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Numero 109 - Anno XVIII, Novembre/Dicembre 2010

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IL CLUB n. 109 – pag. 2

IL CLUB Anno XVIII n. 109 (novembre/dicembre 2010)

Bimestrale di informazione per i soci del Club Plein Air BdSPubblicazione periodica a circolazione interna

inviata anche ad altre associazioni di campeggio e alla stampa

Responsabile editoriale

Maurizio Karra

Redazione

Mimma Ferrante, Giangiacomo Sideli e Alfio Triolo

Hanno collaborato a questo numero

Filippo De Luca, Luigi Fiscella, Licia Gristina, Enza Messina, Larisa Ponomareva Amenta, Giuseppe Eduardo Spadoni, Tatiana Tomasetta

In questo numero

Editoriale pag. 3

Vita del Club Uno sguardo sullo Stretto 4 Tesori nascosti 7 Le gite e i viaggi del 2010 in 160 foto 13 Una passeggiata nel barocco palermitano 16 Tra natura e atmosfere bizantine 21 Le nostre bambine 24

Tecnica e Mercato La rinascita del Magnum 25 Doppia coppia 28

Viaggi e Turismo Fino ai confini della Russia 30 Natale a Cervia 35

Terra di Sicilia Il castello Maniace di Siracusa 37 Punta Secca 38 La preistoria in Sicilia 39 ‘A trinca 40

Rubriche Terza pagina 41 Il mio camper 48 Musica in camper 50 Riflessioni 51 Cucina in camper 51 Internet, che passione 52 News, notizie in breve 54 L’ultima parola 56

In copertina “Le torri di Tallin” (Estonia) – Foto di Giuseppe Eduardo Spadoni

Questo numero è anche on-line sul nostro sito Internet www.pleinairbds.it

Associazione dei camperisti e degli amanti del plein air del

Rapporti associativi con

Sede socialeVia Rosolino Pilo n. 33

90139 Palermo Tel 091.608.5152

Internet: www.pleinairbds.it E-mail: [email protected]

Facebook:http://www.facebook.com/

pages/Club-Plein-Air-BdS/167612983261417

Comitato di CoordinamentoMaurizio Karra (Presidente); Giangiacomo Sideli (Vice Pre-sidente); Pippo Campo, Mas-similiano Magno, Luigi Pasto-relli, Giovanni Pitré ed Elio

Rea (Consiglieri); Emanuele Amenta, Rossella Costanza Romano, Mimma Ferrante,

Pietro Messina, Marcello Od-do, Vittorio Parrino e Alfio

Triolo (Collaboratori)

Collegio sindacaleLuigi Fiscella (Presidente); Sergio Campagna e Adele

Crivello (Componenti)

Collegio dei ProbiviriRino Tortorici (Presidente); Giuseppe Carollo e Pietro

Inzerillo (Componenti)

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Editoriale

venti della crisi spirano

ancora gelidi su di noi ed è sem-pre più difficile riuscire a profetiz-zare se e quando ne usciremo per davvero; nessuna ricetta riesce ad essere magica se anche alcuni stati d’Europa che un tempo veni-vano additati ad esempio di eco-nomia fiorente e galoppante, co-me l’Irlanda e la Spagna, sono sprofondati nel più mero e para-lizzante deficit, coinvolgendo l’intera Europa e tutta l’area dell’euro nella rincorsa a draco-niane misure finanziarie a propria difesa, nel tentativo di stabilizzare e fronteggiare il deficit statale e la conseguente speculazione finan-ziaria internazionale; misure che però contraggono ancor più il po-tere d’acquisto delle persone e mettono ancor più in crisi le a-ziende.

Insomma, il ciclo econo-mico che stiamo attraversando è fra i più tristi degli ultimi decenni e per chi ha vissuto gli anni del boom e del superfluo è davvero dura accontentarsi, fare a meno di tante cose che pure sono super-flue, anche se rimangono persone che continuano a sperperare infi-schiandosene della crisi. E proba-bilmente poco cambierà avvici-nandoci ancor più a Natale, quan-to meno a un Natale visto con gli occhi delle famiglie che aspettano di poter effettuare qualche spesa in più confidando nelle tredicesi-me e con quelli dei commercianti

che aspettano quelle stesse tredi-cesime per vendere qualcosa nei loro negozi paurosamente sempre più vuoti anche in tempo di saldi. Crisi dell’occidente e dei valori che hanno sostenuto i suoi popoli? Forse sì, soprattutto quan-do molti miti stanno rovinosamen-te crollando uno dopo l’altro la-sciando americani e tedeschi, fran-cesi e inglesi, italiani e greci e qua-lunque altro popolo cresciuto a tivu e coca cola in balia di un’identità perduta e ancora non sostituita da modelli alternativi. Abbiamo paura dell’Islam e degli stranieri che cer-cano di entrare a casa nostra, ab-biamo paura di perdere quella ric-chezza che abbiamo accumulato puntando su facili certezze che tali non sono. E la rissa continua che anche i nostri politici ci mostrano dai loro scranni testimonia quanto sia grave e nel contempo inconclu-dente l’età che stiamo vivendo, noi e i nostri figli.

Questa riflessione mi è na-ta nel corso dell’inaugurazione della mostra fotografica del Club, qualche giorno fa, quando Licia Gristina – come potrete leggere a pag. 15 – ci ha parlato della sua esperienza dell’estate scorsa in un Ospedale da campo della Tanzania partecipando alla mostra non con foto di viaggio ma con alcune bel-lissime immagini scattate soprat-tutto ai bambini che in quell’ospedale lottano quotidia-namente con la fame o con la dis-senteria o con il virus dell’HIV contratto già nel grembo materno. Bambini che comunque sorridono alla fotocamera che li immortala mentre giocano o mentre aspetta-no pazientemente il loro turno per essere visitati o per prelevare un pasto caldo a metà giornata. Bambini che soffrono e che pure sorridono. Bambini che non hanno le stesse aspettative dei nostri, che non desiderano sotto l’albero di Natale la nuova playstation o il nuovo cellulare multifunzione, semplicemente perché non hanno nemmeno un albero sotto il quale aspettare qualcosa e ancor più drammaticamente perché la loro aspettativa di vita è in molti casi assai ridotta, tanto che a 10 o 12 anni sono considerati adulti e già arruolati dagli eserciti più o meno regolari o irregolari che seminano morte e distruzioni nei vari villag-

gi del continente africano sfrut-tando le diatribe secolari fra popo-li e tribù.

