deldilemma del prigioniero.

In precedenza Karl e io avevamo calcolato le strategieche emergono quando la decisione di un giocatore

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che emergono quando la decisione di un giocatoredipende solo dall’ultima mossa del suo avversario.Questa formulazione, però, forniva solo un quadroparziale di quanto poteva accadere. Ora volevamoosservare strategie che tenessero conto anche dellemosse proprie del giocatore. Vorrei dare un esempio dicosa intendo esattamente: mettetevi nella posizione di uncontendente in uno dei nostri tornei; potreste esseremeno irritati nei confronti di un contendente che hatradito se aveste tradito anche voi e analogamente,potreste essere più irritati verso di lui se voi avestecooperato.

Per accertare se tutto questo influenzasse le strategievincenti, mi trovai col mio nuovo computer portatile econ Karl in una stanza dello Schloss Rosenburg, ilcastello di Rosenburg nella bassa Austria, una favolosacostruzione in parte medievale e in parte rinascimentale,dotata di un cortile porticato, usato un tempo per i tornei.Io lavoravo in questo ambiente da favola perché dovevostare con Karl, il quale era lì insieme alla moglie che vi sitrovava per compiere ricerche sul castello.

Benché non sapessi che cosa sarebbe accaduto neinuovi esperimenti per computer, ne avevo un’ideaabbastanza precisa. La strategia del tit for tat generoso

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abbastanza precisa. La strategia del tit for tat generosoavrebbe vinto di nuovo. Semplice. Mentre Karl e ioesaminavamo gli sviluppi del gioco per mostrare chesarebbe andata proprio così, c’era una sola distrazione: ilcastello aveva una bella collezione di uccelli da predache, periodicamente, erano esibiti nel cortile grande.Falconieri in abiti rinascimentali richiamavano i rapaciperché eseguissero picchiate spettacolari, sfiorando latesta degli spettatori. I rapaci si libravano in alto e poiscendevano in picchiata fra vari punti della facciata,mentre Karl e io li ammiravamo.

Ripetemmo varie volte le nostre simulazioni, facendoogni tanto una sosta per osservare il punto culminante ditali spettacoli, un tuffo di trecento metri di un’aquiladorata. E da un certo momento in avanti questi splendidiuccelli divennero una distrazione ben accetta perché ciimbattemmo in un difficile problema nella nostra ricercasulla teoria dei giochi.

La mia strategia preferita, il tit for tat generoso, fubattuta ripetutamente nei tornei inscenati nel miocomputer portatile. La cosa era frustrante, visto che io miaspettavo che avrebbe dominato su tutte le altre. Arrivaiad augurarmi che ci fossero più uccelli a distrarmi dal miolavoro. Nel mio programma doveva esserci un bug. Feci

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lavoro. Nel mio programma doveva esserci un bug. Feciinvano numerosi controlli, non riuscii a trovare nulla. Miinorgoglii dei controlli che avevo fatto e trovai una regolainfallibile: “L’errore è sempre dove non lo stai cercando”.Infine, la semplice verità si fece luce in me: questa voltanon c’era nessun bug.

La striscia perdente del tit for tat generoso mi stavadicendo qualcosa di importante, ma in quel particolaremomento non stavo ascoltando. Cercai una via pereliminare il problema, ma non riuscii a salvaguardare il titfor tat. Dopo qualche giorno, avendo accettato conriluttanza che il risultato potesse essere reale, diediun’occhiata più esatta all’esperimento e scoprii chevinceva costantemente una nuova strategia. Essaconsisteva nel seguire le seguenti istruzioni, per quantopotessero sembrare bizzarre a prima vista:

Se nell’ultimo turno abbiamo cooperato entrambi, iocoopererò ancora una volta.

Se abbiamo tradito entrambi, io coopererò (con una certaprobabilità).

Se tu hai cooperato e io tradito, io tradirò ancora.

Se tu hai tradito e io ho cooperato, io tradirò.

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Nel suo insieme ciò significa che, ogni volta che avremofatto la stessa cosa, io coopererò, e ogni volta cheavremo fatto qualcosa di diverso, tradirò. In altri termini,questa strategia vincente agisce così: se sto facendobene, ripeterò la mia mossa. Se sto facendo male,cambierò mossa. A quel punto il mio interesse aumentòmoltissimo e il mio umore virò decisamente verso ilmeglio.

Tornato a Oxford parlai con l’eminente biologo JohnKrebs della strategia vincente in cui mi ero imbattutoquando lo incontrai nel corridoio del dipartimento. Lariconobbe immediatamente: «Suona come win stay, loseshift (se vinci persisti, se perdi cambia), una strategia chespesso è presa in considerazione dagli studiosi delcomportamento animale». Questa strategia era moltoamata da piccioni, ratti, topi e scimmie. Era usata ancheper addestrare i cavalli, ed era stata studiata già da unsecolo. John era sorpreso nel vedere come la strategia sifosse evoluta da sé in una simulazione di cooperazionesemplice e idealizzata al computer, e non meno sorpresone fui io.

Ora dovevo cercare di capire perché la strategia winstay, lose shift fosse superiore sia a quella del tit for tat

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stay, lose shift fosse superiore sia a quella del tit for tatsia a quella del tit for tat generoso. La risposta emersedallo studio dei dettagli dei cicli di cooperazione edefezione che osservai nel mio computer. Nelle ricercheprecedenti, la fine di un ciclo e l’inizio del ciclosuccessivo potevano essere contrassegnati dall’emergeredi una popolazione di cooperatori incondizionali.All’aggiungersi di mutazioni casuali, emergerà sempre undefezionista ad assumere il controllo di quellapopolazione docile, segnando l’inizio di un nuovo ciclo.Io scoprii che il segreto della strategia win stay, loseshift sta proprio in questa fase, quando la cooperazioneè a un picco e abbondano le strategie oneste. Risulta checooperatori incondizionali possono minare le strategie deltit for tat e del tit for tat generoso, ma non possonosconfiggere win stay, lose shift.

In un gioco con una certa casualità realistica, lastrategia win stay, lose shift scopre che cooperatoriprivi di intenzionalità (i cooperatori incondizionali)possono essere sfruttati. È facile capire perché: qualsiasipiccolo errore rivelerà che un tale cooperatorecontinuerà a scegliere la cooperazione anche in presenzadelle più sgradevoli defezioni. E, come suggerisce ilnome, win stay, lose shift continua a sfruttare i suoi

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nome, win stay, lose shift continua a sfruttare i suoicompetitori finché non è punita con rappresaglie. Ora,come stabilimmo Karl e io, questa strategia non puòessere sconfitta da avversari molli e tale caratteristicarisulta essere un ingrediente importante del suo successo.

La lezione più profonda, qui, è che una strategia chesembra non avere senso quando usata in un modorigidamente deterministico, può trionfare quando il “giocodella vita” è insaporito da un po’ di casualità realistica.Quando esplorammo la letteratura esistente, risultò che lastessa strategia era stata usata da altri con altri nomi. Ilgrande Rapoport l’aveva rifiutata chiamandola simpleton(sempliciotta) perché sembrava troppo stupida:trovandosi di fronte a un defezionista alternava nelle suerisposte la defezione e la cooperazione. Rapoportragionò che solo una strategia sempliciotta avrebbecooperato una volta su due con un defezionista.

Ma in realtà questa strategia non è affatto sempliciotta.La nostra ricerca chiarì che la chiave del suo successoera la casualità. Quando si trovava di fronte a defezionisticooperava in modo non prevedibile, con una dataprobabilità, proteggendosi dallo sfruttamento da parte diopportunisti. La stessa strategia fu chiamata Pavlov daDavid e Vivian Kraines, della Duke University e del

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Meredith College in North Carolina, i quali avevanonotato che poteva essere efficace. Inoltre, anche dueeminenti economisti americani, Eric Maskin e DrewFudenberg, avevano mostrato che una tale strategia puòconseguire un certo livello di stabilità evoluzionistica percirca metà di tutti i dilemmi del prigioniero. Ma tutti questistudiosi avevano considerato una versione deterministicad i win stay, lose shift, mentre la vincitrice dei nostritornei di Rosenburg era stata la versione probabilistica.

Nel grande gioco dell’evoluzione, Karl e ioscoprimmo che la strategia vincente è win stay, loseshift. Questa non è la prima strategia cooperativa ainvadere società defezioniste, ma può fornire un punto diappoggio una volta che sia stato stabilito un qualchelivello di cooperazione. Essa, però, non è destinata arestare per sempre. Come la strategia del tit for tatgeneroso, anche win stay, lose shift potrà essere minatae, infine, sostituita. Ci sono, e ci saranno sempre, altricicli.

Molte persone pensano ancora che il dilemma delprigioniero sia una storia della strategia tit for tat, ma, sesi considerano tutti i successi conseguiti, la strategiamigliore è win stay, lose shift. Essa è ancora piùsemplice di quella del tit for tat: persiste a ripetere la sua

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semplice di quella del tit for tat: persiste a ripetere la suascelta corrente ogni volta che dà buoni risultati, e,quando non lo fa più, cambia. Non occorre che interpretie ricordi le mosse dell’avversario. Tutto quel che devefare è controllare il proprio payoff e assicurarsi di restarein testa al gioco. Ci si potrebbe aspettare dunque che,richiedendo meno abilità cognitive, questa strategia fossepiù diffusa. In effetti, la strategia win stay, lose shift erapiù adatta agli spinarelli di Milinski di quanto non fosse latit for tat.

Nel contesto del dilemma del prigioniero, ragioniamonel modo seguente. Se abbiamo tradito mentre il nostroavversario ha cooperato, il nostro payoff è alto. Sulle alidell’entusiasmo ripetiamo la nostra mossa, ripetendo lanostra defezione. Se invece di ripetere la defezionecooperiamo, mentre il nostro avversario ci tradisce,questa volta è lui ad acquisire vantaggi a nostro danno.Insoddisfatti dell’evolversi della situazione, passiamo aun’altra mossa. In passato abbiamo cooperato, ma ora ciaccingiamo a passare di nuovo alla defezione. I nostriesperimenti precedenti avevano mostrato che la strategiatit for tat è catalizzatrice dell’evolversi dellacooperazione. Ora possiamo vedere che la destinazioneultima è win stay, lose shift.

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ultima è win stay, lose shift.Ciò significa forse che avevamo risolto il problema? Al

contrario. Karl e io ci rendemmo conto, nel 1994, chenel dilemma del prigioniero, il più sottile dei giochisemplici, c’era da considerare un altro aspetto. L’interaricerca sulle letteratura si fondava su un assuntoapparentemente innocente e semplice: quando duegiocatori decidono di cooperare o di tradire, lo fannosimultaneamente. Quel che intendo è che la formulazioneconvenzionale del dilemma del prigioniero è po’ similealla morra per bambini “pietra-forbici-carta”. Entrambi igiocatori fanno la loro scelta esattamente nello stessotempo.

Karl e io pensavamo che questa restrizione fosseartificiale. Potevamo pensare a esempi, come i pipistrellivampiri che regalano il sangue che hanno ingerito ineccesso ai loro simili affamati, e ad animali che sipraticano reciprocamente la pulizia della pelle, e così via,nei quali la cooperazione non si esplica simultaneamente,e i partner devono agire a turno. Così decidemmo digiocare una variante del dilemma del prigioniero,chiamata dilemma del prigioniero con alternanza, pervedere se questo cambiamento avesse qualche effetto.

Quando provammo il gioco con alternanza fummo

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Quando provammo il gioco con alternanza fummorassicurati nel riscontrare che, come prima, c’era unacerta tendenza allo sviluppo della cooperazione.Osservammo anche gli stessi cicli che videro l’ascesa esuccessivo declino delle società cooperative edefezioniste che avevamo osservato nel gioco simultaneo.Ancora una volta può prosperare la cooperazione. Mac’era un importante cambiamento. Fummo sorpresi neltrovare che il principio win stay, lose shift, che avevasconfitto tutti i competitori nei giochi simultanei, nonemerse più come vincitore. A regnare suprema fu invecela strategia del tit for tat generoso.

Drew Fudenberg, che oggi è mio collega ad Harvard,mi fece notare vari anni dopo che si possono considerareil gioco simultaneo e quello con alternanza come duediversi esempi limite di situazioni esistenti nel mondoreale. Nel gioco con alternanza, ci sono due turni distinti:il tuo e il mio. Io ottengo tutte le informazioni pertinentisulla tua mossa prima di decidere che cosa fare, eviceversa. Nel gioco simultaneo, invece, nessuno di noidue può ricevere qualsiasi informazione su quello che faràl’altro quando sarà il suo turno. Nella vita quotidiana larealtà si trova molto probabilmente fra i due estremi. Noipossiamo sempre procurarci qualche informazione su ciò

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possiamo sempre procurarci qualche informazione su ciòche l’altra persona si accinge a fare (sia rispondendo auna mossa precedente, sia facendo altro), ma taleinformazione può non essere completa o attendibile.

Manfred Milinski ha studiato in che modo le personeusino queste strategie. In esperimenti compiuti constudenti del primo anno di biologia a Berna, lacooperazione dominò sia nella versione simultanea deldilemma del prigioniero sia in quella con alternanza, eMilinski osservò come i giocatori tendessero ad aderirein modo abbastanza costante a una strategia, sia nellaversione simultanea della partita sia in quella conalternanza, con un 30 per cento che adottava unastrategia simile a quella del tit for tat generoso e un 70per cento che adottava la win stay, lose shift. Comeavevano suggerito le nostre simulazioni, questi ultimiebbero più successo nella partita con gioco simultaneodelle due parti, mentre i giocatori che adottavano unastrategia simile a quella del tit for tat generosoconseguivano payoff maggiori nel gioco con alternanza.Pare che entrambe le strategie svolgano un ruolonell’ecologia della cooperazione umana.

Dilemma, passato e futuro

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Dilemma, passato e futuro

Ancora oggi il dilemma del prigioniero ripetuto mantieneuna forte presa sullo scienziato curioso. Abbiamo vistocome un meccanismo per risolvere il dilemma ealimentare la cooperazione sia la reciprocità diretta,attraverso incontri ripetuti fra due giocatori, siano essipersone, istituzioni, aziende o paesi. Dapprima parvefacile ottenere la vittoria con la strategia del tit for tatgeneroso, che per lo più distribuisce equamente le vincitefra i giocatori. Aggiungendo un po’ di casualità, perrappresentare gli effetti degli errori, scoprimmo che il titfor tat era troppo duro e intransigente. Tale strategiainnesca sanguinose vendette.

Per progredire oltre questo punto avevamo bisogno diun pizzico di disponibilità a perdonare, e lo trovammonelle strategie del win stay, lose shift e del tit for tatgeneroso. Quest’ultima strategia mi ricorda sempre unconsiglio che mi dette una volta Bob May: «Non perderaimai per essere stato troppo generoso». Rimasiimpressionato da quel consiglio perché a mia conoscenzaBob era la persona che aveva riflettuto più di ogni altrasul vincere e perdere, e tuttavia il fatto di essere il numerouno significa tutto per lui. Come una volta disse

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uno significa tutto per lui. Come una volta dissescherzosamente sua moglie: «Quando è a casa e giocacol cane, gioca per vincere».

Confrontiamo le strategie di successo del tit for tat edel win stay, lose shift. Entrambe cooperano dopo unareciproca cooperazione nel turno precedente. Cosìnessuna delle due strategie è la prima a defezionare,almeno intenzionalmente. La prima defezione può esserecausata da un errore, un fraintendimento, osemplicemente una giornata storta. Se accade una cosadel genere e il mio avversario defeziona, cosicché iofinisco per essere sfruttato, entrambe le strategie midicono di non cooperare nella prossima mossa. Se,invece, io defeziono e l’altra persona coopera, passeròalla cooperazione secondo la strategia del tit for tat, macontinuerò a defezionare secondo quella del win stay,lose shift.

Si può spiegare il ragionamento del tit for tat nelmodo seguente: ora mi dispiace di avere agito in quelmodo e desidero rimediare alle conseguenze della miadefezione del turno passato. Ma il ragionamento del winstay, lose shift sembra – purtroppo – più “umano”: se inquesto turno la facciamo franca sfruttando qualcuno,continueremo a farlo anche in turni futuri. Fra queste

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continueremo a farlo anche in turni futuri. Fra questestrategie c’è un’altra differenza basilare: se entrambi igiocatori optano per la defezione, questa sarà anche lascelta del tit for tat, che non tenterà di ristabilire unabuona relazione; quanto al win stay, lose shift, tenterà,attraverso la ripresa della cooperazione, di ristabilirerapporti migliori.

Entrambe le scelte hanno un senso, ma ancora unavolta win stay, lose shift ci apparirà più realistica sesiamo impegnati in un rapporto in cui sussiste unasperanza di ristabilire la cooperazione. Nel complessoquesta strategia può fronteggiare meglio gli errori,cercando attivamente di ripristinare la cooperazionedopo una reciproca defezione, anche se cercherà disfruttare i cooperatori incondizionali. Di contro, lastrategia del tit for tat non sfrutta i cooperatoriincondizionali e non tenta di riprendere la cooperazionedopo una reciproca defezione.

Se ci volgiamo indietro e osserviamo in che modo laricerca sul dilemma del prigioniero si è sviluppata nelcorso degli anni, noteremo che uno sviluppo chiave è lacrescita dell’influenza delle strategie probabilistiche, nellequali c’è la possibilità che i giocatori si comportino in uncerto modo, e in un certo tempo, ma non è affatto sicuro

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certo modo, e in un certo tempo, ma non è affatto sicuroche agiscano esattamente nello stesso modo in ognicircostanza. Possiamo aggiungere a tutto questo unnuovo elemento di realismo, riconoscendo che la vitareale si colloca da qualche parte fra giocare una partitasimultanea e una con alternanza, come risultato dellamisura in cui i due giocatori si alternano e di quella in cuiconoscono la scelta compiuta dall’altro.

Anche i giochi più realistici generano cicli, nei quali lestrategie variano dal tradisci sempre al tit for tat al titfor tat generoso, passando poi a una cooperazioneindiscriminata, per tornare, inevitabilmente, a saldare iconti quando la defezione riprende il sopravvento. Anchese la strategia win stay, lose shift può allungare ilperiodo di cooperazione in un ciclo, troveremo infine cheessa ha un cedimento, permettendo una risalita deidefezionisti.

I cicli che osserviamo nei nostri tornei sono del tuttodiversi dai risultati della teoria dei giochi tradizionale,dove si ha sempre un accento su un equilibrio stabile.Senza dovere entrare nei dettagli, si può valutare questopunto semplicemente considerando il linguaggio usatonella teoria dei giochi classica, evoluzionistica edeconomica. Ci sono abbondanti riferimenti, per esempio,

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economica. Ci sono abbondanti riferimenti, per esempio,alla strategia evolutivamente stabile e all’equilibrio diNash.

Siamo partiti dalla vecchia statica evoluzionistica eoggi stiamo cominciando a capire il flusso e il mutamentodella dinamica evoluzionistica. La nozione classica dellavita che si evolve verso uno stato stabile e immutabile èora rovesciata da un’immagine molto più fluida. Nessunastrategia è davvero stabile e quindi destinata ad averesuccesso per l’eternità. C’è un costante sommovimento.La fortuna non sorride per sempre a una persona. A unparadiso di cooperazione seguirà sempre un inferno didefezione. Il successo della cooperazione dipende daquanto a lungo può persistere e da quanto spesso rie-merge per rifiorire di nuovo. Quale visione affascinante eturbolenta ne ricaviamo dell’evoluzione e cooperazionedella vita!

Ma rimangono ancora molte cose da scoprire.Abbiamo esplorato solo un piccolo sottoinsieme diquesto gioco straordinario. Nel mondo ci sono moltealtre varianti, immensi retroterra che si estendono versoun orizzonte che fugge. Nonostante le migliaia di scritti suldilemma del prigioniero ripetuto, le possibilitàmatematiche in questo modello di reciprocità diretta sono

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matematiche in questo modello di reciprocità diretta sonoillimitate, come nel gioco degli scacchi, e non limitatecome nelle strategie di tris. La nostra analisi di comerisolvere il dilemma non sarà mai completata. Questodilemma non ha fine.

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Capitolo 2

Reciprocità indiretta: il potere dellareputazione

Nel momento in cui si concepiscono sospetti sullemotivazioni di una persona, tutto ciò che fa ne èmacchiato. Mohandas Gandhi

«Date e vi sarà dato». Questo versetto spesso citato delVangelo in cui Luca (6: 38) narra della storia dellanascita, del ministero e della resurrezione di Gesù paresia solo un altro esempio della reciprocità diretta, di cuimi sono occupato nel Capitolo 1. Se però ci fermiamo unmomento a riflettere sulla frase citata, vedremo che c’èuna differenza cruciale: non è del tutto chiaro chi darà, inrisposta al nostro atto di generosità. Forse sarà un

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risposta al nostro atto di generosità. Forse sarà unmembro della nostra famiglia, forse un amico o uncollega. Ma potrebbe trattarsi di un estraneo, o anche divari estranei.

Molte persone interpretano questo passo nel sensoche, se si è generosi, si riceverà una ricompensanell’aldilà, in paradiso. La mia interpretazione preferita èinvece che la ricompensa si riceve sulla Terra, qui esubito. La bontà susciterà bontà. In questo modopossono diffondersi nella nostra società vincoli diumanità, tolleranza e comprensione. In un modo comenell’altro, questa è una forma potente di cooperazione, ele sue implicazioni sono immense, determinando i modi incui ci comportiamo, in cui comunichiamo e in cuipensiamo.

Si vede che due millenni fa, ai tempi di Luca, questaidea del ciò che fai ti viene reso era già un luogocomune, almeno fra gli evangelisti. Marco (4: 24) scrive:«Fate attenzione a ciò che ascoltate. Nella misura con cuimisurate sarà misurato a voi; e a voi che udite sarà datodi più». Matteo (7: 2) si esprime in modo analogo:«Secondo il giudizio col quale giudicate, sarete giudicati,e con la misura con la quale misurerete sarete misurati».Quel che è notevole è che da questa prospettiva

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Quel che è notevole è che da questa prospettivaderivano ogni sorta di affascinanti conseguenze.

In un piccolo gruppo, per esempio un villaggio, quellache chiamiamo reciprocità indiretta conferiscegrandissimi vantaggi, permettendo a una persona di trarrebeneficio dall’esperienza che altre persone del mio clanhanno avuto trattando con altri. (“Tizio si è semprecomportato bene ogni volta che si è trattato di scambiareutensili con cibo. Di Caio, invece, non ci si può fidare”.)Quando tratto qualche cosa con voi, non tengo contosolo dei nostri scambi reciproci.

Mentre la reciprocità diretta si fonda solo sulla nostraesperienza di un’altra persona, la reciprocità indirettatiene conto anche dell’esperienza di altri. I matematicipotrebbero dire che la reciprocità indiretta è unacategoria più vasta che include la reciprocità diretta, ma idue meccanismi sono analizzati in modi del tutto diversi:per analizzare la forma diretta abbiamo bisogno diosservare lo sviluppo di giochi ripetuti, come abbiamofatto nel Capitolo 1. Per capire la forma indiretta èsufficiente riconoscere il potere della reputazione e delmodo in cui si forma.

L’esplorazione della forma indiretta della reciprocità èimportante perché essa ha un valore critico per la

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importante perché essa ha un valore critico per lasocietà. La reciprocità diretta – “Io gratto la schiena a tee tu gratti la schiena a me” – funziona bene all’interno dipiccoli gruppi di persone, o in villaggi in cui vive unacomunità molto compatta nella quale sarebbe difficileriuscire a ingannarsi a vicenda. In piccole società tuttaviaopera anche la reciprocità indiretta, poiché le personecreano, osservano e riferiscono la soap opera della lorovita quotidiana. A partire dai tempi di Gesù Cristo, lemedie latitudini dell’Eurasia furono invase e dominatedall’Impero Romano, da quello dei parti, da quello deikushana dell’Asia centrale e dell’India settentrionale e daquello degli han in Cina e in Corea. Per espandersi eprosperare, queste società in grande proliferazione nonpotevano crescere solo sulla base della reciprocitàdiretta.

Le società potevano evolversi più facilmente ediventare più grandi, più complesse e più interconnessese i loro cittadini dipendevano da scambi economicifondati sulla reciprocità indiretta. Oggi questa haun’importanza centrale per il modo in cui noi conduciamoi nostri affari e cooperiamo. Con l’aiuto di dicerie,chiacchiere, pettegolezzi e motteggi siamo in grado divalutare la reputazione di altre persone, misurandole,

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valutare la reputazione di altre persone, misurandole,valutandone la reputazione al rialzo o al ribasso, perdecidere come trattare con loro. Questa prospettivagetta luce sia sulla proliferazione delle attività assistenzialisia sulle celebrità patinate delle riviste di gossip.

Grazie al potere della reputazione, è naturale per noifare oggi un regalo a un estraneo nell’attesa di ricevernepoi uno da un altro, grazie anche agli sforzi di varie altrepersone che non abbiamo mai conosciuto e che nonconosceremo mai, dalla persona che confeziona il nostroregalo a quella che controlla l’ammontare del miocredito. Nella nostra vasta società questo è un caso dellasituazione già citata: “Io gratto la schiena a te e qualcunaltro gratterà la schiena a me”. Noi tutti dipendiamo daterzi per avere la certezza che quella “grattatina” ci verràinfine restituita da qualcuno.

Sotto l’influenza della reciprocità indiretta, la nostrasocietà non è soltanto più grande che mai, ma anche piùcomplessa. La crescente grandezza delle comunitàmoderne è in grado oggi di sostenere una maggioresuddivisione del lavoro fisico e cognitivo. Le personepossono specializzarsi quando reti di reciprocità indirettapermettono a una di loro di farsi la reputazione di essereabile in un particolare lavoro. Grazie al potere della

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abile in un particolare lavoro. Grazie al potere dellareputazione, grandi gruppi reciprocamente dipendenti inuna società possono sostenere in una misura straordinariaindividui specializzati, cosicché alcuni dei suoi cittadinipossono spendere la maggior parte del proprio tempo ariflettere su come cogliere l’essenza della cooperazione intermini matematici, mentre altri sono pagati per rifletteresu come esprimere termini matematici sulla cooperazionein un inglese colloquiale. È una cosa sorprendente.

Questa connessione fra la grandezza di uninsediamento e la specializzazione dei suoi abitanti furegistrata già in tempi antichi. Lo scrittore e militareateniese Senofonte, nato forse in una famiglia agiata,scrisse nel IV secolo a.C. che, quanto più grande era uninsediamento, tanto più minutamente vi era diviso illavoro: «In una piccola città uno stesso uomo devecostruire letti e sedie, aratri e tavoli, e spesso anche case;e, in effetti, sarà ben felice di poter trovare in tutti i settoriabbastanza imprenditori che gli diano lavoro. Ora, èimpossibile che un singolo uomo possa cavarselaaltrettanto bene in una dozzina di lavori diversi; ma nellegrandi città, a causa della più ragguardevole richiesta diqualsiasi cosa, un singolo tipo di lavoro – e spesso anchesolo una singola frazione di esso – sarà sufficiente a

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solo una singola frazione di esso – sarà sufficiente agarantire i mezzi di sussistenza a chi lo pratica; ci sarannocalzolai che produrranno solo sandali per uomini e altrisolo per donne. Oppure un artigiano si guadagnerà davivere semplicemente cucendo scarpe, un altro solotagliando il cuoio, un terzo solo occupandosi dell’aspettoesterno della pelle, e un quarto non farà altro checomporre insieme le varie parti»1.

Potere mentale e reciprocità indiretta

La reciprocità indiretta non è solo un meccanismo perl’evoluzione della cooperazione: fornisce anche l’impulsoper l’evoluzione di un grande cervello. Per spiegare ilperché dovrei sottolineare ancora una volta checooperare significa pagare un costo perché un altroriceva un beneficio. In questo modo, in effetti, noi cicompriamo una reputazione. Per esempio quando diamouna mano a un estraneo e il tempo che perdiamo adaiutarlo rischia di farci arrivare in ritardo a unappuntamento urgente col nostro capo. O se diamo unpassaggio a qualcuno la cui auto ha avuto un’avaria,potremmo macchiare con olio del motore la nostra nuovacravatta di seta. La cosa che qui ci interessa, però, è che

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cravatta di seta. La cosa che qui ci interessa, però, è chequesto piccolo atto di generosità ci assicura unareputazione, la quale a lungo andare potrebbe portarci unbeneficio molto maggiore del costo iniziale.

Grazie al potere della reputazione, siamo portati adaiutare altre persone senza attenderci un contraccambioimmediato. Se, grazie a infinite chiacchiere e fascinazioni,il mondo viene a sapere che sono buono e caritatevole,aumenteranno le mie probabilità di essere aiutato a miavolta in futuro. È però vero anche l’inverso. È menoprobabile che qualcuno mi gratti la schiena, per farmi unfavore, se si viene a sapere che io non ho mai grattato laschiena a nessuno. Ora, la reciprocità indiretta significaqualcosa di simile a: “Se io ti gratto la schiena, il miobuon esempio incoraggerà altri a imitarmi e, se saròfortunato, qualcuno gratterà la mia”.

Analogamente, il nostro comportamento è plasmato dicontinuo dalla possibilità che qualcuno stia guardandoci oche possa scoprire che cosa abbiamo fatto. Spessosiamo turbati dal pensiero di ciò che altri stannopensando delle nostre azioni; perciò i nostricomportamenti hanno conseguenze che vanno molto al dilà di qualsiasi singolo atto di carità, o anche di qualsiasiatto di abietta malvagità. Il nostro comportamento risente

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atto di abietta malvagità. Il nostro comportamento risentedella possibilità che qualcuno possa osservarci. Noi tuttici comportiamo in modo diverso quando sappiamo divivere nell’ombra del futuro.

Quell’ombra è proiettata dalle nostre azioni perché c’èsempre la possibilità, quale che sia il tipo di società in cuiviviamo, che altri scoprano ciò che abbiamo fatto:dall’abitante di un villaggio che ti guarda dall’alto di unacollina mentre aiuti un’anziana signora; alla donna che tipassa accanto mentre trasporti tutti quei sacchetti dellaspesa per tua moglie; al ragazzo che viene a consegnareun regalo a una vicina; al tizio seduto alla scrivania vicinaalla tua; o alla guardia giurata che ti guarda attraverso unatelecamera a circuito chiuso. Ognuno di noi vorrebbe chei suoi amici, i familiari, i genitori e le persone caresapessero che è una brava persona, sempre disposta adaiutare gli altri. Accorrendo in aiuto di qualcun altro, orifiutando il tuo aiuto, non solo contribuisci allo sviluppodella tua reputazione, buona o cattiva che sia, maconcorri anche a perpetuare e consolidare quella retecomplessa e intricata di reciprocità indiretta che èessenziale perché una grande società complessa funzionial meglio.

Perché molte persone possano apprezzare un tuo atto

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di generosità, e perché la tua reputazione possaprosperare, occorre qualcosa di più del linguaggio.Occorrono cervelli intelligenti e ricettivi: la reciprocitàindiretta si fonda su ciò che altri pensano di noi. È statodimostrato che il compito di formarsi una reputazioneimpegna gran parte degli stessi circuiti cerebrali dellaremunerazione, interessati dal desiderio di accumularedenaro. Rendendomi utile agli altri, mi costruisco lareputazione di essere una persona gentile, cortese epremurosa. Il mio comportamento verso di te,ovviamente, dipende anche dalla tua reputazione, equindi da ciò che tu hai fatto per altri: se sei stato unfurfante e un mascalzone è meno probabile che io mi fididella tua disponibilità a compiere atti di generosità.D’altro canto, se noi non sappiamo nulla su una persona,siamo spesso disposti a concederle il beneficio deldubbio a vantaggio anche della nostra stessa reputazione.Esiste una chiara connessione fra questo meccanismodella cooperazione e l’evoluzione dell’empatia. Percapire e apprezzare la motivazione di un buon samaritanodobbiamo avere un’idea sensata di ciò che passa per lamente di una persona. “Anche se stava precipitandosi acasa per vedere la madre malata, si fermò per aiutarequell’uomo ferito”, “Se fossi stato giacente là,

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quell’uomo ferito”, “Se fossi stato giacente là,sanguinante, sul ciglio della strada, sarei stato molto gratoall’estraneo che mi avesse aiutato”, “Vedevo chesoffriva, e sentii che dovevo aiutarla”, e via dicendo.Abbiamo bisogno, nel linguaggio degli psicologi, di unateoria della mente, quella notevole capacità che cipermette di capire i desideri, le motivazioni e le intenzionidegli altri. Questa capacità di leggere la mente cipermette di inferire il punto di vista, emozionale ointellettuale, di altre persone.

Si può immaginare facilmente in che modo ilmeccanismo della reciprocità indiretta possa stimolarel’evoluzione dei sistemi morali. La citazione di Luca,all’inizio di questo capitolo, ha un corollario diretto, laregola aurea, che trascende tutte le culture e le religioni:«Non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te».La regola compare anche nella filosofia greca («Quel chevorresti che gli altri facessero per te, tu fallo anche perloro», Sesto Pitagorico), nel buddhismo («Se ci si mettenei panni di un altro, non si dovrebbe uccidere, némettere altri nella necessità di farlo»), nel cristianesimo enell’ebraismo («Ama il prossimo tuo come te stesso»),nel poema induistico del Mahabaratha («Nondovremmo mai fare a un altro una cosa che, fatta da

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dovremmo mai fare a un altro una cosa che, fatta daqualcuno a noi stessi, considereremmo umiliante»), nelSermone dell’addio di Maometto («Non fate male anessuno così che nessuno faccia male a voi») e anche neltaoismo («È gentile con chi è gentile; è gentile anche conchi non è gentile»).

La regola aurea mette in rapporto fra loro varie idee:lega l’empatia con l’idea di reciprocità, unitamente a unafede incrollabile nel potere della reciprocità indiretta: seio sono buono con un’altra persona oggi, qualcuno saràbuono con me in futuro. In questo modo la reciprocitàindiretta ha svolto un ruolo centrale nello sviluppo delnostro cervello, della nostra capacità di fissare ricordi edei nostri codici linguistici e morali. Questo potentissimoingrediente della cooperazione è al cuore di ciò chesignifica essere umani.

Kahlenberg

La prima volta in cui apprezzai il potere della reciprocitàindiretta fu nel corso di una camminata con KarlSigmund, nell’estate 1996. Stavamo facendoun’escursione nel Kahlenberg, alta collina boscosa neipressi di Vienna. Dal Kahlenberg, che fa parte del

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pressi di Vienna. Dal Kahlenberg, che fa parte delWienerwald, si godono spettacolari viste panoramichedella grande città. Stavamo attraversando una catena dicolline alberate, separate da fiumi, compreso il Danubio,a nordest di Vienna. Qua e là ci sono villaggi, fra cui unoin cui visse Beethoven (Nussdorf), e tutto attorno ci sonoosterie (Heurige) dove ci si poteva sedere a degustare ivini novelli locali.

Sebbene non sembri il luogo più adatto a dare i natalia una scoperta scientifica, ci sono molte prove asostegno del fatto che il reticolo di sentieri che siintersecano su quella collina sia intriso di magia creativa.Mahler scendeva a piedi dal Kahlenberg a Vienna perdirigere opere liriche. Johann Strauss jr. compose qui ilsuo valzer Geschichten aus dem Wienerwald (Storielledel bosco viennese). Anche Franz Schubert eBeethoven furono ispirati dagli arcadici paesaggi ondulatidel Wienerwald. Un grande prato su un alto pianoro chesovrasta la città, dove il cielo è totalmente sgombro allavista, si chiama Himmel (cielo, paradiso). Qui il giovaneSigmund Freud riuscì a convincersi di avere capito lanatura dei sogni.

Durante il nostro girovagare in “paradiso”, Karlmenzionò qualcosa che mi indusse subito a fermarmi.

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menzionò qualcosa che mi indusse subito a fermarmi.Suggerì che dovevamo ampliare le nostre ricerche sullacooperazione per esaminare più attentamente lareciprocità indiretta . Non avevo mai sentito primaquell’espressione, ma nella mia mente scaturirono tantipensieri da farmi provare un brivido di ebbrezza. Gli dissiche non volevo che mi fornisse troppi dettagli: non volevosapere quali ricerche fossero state già fatte, così da poterseguire autonomamente la mia linea di pensiero. Iosapevo esattamente che cosa intendeva, e come laperfetta chiarezza della matematica potesse metterenitidamente a fuoco questa idea. Misi da parte ciò a cuistavo lavorando. Nella mia mente si annunciava unmutevole paesaggio di nuove possibilità di cooperazione.

Mi innamorai di questa ricerca, che sentivo avrebbeportato il nostro lavoro in una nuova direzione e fui quasispossato dall’eccesso di sentimento. L’aria sembravaessere impregnata d’amore. Da un lato, stavo leggendo Ilpaziente inglese di Michael Ondaatje («In amore non cisono confini»); dall’altro Karl e io, durante la nostracamminata fra il fogliame del Wienerwald, facemmo unatoccante scoperta in un piccolo cimitero, nel quale c’erauna tomba coperta dalla vegetazione. Sulla lastra tombaleerano incise poesie e racconti a celebrazione della

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erano incise poesie e racconti a celebrazione dellamemoria di Caroline Traunwieser, che a quanto pare fula più grande bellezza del periodo del Congresso diVienna.

Fra le molte dediche a Caroline compariva un tributodel fonda-tore dell’Accademia austriaca delle scienze, ilbarone di Hammer-Purgstall, un orientalista che forniva aGoethe poesie persiane. Egli raccontò il suo primoemozionante incontro con lei in un salotto: «Mai prima diallora, e neppure in seguito nella mia vita, fui cosìsopraffatto da una tale visione di bellezza». Caroline eraadorata da tutti, da poeti a ufficiali al direttore dellaWiener Porzellanmanufaktur, la fabbrica di porcellane diVienna. La sua tomba rivelava che era morta giovane eche nessun suo ritratto sopravviveva. Dopo aver lettoquesti commoventi tributi alla sua perduta bellezza, Karle io ci sentimmo in una strano stato d’animo di lutto. Lamia tristezza era un debole riflesso della radiosa bellezzadi Caroline, che aveva illuminato Vienna molto tempoprima, una testimonianza della sua reputazione.

Dalla reputazione alla cooperazione

La cosa più incomprensibile dell’universo è il fatto

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La cosa più incomprensibile dell’universo è il fattoche sia comprensibile. Albert Einstein

All’epoca in cui ebbi il lampo di ispirazione nelWienerwald, la mia fiducia nella mia capacità di risolvereproblemi stava crescendo. Nelle profondità del miocervello un geyser ribollente inviava un torrente dipensieri verso il cielo. Sapevo che avrei dovuto lavorarevelocemente. Lì vicino, sul versante settentrionale delKahlenberg, c’era la casa dei miei genitori. Nella miapiccola camera da letto, che avevo abitato dall’età diotto anni in poi, cominciai le mie ricerche sulla reciprocitàindiretta.

Di solito quando si comincia un nuovo progetto ci siimbatte immediatamente in difficoltà. I problemiimprevisti si susseguono in continuazione. Occorre tempoper affrontarli, e solo se si ha molta fortuna si riesce arisolverli. Di solito non ci si riesce. Questa volta, però,andò molto meglio. Ogni cosa che tentavo di farefunzionava subito, anche al primo tentativo. Dopo tresettimane avevo un quadro matematico quasi completodella reciprocità indiretta e, fatto più importante, di comeessa aiuti la cooperazione a prosperare. Ero sostenutodall’esaltazione di cercare di avere successo in qualcosa

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dall’esaltazione di cercare di avere successo in qualcosadi nuovo. Ero orgoglioso della velocità fulminea con cuiriuscivo a coordinare le mie intuizioni in una teoriamatematica.

Dopo tre settimane rividi Karl per discutere con lui lemie scoperte. Ci incontrammo di nuovo nella foresta.Questa volta la giornata era grigia, e l’aria umida efredda. Avevamo concordato di vederci in una piccolaosteria e, una volta che ci fummo seduti insieme a untavolo di legno, gli presentai i miei risultati. Benchéfossimo amici, ero nervoso come se stessi rivelando perla prima volta un segreto. Karl apprezzò l’impostazione ene vide immediatamente le implicazioni.

Cominciai con un modello per computer chedescriveva una popolazione di persone. In talepopolazione ogni incontro implica due persone. A una diesse è presentata una scelta: se aiutare o no l’altra.Quando un buon samaritano fa qualcosa di buono perqualcun altro, questo atto altruistico conferisce a chi loriceve un vantaggio di cui è il samaritano a pagare ilcosto. Ciò accade ogni volta che qualcuno sacrifica unpo’ del suo tempo per aiutare un altro, come peresempio quando si aiuta una signora anziana malfermasulle gambe ad attraversare incolume la strada o quando

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sulle gambe ad attraversare incolume la strada o quandosi dedica un momento del proprio tempo a spiegare a unautomobilista dove può trovare il parcheggio più vicino.

Se il costo è inferiore al beneficio, l’atto di carità, unavolta ripagato, comporta vantaggi per entrambi gliindividui. Queste considerazioni ci trasportano in unterritorio che ci è molto familiare. Possiamo pensarequesta situazione come una versione semplificata deldilemma del prigioniero che abbiamo esploratonell’Introduzione. Cooperazione significa pagare uncosto perché l’altra persona ne rica-vi un beneficio.Defezione significa non fare nulla. Se si considera una diqueste due persone come il donatore e l’altra come ilricevente si ha metà del problema, un semi dilemma.

Come abbiamo visto nel caso del dilemma delprigioniero, la defezione è una mossa razionale, ma solonel caso di un incontro singolo, che si esaurisca in unasingola mossa. Se i nostri giocatori si incontranoripetutamente, può emergere la cooperazione perché irazionali devono confrontare il beneficio che risulta dallosfruttare l’altro giocatore al primo turno con il costo dirinunciare alla cooperazione in turni successivi. Ma,ovviamente, incontri ripetuti fra gli stessi due giocatoriconducono a una reciprocità diretta. Ora io volevo

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conducono a una reciprocità diretta. Ora io volevostudiare l’evoluzione della cooperazione in un contestoindiretto, più generale.

Organizzai il gioco in modo che ogni partecipantepotesse giocare per molti turni, ma di solito non due voltecon lo stesso giocatore. Così un defezionista – qualcunoche non fa niente per aiutare gli altri – non potevaimbattersi in una sua vittima precedente. La defezionepuò tuttavia essere scoperta, in conseguenza del fatto chei giocatori, giudicati a ogni turno da qualcuno, si formanocol tempo una reputazione: il punteggio della reputazionedi un giocatore (che Karl e io chiamammo immagine nelnostro articolo) è nullo alla nascita, e cresce ogni voltache il giocatore aiuta altre persone (analogamente,scende ogni volta che il giocatore rifiuta di dare il proprioaiuto). Questo è un ingrediente importante del gioco:indica che noi non dividemmo i giocatori in “buoni” e“cattivi”. Ne graduammo invece l’immagine sulla base deipunteggi acquisiti, in modo che potesse distinguersi sullabase di vari gradi e che cambiasse all’evolversi del gioco.

C’erano anche cooperatori incondizionali e defezionistiinflessibili. Per dare maggiore realismo al modello viintrodussi un altro elemento. Proprio come solo un certogruppo di persone si scambia informazioni attraverso i

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suoi pettegolezzi, così l’esito di un qualsiasi incontro datofra giocatori sarà rivelato solo a un sottoinsieme dellapopolazione.In conseguenza di questo fatto, personediverse di una popolazione hanno opinioni diverse sullareputazione della stessa persona.

Karl e io trovammo che se il rapporto costi-beneficidella cooperazione è sufficientemente basso, e la quantitàdi informazione sul passato dei giocatori è abbastanzagrande, può emergere una cooperazione fondata sulladiscriminazione, ossia sulla capacità di distinguere frareputazioni buone e cattive. Invece di fondarmiesclusivamente sulla mia conoscenza diretta di unapersona (come nella reciprocità diretta), possobeneficiare anche dell’esperienza di altri. Ora il miocomportamento verso di te non dipende solo da ciò chehai fatto a me, ma anche da ciò che hai fatto ad altri.

La linea base di queste popolazioni in evoluzione era laseguente: se c’è una trasmissione sufficiente diinformazione sui comportamenti cooperativi e defezionistifra le varie persone, la selezione naturale favorisce lestrategie che fondano la loro decisione di cooperare (o didefezionare) sulla reputazione del destinatario delbeneficio. Se le buone reputazioni si diffondonoabbastanza rapidamente, possono accrescere le

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abbastanza rapidamente, possono accrescere leprobabilità di cooperazione che si stanno affermando inuna società. E, come ci si potrebbe attendere, i buonisamaritani con una reputazione mediocre riceverannomeno aiuto.

Noi non siamo stati i primi a sostenere che lareputazione sia un fattore importante nell’affermazionedel comportamento altruistico. Una forma di questoconcetto era già stata formulata – anche se in linguaggioverbale e non matematico – in un libro di RichardAlexander, dell’Università del Michigan, un esperto digrilli, cavallette e cicale. Era stato Alexander a introdurreper primo l’espressione reciprocità indiretta, nel saggioThe Biology of Moral Systems (1987). Egli si era postodomande profonde, come: “Che cosa è morale?”, o“Come possiamo cominciare a fissare le nostre idee suciò che è buono o cattivo?”. E aveva concluso che larisposta starebbe nella reputazione. Noi esaminiamosempre le impressioni lasciate dagli altri, ed è piùprobabile che offriamo il nostro aiuto a qualcuno che hauna buona reputazione, a qualcuno che nel suo passatoha offerto aiuto agli altri, anche se non necessariamente anoi. La reciprocità indiretta implica «reputazione e status,e comporta che tutti i membri di un gruppo siano

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e comporta che tutti i membri di un gruppo sianocontinuamente esaminati e riesaminati». Questo fatto,disse Alexander, svolge un ruolo essenziale nelle societàumane.

Questa idea appare nell’opera dell’economista efilosofo Robert Sugden, dell’Università della East Anglia.Egli propose il concetto di reputazione (standing)nell’opera The Economics of Rights, Cooperation andWelfare (1986). Il suo ragionamento procede così: “Setu non presti aiuto a chi ha una buona reputazione, vieniad avere una cattiva reputazione, mentre se lo fai con chiha una cattiva reputazione, conservi la tua buonareputazione”. Una descrizione matematica delle normesociali era stata esplorata anche dall’economistagiapponese Michihiro Kandori. Il fatto che la nostranuova teoria della reciprocità indiretta avesse precursorionorevoli le conferì nuova credibilità.

Karl aveva anche una quantità di aneddoti persottolineare perché la reciprocità indiretta sia altrettantorilevante, per la vita quotidiana, di quella diretta. Eglisottolineò che la famiglia Rothschild aveva protettodurante le guerre napoleoniche gli investimenti dei suoiclienti inglesi. I Rothschild erano sottoposti a grandipressioni perché abbandonassero i clienti britannici, ma

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pressioni perché abbandonassero i clienti britannici, maavevano a cuore i loro interessi. In seguito, come è noto,i Rothschild divennero straordinariamente ricchi. La lorofortuna fu un una conseguenza diretta del potere dellareciprocità indiretta: grazie al fatto che si eranocomportati in modo impeccabile, ora tutti sapevano chedi loro ci si poteva fidare.

Poi c’era la storia del giocatore americano di baseballYogi Berra, che era famoso per i suoi concisi commenti ebattute spiritose, noti come Yogi-isms. Uno di essi era unperfetto sommario di reciprocità indiretta: «Vai sempre aifunerali degli altri, altrimenti non verranno ai tuoi». Berranon era preoccupato che i suoi atti di cortesia nonfossero ricambiati da chi li aveva ricevuti; bensì temevache non fossero in un certo senso ricompensati da quellepersone che erano commosse dalla sua espressionepubblica di compianto per i lutti altrui.

Questa idea è mirabilmente compendiata anche informa musicale dall’americano Tom Lehrer, cantautore,autore satirico, pianista e matematico. In Be Prepared ,lo spiritoso saluto di Lehrer ai boy scout, egli canta: «Becareful non to do / Your good deeds when there’s noone watching you» (stai attento a non fare buone azioniquando non c’è nessuno a osservare). Milinski nota che

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quando non c’è nessuno a osservare). Milinski nota cheanche i tedeschi hanno un motto dello stesso tenore:«Tue Gutes und rede darüber» (fai del bene e parlane).Era vero ovviamente anche l’inverso. Tutto questo puòsuonare ovvio, ma in assenza di un modello matematiconon avremmo una comprensione quantitativa di comequesto meccanismo funzioni in realtà, e neppuresaremmo in grado di svelare le molte sottigliezze dellareciprocità indiretta. Il tempo era maturo per fissarequesta idea.

Quando, per esempio, Karl e io rendemmo piùrealistica la simulazione e introducemmo la possibilità dimutazioni, o di errori, in una popolazione di giocatori inevoluzione, vedemmo poi cooperazione e defezionecrescere e calare nel corso del tempo, poiché coloro chehanno una buona reputazione sono effettivamentedanneggiati dagli altruisti indiscriminati che aiutano tutti, aprescindere da quanto bene o male si siano comportati inpassato. Poi si ha un’invasione di free rider (quelli chenon pagano il biglietto) – defezionisti incondizionali –,finché non si aprirà un nuovo ciclo di cooperatoridiscriminanti, ossia cooperatori attenti al comportamentodei giocatori che si trovano di fronte. Date le mie ricercheanteriori sul dilemma del prigioniero non ne fui sorpreso.

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anteriori sul dilemma del prigioniero non ne fui sorpreso.Chiunque non avesse avuto qualche familiarità con quelcampo avrebbe però trovato sorprendente constatarecome il grado di cooperazione sia soggetto sempre a unasuccessione di cicli.

Fatto importante, scoprimmo che la selezione naturalefavoriva quelle strategie, note come strategiediscriminanti, che prestano attenzione alla reputazionedelle persone. Queste strategie preferiscono interagirecon persone che hanno una buona reputazione. Così laselezione naturale (che opera nella cornice dellareciprocità indiretta) promuove l’intelligenza sociale,prescrivendo di osservare gli altri, di imparare quel che sipuò su di loro, di comprenderne i comportamenti: perchéuna persona si comporti in un certo modo con un’altrapersona e perché.

Karl e io facemmo anche una interessante scopertache sottolineava come, quando una persona agiscesecondo le proprie convinzioni, ciò può avere un costo. Ilrifiuto di aiutare un free rider o un altro defezionistaabbassa il payoff dei giocatori discriminanti così che,anche se possono avere agito con buone ragioni,potrebbero passare per cattivi samaritani. Un collega allavoro ti lascia in difficoltà e tu potresti avere uno scatto

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lavoro ti lascia in difficoltà e tu potresti avere uno scattod’ira contro di lui. Dal punto di vista degli altri colleghinell’ampio open space dove lavorate, il tuo scatto d’irapotrebbe sembrare una perdita di controllo. Oppurepotresti decidere di non aiutare un barbone perché hamormorato un’ingiuria contro di te, ma a uno spettatoreche si trovasse sul marciapiede di fronte potresti averdato l’impressione di avere semplicemente rifiutato unaiuto a un povero vagabondo bisognoso. Questocomportamento diminuisce la probabilità che tu siaaiutato a tua volta.

La conclusione della nostra teoria fu che un atto dialtruismo si svilupperà solo quando l’attesa diremunerazioni ne superi il costo. Questa idea potrebbe asua volta essere compendiata da una semplice relazionematematica. L’evolversi (emergere) della cooperazionep u ò verificarsi se la probabilità di conoscere lareputazione di qualcuno è superiore al rapporto costi-benefici. Karl e io presentammo la nostra ricerca allaprestigiosa rivista “Nature”. L’articolo fu accettato senzatanti problemi e pubblicato nel 1998. Sulla sua sciacomparvero molti altri articoli sull’argomento dellareciprocità indiretta, fra i quali la sua confermasperimentale.

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sperimentale.Così la nostra camminata sul Kahlenberg si era

trasformata in un “momento eureka”, uno dei sentimentipiù romantici e meglio noti fra quelli descritti nellaletteratura sulla ricerca. In una storia sulla scopertarivelatrice si parla abbastanza spesso delle reazioniemotive, del cuore che batte forte nel momento in cui siha una nuova intuizione, mentre c’è una probabilitàdavvero minima che si parli della consapevolezza diavere avuto una grande idea, un’idea che ha esercitatogrande influenza. E proprio qui sta la difficoltà. Unanuova idea tende a diffondersi piuttosto lentamente nellascienza. Karl e io fummo abbastanza fortunati perché inalcuni casi il pieno significato di un momento eurekaemerse solo molto tempo dopo. Spesso, infatti, perchéun’idea diventi concreta possono essere necessari anni, avolte più di una vita intera. Una volta fui commosso dalleparole di un biografo sul compositore austriaco FranzSchubert, al quale soltanto «un mondo posteriorericonobbe pienamente quanto gli era dovuto, anche sequesta consapevolezza cominciò a prendere forma solomolto lentamente».

La prova

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La prova

Fra gli scienziati circola una battuta sulle tre fasi di“accettazione” di una nuova teoria; dapprima la nuovateoria è completamente ignorata; nella seconda fase èconsiderata ovviamente sbagliata; e nella terza èovviamente giusta, ma tutti comunque già lo sapevano.Karl e io fummo fortunati: non diventammo il bersaglio diquesto vecchio scherzo, almeno non questa volta.

Un paio di anni dopo la nostra escursione sulKahlenberg ci trovammo a scrivere per la rivista“Science” un commento su una nostra bella ricercasperimentale che aveva fornito un sostegno al nostroarticolo per “Nature” sulla reciprocità indiretta. ClausWedekind e Manfred Milinski, che lavoravanoall’Università di Berna, avevano cominciato un corso con79 studenti del primo anno che erano beatamente ignaridi concetti come l’altruismo reciproco , e li invitarono apartecipare a un gioco in cui dovevano scegliere traregalare o no denaro ad altri individui del gruppo.

Il gioco consisteva in incontri fra coppie di studenticollegati da computer in rete. Uno studente era il“donatore”, l’altro il “ricevente”. Se il donatore pagavaun franco svizzero dal suo conto, il ricevente ne incassava

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un franco svizzero dal suo conto, il ricevente ne incassavaquattro. Il costo per il donatore era quindi di un francosvizzero, contro i quattro del beneficio ottenuto dalricevente. Come sempre, nel caso di una cooperazioneproduttiva il beneficio doveva superare il costo.Alternativamente, il donatore poteva decidere di nonpagare nulla, e ovviamente il ricevente non avrebbe vistoil becco di un quattrino. Mentre stava prendendo la suadecisione sul pagare o non pagare, al donatoregiungevano informazioni su quanto il ricevente avevadonato nei turni precedenti. Per esempio, il donatorepoteva apprendere che il ricevente era stato avaro e nonaveva mai pagato nulla, o che era stato relativamentegeneroso e aveva pagato due volte su tre. Per escluderegli effetti della reciprocità diretta, l’esperimento eraorganizzato in modo tale che gli stessi due studenti non siincontrassero di nuovo.

Il risultato dell’esperimento fu convincente: Wedekinde Milinski trovarono che, anche quando non ci sonoprobabilità di reciprocità diretta, i giocatori sono generosil’uno con l’altro, purché abbiano un’opportunità di tenereil conto ognuno delle azioni del proprio avversario. Noitendiamo a collaborare di più con chi ha una buonareputazione. Di conseguenza le persone che all’inizio si

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reputazione. Di conseguenza le persone che all’inizio sidimostrarono più generose ebbero alla fine un maggiorepayoff. A noi tutti piace dare a coloro che hanno dato adaltri. Donate e riceverete!

Lo spettro morale

Esaminiamo ora una sottigliezza emersa nella miasimulazione al computer della reciprocità indiretta. Se,vedendo un cattivo samaritano, ti rifiutassi di aiutarlo,correresti il rischio di sembrare un altro cattivosamaritano, destinato a sua volta a ricevere rifiuti da altri(anche se in questo caso avresti in realtà un’ottimaragione per essere davvero un cattivo samaritano). Unaregola più intelligente dovrebbe distinguere fra defezionigiustificate e ingiustificate e quindi prendere inconsiderazione anche la reputazione di chi riceve: inquesto caso chi rifiuta il suo aiuto a un “cattivo” giocatorenon dovrebbe arrecare danno in tal modo alla propriareputazione.Un modo per estendere le ricerche che Karl e ioavevamo fatto in precedenza fu quello di studiare glieffetti di queste regole più complesse. Per renderetrattabile il problema, è utile supporre che ci siano solo

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trattabile il problema, è utile supporre che ci siano solodue tipi di reputazione: buona e cattiva. In questo mondodi giudizi morali binari ci sono quattro modi per valutare idonatori in termini di stime di primo ordine: considerarlisempre buoni, considerarli sempre cattivi, considerarlicattivi se danno e buoni altrimenti, oppure considerarlibuoni se danno e cattivi altrimenti. Soltanto quest’ultimaopzione può condurre a una cooperazione fondata su unabuona reputazione.

Le regole per le stime di secondo ordine tengonoconto anche della reputazione del ricevente, cosicché orasiamo in grado di considerare circostanze più ampie;come abbiamo già menzionato, può sembrare una buonacosa rifiutare aiuto a una cattiva persona. Ci sono 16regole di secondo ordine. Ci sono inoltre regole di terzoordine, le quali dipendono anche dal punteggio totalizzatodal donatore (dopotutto, una persona con unareputazione mediocre potrebbe tentare di “comprare”una persona buona, manifestando maggiore generositàcon coloro che hanno una buona reputazione), e viadicendo. Ci sono complessivamente 256 regole di terzoordine.

Una volta che abbiamo stimato i giocatori del primoordine, del secondo o di qualsiasi altro ordine ci piaccia,dobbiamo decidere che cosa vogliamo fare: dobbiamo

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dobbiamo decidere che cosa vogliamo fare: dobbiamodare aiuto o passare oltre? Questa decisione è presa conuna cosiddetta regola di azione. Tale tipo di regoladipende dal punteggio del ricevente e dal proprio (cisono quattro possibili combinazioni dei due punteggi equindi un totale di 16 regole di azione). Per esempio, sipuò decidere di aiutare se il punteggio del ricevente èbuono e il proprio punteggio è cattivo. Un ragionamentopossibile è che, agendo in questo modo, si potrebbeaccrescere il proprio punteggio e quindi aumentare laprobabilità di ricevere aiuti in futuro.

Una strategia deriva dalla combinazione di una regoladi azione e di una regola di stima. Da quanto si è vistosopra, si desume che il numero totale delle strategie è 16= 256 = 4096 strategie. È un numero di possibilità moltogrande. Tuttavia questo universo di possibilità strategicheè stato esplorato in un pregevole studio all’Università diKyushu a Fukuoka che fu alla base della tesi di dottoratodi un brillante teorico, Hisashi Ohtsuki, che ritroveremoanche in capitoli seguenti.

Il docente di riferimento di Ohtsuki per la tesi era ilformidabile biologo matematico Yoh Iwasa. Durante lamia prima visita in Giappone quasi tutte le persone checonobbi mi si presentarono come allievi e allieve di

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conobbi mi si presentarono come allievi e allieve diIwasa. Fui preso dalla curiosità di conoscere questo farodi ispirazione, il professore che era il numero uno inGiappone. Lo stesso Yoh scherza sempre sul suo nomedicendo che, mentre la maggior parte dei nomigiapponesi significano “il grande” o “il brillante”, il suosignifica in realtà solo “il mediocre”. Ma, nonostantequeste sue ironie, è modesto. Il suo nome significa inrealtà “la sezione aurea”, ossia la posizione piùdesiderabile del perfetto equilibrio, o anche l’aureamediocritas. Lui e i suoi studenti sono una forzaimportante nella biologia teorica.

Alla ricerca del perfetto equilibrio di qualità perassicurare che la reciprocità indiretta possa aiutare tuttinoi a procedere, Ohtsuki e Iwasa analizzarono una peruna le 4096 strategie possibili e dimostrarono che solo 8di esse erano evolutivamente stabili e potevano condurrealla cooperazione. Le strategie principali condividonoalcune caratteristiche: la cooperazione con una personabuona è considerata lodevole, e la defezione nei confrontidi una tale persona è considerata esecrabile. In altritermini, come si sarebbe indotti a sospettare, questestrategie distinguono fra una defezione giustificabile e unanon giustificabile, ossia discriminano contro i cattivi

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non giustificabile, ossia discriminano contro i cattivisamaritani. Se un buon donatore incontra un riceventecattivo, il donatore deve rifiutargli il suo aiuto, e questorifiuto non comprometterà la sua reputazione. Esso èvisto, in effetti, come una sanzione giustificata. Problemisimili furono esplorati anche da Karl Sigmund eHannelore Brandt a Vienna.

Ci sono ancora molte questioni aperte concernenti lareciprocità indiretta. Per illustrarne una, consideriamo loscenario seguente: uno scenario che sembra pertinenteper la cultura attuale ossessionata dalla celebrità, in cui cisono persone famose semplicemente per il fatto diesserlo. Se io aiuto qualcuno all’unico scopo diaccrescere la mia reputazione, che cosa accade? Noidiamo una grande importanza non solo al nostrocontrollo di quel che fanno altre persone, ma anche allacomprensione dei loro motivi. Se tali persone fannoqualcosa di clamoroso e di appariscente senza alcunareale preoccupazione per il benessere di altri, c’èqualcosa di sbagliato. Io trovo affascinante questadomanda, la quale ci riporta alla citazione di Gandhiall’inizio di questo capitolo.

Un’altra camminata nel Wienerwald

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Un’altra camminata nel Wienerwald

La buona reputazione, signore, sia per l’uomo sia perla donna, è il più spirituale gioiello. Se uno mi ruba laborsa, ruba dei soldi; è qualcosa e non è nulla; eranomiei, ora son suoi, come già furono di mille altri. Machi mi truffa il buon nome, mi porta via qualcosa chenon arricchisce lui e fa di me un miserabile.Shakespeare, Otello2

Durante la nostra escursione nei boschi di Vienna, Karl eio scoprimmo un altro meccanismo per l’evoluzione dellacooperazione, un meccanismo che si fondava sullareputazione. Nella reciprocità diretta tutto ciò che possofare è imparare da ripetuti incontri con la stessa persona.Il mio comportamento dipenderà perciò da quello cheessa ha fatto per me. Per la reciprocità indiretta, invece,in un gruppo ci sono ripetute interazioni. Ora il miocomportamento verso di te dipende anche da quello chetu hai fatto ad altri.

Questa idea è oggi molto diffusa nel commercioelettronico, dove se ne vedono molte applicazioni. Nelweb, per esempio, ci sono molti modi per valutare ilcomportamento delle persone. Anche quando incontri un

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comportamento delle persone. Anche quando incontri unestraneo, puoi trarre beneficio dall’esperienza fatta conlui da qualcun altro. Per esempio, quando compri unamacchina fotografica online, consideri con altrettantaattenzione la reputazione del venditore e il prezzo. Acoloro che partecipano alle aste di eBay si domanda,dopo ogni transazione, se sono rimasti soddisfatti del loropartner o no. In conseguenza del loro giudizio, ilpunteggio può essere aumentato o diminuito di un punto.Le valutazioni dei membri di eBay, accumulate nel corsodi un anno, sono dunque di dominio pubblico. Questarozza forma di valutazione sembra essere sufficiente alfine della costruzione di una reputazione, e ragionevolecome prova da usare per evitare di essere manipolati.

Di conseguenza mentre tratto con te posso beneficiaredell’esperienza di altri prestando molta attenzione alla tuareputazione. Se sei stato inaffidabile io sarò cauto,mentre se sei stato generoso è più probabile che io mi fididi te. La reciprocità indiretta fornisce quindi un potentesostegno: David Haig, biologo evoluzionista ad Harvard,compendia elegantemente questa situazione: «Per lareciprocità diretta occorre una faccia, per quella indirettaoccorre un nome».E per un nome occorre un linguaggio, un’etichetta che

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E per un nome occorre un linguaggio, un’etichetta chepermetta di distinguere una persona da un’altra nelgrande fiume della vita. Così, perché la reciprocitàindiretta possa funzionare, abbiamo bisogno di un modoper comunicare fra di noi, per discutere le nostresperanze e i nostri timori e per imparare dalle esperienzealtrui. Io credo che, più di qualsiasi altra cosa, sia stata ladomanda di cooperazione sociale attraverso lareciprocità indiretta a promuovere l’evoluzione dellinguaggio umano. E per possedere una facoltà cosìcomplessa come il linguaggio umano, occorre un cervelloimpressionante. La mia camminata con Karl ci avevacondotti molto lontano dalla reciprocità diretta,rivelandoci un vasto panorama di cooperazione.

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Capitolo 3

Giochi spaziali: la scacchiera della vita

La scacchiera è il mondo, i pezzi sono i fenomenidell’universo, e le regole del gioco sono quelle chenoi chiamiamo le leggi della natura. Il giocatore cheè davanti a noi ci rimane nascosto. Thomas Huxley

Se le persone non credono che la matematica siasemplice, è solo perché non si rendono conto diquanto sia complicata la vita. John von Neumann

Dove c’è vita ci sono grumi, aggregazioni e colonie. Ibatteri crescono sotto forma di pellicole. I funghimucillaginosi (mixomiceti) si associano in formetridimensionali simili a sombreri. I bisonti si raccolgono in

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tridimensionali simili a sombreri. I bisonti si raccolgono inmandrie, le formiche si organizzano in colonie, le scimmieformano branchi. Ci sono orde di lupi, banchi di pesci,stormi di oche, sciami di api e nubi di moscerini.Ovviamente anche le popolazioni umane formanostrutture. Noi siamo organizzati in paesi, cittadine egrandi città. Ci assembriamo nei posti di lavoro, nellescuole, nei teatri e nei bar. Abbiamo folle, vicinati,compagnie, comunità religiose, organizzazioni culturali epolitiche.

Quando cominciai a lavorare sui modi in cui lareciprocità può risolvere il dilemma del prigioniero, midomandai se la struttura di una popolazione non potesseoffrire un altro modo per risolverlo. Ricordiamo che icalcoli illustrati negli ultimi due capitoli si fondavano su unassunto semplice: i giocatori che si affrontano neldilemma appartengono a una popolazione ben mescolata,nella quale ognuno ha una probabilità uguale di incontrareogni altro. In queste popolazioni uniformi trovammo che idefezionisti avevano sempre la meglio sui cooperatori.

Ma, ovviamente, tutte le popolazioni reali hanno unaqualche struttura. Che differenza fa questo dato di fatto?La struttura di una popolazione potrebbe influire sull’esitodel dilemma semplice del prigioniero? Potrebbero esserci

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del dilemma semplice del prigioniero? Potrebbero essercistrutture in grado di far trionfare i cooperatori suidefezionisti?Il fatto stesso che delle persone scelgano di vivereconcentrate in una comunità anziché sparse a caso suun’area più vasta ha a che fare con la cooperazione.Perché? C’è chi crede, per esempio, che le primecomunità umane si siano evolute in conseguenza delsuccesso dell’agricoltura: le eccedenze di cibo resesidisponibili avrebbero permesso agli uomini disedentarizzarsi e specializzarsi in lavori come quelli delmacellaio, del fornaio o del produttore di candele. Altricollegano la formazione di comunità ad antichi sistemi dicredenze e religioni. Per esempio Göbekli Tepe (laCollina dell’ombelico), nella Turchia meridionale inprossimità della Siria, è un santuario con pilastri dicalcare che furono scolpiti ed eretti da cacciatori-raccoglitori più di 11 000 anni fa. Questa notevolescoperta suggerirebbe che siano stati dei templi apiantare i semi delle città: una fase di sedentarizzazioneche coincise con l’introduzione dell’agricoltura.

Forse le città nacquero dalla lotta per l’esistenza: inUna cura per la Terra Stewart Brand (2009)suggerisce che la primissima invenzione urbana sia stata ilmuro difendibile, seguito da edifici rettangolari che

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muro difendibile, seguito da edifici rettangolari chepotessero accogliere con efficienza un gran numero dipersone all’interno del muro stesso. L’archeologo ColinRenfrew sostiene che le prime comunità sorserosimultaneamente alla nascita della mente moderna. Ciòaccadde quando gli effetti del nuovo software intellettualepermisero ai nostri progenitori di cooperare in un modopiù costante. Io scoprii tuttavia, dalle mie simulazioni alcomputer, che non c’è bisogno di un grande poterementale per beneficiare della formazione di unacollettività.

Il gioco di Dio

Si possono ricondurre gli sforzi per collegare vita egeografia – al modo dei cosiddetti automi spaziali – auno studio del grande John von Neumann, il qualecredeva che gli organismi biologici potessero essereconcepiti come sistemi per l’elaborazione di informazioni.Il fatto che sia oggi possibile scrivere e sintetizzare ilcodice genetico di un essere vivente in laboratorio, comeun programma per computer esaltato forse oltre i suoimeriti, mostra quanto avesse ragione. Egli si sforzò discoprire in che cosa consistesse la differenza fra il tipo

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scoprire in che cosa consistesse la differenza fra il tipobanale di riproduzione che permette per esempio aicristalli di crescere in provetta e il tipo più intelligente chepermette la riproduzione di esseri viventi. Per esplorare ladifferenza, von Neumann si propose di progettare unamacchina abbastanza complessa da riprodurre se stessa.

A questo scopo escogitò un automa capace diautoriprodursi, un robot che galleggiasse in un mare disuoi componenti, proprio come gli esseri viventi sullaTerra prosperano e abbondano fra i mattoncini chimiciper la costruzione della vita. Von Neumann costruì sullebasi poste da Alan Turing, il matematico inglese cheaveva formulato i fondamenti logici del computer conl’idea della macchina universale di Turing: unosplendido dispositivo astratto per esplorare i limiti teoricidella matematica.

Von Neumann dimostrò anche l’esistenza di unautoma universale, una simulazione astratta di unassemblatore fisico universale. Gli errori logici all’internodi un automa potevano essere considerati comemutazioni, che permettevano l’emergere di varietà diautomi più complesse; in un ambiente con risorse finite lapressione selettiva, nella forma della sopravvivenza delpiù adatto, avrebbe condotto all’evoluzione darwiniana.

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più adatto, avrebbe condotto all’evoluzione darwiniana.Ma non c’era alcun modo matematicamente rigoroso peranalizzare la creazione di von Neumann, e tanto menoc’erano i mezzi per costruire il suo automa.

Il matematico Stanislaw Ulam diede a von Neumanndei consigli su come semplificare la sua macchina capacedi autoriprodursi. Propose un modo per costruiremacchine di von Neumann con la pura logica: suggerì disostituire l’automa fluttuante con quelli che battezzòtessellation robots. Questa bizzarra espressione siriferisce alla crescita dei cristalli, che si verifica attraversola costruzione di bloc-chi unitari, le cosiddette tessere.L’attuale robot a tassellazione di Ulam è chiamatoautoma cellulare ed è un’aggregazione astratta di celleprogrammate per eseguire regole in massa. Queste celle,assimilabili alle caselle di una scacchiera, eseguonocalcoli all’unisono e possono essere considerate unasorta di organismo che funziona sulla base della solalogica, anche se hanno ben poco in comune con quellereali.

In un tempo dato ogni cella dell’automa si trova in unparticolare stato. Uno stato potrebbe essere un certocolore, per esempio rosso, verde o blu, un valorenumerico, o semplicemente acceso o spento.

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numerico, o semplicemente acceso o spento.Nell’automa il tempo non è continuo, bensì discreto,cosicché avanza a ogni tic-tac di un orologio. A ogni tic,semplici regole determinano in che modo ogni cellacambi di stato al passaggio da un istante all’altro. Questeregole dipendono non solo dallo stato di ogni particolarecella, ma anche dagli stati delle loro vicine: una tavola diricerca predeterminata fondata su regole decide che cosala cella dovrà fare subito dopo. Così, in un automabianco e nero, potrebbe accadere che, se tutte le cellevicine sono nere, la cella centrale debba essere bianca.Nonostante l’apparente semplicità di questaorganizzazione, venne fuori che ogni risultato conseguitodall’automa originario di von Neumann poteva essereimitato dal sistema cellulare di Ulam.

Dopo la morte di von Neumann, il testimone per laprosecuzione dello studio degli automi cellulari passò adaltri, in particolare a John Holland, professore dipsicologia, ingegneria elettrica e scienza dei computerall’Università del Michigan. Nel 1960, Holland delineòun computer a circuiti iterativi, imparentato con gliautomi cellulari, che era in grado di imitare processigenetici. Nonostante il titolo scarno e un po’ criptico,questa ricerca catturò l’immaginazione del pubblico.

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questa ricerca catturò l’immaginazione del pubblico.Come si espresse un quotidiano: «Fu lui a insegnare aicomputer come fare sesso». Questa visione logica dellavita cominciò ora a essere ripresa dai ricercatori in altrilaboratori. Uno dei meglio noti è il matematico ingleseJohn Conway.

Per vari mesi, verso la fine degli anni Sessanta, ildipartimento di matematica alla Cambridge Universityoperò al servizio degli sforzi di Conway per trovare unamacchina ipotetica in grado di costruire copie di sestessa. Un grande assortimento di gettoni da poker,monete straniere, conchiglie di cipree e altro era usatoper marcare le celle “viventi” in configurazioni che sidiffondevano sul pavimento della stanza comune, mentresi riapplicavano le regole a ogni pausa per il tè. E persinoin quei momenti Conway usava un computer per studiarepopolazioni dall’esistenza particolarmente duratura.

Nel 1970, egli svelò il suo gioco della vita. A questopunto aveva selezionato con grande cura le regole deisuoi automi per trovare un delicato equilibrio fra dueestremi: le molte configurazioni che crescevanorapidamente senza limiti e quelle che svanivanorapidamente nel nulla. L’espressione evocativa giocodella vita rifletteva il grande fascino esercitato su

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della vita rifletteva il grande fascino esercitato suConway dal modo in cui una combinazione di pocheregole poteva produrre modelli globali capaci diespandersi, generare forme o estinguersiimprevedibilmente.

Alcune persone preferiscono gioco di Dio inriconoscimento del fatto che i giocatori hanno a lorocompleta disposizione un universo-giocattolo. Prendereparte a questo gioco è facile: non si richiedono miracoli,un pubblico o libri sacri. Immaginiamo una scacchiera,con gettoni in alcune caselle, dopo di che si seguonoqueste regole semplici: se una casella vuota ha tre casellevicine occupate (intendendo caselle con un lato adiacentee anche caselle a contatto vertice con vertice, ossiadisposte in diagonale), diventa “viva”, essendo nutritadalle sue vicine; se una casella ha due vicine occupate,rimane immutata; infine, se una casella occupata ha unqualsiasi altro numero di caselle vicine occupate, perde ilsuo gettone. Per antropomorfizzare la situazione, lacellula (nell’automa la cella) muore struggendosi peramore della casella vicina e per l’impossibilità dicooperare.

Conway congetturò che nessuna popolazioneinizialmente finita potesse crescere senza limite in numero

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inizialmente finita potesse crescere senza limite in numeroe offrì 50 dollari al primo che fosse riuscito a fornire unadimostrazione o una confutazione. Il premio fu vinto nelnovembre 1970 da un gruppo dell’Artificial IntelligenceProject del Massachusetts Institute of Technology (MIT),il quale scoprì un lanciatore di glider (alianti): unaconfigurazione mobile, formata da 5 gettoni, che ogni 30mosse lanciava un glider. Poiché ogni glider aggiungeva5 gettoni, la popolazione poteva crescere senza limiti. Siscoprì che i glider i cui moti si intersecavanoproducevano risultati fantastici, dando origine a straneconfigurazioni, che a loro volta generavano altri gliderancora. A volte le collisioni si espandevano, ingoiandotutti i lanciatori. In altri casi la massa di collisionidistruggeva i lanciatori in risposta a lanci.

Le configurazioni prodotte potevano esserecomplesse: in effetti, si può dimostrare che l’automacellulare è equivalente a una macchina universale diTuring, cosicché il gioco della vita è teoricamentealtrettanto potente di qualsiasi computer. Non occorremolta immaginazione per vedere che gli automi cellulariforniscono un potente strumento allo studio delleregolarità della natura. Stephen Wolfram, il quale scrisseil suo primo saggio all’età di sedici anni, e a diciassette

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il suo primo saggio all’età di sedici anni, e a diciassetteandò a studiare all’Università di Oxford, e che sviluppòpoi un software di grande successo chiamatoMathematica, oltre a un nuovo tipo di motore di ricerca(Wolfram Alpha), capovolse questa idea nel suo libro ANew Kind of Science (2002). Egli sostiene che lacomplessità e la casualità nella vita, nell’universo e in ognicosa sarebbero il risultato di automi cellulari. Si puòpensare che qualsiasi cosa faccia parte di un giocospaziale.

Giochi spaziali

Attorno all’inizio degli anni Novanta, mentre ero ancora aOxford, cominciai a riflettere intorno agli effetti dellospazio sulle mie ricerche. Fino ad allora i giocatori neimiei giochi per computer erano rimasti confinati inpopolazioni in cui tutti gli individui si imbattevano l’unonell’altro a caso. Molti scenari dell’origine della vitaritengono però che l’inizio della nostra specie siaavvenuto in un luogo preciso, in cui un evento accidentaledella chimica inorganica avrebbe varcato la soglia fra lamorte e la vita per creare la chimica organica.

Uno degli esempi meglio noti di un tale evento

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Uno degli esempi meglio noti di un tale eventoaccidentale si può trovare in una lettera del 1871 diCharles Darwin al botanico Joseph Hooker, suo buonamico: «Ma se (oh quale grande se!) potessimoconcepire che in un qualche piccolo stagno caldo, inpresenza di ogni sorta di sali ammoniacali e fosforici, diluce, calore ed elettricità ecc., si formasse chimicamenteun composto proteico pronto a subire cambiamentiancora più complessi, oggi tale composto verrebbeistantaneamente divorato o assorbito, cosa che nonsarebbe avvenuta prima della formazione di organismiviventi»1.

Qui Darwin parla di uno scenario su cui tornerò inmodo più dettagliato nel Capitolo 6, dove prenderò inesame la lotta di quella che chiamo pre-vita con la vitastessa. A Oxford considerai il problema delle origini dellavita da un’altra angolatura. Cominciai a inter-rogarmi sucome trasformare la geografia in una teoria dei giochi.Che cosa accadrebbe, mi domandai, se si giocasse ildilemma del prigioniero, o un qualsiasi altro gioco, fragiocatori disseminati su un paesaggio? Cominciai aconcepire i “composti proteici” di Darwin – o lemolecole critiche, quali che fossero, che prepararono lavia all’avvento della vita – come i giocatori che si

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via all’avvento della vita – come i giocatori che siaffrontavano in un tale gioco spaziale. Se essi avesserocooperato, sarebbe potuta emergere la vita.

Schematicamente è facile vedere come un giocospaziale potesse funzionare lungo le stesse linee degliautomi cellulari. I giocatori sono disposti in unaconfigurazione a scacchiera (che potrebbe essereovviamente in tre dimensioni, o anche più). A ogni turno ilgiocatore che occupa una casella gioca con i suoi vicini.Alla fine del turno ogni casella è occupata dal suooccupante originario o da uno dei suoi otto vicini, aseconda di chi ha vinto quel turno: in altri termini, da chiha conseguito il payoff maggiore.

Si può apprezzare anche come una sempliceriflessione sulla disposizione delle molecole, delle celluleo di qualsiasi altro genere di cose nello spazio – e quindil’una in relazione all’altra – segni un cambiamentoimportante rispetto alle usuali ricerche sull’origine dellavita. Molti degli scenari considerano reazioni chimicheche hanno luogo in un mezzo ben miscelato, sia nelleturbolente e caldissime acque ricche di minerali di unasorgente idrotermale nell’oceano, sia in mezzo al “piccolostagno caldo” di Darwin, sia ancora nel fango ai suoimargini o nella schiuma galleggiante. Questo è il

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margini o nella schiuma galleggiante. Questo è ilcosiddetto brodo primordiale , e generazioni di teoricihanno cercato di immaginarne la composizione e hannosupposto che fosse omogenea, e che fosse la stessaovunque se ne potesse prelevare un campione.