Questa è l’altra metà del mondo, quella che non soffre per la crisi in atto semplicemente per-ché sopravvivere giorno per gior-no è già una bellissima conquista, perché sapere leggere o scrivere è una cosa da ricchi, perché anche mangiare qualcosa ogni giorno è un traguardo che non sempre vie-ne raggiunto, perché vivere fino a 50 anni è infine qualcosa che solo in pochi riescono a ottenere. Que-sto mentre da noi le scuole sono occupate dagli studenti che lotta-no contro i tagli imposti dalla ri-forma Gelmini, mentre le “parti sociali” (ma che significa parti so-ciali?) trattano per non fare chiu-dere industrie e limitare al mas-simo i licenziamenti dei dipenden-ti, mentre i manager che hanno fallito la loro missione aziendale vengono ...dimessi e nel contem-po “premiati” con una lauta buo-na-uscita che un esercito di operai e impiegati non sarebbe nemme-no in grado di spendere in tutta la vita. E mentre i nostri ministri, deputati, senatori e quant’altro giocano ogni giorno nel teatrino della politica infischiandosene dei problemi veri della gente.

Due mondi che si ignora-no. Due mondi che non si parlano. Due mondi che si snobbano a vi-cenda. Eppure due mondi che hanno bisogno l’uno dell’altro. Senza fronteggiarsi, ma cercando di integrarsi a vicenda, dato che ognuna delle due metà non può vivere - o sopravvivere – senza l’altra. Che sia bianca o nera, nor-dica o “sudicia”, cristiana o islami-ca, ricca o povera. Dato che la ricchezza non si misura solo con il denaro ma con la capacità di ama-re, come affermava Erich Fromm, uno dei massimi filosofi del ‘900 (“Avere o essere”).

Il Natale alle porte può es-sere l’occasione giusta per riflette-re su queste cose, sul perché di questa crisi, sui giusti metodi per uscirne; e può essere un’ottima occasione anche per renderci tutti più “ricchi”, anche se non abbia-mo molti ...soldi da spendere.

Maurizio Karra

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Uno sguardo sullo Stretto Tra il 16 e il 17 ottobre siamo andati alla (ri)scoperta di Messina, scandita dal suo amplissimo lungomare, che si affaccia sul celeberrimo Stretto con vista sulla Calabria, e dalle sue suggestive costruzioni liberty

uesta volta le previsio-

ni meteorologiche sono state ri-spettate e il tempo è stato …dalla nostra parte, permettendoci di go-dere di uno splendido fine-settimana di caldo e di sole con vi-sta sullo Stretto, a parte un paio d’ore di leggera pioggerella che però non ci ha fermato, siglando di fatto l’ultimo week-end quasi “e-stivo” prima dell’arrivo delle copio-se piogge autunnali; ma andiamo per ordine…

L’appuntamento per i soci del Club, orchestrato dalla sapiente regia del “nostro” Vittorio Parrino, era per sabato 16 ottobre presso il camping dello Stretto a Ganzirri, una delle poche possibilità logisti-che per visitare in camper la città di Messina, data l’atavica mancan-za di spazi di parcheggio di quest’ultima. Ma in ogni caso si tratta di uno dei punti più sceno-grafici della costa siciliana, dato che il campeggio è situato presso la località di Torre Faro, nel punto più …stretto dello Stretto di Messi-na (e qui si impone il gioco di pa-role), dove forse i nostri figli un giorno vedranno il famigerato pon-te che dovrebbe collegare la Sicilia al “continente”. E proprio i lavori di carotaggio per il ponte ci hanno accolto sulla strada al nostro arrivo in campeggio, mentre appena ci siamo sistemati c’è stato l’aperitivo con brindisi offerto dagli emoziona-ti Gaetano e Giselda Russo per fe-steggiare il loro nuovo camper alla sua prima uscita.

Dopo un pranzo veloce, mentre il sole si oscurava dietro qualche nuvola, ci siamo dedicati ad una piacevole passeggiata sul litorale circostante fra il mare e i laghetti di Ganzirri, dove la vista sulle dirimpettaie coste calabresi era davvero notevole; facevano da contraltare le spiagge orlate da palme di questa splendida località situata nella cuspide nord-orientale della Sicilia, dove sembra lenta-mente riemergere dalle acque la lunga catena appenninica attraver-so i monti peloritani. E’ un luogo di grande fascino, sempre immerso in una straordinaria luce e confuso fra terra e acque, con i pittoreschi

laghetti di Ganzirri; qui si individua la linea di demarcazione fra Tirreno e Ionio, mentre lo scenario è ca-ratterizzato anche dall’alto traliccio metallico, entrato ormai a far parte del paesaggio, che una volta per-metteva il collegamento della rete elettrica fra Sicilia e Calabria.

Una leggera pioggerella ci ha poi convinto a tornare in cam-peggio, dove il resto del pomeriggio

è trascorso mettendo a punto con i componenti del direttivo presenti alcuni programmi dei futuri raduni del Club, prima di trasferirci tutti alla pizzeria del campeggio per pas-sare allegramente la serata.

La mattina della domenica sotto uno splendido sole siamo sa-liti a bordo del pullman che ci a-vrebbe condotto a zonzo per la cit-tà in compagnia della nostra pre-

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In alto alcuni nostri soci al brindisi di auguri per il nuovo camper di Gisel-da e Gaetano Russo. In basso il panorama del Lago Grande di Ganzirri

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paratissima guida Katia, che fin da subito ha cominciato ad illustrarci le peculiarità della città dello Stret-to; infatti Messina vanta origine antichissime, retaggio di antiche leggende come quella della mo-struosa creatura che con il solo nome, Cariddi, suscitava le ango-sce dei marinai dell’antichità, come la dirimpettaia Scilla.

Ai giorni nostri la città con-serva pochi dei suoi tesori artistici, a causa dei numerosi terremoti che ha subito nel corso dei secoli, uno dei più gravi avvenuto il 28 dicem-bre 1908, che la rase praticamente al suolo e, come se questo ancora non bastasse, grazie al martellante bombardamento alleato che nel 1943 distrusse quel poco che era sopravissuto di antico nella zona del porto. In particolare della rico-struzione post terremoto restano numerose pregevoli costruzioni in stile liberty o eclettico, con influen-ze neogotiche e catalane.

La nostra prima tappa è stata presso il Museo Regionale, dove abbiamo ammirato notevoli dipinti che vanno dal ‘300 al ‘600, in particolare opere di Antonello da Messina, che a metà del ‘400 ha saputo coniugare la prospettiva dei maestri italiani con la precisione per i dettagli dei maestri fiammin-ghi, e quelle di Caravaggio, i cui toni bui potrebbero spiegarsi con la sua vita tumultuosa e la struggen-te personalità che lo portarono perfino all’assassinio.

Quindi ci siamo spostati verso il cuore del centro storico, ammirando le numerose costruzioni liberty e razionaliste che incontra-

vamo lungo il percorso, fino a rag-giungere l’ombelico storico della cit-tà, piazza Duomo, vasto slargo su cui si affaccia la cinquecentesca Fontana di Orione, una delle poche opere scultoree sopravvissute ai ca-taclismi cittadini, nata per celebrare la costruzione del primo acquedotto cittadino, con figure umane che per-sonificano importanti fiumi. Il duomo fu voluto dai normanni nel XII secolo ed è stato parzialmente ricostruito sia a causa dei frequenti terremoti cittadini che del bombardamento del 1943; il suo interno a tre navate, diviso da colonne con archi ogivali, è sovrastato da un magnifico tetto li-gneo a capriate dipinte, mentre la facciata è scandita da fasce marmo-

ree a bassorilievo, da un bel portale del ‘500 e dalla sagoma del famoso campanile, con i due quadranti che rappresentano il calendario e il si-stema planetario e gli automi che entrano in funzione a mezzogiorno.

E così, dopo la visita dell’interessante Tesoro del Duo-mo, con splendidi pezzi di orefice-ria sacra in argento e lamina d’oro, a mezzogiorno in punto eravamo tutti con il naso all’insù a scrutare il campanile e i suoi automi, che rappresentano le allegorie dei giorni della settimana e dell’età dell’uomo e la Madonna protagoni-sta dell’episodio della consegna della lettera: una leggenda vuole che durante una grave carestia sia giunta nel porto di Messina una nave senza uomini a bordo, ma ca-rica di frumento, con una lettera contenente una ciocca di capelli e un messaggio della Madonna che benediceva la città e i suoi abitan-ti, probabilmente i primi siciliani a convertirsi al cristianesimo nel 42 dopo l’arrivo di San Paolo.

La tappa seguente è stata presso la vicina chiesa dei Catala-ni, scandita da notevoli influenze arabo-normanne, una delle pochis-sime testimonianze antecedenti al terremoto giunte fino a noi, dato che il complesso d’impianto basili-cale, con un interno a tre navate e volte a crociera, risale al XII secolo e mostra nella decorazione della facciata e dei prospetti influenze di impronta araba, con lisce colonni-ne addossate ad archetti, su un piano di calpestio molto più basso rispetto a quello della città moder-

Il nostro gruppo in una sala del Museo Regionale di Messina

Davanti al Duomo di Messina

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na, che ai giorni nostri risulta più elevato a causa dell’accumularsi delle macerie prodotte dal terremo-to. E non poteva mancare l’acquisto della pignolata, il tipico dolce mes-sinese che alterna il bianco dell’essenza del limone al nero del cioccolato, vera delizia per i golosi.

L’immagine simbolo della città del-lo stretto: la Piazza del Duomo, con la cinquecentesca Fontana di Orione e il bellissimo campanile, famoso perché a mezzogiorno in punto, al suono dell’Ave Maria di Schubert, i suoi automi iniziano un carosello che dura ben dieci minuti e che è visto sempre da centinaia se non migliaia di persone

Infine ci siamo diretti al Sa-crario di Cristo Re che domina la cit-tà dall’alto, e dalla sua terrazza ci siamo affacciati a godere del note-vole scenario sul porto e sulla vicina Calabria, prima di spostarci verso l’ultima tappa del tour, a pregevole Fontana di Nettuno, posta sul lun-gomare, con la visione dello Stretto, del forte San Salvatore e della co-lonna della Madonna che dà il ben-venuto in Sicilia e che a noi ha inve-ce dato un suggestivo arrivederci dalla scenografica città dello Stretto, dalla quale siamo poi ripartiti nel pomeriggio per fare ritorno a casa.

Giusto il tempo che sulla cit-tà e su tutta la sua provincia si sca-tenasse dalla sera un violento nubi-fragio durato due giorni consecutivi, come sottolineato anche dai vari te-legiornali, che ha provocato i soliti danni a uomini e cose. Ma almeno questa volta, ce lo siamo scansati: insomma, abbiamo avuto …fortuna. Mimma Ferrante e Maurizio Karra

Il Sacrario del Cristo Re, da cui si gode un grandioso panorama sulla città, sul porto e sullo Stretto; sullo sfondo la costa calabra

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Tesori nascosti La gita nella Sicilia centro-orientale del ponte di Ognissanti, alla scoperta di Militello Val di Catania, Grammiche-le e Palazzolo Acreide, patrimonio dell’Unesco

re giorni tutti da gusta-

re alla scoperta della parte centro-orientale della nostra isola, quella che nel corso di un fine-settimana è troppo lontana da raggiungere, al-meno per i soci palermitani: con questo allettante programma, mes-so egregiamente a puntino dal no-stro Emanuele Amenta, la carovana degli oltre venti camper previsti si è data appuntamento sabato 30 otto-bre nella prima cittadina meta dal raduno, Militello Val di Catania, fermandosi nell’ampio parcheggio a ridosso di Viale Regina Margherita, nei pressi dei campi sportivi. Qui, dopo i saluti di rito e una prima e-splorazione degli immediati dintorni a caccia di prodotti tipici, i parteci-panti si sono dedicati al pranzo, non troppo frugale, in attesa della visita guidata prevista nel pomeriggio.

La visita della cittadina, in perfetto orario, è stata effettuata in compagnia di Sebastiano Lisi che ci ha condotto ad ammirare musei e monumenti del borgo, dichiarato appena qualche anno fa Patrimonio mondiale dell’Umanità dall’Unesco per la sua straordinaria impronta tardo-barocca che marchia le pietre cittadine. Militello affonda le sue radici in un’epoca precedente all’anno Mille, quando il suo nucleo si sviluppò attorno ad una fortezza; ma fu soltanto nel XIV secolo, sotto la signoria dei Barresi, che il ca-stello venne ampliato e l’abitato venne dotato di una cortina mura-ria; a fine ‘500 il borgo passò ai Branciforti che lo trasformarono in una piccola capitale, arricchendolo di opere pubbliche, come la fontana di acqua corrente, e di edifici sacri, come buona parte delle chiese che punteggiano l’abitato.