Ma ci sono anche teorie sull’origine della vita in cui èrilevante l’organizzazione spaziale. Alcuni studiosihanno suggerito che i primi passi nella genesi della vitapotrebbero essere occorsi in punti specifici sullasuperficie di rocce, o anche fra strati di argilla, dove lemolecole possono concentrarsi e unirsi insieme in lunghecatene. In conseguenza di tutto ciò potrebbero esisteremasserelle di diversa composizione, a seconda delladiversa chimica che può trovarsi sulle varie superfici o fragli strati di argilla. L’influente biologo evoluzionista JohnMaynard Smith, per cogliere la distribuzione a chiazzeinsita in questa idea, coniò l’espressione “gastronomica”pizza primordiale. Quando cominciai il mio lavoro aOxford divenni un “pizzaiolo”, un maestro della pizzaprimordiale.

Per avvicinarmi alle idee sugli effetti dello spazio edella geografia potei attingere a lavori precedenti: versola fine degli anni Ottanta il mio mentore Bob May avevacompiuto studi insieme a Michael Hassell, dell’Imperial

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compiuto studi insieme a Michael Hassell, dell’ImperialCollege, a Silwood Park, su vespe che depongono leloro uova in o su altri insetti; tali studi rivelarono chec’era una distribuzione a chiazze di predatori e prede. Idue sentirono entrambi di avere fornito contributi diimportanza cruciale all’ecologia spaziale e Bob, secondouna modalità tipicamente sua, propose di deciderel’ordine del nome degli autori di un articolo firmato daentrambi con una serie di 25 partite di croquet. (Allaconclusione del torneo, Bob osservò mestamente:«L’articolo, mi duole dirtelo, sarà firmato Hassell eMay».) I due studiosi stavano cercando di esplorare glieffetti della geografia sulla teoria del caos, la qualemostra che il crescere e calare apparentemente casualedi popolazioni è predicibile a breve termine.

Per la mia ricerca sul dilemma del prigioniero scelsi diavvalermi di un approccio semplice. Avrei simulato unecosistema a chiazze giocando sulle caselle di unascacchiera. Programmai un computer per trovare checosa sarebbe accaduto in quello che chiamavo dilemmaspaziale del prigioniero usando un codice a quattrocolori che mi aiutasse a spiegare che cosa stesseaccadendo. La sorte di una singola casella dipendevadalla propria strategia, da quella delle 8 caselle a

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dalla propria strategia, da quella delle 8 caselle acontatto, e anche dalle strategie delle caselle ad essevicine. In altri termini, la sua sorte dipendeva da 25caselle in tutto, una disposizione di 5 per 5. La sorte diogni casella dopo ogni turno di giochi spaziali eraannunciata al mondo dal suo colore.

I risultati furono immediatamente ricchi, complicati econvincenti. La cosa fu, in effetti, affascinante perchéavevo progettato i giochi in modo che fossero il piùpossibile semplici. Non era previsto il ricorso al tit fortat, né alla reputazione, né a un comportamentocondizionale. Avevo introdotto solo cooperatoriincondizionali puri (babbei) e defezionistiincorreggibili puri (fossilizzati). Avevo sceltodeliberatamente di spogliare l’universo di tutta laricchezza delle possibilità fino a lasciargli un minimoformato da soli buoni e cattivi puri.

Se ammettiamo la reciprocità, diretta o indiretta, giàsappiamo che la cooperazione e la complessità possonoevolversi. Se però le escludiamo, siamo bloccati nelsemplice dilemma non ripetuto (a un turno solo) delprigioniero, che in una popolazione ben mescolata nonconduce mai alla cooperazione. Non c’era alcunapossibilità che la cooperazione potesse affermarsi inquesto contesto “classico”, in cui ogni giocatore può

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questo contesto “classico”, in cui ogni giocatore puòincontrarsi con uguale probabilità con qualunque altro.Riducendo il modello alla sua situazione minima, potevoinvestigare l’effetto puro dello spazio, non contaminatoda altri ingredienti, sul dilemma del prigioniero.

Cominciai a esplorare questo “mondo nuovo”variando semplicemente le configurazioni e i valori deiparametri iniziali. In riferimento al mantra dei computergarbage in, garbage out, ci si sarebbe potuti attendere“semplicità in ingresso, semplicità in uscita”. Dato quelche sapevo delle popolazioni ben mescolate, non miaspettavo che accadesse molto. Eppure davanti ai mieiocchi si dispiegò una complessa varietà di modelli.Cooperatori e defezionisti potevano coesistere fra loro.Alcuni modelli erano statici e altri presentavanooscillazioni, cosicché apparvero cicli di espansione e dideclino.

Un giorno, mentre tornavo a casa in bicicletta, mibalenò nella mente che una particolare configurazionedella mia pizza primordiale – un gruppo di forma più omeno quadrata di defezionisti, alla deriva in un mare dicooperatori – potesse fare qualcosa di speciale. Essadoveva crescere ai quattro angoli ma contrarsi ai quattrolati. Se era davvero così, pensai, nel mio computer

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lati. Se era davvero così, pensai, nel mio computerpoteva cominciare a svilupparsi qualcosa di moltocomplicato. Appena arrivato a casa programmai il nuovoscenario al computer e mi misi a osservare quello cheaccadeva.

Il risultato fu sbalorditivo. Si svilupparono i modelli piùincredibili. Questi giochi evoluzionistici generaronomosaici irregolari o regolarmente mutevoli, nei qualistrategie di cooperazione e di defezione coesistevano inun caos vorticante senza fine. Da un singolo defezionistaprese forma un fantastico caleidoscopio di modellisfarzosi, che suggerivano centrini di pizzo o finestre divetri colorati. Pensai che dovevo essere la prima personaad avere osservato strutture così vitali e belle. In effetti,poiché quelle immagini erano dinamiche, in perpetuomutamento, le loro turbolente regolarità sembravanocogliere la mutevole essenza della vita stessa. Ero felice,sorpreso. Volevo parlarne con qualcuno, ma non c’eranessuno con cui potessi scambiare idee.

Ursula e io vivevamo in un piccolo appartamento alWolfson College, un nirvana accademico pieno di giovanie interessanti ricercatori appassionati al loro lavoro. Ilnostro appartamento si affacciava su un tranquilloormeggio di barche e su un ponte che scavalcava il fiume

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ormeggio di barche e su un ponte che scavalcava il fiumeCherwell, un affluente del Tamigi. L’appartamento eracomposto da due soli locali, piuttosto piccoli. Nellacamera da letto, fra il letto e la finestra, avevo sistematouna piccola scrivania. Questa sistemazione compatta deimobili si rivelò molto comoda. Ogni volta che finivo dilavorare potevo subito sdraiarmi a letto e riposare.

Fui fortunato perché, una volta tornato all’edificio dizoologia, potei rappresentare queste figure viventi in tuttoil dettaglio del Technicolor, con l’aiuto di un computerappartenente al biologo evoluzionista Bill Hamilton.Questo computer era un segno materiale del suo altostatus all’interno del dipartimento di zoologia di Oxforded era associato a un pacchetto di grafica molto ricco(per quel tempo), collegato con quello che era allora unhardware estremamente avanzato: una stampante acolori. Bill fu molto gentile con me, permettendomi dilavorare col suo computer nel suo ufficio ingombro dicose.

Io ero seduto davanti al computer, vicino allapregevole stampante, mentre Bill lavorava lontano allasua scrivania dietro di me. Di tanto in tanto ci trovavamoentrambi a osservare queste strane immagini fiorire eavvizzire, e poi sbocciare e morire nuovamente. Bill si

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avvizzire, e poi sbocciare e morire nuovamente. Bill sirese conto che c’era qualcosa di nuovo. Discutemmoaddirittura su quale sarebbe stato il codice di coloremigliore per evidenziare ciò che stava accadendo nelcomputer: azzurro per i cooperatori perché l’azzurro è ilcolore del cielo e rosso per i defezionisti perché è ilcolore degli inferi. Scelsi per me il verde, per svolgere ilruolo di un cooperatore che in precedenza era stato undefezionista, e il giallo per il caso contrario. In questomodo, l’azzurro e il rosso segnalavano le celle statiche,mentre il verde e il giallo mostravano il flusso e ilmutamento.

Nei miei giochi vidi spuntare, in modi del tutto naturali,riflessi della straordinaria complessità già osservata nelgioco della vita di Conway. In una delle “partite” chegirò nel mio computer emerse un camminatore, formatoda una struttura a L, consistente in dieci cooperatori chepotevano avanzare senza timore in un mare di defezionistirossi. Due cooperatori, se entravano in collisione fra loro,potevano esplodere in un “big bang” di cooperazione,dove chiazze di un azzurro cooperativo erano orlate diverde, quando i defezionisti erano conquistati a uno stiledi vita più altruista.

Trovai che se cominciavo con modelli simmetrici finivo

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Trovai che se cominciavo con modelli simmetrici finivoper avere disposizioni sempre mutevoli di quadrati conuna geometria frattale, nella quale uno stesso tipo distruttura (come quella delle nubi e dei cavolfiori) puòessere osservata su tutte le scale, così che le varie figureappaiono sempre uguali, anche se le si ingrandisce. Sipotevano “seminare” tali strutture facendo invadere unmondo di cooperatori da un singolo defezionista: idefezionisti guadagnavano ai vertici, ma perdevano ai lati.Poiché le figure erano sempre mutevoli, Bob e iochiamammo il film senza fine frattale dinamico, untappeto persiano con un disegno che combinava l’ordinedella simmetria col caos. Questi raggruppamenti dicooperatori e defezionisti potevano continuare acrescere. Eppure, benché il modello reale fosse fluido emutevole per tutto il tempo, l’abbondanza relativa deicooperatori fluttuava sempre attorno allo stesso livello,un misterioso 31,78 per cento.

Creai allora un semplice modello matematico checercava di spiegare questa osservazione. Ne parlai aBob, il quale, il giorno dopo mentre scendeva dal letto,ebbe un’intuizione illuminante: capì d’improvviso chec’era bisogno solo di qualche approssimazione e di unpiccolo calcolo, che riusciva a fare mentalmente; infine, il

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piccolo calcolo, che riusciva a fare mentalmente; infine, iltutto si ridusse a un semplice integrale (che normalmenteè usato per calcolare l’area compresa sotto la curvadisegnata in un grafico). Bob calcolò in pochi secondianche questa. Tutto ciò di cui aveva bisogno era il valoredel logaritmo naturale di 2 e naturalmente ricordava chequesto valore è 0,69.

Qualche istante dopo ebbe il risultato: 31,78 percento. Fu un grande momento. Nel mutevole universodell’imprevedibilità e del caos c’era un punto fisso: lafrequenza media dei cooperatori era del 31,78 per cento.Il nostro calcolo aveva spiegato perché questo numerosia valido per modelli simmetrici. A tutt’oggi rimane peròun enigma il perché questa magica percentuale valgaanche per modelli asimmetrici, quelli che si formanoquando le combinazioni di parametri producono icomportamenti più fluidi e interessanti.

I nostri risultati furono pubblicati nel 1992 da“Nature”. Vedo ancora l’espressione di gioia di Bobquando il nostro articolo fu accettato. Per celebrarel’evento mi recai in una piccola copisteria nei pressi delNew College e mi feci stampare delle t-shirt con queimodelli evocativi. Immaginai stupidamente che un giornoun’industria d’arte generata da computer si sarebbe

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un’industria d’arte generata da computer si sarebbefondata sui meccanismi del mio programma della pizzaprimordiale. Il mondo intero sarebbe stato infineattraversato da ondate avanzanti di defezionisti e dicooperatori. Le esposizioni di musei prestigiosi come ilMOMA di New York sarebbero state ispirate da questaeterna lotta fra la luce e le tenebre. Purtroppo, a quasidue decenni di distanza, questo campo particolare di artegenerata da computer non ha ancora realizzato il suopotenziale. C’è però una piccola consolazione: Linux usauna delle mie figure come salvaschermo.

Benché le mie esagerate ambizioni artistiche sianorimaste frustrate, potemmo tuttavia trarre conclusioniinteressanti. Innanzitutto, una volta che si sia passati dauna popolazione ben mescolata di defezionisti ecooperatori (un brodo) a una eterogenea, a “ghetti” (unapizza), le traiettorie dell’evoluzione possono essere bendiverse e la cooperazione può emergere e prosperareanche in assenza di strategie complicate. In altri termini,in un mondo strutturato la cooperazione può emergeresenza il bisogno di un pensiero intelligente, anzi addiritturasenza il bisogno di un cervello.

Così le mie ricerche mi dissero qualcosa di profondosulle origini della vita. I modelli fornirono prove del fatto

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sulle origini della vita. I modelli fornirono prove del fattoche, introducendo la geografia nel dilemma delprigioniero, cooperatori e defezionisti possono esisterefianco a fianco. In natura ciò significa che sfruttatori esfruttati, onesti e disonesti, abusanti e abusati possonocoesistere anche senza la guida di una strategia. In questigiochi spaziali della vita non c’è chi possa vinceresempre, bensì piuttosto un’interazione dinamica di diversitipi.

Le simulazioni rappresentano buone notizie per lagenesi, che ora ci appare molto più facile. Alle originidella vita sarebbe molto più efficiente piantare il semedella cooperazione con l’aiuto di una “pizza”, di unasuperficie o di una struttura di qualsiasi genere, piuttostoche gettandolo in un brodo primordiale ben mescolato. Ineffetti, la stessa argomentazione si applica anche a livellopiù generale. Questo è il messaggio conclusivo della miaopera: gruppi di cooperatori possono prevalere, anche sesono assediati da defezionisti. E questo è il terzomeccanismo per l’evoluzione della cooperazione.

Per mostrare questo terzo meccanismo all’opera,studiai una versione del gioco più elaborata. Questa voltai miei giochi spaziali avevano tre tipi di caselle:cooperatori, defezionisti e caselle vuote. Qui l’idea è che

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cooperatori, defezionisti e caselle vuote. Qui l’idea è chesolo i cooperatori possono invadere territori vuoti; idefezionisti da soli si estinguono. Una tale composizioneoffre un grande vantaggio ai cooperatori. Si scopre chese essi sono mangiati dai defezionisti si ottiene un effettodel tipo terra bruciata. Anche i defezionisti siestinguono. Quando questi giochi sono svolti alcomputer, si osserva un movimento a ondate successive:i cooperatori sono cacciati dai defezionisti, i qualilasciano caselle vuote, che sono poi nuovamenteripopolate da cooperatori.

Ci sono evidenti implicazioni di questa ricerca per fasipiù recenti dell’evoluzione, e persino per avvenimentiquotidiani. Nella vita di tutti i giorni la cooperazionespaziale abbonda: siamo più inclini ad avere rapportiamichevoli con i vicini e, se abbiamo bisogno di una tazzadi zucchero o di un litro di latte, è più naturale, e piùfacile, che ci rivolgiamo a loro. Può capitare di vedersiper bere qualcosa insieme, anche se non si ha in comunenient’altro oltre al fatto di abitare nella stessa strada.Nella Vienna della mia infanzia, i negozianti facevanosconti alle persone che lavoravano nei negozi vicini.Questo è un terreno fertile per la cooperazione. NeiCapitoli 12 e 13 mostrerò come estesi le mie ricerche

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sulla cooperazione spaziale per costruire modelli delleaggrovigliate interazioni della vita quotidiana, da reti dipersone che la pensano allo stesso modo, agli effettidell’amicizia e della vita nella buona società.

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Capitolo 4

Selezione di gruppo: guerre tribali

Mi bastava vedere qualcuno che avesse bisogno diaiuto: allora facevo quello che mi sembrava giusto.Wesley Autrey, noto come “samaritano dellametropolitana”, “superman della metropolitana”, “eroedella metropolitana” ed “eroe di Harlem”

Il comportamento istintivo e generoso del signorAutrey salvò la vita di nostro figlio. Non ci sonoparole per esprimere in modo appropriato la nostragratitudine. Larry Hollopeter, padre di Cameron

Quando Wesley Autrey rischiò la propria vita per salvarequella di un estraneo, divenne l’incarnazione dell’eroe di

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quella di un estraneo, divenne l’incarnazione dell’eroe ditutti i giorni. La sua nobile azione fu celebrata in letterecubitali sui quotidiani ed ebbe grande rilievo nei notiziaridelle televisioni di tutto il mondo. Questo newyorkese,muratore e veterano della marina militare, fu festeggiatodal presidente e celebrato dai poveri per il suo esemplareatto di altruismo. Egli ha mostrato a noi tutti che, nel“gioco della vita”, la sopravvivenza dipende dallagenerosità di altri non meno che da qualità personaliproprie come lo spirito di iniziativa, il desiderio dieccellere e via dicendo. Egli divenne una testimonianzavivente del potere della cooperazione.

La sua storia di eroismo è ben nota ma vale la penaripeterla. Il 2 gennaio 2007 Autrey stava aspettando ilmetrò insieme alle sue due figlie di sei e quattro anni allastazione della 137ª strada e Broadway a Manhattan,quando vide il giovane Cameron Hollopeter in preda a unattacco epilettico. Chiesta in prestito una penna, Autreyla usò per tenere aperta la bocca dello studente. Qualcheistante dopo Hollopeter parve riprendersi e si alzò inpiedi, ma poi cadde dal marciapiede sui binari.Nonostante le luci e il rumore che segnalavano l’arrivo diun treno diretto verso sud, Autrey saltò giù sui binari peraiutare lo studente caduto, sotto lo sguardo terrorizzato

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aiutare lo studente caduto, sotto lo sguardo terrorizzatodelle sue due figlie.Autrey si rese conto che non c’era abbastanza tempo pertrascinare via lo studente e si gettò quindi su di lui pertenerlo il più basso possibile. Il manovratore del trenoazionò subito i freni, ma ciò nonostante ben due carrozzepassarono sopra le due figure distese sulla massicciata,così vicino da lasciare una traccia di grasso sul berrettodi Autrey. Nel giro di poche settimane, Autrey ricevetteuna vera alluvione di regali, fu onorato dal sindaco diNew York Michael Bloomberg e fu colmato di elogi peril gesto eroico da lui compiuto nel “miracolo sotto la 137ªstrada”.

Anche se pochi di noi avrebbero abbastanza coraggioda imitare quell’atto eroico, la maggioranza vorrebbealmeno tentare di fare qualcosa per aiutare un estraneo inuna situazione difficile. Questo impulso può essere quasisentito come un riflesso che non richiede alcuna decisionecosciente: se vediamo qualcuno in pericolo, sentiamoimmediatamente il desiderio di aiutarlo. Questo istintopuò essere a volte così forte da indurre a sacrificare lapropria vita per salvare i propri commilitoni. Tuttiabbiamo in noi questo istinto, anche se per lo più non loseguiamo. In qualche modo l’empatia per il gruppomanipola a volte gli individui, sopraffacendo il loro senso

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manipola a volte gli individui, sopraffacendo il loro sensodell’interesse egoistico, in modo che agiscano a favoredel maggior bene comune.

Nel contesto dell’evoluzione e della selezione naturale,possiamo chiederci la ragione di questo comportamento.Ancora una volta, abbiamo qui tutti gli ingredienti deldilemma del prigioniero. Qualcuno offre un aiuto a uncosto importante per se stesso. Che cosa ci induce arischiare la vita, o magari un arto? Che cosa ci induce atendere una mano amica, invece di ritrarci e rifiutare ilnostro aiuto? Questo rompicapo turbò, in effetti, lostesso Darwin, che lo espose nel modo seguente:

È alquanto dubbio che la prole dei genitori più solleciti ebenevoli, o di quelli più fedeli ai loro compagni, possaessere allevata in maggior numero rispetto ai figli digenitori egoisti e infidi della stessa tribù. Chi era pronto asacrificare la propria vita, come è accaduto a moltiselvaggi, piuttosto che tradire i suoi compagni, nondoveva spesso lasciare figli che ne ereditassero la nobilenatura. Gli uomini più coraggiosi, che in guerra eranosempre pronti a esporsi in prima fila, e che rischiavanogenerosamente la loro vita per gli altri, dovevano in mediaperire in maggior numero rispetto ad altri uomini.1

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La soluzione di questo mistero potrebbe avere qualcheattinenza con la reciprocità indiretta. (In effetti, tutte lecose riguardanti la vita umana hanno qualche attinenzacon la reciprocità indiretta!) Una persona coraggiosa edesiderosa di aiutare potrebbe farsi un’ottimareputazione fra i suoi pari, accumulando doni e grandeammirazione da parte del sesso opposto. In questomodo si elude però un’altra domanda: perché il grupporeagisce così? Perché le norme sociali del gruppoattribuiscono valore positivo a questo tipo distraordinario comportamento cooperativo? Con ogniprobabilità le norme sociali della reciprocità indirettarichiedono un altro meccanismo di cooperazione. Igruppi che presentano norme sociali profondamenteradicate hanno la meglio sugli altri. In tal modo lareciprocità indiretta può cooperare con la selezione digruppo a plasmare l’umanità.

Lo stesso Darwin credeva in questo quartomeccanismo di cooperazione. Nell’Origine dell’uomo,edito nel 1871, suggerì che gli individui agirebbero per ilbene del gruppo. E a questo punto il gruppo puòprosperare a spese dell’individuo:

Una tribù comprendente molti membri […] che furono

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Una tribù comprendente molti membri […] che furonosempre pronti ad aiutarsi l’un l’altro e a sacrificarsi per ilbene comune, sarebbe vittoriosa sulla maggior parte dellealtre tribù; e questa sarebbe selezione naturale.2

La selezione naturale potrebbe così incoraggiare uncomportamento cooperativo, migliorando il potenzialeriproduttivo del gruppo.

Per quanto questa idea possa essere convincente,molti biologi moderni cominciarono a sbeffeggiare emettere in ridicolo il suggerimento che gruppi di organismipotrebbero conseguire un vantaggio per la sopravvivenzasu altri gruppi grazie alla condivisione di qualche trattobenefico. Non molto tempo fa quella che divenne notacome selezione di gruppo fu denunciata come eresia damolti biologi evoluzionisti. L’idea fu respinta, calpestata epoi nascosta sotto il tappeto. Qualche critico ha dettoche la «fallacia della selezione di gruppo [sorge in]fraintendimenti dilettantistici del darwinismo e a voltepersino fra biologi professionisti che dovrebbero esserepiù preparati». Oggi, però, questi atteggiamenti dogmaticisi stanno ammorbidendo. Con le chiare percezioni chestanno emergendo da una comprensione matematicadell’evoluzione, è facile vedere come la selezione naturale

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dell’evoluzione, è facile vedere come la selezione naturalepossa agire sia su individui sia su gruppi di individui. Puòdarsi addirittura che lo faccia fra gruppi di gruppi. Lasituazione più semplice, nella quale la selezione agisce suindividui e su gruppi, può essere concepita come unaselezione a due livelli. Poiché la selezione naturale puòagire su gruppi di gruppi e anche a molti più livelli, questofenomeno è oggi spesso chiamato selezione a moltilivelli.

Quando due tribù vanno in guerra

L’idea della selezione di gruppo di Darwin è semplice eseducente. Consideriamo due tribù rivali. Una ha membriche sono puramente egoisti e si impegnano solo a favoredi se stessi. L’altra ha membri disposti a compieresacrifici personali per il bene dei loro simili. Darwinpensava che la seconda tribù, composta da membri«coraggiosi, dotati di simpatia verso gli altri e di spirito difedeltà, che erano sempre pronti ad […] aiutarsi edifendersi reciprocamente […], si sarebbe diffusa esarebbe risultata vittoriosa sulle altre tribù»3. Grazie allaselezione di gruppo avrebbe prosperato.

La prima pietra miliare importante per rimpolpare

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La prima pietra miliare importante per rimpolparel’intuizione di Darwin è contenuta in un librodell’eminente zoologo ed ecologo britannico VeroWynne-Edwards, “Wynne” per gli amici. Egli sostenneche fare del bene ad altri membri del proprio gruppo eraanche un bene per la specie. Nel 1962 diede il via a unintenso dibattito sulla selezione di gruppo col suo librointitolato Animal Dispersion in Relation to SocialBehaviour, nel quale suggeriva che gli animali nonfossero sempre in lotta, come supponeva Darwin, neldesiderio di accrescere il loro numero, ma fossero inveceprogrammati in vista del conseguimento del benemaggiore.

Le popolazioni che manifestavano maggioremoderazione nella riproduzione e nello sfruttamento dellerisorse sopravvivevano ai gruppi più dissipatori. Così, lepopolazioni che mettevano al mondo meno figli potevanoaccrescere le loro probabilità di sopravvivenza. Grazie aquesto tipo di selezione di gruppo, nel corsodell’evoluzione si sviluppò l’autoregolazione dellagrandezza delle popolazioni. Come qualsiasi cosa buona,anche la selezione di gruppo può spingersi troppo oltre.Wynne-Edwards è stato criticato per avere usatoindiscriminatamente questa idea per interpretare una

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indiscriminatamente questa idea per interpretare unagrande varietà di comportamenti sociali senza unavalutazione appropriata.

È vero che alcuni suoi argomenti erano piuttosto vaghi.Per esempio, se assistiamo alle lotte fra i maschi di unaspecie notiamo che essi non si uccidono fra loro. Perché?Si può compendiare la risposta di Wynne-Edwardsnell’affermazione che, se i maschi si uccidessero l’unl’altro, questo fatto andrebbe a detrimento della specie.A un livello superficiale questa risposta non è sbagliatama è sciatta, e il problema richiede una maggioreriflessione. Vediamo di spiegarci meglio.

Fra quei maschi ci saranno ovviamente delle variazioniquando si consideri la loro capacità di combattere. Neconsegue che un maschio che vincesse una quantità dilotte, e che uccidesse molti rivali, potrebbe avere unvantaggio selettivo. E avrebbe, per definizione, maggioreprobabilità di sopravvivere e di lasciare una discendenzarispetto ai suoi pari. Ognuna delle generazioni da luidiscendenti tenderebbe a ereditare gli stessi trattiegoistici. Dopo varie generazioni di questa selezionenaturale, i maschi meno aggressivi in un gruppo sarannostati sopraffatti dai killer.

Questa tensione non fu compresa appieno da Wynne-

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Edwards e, al tempo stesso, i suoi sforzi pionieristici nonfurono pienamente apprezzati dai suoi pari. In queldecennio instabile, la selezione di gruppo divenne unconcetto senza dignità, insegnato primariamente comeesempio di come non si doveva pensare. Si potrebbespeculare sul problema se il consenso prevalente deltempo – la convinzione che il bene dell’individuo venisseprima di ogni altra cosa, persino di quello della società –fosse influenzato dallo Zeitgeist individualistico degli anniSessanta. E benché il saggio di Wynne-Edwards sia statol’opera più controversa del suo genere a quei tempi,persino i suoi critici più severi sarebbero stati d’accordonel riconoscere che contribuì quanto meno a stimolarequesta linea di ricerche.

Durante la rissa intellettuale iniziata da Wynne-Edwards, gli oppositori della selezione di gruppoaprirono varie falle nell’idea. Il biologo evoluzionistaGeorge C. Williams osservò nel libro del 1966Adaptation and Natural Selection che non esistevano,in realtà, adattamenti relativi ai gruppi e sostenne che lacosa non era teoricamente plausibile perché, in generale,la selezione individuale è una forza maggiore. Lariflessione dell’epoca indicava che la selezione fra gruppiesercitava nel migliore dei casi un’influenza debole

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esercitava nel migliore dei casi un’influenza debolesull’evoluzione in proporzione alla selezione all’internodei gruppi. Gli oppositori della prima sostenevano inoltreche il tempo trascorso fra la successione dellegenerazioni in un gruppo è più lungo di quello chetrascorreva nella selezione individuale, cosicché questaseconda sarà molto più rapida e quindi cancelleràqualsiasi effetto osservato a livello del gruppo.

La maggior parte dei teorici evoluzionisti insisteva sullatesi che tutti gli adattamenti dovevano essere spiegati neitermini dell’interesse egoistico individuale. Sostenevanoche i geni che operano nel modo migliore persopravvivere nella generazione successiva, o attraversoun’abile cooperazione o attraverso l’egoismoindividualistico, sono quelli che alla fine si affermeranno.In questa concezione i geni non potranno diventare piùfrequenti se non arrecheranno benefici agli individui chene sono portatori. Questo era tutto: un secolo dopo cheDarwin aveva abbozzato le sue idee embrionalisull’argomento, l’espressione selezione di gruppo eradiventata tabù.

A causa del suo ostinato sostegno della selezione digruppo, Wynne si trovò a percorrere un itinerariointellettuale sempre più solitario e isolato. Tuttavia

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intellettuale sempre più solitario e isolato. Tuttaviacontinuò, come regius professor di storia naturaleall’Università di Aberdeen, a cogliere ogni opportunitàper convincere gli scettici che la selezione di gruppofunzionava. Aveva un carattere deciso: praticava contenacia lo sci di fondo e faceva escursioni in collina. Nel1986 tentò di rispondere alle critiche che gli eranomosse, pubblicando il volume Evolution ThroughGroup Selection. A ottantasette anni, nel 1993, scrisse ilsuo ultimo articolo sulla selezione di gruppo per il“Journal of Theoretical Biology”. Morì quattro anni dopoin una casa di riposo vicino a Banchory, nei dintorni diAberdeen, dove aveva fondato un gruppo per compierericerche sulla pernice rossa (Lagopus lagopus scoticus).Gli ultimi mesi li trascorse scrutando l’ambiente della DeeValley, col suo binocolo sempre a portata di mano.

Solo pochi scienziati erano disposti a farsi sostenitoridella selezione di gruppo. Forse il più noto è David SloanWilson, professore alla Binghamton University. Fedelealla convinzione che la biologia evoluzionistica avessepreso una direzione sbagliata negli anni Sessanta, lavoròsull’idea della selezione di gruppo per più di tre decenni.

A questo cavaliere solitario si unirono, in un ricercareapparentemente donchisciottesco, Elliot Sober, filosofo

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apparentemente donchisciottesco, Elliot Sober, filosofodella scienza dell’Università del Wisconsin, esuccessivamente il grande naturalista Edward O. Wilsondi Harvard (ritornerò su Wilson nel Capitolo 8). Perconvincere i loro colleghi che poteva esserci una effettivacorrispondenza tra la selezione fra gruppi e quellaall’interno di gruppi, non poteva bastare loro la solaretorica. Erano richiesti studi sul campo ed esperimenti.

E questi studi ed esperimenti hanno cominciato aemergere. All’inizio del decennio 1981-1990, peresempio, David Craig dell’Università dell’Illinoiscondusse esperimenti artificiali sull’evoluzione in comunitàdi coleotteri delle farine (Tribolium confusum) –parassiti che si cibano di frumento e altri cereali – inrecipienti di vetro e scoprì che la selezione di gruppo eraefficace. Ci sono prove di selezione anche a livello dispecie. David Jablonski, all’Università di Chicago, hadimostrato che nelle ultime centinaia di milioni di annichiocciole marine con distribuzione geografica limitata sisono estinte con maggiore probabilità dei loro parenti piùdiffusi. I proponenti della selezione di gruppo avevanoora bisogno di nuovi modelli a sostegno delle loro nuoveprove sperimentali.

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Matematica della selezione di gruppo

La motivazione a immergermi nella selezione di gruppomi venne, come sempre, non da una conversazione inlaboratorio o fuori da un’aula, ma in una delle miecamminate con Karl Sigmund nella foresta di Rauris, nonlontano da Salisburgo. Entrambi sapevamo che c’eranostati tentativi anteriori di costruire modelli della selezionedi gruppo, ma non ne trovammo nessuno particolarmenteconvincente. Inoltre, erano troppo complicati per i mieigusti, oltre al fatto che non fornivano informazioni precisesulle leggi di natura fondamentali che guidavano questopotenziale meccanismo per l’evoluzione dellacooperazione.

Nel cuore della foresta, Karl e io ci imbattemmo inuna piccola asse di legno su cui era incisa una poesia diGoethe (1749-1832). Goethe – uno dei miei massimieroi – era un intellettuale enciclopedico, figura centraledella letteratura tedesca, aveva scritto anche varieinfluenti opere scientifiche, in particolare sul colore e sullosviluppo, e aveva influito indirettamente su Darwin. Lapoesia di Goethe comincia così: «Müsset imNaturbetrachten / Immer eins wie alles achten»4. Io non

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Naturbetrachten / Immer eins wie alles achten»4. Io nonavrei potuto pensare un modo migliore per esprimerel’idea di una selezione a molti livelli e, pur rendendomiconto che questo campo aveva una storia lunga, difficilee opprimente, cominciai a pensare se non potessefunzionare nel mondo reale.

L’impulso finale a rimboccarmi le maniche e amettermi a lavorare sulla selezione di gruppo mi venneanni dopo quando si aggregò al mio gruppo ArneTraulsen, uno studente di fisica intelligente e riflessivoproveniente dalla Germania settentrionale. Stavamocercando un progetto da realizzare e io avevo già dellebuone prove aneddotiche del fatto che i modelli diselezione di gruppo fossero la sua vera vocazione. Arnesembrava anche troppo consapevole del particolaregruppo del quale faceva parte: provenendo dalloSchleswig-Holstein, al confine con la Danimarca,nell’istante in cui attraversò l’Elba ad Amburgo sentì diavere lasciato la sua patria per entrare in quel territoriostraniero che chiamava sprezzantemente la “Germaniameridionale”.

Quando le mie conversazioni con Arne passarono allaselezione di gruppo, stabilii che era venuto il momentodecisivo. Cominciammo a sviluppare un modello, che

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decisivo. Cominciammo a sviluppare un modello, chesemplificammo ogni giorno fino a quando riuscimmo aisolare l’essenza della selezione a molti livelli. Il nostroprimo articolo apparve l’anno seguente, con l’aiuto delfisico Anirvan Sengupta, e fu ulteriormente sviluppato eperfezionato l’anno dopo. In questi articoli tornammo allenozioni più basilari. Mettemmo da parte tutto ciò che nonera essenziale per il funzionamento della selezione digruppo, tenendo solo il nocciolo matematico della verità.

Giungemmo in tal modo al seguente scenariosemplificato, formulato come sempre nel linguaggio dellacooperazione e della defezione: quando degli individuiinteragiscono con altri nello stesso gruppo, ottengono unpayoff. Gli individui possono riprodursi in proporzione alpayoff che hanno conseguito – cosicché coloro chesperimentano la cooperazione si trovano in una posizionepiù vantaggiosa di coloro che sperimentano la defezione– e i loro figli vanno ad aggiungersi allo stesso gruppo.Perciò i gruppi cooperativi crescono più rapidamente.

Nella seconda parte del nostro modello supponemmoche i gruppi potessero spaccarsi, un po’ come cellule chesi dividono o come fazioni rivali in una società che siseparano per percorrere strade diverse. Intendo conquesto che, se un gruppo diventa troppo grande, può

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questo che, se un gruppo diventa troppo grande, puòdividersi in due gruppi. A volte gruppi nati dallaframmentazione possono estinguersi a causa di limiti dispazio (come quando un gruppo viene a trovarsi esclusodal suo habitat) o di altre risorse (come quando dellesocietà falliscono, per esempio per mancanza di credito).Perciò abbiamo aggiunto la limitazione che, quando ungruppo si divide in due, un altro gruppo si estingue perlimitare il numero totale dei gruppi.

Facendo girare questo modello in un computer siscopre che i gruppi contenenti individui meglio adattatiraggiungono più rapidamente la grandezza critica e,perciò, si dividono più spesso. La cosa soddisfacente inquesto modello è che conduce alla selezione fra gruppi,anche se a riprodursi sono solo gli individui: il livello piùalto della selezione fra gruppi emerge dalla riproduzione,a livello inferiore, dell’individuo.

È notevole che i due livelli di selezione, considerati intermini di cooperazione e defezione, possano operareanche l’uno contro l’altro. I defezionisti possono imporsiall’interno di un gruppo, ma, a livello di gruppo, gruppi dicooperatori possono trionfare su gruppi di defezionisti.Così, benché non sempre la cooperazione possaarrecare beneficio agli individui che la praticano (i loro

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arrecare beneficio agli individui che la praticano (i lorosforzi possono essere sfruttati da imbroglioni escrocconi), osservammo che i gruppi in cui emerge lacooperazione hanno maggiori probabilità di durare alungo di quelli che si connotano per un comportamentoesclusivamente egoistico.

Applicando la matematica del nostro modello, emergeun risultato semplice e convincente. La selezione digruppo permette l’evoluzione della cooperazione, acondizione che il rapporto tra benefici e costi siasuperiore di uno a quello tra grandezza del gruppo enumero di gruppi. Così la selezione di gruppo funzionabene se ci sono molti piccoli gruppi, e non altrettantobene se ci sono pochi grandi gruppi macchinosi.

Una volta risolta la situazione più elementare,potemmo elaborare il modello per tenere conto anche dialtri fattori. Per esempio, potemmo considerare gli effettidella migrazione fra gruppi. La migrazione rende piùardua la vittoria dei cooperatori perché i defezionistipotrebbero sfruttare e distruggere un gruppo e poipassare a sfruttarne un altro. Di conseguenza lemigrazioni minano la cooperazione. Noi riscontrammoche ciò nonostante la selezione di gruppo continuava afavorire la cooperazione, purché il rapporto tra benefici e

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favorire la cooperazione, purché il rapporto tra benefici ecosti fosse accresciuto per compensare la migrazione. Inostri studi sull’influenza della migrazione hanno condottoa una conclusione semplice: ai fini di una selezione digruppo efficiente, i gruppi avevano bisogno dimeccanismi per impedire agli individui di migrare troppoliberamente – si può parlare di lealtà tribale o viscositàdi gruppo, se si preferisce.

Per applicare questo nuovo modello alcomportamento umano, si può cominciare riflettendo suigeni. Si potrebbero, per esempio, includere geni chesostengano gli istinti della generosità, dei vincoli morali, epersino della religiosità. I geni che favoriscono lacoesione di gruppo e scoraggiano la selezione all’internodei gruppi favorirebbero anche un senso innato dellamoralità e della lealtà al gruppo. Analogamente, se lacoscienza e l’empatia fossero di ostacolo alperseguimento dell’interesse egoistico, noi ci saremmoevoluti per essere sociopatici amorali. Ma non è statocosì. I gruppi con prevalenza di uomini e donnecoraggiosi – decisi, forti, innovativi, intelligenti, magnanimi– tendono a prevalere sui gruppi carenti di integrità e dicoraggio.

Uno studio di Sam Bowles, del Santa Fe Institute nel

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Uno studio di Sam Bowles, del Santa Fe Institute nelNew Mexico, suggerì che le differenze genetiche fraantichi gruppi umani possano essere state, in effetti,abbastanza significative da spiegare l’evoluzione dellacooperazione attraverso una competizione letale. Benchéverso la fine del Pleistocene, da 10 000 a 150 000 annifa, non esistessero molti esseri umani, Bowles sostieneche le oscillazioni climatiche di quel tempo possano avereindotto bande prima isolate di cacciatori-raccoglitori aincontri più frequenti. Questi incontri possono avereaccresciuto la possibilità di conflitti: quando la minaccia diessere spazzati via da un gruppo rivale è abbastanzagrande, i costi pagati dagli individui che fanno sacrificipersonali per il benessere del gruppo possono esserecancellati dalla crescente probabilità di sopravvivenza delgruppo stesso, compresi gli individui cooperatori.

Per valutare se persone dotate di una predisposizionegenetica alla cooperazione potrebbero o no prosperareanche in situazioni di violento conflitto, Bowles raccolsedati sulla letalità delle guerre antiche e li introdusse in unmodello evoluzionistico semplice. Il modello contrapposegruppi umani dotati di geni per un comportamentoaltruistico a gruppi che ne erano privi. In assenza diguerre, un gene che imponesse un costo di sacrificio

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guerre, un gene che imponesse un costo di sacrificiopersonale di alcune unità percentuali in termini diriproduzione perduta scomparirebbe dalla maggior partedella popolazione in 150 generazioni. Tuttavia Bowlesriscontrò che, se si introduceva nell’equazione lo stato diguerra, potevano essere mantenuti livelli di abnegazionemolto superiori. Nel complesso, scoprì che in moltepopolazioni e per molti valori parametrici plausibili, ancheconflitti molto infrequenti sarebbero bastati a diffondereforme molto costose di altruismo. In questo modoBowles trovò sostegno alla tesi paradossale che granparte della virtù umana sia stata plasmata e temprata nelcrogiolo della guerra.

Si può facilmente immaginare come uncomportamento altruistico possa aiutare ad assicurare ungruppo contro i costi del combat-timento. Per esempio,una gamba fratturata potrebbe essere fatale in un gruppoegoistico, dal momento che il membro ferito non sarebbein grado di procurarsi cibo e rischierebbe di morire difame. La condivisione del cibo permetterebbe invece aun membro ferito di sopravvivere in un gruppo altruistico,rendendo in ultima analisi anche meno rischiosa ladecisione di scatenare una guerra. La condivisione diinformazioni, di pubblico dominio o raccolte

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clandestinamente, potrebbe essere stata un altro modoefficace per proteggere gli interessi del proprio gruppo epotrebbe essere stata un’altra potente forza evolutiva perincoraggiare questo tipo di comportamento cooperativo.

La selezione naturale può agire sulla cultura umanaoltre che sui geni. Qualche studioso ha sostenuto conirrisione che una teoria scientifica dell’evoluzione culturaleche aspiri a imitare l’evoluzione darwiniana è impossibileperché le credenze e i comportamenti umani sonoimprevedibili e soggetti a contingenze storiche oltre che aimprovvisi mutamenti, scoperte e momenti di eureka.Tuttavia un modo esatto per illustrare come le forzedell’evoluzione possano plasmare la cultura fu usato inuna ricerca condotta nel Pacifico da Deborah Rogers,Marcus Feldman e Paul Ehrlich della Stanford University.

Il loro studio esaminò la forma delle canoe delle isoleFigi e di quelle di 10 arcipelaghi polinesiani. Il gruppo diStanford catalogò un lungo elenco di caratteri di canoe,sia funzionali sia ornamentali, e confrontò i ritmi dicambiamento dalla colonizzazione iniziale del Pacificoremoto, 3000 anni fa, fino a quando arrivarono inPolinesia i primi esploratori europei. Storicamente, nelPacifico, lunghi viaggi per mare furono essenziali per lapesca, i trasporti e la vita nelle isole, e la progettazione di

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pesca, i trasporti e la vita nelle isole, e la progettazione diuna canoa era una questione vitale. Un gruppo cheavesse usato una progettazione scadente, avrebbedovuto affrontate un rischio maggiore di estinzione.

Complessivamente, il gruppo di Stanford esaminò 96caratteri funzionali – per esempio come veniva costruitala carena o il modo in cui erano fissati ad essa i bilancieri– che potevano contribuire alla capacità della canoa ditenere il mare, e potevano quindi incidere sul suosuccesso nella pesca o sulla sopravvivenza di chi la usavadurante una migrazione o una guerra. I tre studiosivalutarono anche, per confronto, 38 elementi decorativi,religiosi o simbolici, che coprivano un periodo fra il 1595circa e i primi anni del Novecento. I risultati dei teststatistici mostrarono chiaramente che gli elementifunzionali della progettazione della canoa cambiarono piùlentamente nel corso del tempo, indicando che era laselezione naturale a eliminare i nuovi progetti di minoreefficienza.

Gruppi al lavoro

Finora mi sono limitato a discutere di gruppi di persone.Ovviamente, però, anche un singolo individuo potrebbe

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Ovviamente, però, anche un singolo individuo potrebbeessere considerato un gruppo, formato da un grannumero di cellule dedite alla cooperazione. Lasopravvivenza degli individui meglio adattati si riducequindi alla sopravvivenza delle cellule cooperative meglioadattate. In questo caso la selezione di gruppo opera allivello delle cellule, e persino a quello molecolare. Lesingole cellule che si combinano nella formazione dicolonie o di gruppi sono analoghe alle molecole che sireplicano, combinandosi nella costruzione di strutturecellulari.

Esperimenti affascinanti hanno mostrato come variestrutture possano competere fra loro. Il mio collega adHarvard Jack Szostak, il quale ha ricevuto recentementeun premio Nobel, ha suggerito che alle origini della vita lasopravvivenza del più adatto potrebbe avere svolto lafunzione di un semplice duello fra bolle di grasso – lecellule più antiche – piene di materiale genetico. Secondoesperimenti compiuti da Szostak insieme a Irene Chen ea Richard Roberts del California Institute of Technology,un materiale genetico che si replicasse rapidamentepotrebbe essere stato tutto ciò di cui una particolarebolla primordiale aveva bisogno per sconfiggere i suoicompetitori e cominciare a evolversi dando origine a

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competitori e cominciare a evolversi dando origine acellule più complesse.

Questi studi mostrarono che il materiale geneticopoteva guidare la crescita delle cellule – piccole sacchedi membrana – grazie al solo fatto di essere presente.L’RNA esercita una pressione osmotica sull’interno diqueste sacche, producendo in questo modo una tensionesulla membrana, la quale cerca di espandersi. La crescitaè possibile sottraendo membrana alle sacche vicine chehanno pressione interna più bassa per avere un minorecontenuto di materiale genetico. Nel corso degliesperimenti, Szostak e collaboratori osservarono che lesacche piene di materiale genetico crescevano, mentrequelle che ne erano prive si contraevano. Così le celluleche avevano un RNA che si replicava meglio – e chefinivano quindi con l’avere più RNA al loro interno –crescevano più rapidamente. Gli esperimenti mostraronoquindi che c’è una corrispondenza diretta fra lariproduzione – il modo in cui si replica l’RNA – e larapidità con cui la cellula può crescere. Le cellule cheavevano successo producevano una sorta di peluria edemerse infine una struttura filamentosa che, inconseguenza di piccole scosse meccaniche, potevaspontaneamente frammentarsi producendo cellule figlie.

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spontaneamente frammentarsi producendo cellule figlie.«Fu un bel passo avanti», disse con un sorriso raggianteSzostak, «perché ci mostrò per la prima volta che potevaesserci una competizione fra cellule, fondata su fenomenifisici».

A livello cellulare ci sono molte prove della selezionedi gruppo e alcuni fra i dati più convincenti sono venuti dastudi su microrganismi. Un ceppo del batterioPseudomonas fluorescens riesce a muoversi su unmezzo liquido stagnante producendo un polimero chepermette al batterio di formare una sorta di stuoia sullasuperficie liquida. Il polimero ha però un costo diproduzione elevato, e possono emergere batteri truffatoriincapaci di produrlo che traggono vantaggio dal durolavoro dei loro simili. Mentre essi sopraffanno i lorofratelli, la stuoia affonda. Il risultato finale è che a livello digruppo è selezionata la varietà di batteri che produce ilpolimero.

Gli effetti della migrazione furono rivelati daesperimenti su gruppi di batteri Escherichia coli e suvirus (fagi) che infettavano batteri coltivati su piastre in 96vivai distinti. C’erano due tipi di virus: fagi prudenti, chesono più produttivi quando sono soli; e fagi rapaci, chequando condividono una colonia di batteri fanno spostare

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quando condividono una colonia di batteri fanno spostarequelli prudenti. Qualsiasi fago rapace mutante dovrebbescalzare il suo progenitore, riducendo però, ovviamente,la produttività complessiva del suo ceppo e aumentandodi conseguenza il rischio di estinzione. Il successo delfago rapace dipende perciò dall’acquisizione di unaccesso a nuovi ospiti sufficiente a compensare ladiminuzione di produttività. Quando la migrazione èillimitata, il ceppo rapace meno produttivo soppiantaquello prudente. Negli schemi biologicamente plausibili,però, i ceppi di virus prudenti soppiantarono i ceppi piùrapaci, nonostante il loro svantaggio selettivo all’internodi ciascun gruppo.

L’ascesa della selezione a molti livelli

Benché l’argomento della selezione di gruppo sia statomolto discusso, credo che oggi ci sia una vasta gamma diprove, sperimentali e teoriche, per mostrare che essa èun processo distintivo e fondamentale che permea l’interaevoluzione, dall’emergere delle prime cellule alcomportamento di esseri sociali come l’uomo. Laselezione di gruppo non fa alcun assunto sulla naturacooperativa o egoistica degli individui, e tanto meno dei

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cooperativa o egoistica degli individui, e tanto meno deigeni stessi. Essa dice semplicemente che un’intensacompetizione fra gruppi, se migliorerà le prestazioni el’adattamento a livello di gruppo, favorirà meccanismiche offuscheranno la distinzione fra benessere di gruppoe individuale.

Perché possa verificarsi la selezione di gruppo occorreche tra i gruppi ci sia competizione e una qualchecoesione. Gruppi diversi hanno fitness diverse, aseconda della proporzione degli altruisti. Se l’80 percento degli appartenenti a un gruppo sono altruisti,questo gruppo farà meglio di un altro che abbia solo il 20per cento di altruisti. Così, mentre la selezione all’internodi gruppi favorisce l’egoismo, i gruppi con molti altruisti sicomportano meglio. È chiaro però che l’estensione dellaselezione di gruppo dipende da dettagli importanti, comela migrazione e la coesione dei gruppi. Con questaavvertenza, la selezione naturale può ovviamente operarea vari livelli, dai geni alle specie e forse anche oltre.

Ciò condusse alla logica delle matrioske, di gruppientro gruppi entro gruppi. Per questa ragione, come hoaccennato in precedenza, molte persone (me stessoincluso) chiamano anche la teoria della selezione digruppo teoria della selezione a molti livelli. Se ci si

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gruppo teoria della selezione a molti livelli. Se ci siconcentra solo sulla selezione individuale si perde di vistail quadro maggiore e ci si lasciano sfuggire i processievolutivi cruciali che operano a livelli superiori. Questisono i processi che operano fra specie, e forse anche frainteri ecosistemi, e che contribuiscono a plasmare eformare il mondo intorno a noi. L’articolo che scrissi conArne fornisce la base teorica per spiegare come sipossano ottenere in questo modo un numero arbitrario dilivelli di selezione.

Quel che c’è di potente nella selezione a molti livelli èche, oltre che sul DNA e sui geni, opera anche a livello dicultura. Quando analizziamo la competizione fra tribùvicine o fra stati, se vogliamo capire perché la lealtà a unatribù, una chiesa o un vicinato potrebbe superare quellanei confronti della famiglia o del proprio interesseegoistico, dobbiamo considerare sia le forze genetiche siaquelle culturali. In altri termini, abbiamo bisogno dicostruire un modello della coevoluzione di cultura e geni.

Anche se la selezione di gruppo ha una storia lunga eturbolenta, io credo di avere aiutato a stabilire che, nellegiuste circostanze, la selezione a molti livelli è un altro deimeccanismi responsabili dell’evoluzione dellacooperazione.

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cooperazione.Come il meccanismo della selezione spaziale in cui ci

siamo imbattuti nello scorso capitolo, il meccanismo dellaselezione a molti livelli può venire in aiuto a cooperatoriincondizionali che non usano strategie complicate. Lacomprensione dell’evoluzione umana e di ciò che aprì lastrada a comportamenti straordinari, come il grande attodi coraggio compiuto da Wesley Autrey, ci imporrà diesplorare in che modo la selezione di gruppo cooperi conla reciprocità diretta e indiretta. La cosa notevole è che,fra questi meccanismi, c’è una sinergia, cosicché il tuttorisulta maggiore delle parti. La selezione a molti livelli puòattivare la reciprocità diretta e indiretta, aprendo nuoveimponenti vie di cooperazione.

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Capitolo 5

Selezione di parentela: il nepotismo

Sacrificherei la mia vita a favore di quella di duefratelli o di otto cugini. John Burdon SandersonHaldane

Il sangue non è acqua. Spesso si ritiene che i legami difamiglia e quelli derivanti da un’ascendenza comune sianopiù forti di quelli dell’amicizia e della dimestichezza conpersone con le quali si ha una consuetudine quotidiana.Quanto più denso è il vincolo di sangue che ci lega aun’altra persona, tanto più possiamo sforzarci dicooperare con essa. Questa forma di nepotismo si èevoluta per permetterci di accrescere il numero dei nostrigeni trasmessi in questo modo alla generazione seguente,

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geni trasmessi in questo modo alla generazione seguente,ampliando così la grandezza delle nostre orme genetichefuture. Noto come kin selection (selezione parentale oselezione di parentela) questo è il quinto meccanismodella cooperazione.

L’idea base che si cela dietro la selezione parentale faappello al senso comune: la cooperazione può emergerepiù facilmente fra individui strettamente connessi fra loro.E fin qui è tutto semplice. Un gene che ti induce acooperare con tuo fratello o con tua sorella puòdiffondersi per selezione parentale perché il tuocongiunto, destinatario dell’atto altruistico, è moltoprobabilmente portatore dello stesso gene.

Su questo meccanismo c’è una vasta letteratura. Cisono stati libri influenti, come Il gene egoista di RichardDawkins, che hanno diffuso questa idea presso unpubblico ampio e molto interessato. La selezioneparentale ha però anche dei critici e, per quanto riguardaalcuni sviluppi recenti in questo campo, io mi annoverofra essi.

Prima di spiegare la mia posizione in proposito, vorreicominciare facendo un po’ di storia. Lo sviluppo diquesta teoria nel corso degli anni è legato a una vicendaaffascinante. L’idea fondamentale dietro la selezione di

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affascinante. L’idea fondamentale dietro la selezione diparentela fu colta per la prima volta in un pub, più dimezzo secolo fa, dallo scienziato indiano di originebritannica John Burdon Sanderson Haldane. Haldane,che è stato fra i personaggi più grandi e notevoli dellascienza del Novecento (insieme all’inglese Ronald Fishere all’americano Sewall Wright), è ricordato soprattuttocome un pioniere innovatore nel campo della genetica dipopolazioni, pur avendo fornito molti altri contributiimportanti.

Haldane fu anche un superbo divulgatore e scrissecentinaia di saggi, da Heredity and Politics (1938) aDaedalus or Science and the Future (1924). Nei suoiscritti abbondano le prove del suo spirito laconico: «Unaselezione intensa favorisce una risposta variabileall’ambiente […]. Se non fosse così il mondo sarebbemolto più opaco di quanto non sia in realtà». Nella suacollezione di saggi Possible Worlds (1930), Haldanevergò la frase immortale: «Sospetto che l’universo sia piùstrano non solo di quanto supponiamo ma anche diquanto possiamo supporre».

Non sorprende che egli abbia avuto un’influenzaimmensa. Nel 1924, quando pubblicò il suo Dedalo,questo fu il primo libro che parlasse della possibilità della

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questo fu il primo libro che parlasse della possibilità dellafecondazione in provetta, tecnica per la quale introdusseil termine ectogenesi. La sua opera ispirò Last and FirstMen (trad. it. Infinito) di Olaf Stapledon, che tracciò levicende dell’umanità dal presente in avanti, sui prossimi 2miliardi di anni e divisa in 18 specie umane distinte (fuquesto libro a motivare John Maynard Smith ainteressarsi alla genetica e all’evoluzione). Esso influìanche sul romanzo Brave New World (Mondo nuovo)di Aldous Huxley. E in un altro romanzo di Huxley, AnticHay (Passo di danza), compare lo stesso Haldane nellafigura del personaggio Shearwater, “il biologo troppoassorbito dai suoi esperimenti per notare che i suoi amicisi portavano a letto sua moglie”. Si pensa che Haldaneabbia ispirato anche la figura del satanico professorWeston nella trilogia interplanetaria di Clive StaplesLewis, Out of the Silent Planet (Lontano dal pianetasilenzioso) , Perelandra e That Hideous Strength(Questa orribile forza). Vero cristiano, Lewis siaffliggeva nel vedere che una servile adesione almaterialismo scientifico cancellava i valori idealistici, eticie religiosi.

Ma torniamo alla selezione parentale. Secondo laleggenda un giorno del 1955, in un pub di Bloomsbury,

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una vivace conversazione con Haldane accompagnata dauna generosa bevuta di birra approdò a un certo punto alproblema serio di quanto un individuo sarebbe statodisposto a pagare per salvare la vita a un’altra persona.Per esempio lui, Haldane, avrebbe rischiato la sua vitaper salvare un uomo che stava affogando? Dopo alcuniminuti di riflessione, durante i quali scribacchiò qualcosasul retro di una busta, Haldane rispose: «No, ma lo avreifatto per salvare due fratelli o otto cugini»1.

Così Haldane continuò a costruire sulla solida idea chei genitori si prendono cura dei propri figli e quindi deipropri geni. Egli aveva dato al mondo un’intuizioneinebriante della cooperazione che avrebbe sedotto variegenerazioni di biologi: se i geni erano le entità chiave chelottavano per sopravvivere fino alla generazionesuccessiva, aveva un senso per gli individui pagare uncosto se ciò serviva al tempo stesso per conferire unbeneficio a parenti portatori degli stessi geni.

Questa teoria della selezione parentale riconosce cheun gene può propagarsi per due vie. La prima è quellache ci è più familiare: un gene può prosperareaccrescendo la probabilità che il corpo in cui risiedesopravviva e produca figli portatori di altre copie di se

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sopravviva e produca figli portatori di altre copie di sestesso. La seconda via è quella consistente nel favorire lariproduzione di parenti stretti, portatori anch’essi di copiedello stesso gene. Così i fratelli, che condividono metàdegli stessi geni, metteranno a rischio la propria vita persalvarsi a vicenda con maggiore probabilità che persalvare propri cugini, con i quali hanno in comune solo unottavo dei loro geni. Haldane spiegò l’idea nel modoseguente: «Supponiamo che tu sia portatore di un generaro che influisce sul tuo comportamento, inducendoti atuffarti in un fiume per salvare un bambino se vedi che staper annegare. In questo tentativo tu hai una probabilità sudieci di affogare, mentre io, che non posseggo quel gene,rimango sulla riva e assisto inerte alla morte del bambino.Se il bambino è tuo figlio o tuo fratello, c’è unaprobabilità uguale che anche lui abbia lo stesso gene, cosìche nei bambini si salveranno cinque geni per unoperduto in un adulto. Se salvi un nipotino figlio di un tuofiglio o figlia, il vantaggio sarà solo di due e mezzo a uno.Se salvi solo un cugino primo, l’effetto è molto piccolo.Se tenti di salvare un cugino di secondo grado, è piùprobabile che la popolazione perda questo importantegene anziché guadagnarlo. È chiaro che i geni chefavoriscono comportamenti di questo tipo hanno qualcheprobabilità di diffondersi solo in popolazioni piuttosto

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probabilità di diffondersi solo in popolazioni piuttostopiccole, dove la maggior parte dei bambini sono parentiabbastanza stretti dell’uomo che ha rischiato la sua vita».Questa idea non è però così intuitiva quanto potrebbesembrare a prima vista. Immaginiamo che davanti a noi cisia un estraneo, che si sta agitando nelle acquespumeggianti di un fiume turbolento. Anche se non ècertamente nostro fratello (o sorella), o zio o cugino, ioricordo numerose persone – pensiamo all’eroismo diWesley Autrey, menzionato nel Capitolo 4 – che sigetterebbero in acqua senza stare tanto a pensare airapporti di parentela. Haldane aggiunse argutamente:«Nelle due occasioni in cui trassi fuori dall’acqua personeche rischiavano di annegare (con un rischio infinitesimoper me stesso), non ebbi il tempo di fare tali calcoli». Cisono altre spiegazioni per questo atto di altruismo.Considerando le spiegazioni che ho dato in capitoliprecedenti, i meccanismi di reciprocità indiretta e diselezione a molti livelli forniscono spiegazioni ugualmenteconvincenti per questo comportamento altruistico.

La matematica della selezione parentale

I suoi modi bruschi e la sua insofferenza per gli

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I suoi modi bruschi e la sua insofferenza per glistupidi gli resero difficile formarsi amicizie, anche seper quelli di noi che gli diventavano amici il rapportocon lui era molto gratificante. Io gli ero moltoaffezionato ma a volte mi domandavo quandoavrebbe scoperto che, giudicando con i suoi criteri,ero uno stupido. John Maynard Smith, allievo diHaldane

Haldane era uno degli eroi di Maynard Smith. Questidisse che l’ispirazione del suo maestro aveva aderito adue principi guida: uno era la chiara consapevolezza che«una spiegazione fisiologica o biochimica è piùfondamentale di una morfologica»; il secondo era che «unpizzico di algebra vale una montagna di argomentazioniverbali». Quando si trattò di analizzare la selezioneparentale, però, Haldane non fornì quel pizzico dialgebra. Le sue idee in questo contesto avrebberoricevuto una trattazione matematica nella tesi di dottoratodi Hamilton. I lavori di quest’ultimo furono poi pubblicatiin due lunghi articoli sul “Journal of Theoretical Biology”nel 1964 e Maynard Smith era uno dei membri delcomitato scientifico della rivista che li valutarono per lapubblicazione.

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pubblicazione.Hamilton cominciò la sua vita accademica come una

figura schiva e isolata dello University College di Londra.A quel tempo sembrava uno studente tipico: magro,capellone, un po’ timido e ingenuo. Preferiva lavorarenella sua camera in affitto a Chiswick e si recava nellebiblioteche di Londra con un borsone di tela pieno dicarte, libri, un maglione sgualcito e un panino fresco. Avolte fu sul punto di odiare la sua stanza solitaria, tantoda andarsene a lavorare nella Waterloo Station, inmezzo, come scrisse, «agli alcolizzati che vi cercavanorifugio o che desideravano come me una compagnia, agliinnamorati che si salutavano prima di avviarsi alle lorodestinazioni e ai bambini litigiosi radunati da madristanche».

Il giovane Hamilton era smanioso di poter usare lamatematica per risolvere un problema importante inbiologia, anche se si era già scontrato con la sua“bibbia”, il testo di Sir Ronald Fisher, vero e proprioclassico, The Genetical Theory of Natural Selection.All’inizio degli anni Sessanta spedì una cartolina a suasorella, oggi Mary Bliss, nella quale le confidava:«Comincio a pensare che la mia ambizione di diventareun biologo teorico possa essere più di un sogno,

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un biologo teorico possa essere più di un sogno,nonostante le mie scarse capacità in matematica». Poi,però, cominciò a occuparsi dell’altruismo, dagli insettisociali ai richiami di avvertimento degli animali sociali. Daltempo degli antichi greci in poi, per esempio, si trovanoparecchie attestazioni del fatto che i delfini si prodighinospesso in aiuto di esseri umani in pericolo di affogare, oaddirittura li difendano dagli attacchi di squali. (Hamiltonsi era imbattuto per la prima volta in questi notevolicomportamenti quando gli era stato domandato direcensire un libro sui delfini scritto dal suo padrino.)

Hamilton sviluppò invece un formalismo matematicoper l’idea proposta da Haldane. Egli introdusse ilconcetto centrale di fitness inclusiva. La sua idea eraquella di tentare di estendere il concetto di fitness, perenunciarlo in una formulazione più ampia. Per fitness ibiologi intendono una misura della capacità di unindividuo di sopravvivere e riprodursi, la probabilità cheun individuo lasci una prole più numerosa di altri nellagenerazione seguente. Il successo degli individui confitness maggiore è, ovviamente, ciò che conduce allaselezione naturale. Quando si venne a conoscenza dellostraordinario grado di cooperazione esistente tra gliinsetti sociali (per esempio formiche e api), la teoria della

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insetti sociali (per esempio formiche e api), la teoria dellafitness inclusiva di Hamilton suggerì che questocomportamento potesse evolversi perché continuaancora a soddisfare l’istinto egoistico di trasferire ineredità geni, anche se attualmente opera attraverso iparenti invece che attraverso l’individuo.

Un animale può trasmettere i suoi geni aiutando i suoiparenti a riprodursi anziché riproducendosi direttamente,perché i suoi parenti condividono geni con lui.Consideriamo il citello di Belding (Spermophilusbeldingi), scoiattolo delle praterie americane, piccoloroditore di colore bruno con coda corta, pelo corto eorecchie arroton-date. Quando un individuo produce unrichiamo di allarme per mettere in guardia i suoi familiaricontro un predatore che si avvicina, si espone a unasituazione di maggiore pericolo segnalando la suaposizione, ma contribuisce a proteggere i suoi parenti, equindi i suoi geni. Essendo disposto a correre il rischio disacrificare se stesso, lo scoiattolo potrebbe renderepossibile una maggiore fitness inclusiva. Troviamo qui uncosto di fitness per lo scoiattolo che lancia un grido diavvertimento, a cui corrisponde però un beneficio afavore del ricevente, nella forma della possibilità disfuggire al predatore e di continuare quindi a riprodursi.

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sfuggire al predatore e di continuare quindi a riprodursi.In sintesi, la formulazione della selezione di parentela

da parte di Hamilton dice che se il beneficio – tantomaggiore quanto maggiore è il grado di parentela – èsuperiore al costo, possono evolversi geni per talecomportamento altruistico. La regola di Hamilton, che siscrive r > c/b, è intesa a predire esattamente quantacooperazione ci si dovrebbe attendere in funzione delgrado di relazione genetica. Se il costo (c) di agirealtruisticamente, diviso per il beneficio (b) goduto dalricevente della cooperazione è inferiore al coefficiente dirapporto di parentela (r) dei due individui in questione (laprobabilità che entrambi gli individui posseggano il genein questione), allora potrebbero evolversi geni per lacooperazione.

Maynard Smith pubblicò idee simili a quelle diHamilton press’a poco nello stesso momento, e coniòl’espressione kin selection. (Hamilton preferì semprel’espressione inclusive fitness, “fitness inclusiva”.) Nellostesso decennio una versione più “elegante” dellamatematica di Hamilton fu sviluppata da George Price,scienziato americano che era stato ispirato dai duearticoli del 1964. Price fu una figura notevole perché, purnon avendo alcuna preparazione in genetica di

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non avendo alcuna preparazione in genetica dipopolazioni o in statistica, concepì quella che divennenota come equazione di Price, descrizione statisticagenerale del mutamento evoluzionistico. Come osservò lostesso Hamilton, i numeri venivano fuori dall’equazione diPrice «come i conigli dal cilindro di un illusionista». Pricecredeva che questa equazione avrebbe funzionato ancheper la selezione di gruppo e, benché Hamilton avessetrovato la selezione di gruppo piuttosto confusa, pensavache forse avrebbe potuto renderla plausibile con l’aiutodella formula magica di Price.

L’equazione di Price non si rivelò però così utile comeessi avevano sperato: si rivelò semplicementel’equivalente matematico di una tautologia. L’economistaMatthijs van Veelen, dell’Università di Amsterdam, trovòun modo elegante per illustrare questo punto. Egli amavacitare una frase del famoso giocatore di calcio JohannCruyff, vincitore per tre volte della Coppa dei campionicon l’Ajax e che totalizzò 48 presenze (con 33 gol) nellanazionale olandese, famoso per molte battute fulminanti ametà fra il geniale e il banale. Alcuni le chiamanocruijffiaans. Matthijs dice che l’equazione di Priceassomiglia a una battuta di Cruyff sul segreto del calcio:«Devi sempre assicurarti di avere segnato un gol più

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«Devi sempre assicurarti di avere segnato un gol piùdell’avversario». Come l’equazione di Price, questabattuta è certamente vera, ma non ti porta molto lontanose stai cercando di capire i come e i perché dei successinel gioco del calcio. Se l’equazione di Price è usatainvece di un modello reale, i suoi argomenti rimangonosospesi in aria come un miraggio seducente. Il lorosignificato sarà sempre fuori della portata delleinvestigazioni dei biologi, per quanto siano acuti.

Questo miraggio può essere seducente ma fuorviante.L’equazione di Price può indurre erroneamente qualcunoa credere di avere costruito un modello matematico di unqualsiasi sistema che sta studiando, ma spesso si trattasolo di una convinzione erronea. Benché dall’equazionesembrino effettivamente saltar fuori delle risposte, essesono proprio come i conigli che saltano fuori dal cilindrodel mago: in realtà non forniscono alcun risultato reale.

Price diede tuttavia un contributo magistrale al suocampo di studio. Nell’agosto 1968 aveva sottoposto perla pubblicazione alla rivista “Nature” un articolo che gliera stato ispirato dalla corrispondenza scambiata mesiprima con Hamilton. Dopo che Maynard Smith ebbeletto l’articolo per la rivista, entrò in contatto con Price; idue decisero allora di unire le loro forze per applicare

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due decisero allora di unire le loro forze per applicarel’analisi della teoria dei giochi allo studio delcomportamento animale, e specificatamente per spiegareperché le lotte fra i maschi di una stessa specie – comel’orice d’Arabia (Oryx leucoryx) – siano combattimentiritualizzati e non scontri cruenti. Maynard Smithriconosce a Price il merito di avere avuto per primo labrillante idea di estendere la teoria dei giochi dalla formatradizionale introdotta da von Neumann – in cui ilcervello doveva prendere decisioni razionali in presenzadi conflitti di interesse – a decisioni prese invece dallaselezione naturale. Questo notevole articolo del 1973 èuna pietra miliare che segna l’inizio della teoria dei giochievoluzionistica.

Il biografo di Price, Oren Harman, lo definì «un genio,chimico ateo e vagabondo trasformato in matematico-evoluzionistico religioso e al tempo stesso in underelitto». Bill Hamilton si espresse in un altro modo, nonmeno interessante; ricordò il vecchio amico in una letterain cui spiegò come la vita di Price, al pari di un romanzo,fosse «emozionante e imprevedibile fino all’ultimapagina». L’ultimo capitolo di questo romanzo si aprì nel1970, quando Price ebbe una rivelazione religiosa. SteveJones, a quel tempo studente allo University College diLondra, racconta di essere stato avvicinato da «un

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Londra, racconta di essere stato avvicinato da «unamericano curvo di mezza età, con una barba dallacrescita irregolare e capelli disordinati che [gli] disse, congrande intensità, di avere una linea diretta con Gesù. Neimesi successivi il suo comportamento divenne sempre piùstrano ed egli cominciò a gridare, per i corridoi, dei suoicontatti col Salvatore».

Price passò dagli studi biblici alle ricerche sociali,invitando spesso dei vagabondi senza casa a vivere nellasua. Avrebbe finito per diventare un tragico e inquietantetributo ai pericoli dell’altruismo in una società didefezionisti: rinunciò a tutto ciò che possedeva peraiutare gli alcolisti; purtroppo mentre lui li aiutava, loro loderubavano; infine, si ritrovò anche lui senza casa e finì avivere in un edificio abbandonato in Tolmers Square, neipressi di Euston Road. Secondo una testimonianzasarebbe stato tormentato dalla sensazione di non averdato un contributo efficace all’attenuazione dellesofferenze umane. Secondo un’altra era turbato dalladomanda se il suo altruismo, che era a tutti gli effetti unamanifestazione di bontà umana, fosse davvero genuino epuro. L’altruismo vero, generoso nei confronti degli altriè una finzione?

I suoi tormenti finirono presto. George Price si tolse la

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I suoi tormenti finirono presto. George Price si tolse lavita a un’ora imprecisata della notte fra il 5 e il 6 gennaio1975. Il corpo fu scoperto da Hamilton, che era andatonel suo alloggio abusivo e che ne raccolse i poveri effettipersonali. Egli raccontò poi con grande vividezza il suotriste compito: «Mentre ordinavo in una valigia quel chevaleva la pena di raccogliere, il suo sangue essiccatoscricchiolava sul linoleum sotto le mie scarpe».

In una giornata piovosa, il 22 gennaio 1975, Hamiltonassistette al funerale di Price a Euston. Nella cappella delcimitero si era raccolto un gruppetto di vagabondi e fra ipresenti alla mesta cerimonia c’era anche MaynardSmith. Alla fine dell’articolo congiunto che MaynardSmith aveva scritto con Price per la rivista “Nature” –quello che inaugurò il campo della teoria dei giochievoluzionistica – c’è una commovente riflessioneconclusiva. In un paragrafo si sottolinea che un certoJohn Price aveva esteso queste idee al «comportamentonevrotico umano». John Price era uno psichiatradell’ospedale psichiatrico di Maudsley, nella parte sud diLondra, che aveva tentato di aiutare George a superare isuoi problemi. Oggi George giace in una tomba nonidentificata del St. Pancras Cemetery.

Anche Hamilton avrebbe avuto una fine prematura.

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Anche Hamilton avrebbe avuto una fine prematura.Una volta Richard Dawkins descrisse Hamilton comeuna persona singolarmente esposta agli incidenti.Dawkins si riferiva a una serie di incidenti che per poconon avevano avuto conseguenze più serie: unesperimento con esplosivi fatto dal piccolo Bill che gli eracostato la perdita di varie falangi delle dita; i suoi incontrimolto ravvicinati con vari automobilisti di Oxford mentrepedalava in modo folle con la sua bici; la sua decisione diviaggiare in Ruanda come autostoppista al culmine dellaguerra civile; e altre avventure da far rizzare i capelli intesta e far sudare le mani. Hamilton era un gatto dallenove vite, disse Dawkins, ma queste alla fine siesaurirono2.

Nell’ultimo decennio del Novecento, Hamilton siconvinse sempre più della validità della tesi (oggi rifiutata)che l’origine dell’epidemia di AIDS fosse da ricercarsinell’uso di vaccini orali contro la poliomielite in Africanegli anni Cinquanta. Varie sue lettere alle principaliriviste scientifiche erano state rifiutate in seguito algiudizio negativo di altri scienziati, e per raccogliereprove a sostegno della sua idea decise quindi di recarsi inAfrica accompagnato da due persone, addentrandosi nelfolto delle foreste del Congo lacerato dalla guerra. Dopo

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folto delle foreste del Congo lacerato dalla guerra. Dopoalcune settimane fu trasportato in gran fretta a Londra, aquanto pare in preda a una grave forma di malaria, maquesta volta il suo fisico non resse. Egli trascorse seisettimane nel Middlesex Hospital di Londra prima dimorire il 7 marzo 2000, a sessantatré anni, per emorragiacerebrale.

Studioso innamorato degli insetti, dai bellicosi cervivolanti alle formiche faraone, Hamilton aveva scrittoparole evocative e toccanti un decennio prima della suamorte:

Nel mio testamento lascerò una somma perché il miocorpo sia trasportato nelle foreste del Brasile. Esso dovràessere deposto in modo sicuro contro gli opossum e gliavvoltoi, nello stesso modo in cui noi ci assicuriamodell’incolumità delle nostre galline; e questo grandescarabeide coprofago, il Coprophanaeus, mi seppellirà.Questi insetti arriveranno, mi seppelliranno, vivranno dellamia carne, e nella forma dei figli loro e miei io scamperòalla morte. Nessun verme per me né sordide mosche, ioronzerò al crepuscolo come un bombo gigantesco. Iosarò molti, ronzerò come uno sciame di motociclette,volerò corpo contro corpo sotto le stelle nel mondoselvaggio del Brasile, sotto la protezione di quelle belleelitre articolate. Così finalmente anch’io luccicherò come

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elitre articolate. Così finalmente anch’io luccicherò comeun coleottero viola del suolo sotto una pietra.

I resti di Hamilton non saranno mai consumati dac o le o t t e r i Coprophanaeus: una cerimoniacommemorativa laica fu tenuta nella cappella del NewCollege di Oxford, ed egli fu interrato nei WythamWoods a riposare accanto ai suoi congiunti più vicini.

Il declino della fitness inclusiva

Un tratto di natura fa tutti gli uomini di una razza.William Shakespeare, Troilo e Cressida3

Ho lavorato accanto a Bill Hamilton nel laboratorio dizoologia a Oxford negli anni Novanta. Lo ammiravomolto e lo ricordo come una persona gentile e silenziosa.Mi faceva sempre molto piacere quando si sedevaaccanto a me durante le pause per il tè del pomeriggio,dandomi una meravigliosa opportunità di mettere allaprova con lui le mie idee nuove e di attingere alle sueprofonde conoscenze. A quel tempo Hamilton era unpilastro dell’establishment scientifico, figura alta, checolpiva, «con due sopracciglia esageratamente

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cespugliose», come egli stesso si espresse, e narici da cuispuntavano «ciuffi di pelo di cavallo di un vecchio sofàedoardiano».

Quando studiavo a Vienna e a Oxford, ero più omeno informato da lontano della selezione parentale,come molti altri teorici. Ritenevo che fosse una teoriaimportante con un sostegno empirico considerevole, nellaforma di studi su organismi dotati di una spiccatasocialità, come le formiche e le api. La teoria avevaispirato molti biologi empirici a misurare il grado diparentela in studi sul campo e a pesare costi e beneficidelle interazioni sociali. Al tempo stesso, mi sembravache i metodi matematici della selezione parentale fosserospesso oscuri: non erano limpidi e cristallini come lericerche di ecologia matematica e di epidemiologia diBob May o come gli approcci usati nella teoria dei giochievoluzionistica da Karl Sigmund o in molti dei grandistudi della genetica di popolazioni tradizionale.

Nella selezione di parentela le equazioni sembravanoscaturire dal nulla. C’erano molti tentativi di calcoli chenon avevano una formulazione precisa del modellomatematico sottostante (le equazioni usate per cogliere ecristallizzare idee basilari). Questa è una ricetta checonduce inevitabilmente al disastro. Inoltre, il concetto di

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conduce inevitabilmente al disastro. Inoltre, il concetto digrado di parentela sembrava prendere forma e mutarenel corso del tempo. I progressi teorici nella selezione diparentela cominciarono ad allontanarsi da altri campidella biologia, come l’ecologia, l’epidemiologia, la teoriadei giochi evoluzionistica e la genetica di popolazioni. Inconseguenza di questi spostamenti tettonici, la selezionedi parentela si discostò dalla corrente principale perdiventare una sorta di subcultura insulare col propriomisterioso dialetto matematico.

Dubito che Hamilton avrebbe approvato il modo in cuialcuni suoi seguaci hanno esteso e diluito la sua idea dellafitness inclusiva. I sostenitori più entusiasti della teoriacominciarono a proclamare che essa era un principiouniversale dell’evoluzione: ogni aspetto dell’evoluzionedel comportamento sociale, dal rifiuto alla cooperazione,doveva secondo loro essere espresso nei termini dellateoria della fitness inclusiva.

Fui colpito dai loro tentativi di bollare con un marchioidee rivali. I primi cultori della selezione di parentela sierano opposti alla selezione di gruppo; molti fra quelli piùmoderni hanno però rivisto le loro posizioni,considerando la selezione di gruppo un tutt’uno con laselezione di parentela. Nessuna delle due posizioni, però,

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selezione di parentela. Nessuna delle due posizioni, però,ha senso, e lo stesso vale per l’idea che il grado diparentela stia dietro l’evoluzione dell’interacooperazione. La regola di Hamilton divenne un dogma.Ogni volta che la regola sembrava perdere la sua validità,i sostenitori più ferventi si sentivano in diritto di ridefinirecosto, beneficio e grado di parentela per mantenere lavalidità della regola di Hamilton. Eminenti studiosi digenetica di popolazioni – in particolare Sam Karlin,Marcus Feldman e Luigi Luca Cavalli Sforza allaStanford University – avevano messo in evidenza datempo i limiti di tale approccio.

Infine, fui indotto a considerare più in profondità laselezione di parentela quando mi imbattei nel grandenaturalista della Harvard University, Edward O. Wilson,che fu la prima persona a sostenere davvero il lavoro diHamilton. Dietro il suo fascino di uomo del sud e dietro isuoi modi cortesi si cela un appetito insaziabile di disputeintellettuali. Vari decenni fa, Wilson si era impegnatostrenuamente per promuovere la selezione parentalecome spiegazione potente dell’eusocialità: era questo iltermine che si usava per descrivere l’attitudine di insettisociali e altri animali che si impegnano nella curacooperativa dei figli.

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cooperativa dei figli.La selezione parentale fu presentata, in effetti, come un

principio di primaria importanza nel volume del 1971 diWilson, Sociobiologia. La nuova sintesi, che piantòsulla mappa la bandierina di quello che sembrava alloraun concetto bello e sorprendente. La ragione per cuiWilson appoggiò inizialmente la teoria della selezioneparentale era l’ipotesi dell’aplodiploidia, che spiegheròin modo dettagliato nel Capitolo 8. Il libro di Wilsonesercitò una grande influenza, e possiamo affermarlo consicurezza perché la maggior parte delle prime citazionidell’opera di Hamilton mostrano lo stesso riferimentobibliografico inesatto riportato da Wilson nella primaedizione del suo saggio. È chiaro che a quel tempo benpochi si preoccuparono di risalire agli articoli originali diHamilton. Nel corso degli anni, quando le prove diquesta ipotesi cominciarono a sgretolarsi costantemente,Wilson cominciò a nutrire seri dubbi.