Ma quello che colpisce fin dalla prima occhiata è la monu-mentalità diffusa tra le facciate e i balconi degli edifici che riverberano decorazioni barocche di gran pre-gio, tra figure antropomorfe e for-me vegetali, a testimonianza della ricostruzione dell’abitato avvenuta nel ‘700, in seguito agli ingenti danni provocati dal disastroso ter-remoto che l’11 gennaio 1693 mise in ginocchio l’intera Sicilia orientale, causando morte e distruzione. Così

non si può fare a meno di passeg-giare con il naso all’insù, alla sco-perta di una decorazione dopo l’altra, di un balcone ornato, di uno stemma inciso, di un puttino cir-condato da inflorescenze, in una sinfonia di puro barocco che incanta e attira gli sguardi.

Di meraviglia in meraviglia abbiamo così raggiunto la prima tappa delle nostre esplorazioni, l’opulenta abbazia dei benedettini, il cui monastero ospita ai giorni nostri il Municipio e la cui facciata è anch’essa scandita dall’influsso ba-rocco. L’opera fu voluta all’inizio del ‘600 dalla coppia nobiliare che, co-

me dicevamo, trasformò l’abitato in una piccola capitale, il principe Fran-cesco Branciforte e la moglie Gio-vanna d’Austria; l’interno presenta stucchi settecenteschi, il coro ligneo del ‘700 visibile nel presbiterio, con la rappresentazione dei Misteri dolo-rosi e gloriosi, i cui temi sono magi-stralmente scolpiti e la cappella con i misteri della vita di Gesù e della Vergine, con un altare dorato e af-freschi con puttini. L’edificio ospita anche la lapide della sepoltura del principe fondatore, la cui morte è avvenuta a causa di avvelenamento da arsenico, come hanno dimostrato recenti indagini scientifiche; il che

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I nostri soci nel parcheggio di Militello Val di Catania pronti a iniziare la visita guidata del paese e, in basso, in un momento del giro del centro storico del paese, iscritto nel Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco

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dimostra che l’omicidio come scor-ciatoia per il potere è sempre esisti-to e vanta vittime illustri in qualun-que epoca storica.

Quindi, costeggiando i pa-lazzi nobiliari dagli splendidi balconi con i mensoloni scolpiti, ci siamo diretti lungo corso Umberto I fino al salotto cittadino, piazza Vittorio Emanuele II, su cui si affaccia sce-nograficamente dall’alto di una sca-linata la sagoma settecentesca della Chiesa Madre dedicata a San Nico-la, scandita da stucchi e affreschi; prima di visitarla abbiamo ammira-to la collezione d’arte sacra ospitata nel vicino Museo di San Nicola, ri-cavato nei sotterranei del transetto della chiesa, ottenuti collegando tra loro le cripte e i locali della vecchia canonica che, in un’ambientazione scenografica, mette in mostra scul-ture, argenti e dipinti di matrice sa-cra. All’estremità della piazza ha

meritato sicuramente una visita anche la chiesetta della Madonna della Catena, il cui interno è carat-terizzato da una complessa decora-zione in stucco con scene della vita di Cristo e una teoria di statue delle sante siciliane più venerate.

Proseguendo ancora oltre, abbiamo visitato il Museo Civico, al cui interno era visibile una mostra sui bambini e la guerra, con foto anche piuttosto forti di giovanissi-me vittime al cospetto purtroppo della violenza e della morte, prima di approdare al solenne Santuario di Santa Maria della Stella, che si innalza dall’alto di una scalinata e che è incorniciato da un campanile quadrato; al suo interno è visibile il sarcofago ornato dalla statua di un cavaliere che ospita Carlo Barresi e la splendida Natività in ceramica invetriata di Andrea Della Robbia, oltre al Tesoro Mariano con argenti e dipinti di impronta sacra.

Ancora più avanti, lungo via Porta della Terra, abbiamo rag-giunto l’ultimo residuo del castello Barresi-Branciforti, il torrione cilin-drico che ci riporta indietro al mo-mento di maggior splendore della cittadina, affiancato dall’arco della Porta di Terra che introduce nell’atrio del castello, in cui è visibi-le la fontana della Ninfa Zizza, te-stimone dell’acqua corrente giunta in paese all’inizio del ‘600 per vo-lontà del principe Branciforti e messa da lui subito a disposizione di tutti gli abitanti.

A questo punto si impone-va un po’ di ristoro per riuscire a digerire tutta la cultura e l’arte in-

Il Monastero dei Benedettini di Militello Val di Catania e, in basso, la splendida Natività di Andrea Della Robbia custodita all’interno del San-tuario di Santa Maria della Stella

Un momento del concerto del Coro Polifonico Maris Stella organizzato dal Comune di Militello Val di Catania per il nostro Club

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gurgitate, così le cavallette si sono prese una pausa nella pizzeria “U trappitu”, pausa che doveva essere breve, anche perché il nostro grup-po era stato invitato dall’Ammini-strazione Comunale a un concerto di musica che doveva svolgersi di lì a poco nella chiesetta del Circolo. Purtroppo però la pausa è stata molto più lunga del previsto, perché prima dell’arrivo della pizza ordina-ta è trascorsa oltre un’ora e mez-za!!! Così non ci è rimasto che re-carci al concerto di musica sacra con un notevole ritardo avvisando del nostro ritardo pur incolpevole; meno male che siamo comunque riusciti a goderci un po’ della note-vole rappresentazione che ci atten-deva e che ha avuto come protago-nista il Coro Polifonico “Maris Stel-la”, diretto dal maestro Alfio Penna, accompagnato al pianoforte dal maestro Gaetano Ruggirei e al cla-rinetto da Graziano Lo Presti, in un crescendo di musiche sacre, ma an-che jazz e gospel, oltre che di canti siciliani eseguiti con eccezionale maestria anche in polifonia. E con l’anima rasserenata da queste struggenti melodie siamo andati a nanna, grati di tutte le bellezze che la giornata ci aveva riservato.

La mattina della domenica 31 ottobre, dopo aver rimesso indie-tro di un’ora l’orologio per tornare all’ora solare, la carovana dei cam-per si è spostata attraverso un go-mitolo di strade fiancheggiate dalle piantagioni di fichidindia in direzione della cittadina di Grammichele, fer-mandosi come prima tappa quoti-diana nella vicina area archeologica di Occhiolà, in contrada Terravec-chia, dove ad attenderci c’era per una visita guidata il professor Save-rio Amato, che ci ha innanzi tutto illustrato la storia del sito. Si tratta di un borgo medievale fortificato ab-barbicato su una collina, di cui re-stano chiare tracce dell’impianto e delle diverse chiese che in esso era-no state edificate ma che furono di-strutte completamente dal terribile e famigerato terremoto dell’11 gen-naio 1693 che proprio qui a Gram-michele decimò la popolazione e ri-dusse l’abitato in un cumulo di ma-cerie. Ma il sito della vecchia Gram-michele vanta anche frequentazioni umane molto più antiche, al punto che si ipotizza che nelle sue fonda-menta si celi la città greca di Eketla, come dimostrerebbero i numerosi ritrovamenti archeologici nella zona circostante, che in parte risalirebbe-ro indietro fino all’età del bronzo.

I nostri soci nel Parco archeologico di Occhiolà; in basso nella Piazza Carlo Maria Carafa, al centro di Grammichele

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A fine visita ci siamo recati nella vicina Grammichele, ferman-doci nel piazzale di Largo Mercato, da cui dopo il pranzo ha avuto inizio la visita guidata del centro storico dell’attuale abitato in compagnia di Gianfranco Viola, che ci ha raccon-tato la curiosa storia della nascita del borgo. Infatti, subito dopo il ca-tastrofico terremoto del 1693, il principe Carlo Maria Carafa, signore del feudo, per evitare che la popo-lazione sopravvissuta si disperdesse nelle campagne, decise di costruire una nuova città, ma non sulle rovi-ne del vecchio sito di Occhiolà, ma in un nuovo luogo poco distante. Così il 18 aprile dello stesso anno, con l’aiuto dell’architetto Fra Miche-le da Ferla, venne posta la prima pietra della nuova città, sulla base di un impianto urbano di forma e-sagonale che anche ai giorni nostri è perfettamente leggibile, scandito da sei strade principali che dividono la pianta in sei spicchi chiamati se-stieri, secondo il modello rinasci-mentale della città ideale che il prin-cipe, cultore delle scienze e studioso di esoterismo, aveva fatto suo.

La statua del principe Carlo Maria Ca-rafa, che ricostruì Grammichele dopo la distruzione di Occhiolà a causa del tremendo terremoto del 1693

Attraverso le vie e le piazze che si intersecano formando questa perfetta figura geometrica siamo giunti alla nostra prima sosta in Largo Occhiolà, così chiamato in omaggio dei morti del terremoto del 1693, dove si innalza un mo-numento a loro dedicato, un gruppo scultoreo che ricorda la fine di Oc-

chiolà e la fondazione della nuova città, con un grande pannello in bronzo che racconta da un lato l’esodo dei sopravvissuti verso la nuova città e dall’altro la nascita di quest’ultima, simboleggiata da Fra Michele da Ferla e da due operai al lavoro. Sulla stessa piazzetta è visi-bile uno degli orologi solari che scandiscono l’abitato in onore del principe Carafa, che era un esperto costruttore di questo tipo di orologi, oltre alla chiesetta di San Rocco, che ospita un crocifisso ligneo del ‘700 e la statua lignea di San Rocco.

La visita è poi proseguita con la scoperta delle altre chiese cittadine, come quella dedicata allo Spirito Santo, con un affresco del Battesimo di Gesù e la statua di Cristo alla Colonna che viene porta-ta in processione nel corso della Settimana Santa, o come quella di San Leonardo, la cui facciata è in-

completa nella parte superiore, la cui unica navata ospita il pregevole crocefisso ligneo seicentesco pro-veniente dall’omonima chiesa di Occhiolà, o ancora come quella del Calvario, preceduta da una croce e con una facciata scandita da lesene, davanti alla quale si svolgono i riti della Settimana Santa.

Ma il salotto cittadino è senza dubbio la scenografica piazza centrale, anch’essa a forma di esa-gono, dedicata al principe Carlo Ma-ria Carafa, da cui sembra irradiarsi l’essenza stessa del borgo; si tratta di un vasto spiazzo su cui è visibile la statua del principe fondatore, in-tento a scendere la scalinata del suo sapere, simboleggiato dai gra-dini, ognuno di quali rappresenta una delle discipline amate dal prin-cipe, per andare incontro al suo po-polo. All’estremità opposta della piazza si innalza un altro degli o-

Lo splendido parcheggio dell’agriturismo Valle dei Margi, vicino Grammichele, che ci ha ospitato a cena la domenica sera; in basso un momento della cena

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maggi degli abitanti al fondatore della città, un grande orologio sola-re orizzontale, caratterizzato da un’enorme figura umana inginoc-chiata che simboleggia il tempo im-prigionato da una serie di cerchi che richiamano l’antica sfera armil-lare; l’uomo inginocchiato regge un’asta gnomonica che proietta la sua ombra su una serie di linee trac-ciate sulla pavimentazione, in grado di dare informazioni sulle ore, la da-ta, gli equinozi, i solstizi, lo zodiaco e le date di distruzione di Occhiolà e di fondazione di Grammichele, in una sorta di cerchio temporale che si chiude su se stesso, pronto a ria-prirsi ad ogni nuova alba.

Inoltre sulla piazza prospet-tano i due monumenti più impor-tanti: la Chiesa Madre dalla sobria facciata settecentesca, che ospita la pala del patrono San Michele Ar-cangelo e che è chiusa da anni per lavori di restauro; e la sagoma dell’ottocentesco Municipio, dispo-sto su tre ordini, con un grande portico a tre arcate, che ospita al suo interno anche il Museo Civico, con importanti reperti provenienti dall’area archeologica di Occhiolà e la lastra di ardesia con incisa la pianta cittadina, iscritta in un per-fetto esagono, che raffigura anche il castello del principe che non fu mai realizzato a causa della sua morte prematura. Peccato che ci sia stata preclusa la visita del museo, dato che nessuno dei suoi custodi era presente per aprirlo di domenica!

E così, dopo le scoperte del-la giornata, ci siamo ulteriormente spostati all’imbrunire appena fuori dalla cittadina, fermandoci nel cura-tissimo agriturismo “Valle dei Mar-gi”, dove la carovana dei camper ha trovato una comoda sistemazione in un parcheggio curatissimo fra gli a-grumi. Abbiamo avuto modo di co-noscere nell’occasione una struttura di grande eleganza e charme, che comprende diverse costruzioni all’interno di un grande agrumeto, con piscina e un piccolo zoo che ha deliziato i bambini presenti.