Quando discussi per la prima volta la selezioneparentale con Wilson, entrambi facemmo una scopertaaffascinante. Egli mi disse di avere sempre pensato che laselezione parentale fosse una grande teoria matematicama aggiunse che, dopo la sua grandissima infatuazioneper quell’idea negli anni Settanta, aveva perso sempre

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per quell’idea negli anni Settanta, aveva perso semprepiù la sua fiducia, vedendone diventare sempre più debolile prove nel mondo reale. Molti studi sono giunti allaconclusione che, di norma, i membri delle colonie diinsetti sociali non sono in realtà in grado di riconoscere illoro grado di parentela con i loro compagni di nido.Tornando al dilemma di Haldane: se non si è in grado didistinguere un fratello da un cugino, risulterà difficileaccorgersi di come possa in generale operare la selezionedi parentela. Era una cosa sorprendente. Io dissi aWilson di avere invece sempre avuto l’impressione che ilsostegno empirico a favore della selezione di parentelafra gli insetti sociali fosse molto forte. Il mio problema erache la parte matematica di queste teorie era oscura. Suquesta via, il nostro incontro ci condusse a una reciprocaliberazione.

Cominciammo a incontrarci regolarmente, e si unì anoi Corina Tarnita, una notevole matematica nella qualeci imbatteremo ancora nel Capitolo 13. Corinapossedeva il coraggio e la pazienza necessari afamiliarizzare con tutti i calcoli che erano stati fatti nellateoria della selezione di parentela. Nel corso di un annosi aprì la via in una foresta impenetrabile di matematica ebiologia. Ogni mattina si svegliava con una nuova carica

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biologia. Ogni mattina si svegliava con una nuova caricadi ottimismo e con la speranza di trovare in quei calcoliqualcosa di sublime: una struttura matematica di grandesemplicità e bellezza. Non ci riuscì mai, ma fece unascoperta sorprendente, determinando uno spostamentodi paradigma dall’idea della fitness inclusiva in direzionedel vecchio concetto della selezione naturale.

L’idea fondamentale al cuore della giungla dellaselezione di parentela è il concetto di Hamilton dellafitness inclusiva. Cominciamo quindi col vedere ladefinizione di Hamilton: «La fitness inclusiva può essereimmaginata come la fitness personale che un individuoeffettivamente esprime nella sua produzione di una proleadulta quale essa diventa dopo essere stata primaspogliata di certe qualità acquisite e poi arricchita di altrein un certo modo. Questi individui sono prima spogliati ditutti i componenti che si possono considerare dovuti alloro ambiente sociale, mentre è loro lasciata la fitnessche esprimerebbero se non fossero esposti ad alcuno deidanni o dei benefici forniti da tale ambiente. Questaquantità è poi accresciuta da certe frazioni delle quantitàdi danni e benefici che l’individuo stesso causa alle variefitness degli affini. Le frazioni in questione sonosemplicemente i coefficienti di relazione appropriati a

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semplicemente i coefficienti di relazione appropriati aquelli degli affini sui quali influisce; l’unità vale per gliindividui clonati, la metà per fratelli e sorelle, un quartoper fratellastri e sorellastre, un ottavo per i cugini […], einfine zero per tutti gli affini il cui rapporto può essereconsiderato trascurabilmente piccolo».

Dobbiamo mettere a confronto l’idea di Hamilton conl’approccio standard della selezione naturale. In ognimodello della dinamica evoluzionistica (in ecologia comenella teoria dei giochi evoluzionistica o nella genetica dipopolazioni) si calcola di solito la fitness degli individuitenendo conto di tutte le interazioni necessarie cheavvengono nella popolazione. Questo approccioempirico calcola la fitness di ogni individuo nellapopolazione, dopo di che valuta in che modo questaincida sulla sopravvivenza dei geni che inducono certicomportamenti, come l’impulso a salvare fratelli o sorellein procinto di affogare. In seguito si può vedere se unastrategia codificata geneticamente, come quella di salvareun fratello o di salvare un estraneo, sia o no favorita dallaselezione naturale. Questo è l’approccio normale fondatosulla fitness e sulla selezione naturale, che sarebbe statoadottato dallo stesso Haldane.Ma la teoria della fitness inclusiva propone un altro

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Ma la teoria della fitness inclusiva propone un altroapproccio. Pensatela come una modalità diversa dicalcolo se preferite. Anziché calcolare la fitness degliindividui, la proposta è quella di considerare un solopunto di vista, quello dell’attore, ossia della personacoraggiosa che si getta nell’acqua turbolenta eschiumeggiante. Calcoliamo come la sua azione incidasulla sua propria fitness e su quella dei due fratelli, degliotto cugini o di chiunque stia per affogare nell’insidiosofiume di Haldane. Questi sono i riceventi. Se però iparenti salvati sono in concorrenza con altri parenti per lariproduzione, si è inciso anche sulla loro fitness e sidovrà tenere conto anche di questo aspetto nel calcolodella fitness inclusiva. Vediamo che la fitness inclusivanon è affatto un’idea semplice. Infine, sommiamo questecomponenti della fitness e le moltiplichiamo per il gradodi parentela fra l’attore e il ricevente. Il risultato èchiamato fitness inclusiva dell’attore. Si noti chequesta comprende solo ciò che deriva dalle azioniproprie dell’attore, e non anche dall’aiuto ricevuto daaltri.

A questo punto deve essere chiaro che questo tipo dicalcolo non è semplice. Normalmente non è possibile“decostruire” la fitness di un individuo come somma

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“decostruire” la fitness di un individuo come sommadelle sue componenti. In generale questa è una funzionepiù complicata dei comportamenti di altri, e quindi non èpossibile calcolare la fitness inclusiva. Perciò essa non èaffatto un’idea universale o un’idea robusta, ma poggiasu particolari assunti matematici.

Vorrei ora descrivere alcuni di questi assunti. Da unlato la fitness inclusiva può essere definita solo quando lefitness di tutti gli individui di una popolazione sono quasiidentiche, con differenze infinitesime. Essa funziona solonella situazione che i biologi chiamano di quasineutralità, dove non è all’opera quasi nessun’altraselezione. Abbiamo però scoperto, pur essendo a questolimite di quasi neutralità, che la teoria della fitnessinclusiva non funziona sempre, e che a tal fine ci occorreche siano rispettate altre condizioni ancora.

Fra le condizioni restrittive richieste perché la teoriadella fitness inclusiva possa funzionare, una è che tutte leinterazioni devono essere additive e duali. Ma in unacolonia di formiche, per esempio, molti compitirichiedono l’azione concertata di vari individui, e non solodi coppie. Pensiamo al trasporto di pesanti carichi dicibo, o alla difesa da un attacco di un’altra colonia diformiche. La teoria della fitness inclusiva, inoltre,

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formiche. La teoria della fitness inclusiva, inoltre,funziona solo per strutture di popolazione piuttostostatiche e molto semplici. Nell’impostazione di un calcolodella fitness inclusiva devono essere stabiliti tutti questiassunti. Se però non reggono (e, ovviamente, reggonosolo di rado), il concetto stesso perde completamente disignificato.

Facemmo anche un’altra scoperta. Concediamo allateoria della fitness inclusiva il beneficio del dubbio.Supporremo, per amore di ragionamento, di trovarcinella situazione felice in cui tutti questi assunti altamenterestrittivi siano validi. Ci troviamo ora in un paese utopicochiamato paese della fitness inclusiva, dove individuiche lavorano a coppie fanno parte di una specialestruttura di popolazione, e dove la selezione non operaquasi per niente. Ecco: scoprimmo che in questo mondospeciale in cui la teoria della fitness inclusiva funziona, icalcoli forniscono esattamente la stessa predizione dellateoria della selezione naturale standard. Perciò la teoriadella fitness inclusiva non ci fornisce nuove predizioni oidee.

Formulare un problema in termini di fitness inclusiva ècome doversi sottoporre a complesse e tediose iniziazioniper entrare a far parte di un club di élite, senza ottenerepoi alcun privilegio dal fatto di farne parte. Si pone a

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poi alcun privilegio dal fatto di farne parte. Si pone aquesto punto la domanda: se abbiamo una teoria chefunziona per tutti i casi (come la buona, vecchia teoriadella selezione naturale, che è anche concentrata sui geni)e abbiamo una teoria che funziona solo per ristrettosottoinsieme di casi concepibili (come questa dellafitness inclusiva), e se per questo ristretto sottoinsieme dicasi le due teorie conducono a risultati identici, perchénon optare per la teoria più “facile” e più generale?

Ma concediamo un’ultima possibilità alla selezione diparentela. Forse l’idea più convincente che sorse dallateoria fu la regola di Hamilton. Questa era la ricetta perl’altruismo fondata sull’idea che si possa morire persalvare parenti stretti e tuttavia diffondere ancora i proprigeni, dal momento che i parenti stretti hanno molti geni incomune con noi. La regola dice che la cooperazione puòemergere se il grado di parentela è maggiore delrapporto costi-benefici, predicendo esattamente quantacooperazione ci si dovrebbe attendere in funzione delgrado di parentela genetica.

Il problema è che, anche se ci trovassimo nel paeseutopico dove sono applicati gli assunti della fitnessinclusiva, la forma semplice della regola di Hamilton,illustrata sopra, non vi sarebbe valida. I teorici della

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illustrata sopra, non vi sarebbe valida. I teorici dellafitness inclusiva sono consapevoli di questo problema ehanno tentato di ridefinire i parametri dei costi e deibenefici nella regola di Hamilton per farla funzionare, maquesta forma di riparazione ha un costo elevato: quello diperdere il potere di predizione e l’intuizione matematica.C’è un problema anche con i test sperimentali della teoriadella fitness inclusiva. Se gli empiristi misurano il grado diparentela genetica in esperimenti di laboratorio o in studisul campo (una forma di misurazione spesso molto utileche fornisce loro informazioni sulla struttura dellapopolazione), non stanno sperimentando la teoria dellafitness inclusiva. Per farlo dovrebbero in realtà formulareun’equazione della fitness inclusiva che tenesse conto diaspetti dettagliati e complessi della struttura dipopolazione e ne soppesasse costi e benefici. A quantomi risulta, misurazioni così estese non sono mai statecompiute.

Qualcuno osserva spesso che la teoria della fitnessinclusiva è un approccio incentrato sui geni. In realtà,invece, è incentrato sull’individuo. Consideriamo, peresempio, una colonia di formiche con regina e operaie.Questo stile di vita è un esempio di eusocialità, con leoperaie che non si riproducono, ma aiutano la regina a

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operaie che non si riproducono, ma aiutano la regina afarlo. La teoria della fitness inclusiva pone l’operaia alcentro dell’attenzione, domandandosi perché essa sicomporti altruisticamente allevando la prole della regina.Perché la formica operaia non abbandona la colonia, nonsi accoppia e non alleva una prole propria? Perrispondere a questa domanda, i fautori della selezione diparentela credono di dovere andare oltre la selezionenaturale e analizzare la fitness inclusiva di un’azioneindividuale, come quella di un’operaia che aiuta la reginaad allevare la propria prole. Essi credono che primadell’invenzione della fitness inclusiva non ci fosse alcunarisposta soddisfacente a questa domanda, ma ioconsiglierei di aspettare un momento.

Se, invece, si sviluppa un modello incentratoveramente sui geni, ci si rende conto che non c’è in realtàalcun bisogno di usare il concetto di fitness inclusiva.Tutto quello che dobbiamo domandarci è se un geneconnesso col comportamento sociale possa imporsi auno connesso con un comportamento solitario. Ladomanda centrale diventa ora la seguente: quel genesociale è favorito o contrastato dalla selezione? Il calcolonecessario per poter rispondere a questa domanda èfondato interamente sul criterio della teoria della

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fondato interamente sul criterio della teoria dellaselezione naturale.

Così Corina Tarnita, Edward O. Wilson e io abbiamosviluppato un modo nuovo, alternativo, di spiegarel’evoluzione dell’eusocialità, senza ricorrere alla tortuosadisamina della fitness inclusiva. Per spiegare l’evoluzionedelle straordinarie società cooperative di insetti come leformiche, noi usiamo la selezione naturale, combinata conuna considerazione attenta della struttura dellepopolazioni. Possiamo così raggiungere conclusionisoddisfacenti senza alcun bisogno di ricorrere alla fitnessinclusiva. Tornerò su queste ricerche nel Capitolo 8.Potreste pensare, data la mia analisi un po’ critica neiconfronti della fitness inclusiva, che io consideripressoché morta la selezione di parentela, ma non è così:nonostante i suoi limiti, la regola di Hamilton ha avuto unimportante valore euristico. La riflessione sulla fitnessinclusiva ha ispirato nel corso degli anni molte ricercheteoriche e ha condotto vari biologi empiristi a misurare igradi di parentela in molti studi sul campo. A miogiudizio, però, è tempo di passare oltre. Oggi è chiaroche la comprensione matematica della dinamicaevoluzionistica è avanzata al punto in cui la teoria dellasociobiologia può essere estesa oltre la regola di

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sociobiologia può essere estesa oltre la regola diHamilton. Siamo al punto in cui possiamo porredomande più dettagliate e più esatte e conseguire unacomprensione molto più profonda dei processievoluzionistici.

La selezione di parentela è ancora un meccanismo perl’evoluzione della cooperazione, fintantoché non sia statacorrettamente definita. Io posso contare che funzioni ognivolta che ci sia un comportamento condizionale fondatosul riconoscimento della parentela. Così, a seconda cheio guardi a un fratello o a un estraneo, mi comporterò diconseguenza. Per comportamento condizionale intendoche potrei gettarmi in un fiume per salvare un mio fratelloma non farei lo stesso per un estraneo. Quel che misembra eloquente è che, più di mezzo secolo dopo lascherzosa battuta di Haldane, i dettagli di quellecircostanze non sono ancora stati elaborati. Se laselezione di parentela deve progredire, dobbiamo tornareall’originale sfavillante intuizione di Haldane.

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Parte II. I fasti dellacooperazione

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Capitolo 6

Pre-vita

C’è qualcosa di grandioso in questa visione dellavita, con i suoi vari poteri, che è stata insufflata(breathed) in origine [dal Creatore] in poche forme oin una; e nel fatto che, mentre questo pianeta hacontinuato a percorrere la sua orbita secondo lalegge per sempre immutabile della gravità, da uninizio così semplice si siano evolute, e ancora sistiano evolvendo, innumerevoli forme estremamentebelle e mirabili.Charles Darwin, L’origine delle specie1

Un paio di secoli fa il botanico scozzese Robert Brownfu affascinato dal moto a zigzag di infinitesimi frammenti

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fu affascinato dal moto a zigzag di infinitesimi frammentiall’interno di granuli di polline. Nelle sue osservazionipionieristiche, compiute con un microscopio primitivo,Brown aveva osservato questo moto casuale con rapideinversioni di direzione già intorno al 1827. Quello che loincuriosì particolarmente fu che questo moto incessantenon fosse causato da correnti nel fluido, o daevaporazione, o da qualsiasi altra causa ben definita. Eglifu scosso da un fremito all’idea di avere intravisto unaforza animatrice: il segreto della vita.

Da bravo scienziato quale era, sapeva di averebisogno di altre prove. A quel tempo Brown era bennoto e onorato in tutta Europa, avendo ricevuto undottorato honoris causa a Oxford nella stessa cerimoniadurante la quale sono state conferite altre due similionorificenze ai grandi Michael Faraday e John Dalton,essendo stato tra i pionieri dell’esplorazionedell’Australia, e avendo addirittura dato consigli aDarwin su quali equipaggiamenti portare con sé nelfamoso viaggio di scoperta a bordo del Beagle. Dopoavere osservato lo stesso tipo di moto all’interno di graniminerali, che erano ovviamente inanimati, Brown scartò,con comprensibile delusione, l’idea di aver visto all’operal’essenza vitale.

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l’essenza vitale.Eppure, in un certo senso, aveva intravisto una forza

capace di impartire movimento. Il passo chiave neltentativo di interpretare il fenomeno effettivamenteosservato da Brown fu compiuto più di settentacinqueanni dopo, quando Albert Einstein dimostrò che leminuscole particelle zigzaganti erano spinte in tutte ledirezioni dalle molecole invisibili che componevanol’acqua intorno ad esse. Nel 1905 l’esistenza dellemolecole era ancora respinta da alcune figure importantidell’establishment scientifico. Einstein predisse che i moticasuali delle molecole in un liquido, che esercitavano unapressione su particelle sospese più grandi, avrebberocausato moti irregolari delle particelle abbastanza grandida poter essere osservati direttamente sotto la lente di unmicroscopio. A partire da questo moto irregolare,Einstein riuscì addirittura a calcolare le dimensioni dellemolecole. Benché il moto browniano non sia risultatoessere una forza vitale, l’osservazione fatta da Brownspianò la via al tipo di comprensione che usiamo oggi perspiegare le prime forme di vita.

Le più primitive creature viventi capaci di respirarenon richiedevano per evolversi una forza o un’essenzavitali, bensì solo un livello straordinario di cooperazione

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vitali, bensì solo un livello straordinario di cooperazionefra molecole. Alcune di queste, originatesi nell’atmosferadella Terra primitiva, si divisero e si fusero sotto l’azionedei raggi ultravioletti e di altre radiazioni per formaresemplici molecole organiche, come gli idrocarburi. Ifulmini fornirono una fonte di alta energia in grado diampliare il repertorio delle molecole esistenti. Gliidrocarburi fornirono a loro volta la materia prima persostanze organiche più complesse come amminoacidisemplici (che, uniti insieme, formano le proteine) ecarboidrati (zuccheri semplici). In qualche modo, questemolecole si organizzarono negli antenati delle cellule,aggregazioni di materiali con un forma, un’unità eproprietà ben definite che assomigliavano a quelle diorganismi viventi.

Se si guarda sotto la superficie, dentro le cellule dellavita che prospera intorno a noi, si troveranno importantireplicatori molecolari, i messaggeri della nostra ereditàbiologica. Oggi il più comune di questi replicatori èl’acido desossiribonucleico (DNA). Con l’eccezione dialcuni virus, oggi tutte le forme di vita sulla Terrautilizzano il DNA per contenere le informazioni di cuihanno bisogno per riprodursi. Gli attori più probabili agliinizi della vita sulla Terra furono però molecole del

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inizi della vita sulla Terra furono però molecole delmateriale genetico affine, l’acido ribonucleico (RNA), cheè più flessibile del DNA in quanto può sia trasportareinformazioni da una generazione all’altra, sia catalizzare(accelerare) le reazioni chimiche, un fatto moltoopportuno. L’RNA svolge inoltre ancora oggi ogni sortadi funzioni critiche negli organismi che sono descritti dalDNA, compreso l’uomo. Nel 1986 il premio NobelWalter Gilbert, dell’Università di Harvard, coniòl’espressione mondo a RNA per suggerire che gli acidiribonucleici potrebbero avere dominato la storia dellenostre origini già prima che le proteine entrassero nel“gioco della vita”.

Una visita a un paradiso insulare mi ispirò adaffrontare questa ricerca per capire le nostre origini inuna direzione nuova. La buona scienza consiste nel porsile domande giuste, e si dà il caso che una versioneriformulata di quella sulle origini della vita fece germinarenella mia mente il seme di una nuova idea interessante. Ilpensiero convenzionale dice che gli organismi di maggiorsuccesso sono quelli che si riproducono di più e chetrasmettono i loro geni a una prole più numerosa. Vienedunque prima la riproduzione, e poi la selezione. Fin quitutto è ragionevole.

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tutto è ragionevole.Sappiamo anche che l’evoluzione produsse tutta la vita

esistente sulla Terra col concorso della selezionenaturale, e che noi possiamo comprendere il suofunzionamento con l’aiuto della matematica, distillandonel’essenza in forma di equazioni. Escogitai perciò unateoria matematica generale, non per l’evoluzione stessa,bensì per la sua origine. Lavorando in collaborazionecon colleghi mostrai come, nella sua infanzia, la Terraabbia generato un complesso ecosistema formato dimolecole che cooperavano fra loro. Nel corso di milionidi anni si formò così l’equivalente di un’esca infiammabiledestinata a dare origine a un’esplosione di replicazioniche è quella che noi oggi conosciamo come vita.

Conclusi così che il processo della selezione naturale,che è connesso inscindibilmente alla grandissima varietàdella vita, dai batteri alle tigri, è, in effetti, anterioreall’emergere della riproduzione stessa, ossia dellacapacità di produrre copie in forma di uova, di figli o dimolecole. Riflettendo sulle implicazioni di questa teoriasull’origine della vita potei mostrare anche che lacooperazione è più antica della vita stessa.

Un viaggio in Paradiso

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Un viaggio in Paradiso

Un giorno, mentre ero a Princeton, all’Institute forAdvanced Study, squillò il telefono. Dopo meno di unminuto o due di conversazione mi trovavo a spiegare lemie teorie a un estraneo che si era presentato comeJeffrey Epstein. Scoprii che era un grande finanziere diWall Street. Il giorno seguente il suo ufficio trasmise almio responsabile una generosa donazione per finanziarela mia ricerca. Successivamente mi fece pervenire uninvito a fargli visita a New York, e mi ritrovai in una exscuola convertita in una splendida residenza. Ero statoinvitato a cena e fui lusingato nel vedere che ero l’unicoospite. Parlammo per ore. Dimostrò un grande interesseper la mia ricerca sulla cooperazione e volle conoscerneogni dettaglio. Era inoltre particolarmente affascinatodalla strategia win stay, lose shift. Spesso opponevanuove idee ai miei punti di vista. Fu una discussioneaffascinante, e sarebbe stata la prima di molte.

Epstein mi chiese di organizzare un convegnosull’evoluzione del linguaggio. La preparazione di questoevento mi richiese un po’ di tempo e avrebbe infine avutoluogo un anno dopo all’Institute for Advanced Study. Lostesso Epstein fu presente all’inizio del convegno. Il suojet era parcheggiato all’aeroporto di Princeton e anche se

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jet era parcheggiato all’aeroporto di Princeton e anche sedopo un po’ egli partì per Parigi, la manifestazione parvestuzzicare il suo interesse per le mie ricerche. Qualchetempo dopo mi invitò di nuovo a fargli visita.

Un membro femminile del suo nucleo familiare mitelefonò per prendere accordi. Avrei avuto un bigliettoaereo per arrivare a San Juan, in Puerto Rico e da quisarei stato preso a bordo di un elicottero. La donna chestava fornendomi le istruzioni menzionò per inciso chel’elicottero lo avrebbe pilotato lei. In quel momento misentii come una comparsa in un film di James Bond e nonmolto tempo dopo mi trovai a osservare calde acquecolor cobalto. Ero davanti a un tavolo in pietra in uncortile con un colonnato su una piccola isola caraibica.L’isola tropicale di Jeffrey aveva una superficie di soli 40ettari ed era circondata da scogliere. C’era una residenzadi lusso con un tetto di legno lucido e una spiaggia lungapiù di un chilometro e mezzo punteggiata da palmeimportate dalla Florida. Per tenere alla larga i pirati, unabandiera a stelle e strisce sventolava alta nel vento.

La casetta in cui ero ospitato aveva alle finestreimposte blu e l’interno era stato decorato da artisti fattivenire dalla Francia. Varie di queste piccole abitazionierano disposte intorno a una fontana, un cortile e una

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erano disposte intorno a una fontana, un cortile e unapiscina a forma di rene. C’erano, sparsi intorno, sofà epoltrone, ma io ho sempre preferito lavorare sul tavolo inpietra. Ogni giorno facevo colazione con Jeffrey alsorgere del sole. Avevamo conversazioni senza fine sullascienza, sul mio lavoro, sul suo significato e su doveavrebbe condotto.

Jeffrey era un perfetto padrone di casa. Gli feci unadomanda su cosa si provava immergendosi nelle tiepide elimpide acque che circondavano l’isola; il giorno dopocomparve un istruttore per le immersioni conautorespiratore. Quando venne in visita il cosmologobritannico Stephen Hawking e disse che non era maistato sott’acqua, Jeffrey noleggiò subito un sottomarinoper lui. L’ultimo giorno della mia visita, Jeffrey mi disseche avrebbe costruito un istituto per me. Nel 2003, dopouna serie di negoziati fra lui e il nostro rettore di allora,Larry Summers, potei dare avvio al Program forEvolutionary Dynamics (PED). Summers, che sarebbe poidiventato il principale consigliere economico delpresidente Obama, mi diede qualche consiglio spiccio sucome procedere disponendo di queste poche e limitaterisorse: «Spendi il denaro che hai. Ce ne sarà sempreabbastanza». Occupavamo allora il piano più alto di un

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abbastanza». Occupavamo allora il piano più alto di unelegante e nuovo palazzo di uffici in Brattle Square aCambridge, un luogo centrale circondato da ristoranti,boutique, negozi e, durante l’estate, suonatori e artisti distrada. Qui potei aggregare al mio programma un grupposcelto di grandi matematici, biologi e in generale dichiunque fosse interessato a esplorare la notevoleefficacia della cooperazione. Alcuni studenti chiamaronoil mio programma “Nowakia”. Per noi la Nowakia fu unparadiso accademico. Uno fra i più impressionantidottorandi di Harvard, Erez Lieberman, dissescherzosamente che PED poteva stare anche per partyevery day.

A seconda del numero degli studiosi in visita, avevosempre fra le quindici e le venticinque persone cheinvestigavano ogni sorta di problemi di grande interesse.C’era anche un folto gruppo di studenti universitari, chechiamavamo romani perché partecipavano a unprogramma che si chiamava Research Opportunities inMathematical Evolution (ROME). Erez Lieberman siautonominò Decurio (decurione), il nome dato nell’anticaRoma al capo di una squadra di dieci persone, nome cheusò come scusa per giustificare i suoi scherzi piùimbarazzanti. Se venivano a lavorare da noi troppi

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imbarazzanti. Se venivano a lavorare da noi troppistudenti, Erez diceva: «Tutte le strade portano a Roma».Se il progetto di ricerca di uno studente si imbatteva indifficoltà, lui lo confortava dicendogli: «Nonpreoccuparti, Roma non fu costruita in un giorno».

Il mio impero ha l’aria di essere uscito da un vecchiofilm dei fratelli Marx, La guerra lampo. Io aspiro aesserne il Rufus T. Firefly, leggendario dittatore diFreedonia dotato della saggezza politica di Gladstone,dell’umiltà di Lincoln e della saggezza di Pericle. In realtàho un obiettivo più semplice: desidero che i partecipantial PED siano appagati, e anche felici, nella loro ricercaper capire la natura. Voglio che abbiano scelte, nonobblighi. Non lavorano per me, sono io che lavoro perloro.

Il problema della vita

Sul suo paradiso insulare Jeffrey aveva abbondanza ditempo per pensare. Vari anni dopo, entrambi cisedemmo attorno allo stesso tavolo in pietra ed egli volletornare su uno dei problemi più grandi in assoluto: checos’è la vita? Egli pose però la madre di tutte ledomande in un modo più interessante, aggiungendo: «La

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domande in un modo più interessante, aggiungendo: «Lavita è la soluzione, ma qual è il problema?». Dopotutto, leorbite dei pianeti intorno al Sole sono le “soluzioni”fornite da questi corpi celesti alle equazioni dellagravitazione di Isaac Newton. Il movimento deglielettroni intorno ai nuclei di atomi leggeri “risolve” leequazioni della meccanica quantistica. Quali equazioni“risolve” la vita?

Mi piacque molto il modo in cui espresse il problemama purtroppo non conoscevo la risposta e aggirai laquestione: «La vita – gli dissi – è ciò che si evolve: essarisolve le equazioni dell’evoluzione». Ma in questo modosi pone la domanda: “Cos’è l’evoluzione?”. Questa èun’altra grande domanda perché, ovviamente, la biologiaè evoluzione. Poi mi resi conto che in realtà il problemachiave era questo: “Come comincia l’evoluzione?”.Sappiamo che gli esseri viventi possono evolversi el’evoluzione trasforma un sistema vivente in un altro. Main che modo venne all’esistenza l’evoluzione stessa? Checosa c’era prima dell’evoluzione? Questa domanda misembrava al cuore di ciò che noi volevamo scoprire.

C’era uno spirito che muoveva nel vuoto un brodo diottuse molecole come quelle che avevano attratto untempo l’attenzione di Robert Brown, inducendole a

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tempo l’attenzione di Robert Brown, inducendole adiventare un miscuglio biochimico intelligente, vivente,organizzato come Brown stesso? Stimolato da questapossibilità, cominciai immediatamente a sviluppare unoschema di reazioni chimiche in cui riuscii a scorgere unatransizione graduale dalla non-vita alla vita, dalla purachimica non vivente alla biologia. Immaginai in che mododue unità chimiche potessero combinarsi insieme,polimerizzandosi, per formare sequenze. Si potrebberopensare le due subunità come lo 0 e l’1 di un codicebinario. Riuscii a immaginare come questa reazione dipolimerizzazione potesse esplorare un universo dipossibili codici con queste subunità binarie più semplici.In questo modo, sedendomi a quel tavolo in paradiso, miimbattei in un nuovo concetto, quello della pre-vita.

Ecco come cominciai a formulare il problema. Usaiunità semplici per rappresentare l’alfabeto dei primimattoncini chimici per la costruzione della vita, fosserol’RNA o qualsiasi tipo di molecola potesse essere uncandidato adatto. Questi mattoncini elementari siuniscono in modo casuale e spontaneo in stringhe diinformazione, nello stesso modo in cui le lettere formanole parole. Ero interessato alla velocità con cui questoprocesso poteva avere operato all’origine della vita. O,

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processo poteva avere operato all’origine della vita. O,per esprimermi in un altro modo, il mio studio siconcentrò sulla cinetica, ossia sulla velocità alla qualepotevano essere cresciute stringhe con sequenze diverse.Le stringhe che codificano tipi diversi di informazionecresceranno con velocità diverse, in quanto alcuneincorporeranno i diversi mattoncini più rapidamente dialtre. Piccole differenze nei ritmi di crescita darannocome risultato piccole differenze di abbondanza.

La matematica mostra che le catene più lunghe,richiedendo un maggior numero di reazioni diassemblaggio, dovrebbero essere meno comuni dellecatene corte. Se però talune reazioni di assemblaggio deimattoncini della vita fossero più veloci di altre, le cateneda esse costruite diventerebbero più grandi, così comefacendo passare più velocemente l’impasto in unatrafilatrice si otterranno pezzi di pasta più lunghi. Questotrionfo degli spaghetti sui maccheroni è una forma diselezione. Guardando in questo modo alla pastaprimordiale, mi accorsi che era possibile una selezioneprecedente la replicazione, e che questa selezione potevaemergere in modo naturale.

Alcuni filamenti potrebbero anche mutare (si pensi apasta di diverse forme, alcune tubolari, altre attorcigliate

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pasta di diverse forme, alcune tubolari, altre attorcigliatee via dicendo), e la nuova progenie mutata potrebbecrescere con maggiore successo. A volte un filamentopuò accelerare la velocità di reazione di altre sequenze,mettendo in atto una forma di cooperazione. Preseinsieme, le varie possibilità si sommarono a formare unsistema chimico simile alla vita, che ha in sé in formaincipiente tutte le potenzialità della dinamicaevoluzionistica. In questo modo le molecole soggette alleforze di selezione e mutazione, che sono ancora del tuttoincapaci di replicazione – la condizione ultima necessariaper la vita – sono spo-state inesorabilmente verso talesistema chimico.

Finora non ho considerato la replicazione ma solo lereazioni richieste per costruire le molecole elementari. Sealcune di queste hanno la capacità di replicarsi, possiamodomandarci se esista o no una selezione per replicazione.In questo modo possiamo interrogarci sulle esattecondizioni per la vita che emergono dalla pre-vita.Conducono alla pre-vita unità più semplici, i monomeri. Ela pre-vita costruisce la vita. Ma c’è anche competizionefra pre-vita e vita per le materie prime necessarie allacostruzione dei monomeri. Tale competizione potrebbecondurre alla selezione di molecole capaci di replicarsi.

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condurre alla selezione di molecole capaci di replicarsi.Questo spostamento di attenzione, dalle origini della

riproduzione a quelle della selezione, ha un’implicazionevistosa. Secondo l’opinione comune, circa 4 miliardi dianni fa il nostro pianeta sperimentò una singolarità chesegnò la nascita definitiva della diversità vivente che noipossiamo osservare oggi: un big bang in biologia cheforgiò il primo anello di una catena di riproduzione che siestende dal momento in cui una banda di molecoledisponibili alla cooperazione attraversò lo spartiacque frachimica inanimata e biochimica, fino a evolversi poi intutti gli esseri che si contorcono, nuotano, strisciano ecamminano.

Nella visione tradizionale delle origini della vita,l’istante in cui emerge il primo replicatore è un momentoraro e fuggevole che dà impulso spontaneamente (perbootstrap) al resto dell’evoluzione. Questo è un eventoimmensamente fortunato, un’effimera scintilla cheaccende la miccia biochimica, fra “pre-vita” e vita. Lavita non ebbe un inizio preciso, ma da un’origine buia econfusa si trasformò in un rapido incendio.

Nel corso dei miliardi di anni la pre-vita si arricchì.Quanto più divenne ricca, tanto più fu probabile un iniziodella vita. In altri termini, lo sviluppo di una chimica ricca,

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della vita. In altri termini, lo sviluppo di una chimica ricca,avendo tempo e spazio a sufficienza, era destinato adarrivare alla scoperta delle molecole giuste per lareplicazione. In questo modo il brodo delle sostanzechimiche inanimate sulla Terra stava, in effetti, testandopossibili molecole dotate della capacità dellareplicazione, aumentando di molto attraverso questitentativi la probabilità che una di esse potesse infineraggiungere la soglia della vita.

L’origine della vita potrebbe quindi non essere dipesada una singola scintilla della genesi, ma da una chimicache frullò sostanze inanimate sulla Terra per centinaia dimilioni di anni. All’interno della chimica della pre-vitac’erano opportunità di cooperazione. Alcune sequenzepotrebbero avere avuto attività catalitiche, le qualipotrebbero avere aumentato la velocità di certe reazioniprebiotiche. Potei anche ipotizzare in che modo duesequenze prebiotiche complementari potesserocatalizzare reazioni che ne avrebbero permesso lavicendevole costruzione. Una molecola accrebbe lavelocità con cui fu formata l’altra, e viceversa.L’esistenza di coppie cooperanti di molecole nella pre-vita è molto plausibile. In effetti, la replicazione di unsingolo filamento di RNA può essere concepita in questo

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modo: un filamento di RNA costruisce un filamentocomplementare, e via dicendo. La cooperazione sarebbequindi più antica della vita stessa.

Questa è quindi una visione più sfumata di quel cheaccadde all’alba della biologia. Alcune sequenze di unitàelementari sviluppano infine la capacità di eseguire copiedi se stesse e di riprodursi, se ci sono sufficienti unitàchimiche adatte. Le sequenze che si replicanopotrebbero fagocitare le unità elementari più velocementedelle sequenze che non si replicano, cosicché siinstaurerebbe una competizione fra la pre-vita e la vitastessa. Secondo i nostri calcoli, la pre-vita sarebbesopraffatta da strutture capaci di replicarsi solo inpresenza di condizioni che spostano la rapidità direplicazione oltre una certa soglia. Infine, la vita corrodel’impalcatura delle molecole prebiotiche che ne avevanopermesso inizialmente l’emergere. In questo modo essaci si presenta come un’infezione della pre-vita che infinedistrugge la sua progenitrice molecolare. O, per adottareun’ottica antropomorfica, la vita sfrutta la pre-vita.

Questa idea ha anche implicazioni più vaste, chemeritano una piccola digressione. È forte la tentazione dispeculare su che cosa accadrà quando gli ambientiinformatici diventeranno ancora più ricchi e quando

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informatici diventeranno ancora più ricchi e quandointernet metterà in connessione fra loro computer ancorapiù potenti disseminati su tutto il pianeta. Si possono fareipotesi sul giorno in cui forme di vita fondate suicomputer (un software capace di evolversi, o una soft-vita) riusciranno a evolversi spontaneamente in virtù diun processo molto simile a quello che aprì per la primavolta la via alla vita sulla Terra 4 miliardi di anni fa.

E poi?

Una volta che esista una popolazione di filamenti capacidi replicarsi, prendiamo ad esempio del materialegenetico RNA, che cosa accade? Si è molto lavorato asviluppare equazioni matematiche capaci di descrivere inche modo le concentrazioni di molecole, per esempio dipolimeri di RNA, possano dare luogo nel corso del tempoa reazioni chimiche. La rapidità dell’autoreplicazione puòvariare a seconda della sequenza di “lettere” genetichecontenute nel polimero di RNA: alcune sequenze di RNApossono riprodursi più rapidamente di altre. In altritermini sotto più adattate, hanno una fitness maggiore.

Ovviamente, però, la replicazione è soggetta a errori,cosa di cui si deve tenere conto. A causa delle continue

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cosa di cui si deve tenere conto. A causa delle continueimprecisioni nella riproduzione, una sequenza nella prolenon è necessariamente identica a quella del genitore dacui deriva. In questo modo, eventi chimici casuali cheoccorrono durante la riproduzione possono creare unospettro di molecole di RNA con sequenze diverse, anchese affini. Questo insieme di acidi ribonucleici strettamenteimparentati è chiamato quasi-specie. Le conseguenzedella presenza di un arcobaleno di molecole replicantisiall’inizio della vita furono studiate da Manfred Eigen,chimico tedesco, vincitore di un premio Nobel insieme aPeter Schuster dell’Università di Vienna.

Per cominciare, occorreva un modo per considerare lepossibilità di evoluzione. Nel 1932 il genetista americanoSewall Wright aveva escogitato l’idea di un paesaggio difitness. Questo concetto fu applicato da Eigen eSchuster in forma estesa per descrivere l’evoluzionedell’RNA e l’origine della vita. Essi costruironoinnanzitutto quello che è noto come spazio dellesequenze. Disposero tutti i filamenti di RNA della stessalunghezza in un reticolo tale che i filamenti vicinidifferissero solo per una lettera chimica, o base. Ora ladistanza fra due sequenze scelte a caso era uguale alnumero delle mutazioni (differenze in lettere) esistenti fra

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numero delle mutazioni (differenze in lettere) esistenti fraloro: quanto maggiore era il numero delle mutazioni cheseparavano le sequenze, tanto più esse erano separatel’una dall’altra.

Ogni sequenza di RNA ha una certa rapidità diriproduzione, che è la sua fitness. Le sequenze dotate diuna fitness relativamente elevata si riproducono piùrapidamente e diventano più numerose man mano chesopraffanno quelle più lente, meno adattate. Se si annotala fitness di un particolare RNA su un asse verticale infunzione di uno spazio delle sequenze rappresentato suun asse orizzontale, veniamo ad avere il paesaggio difitness che caratterizza l’evoluzione dell’RNA.

Tenendo a mente tutto questo, possiamo immaginareche sequenze che si replicano rapidamente forminocatene montuose, e che le sequenze più veloci di tuttesiano rappresentate dai picchi più alti. Sul paesaggio, lesequenze a replicazione più lenta languiscono nelleprofonde valli sottostanti. E dove gli RNA vicini hanno unafitness simile ci sono pianure piatte come frittelle. Aquesto punto la ricerca del migliore replicatore puòessere espressa come quella del picco più alto in unvasto panorama ondulato di possibilità.

Di norma, una popolazione che si sta evolvendo si

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Di norma, una popolazione che si sta evolvendo siarrampica in un paesaggio di fitness, passando per unaserie di piccoli cambiamenti genetici finché non raggiungeun picco. Una delle sottigliezze dell’evoluzione è che quelparticolare picco può non essere il più alto e quindi unapopolazione può rimanervi isolata fino a quando una raramutazione non aprirà un nuovo percorso verso un piccodi fitness ancora più alto. In caso contrario, la via versoun picco più alto può passare attraverso una valle, fattoche rende la quasi-specie ben descrivibile dal vecchioadagio che dice che le cose, prima di migliorare, devonopeggiorare.

I paesaggi sono multidimensionali. Se cerchiamo didisegnare un tale reticolo di sequenze binarie di lunghezzadue e tre, avremo bisogno di tante dimensioni quant’èlunga la sequenza. Per disegnare lo spazio delle sequenzedell’HIV, che è causa dell’AIDS, avremo bisogno di 10000 dimensioni. Le sequenze del materiale geneticoall’alba della vita erano al confronto relativamente corte,ma erano pur sempre molto superiori alla capacità di unapersona di considerare lo spazio multidimensionale in cuierano comprese.

Spero che i lettori possano cominciare a rendersiconto che le possibilità dell’evoluzione dimorano in spazi

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conto che le possibilità dell’evoluzione dimorano in spazimultidimensionali molto alti. Essi sono in realtà più“spaziosi” dell’universo stesso. Sono così vasti che daqualche parte in questi Himalaya ad alte dimensionipossono esistere sorprendenti Shangri-La di forme di vitapeculiari ed esotiche in un paesaggio di fitness, comeoasi che l’evoluzione non scoprirà mai nell’arco di tuttal’esistenza del nostro cosmo.

Il gioco della vita

Quando Eigen e Schuster, verso la fine degli anniSettanta, introdussero la teoria delle quasi-specie,crearono nuove opportunità di capire la vita el’evoluzione. Le quasi-specie possono vagare in lungo ein largo sui paesaggi altamente dimensionali della fitness,alla ricerca di picchi, che rappresentano regioni di altivalori della fitness. Eigen e Schuster sostennero però chel’obiettivo della selezione naturale non fosse la sequenzapiù adatta bensì la quasi-specie più adatta. Questa è unadistinzione importante perché la sequenza più adattapotrebbe rappresentare solo una frazione piccolissimadella quasi-specie. In effetti, potrebbe non esserepresente nemmeno per tutto il tempo. Inoltre, il picco più

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presente nemmeno per tutto il tempo. Inoltre, il picco piùalto potrebbe non corrispondere alla quasi-specie piùadatta, come si chiarirà in seguito.

È facile vedere perché l’idea della quasi-specie, unraggruppamento di molecole di RNA leggermente diversema imparentate, sia così potente. Si potrebbe pensareche il successo di ogni singolo replicatore di RNA dipendasolo dalla propria capacità di produrre se stesso e quindidal suo ritmo di replicazione. Ma non è così; essodipende anche dalla rapidità di replicazione dei mutantivicini. La ragione è che, dopo la mutazione giusta, questimutanti vicini possono generare anche il replicatoreoriginario dell’RNA. Le diverse sequenze vicine possonocooperare fra loro attraverso mutazioni.

In questo modo la selezione naturale sceglie non lasequenza più adatta di RNA, bensì la nube (quasi-specie)più adatta di acidi ribonucleici. Immaginiamo duesequenze di RNA, che chiamiamo A e B. Supponiamoche A abbia una velocità di replicazione maggiore diquella di B, e quindi un valore di fitness più elevato.Secondo l’opinione convenzionale, A dovrebbe vincerenel “gioco della vita”. È davvero così? Non corriamotroppo.

Supponiamo che la sequenza A sia circondata da

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Supponiamo che la sequenza A sia circondata damutanti con una fitness molto modesta, e si trovi quindisu un picco molto elevato, mentre B è circondata damutanti con una fitness relativamente alta, formandoquindi una montagna culminante in una sorta di altopiano.Questa montagna ha un’altitudine inferiore a quella delpicco di A. Se giochiamo con le equazioni, come fecePeter Schuster all’Università di Vienna insieme a JörgSwetina, troveremo che, al crescere della rapidità dimutazione, A perde la competizione con B. C’è unavelocità di mutazione critica, al di sotto della quale vinceA, ma al di sopra della quale sono favorite B e lesequenze vicine, e questa situazione può essere calcolatacon l’equazione delle quasi-specie.

Ci sono altre conseguenze importanti della teoria dellequasi-specie. Gli studiosi di biologia hanno molto insistitofin dall’inizio sul fatto che le mutazioni fossero casuali.Esse, in effetti, non hanno una direzione prestabilita, sonocieche. Come però abbiamo visto, non è certamentecieca l’evoluzione; voglio dire che tendono a prosperare imutanti più adattati a un ambiente. Ora possiamo vedereche la selezione può agire sulla struttura della quasi-specie e guidarla lungo i crinali verso i picchi più vicini.Ciò accade perché i mutanti che hanno più successo

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Ciò accade perché i mutanti che hanno più successoproducono più prole di quelli di minor successo (quelliche sono più lontani dai picchi).

Prima di questa intuizione, si poteva essere tentati diconcepire l’evoluzione come un percorso puramentecasuale in un paesaggio di fitness. In altri termini, comeuna serie di passi in uno spazio multidimensionale dellesequenze, nel quale nessuna regione ha più probabilità diessere esplorata di qualsiasi altra. Risulta però che, acausa del potere della selezione e delle quasi-specie, lacamminata dell’evoluzione attraverso le possibilitàgenetiche della vita è incanalata da predisposizioni.

Limitazioni conseguenti a errori

Le possibilità straordinarie dell’evoluzione derivano daerrori di replicazione: le mutazioni hanno un’importanzacritica. Se la replicazione dell’RNA fosse perfetta edesente da errori, non avrebbe origine alcun mutante el’evoluzione avrebbe fine. Non cambierebbe mai nulla enon ci sarebbe diversità tra i viventi. Le mutazioni sonoquindi richieste per l’emergere della vita, ma questacondizione sarebbe impossibile anche se il tasso deglierrori fosse troppo elevato. La ragione di ciò è che solo

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errori fosse troppo elevato. La ragione di ciò è che soloalcune mutazioni conducono a un migliore adattamento.Per la maggior parte conducono a deterioramenti.

Giocando con i numeri si scopre che, se in un qualsiasievento di replicazione avvengono troppi errori, unapopolazione di molecole di RNA non potrà conservareuna quantità di informazione significativa da trasmetterealla generazione seguente, in quanto il messaggio geneticodiventerebbe confuso. Così, quando il tasso di mutazionisupera una soglia esattamente definita, il messaggioereditario si disintegra. Perciò, se una quasi-specie diacidi ribonucleici è adattata a funzionare bene in unambiente, una volta superata questa soglia d’errorequalsiasi adattamento a quell’ambiente diventaimpossibile. Eigen e Schuster rilevarono che c’era unmodo per calcolare esattamente dove si trovasse questasoglia di errore e per esprimerla come una lunghezzamassima possibile di sequenze che potesse funzionareper ogni tasso di mutazioni dato.

Diciamo che, quando una sequenza di RNA siriproduce, c’è una data probabilità di errore ditrascrizione. Naturalmente, quanto più lunga è la “frase”d i RNA, tanti più errori conterrà, esattamente come,quanto più lunga è la frase che tenti di compitare a mente,

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quanto più lunga è la frase che tenti di compitare a mente,tanto maggiore sarà la possibilità di commettere unerrore. Possiamo quindi pensare la soglia di errore comela lunghezza di RNA oltre la quale anche la possibilità ditrasmettere informazione genetica è troppo degradata.Per un RNA di 100 lettere chimiche, perché il messaggiopossa essere trasmesso con successo, il tasso di erroredeve essere minore di 1 ogni 100 lettere. E per un RNAdi 1000 lettere, deve essere minore di 1 su 1000. Quindiil tasso massimo di mutazione possibile per ogni basedeve essere inferiore all’inverso della lunghezza delgenoma: solo così ci saranno abbastanza discendenti colmessaggio corretto per trasmettere l’informazione allegenerazioni successive.

Esperimenti compiuti da Leslie Orgel al Salk Institutedi San Diego sulla replicazione spontanea dell’RNA(senza l’aiuto di enzimi) suggerirono che il tasso di errorefosse di circa 1 su 20. Questa cifra implica, sui genomiprimitivi, un limite superiore accettabile di circa 20.Forse, con un po’ di fortuna, questa cifra potrebbe salirefino a 100. E quanto più, tanto meglio, poiché quanto piùlungo è l’RNA, tante più opportunità ci sono di ridurre iltasso di mutazione, usando lo stesso RNA.

Acidi ribonucleici a filamento singolo formano spesso

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Acidi ribonucleici a filamento singolo formano spessogrovigli in cui le basi componenti si accoppiano, nellaparticolare forma di strade a tornanti. Le formecomplesse risultanti danno all’RNA la capacità di svolgerela funzione di un enzima, forse per accelerare reazioni chepotrebbero aiutare a correggere errori. All’alba dellavita, la replicazione genetica potrebbe essere stata moltolenta e soggetta ad alti tassi di errore, ma forse emerseroenzimi formati da RNA primitivi per aiutare a rendere lareplicazione più esatta, agendo come una sorta di stampoper disporre i giocatori chimici in vista della partita dellareplicazione. Questo fatto promette bene, quando siarriva a creare una biochimica abbastanza complessa dasostenere la vita.

Dobbiamo però ovviamente ricordare l’opera di Eigensugli errori. È possibile produrre acidi ribonucleici chesiano abbastanza lunghi da generare enzimi capaci dicorreggere errori? La replicazione spontanea dell’RNA haun tasso di errore nella copiatura dell’RNA compreso fra1 su 20 e 1 su 100. Consideriamo (per essere ottimisti) ilsecondo valore. La soglia di errore suggerisce che ilpezzo di RNA più lungo che possa evolversi sia lungo 100basi. Eigen dice che un pezzo di RNA di questa lunghezzaè troppo corto per codificare un enzima di RNA in grado

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è troppo corto per codificare un enzima di RNA in gradodi svolgere la funzione di replicasi, ossia di operarecome un enzima che accresce la rapidità di replicazionedell’RNA e ne riduce il tasso di mutazione.

Come è dunque possibile produrre pezzi di RNAabbastanza grandi perché gli enzimi che ne risultanogarantiscano una replicazione esatta e viceversa?Qualcuno parla in proposito del paradosso di Eigen: ilconcetto di soglia di errore limita la grandezza dellemolecole autoreplicantisi, e tuttavia la vita richiedemolecole molto più lunghe per poter codificare in essel’informazione genetica richiesta. Eigen dimostrò che,senza gli enzimi per la correzione degli errori, la lunghezzamassima di una molecola capace di autoreplicarsisarebbe stata di circa 100 lettere. Ma perché unamolecola autoreplicantesi possa includere enzimi per lacorrezione di errori, deve essere formata da un numerodi lettere molto maggiore di 100. Per questo motivo ilconcetto di soglia di errore ha un’importanza crucialenel contesto dell’origine della vita.Mi concentrai sulla teoria della soglia di errore nelperiodo in cui lavoravo alla mia tesi di dottorato conPeter Schuster, nel 1989. Mentre lui ed Eigen avevanousato popolazioni infinitamente grandi (benché questaespressione possa suonare intimidatoria, queste

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espressione possa suonare intimidatoria, questepopolazioni sono in realtà più facili da analizzare), il miocompito fu quello di affinare la loro ricerca in modo dapoterla applicare a popolazioni finite. Ne risultò unapiccola equazione elegante che sperai potesse piacere aqualche esperto: il massimo tasso possibile di mutazioneera più piccolo in popolazioni finite che in popolazioniinfinite. Perciò, nello scenario realistico delle popolazionifinite, il problema della soglia di errore era ancora piùacuto. Per un tasso di mutazione dato, la massimalunghezza del genoma compatibile con l’adattamento (laricerca dei picchi nel paesaggio di fitness e la capacità direstare su di essi) era ancora minore. Ciò significa cheera ancora più difficile venire a capo del paradosso diEigen.

Eppure sappiamo che questo limite è stato superatodalla storia della vita sulla Terra: il pianeta pullula diforme di vita contenenti macromolecole; nel nostro corpogli enzimi sono grandi proteine, ben formate, disegnatecon grande esattezza per accelerare in modo preciso lereazioni chimiche e assicurare, per esempio, che gli errorinella replicazione rimangano a un livello minimo. Lapresenza di ogni organismo vivente oggi sul nostropianeta ci dice che l’evoluzione ha trovato un modo per

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pianeta ci dice che l’evoluzione ha trovato un modo peraggirare questa difficoltà.

Ipercicli

È la cooperazione a fornire la soluzione di questo enigmaapparentemente insolubile. In questo caso essa assume laforma di un cosiddetto iperciclo, ossia di un ciclo dimolecole di RNA reciprocamente dipendenti, ognunadelle quali si sottopone a reazioni chimiche per riprodurrese stessa e, al tempo stesso, aiuta la molecola successivanel ciclo a riprodursi.

Questo è un modello cinetico che fornisce il quadrogenerale approssimativo di come le parti dell’iperciclocooperino. Ogni replicatore è abbastanza piccolo da nonincorrere nel limite di errore e quindi può essere prodottocon grande fedeltà. Non esiste inoltre alcun replicatoreche possa assumere il controllo dell’iperciclo: l’insieme ètale che, per fornire una prestazione di successo, gli attoridell’RNA dipendono l’uno dall’altro. Stabilendo uniperciclo di sequenze individuali d i RNA, ognuna dellequali rimanga al di sotto della soglia dell’errore diinformazione, si potrebbe immagazzinare un messaggiogenetico maggiore, come quello capace di produrre

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genetico maggiore, come quello capace di produrreproteine in grado di controllare la presenza di errori eanche di correggerli.

In che modo gli ipercicli si collegano al mondo reale?Oggi la vita sulla Terra immagazzina informazionegenetica in forma di DNA. Questo è tradotto in RNA, cheè usato come copia di lavoro dell’informazione codificatanel DNA e può svolgere anche la funzione di un enzima,che a sua volta specifica i componenti per la costruzionedei corpi: le proteine. Nel mondo a RNA, tutte questefunzioni erano svolte dall’RNA, ma si può estendere l’ideadell’iperciclo a coprire una gamma di possibilità: iperciclid i RNA; ipercicli di DNA-proteine; cicli che ruotanoall’interno di altri cicli. Tutte quante condividono lemedesime proprietà matematiche.

Gli ipercicli ruotano all’interno degli ecosistemi che cicircondano, nella forma di relazioni reciprocamentedipendenti fra organismi. Darwin espresse questa ideaosservando con eleganza: «È interessante contemplareuna riva fluviale rigogliosa, coperta da molte piante di varitipi, con uccelli che cantano sugli arbusti, con vari insettiche svolazzano intorno e vermi che strisciano nella terraumida, e riflettere che queste forme costruite in modocosì elaborato, così diverse l’una dall’altra e dipendenti

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così elaborato, così diverse l’una dall’altra e dipendentifra loro in un modo così complesso, siano state tutteprodotte da leggi che agiscono intorno a noi»2.

Imbroglioni

Lo scienziato non è la persona che dà le rispostegiuste, ma quella che pone le domande giuste. ClaudeLévi-Strauss, Il crudo e il cotto

L’iperciclo può risolvere il problema degli errori, ma nelascia uno più grande, che fu identificato per la primavolta da John Maynard Smith. Come fecero a svilupparsigli ipercicli in principio? Perché dovrebbero rimanerestabili se ci sono dei parassiti molecolari? Coloro che nonhanno familiarità con queste ricerche potrebbero grattarsila testa, confusi dall’idea che delle molecole possanoessere parassiti, o incapaci di venire a capo dell’idea dicome esse possano decidere di cooperare odefezionare. Questa è però solo una deformazioneprospettica. Una molecola può avere la forma giusta o lacomposizione chimica giusta per accelerare una reazionechimica utile, o avere la costituzione giusta per disturbarlao per dirottare risorse cellulari, in quanto riduce in pezzi

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o per dirottare risorse cellulari, in quanto riduce in pezzialtri partecipanti cruciali (nel primo caso agisce dacooperatore, nel secondo da defezionista).

Allo stesso modo, l’idea di un gene egoista nondovrebbe implicare che i geni abbiano motivi reali, masolo che i loro effetti possano essere descritti come se liavessero: i geni trasmessi alla generazione seguente sonoquelli le cui conseguenze servono ai propri interessi, nonnecessariamente a quelli delle società o addirittura degliorganismi in cui si trovano. E quando si passa ai parassitimolecolari di Maynard Smith, stiamo parlando diqualcosa di simile a un RNA che riceve aiuto perreplicarsi, ma, agendo da defezionista, non dà in cambioalcun aiuto. Ancora una volta, siamo tornati al dilemmadel prigioniero e alla tensione sempre presente fracooperazione e defezione.

Ci siamo già imbattuti in Maynard Smith nel Capitolo5, sulla selezione parentale. Questo uomo affabile,dall’aria trasognata, fu il padre della teoria dei giochievoluzionistica ed esercitò un’influenza straordinaria sulmio campo. Egli si adoperò molto anche per accendere ilmio entusiasmo e il mio amore per la biologia teorica.

Maynard Smith cominciò la sua carriera comeingegnere e durante la Seconda guerra mondiale lavorò

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ingegnere e durante la Seconda guerra mondiale lavoròcome stress man: calcolava le forze che agiscono sulleali degli aerei. Era il modo migliore perché potesseaffinare la sua competenza in matematica, visto chedoveva volare insieme al pilota ogni volta che sicollaudavano nuovi progetti; e perché potesse impararein modo rapido e naturale da tutti i suoi errori. Studiò poibiologia allo University College di Londra, doveinsegnava il grande Haldane, che sarebbe diventato il suoispiratore. La matematica è tradizionalmente un gioco pergiovani, tuttavia Maynard Smith cominciò a scrivere ilsuo grande saggio teorico alla tenera età di cinquantatréanni.

Quando gli feci visita negli anni Novanta alla SussexUniversity, nei pressi di Brighton, Maynard Smith stavaancora scrivendo i suoi programmi per computernell’antiquato e pittoresco linguaggio Basic noncompilato. Non avendo mai padroneggiato unprogramma di grafica, disegnava i suoi risultati a mano sucarta, e lo faceva davanti ai miei occhi. Mi portava al pubper una pinta di birra accompagnata da fish and chips,l’altro grande contributo britannico alla cucina mondiale,poi tornavamo alla sua casa bianca dove potevo restarea trascorrere la notte. Uscivamo insieme a camminare

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a trascorrere la notte. Uscivamo insieme a camminaresulle vicine colline verdeggianti, sulle dune di sabbia e frale paludi salmastre, parlando senza fine. Ma per lo piùero io che lo ascoltavo colmo di ammirazione. Spessopreparava il campo per una nuova linea di pensieroponendo una domanda costruita con cura.

Uno fra i contributi più importanti di Maynard Smith fuintrodurre la biologia nella grande teoria dei giochi diJohn von Neumann. Si narra che fosse rimasto colpitomentre stava leggendo un libro di matematicasull’argomento. Dopo qualche pagina decise di metterloda parte e di continuare a sviluppare le proprie idee.Elaborò allora il concetto di strategia evolutivamentestabile: una strategia che, una volta divenuta comune,non potesse essere migliorata da soluzioni alternative. Sidomandò che cosa sarebbe accaduto se una popolazionedi giocatori che adottava una determinata strategia sifosse imbattuta in un individuo che ne usava una diversa.La sua risposta fu che la strategia mutante avrebbepotuto invadere e sopraffare la popolazione di giocatorise il mutante fosse riuscito a ottenere un payoff superiorea quello del membro tipico della popolazione.

Così Maynard Smith elaborò un modo per usare lateoria dei giochi in riferimento a una popolazione, cosa

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teoria dei giochi in riferimento a una popolazione, cosache si rivelò fondamentale per il pensierosull’evoluzionismo. La cosa notevole è che, se avesseproseguito nella lettura di quel libro, si sarebbe imbattuto,poche pagine più avanti, nel concetto molto similedell’equilibrio di Nash, così chiamato in riferimento aquello stesso John Nash che avevo conosciuto aPrinceton. Egli avrebbe potuto scoraggiarsi, e nonscoprire mai la strategia evolutivamente stabile. Ma forse,se avesse continuato a leggere quel libro, non sarebbemai diventato famoso. A volte sapere troppo non è unabuona cosa.

Maynard Smith fornì un altro grande contributo allascienza quando suggerì che gli ipercicli, reti altruistiche direplicatori molecolari, potevano presentare un problemaimportante. Voleva sapere come potessero cavarsela difronte a parassiti, free rider e imbroglioni. Unimbroglione potrebbe essere per esempio unpartecipante all’iperciclo che riceve un aiuto catalitico manon dà aiuto ad alcun’altra unità della rete. Se emerge unparassita del genere, la catena dell’iperciclo si spezza. Lapresenza di ingannatori capaci di sfruttare l’iperciclo e distornarne le risorse ci ricorda che, benché gli iperciclirisolvano il problema dell’errore, noi dobbiamo ora

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risolvano il problema dell’errore, noi dobbiamo orarisolvere un problema più profondo: come si evolvono lecomunità complesse, interdipendenti?A questo punto la risposta dovrebbe esserci familiare:abbiamo bisogno di un meccanismo per l’evoluzionedella cooperazione. Eigen ha sostenuto che lacooperazione potrebbe essere possibile se gli iperciclifossero organizzati in cellule. Se supponiamo che lecellule con gli ipercicli che si replicano con maggiorsuccesso – e che quindi cooperano – si dividano piùrapidamente, queste cellule prospererebbero in relazionea quelle i cui ipercicli sono ostacolati dal comportamentodegli imbroglioni. Attivando un livello superiore diselezione, agendo fra le cellule, gli ipercicli possonoeliminare i parassiti. Questo è un bell’esempio diselezione a molti livelli, in cui ciascuna cellula opera comeun gruppo di replicatori. All’interno di talune cellule, idefezionisti potrebbero vincere, ma le cellule senzadefezionisti possono sopraffare quelle con defezionisti.La cooperazione ha la meglio.

Maynard Smith si rese inoltre conto che durantel’evoluzione ci sono stati vari cambiamenti importanti nelmodo in cui l’informazione genetica è organizzata etrasmessa da una generazione alla successiva. Egli

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trasmessa da una generazione alla successiva. Eglidescrisse l’evoluzione nel corso delle lunghe ere dellastoria della Terra, dai geni ai cromosomi alle cellule allinguaggio, nel saggio The Major Transitions inEvolution. È una fortuna che abbia scritto questo libro incollaborazione con Eörs Szathmáry, un biologoproveniente dall’Ungheria come molti altri grandiscienziati e matematici (pensiamo a John von Neumann oal matematico più aperto di tutti alla cooperazione, PaulErdós, che lavorò con centinaia di collaboratori suproblemi di combinatoria, teoria dei grafi, teoria deinumeri, analisi classica, teoria dell’approssimazione,teoria degli insiemi e teoria delle probabilità). In effetti,anche il PED aveva un residente ungherese, Tibor Antal,che aveva risolto alcuni fra i problemi più difficili. Comedice una vecchia battuta: “Se ho visto più lontano, èperché mi sono issato sulle spalle degli ungheresi”.

Maynard Smith e Szathmáry calcolarono quanti salti ebalzi nella complessità e nel disegno siano occorsi perpassare da un vuoto informe alle moderne forme di vita.Per prima cosa, i geni cominciarono a legarsi fra loro instrutture note come cromosomi, i quali sonoessenzialmente comunità di geni interdipendenti. Durantela divisione cellulare i cromosomi si dividono

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la divisione cellulare i cromosomi si dividonoordinatamente producendo cellule figlie contenenti glistessi insiemi di cromosomi e identico materiale genetico.

I cromosomi sono comunità di geni le cui fortune sonointrecciate: collegandosi con altri per coordinare lareplicazione, ogni gene assicura che tutte le cellule figlieacquisiscano la serie completa dei geni cooperanti, e inquesto senso la cooperazione è promossa da interessiegoistici. Le nostre cellule contengono decine di migliaiadi geni, distribuiti su 46 cromosomi, riflettendo il modo incui un singolo gene prospererà in una cellula che contienetutte le altre necessarie a garantirne il funzionamento.Alcuni geni producono componenti che hanno sensosoltanto quando uniti a quelli prodotti da altri, e diconseguenza il numero delle proteine diverse presenti nelnostro corpo è superiore a quello dei nostri geni.

Il vantaggio relativo di avere tutti i geni connessi su uncromosoma aumenta notevolmente al crescere del loronumero, cosicché maggiore è il numero dei geni checooperano e meglio è. Una volta che i geni sono connessiinsieme in un tutto più grande, la selezione naturale puòcominciare a sviluppare il meccanismo per la correzionedegli errori. Questa connessione non soltanto assicurache nelle cellule figlie si trovino sempre geni

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reciprocamente complementari, ma riduce le opportunitàdi defezione perché i geni raggruppati in questo modo sireplicano simultaneamente: quando si replica un gene, sireplicano tutti.

Anche in questa situazione, però, ci sono defezioni daparte di geni egoisti, che non smettono di preoccupare.Per esempio, geni che operano individualmente possonoreplicare se stessi con una rapidità molto maggiore diquelli che cooperano all’interno di un cromosoma, i qualisono costretti ad attendere che arrivi il loro turno. Perchéi geni dovrebbero tollerare la camicia di forza delcromosoma? Perché non liberarsene? E innanzitutto,perché si deve cooperare? Non sarebbe meglio noncooperare? Beh, ovviamente non tutti i geni cooperano invista del conseguimento di un bene superiore. Unascoperta importante è che l’intero codice genetico umano– il genoma – pullula di elementi egoistici, che sono ilrisultato del conflitto intragenomico.

La nostra eredità è stata plasmata da parassiti genetici,istruzioni egoistiche di autoduplicazione che sono statetrasmesse da una generazione all’altra nel lungo corsodelle generazioni. Con nomi bizzarri come LINE (LongInterspersed Nuclear Elements), SINE (Short InterspersedNuclear Elements), retrotrasposoni LTR (Long Terminal

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Nuclear Elements), retrotrasposoni LTR (Long TerminalRepeat), e trasposoni a DNA, questi parassiticompongono una frazione significativa del nostro codicegenetico, rappresentandone rispettivamente il 13, il 20,l’8 e il 3 per cento circa. Alcuni, come i LINE, codificanoper il meccanismo delle proteine, che inserisce nuovi LINEnella nostra ricetta genetica. Altri, in particolare quellichiamati alu (dall’enzima omonimo), approfittano perriprodursi del meccanismo delle proteine prodotto daiLINE. In effetti, geni egoisti potrebbero essersi mescolatial DNA fin dall’origine della vita, circa 4 miliardi di anni fa.Così la selezione naturale ha favorito almeno qualcheindividualista genetico. Ma ci sono dei limiti. Un genetroppo egoista finirà con l’uccidere contemporaneamenteil suo ospite e se stesso.

Pensiero alieno

Abbiamo visto finora come la cooperazione sia uningrediente chiave dell’evoluzione sul nostro pianeta, esarebbe logico pensare che lo stesso debba valere per lavita in qualsiasi plaga dell’universo. Data la vastità delcosmo, è probabile che il passaggio dalla pre-vita allavita si sia verificato in molti luoghi e in molti tempi e non

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vita si sia verificato in molti luoghi e in molti tempi e nonsorprende, quindi, che gli astrobiologi siano andati allaricerca di prove di una vita aliena. Alcuni la stannocercando in regioni lontanissime, usando potenti telescopiper individuare firme chimiche eloquenti su pianeti similialla Terra in altri sistemi solari. Altri stanno guardando adistanze molto minori. La Terra stessa potrebbepossedere addirittura un’atmosfera fantasma di vitamicrobica alternativa, che potrebbe rappresentare unaseconda genesi, una terza e via dicendo. Alla ricerca diprove, gli scienziati stanno perlustrando i deserti più aridi,scavando in laghi sepolti sotto strati di ghiaccio, inviandopalloni nell’atmosfera superiore o in altri ambienti troppoestremi per la vita che conosciamo e trovando modi perscoprire la presenza di biochimiche alternative.

Nonostante l’enorme progresso compiuto nellacomprensione degli eventi legati agli albori della vita sullaTerra, c’è un aspetto di questa storia che ancora misorprende. Come poté affermarsi così rapidamente?Potrebbero essere occorsi solo 200 milioni di anni perpassare da un pianeta senza vita a uno in cuiprosperavano innumerevoli batteri. Ora, benché 200milioni di anni possano sembrare un tempo molto lungo,sono un intervallo brevissimo quando lo si confronti col

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sono un intervallo brevissimo quando lo si confronti colpasso “relativamente semplice” della creazione delleprime cellule complesse, gli eucarioti, dai batteri,passaggio che richiese 2 miliardi di anni. E il passaggiodal “nulla” ai batteri sembra essere un compito molto piùdifficile di quello dai batteri ai molto più complessieucarioti.Non dovremmo escludere la possibilità che i semi dellavita sulla Terra siano giunti sul nostro pianeta da qualchealtra regione dello spazio. Non intendo dire che la vita siaarrivata sulla Terra da un sistema solare vicino: è moltopiù probabile che la nube di molecole, polvere e materiaagglomeratasi a formare il nostro sistema solare fossecomposta dai residui di sistemi stellari morti, alcuni deiquali potrebbero avere ospitato forme di vita. Fra questidetriti cosmici c’erano anche i resti di antichi pianeti chepotrebbero avere trasportato spore batteriche; unaroccia impregnata di quelle spore potrebbe averedisseminato tutta la vita sulla Terra. Quand’anche igenomi di batteri alieni fossero stati frantumati dallaradiazione cosmica, sappiamo che alcuni di quei batterisarebbero stati in grado di ricostruire se stessi in acqua edi ricominciare a replicarsi.

Noi potremmo essere i discendenti di molecole che

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Noi potremmo essere i discendenti di molecole chevinsero il primo “gioco della vita” molto lontano da qui,su un pianeta che orbitò un tempo intorno a un’altra stellanell’incerto e remoto passato. Ci sono astronomi cheamano raccontarci che siamo polvere di stelle, conriferimento al fatto che il nostro corpo si fonda suglielementi pesanti che furono prodotti un tempo all’internodi stelle, poi esplose come supernove. Ma la cronologiadell’emergere della vita suggerisce altrettanto bene chepotremmo essere il risultato di una cooperazione framolecole che ebbe origine molto tempo fa su un pianetaroccioso in un sistema solare alieno.

Se la vita è un fenomeno robusto – e io penso che losia –, deve avere avuto origine molte volte,indipendentemente, nel nostro universo. E, se la vitaintelligente è un fenomeno robusto, deve essersianch’essa originata frequentemente. Perché non abbiamoancora avuto un dialogo con Et? Io penso che gli incontrifra oasi indipendenti di vita intelligente siano rari perché lavita intelligente è molto instabile. L’intelligenza è unfenomeno effimero, autodistruttivo. Perché? Perchéspesso la vita intelligente non riesce a risolvere il piùgrande fra tutti i problemi: quello della cooperazione.

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Capitolo 7

Società di cellule

Noi tutti siamo cellule nel corpo dell’umanità.Pellegrina di pace (Mildred Lisette Norman)1

Le stromatoliti sono tra i fossili più importanti, misteriosevestigia lasciate da organismi tra i più antichi chepopolarono la Terra. Alcune sono più piccole di un dito,altre più grandi di una casa. Alcuni degli esemplari piùnotevoli si possono trovare nella regione di Pilbara,nell’Australia occidentale, nel caldo ardente di quello cheè chiamato scherzosamente North Pole Dome. Qui roccedi colore bianco, rosso e nero sono disseminatenell’erba. Si pensa che queste stromatoliti siano cambiateben poco da quando si formarono in origine intorno a

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ben poco da quando si formarono in origine intorno acomunità di microrganismi, ben 3,43 miliardi di anni fa.

Le stromatoliti hanno figure variabili, dalla formaconica a quella a cuscino o a disco, e spesso sonocostituite dalla sovrapposizione di strutture laminari.Alcune hanno una forma ondulata, altre presentano unacerta somiglianza con le orecchie di Topolino. Studi deiloro discendenti microbici, noti come cianobatteri,suggeriscono che queste rocce peculiari si siano formatelentamente quando strati di microrganismi incorporaronosedimenti e fecero precipitare dei carbonati di calcio. Acausa della loro grandissima antichità, queste stromatolitirappresentano il primo capitolo nell’ascesa dellacooperazione, vestigio delle antiche comunità microbicheche furono tra i primi esseri viventi sulla Terra.

Le stromatoliti sono monumenti singolari. Ma quandol’evoluzione crea nuovi tipi di cooperazione, e lacooperazione preannuncia modi ancora più inventivi dicostruire un organismo, emergono anche nuovi modi perdistruggere e per defezionare. Le stromatoliti sono unreperto della disposizione alla cooperazione lasciatoci ineredità dai nostri antichi progenitori unicellulari quandocominciarono a cooperare fra loro, e un monito a stare inguardia nei confronti delle forze potenti e primitive che

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guardia nei confronti delle forze potenti e primitive chepossono scatenarsi quando gli antichi atavismicominciano a riaffermarsi. Io sono giunto a considerarequeste rocce sorprendenti sia come pietre miliaridell’avvento della cooperazione fra organismi viventi siacome pietre tombali che ci mettono in guardia neiconfronti della sua instabilità.

Benché queste creature unicellulari sembrino lontaneparenti della vita moderna, ci sono in tutti i sensi moltovicine. I loro discendenti sono onnipresenti, abili einarrestabili; riescono a procurarsi di che vivere incondizioni estreme: da temperature molto inferiori allozero all’inferno di stagni acidi caldissimi; godononell’estrema salinità del Mar Morto e si beano dellecaustiche delizie dei laghi di soda; li si può trovare indeserti aridi come l’Atacama; prosperano nelle grandiprofondità oceaniche dove le temperature sono moltosuperiori a 100°C; si nascondono nel fango in profonditàsotto la superficie del fondo marino, resistendo senzadifficoltà a scorie tossiche e radioattive.

Nel corso del tempo i batteri hanno dato forma a tuttala chimica della vita e, d’un tratto, hanno inventato granparte del meccanismo che opera nei nostri corpi. Hannosviluppato anche modi per cooperare: stringhe

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sviluppato anche modi per cooperare: stringhepluricellulari di batteri si formarono intorno a 3,5 miliardidi anni fa. I batteri filamentosi, così chiamati perchéformano catene, si suicidano per fornire azoto preziosoper il bene dei loro fratelli: un decimo circa di questecellule fa ciò a beneficio di questo filamento comune divita batterica.

Un altro tipo, del tutto diverso, di cooperazionebatterica, fu rivelato dagli sforzi ostinati di Lynn Margulisall’Università del Massachusetts, la quale ipotizzò che lecellule superiori, più complesse, fossero il risultato di unasimbiosi, che si instaurava quando vari organismiunicellulari diventavano così strettamente associati daoperare come fossero uno solo. Per esempio, circa 1,8miliardi di anni fa ci fu un importante punto di svolta in cuiun tipo di batterio ne invase un altro. Forse il primo eraalla ricerca di cibo, ma questa particolare infestazioneparassitica convenne a entrambe le parti e si evolse a talpunto che i partecipanti stipularono una lunga tregua,armoniosa e produttiva. Questa è quella che la Margulischiamò simbiogenesi; essa condusse alla formazione dicellule superiori, note come eucarioti. È grazie a questacooperazione che apparve sulla Terra un tipo nuovo epiù complesso di cellula. Mentre le cellule batteriche,

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più complesso di cellula. Mentre le cellule batteriche,note come procarioti, sono relativamente semplici, inuovi consorzi cellulari, gli eucarioti, sono i mattoncini perla costruzione dei corpi di piante e animali. Queste nuovecellule contengono organelli – che si dividono i compitidella vita cellulare come fanno gli organi per un corpo –,compreso un nucleo in cui risiede il loro DNA. Questiorganelli sono quanto rimane di episodi anteriori di fusionie acquisizioni microbiche.

Se guardiamo all’interno delle nostre cellule,troveremo queste coalizioni di matrioske. L’esempio piùchiaro di simbiogenesi si presenta nella forma di piccolestrutture oblunghe, simili a fagioli: i mitocondri. Non solo imitocondri ci ricordano certe forme di insetti o loro larve,ma hanno anche il loro DNA separato, trasmesso perlinea materna. Le nostre cellule sono animate da questidiscendenti dei batteri che centinaia di milioni di anni fabarattarono energia chimica in cambio di una “casa”confortevole. Oggi questi organelli forniscono energia ainostri muscoli, al nostro apparato digerente e al nostrocervello.

La natura ha mescolato e accoppiato in questo modocreature più semplici per miliardi di anni, sottolineandoancora una volta come la cooperazione proceda di pari

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ancora una volta come la cooperazione proceda di paripasso con la costruzione. Le piante nella fioriera allafinestra, gli alberi in giardino e i broccoli nel negozio delverduriere risalgono tutti ad antichi progenitori chedivennero verdeggianti solo 2 miliardi di anni fa, quandosi associarono a creature verdi, più piccole di loro, cheriuscivano a captare i raggi del sole trasformandoli innutrimento. I ricercatori scoprirono addirittura su unaspiaggia un minuscolo organismo oceanico – hatena(“misterioso”, in giapponese) – che sembrava proprioimpegnato nel processo di assumere il colore verde.

Poi venne una seconda ondata di cooperazione, nellaquale queste cellule più complesse si aggregarono aformare comunità. Il risultato di questo secondoprocesso – un organismo pluricellulare come un cane, ungatto o voi e me – approfitta splendidamente delladivisione del lavoro fra le cellule che lo compongono. Piùdi 600 milioni di anni fa gli ctenofori, comuni e fragiliesseri gelatinosi con tessuti ben sviluppati, furonoprobabilmente tra i primi a cooperare, quando la vitapluricellulare cominciò a diversificarsi. Le spugnepotrebbero essere un antico esempio di cellule solitarieche cominciarono a cooperare all’interno di corpi piùcomplessi. Esse hanno tipi diversi di cellule – celluledigerenti, cellule che secernono le spicole (segmenti dello

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digerenti, cellule che secernono le spicole (segmenti delloscheletro corporeo) di materiale spugnoso proteico, e viadicendo – che possono comunicare fra loro econdividere il lavoro della vita come fossero un singoloindividuo. L’abbozzo della sequenza del genoma di unadi queste spugne – la demospongia della Grande barrieracorallina (Amphimedon queenslandica) – rivelameccanismi genetici che permettevano a singole cellule dicooperare, da quelli che consentono loro di aderire l’unaall’altra a quelli che sopprimono singole cellule che simoltiplicano a spese della collettività.

In effetti, l’associazione di cellule complesse incomunità cooperative fu una strategia così vincente daevolversi varie volte. Animali, piante terrestri, funghi ealghe si unirono tutti in una vita comune, e non solo conorganismi affini. Le scogliere coralline, le più grandistrutture viventi sulla Terra, sono dovute aun’associazione duratura fra animali (polipi corallini) epiante (alghe), stretti in un abbraccio permanente da unastruttura calcarea. Un altro esempio di cooperazione fraorganismi marini è la caravella portoghese (Physaliaphysalis), che può misurare fino a cinque metri, dalla suasacca galleggiante alla punta dei tentacoli. Molti pensanosi tratti di una medusa, ma in realtà è un sifonoforo, una

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si tratti di una medusa, ma in realtà è un sifonoforo, unacolonia formata da minuscoli individui.

In considerazione del grande numero di volte in cui si èevoluta la pluricellularità, pare improbabile possa esserciuna spiegazione singola per le sue origini, salvo che lamedesima strategia di base, la cooperazione, sia stata larisposta giusta quando si presentarono vari problemi.Anche se in una comunità possono esserci ancora cellulecapaci di riprodursi indipendentemente, l’accalcarsi divarie cellule in una comunità può rappresentare il primopasso nella transizione verso la pluricellularità, se questaoffre un qualche tipo di beneficio al gruppo. L’incentivo aunirsi potrebbe essere stato l’aiuto che tale unione potevafornire nella lotta contro i defezionisti, come i parassiti.Oppure tale unione avrebbe potuto aiutare le cellule asviluppare un modo migliore di spostarsi e sfruttare lefonti disponibili di cibo e di energia, o forse ancoraavrebbe potuto permettere loro di organizzare una formapiù efficace di difesa.

Il passo successivo verso l’evoluzione dellariproduzione in coppia potrebbe essere stato lo scambiodi risorse fra cellule appartenenti alla stessa comunità.Possiamo farci qualche idea sul perché questo passo siastato compiuto da mixomiceti, strani funghi mucillaginosi

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stato compiuto da mixomiceti, strani funghi mucillaginosiche rappresentano un’affascinante via di mezzo fra esseriunicellulari e pluricellulari. Un mio collega a Princeton,John Bonnet, era solito incantarmi con i suoi racconti delciclo di vita peculiare di queste cosiddette amebesociali, che sono comuni organismi del suolo.Percorrono le loro vie separate come amebe individualie, quando l’esistenza diventa difficile, si uniscono aformare un organismo pluricellulare che ha una notevolecapacità di muoversi e orientarsi, e addirittura didiffondere spore dall’alto di un fusto creato da celluledisposte a sacrificarsi per il bene maggiore dellacollettività.