In serata all’interno del loca-le ristorante è andata in scena una riuscita rappresentazione delle ca-vallette presenti che, più arraggiate che mai, si sono gettate a capofitto su un ricchissimo menù a base di stuzzichini e di numerosi antipasti, tra cui ricotta, primosale, bruschet-ta, pomodori secchi, peperoni, im-panata, salsiccia secca, melanzane a cotoletta, frittatine di verdure e crocchette di patate, di un paradi-

Foto ricordo nel Piazzale dei Palazzesi d’Australia, e in basso la splen-dida chiesa barocca dei SS. Pietro e Paolo a Palazzolo Acreide

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siaco bis di pasta con ravioloni in salsa di funghi e fusilli al pomodoro ciliegino e basilico, prima di darci sotto con la salsiccia alla griglia e con la lombata di maiale al limone con rispettivi contorni e finire de-gnamente con la frutta e un insieme di dolci tipici che sono spariti in un paio di …bocconi. E dopo tanto ben-diddio i nostri soci hanno voluto di-mostrare la loro soddisfazione dando vita ad un concertino che ha dato la buon notte a coloro che si erano già ritirati in camper, come il presiden-te, colto nel sonno del giusto.

La mattina di lunedì 1° no-vembre, dopo esserci goduti le at-mosfere bucoliche dell’agriturismo, ci siamo diretti verso l’ultima tappa del raduno, la cittadina di Palazzolo Acreide, dove ci siamo sistemati presso il parcheggio camper di piaz-

zale dei Palazzesi d’Australia; qui i padroni di casa, Larisa ed Emanuele Amenta, ci hanno fatto da guida nel-la scoperta della splendida cittadina, anch’essa incrostata di decorazioni barocche di grande fascino e anch’essa iscritta nel Patrimonio dell’Unesco; una cittadina che vanta una storia ultramillenaria, dato che le sue origini risalgono alla domina-zione greca. E i monumenti da vede-re erano talmente numerosi che i presenti si sono divisi in tre gruppi, naturalmente dopo aver fatto scorta degli ottimi dolci locali, secondo la consolidata tradizione da cavallette.

Così, dopo aver ammirato la chiesa di San Sebastiano, lette-ralmente incrostata da decorazioni barocche, una parte dei presenti si è recata ad esplorare il teatro greco e l’area archeologica di Akrai, un’altra

ad ammirare lo splendido museo et-nografico creato da Antonino Uccel-lo, che ospita mobili, oggetti e sup-pellettili del mondo contadino sicilia-no dell’800, mentre una terza ha preferito andare a zonzo attraverso le scenografie cittadine; questi ulti-mi, di cui la sottoscritta faceva par-te, si sono goduti le atmosfere ba-rocche del centro come la facciata appena restaurata della chiesa dei Santi Pietro e Paolo, adorna di grup-pi di sculture, la piazza Vittorio E-manuele, scandita da palazzi nobilia-ri e la via Garibaldi, su cui si affac-ciano tutti i più bei palazzi del ‘700 e dell’800, come quello con la mensola decorata in stile barocco più lunga della Sicilia che caratterizza Palazzo Judica, con una serie di mascheroni di grande effetto scenografico lungo tutta la balconata; concludendo la visita sempre con il naso all’insù ammirando i fregi e le decorazioni che incrostano le facciate dei palazzi nobiliari con uno splendido effetto di monumentalità diffusa.

Uno dei tantissimi fregi che adornano i palazzi nobiliari di Palazzolo Acreide

Troppo presto è giunta l’ora del pranzo e dei saluti, in previsione delle numerose ore di guida neces-sarie per la maggior parte dei soci per tornare verso casa. Ma durante la rotta di avvicinamento alla solita vita siamo stati consolati dal ricordo degli splendidi tesori ammirati nel corso del raduno, che hanno reso un po’ meno pesante il ritorno al con-sueto tran tran quotidiano.

Testo di Mimma Ferrante

Foto di Maurizio Karra

La chiesa di San Sebastiano, sempre a Palazzolo Acreide

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Le gite e i viaggi del 2010 in 160 foto L’undicesima edizione della mostra fotografica “Latitudini d’autore” e il Calendario 2011 del Club

siamo giunti all’undi-

cesima edizione: partiti in sordina e quasi per gioco con pochi soci partecipanti nell’anno 2000, la tra-dizionale mostra fotografica di fine anno ha finito con il rappresentare uno degli appuntamenti di maggio-re spessore della nostra attività associativa, coinvolgendo un sem-pre più considerevole numero di persone e soprattutto acquistando, anno dopo anno, una qualità che ci è stata riconosciuta sia dal pubbli-co che dai giornalisti e fotografi professionisti che attendono di ri-cevere ogni volta l’invito per esse-

re presenti all’inaugurazione della mostra o comunque per visitarla nel corso dei giorni della sua aper-tura. Quest’anno a rispondere all’appello sono stati, con oltre 160 foto scattate nel corso delle loro gite e dei loro viaggi del 2010, 24 soci del Club: Giovanna Amico, Francesco Bonsangue, Francesco Carabillò, Paolo Carabillò, Adele Crivello, Giulia Crivello, Mimma Ferrante, Luigi Fiscella, Enrico Gri-stina, Licia Gristina, Marcello Kar-ra, Maurizio Karra, Patrizia, La Chi-na, Domenico Napoli, Giovanni Pi-trè, Luca Pitré, Larisa Ponomareva

Amenta, Gaetano Russo, Giangia-como Sideli, Giuseppe Eduardo Spadoni, Giselda Tedeschi, Mario Tomasino, Enzo Triolo e Anna Tumminello. Quasi tutti presenti, insieme a tanti altri soci, amici e altro pubblico, all’inaugurazione presso il Circolo del Banco di Sici-lia, nel pomeriggio di venerdì 19 novembre u.sc. Ad ogni partecipante è stato dedicato un pannello conte-nente le foto presentate, che sono state testimonianza di luoghi vici-ni (molti in Sicilia) e lontani, dalla Spagna alla Russia, dalla Norvegia alla Croazia, dall’Olanda alla Tuni-sia, in un caleidoscopio di espe-rienze visive e “vissute” di grande interesse; la mostra, d’altronde, si propone ogni anno come testi-monianza del nostro impegno nel promuovere il turismo all’aria a-perta, e siamo felici di condivide-re le nostre esperienze con chiun-que, anche con coloro che non sono mai entrati in un camper e che magari viaggiano solo con le ali della fantasia.

Non ci stancheremo mai di affermare che il viaggio, vicino o lontano, breve come una gita o lungo più di un mese che sia, è infatti per i soci del nostro Club un’esperienza unica e irripetibile che ciascuno affronta nella con-sapevolezza che ogni nuova meta raggiunta servirà ad aggiungere qualcosa al patrimonio personale di conoscenze, tanto da stimolare la voglia di proseguire ancora a-vanti in cerca di un’altra meta e poi di un’altra ancora; un concet-to di viaggio, insomma, che è prima di tutto conoscenza di luo-ghi, di persone, di tradizioni, di culture, di idee a volte diverse o diversissime dalle nostre, e pro-prio per questo prima di tutto ar-ricchimento interiore.