Dopo i mixomiceti troviamo l’evoluzione della pienadifferenziazione cellulare, dove le cellule si specializzanoin compiti distinti per far fronte alle varie esigenze dellavita. Quando si arriva, per esempio, alla costruzione di uncorpo umano, l’organismo comincia, nell’embrione informazione, con cellule “tabula rasa”, chiamate celluledel tronco embrionale, che poi si moltiplicano eramificano in ogni tipo di cellule. Complessivamente cisono più di duecento tipi di cellule: del cervello, delcuore, dei muscoli, della pelle e via dicendo.

La pluricellularità ha dato moltissimo al mondo.

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La pluricellularità ha dato moltissimo al mondo.Consideriamo anche solo gli incredibili organismi chepopolano il nostro pianeta, dalle farfalle alle balene amolti altri milioni di esseri. Come tutte le cose buone,però, questa brulicante diversità ha un costo. Se ildilemma del prigioniero ci insegna una lezione, è che aogni fase di cooperazione si accompagna il rischio delladefezione: la cooperazione non è mai stabile; all’iniziodello sviluppo e nell’infanzia c’è un’ondata impetuosa dicooperazione, ma all’avanzare dell’età le nostre cellulecominciano a ribellarsi.

Vorrei concentrarmi qui su un esempio di defezionecellulare familiare a noi tutti: siamo fatti di unità in gradodi replicarsi isolatamente, che possono tornare al loroprogramma originariamente egoistico e cominciare acomportarsi come un vero microrganismo. Questo fattoci insegna che non possiamo ignorare la lezione centraledel dilemma. Ci sono cellule che si rivolteranno controchi le ospita, anche se il loro futuro a lungo terminedipende dalla loro appartenenza a quell’organismopluricellulare.

Uno di questi defezionisti è la cellula cancerosa, laquale si volge contro gli interessi del corpo. Quandoqueste cellule erranti scoprono come minare la

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queste cellule erranti scoprono come minare lacooperazione, ne consegue la morte dell’organismo. Nel2004 sono morte di cancro circa 7 milioni di persone: il13 per cento dei decessi mondiali totali. Le proiezioni cidicono che queste cifre continueranno a salire, e si stimache nel 2030 moriranno per cancro 12 milioni dipersone. Questa orribile malattia è solo una conseguenzadi un crollo della cooperazione, che si verifica alriaffermarsi del retaggio delle nostre celluleindividualistiche. Il cancro è il prezzo che paghiamo peravere un corpo complesso costruito in virtù di un livellostraordinario di cooperazione.

Quando la cooperazione fallisce

Divisi falliamo. Matthew Walker

Le azioni quotidiane, dal mangiare al bere al parlare, sifondano sulla perfetta coordinazione fra una grandevarietà e un imponente numero delle nostre cellule, daquelle degli occhi a quelle dei muscoli delle mascelle, ainervi che trasmettono impulsi elettrici nel cervello. Permantenere questa attività concertata, il corpo deve esserein grado di crescere e di riparare se stesso: i nostri organi

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in grado di crescere e di riparare se stesso: i nostri organisi fondano su un ricambio costante delle cellule; ognigiorno abbiamo bisogno di varie centinaia di miliardi dinuove cellule ematiche. Anche gli strati esterni della pellehanno bisogno di essere sostituiti costantemente,cosicché questa, che è l’organo più esteso del nostrocorpo, vive in uno stato di continua riparazione. Lostesso vale per la mucosa dei polmoni o dell’intestino, oper i dotti lattiferi nelle mammelle. Quando le cellule diqueste strutture rompono i ranghi, si ha un crollo dellacooperazione a livello cellulare.

Le ribellioni cancerose possono verificarsi quando lecellule subiscono mutazioni che ne alterano il programma.Quando dico mutazione, intendo qualsiasi cambiamentoall’interno di una cellula che si verifichi per qualsiasiragione, come un errore materiale di copiatura durante ladivisione della cellula, l’omissione di sezioni di DNA, lagiunzione erronea di due pezzi di DNA a opera di unvirus, o uno scambio di cromosomi. La maggior partedelle mutazioni non ha alcun effetto, ma alcune possonoessere pericolose: possono indurre la cellula a dividersiquando non dovrebbe farlo. Oppure una mutazionepotrebbe impedire alla cellula di suicidarsi quandol’organismo le dice invece di farlo per il bene comune.

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l’organismo le dice invece di farlo per il bene comune.Una mutazione potrebbe bloccare una cellulaimpedendole di prendersi una pausa per autoripararsi. Oancora una cellula, lasciata senza controllo, potrebbeproliferare per attuare i compiti della sua agendaegoistica originaria, invece di agire altruisticamente per ilbene dell’organismo. Il cancro è una malattia in cuitornano a dominare motivi individualistici.La biologia tradizionale si concentra sull’evoluzione degliorganismi in un ecosistema e noi oggi possiamoconcentrarci su come lo stesso processo generi il cancro.Esempi notevoli di evoluzione possono essere osservatiin oncologia, dove troviamo cellule – le cellule tumorali –che mutano e cambiano in un ambientestraordinariamente complesso, quello del corpo umano.All’interno dei nostri tessuti e dei nostri organi, le celluletumorali si trovano ad affrontare diverse pressioniselettive che favoriscono le cellule mutanti in possesso diqualche vantaggio nella lotta per la sopravvivenza, peresempio quelle che si dividono più velocemente e quelleche hanno meno probabilità di perire.

Il cancro comincia con l’origine di un singoloingannatore: questa cellula solitaria ha una moltiplicazionepericolosa e dà origine a una piccola lesione, ora questa

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pericolosa e dà origine a una piccola lesione, ora questamutazione è presente in alcune migliaia di cellule. Per annipotrebbe non accadere nulla, o potrebbe anche nonaccadere mai nulla. Se poi un’altra mutazionepermettesse a questo insieme di cellule ingannatrici dicrescere, potrebbe dare origine a quello che è noto comeadenoma. Gli adenomi possono diventare grandi econtenere anche 100 miliardi di cellule, ma sono ancoracostretti e racchiusi nel tessuto circostante.

Frattanto le cellule ingannatrici possono accumularevarie altre mutazioni: molte sono dannose e possonosfavorirle; in numero molto maggiore sono neutre e nonalterano il comportamento della cellula; una piccolafrazione di questi mutamenti permettono però alle celluledi crescere con maggior vigore; infine, una nuovamutazione potrebbe permette loro di diventarelocalmente invasive ed è a questo punto che si passadall’adenoma al carcinoma. Il carcinoma cresce einvade il tessuto circostante, ma il tumore rimane ancoraconfinato per qualche tempo in una parte del corpo. Inquesta fase potrebbe essere asportato per mezzo di unintervento chirurgico. Infine, se il tumore non è statoestirpato chirurgicamente con successo, crescerannocellule che hanno la capacità di arrivare in altre parti del

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cellule che hanno la capacità di arrivare in altre parti delcorpo. Questo è l’aspetto più letale del cancro: lemetastasi.

In questo stadio, alcune cellule vanno a fissarsi in partilontane del corpo. Per esempio, il cancro del colon tendea generare metastasi nel fegato. Un chirurgo può nonessere più in grado di rimuovere tutti i tumori secondari el’unica speranza che rimane è quella di avere successocon la chemioterapia. Le forme tradizionali di questotrattamento si fondano sul fatto che le cellule cancerose,tendendo a dividersi più velocemente delle cellulenormali, soccombono con maggiore probabilità ai velenidella chemio. Ma poiché la chemioterapia non è moltospecifica, un attacco deciso alle cellule, cancerose o noncancerose, che si dividono rapidamente comportasempre danni collaterali: effetti indesiderati come nausea,calvizie e sordità.

Possediamo dei meccanismi naturali contro il cancro,ma sono tutt’altro che perfetti: l’evoluzione si dà molto dafare per mantenerci in vita almeno fino all’età dellariproduzione, perché questa è, in effetti, il culmine dellastoria biologica. Una volta che una persona abbiatrasmesso con successo i suoi geni alla generazionesuccessiva, a quei geni “interessa” molto meno sequell’individuo sopravvivrà o no. Sono così favoriti i geni

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quell’individuo sopravvivrà o no. Sono così favoriti i geniche spostano l’equilibrio verso l’investimento delle scarserisorse in meccanismi che promuovano la fitness e laconservazione di ovuli e spermatozoi – la linea germinale– a scapito del corpo o soma. Questo fatto rimanda aun’idea antica: il filosofo stoico Epitteto scrisse una voltache se noi siamo utili da vivi, «non saremmo ancora piùutili all’umanità morendo quando dovremmo?».

C’è una forte pressione selettiva volta ad assicurareche il cancro non ci colpisca troppo presto, piuttosto chea costruirci in modo da durare per sempre. La selezionenaturale è relativamente indifferente alla sorte dei vecchi,dal momento che la loro importanza per l’evoluzione èminima (a meno che i vecchi, per esempio, non usino laloro saggezza per aiutare i loro discendenti a cooperare ea sopravvivere). La selezione naturale deve la suaefficacia alla morte dei giovani che non sono vissutiabbastanza per trasmettere i loro geni alla generazionesuccessiva, e alla sopravvivenza di quelli che invece sonoriusciti a farlo.

L’opportunità di allevare la propria prole fuparticolarmente limitata per i nostri lontani progenitori, inquanto, per la maggior parte della storia dell’evoluzioneumana, la durata della vita fu molto minore di quella

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umana, la durata della vita fu molto minore di quellaattuale. Le varianti genetiche che possono aiutarci oggi aevitare il cancro fino a una tarda età non facevano tantadifferenza nella vita dei nostri progenitori, che potevanomorire ancora giovani di fame, per malattie infettive, inconseguenza di attacchi di animali selvatici o di feriteinferte loro da un rivale armato di ascia con lama in selceo di altre letali armi preistoriche.

Questa è una delle ragioni per cui, nell’attuale societàin cui la durata della vita va aumentando, il cancro è unproblema crescente. Ci sono vari possibili meccanismi acausa dei quali il cancro è sempre più diffuso al cresceredell’età. Immaginiamo un gene che impedisca il cancro inetà infantile ma che ne accresca il rischio per gli anziani.Uno scenario ancora più probabile è quello di un geneche accresca la capacità di avere figli al costo di unrischio maggiore di cancro in età più avanzata. La naturasintonizza l’anatomia della femmina in modo daaccrescere la sua capacità di concepire o nutrire figli,riducendo in cambio la sua probabilità di vivere una vitamolto lunga.

Il cancro è connesso anche allo stile di vita, e questofatto ha radicalmente mutato l’evoluzione umana. Unesempio ci è fornito da sostanze inquinanti e

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esempio ci è fornito da sostanze inquinanti ecancerogene. Grazie agli sforzi dello statistico di Oxford,Sir Richard Doll, e di molti altri, il fumo è il fattore dirischio meglio conosciuto, essendo connesso al cancro alpolmone e ad altri tipi di cancro. Alcune sostanzechimiche contenute nel fumo di tabacco possonodanneggiare direttamente parte del nostro DNA, adesempio geni che ci proteggono contro il cancro. Altresostanze interferiscono con i sistemi di difesa del nostrocorpo, impedendo loro di riparare il DNA danneggiato eaccrescendo in tal modo di molto la probabilità che talicellule si trasformino in cellule cancerose.

Dopo il fumo, l’obesità è il fattore legato allo stile divita che presenta il rischio di cancro più evitabile. Ilnostro corpo non è adattato a far fronte a un costanteapporto eccessivo di energia. Grazie a un’agricolturapraticata su scala industriale, tuttavia, noi possiamomangiare ogni volta che vogliamo, e anche in quantitàeccessive. C’è stata in aggiunta una diminuzione dei livellidi attività fisica. (Oggi in Occidente c’è una vera epropria epidemia di obesità.) Esiste quindi un legameprofondo fra il modo in cui si è evoluto il nostro corpo el’ascesa del cancro. Quanto al crollo della cooperazioneche ne risulta, ho provato a esplorarlo con la matematica.

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che ne risulta, ho provato a esplorarlo con la matematica.La mia speranza è, in ultima analisi, di riuscire ad

aiutare i medici a ottenere una comprensione quantitativadel processo di formazione e crescita del cancro chepossa guidarli nella terapia dei pazienti. Ma, ancor più,ho fiducia che si riuscirà a renderne il trattamentoprevedibile e organizzato come i procedimentiingegneristici: soltanto ora ci accingiamo a predisporre ilcorpo umano a impegnarsi di più nella cooperazione e nelresistere ai truffatori, ai gruppi scissionisti e ai movimentidi indipendenza cellulare. Mi piacerebbe vivere il giornoin cui potremo esaminare la composizione di un cancro inun particolare paziente, per poi personalizzare iltrattamento al fine di distruggere il meccanismo dellamalattia e ripristinare la cooperazione, senza causaredanni collaterali a cellule normali.

Mutazioni

L’interesse per il cancro divenne per la prima volta unamia ossessione quando fui invitato alla RockefellerUniversity di New York da Arnold Levine, che ne eraallora il rettore. Levine voleva che trovassi un modo perrappresentare il cancro in termini matematici. Egli era

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rappresentare il cancro in termini matematici. Egli erafamoso per la sua scoperta, avvenuta nel 1979(simultaneamente a David Lane, dell’Università diDundee) di un gene, chiamato p53, capace di “causare”il cancro. Dapprima si ritenne che il p53 fosse unoncogene – gene capace di accelerare il ciclo cellulare,con la conseguenza di produrre più cellule – ma i datigenetici e funzionali ottenuti un decennio dopo la suascoperta dimostrarono che non era così.

Nel 1989 Bert Vogelstein, il quale lavorava alla JohnsHopkins University a Baltimora, svolse un importantelavoro preparatorio per mostrare quel che il p53 fa nelcorpo rendendo il suo ruolo così centrale nel cancro. Igeni sono le ricette per la produzione delle proteine, equella prodotta da questo gene è un oncosoppressore.Vogelstein scoprì che esso fa tutto ciò che può perprevenire il cancro. Se però subisce una mutazione chegli impedisce di continuare a sopprimere i tumori, lecellule possono impazzire; i danni al genoma non sonopiù riparati e le cellule danneggiate non si sottopongonopiù all’apoptosi (o morte cellulare programmata, ossianon si suicidano più in vista del bene comune). Lemutazioni che danneggiano il funzionamento del gene p53sono molto pericolose.

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sono molto pericolose.Vogelstein e altri scoprirono che questo gene è mutato

(ossia disattivato) in metà circa di tutti i cancri umani. Ilgene, soprannomi-nato “guardiano del genoma”, èresponsabile della produzione di una proteina che si trovaal cuore del sistema di controllo che verifica il dannogenetico. Basta che subentri una piccola irregolarità difunzionamento, e la cellula fa una pausa per ripararsi. Sel’anomalia è grave subentra l’apoptosi. Quando però ilgene è difettoso, e così quindi la proteina, la cellula puòcontinuare a dividersi pur essendo geneticamentedanneggiata. L’importanza di questo fenomeno nellosviluppo del cancro è tanto grande che nel 1993 la rivista“Science” proclamò “molecola dell’anno” la proteinaprodotta dal gene p53.

Fui molto affascinato dal lavoro di Vogelstein e decisidi mettere da parte quello di cui mi stavo occupando perstudiare il cancro. Volevo capire questo killer nei terminidell’unico elemento della biologia che aveva un sensoperfetto per me: l’evoluzione. Ragionai che se avessipotuto fornire una visione darwiniana di ciò che trasformauna cellula comune che coopera col corpo in una cellulamutante che lavora contro di esso, avrei potuto calcolarequalcosa di utile sul cancro anziché limitarmi a fare

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qualcosa di utile sul cancro anziché limitarmi a farecongetture sul perché quella società di cellule chechiamiamo corpo umano sia più soggetta a tumori in etàavanzata.

Inviai una e-mail a Bert domandando se potevo farglivisita e il giorno dopo me ne arrivò una in risposta daBaltimora: «Sarò lieto di vederla e spero che lei possafare per il cancro quello che ha fatto per il linguaggio».Mi sorprese che fosse a conoscenza della mia ricercasull’evoluzione del linguaggio (si veda il Capitolo 9), e fuiancora più sorpreso quando, un po’ di tempo dopo,qualcuno mi disse che tutti avrebbero voluto vedereVogelstein ma che di solito era troppo occupato peraccettare. Compresi pienamente questa affermazionequando mi resi conto che la sua ricerca era la più citatadell’intero pianeta; Vogelstein è il più citato tutti gliscienziati terrestri, vivi o morti, è un’ispirazione per tutti.

Infine, mi trovai a spiegare le mie idee sul cancrodavanti al suo gruppo in un seminario alla Johns Hopkins.Vogelstein era seduto davanti a me, una figura china conun berretto da baseball in testa. Non potei fare a meno dinotare che alla parete erano appese delle chitarreelettriche. Venne fuori che i membri del suo laboratoriosuonavano in un gruppo rock che si esibiva regolarmente

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suonavano in un gruppo rock che si esibiva regolarmentenei locali notturni di Baltimora, e lo stesso Vogelsteinsuona il piano. Il nome della band è Wild Type: tiposelvatico (un nome appropriato per dei genetisti, checon questa espressione si riferiscono a un organismo, aun ceppo, a un gene o a una caratteristica come comparein natura; in altri termini, il tipo selvatico è l’opposto di unmutante). La band nacque quando alcuni membri dellaboratorio cominciarono a divertirsi nella stanza delseminario suonando le loro chitarre. I risultati furono peròcosì tremendi che dal centro medico di somministrazionedel metadone, nell’edificio a fianco, arrivarono lamenteleper il fatto che il rumore sconvolgeva il percorso direcupero dei tossicodipendenti.

Nel comportamento e nella mente acuta di Vogelsteinc’era qualcosa che mi sembrava familiare, pensai chedoveva essere una specie di Bob May del cancro. Il miosospetto fu confermato dopo che ebbi decifrato ilsignificato di un enigma scherzoso, che ho raccontato poimolte volte per riassumere quello che i biologi pensanodegli sforzi dei matematici: «Un forestiero si avvicina a unpastore che sorveglia un grande gregge e gli domanda:“Se ti dico esattamente quante pecore hai, me ne daiuna?”. Il pastore accetta e il forestiero, dopo un rapido

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una?”. Il pastore accetta e il forestiero, dopo un rapidosguardo, dice senza esitazione: “83”. Prende un animalesenza nemmeno attendere la risposta e si appresta adandarsene, quando il pastore gli propone una rivincita:“Se indovino la tua professione, posso riavere la miapecora?”; “D’accordo”. Il pastore allora dice: “Deviessere un biologo matematico”. Il forestiero rimane senzaparole. Dopo essersi ripreso dalla sorpresa gli domanda:“Come fai a saperlo?”; “Perché hai preso il mio cane”».Dopo il seminario, Vogelstein mi fece entrare nel suoufficio e disse: «Io non ne so molto di equazionimatematiche, ma posso impedirti di scegliere i cani».

Grazie ai suoi studi innovativi, oggi alcuni fra i tumorimeglio compresi sono quelli del colon, che è l’ultimotratto dell’apparato digerente. Bert passò dieci minutibuoni alla ricerca di un campione che era ansioso dimostrarmi, poi mi porse un vetrino da microscopio chemostrava la prima fase del cancro del colon, la criptadisplastica. Mi resi subito conto che dovevo rivedere ilmio modello di formazione del cancro del colon, da unnuovo e affascinante punto di vista. Immediatamente, esperando che nessuno lo notasse, restituii il cane al suogregge.

Nel mio modello originario avevo studiato l’emergere

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Nel mio modello originario avevo studiato l’emergeredel cancro del colon su una vasta popolazione di celluleidentiche. Osservando il vetrino di Vogelstein mi resisubito conto che le cellule non erano per nulla identiche.In effetti, nel colon c’era una complessa disposizionegeometrica di cellule, e quindi dovevo formulare unmodello che ne tenesse conto. Dalle mie ricercheprecedenti (per esempio dai miei studi sulla pizzaprimordiale), sapevo anche troppo bene che la dinamicaevolutiva tendeva a comportarsi in modo molto diverso inpopolazioni strutturate e non strutturate.

Il vetrino mostrava che le cellule nel tessuto mucosodel colon sono organizzate in spazi simili a cripte, ognunodei quali ha la forma di un minuscolo cono da gelato.Potei notare che una cripta cancerosa stavaespandendosi verso quelle vicine e mi resi conto che ilcancro del colon doveva cominciare in una cripta, cheracchiude una piccola popolazione di varie migliaia dicellule. Il mio modello doveva quindi prendere l’avvio dalì, e studiare poi che cosa accadesse in una popolazionedi cripte. In breve, dovevo calcolare la probabilità cheuna cellula in una cripta diventasse mutante, e poi laprobabilità che la sua progenie si affermasse all’internodella cripta.

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L’intelligente disegno delle cripte è conseguenzadiretta del modo in cui i tessuti sono rinnovati dallecellule staminali, le cellule formative nel corpo. Questofatto è di particolare rilevanza perché, data la quantità dimateriale che digeriamo, la mucosa del colon deve esseredi continuo ripristinata. Alcune cellule staminali si trovanoalla base della cripta e si dividono una volta alla settimanaper produrre cellule di tessuto del colon. Man mano chequeste si differenziano e salgono su per la cripta, la loroprogenie si divide sempre più rapidamente. Quandoraggiungono la sommità della cripta si dividono press’apoco una volta al giorno, per morire infine per manodell’apoptosi, il programma di autodistruzioneincorporato in ogni cellula.

Le mie ricerche successive mostrarono come questastruttura cellulare, insieme a poche cellule staminali che sidividono lentamente sul fondo di una sacca, e alle celluleche si dividono più rapidamente vicino alla sua sommità eche sono più vicine alla morte, impongano un frenoall’evoluzione. Proprio per questo il colon è disseminatodi cripte. Madre natura ha perfezionato il suo disegnonell’intento di fornire ai tumori meno opportunità dievolversi. Si può effettivamente dimostrare che questestrutture, che si osservano in tessuti dotati di un alto

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strutture, che si osservano in tessuti dotati di un altoricambio cellulare, abbiano ottime proprietà anticancro.Eliminando il prima possibile le mutazioni dalle cellule chesi dividono più rapidamente, si rallenta il cancro, e inquesta situazione accade che rimangano realmentevulnerabili alle mutazioni che lo causano soltanto le rarecellule staminali, che sono anche quelle che siriproducono con relativa lentezza.

Questo lavoro su quella forma indesiderata dievoluzione che conosciamo come cancro avevaimplicazioni più ampie. L’evoluzione delle cripte fu ilmodo in cui gli esseri umani, e presumibilmente i nostriprogenitori, reagirono per opporsi alla progressione dellecellule cancerose. L’evoluzione consiste in mutazioni eselezione: l’abile disegno del tessuto delle criptesopprime la selezione e in questo modo la disposizionedei giocatori (la cellula staminale e i suoi discendenti) puòmodificare la rapidità dell’evoluzione, in questo casorendendo più difficile lo sviluppo del cancro. Perciòl’architettura del tessuto è progettata in modo damantenere la cooperazione fra le cellule nel corpo. Fucosì che cominciai a riflettere in generale a come irapporti fra i diversi giocatori in una partita, latopografia, potessero influire sull’evoluzione; spronato

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topografia, potessero influire sull’evoluzione; spronatoda queste considerazioni, arrivai all’idea che aprì la viaalla teoria dei grafi evoluzionistica, sulla quale tornerò nelCapitolo 12.

Press’a poco nello stesso periodo cominciai a fareprogressi nello studio di un cancro che sembrava essereinnescato da un singolo evento genetico, la leucemiamieloide cronica (CML, Chronic Myeloid Leukemia).Bert Vogelstein mi suggerì di lavorare con CharlesSawyers, dell’Università della California a Los Angeles,uno dei ricercatori più importanti nello studio delle abilistrategie di sopravvivenza delle cellule cancerose eprincipale esperto mondiale di CML.

A sua volta Charles mi disse che il suo collega TimHughes, all’Università di Adelaide, in Australia, era inpossesso proprio dei dati di cui avevamo bisogno per lanostra analisi. Occorsero circa tre anni per raccoglieretutti i dati ed eseguire le analisi, insieme a Yoh Iwasa e aFranziska Michor, una brillante biologa teorica che è oggialla Harvard School of Public Health.

La buona notizia per il trattamento della CML è che inanni recenti si è trovata la prima terapia molecolaremirata per attaccare le sole cellule cancerose: l’Imatinib(Gleevec negli Stati Uniti, Glivec in Europa). Ma anche il

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(Gleevec negli Stati Uniti, Glivec in Europa). Ma anche ilmigliore farmaco anticancro finora prodotto non sembrain grado di colpire la popolazione di cellule cancerose piùattiva: le cellule staminali cancerose. Il Glivec consegue ilsuo grande successo impedendo la crescita delle cellulecancerose differenziate, ma non delle staminali. Inoltre, inalcuni pazienti la leucemia finisce per sviluppare unaresistenza al Glivec. Sulla scia di queste mutazioni puòcrescere, nonostante la presenza del Glivec, unasubpopolazione di cellule della leucemia resistenti. Allaluce di questa comprensione, oggi si stanno sviluppandonuovi farmaci per combattere queste mutazioni resistenti.

In un progetto congiunto con Tibor Antal e con lamatematica serba Ivana Božič, sto attualmentecollaborando con Bert Vogelstein per capire come, inpopolazioni crescenti di cellule cancerose, possano avereorigine mutazioni capaci di accelerare ancor più ilprogresso generale della malattia. Stiamo studiando lacrescita degli adenomi, dei carcinomi e delle metastasiusando un modello matematico in cui ogni nuovamutazione driver (conduttore) avvia la crescita deltumore o ne accresce la rapidità, mentre le mutazionipassenger (passeggero), hanno un’attività e unapericolosità molto minori.

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pericolosità molto minori.La prima mutazione driver dà origine all’espansione

iniziale del tumore. Il decorso mortale dipende però ingran parte da quando avviene la seconda mutazionedriver. In alcuni dei nostri pazienti “digitali” la secondamutazione ha origine entro un anno o due. Questi pazientivirtuali sviluppano grandi tumori e molte mutazioni entroun decennio dalla prima di esse. Questa è unaprogressione rapida e fatale della malattia. In altripazienti, invece, la seconda mutazione può presentarsianche otto anni dopo. In questo caso il tumore rimanerelativamente piccolo per dieci anni o più. Il numero deidecessi è legato al lancio di dado dell’evoluzione. Noitutti contiamo sul fatto che le nostre cellule continuino acooperare: la lotta per la cooperazione nel nostro corpoè una questione di vita o di morte.

Come ripristinare la cooperazione

Per sviluppare nuovi modi per combattere il cancro,possiamo imparare molto dalla natura stessa. L’istinto piùbasilare di qualsiasi cellula nel nostro corpo è quello didividersi, cosicché nel corso di milioni di anni l’evoluzioneha già trovato qualche abile meccanismo per frenare

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ha già trovato qualche abile meccanismo per frenarequesto istinto e permettere alle nostre cellule di resistereal mortale caos del cancro. Ci sono geni che lavoranoinstancabilmente per mantenere il materiale genetico dellacellula esente da errori. Altri geni assicurano che le cellulesi dividano regolarmente. La maggior parte delle celluleascolta continuamente segnali provenienti da quellevicine, che le rassicurano quando funzionano in modocorretto. Se esse non ricevono questi mormorii chimici diconferma, potrebbero uccidere se stesse, adottando ilpiano B: l’apoptosi. Così, per esempio, se una cellulaepatica entra nel circolo sanguigno e va a sistemarsialtrove nel corpo, riceve i segnali di errore e siautodistrugge. Possiamo considerare il corpo di unindividuo come un alveare, e questi segnali comel’equivalente della pressione dei pari a conformarsi e farela cosa giusta.

Ci sono altri modi in cui siamo protetti contro losviluppo di tumori: esitono prove di un’immuno-sorveglianza, grazie alla quale tumori cancerosi in faseiniziale sono scoperti e uccisi dal sistema immunitario;speciali leucociti, chiamati cellule T, circolano in tessuti incui riconoscono e distruggono cellule cancerose.Gradualmente, però, le cellule cancerose sono

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Gradualmente, però, le cellule cancerose sonoselezionate da un processo darwiniano di sopravvivenzadei più adatti, cosicché possono cominciare a nonprestare più tanta attenzione alle cellule T, e poi aignorarle del tutto.

Come abbiamo già visto, l’evoluzione, nella suasaggezza, ha trovato un altro modo per evitare oritardare l’inizio del cancro. Ha costruito il nostro corpofondandosi su varie gerarchie di cellule. I capostipiti diqueste gerarchie sono cellule parentali longeve, adivisione lenta, le cellule staminali. Queste cellule,equivalenti ai membri di una famiglia reale, danno originea linee di cellule più differenziate che si dividono conmaggiore rapidità e sono di breve vita. Per esempio lecellule ematiche presenti nel nostro corpo – globuli rossi,globuli bianchi e piastrine – iniziano la loro esistenzacome cellule staminali ematopoietiche (produttrici disangue) nel midollo osseo, l’interno spugnoso dellenostre ossa. Un organo come la pelle richiederelativamente poche cellule staminali specifiche perprodurne di intermedie che diano origine a loro volta acellule della pelle, le quali non possono riprodursi da sé.

Possiamo ringraziare questo “disegno” per aver resopossibile la nostra lunga vita. E la nostra vita è davvero

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possibile la nostra lunga vita. E la nostra vita è davverolunga, se la si misura con la durata di tempofondamentale delle nostre unità-base. Di norma unacellula del nostro corpo impiega qualche giorno perdividersi.

Queste idee potrebbero aiutare i medici a dare unsenso a una diagnosi e a indirizzare lo sviluppo di nuovitrattamenti, come l’immunoterapia, nella quale si cerca direndere più efficace la risposta immunitaria del paziente.Attraverso una comprensione fondamentale, la biologiaevoluzionistica può aiutare i pazienti nella battaglia controle cellule defezioniste. Proprio come le ali di insetti,uccelli, pterosauri e pipistrelli si sono evoluteindipendentemente per permettere a questi animali divolare e non hanno avuto origine da un progenitore alatocomune, così il modo in cui le cellule canceroseemergono e riescono a sconfiggere nuovi farmaci puòrivelare ragioni comuni per cui la cooperazione cellularepuò venir meno. Comprendendo questi approcci cellularidiscordanti, possiamo capire che cosa determini latrasformazione di una cellula normale in una cellulaegoista e cancerosa.

In futuro la cura del cancro si fonderà su progressinella comprensione del nostro ambiente e mirerà a

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nella comprensione del nostro ambiente e mirerà ascoraggiare il venir meno della cooperazione cellulare;inoltre farà uso di terapie all’avanguardia comel’ingegneria genetica per ripristinare la cooperazione oaddirittura per costruire meccanismi di controlloaddizionali nelle nostre cellule, per essere certi che essenon siano in grado di eseguire un programma egoistico.

Una volta il poeta, pittore e regista Jean Cocteauosservò: «Non avete mai visto la morte? Guardatevi allospecchio ogni giorno, e la vedrete nella forma di apiaffaccendate in un alveare di vetro». Quanto a me, horiflettuto sugli effetti mortali del cancro in quell’alveare dicellule che è il corpo umano e ho costruito modelli sucome quelle api cellulari rinunciano alla cooperazione peroperare contro il corpo riattivando parte della loro anticaorigine di esseri unicellulari. Spero che, adottando unavisione evoluzionistica del perché i tumori crescono e siespandono, i medici riescano a escogitare nuovitrattamenti che possano far sì che le cellule tornino alavorare in armonia. La minaccia del cancro diminuirebbedi molto se riuscissimo a prolungare la durata di una sanacooperazione fra le cellule nel nostro corpo.

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Capitolo 8

Il signore delle formiche

Un bambino arriva al margine dell’acqua profondacon la mente preparata alla meraviglia. Edward O.Wilson

Lei è la zarina della cooperazione, l’unica sovrana di unasocietà di milioni di individui, signora del massimo fra ipotentati che traggono forza dalla cooperazione. Lungapoco più di due centimetri e mezzo, la regina delleformiche tagliafoglie si trova al centro del suo tentacolareimpero sotterraneo. Queste formiche di colore rossoscuro del genere Atta abbondano nelle regioni tropicalidel Nuovo Mondo. I formicai possono esseregiganteschi, estendendosi sotto-terra fino a otto metri di

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giganteschi, estendendosi sotto-terra fino a otto metri diprofondità, in un dedalo di gallerie, condotti e camereche si estendono su un’area di una cinquantina di metriquadrati. Tutto intorno si possono osservare decine ditonnel-late di terriccio che sono state scavate da sudditimolto più piccoli della loro regina, per lo più di sessofemminile. Durante il suo regno, che può durare fino aquindici anni, i suoi tre milioni di sudditi, dalla vita breve,si dividono decine di compiti per lavorare insieme con lamassima coesione. Salve o Atta, regina dellacooperazione!

Ogni megalopoli di questi insetti sociali, coordinati daun complesso linguaggio chimico, è maggiore dellasomma delle sue parti, creando nuovi livelli diorganizzazione fra le sue sette sottocaste fisiche. Lediverse caste variano di duecento volte in termini di peso,e di otto volte per quanto riguarda la larghezza dellatesta. Complessivamente, i sette tipi di formica eseguonouna trentina di compiti.

I membri di una di queste caste staccano fogliamedalle piante e tagliano le singole foglie – i loro muscolimandibolari equivalgono a un quarto dell’intera massacorporea –, e alcuni ecologisti tropicali stimano che lecolonie di formiche tagliafoglie possano raccogliere fino

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colonie di formiche tagliafoglie possano raccogliere finoal 17 per cento della produzione totale di foglie dellaforesta pluviale tropicale nella quale vivono, in Messico enel resto dell’America centrale e meridionale. Nel brevespazio di una giornata, le abitanti di un formicaio simuovono avanti e indietro lungo piste di foraggiamentoben battute per andare a spogliare un singolo albero. Inun anno alcune specie sono in grado di raccogliere fino a470 chilogrammi di biomassa vegetale secca.

I membri di un’altra casta trasportano al formicaio iframmenti di foglie usando gallerie di foraggiamentoorizzontali, superstrade che possono raggiungere fino asei metri di lunghezza. Più avanti lungo questa catenacooperativa, i membri di una terza casta tagliano le fogliein piccoli pezzi. Non sono però le formiche a mangiare lefoglie così preparate: applicando alle foglie gocciolinefecali arricchite da enzimi digestivi, trasformano questomateriale finemente tagliato in un fertilizzante per lacoltivazione di funghi. Le operaie procedono poi araccogliere le protuberanze chiamate gongilidi che siformano sulle ife dei funghi filiformi, e con esse nutrono lalarve della colonia. Esse sono pacifiche funghicoltrici.

È degno di nota il fatto che queste colonie nonpossano sopravvivere senza il loro fungo Leucoprinus, e

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possano sopravvivere senza il loro fungo Leucoprinus, eche questo prezioso micete si trovi esclusivamente pressodi loro. La sua coltivazione non avviene in superficie,bensì in camere sotterranee che hanno complessivamentele dimensioni di un campo di calcio. Un nido di formichetagliafoglie può comprendere un migliaio di tali camere, incui le operaie si prendono cura delle coltivazioni di funghie usano batteri produttori di antibiotici per assicurare chele loro coltivazioni siano protette da malattie. Esseprovvedono anche a diserbare le fungaie, asportandoneceppi di funghi che osteggiano il Leucoprinus, e vimantengono il pH ideale, leggermente acido. Così lecoltivazioni della colonia dipendono da una triplicecooperazione tra formiche, batteri e funghi.

Grazie alle proprietà digestive dei funghi, le larve delleformiche sono in grado di consumare il raccolto altrimentipoco appetitoso delle foreste tropicali, le cui foglie sonoricche di sostanze chimiche, fra cui terpenoidi e alcaloidi,in grado di dissuadere una grande varietà di possibiliconsumatori. Queste formiche sono in grado di produrreun anno dopo l’altro una monocultura senza incorrere indisastri, e usano i loro antibiotici con tanta prudenza chenelle loro colture non si manifesta alcun segno di quellaresistenza che oggi affligge la medicina umana.

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Di norma i compiti più rischiosi sono lasciati alleoperaie più anziane e quindi già prossime a morire. Fra icompiti loro affidati ci sono l’eliminazione dei rifiuti e ladifesa. Se la colonia è disturbata, frotte di soldati esconodal nido e tentano di sopraffare gli aggressori. Mentre noimandiamo in guerra i giovani, le formiche mandano leloro vecchie signore. I soldati sono una casta di femmineanziane, con teste larghe tre millimetri e mandibole bensviluppate. Il loro morso può penetrare la pelle umana.Le loro mandibole hanno una presa così forte che ipopoli indigeni americani le usavano per suturare.

Le meraviglie delle formiche non finiscono qui. Perfondare nuove colonie, maschi e femmine giovanisciamano ogni anno e si accoppiano nel volo nuziale. Unafemmina alata si accoppia normalmente con vari maschi(anche sette o otto), provenienti di norma da altrecolonie, e gli accoppiamenti hanno tutti luogo in volo: inquesta occasione la femmina riempie la sua spermatecadi sperma, che le durerà per tutta la vita. Terminato ilvolo nuziale, tutti i maschi muoiono. La giovane regina siscava una sorta di pozzo in fondo al quale crea unacamera, che è il primo dei suoi nidi; vi deposita unpiccola quantità di funghi che ha trasportato dalla coloniaoriginaria per iniziare una nuova coltura di funghi, cruciale

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originaria per iniziare una nuova coltura di funghi, crucialeper il successo della nuova colonia; la regina si stacca aquel punto le quattro ali, le mangia e depone le sue primeuova. Quando dalle uova escono le prime operaie,cominciano a nutrirsi con i funghi e a occuparsi della lorocoltura. La regina, curata e nutrita dalle operaie, può oradeporre fino a 20 uova al minuto, 28 800 in un giorno,10,5 milioni in un anno. Durante la sua vita, una reginapuò produrre una prole di più di 150 milioni di figlie.

Le colonie di formiche hanno molto da insegnarci suisegreti della cooperazione e dei comportamenti socialiavanzati. Sono una delle forme di vita di maggiorsuccesso, con almeno 14 000 specie: hanno metodimolto evoluti di divisione del lavoro e cooperano in modiche appaiono più collegiali di qualsiasi attività umana;hanno sviluppato forme di agricoltura e di architetturamilioni di anni prima che i nostri progenitori riuscissero acamminare eretti; sono capaci di fare la guerra.Diversamente dalla maggior parte delle altre specie, leformiche legionarie non si costruiscono formicaipermanenti ma vanno incessantemente alla ricerca dicibo. A volte irrompono in un formicaio del genere Attae, se i suoi difensori non riescono a opporre unaresistenza adeguata, lo saccheggiano. Le formiche sanno

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resistenza adeguata, lo saccheggiano. Le formiche sannoanche cooperare con altre specie, in modo tale daistituire fra loro legami spietati ma al tempo stesso moltoefficaci nella lotta per la sopravvivenza. Per esempio,alcune specie sedano gli afidi con droghe e li “mungono”con le loro antenne, per una festa di melata zuccherina.In queste società eusociali, i membri di alcuni gruppisacrificano parte della loro personale fitness genetica abeneficio di altri membri della colonia che non sono lorodiscendenti diretti. Questa è la forma più avanzata dicooperazione che si possa riscontrare tra gli insetti, efunziona. Gli insetti sociali sono i più numerosi fra gliartropodi che vivono sulla terraferma, e le formiche nesono forse l’esempio primario, con una massa globale (suuna popolazione di 10 milioni di miliardi di individui, più omeno) che è grosso modo pari a quella della popolazioneumana mondiale. Fatto ancora più impressionante, questesocietà di insetti hanno prosperato dal tempo deidinosauri in poi, e offrono un colpo d’occhiostraordinario sul modo in cui la cooperazione puòemergere dalla competizione.

L’ascesa del superorganismo

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Quando si cuoce un ortaggio dal buon sapore, i suoicaratteri individuali vanno distrutti; ma l’orticoltorepianta i semi dello stesso ceppo e attendefiduciosamente di ottenere press’a poco la stessavarietà […]. La stessa cosa credo sia accaduta nelcaso degli insetti sociali: una lieve modifica nellastruttura, o nell’istinto, correlata con la condizionesterile di certi membri della comunità, è statavantaggiosa per la comunità: di conseguenza maschie femmine fecondi di questa stessa comunitàprosperarono e trasmisero alla loro prole fecondauna tendenza a produrre membri sterili aventi lamedesima modificazione. Charles Darwin, L’originedelle specie1

Le formiche del genere Atta non sono gli unici insettimaestri della cooperazione. Consideriamo una singolaape operaia. Questo insetto, da solo, è utile quanto undito mozzato. Quando però è associato a una colonia,diventa importante proprio quanto un dito di una mano.Ora che l’ape può andare in esplorazione alla ricerca difonti di nettare, una volta che abbia trovato una nuovazona con una grande quantità di fiori, ne indica la

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zona con una grande quantità di fiori, ne indica laposizione alle compagne di alveare. Anziché cercare diesprimersi a gesti con le ali o con le antenne, usa unadanza ricca di informazione simbolica. Allo stesso modoin cui molti fattori e proteine coordinano l’attività dellecellule nel corpo umano, così decine di sostanze chimicheprodotte dall’ape regina, dalle operaie e dalle nuove natesvolgono un ruolo nell’organizzazione sociale. Gli alvearisono organizzati intorno a una regina che depone le uova,le quali sono curate da operaie che, durante la loro vita,si occupano di successive mansioni da svolgerenell’alveare, come prendersi cura delle larve, oall’esterno, come procurare cibo anche in luoghi lontanidall’alveare, o difenderlo.

I diversi tipi di cellule presenti negli organismipluricellulari sono analoghi alle diverse caste delle societàdi api, dove le operaie costituiscono il soma e la reginarappresenta la linea germinale, le uova e lo sperma. E,come il corpo umano possiede meccanismi per eliminarele cellule malate, per apoptosi, così una colonia di apipuò regolare la durata della vita dei suoi membri. Ilgenoma dei nostri corpi è “ottimizzato” dalla selezionenaturale per costruire un buon livello di cooperazione frale cellule della linea germinale e quelle del soma che

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le cellule della linea germinale e quelle del soma cheforniscono il loro aiuto nel caso di apoptosi e di vari altriprocessi. Lo stesso vale per l’allevamento di operaie eregine “buone”, e con buone intendo che sannoriprodursi e cooperare con successo.

Come però abbiamo visto in precedenti capitoli, nellacooperazione c’è un lato oscuro che si presenta nellaforma di parassiti, truffatori, defezionisti e individui dibasso livello. In alveari sani, le operaie identificano edeliminano truffatori e membri anomali della colonia, dagliembrioni agli individui adulti. Finché questa regolazionecontinua, la colonia prospera. Se invece i tipi di operaieche impongono l’ordine diventano troppo poche, o setaluni membri dell’alveare si trasformano in forme maligneche possono aggirare i meccanismi di controllo ereplicarsi in modo aberrante, all’ordine si sostituiscel’anarchia, che porta infine al declino e alla caduta dellasocietà di api.

Esistono esempi ben documentati di collasso caoticoin società di api: consideriamo il trasferimento dalla partemeridionale a quella settentrionale del Sudafrica dell’apedel capo (Apis mellifera capensis) operato dagliapicoltori nel 1990. Ne risultò una diffusa moria dell’apeda miele africanizzata (Apis mellifera scutellata). Lo

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da miele africanizzata (Apis mellifera scutellata). Losfortunato episodio rivelò il modo in cui una società diinsetti è soggetta a sfruttamento da parte di operaiedisoneste. Tra le api da miele africanizzate, questeoperaie disoneste cominciarono a ridurre la capacità diallevare la prole della colonia per accrescere il loropersonale successo riproduttivo. Risulta che i miliardi dioperaie della specie capensis che oggi conduconoun’esistenza parassitica nelle colonie di api melliferesudafricane discendono tutte da una singola operaia cheera in vita nel 1990. La loro crescita esplosiva è stataparagonata a un cancro sociale. A causa di questi moltiparallelismi, dalla divisione del lavoro al cancro, fraorganismi pluricellulari e società formate da moltissimiindividui, i formicai e gli alveari sono noti comesuperorganismi. Il termine (composto del latino super edel greco organon, “utensile”) fu coniato nel 1911 dalgrande biologo ed esperto di formiche William MortonWheeler, in The Ant-Colony as an Organism. Ilsuperorganismo è definito come «una collezione disingole creature che insieme posseggono l’organizzazionefunzionale implicita di un organismo». Wheeler ricevettead Harvard una laurea honoris causa, col commentoche il suo studio sugli insetti aveva mostrato che questi,

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che il suo studio sugli insetti aveva mostrato che questi,«come gli esseri umani, sono in grado di creare delleciviltà senza usare la ragione». C’è però un caratteremisterioso di queste società che è stato in gran parteignorato dai ricercatori: la rarità filogeneticadell’eusocialità. Intendo con ciò che, sulle circa 2600famiglie tassonomiche viventi di insetti e di altri artropodioggi riconosciuti, solo 15 di queste contengono a quantoci è noto specie eusociali. Quando si passa ai vertebratidiversi dall’uomo, soltanto uno – l’eterocefalo glabro(Heterocephalus glaber) – ha conseguito lo stessogrado di organizzazione sociale. Perché l’eusocialità ècosì rara? Il mistero è reso più profondo dallaconoscenza del fatto che, quando l’eusocialità si avvia,ottiene un successo sorprendente. La massa vivente dellesole formiche supera la metà di quella di tutti gli insetti edè maggiore di quella di tutti i vertebrati terrestri non umanipresi assieme. La soluzione di questo enigma sta nellacomprensione del modo in cui la cooperazione hacondotto all’emergere dei superorganismi.

I miracoli delle formiche

I risultati spettacolari conseguiti dalle colonie di formiche

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I risultati spettacolari conseguiti dalle colonie di formichetagliafoglie sono stati salutati da Edward O. Wilson come«uno dei massimi progressi raggiunti nell’evoluzione deglianimali». Wilson doveva essere molto bene informato,avendo studiato le formiche per più di cinquant’anni.Tutta la sua carriera sembra essere stata ispirata allasagacia del re Salomone, che, nei Proverbi, avevaosservato: «Va, pigro, alla formica; considera il suo fare,e diventa savio!». Wilson aveva molto meditatosull’origine delle specie eusociali. Lui, Corina Tarnita e ioabbiamo lavorato insieme a quello che egli definisce un«progetto culminante», che mira a spiegare l’originedell’eusocialità usando la matematica della cooperazione.Prendemmo in considerazione due possibilità di base. Imutanti in grado di assicurare che degli individui “stianoinsieme” sono una parte critica dell’evoluzionedell’eusocialità (e, quando si passa alle cellule checompongono individui come noi, anche dellapluricellularità). Se un gene fa sì che la prole rimanga conla madre e la aiuti – in questo caso potrebbe trattarsi, peresempio, di una mutazione perturbatrice in un gene chenormalmente produrrebbe il distacco della prole dallafamiglia di origine per andare a fondare nuovi nidi –stiamo aggirando il dilemma del prigioniero. In questo

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stiamo aggirando il dilemma del prigioniero. In questocaso le operaie non sono agenti indipendenti. Le loroproprietà sono determinate dai geni presenti nella regina(nel suo genoma e nello sperma che essa ha raccoltonella sua spermateca). Le operaie possono essere viste inquesto caso come “robot” costruiti dalla regina: fannoparte della strategia della regina per la riproduzione.Questo non è un dilemma cooperativo, e neppure ungioco evoluzionistico.

Ma nel caso di un gene che assicuri che degli individui“stiano insieme” c’è anche una seconda possibilità. Inquesto incontro fra giocatori, abbiamo tipicamente undilemma cooperativo. Per esempio, varie reginefecondate cooperano per stabilire una nuova colonia,cosa che, in effetti, si verifica nel caso di alcune specie diformiche. Si dovrebbero tenere a mente entrambi questimeccanismi quando si sviluppa una teoria perl’evoluzione dell’eusocialità.

Il supernaturalista

Wilson, il “signore delle formiche”, crebbe nello statorurale dell’Alabama, figlio unico di un dipendenteamministrativo del governo. Nel 1936, quando aveva sei

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amministrativo del governo. Nel 1936, quando aveva seianni, i suoi genitori divorziarono. Egli ricorda bene i suoiincontri con animali selvatici avvenuti a quei tempi. Unpomeriggio studiò una medusa mentre galleggiavaassolutamente immobile nelle acque cristalline dellaPerdido Bay. Il giovane Wilson non aveva mai neppureimmaginato una cosa del genere, cosicché quella medusa,una Chrysaora quinquecirrha, venne a simboleggiareper lui «tutto il mistero e la perfida malignità del mare».Era ansioso di scoprire che cos’altro si celasse in quellamisteriosa sacca azzurra scintillante armata di tentacoliurticanti.

A sette anni ebbe un incidente che, nelle sue parole,«determinò che tipo di naturalista [sarebbe] infinediventato». Questa disavventura gli accadde a ParadiseBeach, vicino a Pensacola, in Florida, mentre pescava daun molo sparidi. Ne tirò uno fuori dall’acqua con unostrattone, e una delle spine della pinna dorsale gli siconficcò nella pupilla dell’occhio destro. Fu necessariorimuovere il cristallino e, viste le procedure clinichedell’epoca, si trattò di un’esperienza fortementetraumatica. Per fortuna con l’occhio sinistro aveva unavisione ravvicinata tanto buona da permettergli didistinguere i peli del corpo di un insetto. Fu da quel

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distinguere i peli del corpo di un insetto. Fu da quelmomento «impegnato all’osservazione di piccoli insetti,brulicanti e volanti, in conseguenza non di una profondascelta personale, né di una forma di preveggenza, bensìdi una limitazione fortuita di una sua capacità naturale». Ilpiccolo sparide spinoso lo aveva trasformato in unentomologo.

Wilson ama anche dire scherzosamente che ognibambino ha un periodo di grande passione per gli insetti,e che lui non ne è mai uscito. A dieci anni, mentreesplorava lo Zoo Nazionale e il vicino Rocky CreekPark a Washington, fu affascinato dal “magico mondo”degli insetti. A tredici, a Mobile, in Alabama, fece la suaprima scoperta pubblicabile, una specie di formica rossadel genere Solenopsis, molto aggressiva e dal morsoparticolarmente doloroso, la quale si diffusesuccessivamente in tutta la parte meridionale degli StatiUniti. Continuò a studiare per la laurea in biologiaall’Università dell’Alabama e poi si spostò perconseguire altrove il dottorato.

A questo punto, la sua padronanza di tutte le coseconcernenti le formiche era evidente. I suoi scritti sullatribù di formiche poco nota dei dacetini indussero unentomologo a raccomandargli di trasferirsi ad Harvard,

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entomologo a raccomandargli di trasferirsi ad Harvard,dove si trovava la massima collezione di formiche almondo. Qui egli studiò il comportamento sociale delleformiche, che, come continuò a dimostrare, erainfluenzato da segnali chimici. Wilson ricorda che, ungiorno del 1959, rimosse da una formica rossa laghiandola di Dufour, la schiacciò e ne spalmò il contenutosu un vetrino. Le compagne della formica sacrificata daWilson si precipitarono seguendo la pista olfattiva,accalcandosi là dove la loro compagna aveva perso lavita. La ghiandola era chiaramente la fonte di unferomone, una di quelle sostanze chimiche che leformiche secernono per segnalare cibo, pericoli e anchela morte.

Nel decennio seguente si imbatté nella ricerca di BillHamilton sulla selezione parentale, che suscitò il suointeresse per ciò che la matematica aveva da dire sulmondo delle formiche. A quel tempo era molto apertoall’idea di una sorta di legge newtoniana della biologia e,attraverso il suo energico sostegno, aiutò a fare dellaselezione parentale una teoria dominante (tanto piùsorprendente è per questo motivo la sua attualeopposizione all’idea). Aveva lavorato con impegno adaumentare la presenza della matematica nella biologia apartire dagli inizi degli anni Sessanta in collaborazione

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partire dagli inizi degli anni Sessanta in collaborazionecon altri autorevoli giovani biologi delle popolazioni,come Richard Lewontin, pensando che la biologia fossein ritardo rispetto ai progressi sorprendenti che si stavanofacendo a quel tempo in biologia molecolare.

Wilson ricorda che, nella primavera 1965, lesse per laprima volta l’articolo di Hamilton mentre viaggiava intreno da Boston a Miami. Alla partenza era scettico.Gradualmente, però, durante le tante ore successive chetrascorse in treno, nella sua cabina del va-gone letto,cominciò a considerare favorevolmente l’idea. Quando iltreno arrivò finalmente a Miami, era convertitoall’affascinante ipotesi dell’aplodiploidia che gli feceprovare quell’iniziale attrazione magnetica per laselezione parentale. «Era un’idea brillante – dice Wilson– e penso ancora che lo sia». Il suo sostegno avrebbefatto irrompere la selezione parentale all’interno dellediscussioni della biologia ortodossa.

Ecco l’essenza dell’ipotesi: le femmine si sviluppanoda uova fecondate, mentre i maschi si sviluppano dauova non fecondate; di conseguenza le femmine sonodiploidi (hanno due copie dell’intero codice genetico, ogenoma, esattamente come gli esseri umani); i maschisono invece aploidi (hanno una sola copia del genoma).

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sono invece aploidi (hanno una sola copia del genoma).Questo metodo di determinazione del sesso, chiamatoaplodiploidia, assicura che le sorelle siano legategeneticamente fra loro in modo più stretto che alla loroprole. Ciò significa che il modo migliore che esse hannodi assicurare la sopravvivenza ai loro geni è di curarsil’una dell’altra piuttosto che deporre uova proprie.

L’ipotesi dell’aplodiploidia funziona nel modoseguente: in una specie aplodiploide le sorelle hanno incomune il 75 per cento del corredo genetico, mentremadre e figlia solo il 50. La regola di Hamilton predicevache nelle specie aplodiploidi le femmine avrebberopreferito aiutare ad allevare le loro sorelle piuttosto cheprodurre figlie proprie. È questo fatto a fornire la stabilitàche è al cuore della colonia di formiche. Anche altriinsetti usano l’aplodiploidia come meccanismo dideterminazione del sesso, in particolare api e vespe.

Wilson fu «incantato dall’originalità [dell’idea] e dalsuo apparente potere esplicativo». Dal solo verificarsidell’aplodiploidia poté trarre varie conclusioni: ci sipoteva attendere che società di sorelle altruiste sievolvessero più spesso fra le formiche, le api e le vespeche non in altre specie con determinazione diploideconvenzionale del sesso, nelle quali entrambi i sessi

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convenzionale del sesso, nelle quali entrambi i sessihanno due corredi di cromosomi. Sembrava che societàdi sorelle altruistiche potessero quindi evolversi piùfacilmente nel caso degli imenotteri, ordine di insetticomprendente i tentredinidi, le vespe, le api e leformiche, mentre non sembrava si potesse avanzare lastessa ipotesi per le termiti.

Diversamente dai matematici, i biologi non rifiutanoun’idea quando si imbattono in un’unica eccezione. Ineffetti, fanno spesso ricorso al motto un po’ frustrantedell’eccezione che conferma la regola. Forse le eccezioniche la regola può fornire sono così belle e inebrianti chesembra un peccato lasciare che un brutto fatto siopponga con successo a una bella teoria. Nel caso dellaselezione parentale, per esempio, si potrebbe predire chele caste operaie di queste specie dovrebbero esserefemminili e che i maschi dovrebbero essere fuchi, aventicome unica funzione quella di accoppiarsi con la regina.L’ipotesi dell’aplodiploidia sembra quasi una chiavemagica che potrebbe svelare nuovi sistemi con la stessaefficacia di quella recentemente scoperta del DNA.

Nell’autunno 1965, Wilson, invitato dalla RoyalEntomological Society di Londra a tenere una conferenzasul comportamento sociale degli insetti, si imbarcò sulla

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sul comportamento sociale degli insetti, si imbarcò sullaQueen Mary alla volta dell’Inghilterra. Ricorda di averevagato per Londra insieme ad Hamilton, che era allora unsemplice laureato, dicendogli di non scoraggiarsi perl’indifferenza iniziale che aveva salutato le sue idee sullafitness inclusiva. I due finirono per accordarsi su unapromozione delle ricerche di Hamilton al convegno dellaSocietà Entomologica. Pochi fra i pezzi grossi presenticonoscevano l’articolo di Hamilton, e di conseguenzaavevano un atteggiamento scettico. Wilson, però, erapreparato e aveva già riflettuto su molte obiezioni. I duefurono i trionfatori della giornata.

Dalle formiche alla sociobiologia

Alla fine degli anni Sessanta, Wilson pensò che fosseormai giunto il momento di raccogliere i molti fili dellaricerca sperimentale e teorica sugli insetti sociali. Volevacreare una sintesi di tutto ciò che si sapeva e cheesponesse «sommari cristallini della loro classificazione,anatomia, cicli vitali, comportamento e organizzazionesociale». Spinto da quella che chiamava amfetaminadell’ambizione, decise di scrivere un libro su unadisciplina che decise di chiamare sociobiologia. Le

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disciplina che decise di chiamare sociobiologia. Lericerche da lui condotte per il suo saggio del 1971, Lesocietà degli insetti, lo condussero a credere che ilcomportamento potesse essere una conseguenzadell’evoluzione genetica, piuttosto chedell’apprendimento o di forze culturali.

Sperava che le nuove feconde idee fondate sui genipotessero essere estese a fornire la base per capirel’evoluzione del comportamento sociale, negli insetticome nei vertebrati sociali, dagli stormi di corvi ai greggidi pecore. In fondo Wilson pensava anche che i concettialla base del comportamento sociale degli animali fosseroabbastanza generalizzabili da potersi applicare anche allepersone: «Consideriamo ora l’uomo nel libero spiritodella storia naturale, come se fossimo geologi di un altropianeta». Spiegando questa idea esplosiva nel suoSociobiologia. La nuova sintesi, Wilson fece in modoche la selezione della parentela penetrasse in profonditànella coscienza del pubblico.

Nel suo libro Wilson anticipò e divulgò i tentativi dimuovere da questa teoria per spiegare i meccanismievolutivi alla base di comportamenti come l’aggressività,l’altruismo, la promiscuità e persino la divisione dellavoro fra i sessi. Pur essendo stata valutata la ricerca più

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lavoro fra i sessi. Pur essendo stata valutata la ricerca piùimportante di tutti i tempi sul comportamento animale dafunzionari e membri della società internazionale AnimalBehavior Society, fu fatta oggetto di aspri attacchi daparte di scienziati sociali e altri studiosi, fra i quali l’excollaboratore di Wilson, Richard Lewontin.

In una lettera alla “New York Review of Books”,Lewontin e il biologo evoluzionista di Harvard StephenJay Gould furono, insieme a una dozzina di professori,dottorandi e studenti, fra coloro che condannarono lasociobiologia come «una giustificazione genetica dellostatus quo e dei privilegi esistenti a favore di certi gruppisecondo classe, razza o sesso». La sinistra, sensibilizzatada false argomentazioni anteriori sulla scienza razziale,avversava l’idea che il comportamento sociale umano, ein definitiva la natura umana stessa, avesse unafondazione biologica. Essi temevano che questo tipo dipensiero fosse politicamente pericoloso: il genere di ideache aveva condotto all’istituzione delle camere a gas nellaGermania nazista.

Wilson fu denunciato come razzista, sessista e fascista(in realtà è un democratico, e per di più di buoncarattere). A un convegno dell’American Association forthe Advancement of Science, fu annaffiato con una

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the Advancement of Science, fu annaffiato con unabrocca di acqua ghiacciata da dimostranti che cantavano:«You’re all wet!» (siete tutti sbronzi). In un altroconvegno, questa volta dell’American AnthropologicalAssociation, i delegati presero in considerazione unamozione per censurare la sociobiologia. Considerandooggi quel periodo agitato, Wilson osserva che il libro «fuuna bomba a mano con la sicura già estratta».

Wilson decise di rispondere ai suoi critici: nel suolavoro successivo, Sulla natura umana, sostenne che lamaggior parte degli ambiti del comportamento umano –dalle cure parentali al legame dei sessi – sono il risultatodi profonde predisposizioni biologiche coerenti conl’evoluzione genetica. Il pericolo di oppressione nonrisiedeva nella teoria sociobiologica, bensì in concezioninon informate dell’evoluzione umana: in particolare neltipo di pseudoscienza genetica che aveva dato man fortealle leggi restrittive sull’immigrazione negli Stati Uniti ealle politiche eugenetiche della Germania nazista. Il librogli valse uno dei premi Pulitzer del 1979. Wilson tornòperò ai suoi amati insetti nel 1990, quando scrisse comecoautore (insieme a Bert Hölldobler) un secondo saggio,di più di settecento pagine, Le formiche, quellodefinitivo, sugli insetti da lui più amati. E nel 1991 vinse

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definitivo, sugli insetti da lui più amati. E nel 1991 vinseun secondo premio Pulitzer.

L’innesco dell’eusocialità

L’affascinante ipotesi dell’aplodiploidia di Hamiltoncontinuò a godere di grande prestigio negli anni Sessantae Settanta, quando diede alla selezione parentale lostesso aspetto smagliante di una legge fondamentale dellafisica. Negli anni Novanta, però, l’ipotesi cominciò aoscurarsi e poi a essere respinta. Dapprima le termitierano le uniche eccezioni a creare problemi. Grazie aglisforzi di uno degli studenti di Wilson, Barbara Thornedell’Università del Maryland, si scoprì che invece siprestavano a un buon accomodamento con le idee dellaselezione di gruppo. Poi Wilson si imbatté nelle ricerchedi James Hunt della North Carolina State University e diRaghavendra Gadagkar dell’Indian Institute of Science diBangalore. Entrambi esperti di vespe, erano giunti allaconclusione che la selezione parentale non si conciliassecon le loro osservazioni.

Al tempo stesso sono emersi esempi di creatureeusociali che sono diploidi e non aplodiploidi nelladeterminazione del sesso. Fra questi esseri troviamo i

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determinazione del sesso. Fra questi esseri troviamo icoleotteri scolitidi del genere Ambrosia, i gamberetti delgenere Synalpheus che vivono nelle spugne e glieterocefali glabri, ratti-talpa nudi della famiglia deibatiergidi. Complessivamente, pare che metà di tuttal’eusocialità abbia avuto origine in tali linee diploidi. Cisono anche società che sembrano avere tutti gliingredienti giusti per essere eusociali ma che invece nonlo sono. Gli imenotteri sono uno degli ordini di insetti piùgrandi, tutti aplodiploidi. Per fare un esempio, fra i 70000 imenotteri parassitoidi e altri imenotteri apocriti noti(gli apocriti sono il sottordine più importante degliimenotteri, comprendente fra gli altri api, vespe eformiche), non è stata trovata alcuna specie eusociale. Eneppure è venuto in luce un singolo esempio di speciesociale dalle 4000 specie note di imenotteri sinfiti esiricidi, benché le loro larve formino spesso denseaggregazioni cooperative. Non sorprende quindi chel’ipotesi dell’aplodiploidia sia stata oggi abbandonata damolti studiosi degli insetti sociali. Wilson domanda spessoai sostenitori della selezione parentale perché siaggrappino ancora a questa idea ed essi soglionorispondere: «Beh, perché dovremmo abbandonarla?».

La visione attuale di Wilson sulle origini dell’eusocialità

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La visione attuale di Wilson sulle origini dell’eusocialitàè profondamente diversa dalla valutazione che avevafornito nel suo testo fondamentale, Sociobiologia.Secondo quella visione precedente, che ha goduto untempo di vasta accettazione, l’origine dell’eusocialità sisarebbe spiegata con una selezione fra individuiimparentati fra loro (selezione parentale) più che su interecolonie. Oggi non dà più tanta importanza alla selezioneparentale, concentrandosi invece su fattori ecologici egeni che predispongono gli insetti alla vita in colonie.

Secondo Wilson, la genesi della colonia di formichecomincia dal nido. Egli sottolinea che tutte le branche ogruppi (detti tecnicamente cladi) noti per essere stati intempi antichi specie eusociali – vespe aculeate, api delletribù Halictini e Xylocopini, gamberetti del genereSynalpheus, termiti termopsidi, afidi e tripidi coloniali,coleotteri scolitidi del genere Ambrosia ed eterocefaliglabri – si fondano su colonie che costruiscono eoccupano nidi difendibili. In qualche caso individui nonimparentati fra loro uniscono le loro forze per crearepiccole fortezze.

Nella maggior parte dei casi di eusocialità negliimenotteri, la colonia è iniziata da una singola reginainseminata. Prima dell’emergere degli insetti eusociali,

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inseminata. Prima dell’emergere degli insetti eusociali,una specie di insetti solitari si riproduceva attraversoquello che Wilson chiama progressive provisioning(approvvigionamento progressivo) delle larve. Lefemmine accoppiate costruivano un nido, deponevano leuova e nutrivano le larve. Superata questa fase, la proleabbandonava il nido. Wilson e io crediamo che pervarcare la soglia dell’eusocialità sia sufficiente che unafemmina e la sua prole adulta non abbandonino il vecchionido per andare a crearne di nuovi ma rimangano insiemealla madre. Gli stretti legami esistenti nella coloniarisultante sono spiegabili meglio come conseguenza checome causa dell’eusocialità. Una volta che l’eusocialità sisia evoluta, le colonie sono formate da individuiimparentati fra loro, poiché le sorelle rimangono con lamadre aiutandola ad allevare gli altri figli che nasceranno.

Una condizione ovvia per l’evolversi di questestraordinarie società è che nella convivenza sociale ci siaun vantaggio. L’analisi matematica mostra che laquestione fondamentale è in che modo i parametridemografici chiave della regina eusociale (la sua fertilità eil suo rischio di morte) siano influenzati dalla presenza dioperaie. In presenza di operaie, la regina eusociale hadue vantaggi in termini di fitness rispetto alle madri

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solitarie: ha una maggiore fertilità – maggior tasso dinascite – e una mortalità ridotta. Mentre le sue operaieescono in cerca di cibo e nutrono le larve, essa puòrestare nell’alveare, cosa che riduce il rischio che possaessere vittima di predatori, accresce il numero delle uovache può deporre e le permette di difendere il nido(insieme ad alcune operaie).

Wilson e io trovammo che è più facile mantenerel’eusocialità che svilupparla. Per una grande serie dicircostanze era improbabile che in una società solitaria siaffermasse una mutazione eusociale. Una volta, però, chesi fosse evoluta l’eusocialità, questa non poteva piùessere scalzata da uno stile di vita solitario. Ciò spiega inparte perché, benché l’eusocialità sia ecologicamentedominante, questa condizione si sia evoluta raramentenella storia della vita.

Che cosa accade una volta che sia stato fondato unnido proto-eusociale? La prole della reginapossiederebbe dei caratteri preesistenti – un “pianofondamentale di comportamento” – che potrebbeinnescare la vita eusociale. Questi tratti includerebberol’approvvigionamento progressivo delle larve, grazie alquale ne possano essere allevate moltecontemporaneamente, e una flessibilità di comportamento

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contemporaneamente, e una flessibilità di comportamentoche permetta la divisione del lavoro. Per esempio,quando le femmine delle specie di vespe solitarie vannoalla ricerca di cibo perdono parte della loro prole avantaggio dei predatori, ma se fosse disponibile unaseconda femmina che vigilasse, le perdite potrebberoessere ridotte.

Nella primissima fase dell’eusocialità, ci siattenderebbe che la prole che restava nel nido si assumail ruolo delle operaie, seguendo una regolacomportamentale preesistente geneticamente codificata.Ci sono già buone prove del fatto che tali regole possanospronare la cooperazione, per esempio nell’aiuto allacura della prole. Wilson ama menzionare unbell’esperimento giapponese sulle api solitarie costrette acostruire un nido nello stesso posto: essendoprogrammate per costruire un nido in fasi distinte,quando una aveva terminato la sua fase di costruzione, laseconda costruiva sulla parte già realizzata. Al terminedella loro partnership forzata, un’ape scese sul fondo delnido – non è noto se per fortuna o dominanza – perdiventare regina e deporre le uova. La seconda ape,vedendo che il compito della produzione di prole erastato completato, si assumeva il ruolo della ricerca di

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stato completato, si assumeva il ruolo della ricerca dicibo. Altre compagne sono solitamente forzate a dividersii lavori restanti, fra cui compiti di guardia, di scavo digallerie e anche il foraggiamento.

Man mano che le società di api diventano più grandi ecomplesse, anche la competizione fra colonie diventa piùviolenta e di conseguenza comincia a operare la selezionedi gruppo, spronando l’emergere di una casta di operaieselezionate grazie a mutazioni genetiche all’interno di ungruppo. Questa origine di una casta di operaieanatomicamente distinte sembra segnare quello cheWilson chiama punto di non ritorno nell’evoluzione, incui la vita eusociale diventa irreversibile. È in questa faseche le società di insetti realizzarono la transizione asuperorganismi. L’eusocialità, come la pluricellularità, èun’invenzione importante nell’evoluzione, un’invenzioneche rivela l’incredibile potere della cooperazione.

La genesi dei superorganismi

I superorganismi derivano dalla formazione iniziale digruppi, unitamente a una combinazione minima enecessaria di tratti preadattativi, come la creazione e ladifesa di un nido. Alcune mutazioni garantirono la

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difesa di un nido. Alcune mutazioni garantirono lapersistenza del gruppo, probabilmente impedendo alleformiche di lasciare il nido. In conseguenza di quelli cheWilson chiama i preadattamenti di innesco, si stabilìuna forma primitiva di eusocialità. Questa fu perfezionataed elaborata quando tratti emergenti originatidall’interazione di membri del gruppo furono plasmati daforze ambientali attraverso la selezione naturale. Infine, laselezione di gruppo rese possibili mutamenti nella coloniache hanno portato a risultati molto complessi, comefunghiere e popolazioni di afidi.

Dopo le discussioni sulla fitness inclusiva del Capitolo5, è opportuno sottolineare perché questo modello siadiverso. Grazie al nostro nuovo modello matematicovediamo molto chiaramente perché non siasemplicemente la parentela a rendere possibilel’evoluzione dell’eusocialità. In molte specie solitariepossono esserci state mutazioni a indurre le figlie arimanere nel nido. Non si può però spiegare col sologrado di parentela se simili specie abbiano o no compiutoil passo verso l’eusocialità, poiché in tutti quei tentativi lefiglie hanno un grado di parentela ugualmente stretto conla loro madre. Sono invece dati connessi più strettamenteai parametri della storia della vita – come un ritmo

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ai parametri della storia della vita – come un ritmoaccresciuto di deposizione delle uova e un’accresciutalongevità della regina in presenza di operaie – adeterminare se l’eusocialità sia favorita o no dallaselezione naturale.

Infine, è affascinante confrontare la società umana equelle degli insetti. Tanto l’una quanto le altre devono illoro successo alla cooperazione e alla divisione dellavoro. Tanto la prima quanto le altre si fondano su unaselezione a molti livelli, nella quale c’è stata anche unacompetizione fra gruppi. Ovviamente, però, le formichesono governate dal solo istinto, mentre noi, grazie allinguaggio, abbiamo anche culture che si evolvonorapidamente. Prima di sentirci troppo compiaciuti,dovremmo ricordare che dopo soli 200 000 anni distoria stiamo correndo il rischio di distruggere il nostropianeta, mentre le formiche stanno vivendo in armoniacon esso da 100 milioni di anni.

A Wilson piace sottolineare che tanto la nostra civiltàquanto quella delle formiche tagliafoglie devono la loroesistenza all’agricoltura. La cosa notevole è che, mentre ilnostro rapporto con le piante ha catapultato la nostraspecie fuori dallo stile di vita delle società dei cacciatori-raccoglitori circa 10 000 anni fa, alcuni insetti sociali

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raccoglitori circa 10 000 anni fa, alcuni insetti socialiavevano compiuto questa transizione 60 milioni di anniprima. Potrebbero esserci paralleli fra gli scenaridell’evoluzione eusociale animale e umana, e crediamovalga la pena di esaminarli per far luce su come siamopassati dalla condizione di tribù nomadi di cacciatori-raccoglitori alla creazione di villaggi, cittadine e città. Laregina delle formiche tagliafoglie, che governa sulmassimo superorganismo esistente, ha ancora molto dainsegnarci.

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Parte III. Da cooperatori asupercooperatori

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Capitolo 9

Il dono della parola

Quale opera d’arte è un uomo, come nobile per lasua ragione, come infinito nelle sue facoltà, nellaforma e nel movimento, come preciso e ammirevolenell’azione, come simile a un angelonell’intendimento, come simile a un dio: la bellezzadel mondo; il paragone degli animali; e pure, per me,che è questa quintessenza di polvere? WilliamShakespeare, Amleto1

I pensieri elevati devono avere un linguaggio elevato.Aristofane

Pettegolezzi; motteggi; chiacchiere. Parliamone.

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Pettegolezzi; motteggi; chiacchiere. Parliamone.Organizziamo un colloquio. Ancora meglio, facciamo unafesta! Il linguaggio permette alle persone di cooperare, discambiarsi idee, pensieri e sogni: in questo modo èintimamente connesso alla cooperazione. Perché ilmeccanismo della reciprocità indiretta funzioni in modoefficiente ci vogliono chiacchiere e dicerie, riguardantipersone, fatti, tempi e luoghi. La reciprocità indiretta è lalevatrice del linguaggio e anche del nostro grande epotente cervello.

La nascita del linguaggio è forse l’evento piùstrabiliante occorso negli ultimi 600 milioni di anni, unevento che è altrettanto importante, nel percorsodell’evoluzione, dell’origine della vita stessa. Il linguaggiofornì un nuovo vasto scenario sul quale poté svolgersi lalotta darwiniana per l’esistenza, un nuovo modo dievoluzione e un impulso considerevole alla cooperazione,anche fra individui separati nel tempo e nello spazio.

Grazie al dono del linguaggio, gli esseri umanioccupano oggi un posto unico nei 4 miliardi di anni dellastoria della vita sulla Terra. Prima del loro arrivo, il modopiù significativo in cui si trasmettevano informazioni fraesseri viventi era nella forma delle sostanze chimichedell’eredità, il DNA e l’RNA. Poi arrivò il linguaggio, un

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dell’eredità, il DNA e l’RNA. Poi arrivò il linguaggio, unrepertorio sempre crescente di segnali evolutisi a partireda antiche regioni del cervello dei primati che un tempoerano state usate per decifrare suoni e controllaremuscoli facciali. In questo modo il linguaggio lanciòl’evoluzione umana da un ambito puramente genetico, incui ancora opera, a quello della cultura.

Il linguaggio offre un modo per ricevere i pensieri diuna persona, codificarli, e trasmetterli alla mente di altrepersone: possiamo conseguire questa notevole impresa ditrasferimento del pensiero senza il dolore, la perforazionee lo spargimento di sangue della trapanazione del cranio.Se qualcuno ha una grande idea, questa può esserediffusa istantaneamente e non deve attendere la divisionecellulare, il sesso o un’infezione per spandere la suainfluenza da una generazione all’altra. Con l’emergeredell’Homo sapiens, unità di informazione parlata ementale cominciarono a dare inizio alle proprie strategieper la proliferazione egoistica e la cooperazione. Si devea William S. Burroughs, scrittore oppiomane che fu fra irappresentanti più significativi della Beat Generation,l’ipotesi memorabile che il linguaggio stesso potrebbeessere un virus che ci manipola ai propri fini. E questovirus ha portato al vistoso aumento della velocità del

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virus ha portato al vistoso aumento della velocità delmutamento sul nostro pianeta, nel bene e nel male.

Il linguaggio divenne un forte pungolo per l’evoluzione:coloro che avevano un cervello più ricettivo a questenuove idee, e che potevano farne l’uso migliore, avevanole migliori probabilità di prosperare; il più adattato, inquesto senso culturale, potrebbe essere quello che è piùimitato, che lascia il maggior numero di discepoli, o la cuifilosofia o tecnologia è stata maggiormente adottata. Illinguaggio, in effetti, stimolò lo sviluppo del nostrocervello, potente e flessibile. A noi piace pensare diavere creato il linguaggio, ma la realtà è diametralmenteopposta. È stato il linguaggio a creare noi. Lalocalizzazione della sua origine potrebbe aiutarci a gettareluce su quella dell’umanità.

La ricostruzione del fluire di borbottii e altre forme diespressione che sta all’origine di questo potente fiume disuoni è un compito irto di difficoltà. Le parole nonlasciano resti fossilizzati. Se soltanto le pareti di rocciabagnate di una caverna coperta di muschi potesseroconservare la debole impronta di conversazioni avvenutemolto tempo fa, se soltanto ci fosse un modo per estrarreantichi suoni dalla sabbia, dai ciottoli e dalle pietre sparsisul suolo di un insediamento preistorico… Quale storia

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incredibile potrebbero raccontarci! Un racconto dicaccia ai mammut, delle lotte contro tribù rivalicombattute con armi in selce, l’estinzione dei nostri cuginineandertaliani, l’avvento dell’agricoltura, delle città edella civiltà, e molte altre storie. Ma non ne è rimastatraccia. Nemmeno un singolo fossile acustico a rivelarcialcun precedente sintattico, né come abbia avuto origineil linguaggio. Non possiamo udire la voce dei morti.

Credo che la soluzione del mistero dell’origine dellinguaggio risieda non solo nello studio della linguistica maanche nella comprensione delle nostre antiche origini. Illinguaggio deve essersi evoluto con la cooperazione, dalmomento che gli individui non hanno bisogno dicomunicare fra loro finché non si ritrovano a dovercooperare in qualche misura. Le associazioni fra i rumoriche siamo in grado di produrre e i significati che vogliamocomunicare possono realizzarsi solo quando iltrasferimento è vantaggioso sia per chi parla sia per chiascolta. In questo modo dovettero coevolversi linguaggioe cooperazione. Ugg guarda Igg e gli indica una pozzadove un’antilope sta bevendo. Igg fa un cenno inrisposta, raccoglie le armi in selce che ha appena affilato,e si unisce a lui nella caccia. Questo piccolo atto dicooperazione può aiutare entrambi a trascorrere una

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cooperazione può aiutare entrambi a trascorrere unabella notte dopo aver mangiato una bistecca fresca. Illinguaggio potrebbe inoltre contribuire a far funzionare lacooperazione in modi nuovi. Ora le persone potrebberoaiutarsi reciprocamente senza nemmeno incontrarsi dipersona. Ugg potrebbe dire a Igg di aver visto varieantilopi alla pozza la sera prima. La mandria potrebbetornarvi questa sera, e Igg potrebbe chiedere anche alsuo amico Agg di unirsi a loro per la caccia.

Da questo punto di partenza, cercai di stabilire perchéil linguaggio sia organizzato così come è, suddiviso inunità chiamate parole, le quali sono ordinate nel discorsoper mezzo di regole che chiamiamo grammatica. Avevointenzione di usare la matematica per connettere le ideeevoluzionistiche con quelle sull’apprendimento e sullateoria del linguaggio, zona altamente astratta del pensieroumano in cui convergono linguistica e informatica. Perporre su basi matematiche il grande evento che ci diedecanti, prosa, drammaturgia e tante altre cose, avevobisogno di un modello del modo in cui si evolve illinguaggio fra individui che cooperano fra loro.

Vorrei essere il primo ad avere ammesso che il grandeenigma dell’evoluzione del linguaggio non ha unasoluzione facile. Questo argomento è così ricco e

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soluzione facile. Questo argomento è così ricco eprofondo che, per ogni problema che siamo riusciti arisolvere, se ne sono affacciati altri a decine. Nuove lineedi investigazione nascono, germogliano e crescono.Anche questa nuova sfida giunse in un momento digrande scompiglio nella mia vita. Tuttavia fu un viaggiodavvero stupefacente.

L’anatra dell’ispirazione

Nel 1997 ero professore di biologia matematica aldipartimento di zoologia dell’Università di Oxford ericercatore anziano al Keble College. Benché secondoalcuni la decorazione degli edifici di Keble in mattoncinipolicromatici sia un gusto acquisito, io adoro lo stilegotico di William Butterfield, il quale sosteneva che la suamissione fosse quella di dare dignità ai mattoncini. Il miolavoro sull’evoluzione della cooperazione prese un nuovoorientamento quando venne a cena da noi un individuomolto pittoresco. David Krakauer era nato ad Hawai’i,cresciuto in Portogallo e si trovava allora in GranBretagna dove lavorava al dipartimento di zoologia diOxford. Era appassionato, energico oltre che animato dauna curiosità insaziabile.

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una curiosità insaziabile.David veniva da noi quasi ogni sera, e una volta sì e

una no gli chiedevo di prepararci un’anatra arrosto. Eraun esempio molto personale di reciprocità diretta. Le suericette per l’anatra arrosto erano sublimi e io volevoripagare i suoi forzi manifestandogli gratitudine eapprezzamento. David insisteva sempre perchécomprassimo gli ingredienti migliori. Il mercato coperto diOxford era un luogo favoloso per trovare pollame dibuona qualità e c’era un’ottima scelta. Cosa si dovevacomprare: l’anatra di Barberia, l’anatra di Aylesbury ol’anatra di Gresshingham? E solo le ciliegie di primaqualità potevano essere abbastanza buone per lapreparazione di una composta acida che penetrasse lasuperficie croccante e intridesse il grasso della carne.Seguivamo soggiogati il suo mantra: «Con l’anatra non sipuò scendere a compromessi».

Una sera, mentre un’ennesima anatra arrostiva nelforno, David lasciò cadere un’idea: un modo per sondarel’origine del linguaggio, un approccio preciso percatturarne la quintessenza, così che potesse essereesaminato sotto il microscopio della matematica. Il tuttosi riduceva a rappresentare la comunicazione con unamatrice. Questo modo di mostrare la relazione fra vari

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matrice. Questo modo di mostrare la relazione fra varidati ci è familiare nella nostra vita quotidiana. Pensate aquelle carte che mostrano percorsi e destinazioni, agliorari ferroviari che indicano quando un espressoraggiungerà ogni stazione intermedia, alle tabelle cheillustrano periodi di investimento e tassi di interesse, e aquelle che indicano i tempi di cottura per l’anatra aseconda del peso. Nella matrice escogitata da David, daun lato erano registrati segnali, dall’altro oggetti. Questasemplice idea fece germinare un seme di curiosità.

Io ero affascinato e volevo formulare un giocolinguistico intorno a questa idea: un gioco che potesse farluce sull’origine del linguaggio. Provavo lo stessosentimento viscerale che avevo sperimentato quandoKarl menzionò per la prima volta la reciprocità indirettanel Wienerwald. Sentivo come inevitabile che da questaidea uscisse qualcosa di nuovo e grande. Prima però chepotessi accingermi a lavorarci su, il percorso della miacarriera nel mondo accademico avrebbe subito uncambiamento straordinario.

Crepuscolo a Oxford

Lasciare Oxford era l’ultima cosa che mi sarebbe venuta

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Lasciare Oxford era l’ultima cosa che mi sarebbe venutain mente. Adoravo quella città dalle splendide guglie, lesue otto regate sul fiume Cherwell, le sue toghe e le altretradizioni, la campagna locale e l’approccio spensieratoalla vita accademica. In molti pomeriggi assolati avevogiocato a tennis sui campi in erba del parcodell’università col genetista Richard Moxon. C’erano JimWatson, coscopritore della doppia elica, il vescovo diOxford, Richard Harries, e molti altri.

L’elenco comprende ovviamente Bob May, che erariuscito a battermi nel nostro primo incontro. Bob eraallora Chief Scientific Adviser del primo ministrobritannico, la posizione più importante nell’ambito dellascienza britannica. Nonostante le pressanti responsabilitàdella sua posizione, aveva sempre una curiositàinestinguibile. Ogni giorno, appena tornato da Whitehall,entrava nel mio ufficio e mi domandava: «Come va?Cos’hai trovato?».

Un giorno, però, Karl mi telefonò per dirmi che le miericerche avevano fatto un po’ di rumore al PrincetonInstitute for Advanced Study. Io ne ero interessato anchese non ero molto addentro alle cose dell’istituto. Anniprima avevo letto il libro di Ed Regis, Who GotEinstein’s Office?2, in cui l’autore forniva un resoconto

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Einstein’s Office?2, in cui l’autore forniva un resocontoeffervescente della vita che si svolgeva all’istituto, laquale appariva ben oltre la portata dei comuni mortali.Era un’istituzione straordinaria con “pretese eteree” edera stata popolata nel corso degli anni dagli alti sacerdotidella scienza e della matematica, gente come AlbertEinstein, Kurt Gödel e John von Neumann.

Pochissimi mesi dopo ricevetti l’irrinunciabile propostadi unirmi all’istituto. Phillip Griffiths, che a quell’epoca neera il direttore, mi invitò a dirigere il primo programma dibiologia teorica dell’istituto. L’iniziativa sarebbe statasostenuta dal filantropo newyorchese Leon Levy. Eraun’opportunità incredibile.

I miei colleghi ebbero reazioni di vario segno. Bobstudiò i dettagli dell’offerta dell’istituto e ne concluse cheera il massimo che chiunque avrebbe potuto aspettarsi,era molto felice per me e mi disse che dovevo accettare.Lui avrebbe fatto lo stesso. John Maynard Smith mi disseinvece di non andare. Mi disse di essersi sentitointellettualmente isolato una volta che si era recato invisita in quel monastero della mente: «Non c’era nessunocon cui si potesse parlare», mi disse. Anche Sir RichardSouthwood, che quando arrivai a Oxford era il capo deldipartimento di zoologia e in seguito era diventato

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dipartimento di zoologia e in seguito era diventatovicecancelliere dell’università, mi disse di non andare.Tutto stava andando così bene per me a Oxford, chissàcosa sarebbe potuto accadere se mi fossi trasferito aPrinceton.

Ero ancora incerto, ma già sentivo una nettapropensione a trasferirmi. C’era un ultimo ostacolo:dovevo incontrare il nuovo capo del dipartimento aOxford, Roy Anderson, che era una persona moltoaffascinante e convincente. Temevo che avrebbe potutoconvincermi a restare, ma quando entrai nel suo ufficio mistrinse la mano e mi fece i migliori auguri. Fu un momentotriste e al tempo stesso grandioso; Roy mi aveva giàmolto aiutato, e in seguito venni a sapere che Bob gliaveva chiesto di non cercare di convincermi a rifiutarel’offerta di Princeton.

L’ultima volta che vidi Bob prima di partire fu in unasituazione di grande nostalgia ed emozione: mi porse unclassico del 1902 sulla matematica applicata, A Courseof Modern Analysis, di Edmund Whittaker e GeorgeNeville Watson. Bob lo aveva ereditato dal relatore dellasua tesi, Robert Schafroth, che era morto in un incidenteaereo. «Questo libro», mi disse, «contiene molti fra glistrumenti che uso per il mio lavoro». Aveva scritto sul

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strumenti che uso per il mio lavoro». Aveva scritto sullibro: «Da Robert Schafroth a Robert May»; e accanto alnome di Schafroth: «Il primo a osservare che i bosonicarichi sono superconduttori». Poi, sotto, aggiunse: «DaRobert May a Martin Nowak». Entrambi eravamocommossi fino alle lacrime.

Linguaggio, vita e Princeton

Il mio trasferimento da Oxford a Princeton segnò l’iniziodi una nuova emozionante avventura. Ora potevo dareinizio alla mia ricerca sul secondo big bang della biologia.Alcuni studiosi avevano ipotizzato che il linguaggio fosseemerso in conseguenza di una crescita del volumecerebrale. Non ero però dello stesso avviso. Il linguaggioè qualcosa di estremamente specifico, una piccolacrescita del cervello non dà di per sé la capacità digenerarlo. Io credo, in effetti, che sussista la relazioneinversa: quando l’evoluzione scelse gli individui checomunicavano con un linguaggio più evoluto, scelse nellostesso tempo cervelli più grandi.

Lavoravo su questo problema in una casa un po’restaurata al margine della foresta che circondaval’istituto. Con me c’erano Ramy Arnaout, David

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l’istituto. Con me c’erano Ramy Arnaout, DavidKrakauer, Alun Lloyd, Karen Page, Joshua Plotkin,Lindi Wahl e Dominik Wodarz, tutti amici provenienti daOxford. La vita era però molto diversa da Oxford, dovele biciclette erano il mezzo di trasporto preferito. Alunrifiutava costantemente la comodità dell’automobile e sirecava a piedi dappertutto, facendosi anche ottochilometri per andare al supermercato o per tornare acasa. La gente del posto ne fu sorpresa, e in alcuni casicosternata. Egli fu divertito nel vedersi fermare dallapolizia locale, che sospettava vagabondasse con qualchefine illecito.

Forse per sottolineare che noi biologi eravamo inqualche modo estranei all’istituto, la nostra casa in legnoera al perimetro del campus. Lavoravamo di fronteall’asilo, un edificio di un piano che un tempo avevaospitato il pionieristico Electronic Computer Project diJohn von Neumann. Alla sua morte, l’istituto (sempresospettoso verso qualunque qualcosa che non avesse unminimo di praticità) aveva donato il computer a unmuseo, la Smithsonian Institution.

I miei figli frequentarono quell’asilo e impararono lalingua da quegli insegnanti, insieme ai loro coetaneiamericani e internazionali. Mentre svolgevano i loro

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americani e internazionali. Mentre svolgevano i loroesperimenti di lettura e scrittura, io ero seduto a qualchemetro di distanza, impegnato nella teoria dell’acquisizionedel linguaggio.

La storia trasudava dalle pareti. Il mio ufficio era statooccupato un tempo da Julian Bigelow, l’ingegnereelettrico che aveva costruito la macchina di vonNeumann. Gödel era vissuto in una piccola casa nellevicinanze e si poteva ancora avvertire la sua presenzastraordinaria e paranoide, sia nel mio lavoro sia nel fiumeinfinito di aneddoti stravaganti raccontati da coloro che loavevano incontrato sul loro cammino. Freeman Dyson, ilvisionario fisico teorico britannico, mi raccontò di quandoGödel lo aveva chiamato dal suo ufficio, spiegandogli diavere appena ricevuto un pacco grosso e leggero. Gödeltemeva che potesse contenere del gas velenoso e avevaimplorato Dyson di aiutarlo: «Sarebbe così gentile daaprirlo per me?»; «Sì», rispose Dyson a questa richiestaaltamente illogica. Gödel, pur essendogli grato, avevainsistito perché Dyson lo aprisse da solo e nel suo ufficio.Nel pacco c’era un bel modello cartaceo di unasuperficie matematica.

Gran parte del lavoro dell’istituto era astratto eidealizzato, si concentrava sulle forme platoniche della

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idealizzato, si concentrava sulle forme platoniche dellamatematica che sono immutabili, perfette ed eterne.Anch’io ero un platonico, ma il mio lavoro era un po’eretico secondo l’ottica dei miei correligionari: stavousando la matematica come un bisturi per dissecarequalcosa che era percepito come mutevole, evasivo etuttavia molto tangibile. Volevo esplorare la veritàplatonica, la bellezza del linguaggio e la sua evoluzione.

Le prove a sostegno dell’evoluzione sono schiaccianti.Eppure c’è stato sempre un grande disagio a estendere latesi rivoluzionaria di Darwin dall’evoluzione dei geniall’evoluzione del linguaggio. La Société de Linguistiquedi Parigi aveva bandito ufficialmente qualsiasi ricercasull’evoluzione del linguaggio nel 1866, pochissimotempo dopo la pubblicazione delle idee di Darwin. Imatematici amano le sfide e questo divertente antefattostorico mi rese ancora più invitante quello studio.

Ancora oggi, però, molti linguisti, biologi e filosofihanno difficoltà a immaginare come il linguaggio potrebbeavere avuto origine per effetto di forze evoluzionistiche.Senza dubbio emerse perché aiutava i nostri progenitori acondividere informazioni che erano in qualche modocruciali per la loro esistenza. Come ha però sottolineatoSteven Pinker di Harvard, queste spiegazioni sembrano

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Steven Pinker di Harvard, queste spiegazioni sembranosemplicistiche e circolari. «Le cattive [spiegazioni]cercano di spiegare una parte della nostra psicologia (peresempio l’umorismo) richiamandosi a qualche altra parte,altrettanto misteriosa (il riso ci fa sentire meglio)». Èchiaro che il linguaggio ci aiutò a sopravvivere – “Attentoa quella lancia, caro!” – ma se la cosa fosse cosìsemplice, anche i gorilla farebbero discussioni intellettualisulle origini del linguaggio.

Mentre pensavo che le mie ricerche sullacooperazione avessero fornito qualche strumento percomprendere l’evoluzione del linguaggio, persino ilgrande Noam Chomsky aveva manifestato qualchescetticismo sul fatto che la selezione naturale potesse maigettare luce sulla sua origine. Chomsky è considerato damolte persone una sorta di Einstein della linguistica, comecolui che, a partire dagli anni Cinquanta, ha affrontatocon precisione chirurgica lo studio delle complessità dellinguaggio. Mezzo secolo fa stabilì un’agenda di ricercheche avrebbe esercitato forte presa sulla linguistica, lapsicologia e la scienza dei computer nei decenni a venire.

La chiave per la comprensione della grammatica,l’ingrediente più affascinante del linguaggio, è venuta daChomsky. La si può considerare un modo per prendere

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Chomsky. La si può considerare un modo per prendereforme linguistiche, parole, e ordinarle in modo cheassumano un significato specifico. La grammatica, sevogliamo, permette alle parole di cooperare allaformazione di nuovi significati. La grammatica è ciò chedà origine alla illimitata capacità di espressione dellinguaggio.

Chomsky sostenne che il linguaggio sarebbefondamentalmente un fatto di codificazione edecodificazione di sequenze di simboli arbitrari.Formulando il linguaggio in questo modo, poté affrontareun problema centrale: in che modo la mente umana, con isuoi mezzi finiti, fa un uso illimitato di simboli in modimolto specifici e organizzati per comunicare? Scoprì cheun elegante sostegno matematico può generare un codicein grado di esprimere e comprendere infiniti significati.Chomsky afferma che tutti i linguaggi hanno una basestrutturale comune, un insieme di regole, che chiamògrammatica universale: un piano comune a ognigrammatica che conosciamo.

Il big bang del linguaggio

Non sappiamo quando sia emersa esattamente la prima

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Non sappiamo quando sia emersa esattamente la primalingua. Potrebbe essere accaduto in qualsiasi momentofra 7 milioni di anni fa, quando condividemmo il nostroultimo progenitore comune con gli scimpanzé, el’emergere di esseri umani anatomicamente moderni circa150 000 anni fa. Ma in quali circostanze? Di quale tipo dicomunicazione si servirono i nostri antenati nelle loroattività di caccia e raccolta? David Krakauer e iocominciammo esaminando il brodo primordiale dellinguaggio che è presente nell’intero regno animale.

Possiamo vederne gli ingredienti tutto intorno a noi, neisegnali chimici scambiati fra le cellule, nella danza delleapi, nei richiami territoriali di vari organismi e nel notevolerepertorio del canto degli uccelli. Ma ci sono anchecomplesse organizzazioni di lamenti, grida e squittii neicanti delle balene. Ci sono lemuri dalla coda ad anelli chela muovono per comunicare in un complesso linguaggiofatto di molteplici odori che spargono intorno permanifestare aggressività, disposizione all’accoppiamentoe molte altre cose. Non dimentichiamo poi quegli esseristraordinariamente intelligenti del mondo marino, icefalopodi dalla propulsione a getto, i cui rapidimutamenti nel colore e nei disegni della pelle sono allabase dei rituali di corteggiamento. E poi ci sono i nostri

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parenti più stretti, come gli scimpanzé.Comunque si consideri il problema, i linguaggi usati nel

resto del mondo animale rimangono lontani dalle nostrecapacità. La maggior parte degli animali usa unacomunicazione non sintattica, cosicché un singologrugnito – una “parola” – potrebbe essere usato peresprimere un intero scenario, come “sta attento, c’è unleone che si avvicina furtivamente!”. Il cercopiteconasobianco maggiore (Cercopithecus nictitans)nell’Africa occidentale usa due suoni principali, pyow ehack, per avvertire i suoi compagni della presenza dipredatori. Ovviamente un linguaggio non devenecessariamente essere costruito sulla base di suoni. Leapi esploratrici eseguono danze all’interno dell’alveareper informare le bottinatrici sull’ubicazione di nuove fontidi cibo scoperte. Le coordinate di luoghi lontani sonocodificate nella fase di ondeggiamento di questo ballettoronzante, e direzione e distanza della fonte del cibo sonoindicate dall’orientamento e dalla durata della danza.

Lasciando da parte il complesso problema dellagrammatica, sul quale torneremo più avanti, questi tipi diconsiderazioni mi permisero di capire che la grandezzadel repertorio di segnali che usiamo è un problemacritico. Venendo al nostro repertorio, un bambino di sei

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critico. Venendo al nostro repertorio, un bambino di seianni ha un lessico di circa 13 000 parole. Il ritmodell’apprendimento di nuove forme lessicali negli esseriumani, da uno a diciassette anni di età, è pari a circa unaogni 90 minuti di veglia. Un diciassettenne di linguainglese ha quindi 50 000 parole circa memorizzate nelsuo lessico mentale, che è l’ampiezza tipica del lessico diuna persona adulta.

L’apprendimento di questo vocabolario è un compitoenorme, simile a quello di imparare 50 000 numeritelefonici con ogni sorta di associazioni: non ci rendiamoconto di quali meravigliose macchine mnemoniche siamo.Ma la memoria non è tutto. Il tratto vocale umano puòemettere una varietà di suoni diversi. Facendo riferimentoalle 6000 lingue di cui siamo a conoscenza, il nostrotratto vocale può produrre un migliaio di suoni linguistici.Chiamiamo queste unità astratte fonemi e il loroinventario totale nelle diverse lingue varia dai soli 11 delrotokas, parlato a Bougainville, un’isola a est dellaNuova Guinea, fino ai 112 dello !xóõ, una lingua a clicafricana, parlata principalmente in Botswana e Namibia.Questi suoni possono variare da tonalità melodiche asuoni simili a clic, i quali possono essere espressigraficamente solo usando quella serie di caratteri che

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graficamente solo usando quella serie di caratteri chepremiamo, per lo più per sbaglio, quando usiamo latastiera di un computer.

Da questo fatto fisiologico segue naturalmente un’altraidea: nel comunicare usando un lessico vastocommettiamo inevitabilmente degli errori. La produzionedi suoni in una comune conversazione è una performanceanatomica degna di nota. I movimenti di varie parti delnostro apparato vocale sono coordinati millimetricamentee sincronizzati a pochi centesimi di secondo. La prossimavolta che aprirete la bocca per parlare, ricordate soloquanto siete tremendamente imponenti. Gli errori sonoinevitabili e, essenzialmente, quanti più concetti si devonocomunicare, tanti più suoni saranno necessari; tanto piùvicini saranno l’uno all’altro, e tanto maggiore sarà ilrischio che questo repertorio diventi confuso.

C’è quindi un limite al numero di fonemi che possiamogestire col nostro apparato vocale: se usassimo il tipo dilinguaggio più semplice, in cui un singolo fonema fosseconnesso a un’azione, un oggetto, una persona o aqualsiasi altra cosa, ci troveremmo rapidamente indifficoltà nello sviluppo di sempre nuove associazioni.Pensiamo al potenziale di confusione e delusione se siusassero suoni soltanto leggermente diversi per

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usassero suoni soltanto leggermente diversi perdistinguere la scoperta di una scorta di banane mature daquella di un cumulo di banane marce su cui banchettanole mosche. C’è una meravigliosa vignetta di Gary Larsonche mostra due scimmie che ballano un tango. La scrittadice: «Temo che tu abbia frainteso… Io dicevo che mipiacerebbe un mango».

Per cogliere la realtà fisiologica del fatto di parlare unalingua, proposi l’idea di un limite di errore linguistico : ilnumero dei suoni distinguibili in una protolingua, e perciòil numero di oggetti che possono essere accuratamentedescritti con questo linguaggio, è limitato. L’aggiunta dinuovi suoni accresce il numero degli elementi che sipossono descrivere, ma questa flessibilità è possibile alcosto di un’accresciuta possibilità di errore; la capacitàcomplessiva di trasferire informazioni non migliora.

Il limite di errore che calcolammo suggerisce unaragione per cui il numero complessivo dei fonemi cheusiamo in una lingua sia molto lontano dal repertorio dicirca 1000 suoni che possono essere prodottidall’apparato fonatorio umano. Se ce ne sono troppi, c’èun’eccessiva possibilità di confusione. È meglioconcentrarsi su pochi fonemi e imparare a distinguerli inmodo efficace. Una volta che abbiamo imparato un

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modo efficace. Una volta che abbiamo imparato uninsieme di fonemi, però, può essere difficile passare a unaltro. Ecco perché gli accenti stranieri, come la miapatina viennese sovrapposta all’inglese, sono causatitipicamente dall’uso di fonemi sbagliati.

Il gioco del linguaggio

Armati di questa comprensione, possiamo oracominciare a disegnare la mappa delle origini dellinguaggio umano. All’alba della fonazione, i nostriprogenitori possedevano poche espressioni, da ruggiti asoffi e grugniti. Poi si cominciarono ad associare suonispecifici a oggetti specifici. Ugg indica, emette suoni, eUggette pensa: “Ah, questo è ciò che Ugg sta cercandodi dirmi”. Fatto di importanza cruciale: perché ciò accadaè necessaria la cooperazione.

Parlanti e ascoltatori devono avere un qualcheobiettivo comune, una qualche impresa condivisa, dalsesso a un bistecca. In caso contrario, perché mai dovreiricevere un premio per una comunicazione riuscita?Uggette e Ugg devono convertire le loro parole in fatti.Le associazioni fra un particolare suono e uno specificosignificato si consolideranno solo quando il trasferimento

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significato si consolideranno solo quando il trasferimentodell’informazione apporterà benefici sia al parlante siaall’udente, tanto a Ugg quanto a Uggette. Quindi, quandouna società tenta di descrivere più oggetti, ci saràbisogno di più suoni.

Cominciammo a costruire un modello di questoprocesso con la matrice che David Krakauer avevaproposto durante quella cena a Oxford in cui ci diedel’ennesima prova della sua maestria nel cucinare l’anatra.Considerammo un sistema di segnalazione sempliceidealizzato in cui un referente – per esempiol’apparizione di un ghepardo in agguato fra i cespugli –causava la produzione di un segnale, un grido diavvertimento: “Fuggite!”. La speranza era che il grido diallarme rimandasse allo stesso referente in un’altrapersona, ossia che evocasse il pensiero allarmante chestesse arrivando un ghepardo. Volevo sapere cosasarebbe accaduto in una popolazione di animali chepartecipassero a un gioco “linguistico” con associazioniinizialmente casuali fra referenti e segnale, e in cui ogniindividuo adottasse il suo grido d’allarme individuale persegnalare l’approssimarsi di un ghepardo. Nei tempilunghi dell’evoluzione potevano essersi verificateassociazioni costanti tali che una stessa parola fosse usata

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associazioni costanti tali che una stessa parola fosse usataper designare il ghepardo?

Organizzammo un gioco semplice, di coordinazione,dove a ogni comunicazione riuscita erano assegnati deipunti premio. (Come sempre, usammo un computer peraccelerare il passaggio del tempo.) Nel nostro modelloconsiderammo gruppi all’interno dei quali si usavanosegnali casuali per parlare a chiunque altro e attribuimmopunti a chi cooperava con successo. Benché ciò possasuonare un po’ troppo semplicistico, ci sono versioni piùcomplesse di questo gioco che tengono conto anche disegnali ingannevoli. Conosciamo infiniti esempi di questotipo di comportamento in natura, come quello dellascimmia che lancia un grido di avvertimento nel momentoin cui un’altra scimmia è riuscita ad appropriarsi di unabanana, con la conseguenza che il frutto è lasciato caderee la prima scimmia se ne impadronisce. Ma il succoessenziale della situazione si comprende anche nellaforma più semplice del gioco, in cui gli individui colmigliore payoff finiscono per essere anche quelli con laprole più numerosa.

Quel che è importante per l’evoluzione del linguaggio èl’”ecologia” in cui un animale opera. Quali predatori sonoi più pericolosi? Quale cibo è disponibile? Come lo si

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i più pericolosi? Quale cibo è disponibile? Come lo sipuò ottenere? Si richiedono sforzi compiuti incooperazione per andare a caccia (o per praticare laraccolta)? Quanti individui possono unirsi insieme ingruppi nella nostra specie? Quali tipi di interazione hannoluogo fra individui: grooming, corteggiamento, lotta perla dominanza…?

Quando emerge la cooperazione, non basta essere ilmaschio più grosso e forte. Individui più piccoli di staturapossono coalizzarsi contro di te; in questo modo è nata lapolitica: “Ora, aspettate un momento, non è il caso diricorrere subito alle maniere forti. Siamo ragionevoli eparliamone”. Ma si può anche cooperare con i proprisimili per cacciare animali più grossi e pericolosi. Oppurela scoperta di ricche fonti di cibo ben localizzate nellaforesta potrebbe incoraggiare le formiche a costruiredelle fortezze nelle vicinanze. È l’ecologia a incoraggiareil bisogno di trovare le soluzioni di moltissimi problemi e aspingere avanti l’evoluzione. Il linguaggio è una di questesoluzioni.

Scoprimmo che la massima fitness – l’espressionedarwiniana più concisa per definire il successo – èconseguita usando un piccolo numero di segnali perdescrivere gli oggetti più preziosi. L’aggiunta di altri

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descrivere gli oggetti più preziosi. L’aggiunta di altrisegnali riduce la fitness. Supponiamo che una scimmiaabbia tre “vocaboli” diversi per indicare i tre diversipredatori che possono attaccarla e nutrirsi della suacarne. A questo punto è dubbia l’utilità di avere nelproprio lessico un’altra parola, per designare un animalerelativamente innocuo come una zebra, se questaaggiunta comporta il rischio di confusione. Arrivammocosì a renderci conto che l’evoluzione deve superarequesto limite, in corrispondenza del quale l’aggiunta disegnali ha l’effetto paradossale di diminuire lacomprensione.

Nel secondo passo dell’evoluzione del linguaggio gliesseri umani, spinti avanti dalla loro più ricca ecologiatotale, si lasciarono indietro gli animali. I nostriprogenitori superarono il limite di errore non formandopiù suoni, bensì combinando in parole alcuni suonifacilmente distinguibili. In questo modo, vocali econsonanti di per sé prive di senso possono essere uniteinsieme a formare varie parole. Per esempio, con iquattro fonemi /a/, /o/, /m/, /r/ si possono comporre nonsolo la parola ramo, ma anche mora e orma, altrettanticoncetti compresi nell’orizzonte dei cacciatori-raccoglitori.

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raccoglitori.Ho mostrato matematicamente come una tale

possibilità di formazione di parole permetta a unlinguaggio di designare un numero grandissimo di oggetti.Possiamo mischiare i fonemi a due livelli, primacombinandone sequenze in parole e poi disponendo leparole in frasi. La creazione di frasi richiede l’ultimopasso nello sviluppo del linguaggio, l’incorporazione nellaforma di quella che chiamiamo grammatica. A questopunto una diversità limitata di parole può esserecombinata in modo fondamentalmente illimitato. Così lagrammatica ci permette, per usare le parole di Wilhelmvon Humboldt, di «fare un uso infinito di mezzi finiti».Questa conquista della creatività attraverso laricombinazione ci distingue dal resto della natura.

Per illustrare l’effetto della grammatica, prendiamol’esempio di una ricetta e di una conversazione in linguastraniera. In termini di complessità linguistica, le ricettesono semplici. Provate voi stessi: usate un libro di ricettein lingua straniera e, a patto di conoscere il significatodelle parole, vi riuscirà abbastanza facile immaginarecome cucinare una serie di piatti. Ma se cercate diorigliare una conversazione e sentite le parole ball,Roger e stranger, la frase potrebbe significare o che

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Roger e stranger, la frase potrebbe significare o cheRoger sta chiedendo a una straniera di ballare con lui oche gli è domandato da una straniera di andare con lei aun ballo o che Roger e uno straniero si accingono agiocare a un gioco con la palla. Qui, per capire il sensodella frase, è molto importante l’ordine delle parole. Ineffetti, il senso della parola ball dipende dal contesto.Questo tipo di conversazione usa appieno la strutturagrammaticale del linguaggio.

Analogamente, le parole uomo, morde e canepossono essere combinate in due significati del tuttodiversi. Uno di essi, secondo una tradizione ricorrentenella stampa inglese, è una storia che dovrebbe attrarrel’attenzione su un quotidiano rispettabile: fa infatti notiziaun uomo che morde un cane. La storia alternativa èquella di un uomo con una ferita sanguinante a unagamba: una banale conseguenza del fatto che i nostriprogenitori hanno addomesticato i lupi 15 000 anni fa.Così un evento raro e notevole, che avrebbe potutomeritare qualche paragrafo in un sito web o su unquotidiano (quello di un uomo che morde un cane), puòessere facilmente descritto combinando parole che nonc’era alcuna necessità di imparare prima.

Il pericolo della discussione abbozzata qui sopra è cheora l’evoluzione del linguaggio possa sembrarci quasi fin

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ora l’evoluzione del linguaggio possa sembrarci quasi fintroppo facile. Le api non dovrebbero darsi tanto da farecon la loro danza e dovrebbero invece fornire dotteinformazioni sui fiori più belli e sul nettare più nutriente. Igorilla dovrebbero scambiarsi racconti foschi epreoccupati su come un gruppo di silverback furonouccisi a fucilate in un parco nazionale della RepubblicaDemocratica del Congo. Gli uccelli dovrebberoabbandonare i loro suoni astratti, dal canto prima-veriledella Sturnella magna al cigolio da carriola dellaMniotilta varia. Essi dovrebbero semplicementesfruttare il loro scilinguagnolo per attrarre una bellacompagna o scacciare un fastidioso competitore.

Arriviamo così al punto centrale, quello che dobbiamocapire se vogliamo farci un’idea di cosa significhi essereun appartenente al genere umano. In quali condizioni icomunicatori sono incoraggiati a passare dallacomunicazione non sintattica animale a quella sintatticaumana? Ancora una volta la teoria evoluzionistica deigiochi può chiarire molte cose. Con Joshua Plotkin, che èoggi all’Università della Pennsylvania, e Vincent Jansendel Royal Holloway College dell’Università di Londra,esplorai l’evoluzione della comunicazione sintattica,supponendo che i giocatori cooperassero per conseguire

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supponendo che i giocatori cooperassero per conseguireobiettivi comuni.

La maggior parte degli organismi non rielabora le cosenel modo notevole degli esseri umani perché la sintassi haun costo molto elevato. Essa richiede un grosso cervelloaffamato di potere e un certo grado di sforzo mentale neldisporre le parole nella giusta sequenza.La selezione naturale può vedere il vantaggio di questodispendio cerebrale sulla grammatica solo se il numerodegli argomenti pertinenti (che incidono sulla fitness)supera una certa soglia. Se ci sono solo una decina dicose che ci si può dire l’un l’altro (acqua, nemico, sessoe via dicendo), non c’è alcuna ragione di darsi tanto dafare per inventare la sintassi. Quanto al possesso dellasintassi, paga solo se la tua ecologia comprende lacomplicata politica della reciprocità indiretta e se c’èmolto su cui discutere, dagli amici del cuore agli iPodall’alleggerimento quantitativo. In un ambiente semplice,dove tutto ciò di cui si può parlare sono la prossimabanana e l’occasionale leone che va gironzolandointorno, qualche grugnito e qualche grido non ben definitipossono svolgere benissimo la loro funzione.

Così il contesto e l’ecologia di una vita selezionano ilbisogno di un linguaggio: se noi fossimo un grosso

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bisogno di un linguaggio: se noi fossimo un grossoungulato ottuso che non facesse altro tutto il giorno chepascolare pacificamente, non avremmo da dirci molto piùche “yum yum” o “laggiù c’è dell’erba più bella” o“facciamo sesso!”. Sarebbe lo stesso nel caso di unabalenottera azzurra che nuotasse in un mare di plancton.Là dove tutto ciò di cui si può parlare è quand’è che simangerà la prossima volta, come bran-dire una clava evia dicendo, non c’è bisogno di una grammatica. Leazioni parlano con più forza delle parole. Di contro, in unambiente di sufficiente ricchezza e complessità sociale,dove la sopravvivenza dipende dalla rapida diffusione diinformazioni importanti, i benefici superano i costi e lacomunicazione sintattica dovrebbe affermarsi: illinguaggio germoglierà e fiorirà. Ciò vale specialmente sele interazioni fra i membri di un gruppo sono complicate esi profila l’ombra della politica. I maschi alfa nonriescono più a stabilire il loro dominio con la sola forzabruta ma devono fare affidamento su un gruppo disostenitori cooperativi che vogliono anch’essi la loroparte. Così il linguaggio nacque dalla soap opera e dallapolitica.

Una vita da soap opera

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Una vita da soap opera

Ci sono prove dell’esistenza di una comunicazioneanimale piuttosto complessa, dalle società degli insetti alcanto degli uccelli, e noi ne comprendiamo solo alcuniaspetti. Oggi in molte specie animali potrebbe esserci unapressione selettiva verso un linguaggio più complesso, mapare che il grande balzo in avanti dalla comunicazioneanimale al linguaggio umano sia stato compiuto solo unavolta. Perché? Potrebbe essere un passo difficile per laneuroanatomia anche in presenza di una pressioneselettiva. O forse non possediamo tutte le informazioninecessarie. Potrebbero esserci state varie origini dellinguaggio (così come ci furono varie origini dellapluricellularità). In qualche periodo sulla Terra ci furono,in effetti, alcune specie di esseri umani, ma una sola,l’Homo sapiens, eliminò infine tutte le altre.

Che cosa nel nostro modo di vivere rese necessario illinguaggio? In breve: il linguaggio nacque dallacomplessità della società umana. Fra i nostri progenitoriumani, le interazioni sociali divennero col tempo semprepiù complesse. Al moltiplicarsi delle opportunità diinganno, manipolazione, cooperazione, conflitto – ossiacon l’avvento della politica – il linguaggio divenne una

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con l’avvento della politica – il linguaggio divenne unanecessità per procurarsi il sostegno di altri per fare affari,costruire alleanze e per collaborare. E fornì a sua voltanuove opportunità di pensare, riflettere e discutere.Come se si fosse gettata della benzina su un fuoco, illinguaggio illuminò un percorso verso una complessità eun caos sociale ancora maggiori.

In questo modo il linguaggio, l’energia mentale e lasocietà si trovarono a essere allacciati in una danza a tre.Quel che ne scaturì, ogniqualvolta ciascuna componentesi muoveva al passo con un’altra, fu la coevoluzione, unaspirale verso una complessità sociale aumentata manmano che il linguaggio permetteva una manipolazione eun inganno sempre maggiori, ma anche maggioricollaborazione e cooperazione. Grazie alla nuovainvenzione di una reciprocità indiretta diffusa, lacoevoluzione lanciò l’evoluzione del cervello sociale diquel notevole animale che è l’Homo sapiens.

Il modo migliore per diffondere la conoscenza dellemie ricerche sul linguaggio presso le straordinarie mentidell’Institute for Advanced Study era quello di tenervidelle conferenze. Era inevitabile che menzionassil’equilibrio di Nash, e abbastanza spesso, seduta davantia me fra il pubblico, c’era una figura grigia con due

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a me fra il pubblico, c’era una figura grigia con dueorecchie importanti e una spruzzatina di capelli grigi intesta: era niente di meno che John Nash. Nel 1994 avevaricevuto il premio Nobel per l’economia per un articolodi una pagina nel quale aveva descritto la sua influenteidea, e la cui storia personale di follia e paranoia fudivulgata nel film A Beautiful Mind. Come ci si sarebbepotuto aspettare, Nash era una figura enigmatica.

Un giorno, durante lo spuntino di mezzogiorno,proposi un indovinello a coloro che erano seduti intornoa me: «I poveri ce l’hanno, i ricchi ne hanno bisogno, èpiù grande di Dio, più malvagio del diavolo, e se lo mangimorirai». Lindi Wahl e Ramy Arnaout lo risolsero subito,ma non guastarono il divertimento agli altri. Il futuropremio Nobel Frank Wilczek desistette dopo un’oramormorandomi all’orecchio: «Non c’è soluzione!».Quattro ore dopo la soluzione emerse nella mente di KarlSigmund.

Evidentemente Nash, che era seduto a pochi metri didistanza, aveva origliato. Il giorno seguente mi inviò unae-mail, nella quale innanzitutto faceva notare che l’enigmanon era matematico, ma aggiungeva che era possibile unasoluzione verbale. E continuava: «In senso figurato si puòdire che di nulla ha bisogno il ricco e che nulla ha il

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dire che di nulla ha bisogno il ricco e che nulla ha ilpovero, e sono popolari le seguenti credenze religiose:che “nulla è più grande di Dio e nulla è più malvagio deldiavolo”». Apprezzai molto lo stile formale, un po’artificioso, in cui formulò la sua risposta.

Proprio così era l’Institute for Advanced Study: coloroche vi abitavano respiravano logica e matematica;parlavano all’infinito di teoria; combattevano per leteorie; leggevano quel che si scriveva sulle teorie, e lesognavano anche di notte. Una volta entrai nell’ufficio diWilczek ed ebbi la sensazione che stesse facendo unsonnellino. Ma mi aveva sentito entrare e, riprendendoimmediatamente la sua prontezza di spirito, mi prevenne:«Non stavo dormendo»; e subito mi spiegò: «Stavo solopensando se l’universo non possa essere in realtà acinque dimensioni e apparire solo in quattro».

In cerca di una grammatica

Due tratti distinti dell’Homo sapiens, nel confrontocon altre specie, sono la tecnologia e la cooperazionesociale fra non parenti. Non può essere unacoincidenza che noi abbiamo anche il linguaggio, laterza cosa che ci rende diversi.

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terza cosa che ci rende diversi.Steven Pinker

Quali sono le condizioni che una grammatica universaledeve soddisfare perché una popolazione di individuipossa sviluppare una forma coerente di comunicazione,che permetta loro di capirsi l’un l’altro? O, peresprimerci nel modo più elementare, perché i bambininati a New York parlano l’inglese americano, quelliallevati ad Amsterdam parlano olandese e quelli cresciutia Vienna parlano tedesco?

Per trovare la risposta a queste domande, il miogruppo accolse un’eccellente matematica russa, NataliaKomarova, che aveva compiuto in precedenza ricerchesulle regolarità della natura, dalle bolle alle onde al modoin cui si formano disegni regolari sulla superficie dellasabbia di una spiaggia. Incontrai per la prima voltaNatasha a un party e, rispetto ai cliché del tempo, nondava affatto l’idea di essere una matematica. Lostereotipo del matematico lo descrive come strambo eriservato, e una vecchia battuta dice tutto il resto: «Comericonosceresti un matematico estroverso?». Risposta:«Dal fatto che ti guarda le scarpe». Natasha, d’altrocanto, arrivò in America come sarebbe potuto arrivare

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canto, arrivò in America come sarebbe potuto arrivareun agente segreto in un film di spionaggio ambientato nelperiodo della Guerra fredda. Indossava una giubba dipelle nera e, a quel tempo, fumava. Parve affascinatadalla nostra ricerca e volle lavorare con noi; si unì alnostro gruppo e nel corso degli anni avrebbe dato moltiimportanti contributi.

Mentre lavoravamo, non rimanemmo sempre nellapiccola casa al margine della foresta. Spesso uscivamo acamminare fra gli alberi e ricordo ancora una passeggiatacon lei in cui discutemmo sulla simmetria di un modellodell’evoluzione di una grammatica. Essa tracciò lageometria dei suoi calcoli più recenti disegnando con unostecco sulla neve, nella forma di linee di ombra scura subianchi cristalli di ghiaccio. «Non conosco ancora lasoluzione», disse, «ma sarà sorprendentemente bella».

Nello stesso tempo un altro scienziato dalle grandiqualità fece la sua apparizione nel mio ufficio: ParthaNiyogi. Aveva studiato all’Indian Institute of Technologydi Nuova Delhi, conseguendo in seguito un dottorato inteoria dell’apprendimento al MIT. A quel tempo, Parthastava lavorando ai Bell Laboratories nel New Jersey, unacentrale di ricerche dalla quale erano usciti, nel corsodella sua lunga storia, molti premi Nobel; ogni volta che

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della sua lunga storia, molti premi Nobel; ogni volta cheveniva a farci visita camminavamo insieme nei boschi delMIT, una riserva naturale che collega fra loro una rete dispazi verdi nello stato del Massachusetts. In primaverapasseggiavamo accanto a gigli gialli, a giacinti rosa ebianchi e a viole. In estate camminavamo in una lucesolare a chiazze. D’inverno la neve scricchiolava sotto inostri piedi. Partha era giunto in Massachusetts perdiventare professore all’Università di Chicago; profondopensatore, era instancabile nei suoi sforzi per insegnarmile basi matematiche dell’informatica, del linguaggioformale e della teoria dell’apprendimento. Purtroppo ilsuo lavoro fu interrotto prematuramente: morì nel 2010per un cancro al cervello.

Esaminiamo la ricetta più semplice per il linguaggio.Abbiamo bisogno di due persone: l’insegnante e lostudente. L’insegnante pronuncia frasi nella sua lingua,scelte a caso, una dopo l’altra. Lo studente deveindovinare quale grammatica stia usando l’insegnante.Dopo un po’ di tempo lo studente deve avere unarappresentazione (subconscia) della grammatica edessere in grado di produrre lui stesso nuove frasi. Èimportante ricordare che lo studente non puòsemplicemente memorizzare ogni frase perché le linguenaturali – siano l’inglese, il bengalese o il mandarino – ne

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naturali – siano l’inglese, il bengalese o il mandarino – nehanno in numero potenzialmente infinito. Per formarenuove frasi, lo studente deve avere capito le regole chel’insegnante usa per creare le sue.

L’interrogativo fondamentale è: qual è l’insieme di tuttele grammatiche che possono essere memorizzate dalcervello umano? La teoria dell’apprendimento ci mostrache questo insieme di lingue potenzialmente acquisibilideve essere limitato, e il cervello non può scegliere unaqualsiasi grammatica concepibile. Il cervello non è unatabula rasa che possa inferire le regole di qualsiasigrammatica, ma è ristretto all’apprendimento di unparticolare insieme di queste. L’insieme ristretto che puòessere appreso dal cervello umano è caratterizzato daquella che Chomsky chiama grammatica universale.

Come biologo evoluzionista, sento il bisogno dipassare dal contesto idealizzato di uno studente e di uninsegnante a quello più realistico e disordinato di unacomunità: abbiamo infatti sempre bisogno di pensarel’evoluzione in termini di popolazioni. Perciò volevostudiare l’apprendimento e l’evoluzione del linguaggio inun incontro fra oratori e ascoltatori in cui ognuno dicessequalcosa di leggermente diverso. Mi interessai alproblema di come una popolazione di individui potesse

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problema di come una popolazione di individui potesseconvergere verso una grammatica comune.

In una popolazione c’è sempre una nebbia diinformazione conflittuale. I singoli individui potrebberousare grammatiche leggermente diverse. Alcuni sono piùbravi a comunicare di altri e attraggono un maggiornumero di imitatori. Inoltre, il modello evoluzionisticoopera attraverso molte generazioni di parlanti successivi.Come il linguaggio del DNA, le lingue parlate si formano,mutano e competono fra loro nel corso di moltegenerazioni. Per risolvere questo problema, estesi allinguaggio le mie ricerche sulla teoria dei giochievoluzionistica, escogitando il modello seguente.

Immaginiamo che ci sia una popolazione di persone eche ognuna di loro cerchi di parlare con ciascun’altra.C’è una ricompensa (payoff) per ogni individuo cheriesca a comunicare con successo con tutti gli altri. Laricompensa migliora la fitness, accrescendone la prolegenetica o culturale. La ricompensa biologica è unamaggiore rapidità di riproduzione; per esempio, gliindividui con una fitness biologica accresciuta sono piùefficienti nello stringere legami di coppia. Quanto alpayoff culturale, è più probabile che riescano atrasmettere la loro grammatica ad ascoltatori/allievi. I

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trasmettere la loro grammatica ad ascoltatori/allievi. Ibambini, quando nascono, non posseggono una lingua,ma solo un meccanismo per imparare le lingue;l’interrogativo critico è il seguente: quale meccanismoporta all’evoluzione di una lingua comune in unapopolazione?

Nel fare i calcoli scopriamo – e la cosa non cisorprende – che quando ai bambini è presentata durantel’apprendimento troppa informazione conflittuale non c’ècoerenza. Tutti tendono a usare regole grammaticalidiverse, e il risultato è molto simile a quello rappresentatonella storia della torre di Babele nel libro della Genesi.

Ci sono due modi per minimizzare gli errori nellatrasmissione di una grammatica a qualcun altro:innanzitutto i bambini devono raccogliere un numeromaggiore di frasi; in secondo luogo hanno bisogno di uno“spazio di ricerca” di grammatiche più ristretto. In altritermini, è necessaria una grammatica universale piùspecifica, la quale è plasmata, in effetti, da mutazioni neigeni che determinano l’architettura del cervello umano.Questo è un bel processo di coevoluzione.

Si può addirittura calcolare la soglia oltre la quale unatorre di Babele crollerà, insieme a ogni probabilità dicomprenderci l’un l’altro. Nel 2001 Natalia Komarova,

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comprenderci l’un l’altro. Nel 2001 Natalia Komarova,Partha Niyogi e io proponemmo su “Science” l’idea diuna soglia di coerenza linguistica: avevamo trovato unesempio sorprendente di legge della natura che mette inrelazione il numero di frasi-campione disponibili albambino in fase di apprendimento col numero digrammatiche “candidate” nella grammatica universale.

Lasciando da parte i dettagli matematici, scoprimmoche, per una data quantità di informazione (costituita peresempio dal numero delle frasi campione) potevamoprecisare quanto dovesse essere specifica la grammaticauniversale perché si sviluppasse una grammatica coerentein una popolazione di parlanti. Intuitivamente, si puònotare che, quanto più specifica è la grammaticauniversale, di tante meno frasi campione un bambino avràbisogno per apprendere una particolare grammatica. NelCapitolo 6 abbiamo visto che una legge simile fuscoperta da Manfred Eigen e Peter Schuster in genetica:per ogni data velocità di mutazione c’è una lunghezzamassima di genoma che rende possibile l’evoluzionegenetica. Oltre questa lunghezza, una torre di Babelegenetica crolla, e si hanno solo messaggi di DNA privi disenso.

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Parole nella clessidra

Sta allegro colui che si fida di voi.William Shakespeare, La commedia degli errori3

Il linguaggio cambia costantemente. Le opere diShakespeare possono a volte essere sconcertanti. Nellafrase citata in epigrafe, che nell’originale suona «A man iswell holp up that trusts to you», quello strano holp è unaparola arcaica o semplicemente un errore? Risulta chequando Shakespeare scrisse queste parole, fra il 1589 eil 1594, holp era il passato di help. È un esempioparticolarmente eloquente perché questa parola è lasostanza stessa della cooperazione. Come dice ilproverbio: «Se vuoi la felicità per il tempo di una vita,aiuta (help) la prossima generazione».

La mia ricerca sul linguaggio passò poi all’evoluzionedei verbi. Questa fase del mio lavoro ebbe però luogo adHarvard e non a Princeton. Pur avendo trovato lìsostegno finanziario, e aiuti entusiastici, mi occorse deltempo per inaugurare il mio nuovo centro, e alla finevenne a bussare alla mia porta uno dei miei allievi diPrinceton: era Erez Lieberman, che aveva trascorso un

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Princeton: era Erez Lieberman, che aveva trascorso unanno in Israele vivendo dietro la Linea verde sulla rivaoccidentale che, a partire dalla guerra arabo-israelianadel 1949, segnò il confine dell’armistizio fra arabi eisraeliani.

Erez compariva spesso nel mio ufficio all’Institute forAdvanced Study senza alcun preavviso, e semprequando ero alle prese con qualche problema difficile. Miresi però conto ben presto che, per quanto fossecomplicato il mio problema, potevo sempre discuterlocon lui. Mi piace molto il suo talento naturale, la suastraordinaria capacità di usare metodi non convenzionalie ingegnosi, mentre Erez, a sua volta, considerava meuna fonte di buoni problemi.

Erez scrisse due tesi: una in matematica e una infilosofia. Nella seconda si concentrò sulla filosofia dellinguaggio del grande Ludwig Wittgenstein e sulla suainterpretazione fornita dall’eminente filosofo modernoSaul Kripke. La possibilità che noi seguiamo regole nelnostro uso del linguaggio è a quanto pare minata da talefilosofia, per cui è stato coniato lo scherzoso nomignolodi Kripkenstein, per riflettere il fatto che si tratta di unaparticolare e controversa interpretazione di Wittgensteinsviluppata da Kripke. Erez vinse il primo premio per la

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sviluppata da Kripke. Erez vinse il primo premio per latesi in matematica, a cui lavorò con me,sull’apprendimento dei linguaggi finiti, un tema che risultòessere un parente stretto del classico problemadell’impaccamento di sfere. Per poter essere apprese, lelingue devono essere abbastanza distinte da nonsovrapporsi, un po’ come le arance in una cassetta di unfruttivendolo.

Erez mi disse che avrebbe voluto fare domanda perl’iscrizione ad Harvard, dopo aver seguito un anno discuola rabbinica a New York. Ancora prima di avere unqualsiasi piano per trasferirmi io stesso ad Harvard,scrissi un’entusiastica lettera di raccomandazione per lui.Ben presto ricevetti una telefonata da Harvard. La voceall’altro capo della linea mi disse che la HarvardUniversity stava esaminando la domanda di ErezLieberman. Il suo curriculum sembrava buono, spiegòl’impiegato, ma non era arrivata alcuna lettera dipresentazione. Rendendomi conto che la mia letteradoveva essere andata perduta, risposi che Erez erasemplicemente strabiliante. Fu accettato, battendo inquesto modo il record stabilito dalla famosa beautiful-mind della teoria dei giochi, John Nash, che era statoammesso a Princeton con la più breve lettera di

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ammesso a Princeton con la più breve lettera dipresentazione che fosse mai arrivata all’università:«Quest’uomo è un genio». Erez fu accettato a quantopare ad Harvard senza alcuna lettera di presentazione.

L’anno successivo divenne mio studente ad Harvard.Egli fece una grande impressione quando presentò la suafilosofia. Di norma le persone impiegano tutta la loro vitaa studiare le poche cose che apprendono durante lapreparazione della loro tesi di dottorato. Erez non volevaperò essere classificato in questo modo: voleva usare lasua tesi come un veicolo per imparare tutto. Per lui unatesi non era un assaggio di cose a venire, bensì unbanchetto intellettuale. Aveva già completato abbastanzaprogetti per tre o anche quattro tesi di dottorato, ma almomento aveva discusso solo la prima.

Era intellettualmente promiscuo e collaborava conchiunque fosse disposto ad ascoltarlo. Di lì a pococominciò a fare ricerche col grande zar del genoma EricLander. Quando visitammo gli uffici della Google aCambridge, noi tutti dovemmo registrarci, tranne Erez: luiera già ben noto e poteva entrare e uscire a suopiacimento.

Poi, per ragioni tragiche, l’agenda delle sue ricerchecambiò di nuovo. Sua nonna morì in conseguenza di una

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cambiò di nuovo. Sua nonna morì in conseguenza di unacaduta, cosicché Erez decise di lavorare sul problemadell’equilibrio degli astronauti in collaborazione con laNASA. Questa decisione portò alla fondazione di unanuova società, che produsse una suola intelligente perscarpe che permettessero la diagnosi dei problemi diequilibrio delle persone. L’algoritmo da lui usato perdiagnosticare i segnali provenienti dalla suola è connessoa quello usato da Eric Lander per individuare i geni.

Infine, Erez fu coinvolto nella nostra ricerca in corsosull’evoluzione del linguaggio. L’osservazione diKripkenstein sulle regole del linguaggio, disse, stavaancora percolando nella sua testa quando, un giorno, viscorse un nuovo motivo di interesse dopo avereascoltato una conferenza sui verbi irregolari di StevenPinker, eminente psicologo e studioso del linguaggio adHarvard. Nell’inglese c’è la regola generale, per laconiugazione del tempo passato dei verbi, dell’aggiunta altema della desinenza -ed, ma ci sono eccezioni. Questesono in realtà così numerose che Erez cominciò a nutrireper il problema un interesse sempre più acuto: come èpossibile che dei parlanti possano imparare a disobbedirealle regole del linguaggio per un elenco di eccezioni cosìelevato? Come fa questa tendenza a cambiare col

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elevato? Come fa questa tendenza a cambiare coltempo? Lavorando col creativo dottorando franceseJean-Baptiste “J.B.” Michel e con i “romani” JoeJackson e Tina Tang, Erez e io decidemmo diinvestigare. Occorsero vari anni per raccogliere i datinecessari allo studio. Alla fine ci concentrammo sui datisull’evoluzione dei verbi. La nostra missione erasemplice: volevamo predire il futuro del passato remoto.

Grazie agli sforzi eroici di Tina Tang, che setacciò testialla ricerca di esempi, potemmo studiare l’evoluzionesubita da 177 verbi irregolari nel corso degli ultimi 1200anni, dal Beowulf a Harry Potter, passando per iRacconti di Canterbury. Arrivammo a capire qualcosache nessuno pensava potesse essere misurato eottenemmo risultati sorprendenti. Delle sette regole perconiugare il passato nell’anglo-sassone ne èsopravvissuta soltanto una, e questa singolasopravvissuta aggiunge un suffisso -ed alle forme delpassato e del participio passato. Esattamente come i genie gli organismi sono soggetti alla selezione naturale, leparole – e specificamente i verbi irregolari come holpche non prendono un suffisso -ed al passato – sonosoggetti a una forte pressione per “regolarizzarsi” nelcorso dell’evoluzione della lingua.

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Dei 177 verbi che erano irregolari 1200 anni fa, 145lo sono rimasti anche nel Middle English. Solo 98 di queiverbi rimangono irregolari anche oggi, dopo laregolarizzazione nel corso dei secoli di verbi come help,laugh, reach, walk e work. Quel che sorprende è ilfatto che il decadimento di una parola irregolare seguìuna tendenza molto chiara con un margine di errore assaipiccolo. La funzione matematica che spiega questodecadimento dice che un verbo usato 100 volte menospesso si regolarizzerà 10 volte più rapidamente. Peresprimerci in un altro modo, i verbi si evolvono a unritmo inversamente proporzionale alla radice quadratadella loro dominanza nella lingua inglese. Un verboirregolare che ricorre meno spesso sarà dimenticato piùrapidamente. Così i verbi irregolari si comportanoesattamente come gli atomi radioattivi e hanno anche loroun periodo di dimezzamento. E noi possiamo calcolare ilperiodo di dimezzamento dei verbi irregolari sulla basedella loro frequenza.

Il verbo to know (il cui presente è I know) presenta alpassato la forma irregolare I knew. Benché i bambinipiccoli possano applicare la logica del linguaggio dicendocomprensibilmente I *knowed, questo verbo non si èancora regolarizzato, anche perché si tratta di un verbo di

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ancora regolarizzato, anche perché si tratta di un verbo diuso più che comune. Anche i bambini cominciano coldire *growed prima di imparare la regola -ew. Oppurecol dire *hitted invece di hit, come nella vecchia storielladel bambino che dice alla mamma: “Mamma, Pierino mi*percuotette [*hitted]”; e la mamma di rimando: “Pierinomi percosse [hit]”; il bambino: “Come, anche te? Quelbambino è davvero tremendo”.

I bambini hanno bisogno di sentire la forma irregolareabbastanza spesso per memorizzarla. Come corollario, sipuò aggiungere che le parole relativamente meno usatehanno maggiore probabilità di soccombere alcambiamento, e che tutte le parole moderne sonoregolari. Nel complesso, la matematica raggiunge unaconclusione che scandalizzerebbe tutti i puristidell’Académie Française, i quali stanno ancoradifendendo la purezza della lingua francese daabominevoli prestiti inglesi, da le parking a – quellehorreur! – le washing up (il lavaggio dei piatti dopo unpasto e simili). Quei signori stanno probabilmentesprecando il loro tempo. Non si può sfidare l’evoluzione.Analogamente, i difensori della pronuncia tradizionale delQueen’s English stanno adottando un atteggiamentosimile a quello del re Canuto (Knud) il grande4.

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simile a quello del re Canuto (Knud) il grande4.

Il futuro della cultura

Tina Tang si trovò di fronte a un compito immenso:dovette esaminare una vasta letteratura accademica perseguire l’evoluzione dei verbi inglesi. Se solo avessimoaspettato ancora qualche anno! I suoi sforzi furono benpresto superati dalla tecnologia. Il progetto “Googlebooks” ha digitalizzato una grande quantità di volumi,compresi molti dei testi che avevamo laboriosamenteesaminato per la nostra ricerca. Erez si rese conto chepotevamo creare, con la Google, uno strumento peresplorare questa miniera di dati linguistici alla ricerca dipepite di informazione. Yuan Shen, dottorando al MIT, eJean-Baptiste Michel lavorarono con Erez e la Googleall’invenzione di “Google Bookworm”, uno strumentoche permette di ricostruire grandi tendenzenell’evoluzione linguistica sulla base di una collezione dimilioni di libri, e di circa 500 miliardi di parole in tutto.Questa quantità di dati è sufficiente per rivelare non solomodelli linguistici ma anche modelli culturali.

Possiamo esaminare mezzo miliardo di parole nellabanca dati per rivelare differenze nella distribuzione

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banca dati per rivelare differenze nella distribuzionegeografica, nel tempo e in qualsiasi altra dimensione. Erezfu particolarmente interessato a uno scenario in cui siusarono le espressioni Prima guerra mondiale eSeconda guerra mondiale, e il nome alternativoGrande Guerra per il primo dei due conflitti. Questosecondo nome fu usato per segnalare che quella guerraparve qualcosa di enorme, meccanizzato e diverso datutto ciò che c’era stato prima. Ci si può però ancherendere conto che l’espressione Grande Guerra declinònegli anni Quaranta, quando si prese coscienza che essaera solo il primo di due grandi conflitti mondiali.

Si potrebbero registrare quelle rare occasioni in cui deiverbi regolari divennero irregolari, come l’avvento disnuck dopo la fine del millennio, soprattutto negli StatiUniti, per il passato e il participio passato snook delverbo to sneak (“fare qualcosa di furtivo”). Si possonoregistrare ascesa e caduta nella frequenza d’uso diparolacce, trovando una connessione interessante fra leparolacce e l’aumento della violenza. C’è abbondanza diprove che la parola evoluzione sia governata dalfenomeno dei “ricchi che diventano sempre più ricchi”,per cui i termini comuni diventano ancora più comuni,mentre i termini più rari tendono a sparire.

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mentre i termini più rari tendono a sparire.Erez e J.B. produssero il massimo insieme di dati

linguistici mai creato in cui si potessero fare ricerche.Conteneva informazioni tratte da circa 5 milioni di libri (invarie lingue fra cui inglese, tedesco, russo e cinese). AErez piace presentare visivamente la ricerca con questaimmagine: «Se ne scrivete l’intero testo in corpo normale,otterrete una pila di libri alta circa venti volte la distanzada Googleplex (il quartier generale di Google a MountainView in California) alla Luna, andata e ritorno (più di 15milioni di km). Al confronto, se vorrete scrivere ilsecondo database per grandezza, il corpus nazionalebritannico, arriverete per distanza da Mountain View allarampa di lancio di Cape Canaveral».

Questa banca dati linguistica è una risorsa notevole.La si può usare per ottenere la misura della cultura e delmodo in cui essa cambia e si evolve. Erez ama chiamarequesta impresa culturomica5. Studiando il culturoma sipossono discernere gli impulsi e i ritmi della società, dalflusso e riflusso delle epidemie all’ascesa e caduta delletecnologie. Esaminando il database alla ricerca di 154invenzioni create fra il 1800 e il 1960, dai forni amicronde agli elettroencefalogrammi, scoprimmo che leinnovazioni più recenti richiesero molto meno tempo per

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innovazioni più recenti richiesero molto meno tempo peressere ampiamente adottate. Scoprimmo che Dio non èmorto ma che ha semplicemente bisogno di un nuovoagente pubblicitario: a causa dell’aumento dellasecolarizzazione si può vedere che l’uso delle parole Dioe Gesù è lentamente diminuito negli ultimi due secoli,anche se esse prevalgono ancora con ampio margine suogni altro nome (per qualche anno, però, nel databaseper la Germania, il nome Hitler fu più frequente di Jesus).Grazie ai materiali raccolti potemmo studiare l’impattodella censura e della repressione. Durante il Terzo Reichcominciarono a sparire dai libri di testo i nomi di artisti,scrittori, scienziati politici, filosofi e storici, mentreaumentarono in frequenza, fino a diventare sei volte piùcomuni, i nomi di membri del partito nazista. E potemmorenderci conto della natura volubile della fama: è facilerappresentare in diagrammi il modo in cui il terminepopolo si diffuse fino a diventare di alto uso, svanendopoi successivamente fino quasi a sparire. Purtroppo ipolitici superano ogni altra professione in termini di famaassoluta. Stiamo parlando, tipicamente, di presidentiamericani, o di uomini come Napoleone, Hitler eChurchill. Mentre gli attori raggiungono il culmine dellafama molto prima di altri personaggi pubblici. Purtroppo

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fama molto prima di altri personaggi pubblici. Purtroppola scienza è uno strumento piuttosto inefficiente perconseguire un vasto riconoscimento, e i matematici sono imeno famosi fra tutti i diversi tipi di scienziati. Ilculturoma della celebrità rivelò che gli individui oggi piùnoti sono più famosi – almeno nei libri – dei loropredecessori. Questa fama è però più effimera di quelladi un tempo: le stelle di oggi sono più luminose e siestinguono più rapidamente.

L’istinto del linguaggio

Complessivamente, la mia ricerca conferma l’esistenza diquella grammatica universale, proposta per la prima voltada Noam Chomsky. Solo con l’aiuto di questa ideapossiamo capire in che modo gli esseri umani siano ingrado di imparare varie lingue. Il numero delle lingueparlate oggi nel mondo è di circa seimila. La lingua chevoi parlate dipende ovviamente da dove siete cresciuti eda chi vi ha allevati. Questa lingua potrebbe essere iltojolab’al, parlato nello stato messicano del Chiapas, ilchiwere, parlato dalle tribù otoe-missouria e iowa negliStati Uniti, o, in Australia, una delle lingue aborigenemagati ke, yawuru e amurdag. Sempre ammesso che

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magati ke, yawuru e amurdag. Sempre ammesso cherimanga ancora qualcuno a parlarle. C’è chi teme chemetà delle lingue del mondo siano destinate a estinguersiin capo a un secolo.

L’evoluzione della cooperazione è connessa a quelladel linguaggio, che presuppone una pressione evolutiva,ovvero deve avere migliorato la fitness dei nostriprogenitori che avevano il dono della parola. Adesempio, l’uso del linguaggio ci rese forse cacciatorimigliori, ma sappiamo da altri animali che la frustrazionedi cacciare senza potersi vantare dei propri successi nonbasta ad attivare l’evoluzione di una forma dicomunicazione complessa come la nostra. Inoltre,l’emergere del linguaggio condusse a una straordinariavarietà di interazioni e discussioni sociali sucomportamenti e relative motivazioni. In conseguenzadell’evoluzione del linguaggio, la vita sociale divennesempre più complessa. E così il nostro cervello. Ungrosso cervello è costoso in termini di richiesta di cibo edifficoltà in occasione del parto, e il suo sviluppopotrebbe essere giustificato solo dalla necessità di farfronte a una situazione sociale complessa: mentre lasocietà umana diventava sempre più articolata, lechiacchiere che lubrificavano il meccanismo della

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chiacchiere che lubrificavano il meccanismo dellareciprocità indiretta ci resero più intelligenti.

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Capitolo 10

Risorse comuni

Le attività umane hanno già dimostrabilmentemodificato il clima mondiale, ma altri mutamenti,molto maggiori, dobbiamo attenderci nel corso ditutto questo secolo. Le emissioni di CO2 e di altri gasserra accelereranno ulteriormente il riscaldamentoglobale […]. Non si potranno impedire alcune futureconseguenze climatiche delle emissioni di CO2 indottedall’uomo, per esempio un aumento delletemperature e un innalzamento del livello dei mari, el’umanità dovrà adattarsi a questi cambiamenti.Altre conseguenze potranno forse essere prevenuteriducendo le emissioni di CO2. Talune misurequotidiane potranno contribuire alla protezione del

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quotidiane potranno contribuire alla protezione delclima.Jochem Marotzke

Chiunque abbia seguito con preoccupazione i foschi titolidella stampa sul cambiamento climatico troverà ben pocodi nuovo e sorprendente in questa citazione tratta da unapubblicità uscita sul quotidiano tedesco “HamburgerAbendblatt”. Benché il messaggio sia allarmista, è oggicosì familiare da suscitare ben pochi commenti. Dietroquesta particolare pubblicità c’è però una storiaaffascinante, che ci fornisce qualche nozione cruciale sulmodo in cui la gente può cooperare per salvare il pianetaTerra.

Quel testo non fu scritto da un’agenzia di pubblicità,bensì dal direttore del Max-Planck-Institut fürMeteorologie di Amburgo, Jochem Marotzke, né fupagato da una grande società desiderosa di esibire le suecredenziali ecologiche, e neppure da un grande filantropodel jet-set desideroso di procurarsi credibilità comeecologista. Il denaro provenne dagli introiti di unospeciale esperimento escogitato da Manfred Milinski, delMax-Planck-Institut für Evolutionäre Biologie,conoscitore dei cibi e del buon vino, uno zoologo e

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conoscitore dei cibi e del buon vino, uno zoologo enaturalista che si sente altrettanto a suo agio con lepersone che con lo spinarello, come abbiamo visto nelCapitolo 1. Al cuore del suo esperimento c’era un giocoingegnoso da lui escogitato per esaminare la misura in cuinoi tutti possiamo cooperare durante una crisi.Quel che c’è di notevole nel gioco di Milinski è il fattoche la versione su scala reale sia praticata ogni giorno diogni settimana da circa 7 miliardi di persone. Il “gioco” èarrivato a dominare la loro vita. Molti giocatori sembranoperò ancora beatamente inconsapevoli di parteciparvi, etanto più del fatto che esso ha un nome a livellomondiale. Questo gioco su scala così immensa puòessere concepito come una variante del dilemma delprigioniero, nota anche come gioco dei beni comuni odei beni pubblici.

Il dilemma del prigioniero è un gioco per due persone.Variando la scala si finisce col trovarsi impegnati in ungioco dei beni comuni. Sul pianeta Terra, ovviamente, cisono miliardi di giocatori. Se qualcuno defeziona,causando danni all’ambiente, e nuocendo anche agliinteressi di altri, un modo comune disponibile agli altri pervendicarsi è quello di defezionare a loro volta. Così, peresempio, se su una strada ci sono dei rifiuti, è meno

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esempio, se su una strada ci sono dei rifiuti, è menoprobabile che ci facciamo tanti scrupoli ad aggiungerneun po’ di nostri. Questo tipo di comportamento finisceper arrecare danno a tutti.

In nessun luogo l’impatto di questo grande gioco è piùacuto che al livello dell’ambiente globale, dove i motiviegoistici a consumare o a inquinare sembrano pesare piùdel bene collettivo, un giorno dopo l’altro, una settimanadopo l’altra, un anno dopo l’altro. Per fortuna uno deimeccanismi della cooperazione può svolgere un ruolocentrale nel risolvere questa versione esotica del dilemmadel prigioniero, e questo meccanismo è la reciprocitàindiretta. La buona notizia è che il gioco del clima, chefunzionò nel modo migliore nel testo pubblicitario diMarotzke, illustra come le persone possano a volte unirei loro sforzi quando la posta è alta e quando il poteredella reputazione è usato per catalizzare la cooperazione.La cattiva notizia è che, dopo avere compiuto un certonumero di esperimenti, Milinski riscontrò chel’insuccesso è più comune del successo. Unsuggerimento sconsolante di questi giochi è che, quandovi sono coinvolti degli uomini politici, l’esito è ancora piùdeprimente. Non pare che i politici abbiano un impattopositivo: almeno non quanto vorrebbero farci credere.

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positivo: almeno non quanto vorrebbero farci credere.

La tragedia

Il più noto fra tutti i giochi dei beni comuni è chiamatoTragedy of the Commons (tragedia dei pascoli comuni,o dei beni comuni). Il primo riferimento a questa“tragedia” si trova nell’articolo eponimo di GarrettHardin, pubblicato nel 1968 sulla rivista “Science”1,articolo che esercitò un grande influenza e, essendo oggipiù pertinente che mai, è stato recentemente ristampatodecine di volte. Hardin aveva illustrato la tragedia conl’esempio di un pascolo aperto a tutti, sul quale mandriedi economisti, scienziati sociali e teorici dei giochi hannopascolato da allora. L’espressione Tragedy of theCommons è diventata da allora la metafora preferita fragli esperti per illustrare la nostra incapacità cronica digestire bene una risorsa che tutti sono liberi di usare, e dicui sono purtroppo altrettanto liberi di abusare.

Nel suo articolo, Hardin spiegò come i proprietari dianimali da pascolo consentissero loro di sfruttare inmisura eccessiva i terreni demaniali, cosicché i pascolicomuni diminuivano la loro produttività a danno di tutti,loro stessi inclusi, che però continuavano a portarvi i

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loro stessi inclusi, che però continuavano a portarvi ipropri animali, ipersfruttando la risorsa e preoccupandosisolo del fatto che, se avessero rinunciato a farlo, ognimandriano avrebbe potuto portarvi un numero maggioredi mucche, a costo dell’interesse di tutta la comunità. Èfacile immaginare questa catena di ragionamento: “Dovreiaggiungere un’altra mucca a quel pascolo comune?Quale vantaggio ne avrei? E quale il danno per tutti? Seio riuscissi a farvi pascolare un paio di mucche in più nonfarebbe molta differenza. Inoltre, l’altro tizio ha piùmucche a pascolare di quante ne abbia io”.

Ovviamente, però, non tutti la pensano alla stessamaniera. Non c’è alcun incentivo che possa indurre imandriani a essere prudenti. Coloro che fanno pascolareun numero maggiore di capi di bestiame hanno unbeneficio netto maggiore di quello che avrebbero se siastenessero dallo sfruttamento eccessivo,preoccupandosi della sorte del pascolo. Gli animalicontinuano a crescere gradualmente in peso fino al puntoin cui l’aggiunta di altri capi dà inizio a un deperimentodegli animali, che non hanno più cibo a sufficienza.

La tragedia si presenta in varie forme. Nell’articolo diHardin la radice del problema è l’eccesso di pascolo:l’erba può ricrescere solo a un certo ritmo, cosicché, se il

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l’erba può ricrescere solo a un certo ritmo, cosicché, se ilpascolo è sfruttato da un numero eccessivo di animali,può esserne danneggiato in modo irreparabile. Questaidea di uno sfruttamento eccessivo può applicarsialtrettanto bene ad altre risorse limitate, dal petrolio aglianimali da pelliccia. O anche ai pesci. Già allora Hardinespresse una preoccupazione sui mari del mondo che hauna particolare risonanza oggi: «Le nazioni marittimerispondono ancora automaticamente alla parola d’ordine“libertà dei mari”. Professando di credere nelle “risorseinesauribili degli oceani”, portano all’estinzione unaspecie di pesci dopo l’altra». Ricordiamo che questeparole profetiche furono pubblicate nel lontano 1968. Piùdi tre decenni dopo, uno studio metteva in luce che il 90per cento dei pesci di grandi dimensioni erano scomparsinell’ultimo mezzo secolo e aggiungeva che i pesci piùgrossi – fra cui i grandi tonni, gli squali, il pesce spada epersino il merluzzo – sarebbero potuti esistere a brevesoltanto nei nostri ricordi.

Hardin lasciò in seguito una sintesi del suo articolofondamentale in una frase da lui pronunciata duranteun’intervista: «In un mondo affollato, una risorsa comunenon amministrata non potrebbe funzionare»2. Questa èuna precisazione importante: se il mondo non è affollato,

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una precisazione importante: se il mondo non è affollato,un bene comune potrebbe essere, in effetti, il migliormodo di distribuzione. Per esempio, spiegò, quando iprimi coloni si dispersero nel territorio degli Stati Uniti, ilmodo di distribuzione più efficiente era quello di trattaretutto il bestiame libero in natura come un bene nonamministrato (“sparagli pure da lontano”, si diceva),perché per molto tempo l’uomo non avrebbe potutoprocurare agli animali alcun vero danno. «Un americanodelle grandi pianure poteva uccidere un grande bisonteamericano, tagliargli solo la lingua per mangiarla a cena, egettare via quanto restava del suo corpo. Egli nonavrebbe compiuto uno spreco “in alcun sensoimportante”», disse Hardin. Né importava molto in chemodo un pioniere americano solitario smaltisse i suoirifiuti. Oggi, in una situazione in cui sopravvivono soloalcune migliaia di bisonti, inorridiremmo di fronte a unsimile comportamento noncurante. All’aumentare delladensità della popolazione degli Stati Uniti, crebbe adismisura l’importanza dei processi naturali di riciclochimici e biologici; si rese necessaria un’accuratagestione di queste risorse, dai bisonti al petrolioall’acqua.

La tragedia dei beni comuni comprende il corollario

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La tragedia dei beni comuni comprende il corollarioaltrettanto dannoso dell’eccesso di sfruttamento:l’aggiunta all’ambiente di qualcosa di dannoso. Oggi latragedia riappare nella forma dell’inquinamento. «Qui nonsi tratta di asportare qualcosa da un bene comune, bensìdi apportare ad esso qualcosa di negativo, nella forma diacque luride, o di sostanze chimiche, scorie radioattive edispersione di calore in acqua; fumi nocivi e pericolosi inaria; e di insegne pubblicitarie all’altezza degli occhi chepossono distrarre o risultare sgradite», disse Hardin.

E lo stesso pensiero si può applicare a un investimentoinsufficiente di risorse in un bene comune, come la nonsarchiatura di un orto, la non riparazione dei mezzi ditrasporto o addirittura la decisione di non mettere untappeto comune in una casa. Quest’ultimo problemapotrebbe essere presentato o come un rischio disfruttamento eccessivo del tappeto da parte di personecon le scarpe sporche o come una scarsa disponibilità aimpegnarsi nella pulizia delle proprie scarpe o nell’usodell’aspirapolvere. E infiniti esempi si possono trovarenell’industria finanziaria.

Eccone uno. Molte persone investono in borsasottoscrivendo dei fondi a favore di certe società. Èpossibile una scelta tra fondi attivi e passivi. In un fondo

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possibile una scelta tra fondi attivi e passivi. In un fondoattivo, un gestore di fondi sceglierà azioni basandosi sullaredditività assicurata dalle varie società, sul loropotenziale e via dicendo. Poiché i fondi attivi dipendonoda ricerche sono più costosi da gestire di quellialternativi, i fondi passivi, che seguono la media delmercato azionario investendo in un portafoglio di societàimmobiliari. Poiché i fondi passivi hanno un rendimentomedio, metà dei fondi attivi farà peggio di quelli passivi.L’altra metà farà meglio. Poiché però ci sono migliaia difondi attivi da cui scegliere, l’approccio più facile e piùrazionale per la maggior parte delle persone è quello discegliere un fondo passivo. Esso sarà infatti menorischioso per un investitore inesperto, e inoltre avrà menospese. Se però tutti si comportassero in questo modo, cisarebbero ben poche ricerche condotte sul potenzialedelle società e il mercato, privato del sostegnodell’intelligenza, crollerebbe.

Molti esempi si trovano anche nei pascoli digitali diinternet. Le risorse comuni – dal software gratuito, comelo GNU (Gnu is Not Unix), a eBay a Craigslist –possono essere utili per molte persone, ma sono anchesoggette a sfruttamento da parte di truffatori eingannatori. Come abbiamo già visto, il page ranking di

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ingannatori. Come abbiamo già visto, il page ranking diGoogle, la reputazione degli acquirenti e dei venditori sueBay, e il sistema di recensioni dei lettori di Amazon sifondano tutti sulla fiducia.

Crudeltà e uccisione

Hardin aveva illustrato una classe generale di problemi,che diventavano tanto più pressanti quanto più crescevala popolazione del pianeta. Fu però il primo adammettere che quei problemi non erano nuovi. Era comese fosse esasperato dal fatto che il penny collettivoavesse impiegato così tanto tempo a cadere; sottolineòche la confutazione dell’idea che la mano invisibile diAdam Smith potesse controllare la popolazione si potevatrovare già molto tempo prima, in un opuscolo poco notopubblicato nel 1833 da un matematico dilettante, WilliamForster Lloyd (1794-1852).

Hardin era preoccupato che ben poco progresso sipotesse fare per quanto riguarda il problema dellapopolazione «fin quando non avremo esorcizzatoesplicitamente lo spirito di Adam Smith». Egli si riferiva alcapolavoro di Smith, An Inquiry into the Nature andCauses of the Wealth of Nations , che apparve nel

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Causes of the Wealth of Nations , che apparve nel1776, all’alba della Rivoluzione industriale. Nel suocapolavoro, il filosofo scozzese sostenne un’economiadel mercato libero e divulgò l’idea che un individuo sia«condotto da una mano invisibile a promuovere un fineche non entrava nelle sue intenzioni […]. Perseguendo ilproprio interesse, egli spesso promuove quello dellasocietà in modo più efficace di quanto intenda realmentepromuoverlo»3.

In questa idea Hardin vide solo aspetti distruttivi:Smith aveva affermato che gli individui, agendo in vistadel proprio interesse, avrebbero contribuitoinconsapevolmente ad accrescere la ricchezza comune.Hardin ribatté che l’interesse egoistico avrebbe distruttola ricchezza collettiva, e citò il quarto presidenteamericano, James Madison, che nel 1788 aveva detto:«Se gli uomini fossero angeli, non ci sarebbe alcunbisogno di un governo». La tesi di Smith, spiegò, sarebbevera solo se tutti gli uomini fossero angeli. Come hannomostrato ripetutamente le mie ricerche, dovunque sipossano trovare angeli, stanno in agguato demoni delladefezione. «In un mondo in cui tutte le risorse sonolimitate, un singolo non-angelo nei terreni comuni devastal’ambiente per tutti».

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l’ambiente per tutti».Nato nel 1915 a Dallas, negli anni della sua

formazione furono piantati i semi per le sue teorizzazioni,che esercitarono una grande influenza; fra queste ideec’era anche il suo pensiero di quella che egli chiamò lalifeboat ethics (etica della scialuppa di salvataggio). («Ilnostro è un mondo limitato, e noi dobbiamo trovare unmodo per distribuire le caramelle».) All’età di quattroanni fu colpito dalla poliomielite, una malattia virale checausa la paralisi. Dopo essere stato costretto a letto persettimane, quando infine cominciò la prima elementarenon aveva recuperato abbastanza per poter compieregrandi camminate. I bambini possono essere crudeli: ascuola fu etichettato come storpio dai suoi coetanei, el’umiliazione che subì potrebbe averlo spronato aeccellere negli studi.

Benché la sua famiglia si trasferisse abbastanzaspesso, rimase un elemento costante nella sua infanziauna fattoria a qualche chilometro da Butler, nel Missouri.Dall’età di dieci anni, anche nei periodi di peregrinazionedella sua adolescenza, vi trascorse ogni estate. Benpresto, a undici anni, gli fu affidata la responsabilità di darda mangiare a centinaia di polli e di ucciderne uno algiorno per il pranzo, e questo lo avrebbe portato a dire

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giorno per il pranzo, e questo lo avrebbe portato a direche imparare a uccidere un animale è una parteimportante dell’istruzione di tutti.

La vita nella fattoria sarebbe stata importante per lesue opinioni emergenti non solo sulla sopravvivenza maanche sull’ambiente, a causa della malintesa bontà dicuore dei forestieri. La popolazione felina locale tendevaa crescere a causa dei gatti indesiderati abbandonati incampagna dai cittadini, i quali pensavano che fossemeglio lasciarli liberi in campagna piuttosto che ucciderli.In campagna, però, essi sarebbero stati ovviamenteattaccati dai cani, oppure sarebbe stato necessario che icontadini li sopprimessero. In caso contrario, quando lapopolazione dei gatti avesse superato un certo limite, ladiffusione di un’influenza felina avrebbe comportato graviperdite.