Lo ha riconosciuto anche Roberto Bertola, ultimo Ammini-stratore Delegato del Banco di Si-cilia e adesso Responsabile Terri-toriale della Sicilia di Unicredit, che ha voluto visitare la mostra in anteprima, nel primo pomeriggio di venerdì, prima dell’inaugu-razione, per potervi dedicare più tempo e attenzione; e ha così ap-prezzato tante foto fra quelle e-

E

La sala mostre del Circolo del Banco di Sicilia e un’istantanea della serata dell’inaugurazione della mostra fotografica

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sposte, chiedendo notizie dei vari autori, dei luoghi visitati e lodan-do la bontà dell’iniziativa.

Nel corso della inaugura-zione, volutamente senza nessun discorso ufficiale, vi sono stati molti interventi, e fra questi quel-lo di Laura e Mario Tomasino che hanno parlato della loro esperien-za personale nel corso del loro viaggio in Bosnia Erzegovina, e in particolare al Santuario mariano di Medijugorie, con le apparizioni della veggente Miriana, mentre Eduardo Spadoni ha accennato al-la grande accoglienza ricevuta in terra russa dagli equipaggi del Club che vi sono stati nel corso del loro viaggio estivo; a lui ha fatto eco Giulia Crivello che ha posto l’accento sulla qualità del rapporto che deve istaurarsi fra il viaggiatore e la popolazione locale e ha ricordato a tale proposito i contatti con i monaci ortodossi dei monasteri della Moldavia e della Bucovina e quelli con le popola-zioni berbere del deserto del Sa-hara avuti nel corso dei viaggi del Club di qualche anno addietro.

Un’altra testimonianza particolare è stata poi quella di Licia Gristina, figlia di Enrico e Marilì, studentessa di medicina all’Università di Palermo che quest’anno, anziché effettuare nel corso dei mesi estivi un viaggio-vacanza, ha dedicato il tempo del “riposo” dagli esami accademici a una bellissima missione umanita-ria all’interno di un ospedale da campo in Tanzania (cfr. box nella pagina successiva), traendone an-che spunto per le foto che ha vo-luto presentare - soprattutto im-magini di bambini - per condivide-re con noi tutti la grande espe-rienza di vita di cui è stata prota-gonista.

Fra paesaggi, immagini ma-rine, visi di persone, scene di vita quotidiana e angoli di città, tutte le immagini esposte hanno riscosso un grande successo; e uno ancor più grande lo ha riscosso il calenda-rio del nuovo anno, il 2011, realiz-zato con le foto più interessanti fra quelle esposte: ormai una tradizio-ne, dopo 11 anni, tant’è che anche il calendario 2011 del Club è andato a ruba fra tutti i presenti all’inaugurazione della mostra.

Al calendario di quest’anno è stato dedicato un apposito cor-ner, con le 12 pagine recanti le 12 immagini scelte per i vari mesi dell’anno; e all’interno dello stesso

corner sono state sistemate anche le copertine dei calendari realizzati nelle precedenti dieci edizioni della rassegna, visto che ciascuno di es-si costituisce per tutti noi un ricor-do bellissimo.

Come sempre vasta eco ha riscosso la mostra fra i media; e, oltre ai quotidiani, ai mensili locali, alle riviste nazionali di turismo all’aria aperta, alle radio e tivù re-gionali che hanno dedicato servizi

Le 12 pagine del calendario 2011 del Club In basso le copertine degli undici calendari realizzati dal 2000 ad oggi

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alla mostra, ancor più dell’anno pas-sato ci siamo resi conto del grande tam tam con cui molti siti web e so-cial network hanno rilanciato la noti-zia della mostra fotografica e com-mentato l’iniziativa, le immagini e-sposte o il calendario realizzato.

Alcune delle immagini del calendario 2011 del Club

Segno di un mondo di rela-zioni che il nostro Club e i suoi soci hanno saputo coltivare non solo nella realtà concreta ma anche in quella vir-tuale del web. A proposito, penso che vi sarete accorti che il nostro Club è adesso anche su Facebook all’indirizzo http://www.facebook.com/pages/Club-Plein-Air-BdS/167612983261417 .

M. K.

A cuore aperto

Quando le foto non sono solo ricordi di luoghi visitati...

Desidero raccontarvi la bellissima esperienza che ho fatto quest'e-state: a luglio sono partita come volontaria per la Tanzania insieme all'Asso-ciazione ONLUS "A cuore aperto", di cui è presidente il mio professore di cardiochirurgia Giovanni Ruvolo; l'associazione si occupa, tra le tante cose, di creare e migliorare l'assistenza sanitaria in ambito internazionale e nello specifico in Tanzania. Sostenendo l'ampliamento e il miglioramento dell'am-bulatorio del paese di Ipogolo, finanziando grazie anche ai tanti benefattori la formazione di medici e infermieri locali, aiutando economicamente le varie missioni per l'attivazione di corsi di cucito, lavoro a maglia, ecc. che possano trattenere le giovani ragazze nel loro paese di nascita evitando che vadano a Dar es Salaam (capitale economica del Paese), dalla quale molto spesso non fanno più ritorno per la grande diffusione lì dell'AIDS.

A parte ciò, quest'estate al villaggio di Nyabula sono stati interrotti i lavori di costruzione della scuola elementare, visto che i benefattori che ave-vano promesso di finanziarli si sono ritirati a metà dell'opera, lasciando le cose incomplete (nel sito dell'associazione troverete delle foto a tal proposito): sono arrivati a costruire solo le fondamenta dell'edificio che ospiterà le terze classi. Ed è per questo che l'associazione sta cercando di raccogliere fondi, per aiuta-re padre Emilio e padre Justin, parroco e vice-parroco di Nyabula, affinché possano essere ultimati questi lavori per la costruzione di un'aula che ospiterà 180 bambini. Un reportage è stato girato proprio quest'estate da un reporter della Rai che è partito con noi, perchè le immagini spesso sono molto più e-saustive delle parole, soprattutto per far prendere coscienza con i propri occhi di quella che è la realtà del posto, e di quella che è l'importanza di gesti per noi piccoli, ma che in quella terra hanno un enorme rilievo!