Nella fattoria Hardin imparò di prima mano che lamorte è parte della vita. Durante la sua educazione ebbepercezioni viscerali del problema della popolazione. Per ilresto della sua vita fu fortemente convinto dell’esistenzadi un limite alla capacità biologica specifica di unecosistema. «Sono stato ossessionato dallaconsapevolezza che non c’è semplicemente abbastanzaspazio per tutta la vita che può essere generata, e che lepersone che si rifiutano di eliminare l’eccesso di

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persone che si rifiutano di eliminare l’eccesso dipopolazione di qualsiasi specie non hanno il cuore teneroma sono crudeli. Esse accrescono la sofferenza nelmondo».

Per Hardin questo non era un problema riservato allatorre d’avorio degli aridi dibattiti accademici. Eglimetteva in pratica quel che predicava; tanto lui quantosua moglie erano membri della Hemlock Society,associazione che faceva campagne a favoredell’eutanasia volontaria. Il 14 settembre 2003 i coniugiHardin morirono nella loro casa a Santa Barbara. Luiaveva ottantotto anni, lei ne aveva ottantuno. Entrambi sierano suicidati dopo il sessantaduesimo anniversario dimatrimonio.

Il problema della popolazione

Mentre Hardin era all’Università di Chicago, un’altrainfluenza chiave avrebbe plasmato il suo pensiero. Autoredi questa influenza fu Warder Clyde Allee, uno fra i primiecologi che, nonostante il tasso di natalità relativamentebasso dei suoi tempi, avrebbe lanciato un avvertimentosui pericoli della sovrappopolazione. Secondo Hardin, ilsuo professore avrebbe borbottato che «è una cosa che

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suo professore avrebbe borbottato che «è una cosa chedeve accadere, è solo questione di tempo; quando lecose migliorano, poi diventano sempre più veloci, fino aquando quel che deve accadere accadrà».

Alcuni amano sostenere che la capacità biologicaspecifica del mondo è solo di metà circa rispetto alnecessario, vista la dimensione attuale della popolazionemondiale (ed è una stima generosa fondata sull’attualenumero degli abitanti, dal momento che suppone solouno stile di vita modesto). L’approccio di Hardin alproblema sembra preveggente: «Accoppiare il concettod i libertà di procreare con la convinzione che ogninuovo nato abbia un uguale diritto ai beni comuniequivale a predeterminare per il mondo un corso diazione tragico».

«La libertà di procreare porterà tutti alla rovina. Almomento attuale, per evitare decisioni difficili, molti di noisono tentati di appellarsi alla coscienza e a una paternitàe maternità responsabili. Ma si deve resistere a questatentazione, perché un appello a coscienze capaci di agirein modo indipendente selezionerà la sparizione dellacoscienza generale a lungo termine, e un aumentodell’ansia a breve termine. L’unico modo che abbiamoper poter preservare e nutrire altre e più preziose libertà

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per poter preservare e nutrire altre e più preziose libertàè quello di rinunciare alla libertà di procreare, e anche ilpiù presto possibile».

Hardin, che divenne professore di biologiaall’Università della California a Santa Barbara, si reseconto che nel pensiero del suo tempo c’era un difettofondamentale: «La maggior parte delle persone che siangosciano per il problema della popolazione stannocercando un modo per evitare i pericoli dellasovrappopolazione senza abbandonare nessuno deiprivilegi di cui godono oggi». Allora come oggi, moltepersone credevano alla possibilità di una soluzionealtamente tecnologica, che non richiedesse loro di agire:«Pensano che lo sfruttamento intensivo dei mari o losviluppo di nuovi ceppi di frumento potrebbe risolvere ilproblema, tecnologicamente», disse. Oggi, per esempio,l’uso commerciale dell’energia nucleare è l’obiettivoelusivo più citato come soluzione tecnologica al problemaenergetico globale. Ma nel suo articolo del 1968 Hardinconcluse: «Io cerco di mostrare qui che la soluzione cheessi cercano è impossibile».

La chiave per la soluzione della tragedia dei benicomuni non aveva niente a che fare con la tecnologia. Eranecessaria quella che Hardin chiamò un’estensione

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necessaria quella che Hardin chiamò un’estensionefondamentale nella moralità. Che cosa intendeva conqueste parole? Consideriamo, per esempio, le emissionipro capite di anidride carbonica degli Stati Uniti, chesono il doppio di quelle del Regno Unito e il triplo diquelle della Francia o della Svezia. La ragione di questasorprendente disparità non può essere che gli Stati Unitimancano della tecnologia o del denaro necessari aescogitare una soluzione, dato lo straordinariopredominio che possono vantare nella ricerca enell’innovazione.

La soluzione di questo enigma sta nel fatto che moltiamericani non sono disposti a modificare il lorocomportamento e ad abbandonare le macchine checonsumano troppa benzina e uno stile di vita che richiedeelevati consumi energetici. Molte persone, a quanto pare,non ritengono immorali gli sprechi e l’inquinamentodell’ambiente, si limitano a salire in macchina e partire. Ioconcordo con Hardin che la tragedia dei beni comuni nonpossa avere una vera soluzione tecnologica, ma solo unasoluzione radicata nell’etica e nel comportamento. Inbreve, dobbiamo intensificare il modo in cui cooperiamocon gli altri su scala globale: è difficile trovare pianetinaturalmente buoni.

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naturalmente buoni.Osservate il cielo in una notte senza luna, tenendovi

lontano dalla nebbia di sodio arancione delle luci stradali,e godetevi lo spettacolo. In questo modo potrete entrarein comunicazione con i vostri progenitori: gli antichinavigatori osservavano con meraviglia quel fiume di luceche è la Via Lattea, la nostra galassia. Quel meravigliosospettacolo ha ispirato per millenni poeti, filosofi esognatori. Stando a quel che abbiamo imparato nelCapitolo 6, alcuni di quei puntini di luce ammiccantipotrebbero essere stelle accompagnate da pianeti cheospitano forme di vita. Le conclusioni di Hardin sonocosì universali che non possiamo fare a meno di chiederciquante forme di vita aliena intelligente si siano già spenteper non essere riuscite a risolvere la tragedia dei benicomuni.

Il gioco dei beni comuni

Secondo Hardin, senza l’intervento di una terza parte,come per esempio un governo, gli interessi egoisticidominerebbero le risorse comuni con esito distruttivo; èfacile vedere perché ciò accadrebbe con l’aiuto di unesperimento standard. A ciascuna di quattro persone è

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esperimento standard. A ciascuna di quattro persone èassegnata una somma di 8 dollari, con il compito diinvestire una somma compresa fra 0 e 8 dollari mettendoil denaro in modo anonimo in una busta. Losperimentatore raccoglie i contributi, fa la somma,aggiunge metà del totale (in altri termini, moltipica per1,5: questo profitto sarebbe l’equivalente di quello fattodal mandriano quando vende finalmente gli animali che hanutrito sui pascoli comuni) e poi divide questo denaro inparti uguali fra tutti i giocatori.

Se i quattro partecipanti hanno contribuito al gioco deibeni comuni con tutti i loro 8 dollari, il totale iniziale saràdi 32 dollari. Moltiplichiamo questa somma per 1,5 eavremo 48 dollari. Dividendola poi in parti uguali fra igiocatori, ognuno di loro riceverà 12 dollari. Così, se tutticooperano, ognuno avrà realizzato un profitto di 4dollari. C’è però un problema: e se un giocatore si fosserifiutato di dare il suo contributo e di investire i suoi 8dollari? Gli altri avranno comunque investito i loro 8dollari, cosicché nel fondo comune ce ne saranno 24invece di 32. Moltiplicando 24 per 1,5 otteniamo 36. Sedividiamo la somma in parti uguali fra i quattro giocatori,ognuno avrà 9 dollari. Mentre però tre giocatoriregistreranno il profitto di un dollaro, il quarto avrà

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registreranno il profitto di un dollaro, il quarto avràrealizzato un profitto di 9 dollari senza avere investitoniente.

Se ci si mette nei panni di un giocatore, ci si renderàconto della sgradevole logica della defezione. La maggiorparte delle persone sono inizialmente ottimiste:investendo 8 dollari se ne possono raggranellare 12,ammesso che tutti si comportino nello stesso modo.Ovviamente, però, potrebbe sempre esserci qualcunoche si astiene dall’investire, traendo vantaggio dallagenerosità degli altri. Quando la rendita del proprioinvestimento è inferiore a 12 dollari, ci si rende conto chequalcuno non ha investito la propria quota, e chepotrebbe essere tentato di continuare a comportarsi nellostesso modo. Il defezionista ha un forte incentivo a far sìche ogni altra persona investa, in modo da raccogliereappieno i benefici dei loro investimenti. Ma se tutti lapensassero nello stesso modo, nessuno investirebbe enessuno realizzerebbe alcun profitto. Il modo diprocedere razionale, in questa situazione, sarebbe quellodi non investire niente. Questa è la tragedia dei benicomuni. Si potrebbe pensare il gioco dei beni comunicome il dilemma del prigioniero, in una versione in cuipartecipino simultaneamente più di due persone.

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partecipino simultaneamente più di due persone.L’essenza di questo dilemma, e la sua pertinenza per il

cambiamento climatico, furono ben colti dai giochi usatiper pagare la pubblicità sull’”Hamburger Abendblatt”che ho citato all’inizio di questo capitolo.Complessivamente, parteciparono 156 studentidell’Università di Amburgo, in un esperimento alcomputer diretto da Manfred Milinski. I giocatori furonodivisi in 26 gruppi di 6 soggetti sperimentali ciascuno.Questa volta l’obiettivo era di vedere se avrebberoinvestito proprio denaro per difendere il clima mondialein un gioco sulle risorse comuni.

A differenza delle varianti tradizionali di questo gioco,il denaro investito e raccolto insieme non fu ridistribuitofra tutti i giocatori, bensì – dopo che la somma totaleraccolta fu raddoppiata dagli sperimentatori – futrasferito in quello che Milinski chiamò il conto delclima. Agli studenti fu assicurato che il denaro del contodel clima sarebbe stato usato per pagare una pubblicitàsu un quotidiano a vasta diffusione. Lo spazio dedicato almessaggio pubblicitario, e conseguentemente il suoimpatto sul pubblico, sarebbero dipesi dal denaroraccolto.

L’esito dell’esperimento suggerì che, in presenza di un

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L’esito dell’esperimento suggerì che, in presenza di uninsieme di circostanze favorevoli, i giocatori possonocomportarsi altruisticamente per salvare il clima dellaTerra. Il primo ingrediente della cooperazione ful’informazione. Gli studenti si rivelarono più altruistiquando si fornì loro l’informazione esperta chedescriveva lo stato attuale della conoscenza nella ricercasul clima. Inoltre, se ai giocatori era data la possibilità didare il loro contributo in modo pubblico invece cheanonimo, gli investimenti personali nella protezione delclima crescevano visibilmente. L’effetto della reputazionefu, secondo Milinski, sorprendentemente forte. Alla gentepiace essere vista quando fa la cosa giusta.

Il gioco del clima

In un altro elegante esperimento, Milinski e il suo gruppoebbero un’altra intuizione su ciò che motiva la gente aconcedere il giusto rispetto alle risorse comuni. Questavolta il gioco fu condotto su 10 turni, con 6 giocatori, permostrare come affrontare i cambiamenti climaticipericolosi. Gli sperimentatori organizzarono il gioco perstudiare se un gruppo possa centrare un bersagliocollettivo attraverso sacrifici individuali, quando tutti sono

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collettivo attraverso sacrifici individuali, quando tutti sonosicuri che dovranno soffrire se l’obiettivo non saràraggiunto.

Lo scenario del gioco diventerà estremamenterealistico se permetteremo ai livelli di gas serra dicontinuare a crescere al ritmo attuale. Molteestrapolazioni suppongono una crescita regolare delrischio di gravi conseguenze all’aumentare dei livelli dianidride carbonica. Alcuni autori, fra i quali il padre dellateoria di Gaia, James Lovelock, hanno espressopreoccupazioni per i bruschi cambiamenti che sisarebbero potuti verificare se il clima avesse superatocerte soglie e avesse subito transizioni rapide eirreversibili. Per esempio, la circolazione delle correntiprofonde nell’Atlantico avrebbe potuto arrestarsi, cosache avrebbe condotto alla disattivazione delle correnti piùcalde che concorrono a mantenere miti gli inverni in GranBretagna.

In un caso estremo di cambiamento climatico, latemperatura nell’Europa nordoccidentale potrebbescendere anche di 5 gradi. Una versione di questoscenario fu popolarizzata nel film di Roland Emmerich,L’alba del giorno dopo, dove un mutamento nellacircolazione delle correnti oceaniche causato dal

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circolazione delle correnti oceaniche causato dalriscaldamento globale scatenò tempeste di neve a NuovaDelhi, tornado a Los Angeles e lastre di ghiaccio che simuovevano veloci come automobili. Questarappresentazione catastrofica della realtà conseguente aun mutamento di clima è chiaramente eccessiva. In realtàcambiamenti come questi avverrebbero nell’arco didecenni. Ma sulla scala dell’evoluzione e della storiageologica, anche mutamenti così lenti potrebbero essereassimilati a un batter di ciglio. Benché queste oscillazioniclimatiche non siano mai temporanee, alcune societàsono molto vulnerabili anche a livelli modesti dicambiamento climatico. Nazioni e comunità povere sonoparticolarmente esposte al rischio di dissesti, dalle grandimigrazioni alle guerre per risorse preziose come l’acqua.

Contro questo sfondo vivido di che cosasignificherebbe davvero perdere il gioco del clima, tutti igiocatori hanno all’avvio 40 euro nei loro conti privati. Aogni giro, i giocatori devono trasferire 0, 2 o 4 euro in unconto del clima. Si può pensare che il loro investimentoequivalga a tipi di comportamento come rinunciare aviaggi in aereo, lasciare la macchina a casa e andare apiedi a fare la spesa al locale negozio di alimentari, oabbandonare altre attività che possono contribuire ad

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abbandonare altre attività che possono contribuire adattivare il mutamento climatico. Notiamo che questoparticolare gioco del clima non è identico a un classicogioco dei beni comuni, bensì a una variante sul tema conregole diverse. Nel primo non vi è incentivo a investirequalcosa (come dicono i teorici del clima, l’equilibrio diNash è “non dare niente a nessuno”). Nel gioco diMilinski, se tutti danno esattamente 2 euro a ogni giro,non c’è alcun incentivo a discostarsi da questa norma.

Ai giocatori fu detto che il gioco si sarebbe conclusodopo 10 turni e che un computer avrebbe calcolato ilconto del clima. La squadra avrebbe vinto se il conto delclima avesse contenuto almeno 120 euro (dato che lasquadra era composta da 6 giocatori, ciò significava cheognuno di loro doveva investire una media di 2 euro pergiro). In questo caso il denaro da loro investito sarebbestato l’equivalente di una riduzione delle emissioni delbiossido di carbonio a livelli di sicurezza, e quindi dellasalvezza del mondo dalla catastrofe incombente. Comebonus, ogni giocatore riceveva quanto era rimasto nelsuo conto privato, che ammontava a 20 euro. Nellavariante più semplice del gioco, quando si perdevanessuno riceveva più nulla, e i partecipanti tornavano acasa a mani vuote. Essi avevano però almeno una casa in

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cui tornare. (Se noi perdessimo il gioco del clima reale,potremmo non avere più nemmeno questa opportunità.)Ovviamente si può non investire niente e sperare chesiano altri a col-mare il disavanzo. Dopo ogni turno, igiocatori dovrebbero essere informati su quanto è statoinvestito, ma se il conteggio suggerisse che qualcuno nonabbia pagato il dovuto, nessuno sarebbe in grado diindividuare il responsabile.

Per rendere più facile il gioco, e per poterlo analizzare,i giocatori avevano tre scelte. Milinski classificò gliinvestimenti di 0, 2 o 4 euro, rispettivamente, come“egoistico”, “leale” e “altruistico”; è facile tradurre questevalutazioni in qualcosa di pertinente per la discussione sulclima: al tempo in cui uscì l’articolo – prima della politicailluminata di Barack Obama sul cambiamento climatico –gli Stati Uniti sarebbero stati considerati free rider,scrocconi che tendono a beneficiare di un bene senzapagare la loro parte, mentre Francia e Svezia sisarebbero trovate addirittura all’estremo dell’”altruismo”.

Così, se tutti i partecipanti praticassero sempre il giocoleale, il conto sul clima sarebbe alla fine esattamente di120 euro, il clima sarebbe salvato, e ogni giocatoreavrebbe esattamente 20 euro sul suo conto privato. Sinoti che, se un giocatore contribuisce di più, alla fine avrà

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noti che, se un giocatore contribuisce di più, alla fine avràun reddito minore sul suo conto personale. Se invece ungiocatore contribuisce di meno, l’obiettivo non saràraggiunto e l’utile sarà per tutti molto inferiore al previsto.Questo è un esempio di un equilibrio di Nash, in cui igiocatori mirano ai risultati che si avrebbero se tuttifacessero una scelta ottimale, date le scelte che gli altrigiocatori stanno facendo.

La gente tuttavia può non aderire alla soluzione diNash. C’è un incentivo a contribuire di meno e a sperareche altri compensino il proprio mancato contributo. Se ungiocatore non investe niente in un turno ed è un freerider, un altro può ripristinare l’equilibrio manifestandouna propensione all’altruismo e investendo 4, in modoche la somma totale rimanga immutata. Questo aspettodel gioco aggiunge un piccolo sviluppo imprevisto: i freerider, che speculano sulla correttezza degli altri, devonocontare sugli altruisti per la salvezza del clima. Essipensano che, non dando nulla, costringeranno gli altri apagare. Ma senza gli altruisti anche gli scrocconiperderanno il loro denaro. Si arriva quindi allaconclusione che senza altruisti non ci sarebbe alcunincentivo all’egoismo: senza santi non ci sono peccatori.

Per tenere conto delle incertezze della vita reale – e, in

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Per tenere conto delle incertezze della vita reale – e, ineffetti, ce ne sono molte quando si tratta delcambiamento climatico, che include “incognite incognite”– il gioco fu presentato in tre versioni, dove la sconfittaportava a un 10, a un 50 e a un 90 per cento dipossibilità di disastro. In quest’ultima variante, se igiocatori non investivano complessivamente 120 euro,Milinski progettò il gioco in modo tale che potesseesserci una probabilità del 90 per cento che il climadegenerasse in modo irreversibile e quindi uno stessogrado di probabilità che tutti i giocatori perdessero il lorodenaro: il denaro registrato nel conto del clima e anchequello dei loro conti personali. Ciò significa che rimanevauna probabilità di uno a dieci che i giocatori potesseroportare a casa il loro denaro, anche se il conto del climanon raggiungeva il suo obiettivo.

Quando al gioco partecipavano 10 gruppi di 6studenti, con una probabilità di esito catastrofico del 90per cento, metà dei gruppi avevano successo. I gruppiche fallivano dopo 10 giri avevano accumulato nel loroconto del clima una media di 113 euro. Per una curiosaironia, alcuni di questi arrivarono molto vicini al loroobiettivo ma non riuscirono a centrarlo. Dapprima igiocatori tendevano a sperimentare la loro abilità,

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giocatori tendevano a sperimentare la loro abilità,cosicché il gruppo perdeva sempre più terreno. Negliultimi giri non c’era di solito più molto da fare perrecuperare il deficit.

Ecco un esempio tipico di come si svolgevano i giochi.Dopo 8 giri di una particolare partita, il conto del climaconteneva 90 euro. Nel nono giro, per salvare il mondo,4 dei 6 giocatori investirono la quantità massima di 4euro ciascuno. I 2 giocatori rimanenti erano free rider enon pagarono. Nell’ultimo giro uno dei free rider diede2 euro, mentre l’altro rimase fedele alla sua tirchieria e 3degli altruisti pagarono 2 euro ciascuno. A questo puntoper raggiungere l’obiettivo occorrevano ancora 14 euro,ma ne furono raccolti solo 8. Pare che gli altruistipensassero di avere già dato abbastanza. I motivi deifree rider rimasero oscuri. Il conto del clima registrava,alla fine, 114 euro: tutto era perduto.

Cosa accadeva quando la connessione fra il gioco e lacatastrofe planetaria era più remota? In una versionec’era una probabilità del 50 per cento che il climamondiale degenerasse catastroficamente nel caso che lasomma obiettivo non fosse raggiunta (in questo caso latirchieria paga altrettanto bene della lealtà verso gli altri).Nella seconda versione, progettata per incoraggiare un

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Nella seconda versione, progettata per incoraggiare uncomportamento ancora più rischioso, c’era solo unaprobabilità del 10 per cento che il mondo fossecondannato (qui la strategia razionale era quella di tenersii propri 40 euro, dal momento che pagava 36 euro su 10esperimenti, rispetto alla strategia leale, che ne pagavasolo 20).

Cosa accadde questa volta? Milinski trovò che solouno sui 10 gruppi raggiunse l’obiettivo nella versione del50 per cento e nemmeno uno riuscì a salvare il mondonella versione del 10 per cento. Questo risultato non èsorprendente, perché in nessuno dei due casi c’è unincentivo razionale a investire nel conto del clima. Ineffetti, è sorprendente che in queste circostanze i soggettiabbiano in generale investito del denaro per salvare ilmondo. Eppure, nelle versioni del 50 e del 10 per cento,i soggetti donarono rispettivamente una media di 92 e di73 euro. Questi investimenti potrebbero essere stati laconseguenza di un effetto condizionante dellapresentazione: ai partecipanti fu detto che il giococoncerneva la possibilità di salvare il clima, e quindi ilmondo. La conclusione, in un certo senso, èincoraggiante: le persone sono disposte a giocared’azzardo per salvare il clima. Ma i risultati sono

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d’azzardo per salvare il clima. Ma i risultati sonodeprimenti in altro senso: se le persone non si rendonopienamente conto della misura in cui il pianeta è inpericolo, non faranno abbastanza per salvarlo.

La teoria dei giochi può salvare il mondo

Molti sforzi sono stati profusi nel tentativo di concepireun modo per proteggere le risorse comuni. ElinorOstrom, che ha legami con l’Università dell’Indiana e conquella dell’Arizona, ha esaminato il ruolo delle sanzioninella salvaguardia delle risorse comuni, si tratti di stockittici o di pascoli comuni, quelle che chiamacommonpool resources (CPR). Fondandosi su unadocumentazione da lei raccolta sul governo dei benicollettivi basata sul mondo reale, concluse che siottengono risultati più tollerabili quando sono gli utentistessi a escogitare regole e meccanismi impositivi. A suogiudizio, però, le sanzioni dovrebbero essere graduate,più miti per una prima violazione e più severe quando leviolazioni si ripetono. Le sue percezioni innovative sucome risolvere i conflitti le fruttarono un premio Nobel(condiviso con Oliver Williamson) nel 2009.

In questo capitolo abbiamo mostrato un’alternativa

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In questo capitolo abbiamo mostrato un’alternativaall’uso della punizione e delle sanzioni. Una conclusionefondamentale tratta da Milinski e dal suo gruppo è che ilpubblico deve essere ben informato sui rischi delcambiamento climatico. La gente comune deve avere unacomprensione ragionevole di ciò che sta accadendo alivello dell’ecosistema globale. Se il pubblico è indottoerroneamente a pensare che il rischio sia piccolo, nonsarà disposto a cooperare; se invece la gente sa che ilrischio è elevato, sarà molto più incline ad associarsi perfrenare il cambiamento climatico.

Il dovere degli scienziati è di fornire informazionioneste e attendibili. Se manipolano o gonfiano il rischio,c’è il pericolo che perdano la fiducia del pubblico.Gridare “al lupo, al lupo!” può essere altrettanto dannosoche sottovalutarne il rischio. Molte persone pensano checi siano state esagerazioni nel sottolineare i pericolidell’encefalopatia spongiforme bovina (BSE, meglio notacome malattia della “mucca pazza”), dell’AIDS edell’influenza suina, e ovviamente ci sono molti espertiche controbattono giustamente questi argomentisottolineando che il numero dei decessi sarebbe statomolto superiore se si fosse sottovalutato il rischio. Comein molti altri aspetti particolarmente sensibili della scienza,

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in molti altri aspetti particolarmente sensibili della scienza,e fra questi la ricerca sulle cellule staminali embrionali, laterapia genica della linea germinale e la conservazioneambientale, i difensori appassionati della scienza devonoavere cura di non descrivere i fatti in modo tendenzioso edistorto, anche se intendono sostenere una buona causa:devono accettare i risultati di una ricerca di buona qualitàe di studi approvati da colleghi, anche se sono contrarialle loro convinzioni; devono concentrarsi sugli effettipositivi, oltre che su quelli negativi del mutamento diclima.

C’è un problema connesso: la comprensione pubblicadella scienza. Molte previsioni del cambiamento climaticosono formulate in termini di rischi e probabilità. Sifondano sulla formulazione di determinati assunti.Quando si presentano queste informazioni a un pubblicoun po’ confuso sulla differenza fra clima e meteorologia,o quando è difficile calcolare una percentuale, anche unmessaggio formulato con cura può essere maleinterpretato. In Gran Bretagna, per esempio, ci sonoprove del fatto che una presentazione un po’ sciatta delbollettino meteo stagionale abbia compromesso la fiduciadel pubblico nelle previsioni.

È d’importanza cruciale che un messaggio sia

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È d’importanza cruciale che un messaggio siatrasmesso con grande fedeltà. Come si rese contoHardin, anche se dobbiamo inventare soluzioniambientali, dalla forza del vento all’energia di fusione, alungo termine possono salvarci solo soluzionicomportamentali. Dobbiamo imparare a cooperare suscala mondiale, a rispettare i bisogni degli altri e a evitareuno stile di vita eccessivamente dispendioso, doveognuno, come si espresse Hardin, «pensa solo per sé».Oggi dobbiamo evitare una cultura dove ognuno si fasolo i fatti suoi.

Un modo in cui possiamo acquisire più familiarità conla tragedia dei beni comuni è quello di giocare, tutti noi, itipi di giochi escogitati da Milinski. Pratichiamoli in luoghidi ritrovo, sul lavoro, a scuola e a casa. Escogitiamoneuna versione divertente per il web. Noi tutti abbiamobisogno di sentirci impegnati in un dilemma sociale arischio collettivo su scala globale e di imparare strategieper la sua soluzione.

I cinici possono sorridere in modo sarcastico dinanzialla prospettiva di applicare al mondo reale i risultati diesperimenti idealizzati. La scala dei fenomeni studiati è, ineffetti, tale da incutere un senso di reverente timore. Ilgruppo che partecipa a questo “gioco” del clima è

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gruppo che partecipa a questo “gioco” del clima èformato da 7 miliardi di individui. Il gioco reale del climanon si suddivide in vari round. Nessuno sa bene conquanta efficacia siamo in grado di frenare le emissioni dianidride carbonica. In effetti, gli esperimenti condotti daMilinski in giochi implicanti l’uso di risorse comunisuggeriscono che, quanto maggiore è il numero deigiocatori, tanto più difficile sarà cooperare.

Almeno sotto questo aspetto, pare ci sia un raggio disperanza: tutte le grandi decisioni sono prese da gruppirelativamente ristretti di politici, come i leader del G8,che rappresentano i governi di otto nazioni dell’emisferonord: Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone,Russia, Regno Unito e Stati Uniti. Forse il piccolonumero aumenta la nostra probabilità di cooperazione. Epoiché quelle persone non sono studenti di biologia unpo’ ingenui, ma politici preparatissimi,forse le prospettivesono abbastanza rosee. Milinski ha compiuto esperimentiper investigare la sua teoria, ma purtroppo quando simette la sorte della Terra nelle mani di qualche politiconon pare che la situazione cambi sensibilmente. E spiega:«I politici persero nei nostri giochi perché la gente volevache investissero meno di quanto facevano i loro omologhiin altri paesi. Coloro che investirono il denaro dei loro

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in altri paesi. Coloro che investirono il denaro dei loropaesi per aiutare a salvare il clima persero la reputazioneproprio in patria».

Ma torniamo a un punto sollevato dal gioco chegenerò il passo citato in epigrafe all’inizio di questocapitolo. I giocatori erano più disposti alla cooperazionese i loro concittadini potevano vedere quanto fosserogenerosi. Sembrerebbe banale, ma la reputazione è unaforza molto potente. Essa è, in effetti, una forza moltomaggiore di quanto molti di noi si rendano conto, unaforza che è stata imbrigliata nelle società umane permillenni.

Il potere della reputazione

A ciascun pianerottolo, proprio di fronte allosportello dell’ascensore, il cartel-lone con la facciaenorme riguardava dalla parete. Era una di quellefotografie prese in modo che gli occhi vi seguonomentre vi muovete. IL GRANDE FRATELLO VI GUARDA,diceva la scritta appostavi sotto. George Orwell,19844

I totem sono monumenti al potere della reputazione. Essi

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I totem sono monumenti al potere della reputazione. Essisono eretti per varie ragioni, da quelli mortuari innalzati inonore di una persona defunta, a quelli memoriali checommemorano occasioni importanti. Alcune fra leraffigurazioni che li decorano sono facilmentericonoscibili, da rane a castori a corvi, a lupi, orsi, aquileed esseri umani; altre sono più misteriose, variando moltoda famiglia a famiglia, da clan a clan e da luogo a luogonelle regioni nordoccidentali di Stati Uniti e Canada, sulPacifico. I volti raffigurati sui pali possono avereespressioni drammatiche, con la bocca aperta e i dentiscoperti. Hanno un’espressione vigile, con occhi attentidipinti di nero ai quali sembra non possa sfuggire nulla.Gli occhi sono di legno di cedro ben levigato, ma siamocosì sensibili al potere della reputazione che questi occhispalancati hanno un forte effetto su di noi. La decisione didipingere occhi che sembrano osservare i membri dellatribù ha origine dal fatto che quanto più le persone sannodi essere osservate, tanto più caritatevoli diventano. Lacooperazione attivata dalla reciprocità indiretta porta auna guerra spietata quando la posta in gioco è il desideriodi stabilire la propria reputazione e di riconoscere quelladi altri.

Non sorprende che il Grande Fratello di GeorgeOrwell, il dittatore di Oceania, osservasse continuamente

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Orwell, il dittatore di Oceania, osservasse continuamentei cittadini dello stato totalitario, o che le religionicontengano l’idea di un dio onnipresente al cui occhionon sfugge mai nulla. O che il simbolo della pressionemorale sia l’occhio sempre vigile in cielo. Per millenniquesta connessione fra il nostro comportamento e il fattodi essere osservati è stata usata dalle religioni per renderele società tradizionali più oneste e giuste. Esse ciricordano che le nostre azioni hanno sempre delleconseguenze.

Già il solo pensiero di essere osservati esercita unagrande influenza su di noi. Possiamo addirittura vederenella nostra coscienza, nel nostro senso interno del benee del male, una misura di come saremo visti dagli altri.Due macchie oculari sullo sfondo del monitor di uncomputer sono sufficienti a spronare la nostra generosità.Sperimentalmente, le registrazioni dell’attività elettricaemanante dal cuoio capelluto di soggetti normali hannorivelato una maggiore attività in risposta a occhi isolatiche a interi volti.

L’effetto fu ben illustrato da un piccolo esperimentosvolto alla Newcastle University. Nella sala comune deldipartimento di psicologia dell’università c’era unahonesty box in cui a 50 persone, fra studenti, personale

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honesty box in cui a 50 persone, fra studenti, personalee docenti era chiesto di mettere il corrispettivo del prezzodel tè, del caffè e del latte che avevano consumato. Ilsistema era in funzione da molti anni, cosicché i fruitorinon avevano ragione di sospettare di essere usati comecavie in un esperimento. Per 10 settimane i ricercatoriapplicarono una bacheca sullo sportello dell’armadio incui in cui si trovava la honesty box, sopra il bollitore e lamacchina per il caffè.

Di settimana in settimana alternarono nella bachecaimmagini di fiori a immagini di occhi – maschili o femminili– sempre puntati direttamente sull’osservatore. Leespressioni variavano da “all’erta e vigile” a “maniacale”.Ogni settimana si contava il denaro raccolto nellacassetta dell’onestà: nelle settimane in cui era espostal’immagine degli occhi l’incasso era quasi triplo rispetto aquelle in cui i soggetti dell’esperimento vedevano soltantofiori. Le immagini degli occhi esercitavano probabilmenteun’influenza perché inducevano i consumatori apreoccuparsi di ciò che altri avrebbero pensato di loro.Ci sono prove che un robot con grandi occhi “umani”possa avere lo stesso effetto. Gli occhi sembranorenderci più consapevoli del fatto che, se facciamosapere agli altri di essere buoni, aumentiamo la

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sapere agli altri di essere buoni, aumentiamo laprobabilità di essere a nostra volta aiutati in futuro.

Manfred Milinski e l’economista Bettina Rockenbachdescrissero i notevoli effetti interconnessi degli sguardisull’osservatore e sull’osservato: «L’osservatrice Alicedovrebbe tener conto del fatto che il comportamento diBob (l’osservato) cambia, e perciò non dovrebbemostrare di starlo osservando; quanto a Bob dovrebbefare molta attenzione a minimi segnali del fatto che Alicelo osservi, ma dovrebbe anche evitare di lasciar trapelaredi essersi accorto che Alice lo osservava quandopassava da comportamenti egoistici a comportamentialtruistici: dovrebbe evitare di volgere lo sguardo versol’osservatore da lui riconosciuto. D’altro canto, se Alicevede che Bob si è accorto che lei lo sta osservando, nondovrebbe alla fine premiare il comportamento altruisticodi Bob da lei osservato».

Esempi di questo effetto dell’osservatore si possonoosservare anche in natura. Consideriamo, per esempio, ilpesce pulitore in cui ci siamo imbattuti nel Capitolo 1. Ilminuscolo labro pulitore si guadagna un pastoraccogliendo i parassiti dal corpo dei suoi “clienti”, eanche dall’interno della loro bocca. Fa la toeletta nelmodo più inappuntabile quando altri pesci clienti lo

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modo più inappuntabile quando altri pesci clienti loosservano, mentre in assenza di questo pubblico sarebbefortemente tentato di mangiucchiare anche pezzetti dipelle. Similmente, gli esperimenti rivelano che nelcosiddetto gioco del dittatore, dove una persona devedare del denaro a un’altra, la quantità di denaro cala del50 per cento quando il ricevente non è in grado diidentificare il donatore.

Quando delle persone si comportano in modocaritatevole, il fatto che questo comportamento sia statoaffinato nel corso delle generazioni da progenitoridesiderosi di dare una buona impressione di sé si rivelanel modo più chiaro ogni volta che si trovano incircostanze in cui sospettano di essere osservate. Questobisogno di fare una certa impressione sugli altri erasentito in un clan strettamente unito di cacciatori-raccoglitori non meno acutamente di quanto lo sia ogginella nostra società della sorveglianza e del controllo.Come ci accingiamo a vedere, la consapevolezza che ilnostro comportamento sia osservato – o che possaesserlo – potrebbe fornire ai politici nuovi strumenti perfar fronte al cambiamento climatico.

Come sfruttare la reputazione per scongiurare il

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Come sfruttare la reputazione per scongiurare ilcambiamento climatico

Vivono le parole più dei fatti. Pindaro

Un semplice messaggio è già emerso dalla mia ricercasulla tragedia dei beni comuni. Ogni volta che uncomportamento individuale sia rilevante per il benepubblico, ci si dovrebbe premurare di pubblicizzarlo peraverne un aiuto al fine di scongiurare la tragedia. Lapubblicizzazione ha un’importanza critica: quando sono ingioco risorse comuni, gli altri devono sapere che stiamofacendo la nostra parte per salvare il mondo. Soltantoallora la considerazione che un individuo ha per lapropria reputazione potrà essere sfruttata a fondo.

Insieme al mio collega Thomas Pfeiffer ho cercato dicostruire alcuni esempi per spiegare che cosa potrebbesignificare tutto questo per la suprema tragedia: ilcambiamento climatico. Abbiamo bisogno di nuovi modiper pubblicizzare i comportamenti delle persone. Già glielettrodomestici sono classificati sulla base del consumoenergetico, e questa idea dovrebbe essere estesa il piùpossibile. Per esempio, i dispendi energetici delle singolecase potrebbero essere pubblicati dai quotidiani locali; le

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case potrebbero essere pubblicati dai quotidiani locali; leaziende potrebbero essere classificate secondo le loroemissioni e i loro investimenti nella protezione del clima;in America – dove motori ad alto consumo sono persistitiper molto tempo dopo che in Europa e in Giappone lanuova tecnologia aveva permesso di sostituirli con motoripiù efficienti – si usarono degli adesivi per marchiare iveicoli più inquinanti e a bassa efficienza.

La conclusione essenziale che si può trarre dalla nostraesperienza con le automobili è che non basta sviluppareuna tecnologia pulita, ma si devono anche incoraggiare lepersone a usarla, come capì molto tempo fa Hardin.Certe automobili potrebbero avere l’obbligo di portare inbella mostra avvertimenti simili a quelli che compaiono suipacchetti di sigarette, come per esempio: questaautomobile è altamente inefficiente; le sue emissionicontribuiscono al cancro al polmone e a pericolosicambiamenti climatici. La pubblica denuncia di chi, nelvostro condominio o nel vostro ufficio, usa quantitàeccessive di energia potrebbe essere un buon incentivoper convincere tutti a ridurre le proprie emissioni dianidride carbonica.

Anche se questi tipi di controllo dei comportamentipubblici potrebbero sollevare problemi connessi al diritto

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pubblici potrebbero sollevare problemi connessi al dirittoalla privacy, i potenziali guadagni per l’ambientepotrebbero essere considerevoli. Nell’estate 2006 nellamia città5 ci fu una grave siccità e a ognuno fu chiestoripetutamente di ridurre il consumo d’acqua; non fu piùpermesso annaffiare i giardini privati. Emerse però che30 utenze, sul migliaio di case della cittadina,consumavano una frazione importante di tutta l’acqua delvicinato. Il quotidiano locale pubblicò un articolo il cuititolo denunciava i thirsty thirty, i trenta che eranoevidentemente più “assetati” degli altri. L’articolo diceva:«Sappiamo che 5 dei top 30 (e 2 dei top 3) abitano inStratford Way. Due vivono nella Weston Road, 2 nellaSandy Pond Road, 2 nella Tower Road e nessuno nellaparte nord di Lincoln. Almeno 6 dei top 10 hanno piscineinterrate e uno ha anche la piscina idromassaggio. Unaltro ha una vasca idromassaggio, ma purtroppo non hauna piscina: la maggior parte dei top 10 ha 5 o 6 bagni,più almeno un paio di mezzi bagni».

Molti fra i miei concittadini potevano immaginare senzadifficoltà chi fossero i principali consumatori d’acqua e,se questi se ne resero conto, sono sicuro che feceroqualcosa per ridurre conseguentemente i consumi.Questo fatto mi colpì come un esempio interessante di

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Questo fatto mi colpì come un esempio interessante dicome si possa indurre la gente a cooperare. Il fatto che sisappia chi usa in modo eccessivo certe risorse comunipermetterà, a chi decide di collaborare, di sfruttare almeglio i benefici della reputazione, aiutandolo così acompensare i costi in cui incorrerà nel praticare uncomportamento più virtuoso. Quando qualcuno manifestaspontaneamente il proprio impegno alla conservazione, èprobabile che questo esempio aumenti la pressionesociale sugli scrocconi (free rider), inducendoli a fare lacosa giusta. Un riallineamento della bussola interna dimilioni di singole menti può fare molto per accrescerel’efficacia delle politiche governative.

Molte organizzazioni stanno già abituandosi a metterea frutto questo modo di pensare. Alcune automobiliibride, come la Toyota Prius, hanno una linea facilmentericonoscibile, che, in effetti, pubblicizza l’impegno di chile usa a ridurre l’inquinamento ambientale. I volontari chesi impegnano nella pulizia dell’ambiente ricevono delle t-shirt che mettono in evidenza la loro partecipazione. In unprogetto gestito da una società elettrica locale che fuadottato dal mio collega David Rand, chi ha scelto dispendere di più usando l’elettricità prodotta con mezzialternativi, come il vento, riceve una bandiera verde

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alternativi, come il vento, riceve una bandiera verdeecologista da piantare nel proprio giardino.

Ci piaccia o no, miliardi di esseri umani sono coinvoltinel gioco più che reale del riscaldamento globale. Anchese cerchiamo di scongiurare cambiamenti pericolosi nelclima del nostro pianeta, è probabile che ci si presentinoa breve termine mutamenti estremi nel clima e nellameteorologia: periodi di siccità, piogge torrenziali, ondatedi caldo e inondazioni. Così il livello dei mari salirà, eaumenterà il rischio di ondate gigantesche. Molto di più sipotrebbe e dovrebbe fare per sfruttare la reputazionedelle persone allo scopo di incoraggiare noi tutti acooperare, al fine di arginare mutamenti climaticipericolosi. Questo è un gioco dei beni comuni chenessuno di noi può permettersi di perdere.

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Capitolo 11

Punire e perire

Se le persone sono buone solo perché temono lapunizione, e sperano nella ricompensa, siamodavvero messi molto male. Albert Einstein

Nel corso dei secoli la società ha adottato una tatticaapparentemente semplice e lineare per convincere lepersone a cooperare fra loro: “Cooperate o saretepuniti”. Fate come vi dico o la pagherete, con un severorichiamo, con una multa da farvi piangere lacrime amare,col carcere, con pestaggi, bastonature, fustigature opeggio. Ecco perché, per stabilire un esempio che noitutti dobbiamo seguire, nel finale lieto – e spesso violento– di favole, miti e leggende i cattivi sono puniti. Quasi

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– di favole, miti e leggende i cattivi sono puniti. Quasisempre.

La mitologia greca conosce tre spiriti femminili divendetta e di giustizia, le Erinni. Benché queste temuteentità fossero nate probabilmente come personificazionidi anatemi indirizzati a persone colpevoli di graviviolazioni, secondo la leggenda avrebbero invece avutoorigine da gocce del sangue versato quando il potentetitano Crono usò una falce seghettata per castrare suopadre Urano. I romani chiamarono Furie questiinesorabili spiriti della vendetta. Nella loro implacabilericerca di giustizia, esse appaiono in vari aspetti. Sul capohanno neri serpentelli guizzanti, dai loro occhi sgorgatossico sangue e il loro fiato è una vampa ardente. Nellaricerca dei colpevoli, la loro brama di applicare lepunizioni più severe non conosce limiti.

Anche le fiabe abbondano di storie di vendette,almeno prima della venuta di Walt Disney. Pensate alladanza mortale della malvagia matrigna di Biancaneve, laregina, quando è costretta a calzare scarpe di ferroinfuocate; o a quando i cacciatori sventrano l’astuto lupoin Cappuccetto rosso; e alla strega cannibale in Hänsele Gretel che, dopo avere progettato di cuocere al forno idue bambini che aveva attratto nella sua casa, fu superata

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due bambini che aveva attratto nella sua casa, fu superatain astuzia dalla piccola Gretel che le fece subire la stessasorte che aveva progettato per loro. Non può essere chenoi abbiamo bisogno di una minaccia costante per indurcialla cooperazione? È questo il modo per scongiurare latragedia dei beni comuni? Forse siamo meglio disposti acooperare quando siamo sottoposti a una costrizione?

Nella cultura popolare ci sono senza dubbio molteprove di una connessione fra punizione e reciprocità. Iltit for tat, l’istinto di rispondere a una violenza conun’altra violenza, generò le tragedie della Grecia antica edell’Inghilterra rinascimentale, oltre alle opere liriche settee ottocentesche e al romanzo dell’Ottocento, con i suoifrequenti finali cruenti. Quando si tratta di sfruttare ilpotenziale drammatico della punizione, Hollywood non èda meno.

Noi abbiamo un appetito ripetitivo e inestinguibile dispettacoli di vendetta. The Punisher è proprio questo:un ex specialista di operazioni sotto copertura al serviziodel governo che conduce una lotta spietata contro icattivi che hanno sterminato la sua famiglia. CharlesBronson e Clint Eastwood hanno risolto molti problemipestando e sparando, lasciando le domande a dopo.Troviamo una grande quantità di vendette nell’antichità

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Troviamo una grande quantità di vendette nell’antichitàromana (per esempio nel Gladiatore), nella Chicagodella Grande depressione (in Era mio padre) enell’Australia post-apocalittica di Mad Max. Le storie diregolamenti di conti sono universali. Basta guardare unasoap opera o navigare in rete e si troveranno una quantitàdi esempi spaventosi.

Studi di visualizzazione cerebrale hanno rivelato checosa accade nella mente di qualcuno cui è inflitta unapunizione. Una vigorosa bastonata vale in realtà anchecome carota: chi infligge una punizione sembra godere diuna calda e appagante ondata di sangue ai centri diremunerazione del cervello. I guizzi di attività osservatinel cervello di chi consuma una vendetta rivelano che c’èun appagamento nella sopraffazione, un piacere euforicoe inebriante in chi riesce a vendicarsi, un correlatoneurale della Schadenfreude, il piacere per le disgraziedi un altro. L’idea della punizione è sempre in fondo allanostra mente perché nella lotta darwiniana per lasopravvivenza i vincitori vanno avanti e i perdenti sonopuniti con l’estinzione. In che modo la punizione sicollega con la storia della cooperazione?

In questo capitolo vorrei concentrarmi sulla punizionee sulla vendetta e su tutte quelle interazioni uno a uno in

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cui una persona ne punisce un’altra per i suoi misfatti.Rientrano in questa categoria le persone che si fannogiustizia da sé o che pagano un killer per vendi-careun’offesa subita. Alcuni pensano che questa “punizione aopera di propri pari” sia un metodo efficace perpromuovere la cooperazione. A mio giudizio, però,questa opinione è sbagliata. La punizione da parte deipropri pari è problematica, e ci sono modi più efficaciper promuovere la cooperazione. Vorrei chiarire inoltreche la punizione non è, come hanno sostenuto alcuni, unmeccanismo per favorire l’evoluzione della cooperazione.In effetti, essa si innesta bene nella cornice dellareciprocità che ho già illustrato nei Capitoli 2 e 3.

Abbiamo già parlato della punizione, per esempio, nelcontesto del tit for tat, quando si risponde a unadefezione con un’altra defezione. Poi c’è la strategia deltit for tat generoso, che punisce anch’esso la defezionecon la defezione, anche se a volte può dimenticare erinunciare alla punizione. Come abbiamo visto nelCapitolo 1, una strategia ancora più dura è la grimstrategy: io coopero finché tu cooperi, ma se fai unamossa sbagliata defezionerò sempre. La punizione siinquadra bene nella cornice del dilemma del prigionierostandard.

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standard.La matrice dei payoff nel dilemma è tale che la

defezione potrebbe significare una di queste tre cose. Laprima è la rinuncia al premio. Così, invece di cooperare,io non faccio niente. (Pensiamo allo studente che si rifiutadi cucinare la cena per i suoi coinquilini perché uno diloro non vuole lavare i piatti.) La seconda è il furto. Io visottraggo qualcosa, e di conseguenza voi soffrite unaperdita e io ho un guadagno. In terzo luogo c’è unapunizione costosa, nella quale io soffro una perdita, ma,in conseguenza di questo fatto, voi subite una perditaancora più grave. (Un vicino potrebbe opporsi alla tuadomanda di ampliare la casa perché non riesci a evitareche il tuo cane disturbi di notte; è disposto a soffrire uncosto – i tuoi vituperi e le sue perdite di tempo – perinfliggertene uno molto maggiore, impedendoti direalizzare il sogno di ingrandire casa.)

Un’altra possibilità per incorporare una punizione neldilemma del prigioniero è ampliare il gioco, passando dadue possibili mosse (cooperazione e defezione) a tre:cooperazione, defezione e punizione. Usando una formasemplificata del dilemma potremmo definire le tre mossenel modo seguente. Cooperazione significa pagare uncosto perché l’altra persona riceva un beneficio.

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costo perché l’altra persona riceva un beneficio.Defezione significa non dare niente. Punizione costosasignifica pagare un costo perché l’altra persona incorra inun costo punitivo. Negli esperimenti punitivi è tipico unrapporto di 3:1 (io pago un dollaro perché tu ne perdatre). Non è difficile pensare a un esempio nel mondoreale in cui noi dobbiamo pagare un costo per infliggereuna punizione, come lo sforzo che dobbiamo fare perestirpare la siepe del vicino, per fargli espiare la colpa diavere bloccato con la sua siepe la luce che arrivava fino anoi.

Punizioni costose

L’idea che una punizione costosa possa essere una forzapotente per promuovere la cooperazione è statasuggerita da un esperimento compiuto da due economistiaustriaci: Ernst Fehr, che insegna all’Università di Zurigoin Svizzera, e Simon Gächter, che lavorava alloraall’Università di San Gallo e che oggi insegnaall’Università di Nottingham, in Inghilterra.

Fehr e Gächter ingaggiarono per il loro esperimento240 studenti universitari. In primo luogo realizzarono ungioco dei beni comuni, del genere di cui ci siamo

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gioco dei beni comuni, del genere di cui ci siamooccupati in precedenza. In un secondo tempo furiconosciuta ai giocatori la facoltà di infliggersi punizionil’un l’altro. Fu mostrato come si era comportato ognimembro del gruppo, e fu chiesto loro se volevano pagareper far perdere a qualche giocatore ancora di più, nelcaso fosse stato troppo avaro. Le identità dei giocatorifurono cambiate a ogni ripresa del gioco. Perciò non erachiaro chi giocasse da una ripresa all’altra, cosicché lapartita non era effettivamente ripetuta e non c’era alcunmodo in cui un giocatore potesse costruirsi unareputazione. Inoltre, la persona punita non riusciva maiad accertare chi l’avesse punita, cosicché non c’era maila possibilità di rappresaglie.

In tutto, i due ricercatori fecero 10 sessionisperimentali con 24 soggetti. Ogni soggetto partecipò adue giochi dei beni comuni suddivisi ciascuno in 6 turni:un gioco senza opportunità di punizione e un gioco conun’opportunità di punizione. Nel gioco senza punizioni, ipartecipanti erano all’inizio generosi, ma imparavano benpresto a diventare avari. Essi scoprirono che potevanopunire i free rider solo riducendo i propri contributi.Così la cooperazione si dissolse ben presto.

Che cosa accadde quando fu introdotta la punizione?

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Che cosa accadde quando fu introdotta la punizione?Dei 240 partecipanti all’esperimento, l’84 per cento punìalmeno una volta e il 9 per cento circa punì più di 10volte. La maggior parte delle punizioni (il 74 per cento) fuapplicata a defezionisti (ossia a persone che pagaronomeno della media dei contributi) e fu inflitta dacooperatori (ossia da persone che pagarono più dellamedia dei contributi). Con l’aiuto della punizione, lacooperazione fra i giocatori funzionò in modoirreprensibile. Quando la punizione era possibile, più del90 per cento dei partecipanti contribuì con sommemaggiori. Poiché in questa forma di punizione i proventidelle multe andavano allo sperimentatore e non a chiapplicava la punizione, il sistema comportava un costo.Fehr e Gächter dimostrarono che la tendenza adapplicare questa forma di punizione era comunque moltodiffusa. Essa rimase molto diffusa persino nell’ultimoturno del gioco, quando in realtà non aveva più sensocontinuare a punire per incoraggiare la futuracooperazione.

Su questa base, i ricercatori suggerirono che lepersone amino punire e che una punizione costosa fosseun nuovo meccanismo per promuovere la cooperazione.Essi coniarono addirittura l’espressione punizione

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Essi coniarono addirittura l’espressione punizionealtruistica per indicare che l’impulso a punire è presenteanche quando noi non traiamo alcun beneficiodall’azione. L’espressione suggerisce che siamo dispostia punire altri per il bene maggiore e per il beneficio dellasocietà in generale.

Benché io trovi l’esperimento di Fehr e Gächteraffascinante e importante, non sono d’accordo con alcuniaspetti della loro interpretazione. Innanzitutto, unapunizione costosa non è un meccanismo separato perl’evoluzione della cooperazione. Se ti punisco per averedefezionato durante un precedente incontro con me,questo è un caso di reciprocità diretta. Se ti punisco peravere defezionato in giochi con altre persone, è unesempio di reciprocità indiretta. In secondo luogo, lamotivazione delle persone che infliggono una punizionecostosa nella vita reale non è quasi mai altruistica.Danneggiare altri o far loro del male comportaun’escalation del conflitto. Questa punizione è motivatada rabbia, avidità e aggressività. Essa è usataprimariamente per soggiogare gli altri, per sfruttarli, perindebolirli e per liberarsi di loro. L’espressione punizionecostosa, implicando che anche il punitore abbia unprezzo da pagare, sembra più appropriata di punizione

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prezzo da pagare, sembra più appropriata di punizionealtruistica.

Uno sguardo attento ai risultati di questi esperimentirivelò che il payoff medio nel gruppo di punizione erainferiore a quello del gruppo di controllo. La punizionepoteva, in effetti, costringere i partecipanti allacooperazione nel gioco dei beni comuni, ma a un costocosì alto da annullarne i vantaggi. In altri termini, sarebbestato meglio non offrire affatto la possibilità dellapunizione.

Il gioco ebbe anche una variante un po’ artificiosa. Aun giro del gioco dei beni comuni seguiva un giro dellapunizione. I giocatori sapevano con quali sommeavevano contribuito i singoli giocatori al gioco dei benicomuni, ma non sapevano chi li avesse puniti. Perciò sipotevano infliggere punizioni in forma anonima e senzatimore di rappresaglie. L’esperimento era progettato inmodo tale che le punizioni avessero la massima efficaciapossibile. La vita reale è ovviamente molto diversa.Quando compiamo una rappresaglia contro nostri pari,questi sanno chi li sta punendo e noi dobbiamoproteggerci dalle loro ritorsioni.

Quand’è che, nella storia della nostra evoluzione, inostri antenati si erano imbattuti nella situazione peculiare

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nostri antenati si erano imbattuti nella situazione peculiareche osserviamo nel gioco di Fehr e Gätcher, in cuisappiamo esattamente quale contributo abbia datociascuno al gioco del bene pubblico, ma non chi abbiainflitto punizioni nel giro successivo?

Lo psicologo dell’evoluzione John Tooby,dell’Università della California a Santa Barbara,sottolinea che per la massima parte del periodo durante ilquale si è evoluta la mente umana la gente viveva inpiccoli gruppi e incontrava spesso ogni altro membro delgruppo. Nelle società antiche si sapeva quali membri diuna tribù avessero fatto qualcosa a qualcuno. Diconseguenza, per stare in buoni rapporti con altri il cuiaiuto sarebbe potuto tornare utile in futuro, c’era unapressione a cooperare. Persino in un moderno contestoanonimo in cui è possibile un incontro una tantum –diciamo in auto-strada o in città – la maggior parte di noiha la preveggenza di pensare che l’estraneo che ci hatamponato o il ciclista che ci ha urtato facendoci quasicadere potrebbero un giorno ritrovarsi davanti a noi, sulposto di lavoro, a una festa o in una qualsiasi altraoccasione.

I cosiddetti one-shot experiment, che cercano diescludere i fattori della ripetizione e della reputazione,

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escludere i fattori della ripetizione e della reputazione,sono difficili da interpretare, a causa del loro carattereirrealistico. Tutti i nostri istinti, intuizioni e comportamentisono stati plasmati nell’arco delle generazioni dasituazioni in cui ci imbattiamo ripetutamente nelle stessepersone e in cui la reputazione svolge un ruolo. È quindipericoloso tentare di inferire verità universali sulcomportamento umano da questo tipo di esperimenti.Robert Trivers, nel discutere l’esperimento di Fehr eGächter, commentò che i biologi portano un ragno inlaboratorio per studiare che cosa lo induca a tessere lasua tela, ma ciò non significa che pensino che il ragno sisia evoluto per vivere in laboratorio.

Se la punizione è usata tipicamente nel contesto diinterazioni ripetute, in cui le persone sanno chi ha punito echi è stato punito, è difficile trarre conclusioni da unesperimento in cui le punizioni avvengono in modoanonimo. Se vogliamo capire il comportamento umano el’interazione fra cooperazione e punizione, abbiamobisogno di studiare situazioni in cui i giocatori siincontrino ripetutamente. Non ha molto senso studiare ilcomportamento umano al di fuori delle solide cornici diriferimento della reciprocità diretta e indiretta. Tutte leinterazioni cruciali della vita quotidiana avvengono nel

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interazioni cruciali della vita quotidiana avvengono nelcontesto della ripetizione e della reputazione.

I vincitori non puniscono

Prima fu l’età d’oro, età felice, / Che volontaria,senza leggi e senza / Vendicator del giusto, eracultrice / Della candida fè, dell’innocenza. / Nonv’eran pene allor, né in bronzo ultrice / Minaccia sileggea, né la presenza / Il reo temea del giudicantealtera; / Non v’eran colpe, il punitor non v’era.Ovidio, Le metamorfosi1

Un giorno, ad Harvard, ricevetti la visita di una giovanesvedese che voleva essere ammessa come dottoranda edera ansiosa di fare esperimenti di laboratorio. AnnaDreber era nata e cresciuta nel municipio di Stoccolma.Sua madre – una formidabile femminista, politica eattivista – era stata a quel tempo vicesindaco della città.Anna aveva trascorso gli anni della sua formazione nelmunicipio della città, che era stato ispirato dai palazzi delRinascimento, ed era stato costruito negli anni Ventiintorno a due grandi spazi, la piazza Borgargården a est ela Blå Hallen (sala blu) a ovest. Ogni dicembre la buia

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la Blå Hallen (sala blu) a ovest. Ogni dicembre la buianotte svedese era illuminata intensamente da candelieri, eAnna assisteva a tutto lo splendore e l’etichetta checircondavano i banchetti dei Nobel.

Ora eccola qui seduta davanti a me, a suggerirmi cheavrebbe potuto fare un dottorato con me per aggiungerequalche esperimento tratto dalla vita reale al nostroportafoglio di teoria dei giochi evoluzionistica fondatasulla teoria e sul calcolo. Nel giro di poche settimaneAnna aveva scoperto che noi eravamo in grado di usareil Computer Lab della Business School di Harvard per lenostre ricerche sperimentali. Il laboratorio si rivelò unastruttura moderna ricca di schermi e di scatolette azzurreintelligenti, dove gli studenti potevano essere attratti conpiccole somme di denaro a partecipare a giochi diqualsiasi forma, grandezza o formato per esplorare lacooperazione.

Decidemmo di organizzare un esperimento piùequilibrato per valutare l’impatto della punizione.Entrambi eravamo convinti che la maggior parte degliesperimenti fosse stata progettata per valutare gli effettipositivi della punizione; ora invece volevamo fare degliesperimenti nei quali non fossero soppressi gli effettinegativi. A questo scopo dipendevamo ovviamente

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negativi. A questo scopo dipendevamo ovviamentedall’approvazione di un comitato etico. Ci divertìscoprire che nella Business School non potevamo fareesperimenti usando l’inganno: esperimenti del genere sipotevano fare solo nel dipartimento di psicologia. Perfortuna la Business School ci permise almeno di usare lapunizione.

A una festa nella sede del PED – le feste erano eventicomuni prima della crisi finanziaria globale – presentaiAnna a David Rand. I due andarono subito d’accordo, edecisero di lavorare insieme. David veniva da unambiente del tutto diverso. Era cresciuto in mezzo agliaerei. Suo padre, professore di matematica applicata allaCornell University, è un pilota per passione e permise asuo figlio di pilotare molto presto. Per essere un buonpilota si deve avere la mente molto sgombra, e questofatto potrebbe spiegare perché David possegga unaquantità enorme di buon senso. È stato il primo laureatodi Harvard in biologia dei sistemi, sia teorica siasperimentale, e oggi lavora con psicologi, economisti eprofessori di diritto. I suoi talenti non finiscono qui: èanche una one-man rock band e suona benissimo lachitarra. Potete trovare alcuni suoi video su YouTube.

Poiché circostanze straordinarie possono generare uncomportamento straordinario, David, Anna e io

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comportamento straordinario, David, Anna e iodecidemmo di vedere se ripetuti incontri fra giocatoripotessero fare la differenza sull’efficacia di una punizionecostosa. Lavorando con Drew Fudenberg di Harvard,uno fra i principali esperti della teoria dei giochi ineconomia, chiedemmo a 104 studenti di college diprendere parte a una variante del dilemma del prigionieroripetuto per due giocatori. Facemmo giocare a coppie disoggetti partite ripetute con tre scelte. I due giocatoripotevano scegliere fra cooperazione, defezione e unapunizione costosa. Cooperazione significava pagare undollaro perché l’altra persona ne ricevesse tre.Defezione significava togliere un dollaro all’altra persona.Punizione significava pagare un dollaro perché l’altrapersona ne perdesse quattro. La differenza importantefra il nostro esperimento ed esperimenti precedenti eraquesta: noi permettevamo ai nostri soggetti di soddisfareil loro desiderio di vendetta. Se Alice puniva Bob, questiaveva la possibilità di renderle la pariglia nel girosuccessivo.

Controllammo 1230 interazioni fra coppie di giocatori,ognuna delle quali durava da uno a nove giri. Fu una cosaaffascinante da osservare. Nella seconda figuradell’articolo pubblicato su “Nature” che riportava i

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dell’articolo pubblicato su “Nature” che riportava irisultati dell’esperimento2, mostrammo gli effetti dellepunizioni costose. La cosa gratificante era che le personeoneste ottenevano i risultati migliori. I due giocatori checooperarono per quattro round furono classificati allapari al primo posto in termini di payoff. Anche coloroche porsero l’altra guancia fecero bene. Una persona checooperò in due turni consecutivi, pur ricevendo ogni voltain cambio una defezione, continuò a cooperare e alla finesi trovò pur sempre sesta in graduatoria. Il defezionista,nel frattempo, fu convertito alla cooperazione negli ultimitre turni e finì diciannovesimo. Un cooperatore fu cosìirritato da una defezione da reagire infliggendo al suoavversario una punizione. Dopo cinque turni, ildefezionista non aveva più cooperato per reazione allapunizione. I due avversari terminarono rispettivamente alventicinquesimo e al ventiduesimo posto.

Ci fu anche il cooperatore che, trovandosi alle presecon un defezionista, reagì con una punizione. Questocomportamento attivò una rappresaglia da parte deldefezionista, cosa che innescò poi una sequenza, un turnodopo l’altro, di punizioni e contropunizioni. I protagonistidi questo gioco particolare di mutua distruzioneassicurata si classificarono fra il venticinquesimo e il

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assicurata si classificarono fra il venticinquesimo e iltrentesimo posto. In un caso potemmo osservare leconseguenze di attacchi preventivi. Dopo una reciprocacooperazione, una persona punì l’altra e questo fatto asua volta scatenò una reciproca defezione. Il punitore siclassificò ventinovesimo, e il suo avversarioventiquattresimo.

Quel che risultò evidente dallo studio fu la chiaraconnessione fra punizione e cattivi risultati. Le seipersone che ottennero i risultati migliori in assoluto nonusarono mai la punizione. Di contro, coloro che usaronopiù spesso la punizione furono tra quelli che occuparonole ultime posizioni in classifica. I vincitori non puniscono, iperdenti sì. Lo studio dimostrò che i giocatori checonseguirono i payoff peggiori e di conseguenzacominciarono a punire finirono con lo scatenare unareazione a catena di rappresaglie, con risultati distruttiviper tutte le persone coinvolte. Così Henry punisce unadefezione di Sally, la quale mette in atto a sua volta unacontropunizione. Allora Henry si irrita e infligge un’altrapunizione. E così via.

Forse questo risultato fu un colpo di fortuna. Forse inostri vincitori furono semplicemente fortunati, perchéopposti a un avversario cooperativo. Facemmo un’analisi

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opposti a un avversario cooperativo. Facemmo un’analisipiù approfondita, misurando la probabilità che ungiocatore rispondesse alla defezione con una punizione.Coloro che stavano ottenendo buoni risultati noninnescavano alcuna escalation di rappresaglia, ma silimitavano alla defezione, rendendo pan per focaccia. Ilmessaggio era chiaro: i punitori non vincono. Perciò, neicasi in cui si può tenere conto dei risultati ottenuti dallaripetizione, la punizione inflitta da persone che siarrogano il diritto di amministrare direttamente la legge èinefficace.

Un premio è meglio di una punizione

La nostra prima incursione in questo studio ha sollevatointerrogativi sull’opportunità della punizione nellasituazione di ripetuti scontri tra coppie di giocatori. Ma lapartita a due giocatori ripetuta da noi studiata non fu ungioco dei beni comuni, che potrebbe essere concepitocome un dilemma del prigioniero con più di due persone.Perciò i nostri risultati non coincisero facilmente conquelli di studi precedenti, come quelli di Fehr e Gächter,la maggior parte dei quali aveva concluso che lapunizione è più efficace dei premi nel mantenere la

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punizione è più efficace dei premi nel mantenere lacooperazione nei giochi dei beni comuni. Perciòdecidemmo di organizzare i nostri giochi dei beni comuniin collaborazione con Tore Ellingsen, un norvegese chelavora alla Handelshögskolan i Stockholm, la Scuola diEconomia di Stoccolma, ed è uno dei più famosieconomisti contemporanei.

Presero parte a questo nuovo esperimentocomplessivamente 192 persone, divise in gruppi di 4, con16 gruppi di controllo e 32 gruppi sperimentali. Noiseguimmo, in effetti, la ricetta originale di Fehr-Gächter,ma con un ingrediente extra. Permettemmo ripetutiscontri anziché scontri anonimi, cosicché ci fosse lapossibilità di sapere chi puniva e chi era punito.

Organizzammo i nostri esperimenti su tre “trattamenti”e un esperimento di controllo. L’esperimento di controlloera un gioco standard dei beni comuni. Il trattamentonumero uno permetteva la punizione, il numero duepermetteva il premio, e il trattamento numero trepermetteva sia la punizione sia il premio. I costi erano iseguenti: punizione significava che il punitore pagavaqualcosa perché il punito perdesse qualcosa; premiosignificava che si pagava qualcosa perché il premiatoguadagnasse qualcosa. Ogni gruppo aveva una sessione

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guadagnasse qualcosa. Ogni gruppo aveva una sessionedi 50 turni.

Tutti e tre i gruppi di trattamento videro emergere lacooperazione, diversamente dal gruppo di controllo,dove essa si confuse con una tradizionale tragedia deibeni comuni. Ma benché anche la punizione conducessealla cooperazione, era costosa e il payoff totale eraaltrettanto basso che nel gruppo di controllo.

Anche il trattamento con premi manteneva alticontributi nel gioco dei beni comuni ma,significativamente, il payoff totale nella sessione diremunerazione era molto più elevato che nella sessione dicontrollo. Riscontrammo che, quando sono disponibili siala remunerazione sia la punizione, i gruppi vincenti nonusano la punizione, poiché risulta costosa e inefficiente.Le remunerazioni vanno oltre la punizione sia nel recarebeneficio al bene pubblico, sia anche nel costruire lacooperazione, nonostante gli sforzi dei free rider.

Da questo esperimento emergerebbe un’ideasemplice: la tragedia dei beni comuni potrebbe essererisolta collegando i giochi dei beni comuni a quelli coninterazioni mirate. Con ciò intendo dire che, anzichérifiutare la vostra cooperazione, che in un giocotradizionale dei beni comuni opera su tutti i giocatori, voi

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tradizionale dei beni comuni opera su tutti i giocatori, voidovreste rifiutarla solo a coloro che defezionano e,ancora meglio, dovreste premiare coloro che cooperano.

I giocatori che cooperano nel gioco dei beni comuni siprocurano una buona reputazione, che può farne deipartner più attraenti per altri cooperatori nella sfera delleinterazioni private (interazioni uno a uno), esattamentecome una società con buone credenziali ecologichetroverà più facile affermarsi nel mondo degli affari.Questa ricetta per la cooperazione è semplice edefficace. Il nostro articolo apparve sulla rivista “Science”nel 2009, col titolo Positive Interactions PromotePublic Cooperation.

Punizione antisociale

Un altro esperimento che getta dubbi sull’efficienza dellepunizioni costose nel promuovere la cooperazione fucompiuto da Benedikt Herrmann, Christian Thöni eSimon Gächter. Essi studiarono il comportamento dellepersone in 16 città, da Boston e Bonn a Riyadh, Minsk,Nottingham, Seul e altre, realizzando a quel tempo il piùgrande studio interculturale di giochi sperimentali delmondo sviluppato.

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mondo sviluppato.Come in precedenza, organizzarono un gioco dei beni

comuni in cui i partecipanti ricevettero del denaro sottoforma di gettoni, con facoltà di tenerlo per loro stessi o dimetterlo in un fondo comune, che avrebbe fornitointeressi extra da dividere in parti uguali fra tutti igiocatori. Nel corso di 10 turni del gioco, 1120 studentiuniversitari della middle class a Boston e a Copenaghencontribuirono con 18 gettoni ciascuno, mentre gli studentiche parteciparono al gioco ad Atene, a Riyadh e aIstanbul ne giocarono solo 6. I partecipanti più attivi allacooperazione, che fornirono il 90 per cento dei lorogettoni, contribuirono 3,1 volte di più di quelli menodisposti alla cooperazione, i quali giocarono mediamentesolo il 29 per cento dei loro gettoni.

Il comportamento variò vistosamente quando igiocatori ebbero la possibilità di punirsi l’un l’altrotogliendosi reciprocamente dei gettoni. Come avevamostrato il precedente lavoro, alcuni giocatori sirivelarono disposti a privarsi di un gettone del lorodenaro pur di punire coloro che investivano troppo pocoo i tirchi che si limitavano a sfruttare i contributi degli altri.Ma nella versione internazionale del gioco apparveroanche sorprendenti differenze nazionali.

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anche sorprendenti differenze nazionali.Quando, in paesi come gli Stati Uniti, la Svizzera e il

Regno Unito, degli scrocconi furono puniti per avereanteposto i loro interessi egoistici al bene comune,accettarono di buon grado la loro punizione e divenneropiù cooperativi, cosicché nel corso del tempo i guadagnicollettivi dei giocatori aumentarono. In paesi come laGrecia e la Russia, gli scrocconi cercarono invece unavendetta. Poiché però stavano giocando con la stessaorganizzazione dell’esperimento originario di Fehr eGächter, non c’era alcuna possibilità di progettare unavendetta. Se la presero allora in generale con icooperatori. Presumibilmente pensarono che in questomodo avrebbero potuto prevenire la loro prossimapunizione, o forse ragionarono che forse erano proprioquelle le persone che li avevano puniti in un turnoprecedente. Forse gli scrocconi punirono i cooperatoriper lanciare un segnale di dominanza, come per dire:“Questi cooperatori sono cretini, stupidi e deboli per nonessersi tenuti tutto per sé, e noi ora li puniremo perdimostrare loro chi è che comanda”.

Lo studio parve confermare gli stereotipi secondo cui ibritannici avrebbero il senso del fair play, mentre i greciavrebbero sete di vendetta. I giocatori ad Atene e a

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avrebbero sete di vendetta. I giocatori ad Atene e aMascate presentarono il livello più alto di punizionivendicative, di rappresaglie contro chi imponeva lorodeterminati comportamenti, punendo i cooperatori circasei volte di più di quanto facevano gli studenti a Seul,Bonn, Nottingham e altre città. Quanto a Samarra,Minsk, Istanbul e Riyadh, si situarono in mezzo ai dueestremi.

Quel che c’è inoltre di affascinante è che la sete diritorsione e di dominio sembrava seguire misure dellenorme di cooperazione civica e di governo che eranostate tracciate da scienziati sociali in quello che si chiamau n World Democratic Audit , ossia una verificademocratica mondiale. Queste norme coprivanoatteggiamenti generali verso la legge – per esempio se icittadini ritengano o no accettabile evadere le tasse oaggirare i regolamenti – e cercavano di fornire valutazionicorrette di diritti politici, libertà civili, libertà di stampa ecorruzione. In società in cui la cooperazione pubblica èben radicata e la gente ha fiducia nella polizia e nelleistituzioni che si occupano di fare rispettare le leggi, ingenerale si rifugge dalla vendetta.

Nelle società in cui il ruolo della legge è invececonsiderato inefficace – e in cui quindi i crimini

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considerato inefficace – e in cui quindi i criminirimangono spesso impuniti – prospera invece la punizioneinflitta per mezzo di una vendetta antisociale, in cui undefezionista punisce un cooperatore. La cooperazione nerisulta di conseguenza fortemente inibita, per cui c’è unincentivo alla defezione e si ignorano iniziative animate dasenso civico come il riciclaggio, la vigilanza di quartiere,le votazioni, l’attenzione all’ambiente locale, al clima e viadicendo.

Cosa importante, la ricerca rivelò anche che lapunizione non aumenta sempre la cooperazione nellesequenze di turni dei giochi internazionali. In metà circadei gruppi di partecipanti, rimase al livello iniziale, equanto più alto era il livello della punizione antisociale inun gruppo di partecipanti, tanto minore fu la rapiditàdell’aumento della cooperazione. Nella migliore delleipotesi, la punizione altruistica non aiutò le persone acooperare molto. Questo fatto mi sembrava coglierequalcosa del sapore della vita reale.

Il senso della punizione

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di collocarequesta ricerca sulla punizione in un contesto più ampio.

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questa ricerca sulla punizione in un contesto più ampio.Ci sono due tipi fondamentali di punizione. In questocapitolo mi sono concentrato su uno di essi: la punizionea opera di pari, il tipo messo in atto dalla mafia o usato incasi in cui la gente si arroga il diritto di applicare la leggedirettamente. Il secondo tipo di punizione proviene da unlivello di autorità superiore, quello che per esempio sitrova in una gerarchia. Potrebbe essere lo stato chepunisce persone che hanno violato la legge, facendoricorso all’impiccagione, a pene detentive o a iniezioniletali; potrebbero essere i genitori che puniscono i lorofigli a fini educativi; potrebbe essere il proprietario diun’azienda che punisce i suoi operai. Oppure la punizionepotrebbe essere un modo per far rispettare le gerarchie,così che un capitano possa tenere i soldati al loro posto,e via dicendo. Questo è un tipo di punizioneistituzionale. Io sono interessato anche a questo tipo dipunizione, che ha la sua importanza, ma ci sono statipochi studi di teoria dei giochi che hanno gettato luce suquanto si sta facendo in questo campo.

Finora il centro dell’interesse è stato soprattutto sullapunizione a opera di pari, che dobbiamo inquadrare nelcontesto della tragedia dei beni comuni e del dilemma delprigioniero. In un dilemma del prigioniero con due

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prigioniero. In un dilemma del prigioniero con duegiocatori io posso punire un defezionista passando dallacooperazione alla defezione. Ma quando giocano grandigruppi di persone, come avviene nel contesto dellatragedia dei pascoli comuni, se passo alla defezioneposso arrecare danno sia ai cooperatori sia aidefezionisti: faccio danni a tutti, e qui sta il problema.

Non c’è alcun modo di colpire individui specifici ingiochi standard dei beni comuni. Tu puoi dare o non dareil tuo contributo a un bene pubblico. Gli altri giocatorinon hanno però alcuna opportunità di interagiredirettamente con te – né con punizioni né con premi nécon alcun’altra cosa – perché lo sperimentatore prende ildenaro pagato dai giocatori, lo moltiplica per una certacifra, e poi lo ridistribuisce fra i giocatori. Se sei irritato acausa del poco denaro che una persona ha depositatonel fondo comune, l’unica sanzione che puoi usare in ungioco classico dei beni comuni è quella di ridurre il tuocontributo, e di conseguenza di punire nello stesso modoanche ogni altro giocatore.

Il problema dei beni comuni può essere risolto se ognigiocatore può interagire direttamente con ogni altro.Abbiamo visto che uno di questi meccanismi è lapunizione, anche se è assai poco efficiente. Spesso il

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punizione, anche se è assai poco efficiente. Spesso ilprezzo di una punizione costosa supera di gran lunga lemaggiori somme di denaro spese dai cooperatori nelgioco dei beni comuni (persino negli esperimenti chemirano a sopprimere la rappresaglia contro i punitori).Un modo decisamente migliore di risolvere la tragedia deibeni comuni in questi giochi è attraverso interazionipositive fra i giocatori, nell’intento di ricompensare ipartner cooperatori stabilendo con loro interazioniprivate reciprocamente benefiche. I cooperatori pubblicisi fanno allora una reputazione che li rende più attraentiper altri cooperatori. In questo modo la cooperazioneprivata può dare impulso a quella pubblica.

C’è un altro corollario interessante all’idea che unarisposta mirata sia più efficace. Diciamo di avere bisognodi una forza lavoro di 200 tecnici per costruireun’automobile veloce e di lusso. Ognuno di loro svolgeun ruolo essenziale nel processo di produzione, cosicché,per renderli più efficienti, decidiamo di introdurre unaregola secondo la quale l’omissione di un componente,per esempio una vite, è punita con una multa. Io sonosicuro che questa forma di punizione indurrebbe i tecnicia fare molta più attenzione quando installano icomponenti. Sono però sicuro anche che faranno ilminimo necessario per adempiere agli obblighi del loro

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minimo necessario per adempiere agli obblighi del lorocontratto.

Che cosa accadrebbe nel caso in cui si decidesse dipremiare il loro successo, per esempio quando sivendono più automobili? Se si concede ai tecnici unacompartecipazione ai profitti, si scoprirebbe che sonomotivati a fare molto di più che assicurarsi semplicementeche ogni volta sia aggiunto al momento giusto il pezzocorretto. Invece di far fronte semplicemente ai loroobblighi, i tecnici potrebbero sviluppare nuovi processi diproduzione e nuovi regolamenti. Potrebbero riorganizzareil flusso dei pezzi, o trovare modi di aggiungerne ognivolta più di uno. La remunerazione conduce a forme dicooperazione più creative di quelle a cui può condurre lapunizione. La remunerazione non si limita a farci lavorareinsieme in modo più efficace, ma stimola anche lacreatività. La vera madre dell’invenzione è laremunerazione, non la necessità.

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Capitolo 12

Quanti amici sono troppi?

Il mondo è così vuoto se ci figuriamo soltanto monti,fiumi e città, ma sapere che qua e là c’è qualcuno chesente come noi, qualcuno con cui seguitiamo a vivereanche in silenzio, questo fa del globo terrestre ungiardino abitato. Johann Wolfgang Goethe, Il noviziatodi Guglielmo Meister1

Ecco un esperimento sociale affascinante, e al tempostesso mortificante. Scegliete un centinaio di persone acaso a New York e chiedete loro di elencarvi tutti i loroamici, in modo da poterne calcolare il numero medio. Poidomandate a turno ai loro amici quanti amici abbiano.Scoprirete che il numero medio di amici dell’ultimo

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Scoprirete che il numero medio di amici dell’ultimogruppo è più alto. Il sociologo Scott Feld, della PurdueUniversity di West Lafayette, richiamò l’attenzione suquesto apparente paradosso in un articolo da lui intitolatoin modo schietto Why Your Friends Have MoreFriends Than You Do (perché i vostri amici hanno piùamici di voi). Possiamo spiegarci questo fatto curiosorendendoci conto che nella domanda posta c’è unpregiudizio, dal momento che è più probabile che voiconosciate persone popolari e meno probabile checonosciate persone non popolari2. Questo è anche ilmotivo per cui la tua amante ha avuto più amanti di te. Oper cui le persone che frequentano la tua stessa palestratendono a essere più in forma di te, perché tu nonincontri le persone relativamente fuori forma cheraramente si vedono in giro. C’è una morale in questastoria di apparente inadeguatezza sociale. Se vogliamocapire il ruolo della cooperazione nell’evoluzione,dobbiamo capire in che modo esso è diretto e guidatodalla struttura delle popolazioni.

La parola evoluzione è associata a una riflessioneimportante, spesso trascurata. L’evoluzione concerne ilmutamento in una popolazione, non in un singoloindividuo. Quando alcuni individui in età riproduttiva in

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individuo. Quando alcuni individui in età riproduttiva inuna popolazione aumentano la loro fitness, è piùprobabile che sopravvivano e si riproducano. Man manoche le generazioni si susseguono, questi individui meglioadattati diventano più comuni. Evoluzione si riferiscequindi a un mutamento nella composizione genetica diuna popolazione. Un corollario è che la struttura di unapopolazione può modificare la traiettoria dell’evoluzione.

La parola struttura può suonare un po’ astratta seapplicata a una popolazione, ma può avere effettiimportanti. Per illustrare il modo in cui io penso allastruttura di una popolazione, desidero attingere a terminiche sono comuni nella chimica e fisica scolastiche, inparticolare in discussioni di quel che accade agli statidella materia quando ne facciamo salire la temperatura.

Cominciamo da una temperatura relativamente fredda.Molecole o atomi sono bloccati in un solido in cui irapporti nella struttura sono fissi. In uno stato liquido, piùcaldo, si producono fra le molecole associazionitemporanee e fluide. Queste associazioni si sono ormaidissolte quando il materiale viene a trovarsi in uno statogassoso, in cui le molecole sfrecciano e rimbalzano qua elà.Manteniamo queste idee sugli stati della materia in fondo

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Manteniamo queste idee sugli stati della materia in fondoalla nostra mente per descrivere la struttura di unapopolazione. L’idea più familiare di una simile struttura èquella di una popolazione in cui gli individui sianopersone. Ovviamente potrebbero essere uccelli, cellule,batteri o molecole: qualsiasi elemento capace di interagirecon qualsiasi altro in un qualche tipo di comunità, comeun gregge, un corpo, un biofilm batterico o una pizzaprimordiale. Esploriamo ora come pensiamo i vari stati diuna popolazione.

Una popolazione “ben miscelata” è stata presentatanei capitoli precedenti. Pensiamo per esempio a un gas. Isingoli individui si urtano e rimbalzano a caso,esattamente come le singole molecole di un gas si urtanoin modo disordinato. Più esattamente, i matematiciamano dire che in una tale popolazione ogni giocatore hale stesse probabilità di interagire con ogni altro. Primaabbiamo visto che, a meno che i giocatori sianointelligenti (nel qual caso possono fare ricorso allareciprocità diretta e indiretta), in popolazioni benmiscelate i cooperatori perdono sempre nella lotta con idefezionisti.

Esiste una struttura di popolazione che, come unliquido, si trova fra i due estremi gassoso e solido. Mi

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liquido, si trova fra i due estremi gassoso e solido. Mioccuperò di questo stato importante della materiabiologica nel prossimo capitolo, quando esaminerò igiochi su insiemi. All’altro estremo c’è l’equivalente di unsolido. Abbiamo visto un modo per esprimere talipopolazioni, in cui le relazioni fra giocatori sono fisse,quando ci siamo occupati dei giochi spaziali nel Capitolo3. In questi i giocatori sono connessi dalla geografia. Igiocatori che interagiscono sono uno accanto all’altro. Inuna società di cacciatori-raccoglitori, per esempio, ladiffusione dei giocatori potrebbe essere limitata dastrade, fiumi e montagne. Le persone interagiscono convillaggi e insediamenti adiacenti, e via dicendo. Ora icooperatori possono aggregarsi, difendendosi in talmodo contro lo sfruttamento da parte dei defezionisti.Qui, le strategie di cooperazione e defezione possonocoesistere in difficili situazioni di stallo o, più spesso, incicli di espansione e contrazione.

Ovviamente, però, nella società moderna noipossiamo interagire con giocatori di tutto il mondo, grazieal telefono, all’e-mail o a internet. Queste reti sonodisordinate e onnipresenti, dalle miriadi di collegamentifra società multinazionali alle vertiginose connessioni chemettono in comunicazioni tutte le regioni del pianeta

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mettono in comunicazioni tutte le regioni del pianetaattraverso il World Wide Web. Di solito chiamiamo retitutte queste complicate organizzazioni, ma il terminegenerale usato dai matematici per tali strutture (sociali,neurali, di trasporti o di qualsiasi altro genere) è grafi. Gliindividui presenti in un grafo sono chiamati i suoi vertici, onodi. Se due individui si conoscono sono connessi su ungrafo per mezzo di un cosiddetto angolo. In questocapitolo ci occuperemo di giochi su grafi.

Oggi noi siamo incorporati in una rete vasta,complessa, in espansione, formata dalla famiglia, dagliamici, dai colleghi, dai soci in affari e via dicendo. Questigrafi avvolgono il mondo. Vorrei mostrarvi quanto ilnostro mondo sia interconnesso e perché questo fatto siaimportante. Poi costruirò una cornice teorica pergeneralizzare il meccanismo in cui ci siamo imbattuti inprecedenza, nel capitolo sui giochi spaziali, per rivelarecome la cooperazione possa prosperare quandopartecipiamo a giochi su grafi, come le reti sociali, e inclassi molto più ampie di strutture di popolazioni.

Breve storia delle reti

Il grande fascino delle reti sociali risale a vari decenni fa.

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Il grande fascino delle reti sociali risale a vari decenni fa.L’interessante suggerimento che siamo tutti connessil’uno all’altro da una catena di reciproci conoscenti èspesso attribuito allo scrittore e dram-maturgo unghereseFrigyes Karinthy, che menzionò l’idea nel suo raccontoCatene, pubblicato nel 1929. Quando però si passa allostudio scientifico di queste reti, forse la ricerca migliore èquella eseguita dallo psicologo sociale americano StanleyMilgram ad Harvard negli anni Sessanta. In unesperimento Milgram mandò dei pacchetti a 160 personescelte a caso a Omaha, in Nebraska, chiedendo loro dispedirli a un amico o a un conoscente che secondo lorofosse in grado di farli arrivare al destinatario finale, unagente di borsa che viveva a Boston.Sorprendentemente, dati gli oltre 150 milioni di personeche vivevano allora in America, il suo esperimentosuggerì che in media bastavano solo sei persone percollegare una persona con un’altra, dando origine allanozione popolare che noi tutti potremmo essere connessida sei soli gradi di separazione.

La ricerca di Milgram fu criticata per alcune lacune.Essa esercitò tuttavia una grande influenza, non solo inambito scientifico ma culturale in genere. L’idea furipresa nella commedia di John Guare Six Degrees of

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ripresa nella commedia di John Guare Six Degrees ofSeparation e nella versione cinematografica del 1993(Sei gradi di separazione) con l’attore Will Smith. Nel2006 seguì la serie tv “Six Degrees”, la quale raccontavala storia di sei personaggi che «vivono la loro vita senzarendersi conto dell’impatto che hanno uno sull’altro». Ilmio coautore Roger Highfield ha compiuto un paio diesperimenti sulla falsariga di quello di Milgram insieme aRichard Wiseman, dell’Università dello Hertfordshire,per confermare che in effetti quello in cui viviamo è unpiccolo mondo.

In parallelo con tutto questo ci sono stati tentativi diquantificare il grado in cui siamo connessi. Unoscienziato, in particolare, si è dedicato più di ogni altro aquesta ricerca: lo straordinario matematico Paul Erdós.Nato nel 1913 a Budapest, Erdós fu costretto in gioventùa lasciare il suo paese natale a causa del violentoantisemitismo ivi diffuso. Dopo essersi trasferito aManchester nel 1934, lo stesso anno in cui conseguì ildottorato in matematica, cominciò una serie di infinitecollaborazioni con tantissimi altri studiosi, spinto sempreda un potente miscuglio di curiosità, caffè e amfetamine.

Erdós lavorò su una grande varietà di argomenti,producendo nella sua prolifica vita di studioso circa 1500

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articoli. Fra i suoi 500 coautori ci fu Alfred Renyi, che èla fonte dell’eccellente e veridica citazione: «Unmatematico è un macchina per trasformare caffè inteoremi». Nel 1959 essi costruirono modelli delle reti chesi vedono nelle comunicazioni e nelle scienze della vitacollegando i loro nodi con collegamenti situati a caso.Questa ricerca è forse la più rilevante per questocapitolo, ma quando si parla di reti Erdós è noto ancheper l’idea del numero di Erdós , che misura la “distanzacollaborativa” nella scrittura di articoli in comune.

Quanto più basso è il numero, tanto più una persona èvicina a Erdós. Questa è una questione di considerevoleorgoglio fra i matematici. Cominciamo col suo numero,che è zero. I coautori di Erdós hanno il numero 1. Lepersone diverse da Erdós che hanno in comune comecoautori un articolo con una persona che ha il numero diErdós 1 ma che non è lo stesso Erdós hanno il numero diErdós 2. Per lo stesso ragionamento il mio numero diErdós è 3. Se si contano i libri, il numero di Erdós diRoger Highfield è 4. E via di seguito. Se non c’è unacatena di rapporti di copaternità nella produzione di saggie articoli col grande Erdós, si dice che il numero di Erdósdella persona è infinito. Si può fare un esercizio simile perqualsiasi altro individuo. Un esempio ben noto è il gioco

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qualsiasi altro individuo. Un esempio ben noto è il gioco“Sei gradi di Kevin Bacon”. E c’è anche il numerocombinato di Erdós-Bacon per chi voglia valicare ladistanza fra i mondi apparentemente non connessi dellamatematica e di Hollywood.

Sulla scia di tali sforzi per mostrare il grado in cui lepersone interagiscono, nel 1998 è stato pubblicato uninteressante articolo che racchiudeva le osservazioni diMilgram in un quadro teorico, supponendo che noiviviamo in un piccolo mondo. Duncan Watts dellaColumbia University e Steven Strogatz della CornellUniversity proposero un modello matematico di una retein cui ogni punto, o nodo, è strettamente connesso adaltri punti vicini e in cui, inoltre, ci siano alcuneconnessioni su lunga distanza. L’applicazione della teoriadei sei gradi di separazione funziona perché in ognipiccolo gruppo di amici ci sono alcune persone chehanno connessioni molto più ampie, o attraversocontinenti o attraverso divisioni sociali. Si possonotrovare piccoli mondi in situazioni così diverse fra lorocome reti di persone, reti di energia elettrica, il web e ineuroni nel cervello di un verme nematode.

Una proprietà affascinante di tali reti è che sembranospesso essere a invarianza di scala, come sottolineò un

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spesso essere a invarianza di scala, come sottolineò unaltro ungherese, Albert-László Barabási, attualmentedirettore del Center for Network Science allaNortheastern University. Si possono costruire reti diquesto genere aggiungendo nodi, uno per volta. I nuovinodi hanno una probabilità più elevata di connettersi anodi che hanno già molte connessioni, cosicché “i ricchidiventano più ricchi”. Ciò significa che la distribuzione deicollegamenti si approssima a quella che i matematicichiamano legge esponenziale, in cui una piccola frazionedei nodi riceve una quota sproporzionatamente grande dicollegamenti, mentre la grande maggioranza è per lo piùignorata. Queste reti hanno un piccolo numero di nodiche sono significativamente più connessi degli altri.Poiché il numero di collegamenti a un sito internet èstrettamente connesso alla sua popolarità, al traffico e alranking, questi studi implicano che i “vincitori” (siti comeGoogle e Amazon) continueranno a dominare il web,mentre i siti più giovani avranno più difficoltà acompetere. Questo è il concetto ben noto del chi vincepiglia tutto.

Tutto questo ha delle serie e importanti implicazionipratiche. I virus possono espandersi con grandeefficienza in tali reti, come hanno mostrato le ricerche di

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efficienza in tali reti, come hanno mostrato le ricerche diRoy Anderson e di Bob May sulla diffusione di epidemiein popolazioni eterogenee compiute verso la fine deglianni Settanta. Inoltre, queste reti sono robuste quando sitratta di rispondere ad attacchi casuali, i qualioccuperanno con la massima probabilità nodi nonimportanti, che sono la grande maggioranza.Analogamente, danni importanti possono essere causatida cyberterroristi ben informati che attacchino i nodi chehanno il maggior numero di connessioni. E l’eliminazioneanche solo di pochi di questi snodi potrebbe arrestare ilflusso di informazioni e frammentare rapidamente il web.

Il problema del piccolo mondo è un argomentopopolare ancora oggi, con i molti esperimenti chevengono compiuti con le e-mail e i siti di social networkcome Facebook. C’è molto interesse anche per questaidea. Si possono trovare addirittura applicazioni in gradodi calcolare il numero di passi che separano fra loro duemembri scelti a piacere di un sito. Prima però di passareall’argomento di come le reti influiscano sullacooperazione, vorrei fare una piccola digressione sultema del perché questo argomento riguarda tutti noi.

Mantenersi collegati

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Mantenersi collegati

Un uomo dovrebbe tenere le sue amicizie in costanteriparazione. Samuel Johnson

Noi tutti sappiamo di essere influenzati dalle nostre reti diamici e parenti, nel senso che essi possono darci ognisorta di cose, da case e regali di compleanno araffreddori. Quello che però è affascinante è chepossono trasmetterci anche i loro stati d’animo. Unaricerca compiuta da Nicholas Christakis, della HarvardMedical School, e da James Fowler dell’Università dellaCalifornia a San Diego, suggerisce che noi siamoinfluenzabili anche dagli stati d’animo di amici di nostriamici e di amici di amici di nostri amici, persone separateda noi da vari gradi di separazione che non abbiamo maiconosciuto direttamente, ma il cui carattere e i cuicomportamenti possono tramettersi come ondenell’acqua fino a noi attraverso una rete socialeinterposta.

Christakis e Fowler hannno scoperto che le personefelici tendono a raggrupparsi insieme, non perchégravitino verso persone sorridenti, ma a causa del modoin cui la felicità si diffonde nel tempo attraverso il contatto

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in cui la felicità si diffonde nel tempo attraverso il contattosociale, a prescindere dai tipi di amici che hanno lepersone. Quando un individuo diventa felice, un amicoche vive a meno di un chilometro e mezzo da lui hamaggiore probabilità di diventare felice anche lui. E per ivicini della porta accanto la probabilità di rallegrarsi salefino al 34 per cento.

Un’altra sorpresa arriva con le relazioni indirette. Dinuovo, mentre un individuo che diventa felice aumenta lesue probabilità di sorridere, un amico di un amico ha unaprobabilità pari quasi al 10 per cento di vedere la propriafelicità aumentare, e un amico di questo amico avrà unaprobabilita del 6 per cento: una cascata di terzo grado dibuon umore. Così le vostre azioni e i vostri stati d’animo– siano essi tristi o allegri – influiranno sui vostri amici,sugli amici dei vostri amici e sugli amici degli amici deivostri amici. Fowler e Christakis hanno fatto addiritturadegli esperimenti in cui dei perfetti estranei sono statispinti a interagire gli uni con gli altri, e hanno riscontratoche il comportamento altruistico cooperativo, si estendefino al terzo grado.

Oltre il terzo grado la vostra influenza svanisce dallarete come il sorriso del gatto del Cheshire. «Mentre tuttele persone sono separate in media di sei gradi l’una

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le persone sono separate in media di sei gradi l’unadall’altra, la nostra capacità di esercitare un’influenzasugli altri pare estendersi solo su tre gradi», diceChristakis: «È la diffferenza fra struttura e funzione deisocial network». Alison Hill e David Rand hanno cercatodi capire se la felicità e la depressione si comportanocome malattie infettive. Risulta che è proprio così. Hannoscoperto anche una differenza interessante: la felicità èpiù contagiosa della depressione, cosicché la vita mediadi un’”infezione” di felicità è di circa un decennio, dicontro alla durata di cinque anni nel caso dell’infelicità.

La ricerca suggerisce che, studiando gli amici di ungruppo di individui scelto a caso, gli epidemiologipossono isolare persone popolari che sono più connessee quindi più soggette a essere contagiate prima da virus.Questo fatto potrebbe permettere alle autorità sanitarie dirilevare l’inizio della diffusione di un contagio con unanticipo di settimane rispetto ai metodi di sorveglianzacorrenti. Questa è un’altra prova, se ce ne fosse bisogno,del fatto che la struttura stessa della nostra rete socialepuò avere un’influenza profonda sulla nostra vita.

Reti in evoluzione

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Quando cominciai a nutrire interesse per i socialnetwork, volevo trovare un modo per rivelare comeplasmassero l’evoluzione della cooperazione. Inizialmenteil mio interesse era motivato dai miei sforzi per capire inche modo l’architettura dei tessuti nel nostro corpo possarendere meno probabile l’attecchimento del cancro.Questa ricerca, che ho descritto nel Capitolo 7, miindusse a interessarmi alla questione generale del modo incui la struttura di una popolazione influisce sulla dinamicadell’evoluzione. Cominciai a lavorare su questo problemacon Erez Lieberman e Christoph Hauert, unbiomatematico e mago dei computer di Berna che allorafaceva parte del mio gruppo mentre oggi è all’Universitàdella British Columbia. La nostra collaborazione ha datoorigine a un nuovo campo di studio chiamato teoria deigrafi evoluzionistica.

Come mostra la discussione che abbiamo fatto sopraa proposito delle reti casuali e a invarianza di scala, i grafisono possibili in molte forme, figure e grandezze. Ci sonoquelli in cui ogni persona è connessa alla persona a lei piùvicina su una griglia regolare, quelli in cui ogni persona èconnessa a ogni altro giocatore, e ci sono anche tutte lereti con strutture interposte, da strutture ordinate a

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reti con strutture interposte, da strutture ordinate adisordinate e tutti i miscugli delle une e delle altre. Comeabbiamo potuto determinare l’effetto della struttura dellereti sulla cooperazione?

Il nostro lavoro sulla teoria dei grafi evoluzionisticaebbe inizio studiando la cosidetta selezione costante. Inaltri termini, considerammo il seguente semplice scenario:prendiamo una popolazione residente e introduciamo inessa un singolo mutante nuovo, una variante dei geniresidenti. Questo nuovo mutante potrebbe avere unvantaggio selettivo, ossia potrebbe riprodursi piùrapidamente; oppure potrebbe avere uno svantaggioselettivo, ossia potrebbe riprodursi più lentamente;oppure ancora potrebbe avere il medesimo tasso diriproduzione, nel qual caso si parlerà di un mutanteneutro. Volevamo inoltre trovare una risposta a unasemplice domanda: qual è la probabilità che la linea didiscendenza del mutante assuma il dominio dellapopolazione? Questa quantità è nota come probabilitàdi fissazione di un nuovo mutante.

Ci si può porre questa domanda in ogni sorta dicircostanze. Gli individui potrebbero essere cellule.Alcune sono normali (cellule del cosiddetto tiposelvatico) mentre altre sono cellule mutanti che

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selvatico) mentre altre sono cellule mutanti chepotrebbero essere avviate a trasformarsi in cellulecancerose. La medesima domanda potrebbe essereposta anche in un contesto culturale: qual è la probabilitàche, una volta che qualcuno abbia inaugurato una moda,altri la riprendano? Benché la domanda possa sembrarediversa, l’interrogativo di base rimane lo stesso. Qual è laprobabilità che una nuova moda (una moda mutante) –da una canzone a un format tv a una moda – possamoltiplicarsi e imporsi all’intera popolazione?

Questa probabilità può essere facilmente calcolata perl’evoluzione neutra, che si ha quando le cellule residenti eil nuovo tipo di cellula mutante hanno la stessa fitness.Ogni cellula ha allora la stessa probabilità di imporsi ediventare a un certo punto l’antenata dell’interapopolazione. Così, per 10 cellule, c’è una probabilità di1 su IO di affermarsi. Per 100 cellule ce n’è 1 su 100. Evia dicendo. La probabilità di affermarsi di un mutanteneutro è l’inverso della grandezza della popolazione.

Se un mutante ha un vantaggio (o uno svantaggio)selettivo, esiste una formula matematica per descrivere lasua probabilità di fissazione in una popolazione benmescolata. Noi volevamo però capire in che modo lastruttura dei grafi influisse sulla probabilità di fissazione.

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Scoprimmo che molti grafi si comportano esattamentecome una popolazione ben mescolata: in altri termini, nonalterano la probabilità di fissazione di nuovi mutanti. Sinoti che la stessa popolazione è descritta da quello che èchiamato un grafo completo, in cui ogni individuo èconnesso ugualmente a ogni altro.

Nel corso di queste ricerche, però, trovammo ancheamplificatori e soppressori della selezione. Le reti cheagiscono come amplificatori possono aumentare leprobabilità dei mutanti vantaggiosi. Questo fatto accrescela loro capacità di assumere il controllo di unapopolazione. Analogamente, i soppressori riducono leprobabilità di mutanti vantaggiosi. Questi grafi hannoanatomie diverse a seconda del modo in cui guidano laselezione naturale.

Gli amplificatori sono spesso strutture a figura stellata.Il web è un esempio potenziale in cui si trovano snodi diindividui altamente connessi. Questi snodi sono punticaldi dell’evoluzione. Un altro esempio di una rete diamplificatori è quello di un imbuto in cui un nodo èconnesso a tre, e poi ad altri nove e così via finché lastruttura si avvolge intorno al primo nodo. O anche unmeta-imbuto, dove molti imbuti scaturiscono da unsingolo nodo, o superstar, che assomiglia a una

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singolo nodo, o superstar, che assomiglia a unamargherita dai molti petali. Strutture come la superstar eil meta-imbuto sono amplificatori di selezionesupercarichi: garantiscono virtualmente la fissazione diogni mutante vantaggioso. In una tale popolazione unabuona idea non può mai andare perduta.

I soppressori, invece, sono di solito organizzati ingerarchie. Piccole popolazioni a monte che si immettonoin grandi popolazioni a valle operano come soppressoridella selezione. In tali popolazioni c’è una buonaprobabilità che le innovazioni siano ignorate. Questo tipodi rete può essere trovato per esempionell’organizzazione dei tessuti. Come ho descritto inprecedenza nella mia ricerca sulle cellule staminali, sullecripte e sul cancro, nel corpo umano ci sono molti tessuticon una struttura di popolazione che smorza la selezione.Una singola cellula staminale si divide e produce celluledifferenziate, le quali si differenziano ulteriormente fino adare origine a cellule differenziate terminalmente, le qualiinfine muoiono. Tutte le cellule sono la progenie dellacellula staminale, che è però l’unica capace a produrrealtre cellule del suo tipo. In questo modo abbiamosviluppato nel corso dell’evoluzione una struttura ditessuto che permette di combattere il cancro il più a

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tessuto che permette di combattere il cancro il più alungo possibile (nel contesto di una normale vita umana).

Questi amplificatori e soppressori potrebbero averequalche potenziale nella futura progettazione di“macchine evolutive”. Molti campi della scienza hannogià tratto vantaggio da idee evoluzionistiche. Ci sono stativari tentativi di creare modelli dell’evoluzione darwiniana,nei quali vari organismi (frammenti di un codice percomputer) combattono per un spazio (di memoria) e perun’energia (potenza di calcolo) all’interno di una “riservanaturale” all’interno della macchina. Alcuni esperti dicomputer hanno elaborato programmi capaci di evolversie mutare gradualmente al fine di eseguire un compito inmodo efficiente, o di perfezionare le prestazioni di un’ala,di un robot o di qualsiasi altra cosa, senza bisogno di farintervenire un progettista. Uno dei miei postdoc, FengFu, dell’Università di Pechino, sta ampliando i campidella dinamica e della robotica evoluzionistiche. Dato chedi solito in informatica e in robotica si impara da esempitratti dalle scienze biologiche, mi piace pensare che inostri amplificatori e soppressori della selezionepotrebbero trovare applicazioni nel brave new worlddella robotica evoluzionistica e nelle macchinebiochimiche.

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biochimiche.Nel mondo del management, che è sempre alla ricerca

della struttura aziendale più efficiente, possiamochiederci, per esempio, quali reti siano più adatte perpromuovere la diffusione di idee vincenti. Anche qui iselezionatori dell’evoluzione, costruiti intorno a stelle o aimbuti, potenzieranno la diffusione di quelle idee vincenti,frutto della mente di un individuo per assicurare chefluiscano in modo efficiente all’interno dell’azienda.

Giochi di reti

Se consideriamo la nostra esistenza e i nostri sforzi,rileviamo subito che tutte le nostre azioni e i nostridesideri sono legati all’esistenza degli altri uomini.Albert Einstein, Come io vedo il mondo3

Finora abbiamo visto l’effetto delle reti (grafi) in situazioniin cui gli individui hanno una fitness costante. Proviamo avedere ora in che modo le reti influiscano sull’esito deigiochi evoluzionistici. L’idea di base è simile a quella deigiochi spaziali: gli individui interagiscono con i loro vicinisu una rete e accumulano un payoff. Quanto maggiore èil payoff di un individuo, tante più probabilità ci sono che

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il payoff di un individuo, tante più probabilità ci sono cheegli si riproduca o che altri ne imitino la strategia. Tuttoquesto sembra semplice, ma il calcolo dei giochi sui grafisi è rivelato insolitamente difficile.

Durante la ricerca invitai a unirsi al nostro progetto diricerca ad Harvard Hisashi Ohtsuki, che era a queltempo un ricercatore postdoc. I miei incontri con Hisashiseguivano sempre lo stesso copione, allo stesso tempostraordinario e rassicurante. Un giorno discutevo unproblema con lui. Il giorno dopo tornava e mi diceva:«Martin, ho dei risultati preliminari». A volte questirisultati preliminari erano molte pagine coperte di densicalcoli, in scrittura minuta e nitida. Anche se erano calcolifatti a matita, ero sempre colpito dal fatto che non cifossero mai correzioni.

Pensando a una scena del film su Mozart Amadeus,gli domandavo: «Sono originali?», al che lui rispondevasempre: «Sì, originali!». Continuavo: «Sei sicuro di questirisultati?». Ed egli mi dava come sempre la stessarisposta modesta: «No, no. Sono solo risultatipreliminari». Poi il terzo giorno di solito tornava ancora emi diceva: «Martin, ho i risultati finali». Questa frasesignificava semplicemente che aveva controllato i suoicalcoli e, come al solito, non vi aveva trovato errori.

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calcoli e, come al solito, non vi aveva trovato errori.Quando però si trattava di risolvere giochi sui grafi, il

dottor Ohtsuki (come mi piaceva chiamare il miobrilllante amico) non tornava il giorno seguente.Finalmente si era imbattuto in una vera sfida: era alleprese con un problema che non riusciva a risolvere cosìsu due piedi. Per il problema dei giochi sui grafi avevabisogno di attingere a una grande varietà di tecnichematematiche. Ci sarebbero volute molte settimane.Considerati gli altissimi standard di Ohtsuki, era una cosasenza precedenti.

Nel frattempo Christoph Hauert affrontò il problemausando il suo computer superveloce per simulare quelche accade su vari tipi di grafo, rivelando una tendenzamolto interessante. Cristoph e io concentrammo la nostraattenzione sugli enunciati digitali del suo amico binario.Usammo il computer per registrare l’evoluzione dellacooperazione in una varietà di strutture. Fra questec’erano cicli, reticoli regolari, grafi aleatori del tipostudiato dal grande Erdós, grafi regolari aleatori e reti ainvarianza di scala.

Consideriamo per esempio un ciclo. Qui ogniindividuo nel grafo ha due vicini, come nel caso di unreticolo regolare (pensiamo a una scacchiera), cosa che

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reticolo regolare (pensiamo a una scacchiera), cosa checi riporta alla ricerca cho ho già descritto nel Capitolo 3.Quando si tratta di creare un grafo aleatorio, come fecein origine Erdós, si deve prendere un certo numero diindividui, e poi li si deve connettere, due a due, con unadata probabilità fissa. Anche un grafo regolare aleatorio,d’altra parte, è una struttura generata a caso, nella qualeperò ci si è presi cura di assicurare che ogni individuoabbia esattamente lo stesso numero di vicini (si tratta diun procedimento un po’ artificioso che però puòsemplificare i calcoli). Infine, c’è la rete a invarianza discala che ho descritto in precedenza, che tende ad averequalche individuo con molte connessioni e molti individuicon solo una o due connessioni.

Quando si praticano giochi evoluzionistici inpopolazioni strutturate, è importante specificare la regoladi aggiornamento, cioè la regola che determina come gliindividui cambino le loro strategie. Regole diaggiornamento diverse possono generare esitievoluzionistici molto diversi. Nei nostri esperimentiabbiamo usato la regola seguente. Si sceglie a caso unindividuo perché “impari” dai suoi vicini. Dopo averliosservati tutti, cerca di imitare una delle loro strategie,con una probabilità che è proporzionale al loro payoff.

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con una probabilità che è proporzionale al loro payoff.In altri termini, se uno dei suoi vicini ha un payoff moltosuperiore agli altri, ci sono buone probabilità che egli imitila sua strategia.

In un regno matematico governato da questa regola diaggiornamento, possiamo studiare l’evoluzione deicooperatori nel loro confronto con i defezionisti. Icooperatori pagano un costo c perché ogni vicino ricevaun beneficio b. I defezionisti, d’altro canto, non paganoalcun costo e non distribuiscono alcun beneficio. Nelcorso di molti turni del gioco dell’evoluzione, si puòstudiare l’abbondanza di cooperatori e di defezionisti.Variando il rapporto fra beneficio e costo – b/c –abbiamo scoperto che al crescere del rapporto icooperatori aumentarono. C’era un rapporto criticobeneficio/costo in corrispondenza del quale i cooperatorierano esattamente pari ai defezionisti. Se il rapportoscendeva sotto questo valore critico, vincevano idefezionisti, se saliva al di sopra risultavano vincenti icooperatori.

Fra la cooperazione e il tipo di struttura di una retec’era una connessione semplice. Nel complesso, se ogniindividuo aveva meno vicini, il gioco era più facile per icooperatori. Il numero medio dei vicini è chiamato grado

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cooperatori. Il numero medio dei vicini è chiamato gradodel grafo, k. Per esempio, un ciclo ha un grado due,poiché ogni individuo ha due vicini. Quel che ci sorpresefu che le simulazioni del computer sembravano suggerireche su tutte le reti di computer dominasse la seguentesemplice regola: se il rapporto b/c è maggiore del gradodel grafo, i cooperatori saranno più abbondanti deidefezionisti. Fummo sorpresi ed entusiasmati dal fattoche potesse valere una regola così elegante.

Chiedemmo a Hisashi se poteva usare questa ipotesi,fondata su simulazioni numeriche, e provare a ricavareuna qualche dimostrazione matematica. Rispetto alla suamedia gli ci volle parecchio tempo, ma alla fine ci riuscì:aveva donato alla nostra ipotesi una prova che laconfermava. Non stavo più nella pelle per la gioia: erasorprendente che una regola così semplice (se b/c > k,allora i cooperatori superano in numero i defezionisti)potesse essere vera e, cosa altrettanto notevole, che nonfosse mai stata osservata prima.

Come ho menzionato all’inizio di questo capitolo, idefezionisti battono sempre i cooperatori quando siaffrontano in singoli scontri in una popolazione benmescolata. Su un grafo, però, la cooperazione puòprosperare quando i cooperatori si accalcano insieme a

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prosperare quando i cooperatori si accalcano insieme aformare gruppi. Dalla regola di Hisashi, possiamo vedereche è più facile formare un gruppo se ogni individuo èconnesso solo a pochi altri. Il grado del grafo, k, ci diceche quanto minore è il numero dei vicini, tanto minore è ilrapporto benefici/costi che si richiede perché possaprosperare la cooperazione.

Ancora una volta, la regola dell’aggiornamento èmolto importante in quanto specifica in che modo igiocatori imparino l’uno dall’altro. Ci sono molte diverseregole di aggiornamento plausibili e risulta che ognistruttura di popolazione data può sostenere l’evoluzionedella cooperazione per certe regole di aggiornamento manon per altre. La cooperazione può emergere se la regoladi aggiornamento è estroversa e dice: “Quale dei mieiamici sta comportandosi bene? È un cooperatore o undefezionista?”. Se è un cooperatore, allora coopera conlui. La cooperazione, però, non può funzionare se laregola di aggiornamento è introversa e dice: “Miconfronto con un amico; se sto facendo meglio rimangonella mia categoria; se il mio amico sta facendo meglio dime, adotto la sua strategia”.

La ragione di questa differenza si chiarisce conl’esempio che ho usato all’inizio del capitolo. Usiamo una

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l’esempio che ho usato all’inizio del capitolo. Usiamo unastrategia di aggiornamento estroversa. Voglio impararedai miei amici quale di loro sembra più alla moda, intermine di indumenti o della musica che ama ascoltare.Guardo quello che piace a loro, poi compro gli stessiabiti e scarico le stesse canzoni. Questo comportamentoporta alla cooperazione. Ora usiamo una regola miope eincentrata su me stesso. Che cosa mi ha fruttato tantisuccessi finora? La scelta di questi particolari indumenti ecanzoni. Decido di adottare questa strategia, qualunquecosa possa succedere. Una conseguenza inevitabile diquesta regola di aggiornamento è che io eroderò lacooperazione nella mia rete.

In termini generali, questa ricerca ha sollevato l’ideaaffascinante che certe strutture della rete socialepromuovano un comportamento cooperativo meglio dialtre, in particolare se la connettività fra i giocatori èbassa. Possiamo vederlo facilmente nella vita reale.Lavorando in quattro su giochi con grafi, i nostri motivierano strettamente interconnessi. Se fossimo stati inquaranta, lo sforzo complessivo sarebbe stato più difficileda gestire e avrebbe mancato di spontaneità.

È possibile inoltre osservare come anche nelle aziendesia usato questo tipo di analisi per mettere in piedi gruppidi lavoro efficienti, basandosi su precedenti ricerche; uno

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di lavoro efficienti, basandosi su precedenti ricerche; unostudio per esempio aiutò a stabilire l’equilibrio ideale tranovizi e veterani. Oggi è possibile progettare una strutturaottimale all’interno di un’azienda, una struttura chepromuova la cooperazione.

Esempi di giochi su grafi abbondano nella vitaquotidiana. Anche se conosciamo molte persone,abbiamo solo pochi amici stretti, gli unici di cui ci fidiamoabbastanza per impegnarci con loro in un dilemmacooperativo (per esempio condividere una villa in unavacanza, o scrivere un libro a più mani). Questa rete diamici ha una propensione a promuovere la cooperazioneanche in assenza delle strategie condizionali dellareciprocità diretta e indiretta. Quando però gli effetti dellareciprocità siano utilizzati insieme a quello di strutturecome quelle che uniscono alcuni stretti amici, si manifestaun effetto sinergistico che va molto oltre quello chegiocatori intelligenti possono conseguire in unapopolazione ben mescolata.Nello stesso modo, la regola “se b/c > k, allora icooperatori superano in numero i defezionisti” mostrache, quanti meno amici avete, tanto più il vostro destinosarà legato al loro. I moschettieri erano tre, non trenta.C’erano i magnifici sette, non settanta. Trovo

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C’erano i magnifici sette, non settanta. Trovorassicurante che possiamo stabilire una connessione fra ilmondo arcano della matematica e un problema tantoumano e reale come l’amicizia. Ed è ancora piùrassicurante che la matematica possa dire qualcosa dipreciso sulla cooperazione umana che corrobori ciò chesappiamo dall’esperienza comune. Man mano che siprocede, è sempre più probabile che l’aiuto venga dacoloro che vi sono più vicini.

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Capitolo 13

Gioco, partita e incontro

Quel che importa non è che cosa sai ma chi conosci.Proverbio

Una volta Groucho Marx spedì il seguente telegramma alFriars Club di Beverly Hills: «Vi prego di accettare le miedimissioni. Non voglio infatti appartenere a un qualsiasiclub disposto ad accettarmi come membro». In realtà noitutti apparteniamo a un qualche club, anche Groucho. Lasocietà è una sorta di vasto arazzo multidimensionale diclub in continua espansione: non devono necessariamentedipendere da formalità, come portare la cravatta giusta.Possono essere gruppi di amici, o confraternite, osemplicemente insiemi di persone con interessi simili.

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semplicemente insiemi di persone con interessi simili.L’appartenenza a una stessa organizzazione diventa unabuona ragione per la nascita di un’amicizia fra duepersone e per la formazione di un legame fra le lororispettive reti sociali.

Forse le origini di questo nuovo legame affondano nelpassato, nell’appartenenza a un club. Può darsi che visiate già imbattuti in passato in quella persona, all’asilo, ascuola o all’università. Forse avete condivisoun’esperienza formativa. Potete sentirvi legati piùstrettamente a persone che, come voi, hanno vissuto untrionfo nella stessa squadra sportiva o hanno tifato allestesse finali. Potete essere sopravvissuti a una provaterribile, come una grave malattia o un incidenteautomobilistico o un bombardamento.

O forse il legame fra voi risiede nel presente. Forsesiete tifosi della stessa squadra di cricket. Forse amate ilsapore piccante del curry in salsa vindaloo, oppurecondividete lo stesso ambiente, fate lo stesso tipo dilavoro. O siete molto ricchi. Come domandò una volta,molto tempo fa, un commediografo austriaco povero:«Perché i milionari invitano a pranzo solo altri milionari?».

Per noi è più facile essere amici di qualcuno cheappartiene alla nostra stessa conventicola, come quando

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appartiene alla nostra stessa conventicola, come quandosi studia nello stesso college, si è tifosi della stessasquadra di baseball, si mandano i figli alla stessa scuola, evia dicendo. Se fate la conoscenza di un’altra personache appartiene ad alcuni degli stessi insiemi (tifosa deiBoston Red Socks, appassionata di heavy metal e diinstallazioni di arte contemporanea), ci sono probabilitàche voi pensiate già di conoscervi in qualche misura.Trovare quanto si può avere in comune con un’altrapersona è una delle prime emozioni che si provanoquando ci si fa un amico o un’amica o ci si innamora. E cisono circostanze in cui, anche quando non si ha molto incomune con un’altra persona, la si cerca e si fa qualsiasicosa per aggregarsi al suo particolare gruppo diappartenenza: si cambia la propria pettinatura, si cambiasquadra di calcio o si adotta qualsiasi cosa si armonizzimeglio con la sua cerchia. A noi tutti, in fondo, piacefrequentare gente cool. Noi tutti desideriamoardentemente essere alla moda. Tutti vogliamo far partedel gruppo dei migliori.

A causa della totale mutevolezza dei nostri gusti e deinostri rapporti di fedeltà, le nostre reti di contatti sonocomplesse e in costante divenire. Un legame nella nostrarete sociale può scindersi quando lasciamo

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rete sociale può scindersi quando lasciamoun’associazione, un posto di lavoro, una sinagoga o unastrada. O quando decidiamo di fare il tifo per un’altrasquadra di calcio. O quando un amico perde tutto il suodenaro ed è costretto a vendere tutto e a trasferirsi in unquartiere più economico. O quando il nostro partnerincontra qualcuno che giudica più spiritoso o più attraentedi noi.

In che modo l’essere membri di determinati gruppi – edella miriade di reti sociali di cui fanno parte – puòincidere sulla cooperazione? Ovviamente ha un senso ilfatto che, quando delle persone si incontrano in varigruppi sociali, hanno più opportunità di interagire. Ma inche misura io comincerò a interagire di più? Mi sarà utileaderire a vari gruppi, dal momento che in questo casospenderò meno tempo in ognuno di essi? Sarà utilel’adesione a gruppi più ristretti, dal momento che le lorodimensioni dovrebbero facilitarmi l’incontro con unmaggior numero di persone?

Come sempre, volevo osservare questo problemafondamentale attraverso la lente del pensieroevoluzionistico, in quella che è divenuta la teoria degliinsiemi evoluzionistica. Il principale interrogativo è stato:come possiamo capire la dinamica dell’evoluzione in

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popolazioni che sono strutturate intorno a insiemi?Mentre la precedente ricerca sui grafi supponeva una

struttura di popolazione statica, la teoria degli insiemievoluzionistica aveva il potere di catturare gli effetti difluidità e di mutamento che si verificano quando, peresempio, le persone passano da un insieme all’altro.Questa situazione poteva offrire nuove importantiintuizioni.

Una nuova alba

Nessun uomo è un’isola… John Donne1

La prima risposta a queste domande venne da CorinaTarnita, una geniale matematica con un genuino interessea capire il mondo in cui viviamo. Corina è la sfida viventeall’ingiusto stereotipo che vuole i matematici strambi egoffi, ma conferma che i migliori sono i più giovani edentusiasti. La Tarnita iniziò la sua carriera comematematica pura, studiando profonde teorie edelaborando intuizioni matematiche nuove e importanti peril loro interesse intrinseco e per la loro bellezza estetica,piuttosto che per le loro applicazioni pratiche. La sua

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ricerca sugli insiemi ha unito il mondo platonico dellamatematica e la struttura stessa della società umana.

Cresciuta nella città di Craiova, nella Romaniasudoccidentale, Corina fu valutata e messa in discussionefin dall’infanzia. Sua madre, professoressa di fisica escienze dei materiali, le sottopose un enigma dopo l’altroa partire dai tre anni di età. «Era tutto sulla matematica»,ricorda Corina.

Bambina prodigio, partecipò a partire dai dodici annidi età alle Olimpiadi nazionali della matematica. Lamaggior parte dei concorrenti le trovava terrificanti, maper lei erano divertenti. Vinse per tre anni consecutivi lagara nazionale, dove le (m)atlete gareggiavano in unospietato torneo a eliminazione. A diciotto anni CorinaTarnita scrisse il suo primo libro di matematica perpreparare le successive generazioni di brillanti studentiall’estenuante rigore intellettuale della competizione.

Lo stesso anno fu ammessa al corso di matematica diHarvard, un risultato già di per sé di grandissimaimportanza. Il dipartimento di matematica di Harvard èuno dei migliori al mondo, frequentato da alcune dellementi matematiche più brillanti del mondo. Uno di loro,Shing-Tung Yau, sarebbe stato fra i lettori della sua tesidi laurea. Cresciuto in povertà nella periferia di Hong

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di laurea. Cresciuto in povertà nella periferia di HongKong, fu poi premiato con la medaglia Fields(l’equivalente del premio Nobel per la matematica).Divenne l’”imperatore della matematica” in Cina el’inventore delle strutture matematiche note come varietàdi CalabiYau che compaiono nella teoria delle stringhe.Una misura dell’atmosfera esaltante e stimolante che sirespira al dipartimento di matematica di Harvard è datadal fatto che è governato da alcune strane regole. Glistudenti sono sempre incoraggiati a compiere i loro studialtrove. Analogamente, gli assistenti non possono essereelevati subito al rango di professori ordinari. Anche lorodevono trascorrere un periodo “in esilio”. Il fine ultimo èsempre quello di assicurare che nelle arterie deldipartimento sia pompato in continuazione sangueintellettuale fresco, e quindi un flusso costante di nuoveidee.

Quando Corina concluse gli studi universitari, divennel’eccezione alla regola. Aveva lavorato alla sua tesi dilaurea sotto la supervisione di Joe Harris, un grandegeometra algebrista, che si adoperò per farla restare e lainvitò a unirsi al suo gruppo. Corina cominciò a lavorarenel campo di Harris, che, come suggerisce la suaspecializzazione, combina tecniche di algebra astratta con

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specializzazione, combina tecniche di algebra astratta conargomenti di geometria. Per fare progressi erano richiestisolo carta, matita e un bidone per la carta straccia, oltrea una mente brillante. Come per molte aree dellamatematica, anche con questa occorreva un grandesforzo già solo per familiarizzarci.

Una strana svolta del destino indirizzò Corina sulla miastrada. Era andata nella biblioteca di matematica e avevacominciato a guardare sugli scaffali, imbattendosi in unacopia del mio Evolutionary Dynamics2. Cominciò asfogliarlo e fu molto incuriosita da quello che leggeva.Corina si era avvicinata alla biologia evoluzionistica graziealle avvincenti lezioni di Steven Pinker, ma fu sorpresanello scoprire che io avevo abbozzato ideeevoluzionistiche in forma matematica. Quando ciincontrammo la prima volta mi resi conto che aveva unamente matematica ed era al tempo stesso affascinatadalla biologia. Una combinazione rara.

Decise di scendere dalla torre d’avorio dellamatematica pura per addentrarsi nel sottobosco buio eaggrovigliato della biologia. Per cominciare, le suggerii diparlare con altri del mio gruppo per imparare alcune delletecniche che usavamo. Come ogni altra tribù del mondodella scienza, anche noi avevamo i nostri particolari

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della scienza, anche noi avevamo i nostri particolaricostumi, rituali e tecniche. Per tre ore Corina fecedomande a Hisashi Ohtsuki. Hisashi aveva la capacità diesprimere idee complesse con la precisione del laser, e fudeliziato di poterle insegnare qualcosa; tuttavia le chiesedi tornare il giorno dopo, per un’altra lunga lezione.Hisashi desiderava che imparasse tutto quello che sapevalui. Corina trascorse molte ore anche con Tibor Antal, ilnostro mago ungherese della fisica.

Ero lusingato dal suo instancabile desiderio diassorbire qualsiasi cosa importante prima di affrontare ilsuo primo problema. Il suo approccio mi colpì in quantostrategia tipicamente femminile. L’arroganza “maschile”poteva chiedere di risolvere prima il problema e di porsiin seguito le domande. La buona notizia fu che, dopointense ore di discussione con i membri del mio gruppo,Corina decise di avere trovato la sua vocazione. Rifiutòuna buona offerta per andare a lavorare presso un fondospeculativo a New York, e mi disse che voleva unirsi almio team. Il dado era tratto.

Corina arrivò al momento giusto. Voleva affrontare ungrande problema e io avevo proprio quello giusto per lei.Qualche settimana prima ero stato galvanizzato daun’idea che mi era venuta in mente nella forma di

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un’idea che mi era venuta in mente nella forma diun’immagine astratta: alcune curve ovali che siintersecavano, con dei punti disseminati intorno ad esse.Mi resi conto che in questa immagine poteva esserci unmodo del tutto nuovo di riflettere sulla struttura dellepopolazioni e sulla loro evoluzione.

Era un modo nuovo per costruire modelli dipopolazioni che sembravano adatti a descrivere leinterazioni tra fluidi che si creano quando un organismoha rapporti con molti altri. Sembrava un approccioperfetto per il particolare lavoro di esaminare societàanimali, come l’ordine gerarchico nelle società dellescimmie antropomorfe e nella società umana, dove tutti i7 miliardi di individui appartengono a un insieme o a unaltro. Decisi di chiamare questo nuovo approccio teoriadegli insiemi evoluzionistica.

C’era però un problema. Dopo qualche giornodimenticai i dettagli esatti del modo in cui avevo deciso diaffrontare la questione. Avevo un ricordo vividodell’ondata di felicità che si era accompagnata alla miascoperta, ma non della ragione sottostante. Sfogliainervosamente il mio taccuino e mi resi conto che, suquesto particolare argomento, non avevo annotatoassolutamente nulla. Ero davvero preoccupato di avere

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assolutamente nulla. Ero davvero preoccupato di avereperso quella piccola scintilla di creatività (così comemolte altre). Decisi di non riflettere su nient’altro finchénon avessi ritrovato l’idea. Mi sedetti e, con grandi sforzi,riuscii a riportare a galla i particolari dalle profondità dellamia memoria. Era l’abbozzo della teoria degli insiemievoluzionistica. Questo campo si sviluppò a partire dauna semplice domanda: come possiamo studiare ladinamica evoluzionistica se i membri di una popolazioneappartengono a insiemi diversi?

È vero, noi tutti apparteniamo a club, insiemi e gruppidi un qualche tipo. In Gran Bretagna, per esempio, ungiornalista potrebbe lavorare per il “Daily Telegraph”,per il “Times” o per “The Independent”. La realtà, però,è ancora più complessa. Un giornalista potrebbe scrivereper il “Telegraph” e appartenere a un gruppo di personeche hanno scritto libri di scienze. Oppure a un gruppo dipersone che abitano nella mia stessa via. O a un insiemedi persone che vanno pazze per la gelatina di lamponi, oche detestano la marmellata di agrumi con i pezzi.Ognuno appartiene a più di un insieme, dal luogo in cuilavora alla palestra in cui va a fare sport, e questo fattocomplica il modo in cui le persone interagiscono fra loroe le decisioni che prendono circa il loro gruppo di

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e le decisioni che prendono circa il loro gruppo diappartenenza.

La struttura della società umana può essere descrittaattraverso l’appartenenza a insiemi. È più probabile checi vediamo e interagiamo con persone che appartengonoai nostri insiemi; se condividiamo vari insiemi con unapersona, è ancora più probabile che interagiamo conquella persona ed è ancora più probabile checondividiamo interessi comuni. Questo deve essere unterreno fertile quando si tratta di capire come la gente siincontra e perché coopera.

In che modo la riflessione sull’appartenenza a insiemipuò influire su incontri successivi fra persone chepartecipano a giochi come il dilemma del prigioniero? Igiocatori interagiscono con altri che condividono gli stessiinsiemi, e perché il gioco sia realistico l’appartenenza aquesti insiemi deve essere fluida, ossia i loro membridevono variare e cambiare come accade nella vita reale.Così, se decideste di cambiare fede calcistica e dicominciare a fare il tifo per un’altra squadra, potrestescoprire che il vostro insieme di compagni di tifo ècambiato in conformità, includendo più sostenitori dellanuova squadra. Allo stesso modo, se vi iscriveste a unnuovo circolo del tennis o cambiaste lavoro,

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nuovo circolo del tennis o cambiaste lavoro,comincereste a interagire con altre persone.

La teoria dei grafi evoluzionistica, di cui ci siamooccupati nel Capitolo 12, si occupa di un’istantanea diuna rete in una popolazione. In quel capitolo abbiamostudiato come, data una struttura di popolazione, questainfluisca sull’esito dell’evoluzione. Lo stesso vale per igiochi spaziali in cui ci siamo imbattuti nel Capitolo 3.Nella nuova teoria i membri che formano un insiemeimplicano in qualsiasi momento di tempo dato una rete.Questa rete, però, cambia man mano che le personecambiano le loro lealtà di appartenenza e si spostano daun insieme a un altro. I grafi sono solidi; al contrario lateoria degli insiemi evoluzionistica è fluida, proprio come irapporti umani, che, con tutte le loro manie e debolezze,sono soggetti al flusso e riflusso di molte influenze.

Una delle influenze più forti è l’aspirazione a impararedalle persone che hanno successo. Quando vogliamoimitare ciò che fanno, ci vestiamo come loro e cerchiamodi frequentare il loro gruppo. Non è difficile trovareesempi: se altri ricercatori giudicavano le ricerche e ilpensiero di Corina innovativi e originali, potevanodesiderare di cominciare a lavorare anche loro sullostesso argomento, e forse anche di unirsi al nostro

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stesso argomento, e forse anche di unirsi al nostrogruppo. L’idea più importante è che il concetto deigiochi su insiemi porta in modo del tutto naturale a grafidinamici, mutevoli. Se volessimo catturare tutto questonel linguaggio della matematica, dovremmo registrare inmodo dettagliato in un grafico come le interazionicrescano e calino nel tempo, come le alleanze sianocreate e infine si sgretolino.

C’era un altro vantaggio insito nel considerare lepopolazioni in questo modo. Mentre le reti catturanoqualche aspetto delle nostre relazioni, gli insiemi necatturano molti di più. La cosa è facile da capire: quandosono collegato a due persone comprese in una data retesociale, non so necessariamente se esse sono anchecollegate fra loro; se però mi trovo nello stesso insiemecon altre due persone, so – come anche loro sanno – cheapparteniamo tutti e tre allo stesso insieme.L’appartenenza a un insieme rende pubblici gli interessicomuni, come gli elenchi degli sponsor di una galleriad’arte, o gli hash tag usati su Twitter.

La rappresentazione su grafici dell’evoluzione degliinsiemi a cui apparteniamo ci servì a esercitare una fortepresa su una giovane matematica come Corina, i cuiinteressi professionali erano divisi fra argomenti così

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interessi professionali erano divisi fra argomenti cosìdiversi fra loro come geometria algebrica, teoria deinumeri, informatica teorica, psicologia cognitiva edeconomia comportamentale, e i cui interessi personaliandavano dalle macchine veloci alla musica alla buonaconversazione. Corina pensava che questo problemal’avrebbe aiutata ad applicare le sue capacitàmatematiche alla comprensione del mondo, vivo edisordinato. Alla ricerca di una sfida, Corina si preparòper dare l’assalto a questo imponente problema.

Pur essendo abituata a usare carta e matita, decise diservirsi di un software matematico, in modo da poterlavorare più rapidamente e condividere più facilmente lesue idee. Le occorsero solo alcuni giorni perfamiliarizzare con il linguaggio di programmazione.Seguirono poi altre discussioni prima che si mettesse allavoro. Tibor, in particolare, ebbe un ruolo chiavenell’aiutare Corina a preparare il suo primo attacco.Dopo altre riflessioni e decisioni, e ulteriori discussioni,Corina dichiarò che a suo giudizio il problema potevaessere risolto analiticamente. Io ero abbastanza scettico,ma mi colpì constatare il fatto che l’inesperienza ha ungrande beneficio: rende coraggiosi (o temerari, a secondadell’esito).

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dell’esito).Dopo qualche settimana non erano stati ottenuti

risultati chiari. Corina incontrò una difficoltà dopo l’altra.Di tanto in tanto sembrava fare grandi progressi ma poi,una volta raggiunta una vetta, risultava che subito dopoce n’era un’altra, ancora più alta. In matematica unasituazione del genere preannuncia spesso la fine di unaparticolare linea intellettuale di sviluppo, un vicolo cieco eun ritorno al campo base infreddoliti, demoralizzati edelusi: si affacciano i dubbi. Io cominciai a preoccuparmi.

A un certo punto sembrava che la prospettiva di unsignificativo progresso stesse svanendo totalmente. Unodei più accaniti e strenui sostenitori di Corina era stato ilgrande Hisashi, che decise però di lasciare il nostrogruppo per tornarsene in Giappone con la moglie Akiko.L’abbandono di Hisashi fu una grave perdita per tutti noi:la sua capacità di analisi e la sua chiarezza di pensieroerano impareggiabili. Era il nostro sherpa Tenzing3. Oraavevamo bisogno di un’altra guida per quella scalata.Quando Corina si trovò temporaneamente invischiata giàsulle colline pedemontane del suo immenso calcolo,Tibor Antal raccolse il testimone di Hisashi per aiutarla araggiungere la vetta più vicina. Calcolarono insieme la viamigliore ed escogitarono gli equivalenti matematici di

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migliore ed escogitarono gli equivalenti matematici diramponi, funi e piccozze per poter proseguire la scalata.

Tibor si era presentato al nostro gruppo qualche annoprima, era un frequentatore assiduo del nostro seminarioed era sempre lui a porre la domanda migliore fra tutti ipresenti. Era un buon segno. Quando lo conobbilavorava alla Boston University, che si estendeva lungo laCommonwealth Avenue sull’altra riva del Charles River.Lui era entusiasta di unirsi al nostro gruppo e iofelicissimo di accoglierlo a bordo. Era anche una personapiacevole fuori dal lavoro e sapeva spassarsela. Amantedel jazz e della birra, spesso ci trascinava a concerti e cioffriva una bevuta.

Tibor aveva un grande desiderio di affrontare problemie, meglio ancora, proveniva da una diversa “tradizionerisolutiva”. Usava l’approccio tipico di un fisico, non diun matematico. I fisici affrontano problemi insolubiliperché si accontentano di soluzioni approssimative. Nonlasciano che la ricerca del meglio faccia rinunciare albene. Un esponente brillante di questo approcciopragmatico era il mio maestro Bob May. Benché la suastrategia ottenga risultati, può fare aggrottare le ciglia aipuristi. I matematici desiderano sopra tutto l’esattezza. Ilgrande teorico dei numeri di Harvard Richard Taylor mi

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grande teorico dei numeri di Harvard Richard Taylor mifece una volta questa domanda: «Lei ha unadimostrazione matematica di questa affermazione o soloun argomento di plausibilità da fisici?». Mi piacque ilmodo in cui aveva posto la domanda. Gli risposiimmediatamente: «Solo un argomento di plausibilità dafisici», per allontanarmi il più rapidamente possibile daacque agitate.

La buona notizia per Corina fu che Tibor portò con séalcuni utili equipaggiamenti matematici “da scalata”,sviluppati in occasione di precedenti ricerche condotte sugiochi nello “spazio dei fenotipi”, in cui i giocatori sicomportavano in modo diverso a seconda che gliavversari avessero un aspetto simile o dissimile. MaCorina ci avrebbe messo del suo inventando nuovetecniche e concetti per venire a capo di questo problema.È a questo punto che il carattere di Tibor si rivelò nonmeno importante della sua matematica: aveva ripetutocostantemente a Corina di non rinunciare mai, dicontinuare a provare, e lei aveva seguito i suoi consigli.Poi, un giorno, si scorse da lontano la vetta.

Dopo quattro mesi di estenuante attesa, con moltiinsuccessi, Corina riuscì a risolvere il problema degliinsiemi evoluzionistici. Aveva trovato una formula. Nonera una di quelle formule semplici tipo E = mc2, o “se b/c

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era una di quelle formule semplici tipo E = mc2, o “se b/c> k, allora la cooperazione prospera”, bensì un mostromacchinoso, una foresta di simboli. Sosteneva chequesto leviatano, che riempiva varie pagine, fosse lasoluzione esatta del problema. Che fosse una formulamatematica, non un’approssimazione da fisici. Io losperavo tanto, ma devo ammettere che ero scettico.

Programmai delle simulazioni al computer perverificarne il comportamento. Pur avendo scritto unprogramma efficiente, dovetti lasciare che il miocomputer continuasse il lavoro da solo di notte. Lamattina seguente apparvero i risultati: c’era unaconcordanza perfetta fra la formula di Corina e i dati.Non avevo mai visto un tale accordo in un calcolo su unsistema biologico complesso. La formula di Corinaforniva la risposta esatta, e lei aveva davvero risolto ilproblema: gioco, partita, incontro!

La via era aperta

Dalla vetta di questa impresa matematica si godeva diuna vista meravigliosa sulla dinamica dell’evoluzione. Orapotevamo rivelare le precise condizioni in cui la selezione

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potevamo rivelare le precise condizioni in cui la selezionenaturale favorisce la cooperazione rispetto alla defezionein popolazioni strutturate intorno a insiemi. Unaconclusione semplice che potemmo trarre dal lavoro diCorina fu che, quanti più insiemi ci sono, tante piùopportunità sono disponibili ai cooperatori. Per lorodiventa infatti più facile trovare insiemi liberi dadefezionisti che potrebbero sfruttarne la tendenza allacooperazione.

Un’altra novità del modello che fornisce un potenteimpulso all’evoluzione della cooperazione è che gliindividui possono cominciare a interagire fra loro solo secondividono più di un insieme. Per esempio, quando mirendo conto che anche la persona che si è iscritta al miostesso circolo del tennis studia biologia teorica,aumentano le probabilità che io cominci a collaborarecon lei. Analogamente, non basta che entrambi siamodemocratici, o che facciamo la spesa allo stessosupermercato, o che abitiamo nello stesso quartiere. Peravere una probabilità ragionevole di cooperare,dobbiamo essere democratici, essere relativamente vicinidi casa e fare la spesa allo stesso supermercato. Questa“pignoleria” dei cooperatori accresce vistosamente laloro probabilità di successo. Il risultato di questa

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caratteristica è che gli insiemi sono le strutture che hannole massime potenzialità per promuovere l’evoluzione dellacooperazione.

L’equazione di Corina fa un’affascinante predizione.Suggerisce che ci sia un livello ottimale di mobilità (nelsenso del ritmo con cui le persone si muovono fra diversiinsiemi e con cui ne esplorano di nuovi). Se la mobilità ètroppo bassa, la popolazione è troppo statica e icooperatori possono essere sfruttati dai defezionisti. Maanche l’inverso è un male per i cooperatori: se la mobilitàè troppo elevata, nessuna “confraternita di cooperatori”che promuova il reciproco aiuto durerà troppo a lungo. Ilterreno più fertile per la cooperazione si trova fra questidue estremi.Nel caso di una mobilità intermedia, i cooperatori hannouna probabilità di muoversi sufficiente ad arrecarsireciproco beneficio, ma possono anche sottrarsi alladefezione colonizzando nuovi insiemi. Il processo èguidato dalla selezione naturale: se dei cooperatoritrovano un nuovo insieme senza defezionisti, potrannoagire bene e attrarre altri cooperatori. Solo dopo un po’di tempo qualcuno di loro potrebbe andarsene,rompendo in tal modo il felice equilibrio che vi avevaprosperato in precedenza. In questo caso i cooperatori

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prosperato in precedenza. In questo caso i cooperatoriresidenti dovranno trovarsi un nuovo insieme. Poiché gliinsiemi contenenti defezionisti hanno più difficoltà adattrarre nuovi membri, nel corso del tempo diventerannosempre meno affollati e, infine, si svuoteranno.

Dilemmi cooperativi

In questo e in precedenti capitoli ci siamo imbattuti in varimodi in cui la struttura delle popolazioni può promuoverel’evoluzione della cooperazione. Abbiamo visto come leforze oscure della defezione possano essere sfidate ingiochi spaziali, in giochi su grafi, in giochi su insiemi, eanche quando c’è competizione non solo tra individui maanche tra gruppi di individui (la cosiddetta selezione apiù livelli). Esiste un concetto più profondo alla base ditutti questi approcci apparentemente diversi allacooperazione? C’è una regola semplice che possa teneresotto il proprio controllo tutti questi casi?Sorprendentemente, risulta che c’è.

Per capire questa regola facciamo un passo indietro econsideriamo ancora una volta un semplice gioco tra duepersone. Ogni giocatore può scegliere tra due possibilicomportamenti. Come sempre, divideremo i partecipanti

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comportamenti. Come sempre, divideremo i partecipantiin cooperatori e defezionisti, con l’usuale payoff: R è laricompensa per la reciproca cooperazione, P lapunizione per la reciproca defezione e T il payoff per latentazione di defezionare. Ancora una volta fisseremoquesti payoff in modo tale che T sia maggiore di R, che èpiù grande di P, che è a sua volta maggiore di S,cosicché finiremo per ritrovarci nel dilemma delprigioniero. Come ho detto nel capitolo di apertura suldilemma, questa classifica dei payoff assicura che citroviamo di fronte alla forma più difficile del dilemmacooperativo.

Nel complesso, un dilemma cooperativo è definitodalla disuguaglianza R > P – in altri termini: la reciprocacooperazione è maggiore della reciproca defezione – eda almeno una delle seguenti tentazioni di defezionare: Tè maggiore di R; P è maggiore di S; o T è maggiore di S.Quando T è maggiore di R, se l’altra persona coopera,per me è meglio defezionare; quando P è maggiore di S,se l’altra persona defeziona, è meglio defezionare ancheper me; e quando T è maggiore di S, in una coppiaformata da un cooperatore e da un defezionista, è meglioper me essere il defezionista. Se non è presente nessunodei tre incentivi alla defezione, il gioco non può essere un

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dei tre incentivi alla defezione, il gioco non può essere undilemma cooperativo. In questo caso cooperare è lacosa migliore da fare.

Nelle sue esplorazioni di questo universo di dilemmicooperativi, Tibor Antal aveva ottenuto un bel risultato.Consideriamo una popolazione ben mescolata, in cui ognigiocatore ha uguali probabilità di interagire con qualsiasialtro. I partecipanti giocano la partita, accumulanopayoff e tendono a imitare la strategia di altri giocatoriche hanno avuto risultati lusinghieri.

In questo caso quindi c’è una selezione naturale fra ledue strategie che è proporzionale al payoff. Maintroduciamo una mutazione fra le due strategie, inconseguenza della quale le persone possano passare acaso dalla cooperazione alla defezione. Tibor mostrò chese R + S è maggiore di T + P i cooperatori sono in mediapiù abbondanti dei defezionisti.

Che cosa ci dice questa condizione? R + S èsemplicemente il payoff medio che un cooperatorericeve se ha uguali probabilità di incontrare cooperatori odefezionisti. Similmente, T + P è il payoff medio chericeve un defezionista se ha uguali probabilità diincontrare cooperatori o defezionisti. (In entrambi i casiabbiamo omesso il fattore ½ perché si cancella.)

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abbiamo omesso il fattore ½ perché si cancella.)La condizione “R + S è maggiore di T + P” significa

che il payoff medio di un cooperatore è maggiore diquello di un defezionista. Questa disuguaglianza nonpotrebbe mai valere per il dilemma del prigioniero. In unapopolazione ben mescolata, se tutti i giocatori sonosoggetti alla stretta del dilemma, i cooperatori stannosempre peggio dei defezionisti. Ma la condizionepotrebbe valere per altri dilemmi cooperativi. In altritermini, potrebbe valere la pena di cooperare, persino inuna popolazione ben mescolata.

Geometria della cooperazione

L’elegante risultato di Tibor Antal è valido perpopolazioni ben mescolate dove due individui a casohanno probabilità uguale di trovarsi a interagire. Mapossiamo individuare un risultato simile che valga perpopolazioni strutturate? Teniamo presente che lepopolazioni strutturate si presentano in un’infinità diforme, mentre le popolazioni ben mescolate sonosoltanto un esempio, per di più molto particolare.Sarebbe strabiliante avere una formulazione generalevalida per tutte le popolazioni strutturate.

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valida per tutte le popolazioni strutturate.Eppure, nel corso degli anni, ho raccolto risultati che

forniscono un indizio molto attraente del fatto che questanotevole impresa dovrebbe essere possibile. Per moltimodelli diversi ho riscontrato che alla domanda se laselezione naturale favorisca i cooperatori sui defezionistisi può rispondere con una semplice variante della formuladi Tibor. La variante è semplice perché si riduceall’aggiunta di un singolo parametro chiamatocoefficiente di struttura, che ho indicato con la letteradell’alfabeto greco sigma (σ).

Questo coefficiente specifica la frequenza relativa concui giocatori di uguale orientamento si incontrano: in altritermini, la frequenza relativa con cui i cooperatori sicoalizzano con altri cooperatori, e i defezionisti fannogruppo con altri defezionisti. Il payoff medio di uncooperatore diventa σ moltiplicato per R più S: σ = (R +S). Similmente, il payoff medio di un defezionista diventaT + (σ = P). Come prima, se il payoff medio deicooperatori è maggiore di quello dei defezionisti, icooperatori tendono a essere più abbondanti deidefezionisti. Perciò il successo dei cooperatori suidefezionisti non dipende solo dai valori dei payoff (R, S,T, P) ma anche dal valore di σ. Se σ > 1, i cooperatori

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T, P) ma anche dal valore di σ. Se σ > 1, i cooperatoripossono addirittura vincere in un dilemma del prigioniero.

Ho scoperto che ognuno dei modelli che avevamostudiato – per quanto complessi – poteva sempre essereridotto, nel caso di una selezione debole, a unadisuguaglianza lineare semplice. Ciò significava che unaqualche essenza di ciascuna struttura di popolazione, perquanto complessa, poteva essere catturata nel valore delsuo parametro. Ma il vero problema, per ogni modellodato, è il calcolo di questo coefficiente di struttura, σ. Aquanto pare, quando Corina risolse il problema di comepraticare i giochi sugli insiemi, in effetti aveva trovato unmodo per calcolare il coefficiente di struttura per gliinsiemi σ.

Il modo in cui opera questo parametro è facile dacapire. Se σ > 1, i simili si associano fra loro: possiamoparlare di assortimento positivo o aggregazionepositiva. Se < 1, le opposte strategie interagisconomeno frequentemente. C’è quindi un assortimentonegativo. Per una popolazione ben mescolata σ = 1. Seperciò vogliamo che nel dilemma del prigionieroprosperino i cooperatori, dobbiamo avere unassortimento positivo e σ deve essere quindi maggiore di1. Corina chiama questo effetto il divino tit for tat: se

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1. Corina chiama questo effetto il divino tit for tat: sesei un cooperatore, ti troverai circondato da cooperatori,e viceversa. O, per esprimerci in un altro modo, siraccoglie quel che si semina.

Nel corso degli anni ho accumulato una quantità divalori σ, con la stessa passione con cui un naturalista siprocura coleotteri, da grandi a piccoli, da bruni airidescenti. Quando però discussi della mia varia emagnifica collezione con Corina, lei cominciò adomandarsi se sarebbe stata in grado di fornire unadimostrazione matematica del fatto che la struttura di ognipopolazione deve sempre condurre a un’espressionematematica semplice con un singolo coefficiente distruttura. Dopo un po’ di tempo, fu proprio questo ilrisultato che conseguì. La sua dimostrazione fusbalorditiva. Anche per una (m)atleta matura, venire acapo del problema generale della “struttura di ognipopolazione” fu come conquistare tutti i picchi di unavasta e scoscesa catena montuosa.

Riflettendo su qualcosa di così intimo come le relazionisociali siamo giunti a una conclusione eccezionale. Inpopolazioni che si evolvono la cooperazione avvizzisce emuore quando σ < 1. Al contrario, quando σ > 1, lacooperazione attecchisce e prospera. Il teorema di

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cooperazione attecchisce e prospera. Il teorema diCorina sarà valido per qualsiasi progetto evoluzionisticosulla Terra, in questa galassia, come anche in tutte lealtre, da quelle vicine alle aggregazioni di antiche stelleche si celano negli spazi più oscuri e remoti. Si applica aqualsiasi gioco nel cosmo.

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Capitolo 14

Un crescendo di cooperazione

L’amata Terra ovunque / Fiorisce in primavera ecome sempre / Nuovamente verdeggia! Ancora esempre / L’aria tinge d’azzurro le lontane / Contradedappertutto… eternamente.Gustav Mahler, Il canto della Terra1

«Immaginate un’opera così grande da rispecchiare in sé ilmondo intero». Con queste parole di grande potereevocativo, Gustav Mahler descrisse la sua ambizione dicreare un nuovo tipo di musica. Il compositore austriacovoleva scrivere opere simboliche di così grande ampiezzae respiro da poter evocare le forze fondamentali checrearono il cosmo dal vuoto. Fedele al suo progetto,

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crearono il cosmo dal vuoto. Fedele al suo progetto,creò composizioni epiche e struggenti, che trattano dellavita, della morte, dell’amore e della redenzione. Sonoformulazioni generali sulla condizione umana, dalla suagloria suprema, più sfolgorante, alla sua follia più bassa epiù oscura.

Mahler affrontò le sue lotte contro le vicissitudini dellavita e incanalò queste esperienze viscerali, insieme allesue speranze e ai suoi timori, in monumentali opereorchestrali. Usò la sua musica per lottare col momentoprimordiale della creazione, e persino con le forzefondamentali dell’evoluzione stessa. Sperava di diventareegli stesso in qualche modo uno strumento suonatodall’intero universo. Io ho trovato nell’immenso respiro enella onnicomprensiva ambizione della sua musica,un’ispirazione grandiosa e durevole.

Fra tutte le sue opere, una delle più impressionanti è laSinfonia n. 8, dedicata a sua moglie Alma. Opera diriconciliazione, la sinfonia celebra il potere di redenzionedell’amore. La prima andò in scena a Monaco di Bavierail 12 settembre 1910, e presentava un coro di circa 850persone, con un’orchestra di 171 elementi. In riconoscimento delle sue “dimensioni” epiche, l’agente diMahler soprannominò quest’opera “Sinfonia dei mille”.

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Mahler soprannominò quest’opera “Sinfonia dei mille”.Ancora oggi le eccezionali richieste logistiche diquest’opera la sottraggono alle normali possibilità di unasala da concerto e fanno di ogni sua esecuzione unevento unico, un tributo sorprendente alla creatività e allacooperazione, in cui un battaglione di esecutori neesplora la complessità, l’irresistibile intensità e la puragioia espressiva. Il tema di apertura della massima di tuttele sinfonie fu strutturato in modo da adattarsi alle paroleVeni, creator spiritus (vieni, spirito creatore). Laseconda parte è l’apoteosi del Faust di Goethe.

In tutti questi anni ho viaggiato in aree remote elontane della scienza per cercare quella che ritengoessere la forza più creativa della biologia, quella checonosciamo come cooperazione. Essa si manifesta aogni livello della società umana, da una coda ordinata dipersone fra loro estranee in una stazione ferroviariaall’organizzazione di un concerto rock o quella di unSuper Bowl. La misura in cui noi esseri umanicooperiamo ci separa totalmente dal resto del creato.Questa è la ragione fondamentale grazie alla quale gliesseri umani sono riusciti a procurarsi da vivere in quasitutti gli ecosistemi della Terra e hanno in effetticominciato ad avventurarsi anche molto lontano dalla

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cominciato ad avventurarsi anche molto lontano dallaTerra stessa. Ovviamente, però, tutto ciò solleva un belpo’ di problemi, che ho esaminato nei precedenti capitoli:non ultimo, quello che ha turbato lo stesso Darwin. Nellacompetizione incessante per il cibo, il territorio e i partnersessuali, perché mai un individuo dovrebbe trascurare ipropri interessi per aiutare un altro?

Cooperando negli ultimi vent’anni con molte personedi notevole intelligenza, ho studiato vari modi in cuil’evoluzione conduce alla cooperazione nel nostro mondoaltamente competitivo. Il problema basilare che abbiamoesplorato può essere espresso in termini di costi ebenefici. Un cooperatore paga un costo perché un altroindividuo possa riceverne un beneficio. Se il costo èmaggiore del beneficio la cooperazione non è produttivae il gioco non è un dilemma cooperativo. In questo casodue cooperatori si troverebbero peggio di duedefezionisti. Se invece il beneficio è maggiore del costo,finiremo per trovarci alle prese con un gioco familiare, ildilemma del prigioniero.

Qui sta il problema centrale del dilemma delprigioniero. Nella sua versione più semplice, in assenza diassunti supplementari, la selezione naturale favorisce idefezionisti. Come ho detto prima, in una popolazione

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defezionisti. Come ho detto prima, in una popolazioneben mescolata i cooperatori hanno sempre una fitnessminore di quella dei defezionisti. Di conseguenza,all’evolversi della popolazione, la selezione naturaleaccresce lentamente il numero dei defezionisti finchél’ultimo dei cooperatori non è stato eliminato. Questo è ilrisultato “sbagliato”, perché una popolazione dicooperatori ha una produttività maggiore (una maggiorefitness media) rispetto a una popolazione di defezionisti.In questo caso particolare, perciò, la selezione naturalenon conseguirebbe la massima fitness, madistruggerebbe quella che sarebbe la prospettiva miglioreper l’intera popolazione. Per favorire la cooperazione laselezione naturale ha bisogno di aiuto, ossia dimeccanismi per l’evoluzione della cooperazione.

Al momento conosciamo cinque meccanismi utili aquesto fine. Io ho studiato come funzionano mescolandola teoria dei giochi con l’evoluzione e supponendo che ilpayoff di un gioco influisca sul successo riproduttivo.Questo significa che, mentre i giocatori mutano e sievolvono, la selezione naturale sorride ai giocatori chehanno un alto payoff. Questi si riproduconorelativamente di più nella lotta per l’esistenza, mentre igiocatori che non hanno successo diminuiscono di

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giocatori che non hanno successo diminuiscono dinumero e poi si estinguono.

Non limito l’uso dell’espressione selezione naturaleai soli geni. A seconda che parliamo di cellule, animali opersone, la riproduzione può essere genetica o culturale.Nel primo caso gli individui di successo lasciano unaprole più numerosa e trasmettono un maggior numero digeni alle generazioni future. Nel secondo le idee, le maniee le strategie si diffondono attraverso l’imitazione el’apprendimento: nasce una moda. Per esempio, ilconcetto di evoluzione darwiniana non si diffondegeneticamente ma culturalmente, propagando il contagioattraverso il passaggio dalla mente di un biologo a quelladi un altro.

La mia ricerca mostra come la cooperazione derividalla competizione, anche se questi due orientamentisono bilanciati da un conflitto incessante. Lo sforzocollettivo della società dipende in parte dallasoppressione della capacità dell’individuo di ammutinarsie defezionare. Lo stesso vale per le cellule, i cromosomie i geni ribelli. Come il giorno e la notte, o il bene e ilmale, cooperazione e competizione sono unite persempre in un forte abbraccio.

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La meccanica della cooperazione

Per poter cogliere i frutti della cooperazione deve essercialmeno un meccanismo che contrasti l’incessante edeprimente tendenza della selezione naturale a diminuirel a fitness media di una popolazione nel dilemma delprigioniero. Nella prima parte ho descritto cinque di talimeccanismi e come possano indurci a cooperare:

1. Ripetizione (reciprocità diretta). “Io gratto la schienaa te e tu gratti la schiena a me”. Questo spiega ilsuccesso delle strategie tit for tat, siano esse quelledei piccoli pesci che offrono i loro servizi di puliziasulle barriere coralline, o dei generosi pipistrelli-vampiri che condividono con i loro simili menofortunati il loro pasto di sangue, o delle unità militariche controllavano le tregue non ufficiali organizzate daidue opposti schieramenti sul fronte occidentaledurante la Prima guerra mondiale, dove una violazionedella tregua era punita con un raid di vendetta o conun fuoco di sbarramento. Come scrisse nel 1740 in ATreatise of Human Nature il grande filosofoscozzese David Hume: «Imparo a fare un servigio a unaltro, senza provare per lui una reale cortesia, perché

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altro, senza provare per lui una reale cortesia, perchéprevedo che mi ricambierà il servigio, aspettandoseneun altro dello stesso tipo»2.Abbiamo visto anche che, quando ci sono erroridipendenti dal tremito della mano o da cervelli carentiin logica, è meglio dipendere da strategie come quelledel tit for tat generoso o del win stay, lose shift (sevinci continua, se perdi cambia). Rispetto alla primastrategia, la seconda è l’idea ancora più semplice diripetere le mosse precedenti quando hanno avutosuccesso, e di cambiare quando non hanno datorisultati soddisfacenti. Ho descritto, in generale, comela reciprocità diretta possa condurre all’evoluzionedella cooperazione solo se la probabilità di un altroincontro fra gli stessi due individui supera il rapportocosti-benefici dell’atto altruistico. Questa è la nostraprima, semplice regola.

2 . Reputazione (reciprocità indiretta). Questomeccanismo di cooperazione prospera quando ci sonoripetuti incontri all’interno di un gruppo di giocatori. Ilmio comportamento nei vostri confronti dipende ancheda come vi siete comportati verso altri membri delgruppo. Per aspettarvi un qualche utile dal fatto diessere stati gentili verso qualcun altro, dovete

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essere stati gentili verso qualcun altro, doveteconfidare negli incontri successivi: «Date e vi saràdato», come si espresse Luca nel Vangelo (6: 38). Sipuò compendiare questo meccanismo nella frase: “Iogratto la schiena a te e qualcun altro gratterà la schienaa me”.Nella società umana la reciprocità indiretta si fonda inlarga misura sulla comunicazione. Nel Capitolo 2 hospiegato come possa essere necessario il linguaggioper imparare dalle esperienze degli altri e stabilire in talmodo la reputazione di persone e trasmettere questainformazione ad altri. Noi abbiamo scoperto che lareciprocità indiretta può promuovere la cooperazionesolo se la probabilità di conoscere la reputazione diqualcuno supera il rapporto costi-benefici dell’attoaltruistico. Questa è la nostra seconda regola.

3. Selezione spaziale. Questo processo si verifica sullascacchiera della vita, nelle ragnatele dei social networko nelle miriadi di insiemi dei quali tutti quanti noifacciamo parte. Al cuore di ogni processoevoluzionistico c’è una popolazione di individui che siriproducono, e le ricerche di molti studiosi hannomostrato nel corso degli anni come la struttura di talepopolazione possa incidere sull’evoluzione. Che

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popolazione possa incidere sull’evoluzione. Cheparliamo di strutture spaziali, di social network o ditag, quello che intendiamo è che alcuni individuiinteragiscono con ciascun altro più spesso di altri. Orai cooperatori possono prevalere formando network eaggregazioni in cui possono aiutarsi fra loro. Nellostesso modo in cui una lente gravitazionale deflette laluce di una galassia, così la struttura di unapopolazione incurva la traiettoria dell’evoluzione. Unaregola sorprendentemente semplice determina se lacooperazione possa germogliare e fiorire su un grafo.Il rapporto benefici-costi deve superare il numeromedio dei vicini per individuo. Questa è la nostra terzaregola.

4. Selezione a più livelli. Questo meccanismo riconosceche, in certe circostanze, la selezione opera non solosu individui ma anche su gruppi. Un gruppo dicooperatori può avere più successo di un gruppo didefezionisti. Nessuno riassume questo meccanismo dicooperazione meglio di Darwin: «Senza dubbio unatribù comprendente molti membri che – possedendo inalto grado lo spirito di patriottismo, la fedeltà,l’obbedienza, il coraggio e la simpatia – fosserosempre pronti ad aiutarsi reciprocamente e a

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sempre pronti ad aiutarsi reciprocamente e asacrificarsi per il bene comune, sarebbe vincitrice dimolte altre tribù; e questa sarebbe selezionenaturale»3. La selezione (di gruppo) a più livellipermette l’evoluzione della cooperazione, a una solacondizione: che il rapporto costi-benefici sia maggioredel rapporto tra la grandezza del gruppo e il numerototale dei gruppi più uno. Così questo meccanismocooperativo funziona bene se ci sono molti piccoligruppi e non altrettanto bene se ci sono pochi grandigruppi. Questa è la nostra quarta regola.

5 . Selezione parentale. Qui i legami della famiglia edell’ascendenza comune sono decisivi. Io riconosco lamia parentela e mi com-porto di conseguenza; perquesto coopero con i miei parenti stretti e defezionocon gli estranei. Un altro modo comune per esprimerequesta attenzione per i propri parenti consiste nel direche il sangue non è acqua. Questo concetto èriassunto nella regola di Hamilton, regola che affermache il coefficiente di parentela deve superare ilrapporto costi-benefici dell’atto altruistico. Questa è lanostra quinta regola. Benché io abbia discusso iproblemi di questo approccio nel Capitolo 5, credoancora che la selezione di parentela sia, se formulata in

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ancora che la selezione di parentela sia, se formulata inmodo appropriato, un meccanismo valido.

Questo è il nostro punto di arrivo. Usando questi cinquemeccanismi di cooperazione, la selezione naturale ci haassicurato che possiamo ottenere di più dalla vita socialeche dal perseguimento di una vita solitaria ed egoistica.Grazie a questi meccanismi, la natura istintiva edessenzialmente competitiva dell’evoluzione può, in moltecircostanze, dare origine alla cooperazione. Poiché inostri istinti sono stati plasmati in questo modo nel corsodelle generazioni, non ci sorprende che un corollario ditutto questo sia che in tutte le società umane si osservanocomportamenti universali come l’amore, l’amicizia, lagelosia e lo spirito di squadra.

Se la cooperazione prospera grazie, per esempio, almeccanismo della selezione a più livelli, allora – benchépossano esserci sempre incentivi alla defezione – i gruppiche presentano una percentuale maggiore di individuidisposti a sacrificarsi per il bene comune possono averela meglio. Una nazione, un culto o una religione possonoessere visti come gruppi tenuti insieme dal modo in cuiuna persona compie sacrifici per aiutare i suoi fratelli.

Nella reciprocità diretta o indiretta possiamo cogliere

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Nella reciprocità diretta o indiretta possiamo cogliereun barlume dell’idea tradizionale secondo cui ogni buonaazione avrà la sua ricompensa. Quello che trovosorprendente è la conclusione alla quale si arriva conquesti calcoli, ossia che, nonostante le tendenzecompetitive della natura – fondate sulla selezione naturale– le strategie vincenti della reciprocità diretta e indirettadevono avere i seguenti attributi “caritatevoli”: essereottimiste, generose e comprendere la disposizione alperdono. Essere ottimisti significa che, se incontro unnuovo venuto, spero di poter gettare con lui le basi di unacooperazione facendo per primo uno sforzo in quelladirezione. Essere disposti al perdono significa che, sequalcuno defeziona, ce la metterò tutta per cercare diristabilire una relazione fondata sulla cooperazione.Essere generoso vuol dire che, nella maggior parte delleinterazioni con altre persone, non adotterò unaprospettiva miope. Non mi lamenterò se c’è qualcunoche sta facendo meglio di me e ottiene una fetta maggioredella torta. Mi accontenterò di parti uguali o ancheleggermente minori, rallegrandomi di poter partecipare amolte interazioni produttive e utili, che mi permetterannodi dividere molte più fette di torta.

In questo modo le mie ricerche sulla cooperazione

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In questo modo le mie ricerche sulla cooperazionechiariscono quali tipi di comportamento siano importantiper l’evoluzione umana e per il successo nella vitaquotidiana. Abbiamo cinque meccanismi che possonofunzionare separatamente o insieme per aiutare chiunquea cavarsela. La cosa notevole è che, partendo da unabase analitica, quantitativa e matematica si arriva a ideeche dovrebbero sembrare altrettanto familiari a studiosidi etica laici che ai seguaci di religioni.

Come abbiamo visto nel Capitolo 2, varie fedi sonounite dalla reciprocità della regola aurea. L’evoluzione,che a prima vista sembrerebbe presentare problemi perla fede, in realtà affina comportamenti generosi, altruisticie forse addirittura santi. Gli insegnamenti delle grandireligioni del mondo hanno molto in comune nel senso cheforniscono insegnamenti su come condurre una vitapiena. Per millenni hanno analizzato la condizione umanaper alleviarne le sofferenze e la tristezza, arrivando allaconclusione che l’amore, la speranza e la disposizione alperdono sono gli ingredienti essenziali della ricetta cheoccorre per risolvere problemi più grandi. Le grandireligioni richiedono un’azione ispirata all’altruismo. Gesùdisse: «Quando fai l’elemosina, non sappia la tua sinistraquello che fa la tua destra, affinché la tua elemosina resti

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quello che fa la tua destra, affinché la tua elemosina restisegreta e il Padre tuo che vede nel segreto ti darà laricompensa»4. Krishna dice al principe Arjuna nellaBhagavad Gita: «Tu devi vedere te stesso in ognicreatura. Devi sperimentare come tue proprie lesofferenze degli altri. Per coloro che seguono una fede, lasoluzione viene quando la tendenza all’egoismo è vintadall’amore». Nel linguaggio in cui ci siamo imbattuti inquesto libro, gli insegnamenti delle religioni possonoessere visti come ricette per la cooperazione. Ora, per laprima volta, alcuni aspetti di queste potenti idee sonostati quantificati in esperimenti, catturati in equazioni eaccolti nella scienza.

Il prossimo passo avanti per l’umanità

La Terza sinfonia di Mahler ha molto in comune con lamia ricerca per capire la manifestazione ultima dellacooperazione: la storia della vita sulla Terra, cominciatacirca 4 miliardi di anni fa. Scritta fra il 1893 e il 1896,questa è la composizione più lunga di Mahler: la suaesecuzione dura quasi due ore. È una visione panteisticadell’universo, un gigantesco poema musicale, un inno almondo naturale nella forma di un’ascesa passo dopo

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mondo naturale nella forma di un’ascesa passo dopopasso lungo la grande scala della creazione.

Il mio amore per questa sinfonia risale ai primi anni aOxford, all’inizio degli anni Novanta. Un giorno uno deimiei studenti, Sebastian Bonhoeffer, mi chiese se misarebbe piaciuto andare a un concerto nello SheldonianTheatre, un edificio seicentesco costruito da ChristopherWren che è uno dei gioielli architettonici della città.Sebastian, lui stesso un eccellente musicista (oggi ancheprofessore di biologia al Politecnico federale di Zurigo),mi portò a sentire un’esecuzione della Terza di Mahler, incui egli stesso suonava come primo violoncello. Andai eascoltai con grande attenzione. Fu il mio primo incontrocol grande compositore. Sugli scomodi posti a sedere inlegno dello Sheldonian scorse davanti ai miei occhi tuttala mia vita. Non sentii mai più nello stesso modo lamusica.

Mahler comincia con una lenta ouverture primordialeche evoca materia inerte – rocce e natura inanimata – eaccelera gradualmente finché la musica diventa eccitantee martellante. Poi entra in scena la vita. La sinfoniacontinua e ascende attraverso fasi più elaborate dievoluzione – i fiori, gli animali e l’umanità – prima diraggiungere l’amore divino, che Mahler ha immaginato

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raggiungere l’amore divino, che Mahler ha immaginatocome una suprema forza trascendente. Dal primo al sesto(e ultimo) movimento, dal primo apparire della vitaantidiluviana ai movimenti finali di esultanza di questoimmenso lavoro, Mahler sperò che la natura nella suatotalità potesse squillare e risuonare. E riuscì a centrare ilsuo obiettivo. Nella sua prima esecuzione completa, illunedì 9 giugno 1902 a Krefeld, la Terza sinfonia fuaccolta con grandissime acclamazioni, segnando unmomento raro nella vita di Mahler.

Una delle sue lettere descrive come nella sinfonia «lanatura stessa acquisti una voce e ci racconti segreti cosìprofondi che si intuiscono forse solo nei sogni!». A modomio, mi piacerebbe poter pensare di avere contribuito adare alla natura una sua voce. Trovo questo modo piùvariato e più sottile di quello che possiamo portare in luceriflettendo sulla sola competizione. Ho sostenuto chel’evoluzione “ha bisogno” di cooperazione se devecostruire nuovi livelli di organizzazione, inducendo i geni acollaborare nei cromosomi, i cromosomi a collaborarenei genomi, i genomi a collaborare nelle cellule, le cellulea collaborare nei corpi e i corpi nella società.

Dopo questo “grand tour” dei meccanismi dellacooperazione, sono stato colpito – forse con un senso di

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cooperazione, sono stato colpito – forse con un senso direverenza e timore – dalla misura in cui gli esseri umanicooperano. Noi tutti usiamo i meccanismi che hoabbozzato, e anche in misura considerevole. Senzadubbio gli elementi di ogni meccanismo di cooperazionepossono essere intravisti in altre società animali: tra leformiche c’è una selezione a più livelli, tra i pesci esiste lareciprocità, nelle colonie di batteri si può osservare laselezione spaziale, e via dicendo. Nessuna specieanimale, però, può attingere a quei meccanismi nellastessa misura osservabile nella società umana. Neppure inostri parenti più stretti, le scimmie antropomorfe, hannoun linguaggio ben sviluppato; non sono quindi in grado disfruttare il pieno potenziale della reciprocità indiretta.Benché le pellicole formate da batteri possano praticarela divisione del lavoro all’interno di una singola comunità,la complessità di questa cooperazione microbicaimpallidisce al confronto con la complessità della societàumana che prospera in una città moderna. Mentre leformiche hanno un pugno di caste, la nostra società è inquesto senso iperspecializzata: dagli agenti di polizia aidirigenti d’azienda ai soldati, ai macellai, ai fornai aiproduttori di candele. Come riconobbe Adam Smith,facendo l’esempio di un produttore di spilli, la misura in

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facendo l’esempio di un produttore di spilli, la misura incui il lavoro è diviso tra i membri della nostra società èstraordinaria. Quello che abbiamo imparato nel Capitolo11 è che, premiando i successi della cooperazione, e noninvece punendo la defezione, possiamo far sì che questoimpegno nella cooperazione possa essere veramentecreativo e innovativo. Collaborando in questo modopossiamo ottenere come società risultati migliori di quelliche nessun individuo potrebbe mai ottenere.

Quello che ci rende davvero speciali è il fatto che lacooperazione attraverso la reciprocità indiretta ha datoun grande impulso all’emergere del linguaggio umano eha determinato un nuovo modo di evoluzione. Noi oggisiamo soggetti a una dinamica evoluzionistica che puòstaccarsi in qualche misura dalla sua base genetica, dallachimica, dai geni e dal DNA. Questa è l’evoluzioneculturale, che implica l’apprendimento e spiega perchénoi abbiamo un successo così devastante. Il modo in cuiil cervello umano si evolve è quindi estremamente diversodall’evoluzione di una qualsiasi struttura biologica che siamai esistita. L’architettura del cervello si modifica quandoparliamo con un’altra persona. A nostra volta, noi siamoin grado di imporre mutamenti strutturali nel cablaggio delcervello di chi ci ascolta. La prossima volta che ascoltateun’altra persona, ricordate che in tal modo avete

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un’altra persona, ricordate che in tal modo avetemodificato permanentemente il cablaggio del vostrocervello, e lo farete ogni volta che memorizzerete unmomento, per quanto fuggente.

Benché questa speciale abilità renda la società umanaestremamente cooperativa, difficilmente si potrebbesostenere che viviamo in un’utopia cooperativa. L’ultimosecolo ha visto centinaia di milioni di morti in conflitticivili, guerre mondiali e genocidi. Lo sforzo di unire leproprie forze per combattere una guerra può essereinterpretato come una forma perversa di cooperazione.Le forze armate di un paese si coalizzano contro quelledell’altro in uno sforzo organizzato che troppo spessoconduce alla distruzione. Antagonismo e rivalità sonoonnipresenti e c’è sempre il pericolo che divampi unanuova guerra. Dove c’è cooperazione c’è sempre ancheil rischio di uno sfruttamento. I defezionisti si profilanosempre nel buio, pronti a colpire, a cogliere la primaopportunità per attaccare e ottenere un vantaggio. Comeè emerso fin dalle prime simulazioni fatte qualchedecennio fa con Karl, ci sono sempre oscillazioni. Lacooperazione va e viene, cresce e declina. Essa deverinascere in cicli senza fine.

Oggi l’umanità sta vacillando sull’orlo di varie possibili

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Oggi l’umanità sta vacillando sull’orlo di varie possibilicatastrofi da lei stessa causate. Il pericolo di una guerranucleare non è stato scongiurato, ma è diventato cosìfamiliare e fuori moda che raramente si parla ancora dellagravità di questa minaccia. Il numero incredibile di testatenucleari accumulate nel periodo della Guerra freddarappresenta tuttora una minaccia. Stiamo ancorafronteggiando uno scenario da giorno del giudizio in cui laguerra nucleare – una volta innescata deliberatamente oaccidentalmente – potrebbe proiettare nell’atmosfera unaquantità così grande di polvere, detriti e fumo daimpedire alla luce del sole, nostra fonte di vita, diraggiungere la superficie terrestre, causando in tal modoun inverno nucleare. Nel giugno 2005 il senatoreamericano Richard Lugar, allora presidente repubblicanodel Comitato del senato per le relazioni internazionali,fece un’interrogazione sulle prospettive di un attacconucleare entro il decennio successivo. I 76 esperti inmateria di sicurezza nucleare da lui interrogati indicaronouna probabilità media del 29 per cento. Quattro di lorostimarono il rischio al 100 per cento, mentre soltanto unolo stimò a zero. Con la continua proliferazione delle arminucleari e con la crescente organizzazione del terrorismo,il pericolo nel frattempo è cresciuto.

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il pericolo nel frattempo è cresciuto.La recente crisi dell’economia globale ci ha fornito

un’idea di che cosa potrebbe accadere se si verificasseun crollo. Le politiche economiche esistenti si fondanosulla teoria secondo cui il mondo sarebbe composto daun mosaico di mercati semplici, molto distanziati fra loro.Il denaro può però fluire ora più facilmente da un paeseall’altro. Questo fatto ha dato linfa al commercio egarantito una certa prosperità su scala planetaria, macomporta anche che uno sconvolgimento in un luogopossa avere conseguenze maggiori e imprevedibilialtrove. La rapida crescita, negli ultimi anni, degliinvestimenti al di là dei confini nazionali ha permesso auno shock locale – il collasso dei valori immobiliariartificiosamente gonfiati negli Stati Uniti – di propagarsi alivello globale nel 2008, soprattutto attraverso società diinvestimento altamente indebitate che possono reagire auna perdita di denaro in un luogo ritirandoindiscriminatamente il credito dappertutto.Nell’eventualità di un armageddon finanziario, leeconomie del mondo scivolerebbero in una terribiledepressione, forse peggiore della Grande depressionedegli anni Trenta, durante la quale milioni di personemorirono di fame.

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morirono di fame.Oggi stiamo anche osservando con estrema

preoccupazione l’abisso della catastrofe ambientale, lasuprema tragedia dei beni comuni. La Terra èfebbricitante, e la sua temperatura sta aumentando. Isegni della crisi climatica sono evidenti, a cominciaredalla drastica riduzione del ghiaccio del Polo norddurante l’estate fino allo scioglimento dei ghiacciai eall’inondazione delle isole del Pacifico. Ci sono poi unaquantità di problemi associati, dalla scarsità d’acqua a cuisono esposte città del Nord e Sud America, dell’Asia edell’Australia, alla diffusione di malattie, a probleminell’approvvigionamento globale di cibo, e aun’accelerazione del ritmo dell’estinzione di specieanimali, in conseguenza del continuo logorio,sfilacciamento e strappi a cui è soggetto il tessuto dellavita, da cui noi dipendiamo.

Nel discorso di accettazione del conferimento delNobel per la pace, Al Gore ha citato un proverbioafricano: «Se vuoi camminare velocemente vai da solo,se vuoi arrivare lontano vai in compagnia». La sua fu unachiamata alla cooperazione: «Dobbiamo abbandonare ilpregiudizio che la risposta stia in azioni individuali, isolate,private. Possono dare un aiuto e lo danno, ma non

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private. Possono dare un aiuto e lo danno, ma nonpossono portarci abbastanza lontano senza un’azionecollettiva». In poche parole, siamo tutti prigionieri dellostesso dilemma che vari anni fa invischiò me e Karl. Eper risolvere problemi apparentemente intrattabili come ilcambiamento climatico non basterà la tecnologia da sola.

Il problema è molto reale. Io credo che la vitaintelligente sia fragile, penso che si sia evoluta spessonell’universo, e che lo abbia fatto per tutti i 13,7 miliardidi anni da quando esiste il nostro universo. A quantopare, però, siamo soli. La vita intelligente non sembradurare a lungo. Questo fatto potrebbe indurci a unapausa di riflessione. Ora più che mai abbiamo bisogno dicooperare, su scala mondiale. Anche se stiamopencolando sull’orlo del disastro, stiamo anche peravanzare verso il prossimo livello di cooperazione.Abbiamo bisogno di un programma climatico su unascala che vada addirittura oltre la vasta scala delProgetto Manhattan, un programma nel quale mobilitarela nostra civiltà con un livello di risorse e con unadeterminazione che in precedenza siamo riusciti a metterein campo solo quando varie nazioni si sono preparate auna guerra mondiale.Nei capitoli precedenti ho descritto come nuove

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Nei capitoli precedenti ho descritto come nuoveopportunità di cooperazione possano dare impulso allacreatività. Quando unità in competizione fra loro su unlivello di organizzazione cominciarono a cooperare, sievolsero livelli nuovi e creativi di organizzazione, primafra molecole, e successivamente fra cellule semplici, fracellule complesse, fra organismi pluricellulari come esseriumani, e infine fra società. Credo che il cambiamentoclimatico ci costringerà a scrivere un nuovo capitolo dellacooperazione.

In questo stesso momento l’intera umanità è connessain una misura che sembra incredibile se messa inrelazione con gli standard che abbiamo conosciuto finora.Infinite connessioni sono forgiate, modificate escomposte dalla tecnologia delle modernetelecomunicazioni, si tratti di telefoni fissi, cellulari,iPhone, BlackBerry, Android, computer, o di internet. Altempo stesso siamo in grado di capire cosa serve percooperare meglio, più di quanto sia mai accaduto inpassato. Spero con tutto il cuore che sapremo sfruttarequesta nuova comprensione della cooperazione per farfronte alle sfide di questo nostro mondo affollato,nuclearizzato, febbricitante.

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L’eterna sinfonia

La musica è un esercizio occulto della matematica daparte dell’animo che non si rende conto di starecontando.5 Georg Gottfried Wilhelm Leibniz

Benché l’ambizione della splendida Terza sinfoniacorrisponda nel modo più puntuale all’agenda della miaricerca, la composizione di Mahler che adoro di più èDas Lied von der Erde (Il canto della Terra).L’ispirazione per quest’opera per voce e orchestra (unasinfonia cantata) venne a Mahler dal Flauto cinese,traduzione di un’antica poesia cinese eseguita dal poetatedesco Hans Bethge. Leggendo la versione di Bethge,Mahler fu commosso dalla sua visione di bellezza,fugacità e morte. Dopo avere completato la grandeopera orchestrale ispiratagli da questa poesia, scrisse che«questa è probabilmente la composizione più personaleche io abbia mai creato finora». Questo pensiero fusubito chiaro al maestro d’orchestra e compositore, suoamico, Bruno Walter, quando lesse per la prima volta lospartito.

Quando Walter vide quanta parte di se stesso Mahler

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Quando Walter vide quanta parte di se stesso Mahleraveva riversato in quest’opera trascendente ne fucommosso fino alle lacrime. Questa composizione èintrisa di un grande senso di moralità, e la cosa nonsorprende. L’estate prima, nel 1907, Mahler era statoindotto, in parte a causa del suo antisemitismo, arinunciare al posto di direttore dell’Opera di corte aVienna; la sorella maggiore Maria era morta, e a luistesso era stata diagnosticata una grave malformazionecardiaca.

Nel secondo movimento Mahler si riferisce alla mortedi sua sorella («una piccola luce si è spenta»), una perditadistruttiva che non riuscì mai ad accettare. La musicacerca di arrivare a una soluzione, avvicinandosi ad essasenza tuttavia riuscirvi. Come il dilemma del prigioniero,questo problema non potrà mai essere del tutto risolto.Alla fine dell’ultimo movimento, però, Mahler si riconciliafinalmente con la propria morte: «Non farò più lunghiviaggi. Il mio cuore è tranquillo ed è in attesa della suaora». Riflettendo sul suo destino, si lascia andare.

Mahler non era convinto di intitolare Il canto dellaTerra una sinfonia, temendo che, come per Beethoven eper Bruckner prima di lui, la nona potesse essere la suaultima sinfonia. Nonostante questo disagio, osò far

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ultima sinfonia. Nonostante questo disagio, osò farseguire al Lied von der Erde un’opera intitolata proprioSinfonia n. 9. Mahler aveva detto in tono scherzoso diavere ingannato la morte perché la nuova sinfonia era inrealtà la sua decima. Risultò invece che fu la morte adavere la meglio, poiché quella sinfonia fu davvero l’ultimaportata a termine. Qualche mese dopo la morte diMahler, nel 1911, Bruno Walter diresse infine a Monacola prima esecuzione del Canto della Terra.

Un’indimenticabile replica sarebbe stata messa inscena vari decenni dopo, nel 1952, quando Walterriprese questa sinfonia con l’Orchestra filarmonica diVienna e con la cantante Kathleen Ferrier, alla quale erastato da poco diagnosticato un cancro al seno. La primavolta in cui la Ferrier interpretò la sinfonia era cosìsopraffatta dal dolore e dall’emozione che non riuscì acantare le ultime parole del movimento finale, l’Addio. Lamusica sembra svaporare nell’etere, segnando la finaleaccettazione della morte da parte di Mahler. L’orchestraera commossa e diede con la Ferrier l’esecuzione cheavrebbe rappresentato il culmine della sua carriera. LaFerrier perse la sua battaglia col cancro diciassette mesidopo, a soli quarantuno anni.

Tutto questo può sembrare cupo. Eppure nella

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Tutto questo può sembrare cupo. Eppure nellatenebrosità della sinfonia si può intravedere uno spiragliodi brillante ottimismo, insieme a un senso di sorpresa, cheMahler segnala con un cambiamento finale di tonalità indo maggiore. Nel momento in cui Mahler si è riconciliatocon la propria mortalità, capisce che all’estinzione seguiràuna nuova primavera. Questo fatto ha avuto unaprofonda influenza per me e per la mia ricerca.

Benché Das Lied von der Erde sottolinei che nonesiste fuga per l’individuo dalle tenebre della morte, lavita rinasce senza fine. Mentre la musica si affievoliscefino a spegnersi nel nulla, la brulicante bellezza del mondocontinua a vivere. Infine, la Terra si rinnova in primavera,ovunque immersa in lontananza in una luce azzurra.Questo movimento finale mi colpisce profondamente. Ilnostro mondo in continuo cambiamento riflette una realtàsottostante immutabile che può essere colta con l’aiutodella matematica. E come la bellezza del mondosopravvive a quegli angosciosi momenti finali del Liedvon der Erde, così sopravvivono anche le leggi dellanatura.

La storia dell’umanità è una storia che si fondasull’infinita tensione creativa fra il cupo perseguimento diinteressi egoistici a breve termine e l’esempio luminoso

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della conquista di obiettivi collettivi a lungo termine.Credo che noi oggi siamo in grado di capire come ladefezione nel dilemma del prigioniero possa esseresconfitta attraverso la cooperazione. E, proprio comeMahler conclude con una nota in levare, così io credoche l’enfasi sulla cooperazione conferisca una luce piùottimistica alla vita rispetto a quella che l’interpretazionetradizionale attribuisce a Darwin, che condanna tutti gliesseri viventi a una lotta continua e cruenta per lasopravvivenza e la riproduzione. Le mutazioni e laselezione naturale non sono di per sé sufficienti per capirela vita. C’è bisogno anche della cooperazione. Questa èstata il principale architetto di quattro miliardi di anni dievoluzione. La cooperazione ha costruito le prime cellulebatteriche, poi le cellule superiori, poi la complessa vitapluricellulare e i superorganismi degli insetti, e infinel’umanità.

Io propongo che la cooperazione naturale sia inclusacome un principio fondamentale in appoggio a quellipresentati da Darwin. La cooperazione può attrarremateria vivente verso livelli superiori di organizzazione;genera la possibilità di una maggiore diversità attraversonuove specializzazioni, nuove nicchie e nuove divisioni dellavoro. La cooperazione rende l’evoluzione costruttiva e

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lavoro. La cooperazione rende l’evoluzione costruttiva esenza fine.

Oggi ci troviamo di fronte a una scelta molto difficile:possiamo muovere verso l’alto, verso il prossimo gradinodella complessità evoluzionistica, oppure possiamoiniziare il declino, o addirittura estinguerci. Anche se iproblemi globali possono sembrarci grandi, potremmoessere sulla soglia della prossima transizionenell’organizzazione sociale, una transizione di importanzaparagonabile all’emergere della prima cellula, della primacellula complessa o del primissimo organismopluricellulare. Abbiamo il dono dell’intelletto e, grazieall’elevatissimo grado di interconnessione della nostrasocietà, possiamo contare su di esso per crescere.

Noi siamo supercooperatori, siamo l’unica specie sullaTerra in grado di ricavare sostegno da tutti e cinque imeccanismi della cooperazione, e siamo già pronti a farloin misura notevole. Ma ora dobbiamo fare ancorameglio. Dobbiamo sfruttare al meglio tutto il potenziale diquesti meccanismi se vogliamo essere all’altezza dellesfide che ci attendono.

La reciprocità, diretta e indiretta, svolgerà sempre unruolo cruciale all’interno delle nostre interazioniquotidiane di routine con gli altri: quanto più aiuto

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quotidiane di routine con gli altri: quanto più aiutodaremo, tanto più ne riceveremo. Questo aspetto dellacooperazione umana è tanto più importante a causa dellasua antichità. Noi siamo l’unica specie che utilizzi unapiena reciprocità indiretta grazie al linguaggio potente eflessibile da noi sviluppato. Gli animali, quando valutanola reputazione di un altro individuo, devono fondarsisull’osservazione diretta, mentre l’uomo, grazie all’usodel linguaggio, può imparare dall’esperienza altrui. Noipossiamo associare un nome al volto di qualcuno e usarloper creargli una reputazione.

La reputazione è una forza potente che può esseresottoposta a controllo per evitare la tragedia dei benicomuni. Il successo dipende dalla libertà di informazionein assenza di censura e di false testimonianze. Noiabbiamo bisogno di informazioni dettagliate sulla misurain cui persone, società o paesi dilapidano risorsepreziose. Dobbiamo conoscere il vero costo ambientaledi tutto, da quello di una caldaia a quello diun’automobile, in modo da poter costruire una tabelladettagliata dei prezzi. Abbiamo bisogno di conoscere irischi reali del cambiamento climatico senza scarti,abbellimenti o esagerazioni.

Nel corso degli anni abbiamo intessuto reti sempre più

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Nel corso degli anni abbiamo intessuto reti sempre piùestese di reciprocità indiretta da villaggi a città a stati, finoa coprire il mondo intero. Ora, in conseguenza dell’altaconnettività delle nostre reti mondiali, la reputazioneassociata a un nome può diffondersi in tutto il pianeta inpochi minuti. Se uno scienziato ha una grande idea inAsia, un suo collega negli Stati Uniti può saperlo pochisecondi dopo. Se un articolo stimolante viene pubblicatosu un blog, può essere diffuso, tradotto e discusso intutto il mondo in giornata. Se una nuova canzoneorecchiabile è scaricabile dalla rete, può essere cantataaltrettanto facilmente nella strada principale di unacittadina come in una viuzza di un grande ghetto urbano.

Molti miei collaboratori vivono in altri continenti, magrazie alla posta elettronica, a Skype, al telefono e viadicendo, è come se fossero seduti nella stanza accantoalla mia. Il mio studio nei boschi del New England èaltrettanto vicino a Cambridge, Massachusetts, quantoalla casa di Roger a Londra o all’ufficio di Hisashi aTokyo. Grazie a tutto questo, le idee e le innovazioniproduttive possono diffondersi in poco tempo a grandidistanze. Oggi ci sono innumerevoli modi grazie ai quali lacooperazione può prosperare.

Ma le nuove opportunità portano anche nuovi pericoli.

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Ma le nuove opportunità portano anche nuovi pericoli.Tutte le mie ricerche sull’evoluzione della cooperazione siimbattono in un elemento inevitabile: non esiste una realtàideale come l’Utopia, e il grado di cooperazione in unasocietà diminuirà con la stessa inevitabilità con cuicrescerà nuovamente. Con l’avvento dellaglobalizzazione le risorse del pianeta sono avviate aesaurirsi, e la continua competizione per la crescitaeconomica è insostenibile. Alla globalizzazione siaccompagna anche l’uniformazione, che ci rende piùvulnerabili ai colpi dell’avversa fortuna. Come si è visto ineconomia, non c’è più sicurezza nell’investire in azionidiversificate americane, europee e asiatiche. Sono tutteinterconnesse, e quando un crack finanziario colpisce unmercato, tutti gli altri possono seguire a ruota. Per lastessa ragione siamo più vulnerabili alle pandemie: grazieai voli internazionali, una malattia può affermarsirapidamente e diffondersi in tutto il mondo.

Non possiamo attenderci che la cooperazione duri ineterno. Possiamo però sperare che duri il più a lungopossibile, facendoci soffrire molto più raramente glioccasionali collassi. E dopo ogni crollo possiamometterci all’opera per ripristinarla rapidamente. Abbiamobisogno di riporre più fede nei cittadini che nei capi. La

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bisogno di riporre più fede nei cittadini che nei capi. Lacooperazione deve venire dal basso, non deve essereimposta dall’alto. Ecco perché, per esempio, lademocrazia è una pietra angolare, essendo una forma dicooperazione che cresce dal basso. Per poter cogliere ibenefici di questa creatività dobbiamo impegnarci ancoradi più nella creazione di un ambiente in cui lacooperazione possa prosperare.

Un’altra lezione che si può trarre dall’analisi che hocompiuto per anni dei meccanismi della cooperazione èche dobbiamo imparare a non avere vedute tropporistrette, e a non essere gretti e competitivi. Quando sitratta per esempio della struttura della società, dobbiamoabbandonare una visuale limitata esclusivamente sui nostriparenti. La selezione di parentela (anche se formulata inmodo appropriato) è solo una piccola componente dellacooperazione umana. Il nepotismo, poi, ècontroproducente quando si tratta di coltivare lacooperazionein strati più ampi della società.

È necessario andare al di là dell’idea angusta che lacooperazione debba essere per forza imposta, conpunizioni e minacce. Secondo me una cooperazionecreativa può nascere solo da interazioni ispirate damotivazioni positive: partecipazione, amicizia e

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motivazioni positive: partecipazione, amicizia eremunerazione.

Inoltre abbiamo scoperto che, invece di concentrarcisu obiettivi immediati, dobbiamo mostrare una maggioredisponibilità a imparare le lezioni impartite dai successidegli altri. Se adottiamo la strategia di questi ultimi,invece di limitarci al perseguimento dei nostri piccoliobiettivi egoistici, ci assicureremo che quella strategiavincente diventerà uno standard.

Ovviamente dobbiamo anche tenere ben presentel’eredità di Hardin. Abbiamo bisogno di trovare nuovimodi di pensiero – un’estensione fondamentale dellamoralità – se dobbiamo vivere entro i limiti dei nostrimezzi terrestri. Questo mi riporta a un’osservazione cheho già fatto ma che vale la pena ripetere. Nel corso deglianni le mie ricerche mi hanno confermato che, sevogliamo risolvere il dilemma del prigioniero, dobbiamoessere generosi, ottimisti e disposti a perdonare. Forseper la prima volta possiamo vedere le conclusioni dellascienza e della matematica intrecciarsi agli insegnamentidelle religioni di tutto il mondo.

Gli esseri umani sono supercooperatori. Noi siamo ingrado di attingere a tutti e cinque i meccanismi dellacooperazione: nello specifico siamo l’unica specie che

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cooperazione: nello specifico siamo l’unica specie chepuò fare ricorso a tutto il potere della reciprocitàindiretta, grazie al nostro linguaggio ricco e flessibile.Abbiamo dei nomi, cui sono associate reputazioni chepossono essere usate per aiutarci a cooperare piùstrettamente. Possiamo anche progettare l’ambiente incui viviamo – dall’architettura alle leggi, a internet e moltoaltro – per ottenere una cooperazione più durevole. Diconseguenza la nostra capacità di collaborare ha lapotenzialità di crescere ancora di più per raggiungerenuove vette di armonia e unità. E ci tengo a sottolineareancora una volta che mi riferisco a molto di più che a unasemplice cooperazione oggi e nel qui e ora. Grazie allostraordinario meccanismo della reciprocità indiretta, illinguaggio può unire gli interessi del passato, del presentee anche del futuro.

Molti amano parlare dei loro doveri verso le futuregenerazioni. Le discussioni sulla sostenibilità siconcentrano sull’idea dell’equità intergenerazionale:fornire alla prossima generazione, e a quelle cheseguiranno, lo stesso potenziale ambientale esistente oggi.Spesso i politici meditano sull’eredità che vorrebberolasciare ai loro nipoti. A me piacerebbe spingere questaidea alla sua conclusione logica, e incoraggiare tutti a

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idea alla sua conclusione logica, e incoraggiare tutti apensare con onestà a come stanno cooperando con lefuture generazioni. A questo fine dobbiamo ampliarel’orizzonte delle nostre preoccupazioni ben oltre gli eventidi domani. Dobbiamo fare in modo che il nostro doveredi prenderci cura dell’ambiente che lasciamo agli altriincluda anche l’avvenire di coloro che non sono ancoranati. Dobbiamo fare del nostro meglio per cooperare conle molte decine di miliardi di individui che erediteranno ilmondo da noi.

Spero che nel lontano futuro un supercooperatoreguardi verso un infinito orizzonte colmo di opportunità.Se adotteremo una visione cosmica, ci sarà qualchesperanza per la vita. Sono certo che in tutto l’universo cisiano migliaia se non milioni di società avanzate quanto lanostra; forse ancora di più. Ognuna di queste userà senzadubbio approcci diversi per risolvere il problema diun’efficiente cooperazione globale. Qualche approcciofunzionerà, altri falliranno.

Fra queste società opererà un superiore livello diselezione. Alcune civiltà si espanderanno eprospereranno a lungo. Molte non prospereranno, epotrebbero estinguersi. Ma sono in serbo anche altrifinali. Alcune civiltà perderanno la loro patria e andranno

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finali. Alcune civiltà perderanno la loro patria e andrannoa colonizzare altri pianeti. Altre potrebbero estinguersilasciando però nella loro scia un nuovo tipo di vita, unaflottiglia di robot spaziali intelligenti in grado di riprodursi,prosperare ed esplorare la loro galassia. Le civiltà cheavranno risolto il problema della cooperazionesopravvivranno nel cosmo. Quello che possiamo fare èsolo sperare che l’elenco dei supercooperatori disuccesso includa quelle forme di vita basate sul carbonioche chiamiamo esseri umani. In questa grandeavventura, ognuno ha un ruolo da svolgere. Il successodipende da tutti. Ora tocca a voi.

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Ringraziamenti

I nostri sforzi per descrivere i meccanismi dellacooperazione sono dipesi dall’aiuto, dalla gentilezza edalla generosità di un gran numero di persone. Lacooperazione domina!

L’impulso iniziale alla cooperazione nel nostro gruppovenne dal mio coautore per questo libro, RogerHighfield, quando si rese conto che nel corso di duedecenni aveva coperto, scrivendo per il “DailyTelegraph”, gli argomenti da me trattati in articoli perriviste come “Nature” e “Science”. Egli pensò che unlibro sulle mie ricerche avrebbe potuto dare a un lettoregenerico una visione panora-mica degli ultimi sviluppi inmolte discipline scientifiche.

La prima volta che parlai delle “cinque regole perl’evoluzione della cooperazione” fu a una conferenzatenuta nel marzo 2006 al dipartimento di zoologiadell’Università di Oxford per il settantesimo compleannodel mio grande amico e maestro, Lord May di Oxford. Il

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del mio grande amico e maestro, Lord May di Oxford. Ilcalore e l’entusiasmo che salutarono la mia conferenzaravvivarono in me il ricordo del luogo dov’ero stato cosìfelice per molti anni.

Vari argomenti di questo libro furono presentati esviluppati alle “Templeton Lectures”, che presentai allaJohns Hopkins University nel marzo 2010. Questeconferenze furono organizzate da Steven Gross efinanziate da un lascito del Metanexus Institute,unitamente a finanziamenti corrispondenti della JohnTempleton Foundation e della Krieger School of Artsand Sciences della Johns Hopkins University.

Desidero esprimere qui molti ringraziamenti al nostroagente, John Brockman, da estendere anche a KatinkaMatson e a Max Brockman. Abbiamo un debito anchenei confronti dei nostri redattori alla FreePress e allaCanongate, a Hilary Redmon e a Nick Davies, per i loropreziosi consigli e il loro sostegno. Grazie anche aSydney Tanigawa, a Katryn Higuchi, ad Amy Ryan e ailoro colleghi della produzione. Il mio coautore RogerHighfield ebbe la fortuna che il suo editore, DavidWilson, e il suo caporedattore, Jeremy Webb, siano statilieti di lasciargli proseguire questo progetto quandopassò, nel 2008, dal “Daily Telegraph” al periodico

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passò, nel 2008, dal “Daily Telegraph” al periodico“New Scientist”, di cui divenne direttore.

Roger ebbe molto sostegno anche dai suoi amici.Anne Blumberg e Jon Dorfman gli furono di grande aiutodurante varie sue visite a Cambridge nel corso degli anni.Preziose opportunità di lavorare sul manoscritto glifurono fornite da Jean e Barry Blumberg a Rangeley, nelMaine; da Tina e Michael Mahony a Southwold, nelSuffolk; e da Jim Lawrie e Carole Gannon aFordingbridge, nello Hampshire. Jamie Lyle e TracyNixon gli diedero un passaggio in macchina da Biggin Hilla Bangor, nel Maine, e poi da Rangeley a Bar Harbor ea Boston. Vari suoi amici – fra cui in particolare GeorgeBlumberg, Stefano Blumberg, Peter Coveney, JonDorfman, Graham Farmelo, Eamonn Matthews e BrianMillar commentarono le sue bozze. Anche la moglie diRoger, Julia Brookes, offrì molti aiuti preziosi. E ci sonoanche altri che gli fornirono preziosi aiuti indiretti, comePaul Carter, Gulshan Chunara, Heather Gething, RajPersaud e David Johnson.

Molti accademici hanno avuto la cortesia di risponderea sue domande: tra essi ci sono Anna Dreber Almenberg,Tim Clutton-Brock, Molly Crocket, Ernest Fehr, ErezLieberman, Bob May, Manfred Milinski, Paul Nurse,

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Lieberman, Bob May, Manfred Milinski, Paul Nurse,David Rand, Alan Sanfrey, Hava Siegelman, KarlSigmund, Jack Szostak, Corina Tarnita, ManfredeWenzel ed Edward O. Wilson. Alcuni hannocommentato determinate sezioni. Oren Harman fornì unmanoscrittto della propria biografia, The Price ofAltruism, prima che fosse pubblicata, insieme alla bozzadi un articolo scritto in collaborazione con John MaynardSmith sulle origini dell’opera di George Price.

Io sono grato a Jeffrey Epstein, alla TempletonFoundation, al National Science Foundation e al NationalInstitute of Health per il sostegno che mi hanno dato nelcorso degli anni. Vorrei ringraziare la Harvard Universityper avermi permesso di condurre una vita dedicata allaricerca e all’insegnamento nel più elevato e stimolante fratutti gli ambienti accademici. Il Program for EvolutionaryDynamics non esisterebbe senza la dedizione di MayHuang e il sostegno di Lydia Liu.

Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di potercooperare con un gran numero di scienziati di altissimolivello. Qui posso nominarne solo alcuni, molti dei qualisono miei coautori in vari articoli sulla cooperazione.Vorrei ringraziare: Tibor Antal, Ramy Arnaout, HeatherBattey, Nicholas Beale, Niko Beerenwinkel, Baruch

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Battey, Nicholas Beale, Niko Beerenwinkel, BaruchBlumberg, Maarten Boerlijst, Immanuel Bomze,Sebastian Bonhoeffer, Pedro Bordalo, Ivana Božič,Hannelore Brandt, Reinhard Bürger, Matteo Cavaliere,Krishnendu Chatterjee, Sarah Coakley, Karen Croxson,Attila Csikasz-Nagy, David Dingli, Anna DreberAlmenberg, Michael Doebeli, Tore Ellingsen, Ernst Fehr,Steven Frank, Feng Fu, Drew Fudenberg, SimonGächter, David Haig, Christoph Hauert, Alison Hill,Lorens Imhof, Jeffrey Ishizuka, Yoh Iwasa, Joe Jackson,Vincent Jansen, Timothy Killingback, Natalia Komarova,David Krakauer, Philipp Langer, Simon Levin, ErezLieberman Aiden (dopo il matrimonio, lui e sua mogliedecisero di aggiungere un secondo cognome, Aiden, aentrambi i loro cognomi), Michael Manapat, BarnabyMarsh, Robert May, John Maynard Smith, Jean-BaptisteMichel, Franziska Michor, Manfred Milinski, GarrettMitchener, Charles Nathanson, Partha Niyogi, HisashiOhtsuki, Jorge Pacheco, Karen Page, ChristinaPawlowitsch, Steven Pinker, Thomas Pfeiffer, JoshuaPlotkin, David Rand, Sébastien Roch, DanielRosenbloom, Akira Sasaki, Peter Schuster, AnirvanSengupta, Noam Shoresh, Edward Stabler, HavaSiegelmann, Karl Sigmund, Tina Tang, Corina Tarnita,

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Siegelmann, Karl Sigmund, Tina Tang, Corina Tarnita,Christine Taylor, Peter Taylor, David Tilman, ArneTraulsen, Robert Trivers, Matthijs van Veelen, BertVogelstein, Neal Wadwha, Nick Wage, Joe YuichiroWakano, John Wakeley, Long Wang, Claus Wedekind,Martin Willensdorfer, Edward O. Wilson e DominikWodarz. Devo allo chef francese Raymond Ost ilprivilegio di avere potuto esaminare forme dicooperazione in cucina.

Infine, entrambi vorremmo ringraziare le nostrefamiglie per avere sopportato la nostra assenza mentrefaticavamo sul manoscritto e per averci sostenuto inquello che si rivelò un progetto molto maggiore di quantopensassimo entrambi. Ringraziamo Franz, Doris, Betty,Gertrude, Julia, Holly, Philipp, Rory, Sebastian e Ursulaper la loro pazienza e il loro amore, il loro buon umore ela loro cooperazione incondizionata.

Martin Nowak e Roger Highfield

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Capitolo 11 (Punire e perire)

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Capitolo 11 (Punire e perire)Articoli

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Libri

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L. Goracci, Bietti, Milano.

Capitolo 12 (Quanti amici sono troppi?)Articoli

Barabási, Albert-László A. e Réka Albert (1999), Emergenceof Scaling in Random Networks, in “Science”, 286, pp.509-512.

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Libri

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Goethe, Johann Wolfgang, Il noviziato di GuglielmoMeister, trad. it. di B. Arzeni, in Goethe (1989).

Goethe (1989), Opere, a cura di V. Santoli, Sansoni,Firenze.

Capitolo 13 (Gioco, partita e incontro)Articoli

Antal, Tibor et al. (2009), Evolution of Cooperation byPhenotypic Similarity, in Proc. Natl. Acad. Sci. USA”,106, pp. 8597-8600.

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Tarnita, Corina et al. (2009), Evolutionary Dynamics in SetStructured Populations, in “Proc. Natl. Acad. Sci. USA”,106, pp. 8601-8604.

Tarnita, Corina et al. (2009), Strategy Selection inStructured Populations, in “Journal of TheoreticalBiology”, 259, pp. 570-581.

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Libri

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Libri

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Nowak, Martin A. (2006), Evolutionary Dynamics:Exploring the Equations of Life, Belknap Press ofHarvard University Press, Cambridge.

Capitolo 14 (Un crescendo di cooperazione)Articoli

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Beddington, John (2010), Food Security: Contributions fromScience to a New and Greener Revolution, in “Philos.Trans. Roy. Soc. B”, 365, pp. 61-71.

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http://lugar.senate.gov/nunnlugar/pdf/NPSurvey.pdfMay, Robert M. (2010), Ecological Science and

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Tilman, David, Jason Hill e Clarence Lehman (2006),Carbon-Negative Biofuels from Low-Input HighdiversityGrassland Bio-mass, in “Science”, 314, pp. 1598-1600.

Libri

Bibbia Concordata (1968), a cura della Società BiblicaItaliana, vol. III, Nuovo Testamento, edizione Club degliEditori, su licenza della Arnoldo Mondadori, Milano.

Darwin, Charles (1871), The Descent of Man, and Selectionin Relation to Sex, John Murray, Londra.

Darwin, Charles (1874), The Descent of Man, and Selectionin Relation to Sex, John Murray, Londra.

Mahler, Gustav (1911), Das Lied der Erde, VI. DerAbschied.

Ridley, M. (2010), The Rational Optimist: How ProsperityEvolves, Fourth Estate, Londra.

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Codice edizioni

Cristina Amoretti e Nicla Vassallo, Piccolo trattato diepistemologia

Anil Ananthaswamy, Ai confini della realtà. Viaggio tra isegreti dell’universo

Chris Anderson, La coda lunga. Da un mercato di massa auna massa di mercati

Brunella Antomarini, Pensare con l’errore. Il bersagliomobile della conoscenza

W. Brian Arthur, La natura della tecnologiaAa.vv., Lezioni Urbinati 2003/2009Amedeo Balbi, Il buio oltre le stelle. L’esplorazione dei lati

oscuri dell’universoEnrico Bellone, La scienza negata. Il caso italianoEnrico Bellone, L’origine delle teorieEnrico Bellone, Galilei e l’abisso. Un raccontoEnrico Bellone, Qualcosa, là fuori. Come il cervello crea la

realtàSergio Bellucci, Marcello Cini, Lo spettro del capitale. Per

una critica dell’economia della conoscenzaCarlo Bernardini, Fisica vissutaAlain Berthoz, La scienza della decisione

Page 650: Nowak, M. - Supercooperatori (2012)

Alain Berthoz, La scienza della decisioneAlain Berthoz, La semplessitàNick Bilton, Io vivo nel futuroGianfranco Biondi, Olga Rickards, Il codice darwin. Nuove

contese nell’evoluzione dell’uomo e delle scimmieantropomorfe

Luca e Alessandro Blengino, Leonardo Loom e il mstero delteschio

Roberto Bondì, Come vedessero due soli. Religione, scienza,modernità

Aldo Bonomi, La MalaombraStewart Brand, Una cura per la TerraJohn Brockman, Menti curiose. Come un ragazzo diventa

uno scienziatoAlan Burdick, Lontano dall’Eden. Un’odissea ecologicaAustin Burt, Robert Trivers, Geni in conflitto. La biologia

degli elementi genetici egoistiEmilio Carnevali, Pierfranco Pellizzetti, Liberista sarà lei!

L’imbroglio del liberismo di sinistraSean B. Carroll, Infinite forme bellissime. La nuova scienza

dell’Evo-DevoSean B. Carroll, Al di là di ogni ragionevole dubbio. La

teoria dell’evoluzione alla prova dell’esperienzaMarco Cattaneo (a cura di), Scienziati d’Italia.

Centocinquant’anni di ricerca e innovazioneLuigi Luca Cavalli Sforza, L’evoluzione della cultura

(edizione aggiornata 2010)George Charpak, Roland Omnès, Siate saggi, diventate

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George Charpak, Roland Omnès, Siate saggi, diventateprofeti

Denise Chong, La bambina nella fotografia. La storia diKim Phuc e la guerra del Vietnam

Felice Cimatti, Il possibile e il reale. Il sacro dopo la mortedi Dio

Marcello Cini, Il supermarket di Prometeo. La scienzanell’era dell’economia della conoscenza

Gregory Clark, Senza pietà. Breve storia economica delmondo

Flo Conway, Jim Siegelman, L’eroe oscuro dell’etàdell’informazione. Alla ricerca di Norbert Wiener, ilpadre della cibernetica

Boris Cyrulnik, La vergognaPaul Davies, Uno strano silenzio. Ripensare la ricerca di

un’intelligenza alienaDevra Davis, La storia segreta della guerra al cancroMario De Caro, Andrea Lavazza, Giuseppe Sartori, Siamo

davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del liberoarbitrio

Jerry A. Coyne, Perché l’evoluzione è veraAlan Dershowitz, Rights from WrongsJared Diamond, James Robinson, Esperimenti naturali di

storiaThomas Dixon, Scienza e religioneMara Dompè, Alessandro Blengino, Little DarwinPierluigi Dovis, Chiara Saraceno, I nuovi poveri. Politiche

sulle disuguaglianzePaul R. Ehrlich, Le nature umane. Geni, culture e

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Paul R. Ehrlich, Le nature umane. Geni, culture eprospettive

Niles Eldredge, Darwin. Alla scoperta dell’albero della vitaNiles Eldredge, La vita sulla Terra. Un’enciclopedia della

biodiversità, dell’ecologia e dell’evoluzioneRichard Ellis, Enciclopedia del mareBrian Fagan, La lunga estate. Come le dinamiche climatiche

hanno influenzato la civilizzazionePaolo Flores d’Arcais, Albert Camus filosofo del futuroRichard Fortey, Terra. Una storia intimaDavid Foster Wallace, Tutto, e di più. Storia compatta

dell’infinitoFelice Frankel, L’incanto della scienzaJohn Freeman, La tirannia dell’e-mailMichael S. Gazzaniga, La mente eticaNeil Gershenfeld, Fab. Dal personal computer al personal

fabricatorMariano Giaquinta, Angelo Guerraggio, Ipotesi

sull’universitàAnn Gibbons, Il primo uomo. L’avventura della scoperta

dei nostri antenatiVittorio Girotto, Telmo Pievani, Giorgio Vallortigara, Nati

per credere. Perché il nostro cervello sembrapredisposto a fraintendere la teoria di Darwin

James Gleick, Isaac NewtonBarbara Goldsmith, Genio ossessivo. Il mondo interiore di

Marie CurieRebecca Goldstein, Incompletezza. La dimostrazione e il

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Rebecca Goldstein, Incompletezza. La dimostrazione e ilparadosso di Kurt Gödel

Stephen Jay Gould, La struttura della teoria dell’evoluzioneStephen Jay Gould, L’equilibrio punteggiatoStephen Jay Gould, I Have Landed. Le storie, la StoriaEnrico Grazzini, L’economia della conoscenza oltre il

capitalismo. Crisi dei ceti medi e rivoluzione lungaPietro Greco, Settimo Termini, Contro il declinoPietro Greco, Nico Pitrelli, Scienza e media ai tempi della

globalizzazioneNancy Thorndike Greenspan, La fine di ogni certezza. La

vita e la scienza di Max BornJonathan Haidt, Felicità: un’ipotesi. Verità moderne e

saggezza anticaMichael Hanlon, Dieci domande alle quali la scienza non

può (ancora) rispondereThomas P. Hughes, Il mondo a misura d’uomo. Ripensare

tecnologia e culturaNicholas Humphrey, Rosso. Uno studio sulla coscienzaOliver James, Il capitalista egoistaGeorge Johnson, Le stelle di Miss Leavitt. La storia mai

raccontata della donna che scoprì come misurarel’universo

Steve Jones, Quasi come una balena. Aggiornare“L’origine delle specie”

Michio Kaku, Il cosmo di Einstein. Come la visione diEinstein ha trasformato la nostra comprensione dellospazio e del tempo

Michio Kaku, Mondi paralleli. Un viaggio attraverso la

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Michio Kaku, Mondi paralleli. Un viaggio attraverso lacreazione, le dimensioni superiori e il futuro del cosmo

Michio Kaku, Fisica dell’impossibile. Un’esplorazionescientifica nel mondo dei phaser, dei campi di forza,del teletrasporto e dei viaggi nel tempo

Eric R. Kandel, Alla ricerca della memoria. La storia di unanuova scienza della mente

Stuart Kauffman, Reinventare il sacroJohn Kay, Il pensiero obliquo. Perché gli obiettivi si

perseguono meglio per via indirettaKevin Kelly, Quello che vuole la tecnologiaDavid Khayat, Speranza di domani. Conoscere e combattere

il cancroLawrence M. Krauss, Dietro lo specchio. Il misterioso

fascino delle dimensioni addizionali, da Platone allateoria delle stringhe e oltre

Lawrence M. Krauss, L’uomo dei quanti. La vita e lascienza di Richard Feynman

Rosalind Krauss, CelibiGeorge Lakoff, La libertà di chi?Charles Landry, City making. L’arte di fare la cittàRobert Laughlin, Un universo diverso. Reinventare la fisica

da cima a fondoDavid Leavitt, L’uomo che sapeva troppo. Alan Turing e

l’invenzione del computerJonah Lehrer, Proust era un neuroscienziatoJonah Lehrer, Come decidiamoDaniel J. Levitin, Fatti di musica. La scienza di

Page 655: Nowak, M. - Supercooperatori (2012)

Daniel J. Levitin, Fatti di musica. La scienza diun’ossessione umana

Daniel J. Levitin, Il mondo in sei canzoni. Come il cervellomusicale ha creato la natura umana

Jean-Marc Lévy-Leblond, La velocità dell’ombra. Ai limitidella scienza

Ignazio Licata, La logica aperta della menteAndrew Lih, La rivoluzione di WikipediaElisabeth A. Lloyd, Il caso dell’orgasmo femminile.

Pregiudizio nella scienza dell’evoluzioneAnna Maria Lombardi, Keplero. Una biografia scientificaClaudio Magris, Stefano Levi Della Torre, Democrazia,

legge e coscienzaRiccardo Manzotti, Vincenzo Tagliasco, L’esperienza.

Perché i neuroni non spiegano tuttoVittorio Marchis, Centocinquanta (anni di) invenzioni

italianeGary Marcus, La nascita della mente. Come un piccolo

numero di geni crea la complessità del pensiero umanoGary Marcus, Kluge. L’ingegneria approssimativa della

mente umanaLella Mazzoli, Network effect. Quando la rete diventa popStefano Mazzotti, Esploratori perduti. Storie dimenticate di

naturalisti italiani di fine OttocentoArthur I. Miller, L’impero delle stelle. Amicizia, ossessione e

tradimento alla ricerca dei buchi neriDaniela Minerva, Giancarlo Sturloni, Di cosa parliamo

quando parliamo di medicina

Page 656: Nowak, M. - Supercooperatori (2012)

quando parliamo di medicinaSteven Mithen, Il canto degli antenati. Le origini della

musica, del linguaggio, della mente e del corpoEvgeny Morozov, L’ingenuità della reteRichard Muller, Fisica per i presidenti del futuro. La scienza

dietro i titoli dei giornaliGary Paul Nabhan, A qualcuno piace piccanteGiorgio Napolitano, Gustavo Zagrebelsky, L’esercizio della

democraziaJayant Vishnu Narlikar, Le sette meraviglie del cosmoAldo Naouri, AdulteriAldo Naouri, Piccoli tiranni (non) crescono. Manuale di

educazione per i figli d’oggiAryeh Neier, Alla conquista delle libertàHenry Nicholls, George il SolitarioMartin A. Nowak, Supercooperatori. Altruismo ed

evoluzioneHelga Nowotny, Curiosità insaziabile. L’innovazione in un

futuro fragileHelga Nowotny e Giuseppe Testa, Geni a nudo. Ripensare

l’uomo nel XXI secoloSherwin B. Nuland, Il morbo dei dottori. La strana storia di

Ignác SemmelweisRobert Oerter, La teoria del quasi tutto. Il Modello

Standard: il trionfo mai celebrato della fisica modernaSusie Orbach, CorpiDomenico Parisi, Una nuova menteAntonio Pascale, Luca Rastello, Democrazia: cosa può fare

uno scrittore?

Page 657: Nowak, M. - Supercooperatori (2012)

uno scrittore?Marta Paterlini, Piccole visioni. La grande storia di una

molecolaMassimo Piattelli Palmarini, Psicologia ed economia delle

scelteRichard Posner, Un fallimento del capitalismo. La crisi

finanziaria e la seconda Grande depressioneNorman Potter, Cos’è un designerFranco Prattico, Eva neraDavid Quammen, L’evoluzionista riluttante. Il ritratto

privato di Charles Darwin e la nascita della teoriadell’evoluzione

Richard Reeves, Una forza della natura. Ernest Rutherfor,genio di frontiera

Peter J. Richerson, Robert Boyd, Non di soli geni. Come lacultura ha trasformato l’evoluzione umana

Matt Ridley, Francis Crick. Lo scopritore del codicegenetico

Paul Roberts, La fine del ciboSteven Rose, Il cervello del ventunesimo secolo. Spiegare,

curare e manipolare la menteSharman Apt Russell, Fame. Una storia innaturalePaul Seabright, In compagnia degli estranei. Una storia

naturale della vita economicaFrank Schirrmacher, La libertà ritrovata. Come (continuare

a) pensare nell’era digitaleClay Shirky, Uno per uno, tutti per tutti. Il potere di

organizzare senza organizzazione

Page 658: Nowak, M. - Supercooperatori (2012)

organizzare senza organizzazioneClay Shirky, Surplus cognitivoWole Soyinka, Clima di pauraTom Standage, Una storia del mondo in sei bicchieriTom Standage, Una storia commestibile dell’umanitàIan Stewart, La piccola bottega delle curiosità matematiche

del professor StewartMark C. Taylor, Il momento della complessità. L’emergere

di una cultura a reteNeil DeGrasse Tyson, Donald Goldsmith, Origini.

Quattordici miliardi di anni di evoluzione cosmicaNicla Vassallo, Donna m’apparveNicla Vassallo, Filosofia delle conoscenzePaolo Vineis, Equivoci bioeticiPaolo Vineis, Lost in translationsEdward O. Wilson, Il futuro della vitaGabrielle Walker, Un oceano d’aria. Perché il vento soffia e

altri misteri dell’atmosferaGabrielle Walker, Sir David King, Una questione scottante.

Cosa possiamo fare contro il riscaldamento globaleSpencer Wells, Il seme di Pandora. Le conseguenze non

previste della civilizzazionePeter Woit, Neanche sbagliata. Il fallimento della teoria

delle stringhe e la continua sfida all’unificazione delleleggi della fisica

Lewis Wolpert, Sei cose impossibili prima di colazione. Leorigini evolutive delle credenze

Charles Yang, Il dono infinito. Come i bambini imparano edisimparano le lingue del mondo

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disimparano le lingue del mondoSemir Zeki, Splendori e miserie del cervello

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Note

Prefazione

1 Darwin, 1967, p. 554. [N.d.T.]2 Darwin, 1967, p. 143. Nella prima traduzione italiana, di GiovanniCanestrini, dalla 6ª ed. (1872), la frase è così tradotta: «La lotta perl’esistenza è più severa fra gli individui e le varietà di una stessa specie»(Darwin, 1875, p. 74). E a p. 63, nel sommario del capitolo, Canestrinitraduceva: «Lotta per l’esistenza più severa fra gli individui e le varietàdi una stessa specie; spesso anche fra le specie del medesimo genere».Recentemente ha dedicato un saggio brillante a questo aspetto oscurodella biologia il citologo e biochimico Christian de Duve, premio Nobel1974 per la medicina e la fisiologia e autore di vari libri autorevolisull’origine della vita. Il saggio si intitola Genetica del peccato originale,Raffello Cortina, Milano 2010. Il peccato originale è identificato con laselezione naturale introdotta da Darwin come meccanismodell’evoluzione. Una metafora in qualche misura simile, benché allalontana, è quella dell’orologiaio cieco di Dawkins (1988) che vede nellaselezione naturale un meccanismo inconscio, che costruisce senzaprogettare, senza avere in vista alcun fine, appunto come un orologiaiocieco. [N.d.T.]3 Darwin, 1972, p. 181, dalla 2ª edizione. [N.d.T.]4 Kropotkin, 1950, p. 23. Nella prefazione alla seconda edizione dellaDescent of Man (1874), Darwin espose alcune considerazioni inrisposta ai suoi critici che può valere la pena di tener presenti ancoraoggi, sulle virtù e i limiti della selezione naturale e sulla provvisorietàdell’Origine dell’uomo. «I miei critici suppongono spesso che ioattribuisca tutti i mutamenti della struttura corporea e mentaleesclusivamente alla selezione naturale di quelle variazioni che vengonospesso chiamate spontanee; mentre, anche nella prima edizione

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spesso chiamate spontanee; mentre, anche nella prima edizionedell’Origine delle specie, affermai distintamente che si debba attribuiremolta importanza agli effetti ereditati dell’uso e disuso, in relazione siaal corpo sia alla mente. Attribuii anche una certa quantità dimodificazioni all’azione diretta e prolungata di mutate condizioni divita. Si deve tenere conto anche di occasionali mutamenti reversivi dellastruttura; né dobbiamo dimenticare quella che ho chiamato crescitacorrelata, con la quale intendo il fatto che varie partidell’organizzazione sono, in qualche modo sconosciuto, connesse inmodo tale che, al variare dell’una, cambiano anche altre; e se variazioniin una parte vengono accumulate dalla selezione, verranno modificatealtre parti. Di nuovo, vari critici hanno detto che, quando ho trovato chevari particolari strutturali nell’uomo non potrebbero essere spiegatidalla selezione naturale, mi sarei inventato la selezione sessuale; avevoperò già abbozzato in modo sufficientemente chiaro questo principionella prima edizione dell’Origine delle specie, dove avevo affermato cheera applicabile all’uomo. Questo argomento della selezione sessuale èstato trattato diffusamente in queste pagine semplicemente perché quime ne è stata offerta per la prima volta un’opportunità. Sono statocolpito dalla somiglianza di molte delle critiche semi-favorevoli allaselezione sessuale con quelle apparse all’inizio sulla selezione naturale,come per esempio quella secondo la quale essa spiegherebbe alcuniparticolari ma certamente non sarebbe stata applicabile nella misura incui io l’avevo usata. La mia convinzione del potere della selezionesessuale rimane intatta; è però probabile, o quasi certo, che varie mieconclusioni possano in futuro risultare erronee; e questa è una cosapressoché inevitabile nella prima trattazione di un argomento». [N.d.T.]

Introduzione

1 Hardy, 1987, p. 89. [N.d.T.]2 Goethe, Faust, parte II, atto V, trad. it. di V. Errante, in Goethe,1970, p. 1195. Per rendere meno incerta l’interpretazione del lettore,riporto anche la più letterale traduzione in prosa di V. Amoretti: «Tuttociò che passa non è che un simbolo [Gleichnis], l’imperfetto [das

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ciò che passa non è che un simbolo [Gleichnis], l’imperfetto [dasUnzulängliche] qui si completa, l’ineffabile è qui realtà, l’eternofemminino ci attira in alto accanto a sé». Goethe, 1965, p. 655. [N.d.T.]3 Il termine non appare nella prima edizione, del 1859, ma è usato varievolte nella sesta edizione, quella classica del 1872, dove Darwin usaaddirittura (nel Capitolo 10) l’espressione the theory of evolutionthrough natural selection, espressione tradotta con teoriadell’evoluzione per selezione naturale in Darwin, 1967, p. 392. Laparola evoluzione compare invece già una trentina di volte nella primaedizione di The Descent of Man, pubblicato nel 1871, ossia l’annoprima della sesta edizione dell’Origine delle specie, e apparesporadicamente nelle lettere di Darwin dagli anni Quaranta in poi eparticolarmente negli anni Sessanta. [N.d.T.]4 Darwin, 1962, p. 40. [N.d.T.]5 Darwin, 1962, p. 121. [N.d.T.]

Capitolo 1: Reciprocità diretta: tit for tat

1 Shakespeare, Macbeth, trad. it. di C. Chiarini, atto III, scena IV, inShakespeare, 1964, p. 961. [N.d.T.]2 Alle due famiglie appartennero Johnse Hatfield e Roseanna McCoy,gli sfortunati amanti noti in America come Romeo e Giulietta degliAppalachi. La cruenta ostilità fra gli Hatfield e i McCoy, che divampòin modo discontinuo fra il 1865 e il 1888 nel Kentucky-West Virginia,sarà probabilmente rievocata in un film con regia di Scott Cooper cheavrà fra i suoi protagonisti Brad Pitt e Robert Duvall. [N.d.T.]

Capitolo 1: Reciprocità diretta: tit for tat

1 Senofonte, Ciropedia, libro VIII, C.2.5. [N.d.T.]2 Shakespeare, Otello, atto III, scena III, in Shakespeare, 1964, pp.

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2 Shakespeare, Otello, atto III, scena III, in Shakespeare, 1964, pp.883-884. [N.d.T.]

Capitolo 3: Giochi spaziali: la scacchiera della vita

1 Questo brano famoso di una lettera scritta nel 1871 da CharlesDarwin all’amico Hooker è citato dal figlio di Darwin, Francis, inrelazione a una lettera scritta dal padre allo stesso Hooker il 29 marzo1863, in Darwin, 1887. [N.d.T.]

Capitolo 4: Selezione di gruppo: guerre tribali

1 Darwin, 1871, p. 163 (traduzione mia dall’originale). Per unatraduzione italiana si veda Darwin, 1972, p. 156. [N.d.T.]2 Darwin, 1871, p. 166 (traduzione mia dall’originale). Per unatraduzione italiana si veda Darwin, 1972, p. 158. [N.d.T.]3 Darwin, 1871, p. 162 (traduzione mia dall’originale). Per unatraduzione italiana si veda Darwin, 1972, p. 156. [N.d.T.]4 «Se l’opre di natura vuoi studiare / Devi guardare sempre il tutto el’uno insiem». Gott und Welt, Epirrhema, in Goethe, 1961, vol. II, p.153. [N.d.T.]

Capitolo 5: Selezione di parentela: il nepotismo

1 La battuta di Haldane si può trovare in Accidental Career, in “NewScientist”, 8 agosto 1974.2 Il ricordo di Dawkins è pubblicato anche online, in “The ThirdCulture”, “Edge 65”, al linkhttp://www.edge.org/documents/archive/edge65.html. [N.d.T.]3 William Shakespeare, Troilo e Cressida , atto III, scena III, trad. it. diM. Praz, in William Shakespeare, Tutte le opere , a cura di Mario Praz,

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M. Praz, in William Shakespeare, Tutte le opere , a cura di Mario Praz,Sansoni, Milano 1967, p. 781. [N.d.T.]

Capitolo 6: Pre-vita

1 Questa conclusione dell’Origine delle specie, grandiosa nella suasemplicità per riprendere due termini usati dallo stesso Darwin, haavuto molte traduzioni, da quella di Giovanni Canestrini, edita nel 1875dalla UTET, a quella di Luciana Fratini, pubblicata nel 1967 dallaBoringhieri, a quella di Cesare Balducci uscita per i tipi della NewtonCompton nel 1973. Le traduzioni della UTET e della Boringhieri sonostate compiute sulla 6ª edizione inglese (l’ultima pubblicata durante lavita di Darwin) del 1872. Quella della Netwton Compton si fondainvece sulla prima edizione, del 1859, riportando però anche le variantidel 1872. Mi spiace dire che non mi sono convinto a usare nessuna diqueste traduzioni, nessuna delle quali mi sembra sufficientementecorretta, e che ho perciò ritenuto giustificabile provare a darne una mia.Il brano citato si trova tanto nell’edizione del 1859 quanto in quella del1872 (ma comincia a comparire già nella seconda edizione), conun’unica differenza di rilievo: le parole dal Creatore , che ho citato fraparentesi quadre, le quali compaiono nella sesta edizione dell’Originedelle specie ma non nella prima. Cosa inspiegabile, queste parolemancano nell’edizione Newton Compton, che pure dichiara di derivaredalla sesta edizione inglese. Ci si può domandare per quale ragioneDarwin abbia fatto questa “concessione” al Creatore, che non comparenella prima edizione, ed è escluso accuratamente nella sua operascientifica, dove il vero creatore è la selezione naturale, l’orologiaiocieco di Dawkins. La concessione di un Creatore aveva quiprobabilmente l’unico intento di smorzare le polemiche e lecontrapposizioni (la sua stessa moglie Emma Wedgwood era una devotacristiana). Vale la pena di notare che la conclusione dell’Origine dellespecie citata in epigrafe non risale, come si potrebbe credere, al 1859,bensì a parecchi anni prima. Essa è infatti usata già come conclusionedegli abbozzi del 1842 e del 1844. Nell’abbozzo del 1842 (Darwin,1960), pp. 83-85, Darwin spiegava che il mondo, tanto la materia

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1960), pp. 83-85, Darwin spiegava che il mondo, tanto la materiainanimata quanto quella animata, deve essere il prodotto di leggiuniversali immutabili, ma che solo i limiti della nostra intelligenza ciimpediscono di concepire questo disegno, inducendoci piuttosto asupporre che la creazione di ogni specifico essere vivente «richieda ilfiat di un Creatore». Benché Darwin parli qui di un «Creatoreonnisciente» di «infiniti sistemi di mondi», questo Creatore sembraessere solo una metafora per la natura creatrice, favorita forsedall’identificazione panteistica deus sive natura di Spinoza. Peraltrol’inclusione del Creatore a partire dalla seconda edizione dell’Originedelle specie potrebbe essere stata favorita dall’identificazione,persistente nella mente di Darwin, di Dio e natura (suggerita dall’uso,fin dal 1842, del verbo to breath). Questo uso è documentato già nellaKing James Version della Bibbia: «And the Lord God formed man ofthe dust of ground, and breathed into his nostrils the breath of life»,Genesi, 2, 7; nella Vulgata: «Inspiravit in faciem eius spiraculum vitae,et factus est homo in animam viventem». La parola breath non è usatanella Bibbia solo per l’uomo, ma per tutti gli animali: un esempio fratanti, nell’ultimo versetto dei Salmi: «Let everything that has breathpraise the Lord. Praise the Lord!» (KJV, Psalm 150, 6): «Ogni cosa cherespira lodi l’Eterno. Alleluia.» (trad. di Giovanni Diodati). [N.d.T.]2 Darwin, 1859. Traduzione mia. Si vedano per confronto le traduzionidi Canestrini (1875), p. 433; di Fratini (1967), p. 553; di Balducci(1991), p. 428. [N.d.T.]

Capitolo 7: Società di cellule

1 Da Pellegrina di pace, Passi verso la pace interiore, trad. di ClaudiaBiacchi, dal sito http://www.peacepilgrim.com/pdf-files/Steps-Italian.pdf. Della stessa Biacchi è anche la traduzione italiana delvolume Pellegrina di pace, la vita e l’opera dalle sue parole,consultabile al link http://www.peacepilgrim.com/pdf-files/book/Pellegrina_di_Pace_Italiano.pdf. [N.d.T.]

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Capitolo 8: Il signore delle formiche

1 Darwin, 1959, Capitolo 7, la traduzione è mia. [N.d.T.]

Capitolo 9: Il dono della parola

1 William Shakespeare, Amleto, atto II, scena II, in Shakespeare, 1964,p. 695. [N.d.T.]2 Regis, 1987.3 William Shakespeare, La commedia degli errori, atto IV, scena I, inShakespeare, 1964, p. 160. [N.d.T.]4 La storia ci presenta il vichingo Knud il Grande (994/995-1035)soprattutto come il conquistatore capace di riunire sotto il suo scettro iregni di Danimarca, Inghilterra, Norvegia e parte della Svezia. Secondol’aneddotica, i suoi cortigiani lo presentavano come un re potentissimo,capace di comandare anche la natura. Si diceva che potesse addiritturaordinare alle maree di tornare indietro. Ma, forse più realisticamente,governando anche sulla Danimarca e sulla Norvegia, seppesalvaguardare l’unità dell’Inghilterra, impedendo che fosse invasa dallemaree vichinghe. [N.d.T.]5 La parola culturomics (culturomica) è evidentemente coniata sulmodello di genomica, e alla genomica e ai suoi metodi matematici einformatici si ispira nello studio delle varie componenti basilari dellacultura. Il culturome (culturoma) corrisponde altrettanto chiaramente algenoma. [N.d.T.]

Capitolo 10: Risorse comuni

1 L’articolo è consultabile in rete, a cura della Garrett Hardin Society, allink

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linkhttp://www.garretthardinsociety.org/articles/art_tragedy_of_the_commons.html.[N.d.T.]2 La frase è contenuta nel nastro 7 della lunga intervista Garrett HardinOral History Project fatta ad Hardin l’8 giugno 1983 dal professorRussell (ascoltabile al link http://www.garretthardinsociety.org/gh/gh_oral_history_tape7.html). [N.d.T.]3 Smith, 1975, libro IV, Capitolo 2, p. 584. [N.d.T.]4 Orwell, 1950, p. 25. [N.d.T.]5 La città è Lincoln, Massachusetts, una cittadina di 8000 abitanti allaperiferia di Boston. Nowak vi ha abitato dal 2003, anno in cui halasciato Princeton per la Harvard University. [N.d.T.]

Capitolo 11: Punire e perire

1 Ovidio, 1973, libro I, p. 29 (vv. 89-93 del testo latino). Può sembrarestrana questa traduzione degli esametri ovidiani in ottava rima. Opera diLuigi Goracci (1808-1883), questa versione fu pubblicata postuma nel1894 dall’editore Le Monnier col viatico dell’illustre filologo, storico ecritico letterario Isidoro del Lungo (1841-1927). E il filologo e latinistaGiuseppe Albini (1863-1933), che la ripubblicò nel 1927, la definì«forse la più chiara traduzione ch’io abbia letto di poeta, starei per diredi autore, latino», aggiungendo che in questa traduzione si avverte«qualche cosa di ovidiano […]. La destrezza e la ricchezza deltraduttore vera e viva si armonizzano con la fluente e felice venadell’autore» (p. 22). L’idea di tradurre le Metamorfosi in ottave era inrealtà venuta già vari secoli prima a Giovanni Andrea dall’Anguillara, lacui traduzione ebbe varie edizioni a partire almeno dal 1552, perarrivare quanto meno fino al 1884. La traduzione di Goracci è stataripubblicata recentemente da Omega Grafica, Città di Castello 1996.[N.d.T.]2 Dreber, Rand, Fudenberg e Nowak, 2008. [N.d.T.]

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Capitolo 12: Quanti amici sono troppi?

1 Goethe, 1989, libro VII, Capitolo 5, p. 807. [N.d.T.]2 Ecco, nel modo più semplice, in che cosa consiste questo pregiudizio:«Dalla discussione venne fuori un’idea interessante. Uno di quelli che vipartecipava propose un gioco per dimostrare che gli abitanti del globoterrestre sono molto più vicini l’uno all’altro, sotto molti punti di vista,di quanto lo siano stati nel passato. Dato un individuo qualunque tra ilmiliardo e mezzo di abitanti della Terra, che vive in un posto qualsiasi,lui sosteneva di riuscire a mettersi in contatto con quell’individuo almassimo attraverso cinque altri individui che si conoscessero tra loropersonalmente. Faccio un esempio: tu conosci XY e gli dici di riferire aZV, suo conoscente, che deve dare un messaggio a… ecc. “Beh, sonocurioso” replicò qualcuno. “Ecco, diciamo… diciamo Zelma Lagerlöf”.“Zelma Lagerlöf”, ripeté il nostro amico. “Niente di più facile”. Gli civollero solo due secondi per rispondere.”Dunque, Zelma Lagerlöf, comevincitrice di premio Nobel, conoscerà sicuramente re Gustavo di Svezia,infatti fu proprio lui a consegnarle il premio, come da consuetudine. Asua volta, re Gustavo di Svezia è un appassionato giocatore di tennis,partecipa a gare internazionali e nel passato ha giocato con Kehrling,che mi conosce molto bene”. (Io stesso conosco Kehrling.) “Ecco lacatena, abbiamo avuto bisogno solo di due anelli rispetto al massimo deicinque stabiliti dalla mia teoria. È normale che siano stati così pochiperché è più facile tracciare dei legami con gli uomini famosi rispetto aquelli che non lo sono. Infatti i primi conoscono più persone”». Questacitazione è un piccolo brano tratto dal racconto Catene dello scrittoreungherese Frigyes Karinthy, parte del quale è stato presentato in reteda Alessandra Galetta nella traduzione dall’ungherese di Makdaralo(consultabile al linkhttp://www.alessandragaletta.com/2010/03/07/catene-di-frigyes-karinthy/). Ho riportato qui il brano, perché mi sembra particolarmenteilluminante per chi non conosce la teoria dei “sei gradi di separazione”(popolarizzata anche dal film omonimo 6 gradi di separazione di Fred

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(popolarizzata anche dal film omonimo 6 gradi di separazione di FredSchepisi del 1993). Quanto all’idea dei gradi di separazione, Nowakparla di Frigyes Karinthy e dello studio scientifico di queste reti a p.250. [N.d.T.]3 Einstein, 1979, p. 13. [N.d.T.]

Capitolo 13: Gioco, partita e incontro

1 Meditation XVII, in Donne, 1624. [N.d.T.]2 Nowak, 2006. Questo volume è stato premiato lo stesso anno con ilprestigioso R.R. Hawkins Award. [N.d.T.]3 Norgay Tenzing (1914-1986), di etnia sherpa, è stato forse la guidapiù famosa nella regione himalayana, raggiungendo fra l’altro per primo,insieme al neozelandese Edmund Hillary, la cima dell’Everest, raggiuntanel maggio 1953. [N.d.T.]

Capitolo 14: Un crescendo di cooperazione

1 Mahler, 1911, VI, Der Abschied (il congedo). [N.d.T.]2 Hume, David, Trattato sulla natura umana, parte II, sezione V.[N.d.T.]3 Darwin, 1871, Capitolo 5, p. 166. La traduzione è mia. Quella chesecondo me potrebbe essere la traduzione migliore fra quelle esistenti,quella ottocentesca di Michele Lessona, è per certi versi un po’ troppoarcaica, e soprattutto usa l’espressione oggi non più accettabile di“scelta in relazione col sesso” in luogo di “selezione sessuale”. Itraduttori italiani classici di Darwin, fra cui Giovanni Canestrini(traduttore fra l’altro dell’Origine delle specie) e lo stesso MicheleLessona (traduttore dell’Origine dell’uomo), hanno avuto qualcheproblema a familiarizzarsi col termine darwiniano selection. CosìCanestrini traduce selection con elezione (un esempio particolarmentesignificativo: la traduzione del titolo del Capitolo 4 Natural Selection;

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significativo: la traduzione del titolo del Capitolo 4 Natural Selection;or the Survival of the Fittest tradotto da Canestrini Elezione naturale, osopravvivenza del più adatto; e nella traduzione dei titoli delle sezionidello stesso capitolo traduce Sexual Selection Elezione sessuale).Neppure Lessona usa il termine selezione, sostituendolo però conscelta, tanto nell’espressione selezione naturale quanto in quellaselezione sessuale. Sui motivi per cui Darwin ha introdotto il concettodi selezione sessuale si può vedere la parte finale della prefazione allaseconda edizione dell’Origine dell’uomo (Darwin, 1874). [N.d.T.]4 Matteo, 6: 3-4, in La Bibbia Concordata, vol. III, 1968, p. 1780.[N.d.T.]5 Questa citazione di Leibniz, che è una delle sue cinque più famose, èriprodotta più di un milione di volte su internet in traduzione, senza chemai se ne indichi la fonte (e lo stesso criterio è seguito in numeroseopere cartacee). Sempre su internet ho trovato alcune citazioni dellafrase in latino, cosa che mi ha permesso di darne quanto meno unatraduzione più vicina all’originale: «Musica est exercitium arithmaeticaeoccultum nescientis se numerari animi». [N.d.T.]

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Codice edizioni Paperback

Chris Anderson, La coda lungaPhilip Ball, ElementiKen Binmore, Teoria dei giochiSusan Blackmore, CoscienzaTom Burns, PsichiatriaLuigi Luca Cavalli Sforza, L’evoluzione della culturaMichael Freeden, IdeologiaJohn Gribbin, GalassieJonathan Haidt, Felicità: un’ipotesiLeofranc Holford-Strevens, Storia del tempoLeslie Iversen, Farmaci e sostanzeGary Marcus, La nascita della menteMark Maslin, Riscaldamento globaleJohn Polkinghorne, Teoria dei quantiLeonard A. Smith, CaosBernard Wood, Evoluzione umana