Questo mio viaggio mi ha tanto coinvolto e sensibilizzato sulla que-stione, … mi ha permesso di capire e ritrovare il senso secondo me più puro della medicina e dell’essere medico, prescindendo dal potere, dalla politica e dai giochi di ruolo nei quali, nella vita quotidiana universitaria, mi sono più volte imbattuta, da cui mi sono sempre distaccata e che in certi momenti mi hanno fatto anche mettere in dubbio il mio percorso e i miei studi… Un viag-gio che inevitabilmente ti cambia. Ti apre a nuove prospettive e ti porta a fare delle considerazioni. Il calore di questa gente, il senso di gratitudine che ti dimostra anche semplicemente, nel mio caso, per aver controllato la pres-sione o fatto un elettrocardiogramma, i sorrisi che ricevi dai bambini che ti vengono incontro per strada, cercando la tua mano per stringerla forte o che ti abbracciano dimostrando un profondo bisogno di affetto e di dolcezza: questo e molto altro mi sono portata dietro.

Per chi volesse saperne di più sull’associazione “A cuore aperto” e dare il proprio contributo può visitare il sito internet: http://www.acuoreaperto.org/.

Licia Gristina

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Una passeggiata nel barocco palermitano

Fra decori, stucchi, marmi policromi e puttini, il grande successo della passeggiata organiz-zata la mattina del 20 novembre in collaborazione con l’associazione Itiner’ars nel cuore di Palermo, alla scoperta di alcune delle più belle chiese della città

a voglia di scoprire la

nostra città, i suoi bellissimi mo-numenti e la sua storia è sempre viva e non c’è volta che si organiz-zi una visita guidata del centro sto-rico di Palermo, uno dei più estesi di tutto il mondo secondo l’UNESCO, che non vi sia subito la richiesta da parte dei nostri soci di un immediato successivo appun-tamento. Anche questa volta il successo della passeggiata orga-nizzata la mattina di sabato 20 no-vembre, con la collaborazione dell’associazione Itiner’ars, è stato strepitoso e la promessa di altri appuntamenti ravvicinati nel tem-po un obbligo morale. Merito della bellissima giornata di sole che ci ha aiutati, a dispetto di previsioni meteo che non facevano presagire nulla di buono, e merito soprattut-to della nostra guida, Alessandra, laureata in storia dell’arte, prepa-rata, simpatica, capace di seguire e interessare tutto il gruppo senza mai apparire pedante o ovvia. Ma andiamo per ordine. Il tema della passeggiata era stavol-ta le chiese barocche palermitane, e l’obiettivo era quello di conoscere alcuni i più importanti esempi della monumentalità religiosa della città fra ‘600 e ‘700, allorquando ordini religiosi come i Teatini, i France-scani, i Domenicani o i Gesuiti era-

no fra i massimi protagonisti della vita sociale, economica e intellet-tuale della vice-capitale del regno, Palermo. L’appuntamento per il nostro gruppo era stato fissato alle 9,15 a Piazza Bellini, da cui poi ci saremmo mossi per la nostra pas-seggiata. E a presentarsi sono stati 25 soci.

Piazza Bellini e la chiesa di Santa Caterina

La Piazza Bellini, un tempo denominata Piano di San Cataldo, si stende in modo irregolare alle spalle del Palazzo Senatorio, oggi sede del Comune, che un tempo aveva qui la sua facciata principa-le; prendeva nome dalla Cappella di San Cataldo, del periodo nor-manno, che adesso si trova insie-me alla limitrofa Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio (o della Mar-torana) su un piano sopraelevato rispetto a quello stradale. Dalla parte opposta rispet-to alle due predette Chiese, accan-to al Palazzo Senatorio, si trova la facciata della Chiesa di Santa Ca-terina, uno dei più insigni esempi di barocco palermitano, per tanti anni chiusa al pubblico fin quando proprio l’associazione Itiner’ars non è riuscita a gestirne il restauro e a ricevere l’incarico di tenerla aperta per le visite del pubblico. E

proprio da questa chiesa è iniziata la nostra passeggiata per Palermo barocca.

L’architettura della chiesa è tardo-cinquecentesca, a navata u-nica e a croce latina, costruita in seguito all'ampliamento di un mo-nastero di suore domenicane volu-to dal predetto Ordine a metà del '500. Il monastero era nato a se-guito del volere di una nobile pa-lermitana, Benvenuta Mastrangelo, rimasta nel 1310 vedova e senza figli. Pare che all’inizio accogliesse semplici donne meretrici; soltanto in seguito, il suo stato mutò per magnificenza e ricchezza divenen-do un monastero nobiliare e di clausura. Nel corso del XVI secolo, infatti, per l’accrescersi del numero delle suore, il monastero venne ampliato, e l’antica chiesa di 5an Matteo che dava il nome alla con-trada, venne incorporata al mona-stero stesso. A suor Maria del Car-retto, figlia di Giovanni conte di Racalmuto, si deve la fondazione della chiesa attuale, dato che la vecchia chiesa risultava ormai pic-cola e non più corrispondente all’importanza e alla ricchezza con-quistata dal monastero.

La nuova chiesa, dedicata a 5anta Caterina, venne quindi edificata tra il 1566 e il 1596 ed inaugurata il 24 novembre, nel giorno della ricorrenza della Santa. Ignoto è il nome del suo architetto. Alla facciata della chiesa, alquanto sobria, seppur posta su un’alta scalinata, corrisponde un ricchis-simo interno, frutto di due secoli di lavoro di artisti perlopiù rimasti anonimi, con sculture, stucchi e intarsi marmorei che danno il sen-so dello sfarzo secentesco dovuto alla Controriforma. Grande atten-zione è stata dedicata nel corso della visita ai preziosi quadri in marmi mischi e bassorilievi posti alla base delle lesene e ai meda-glioni con le storie di Santa Cateri-na delle pareti.

Altrettanto interesse han-no suscitato gli affreschi di cui la chiesa è letteralmente ricolma, come quello di “Gesù che appare a Santa Caterina”, quello della “Ma-donna che appare alla Santa” e

L

I nostri soci all’interno della chiesa di Santa Caterina

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quelli delle figure allegoriche di “Virtù” eseguiti da Francesco Sozzi con l’aiuto di Alessandro D’Anna, nonché quelli della volta, dipinta da Filippo Randazzo con la “Gloria di Santa Caterina” e quelli della cupola, con il “Trionfo dei Santi domenicani”, opera di Vito d’Anna.

La chiesa del Gesù

a Casa Professa Dopo questo primo “assag-gio” del barocco palermitano, il no-stro gruppo si è trasferito a Piazza Casa Professa, dove a metà del '500 i Gesuiti fecero sorgere, sul luogo dove precedentemente si trovava la Chiesa di Santa Maria della Grotta, il grande complesso di Casa Professa, collegio e insie-me sede del loro Ordine, e l'attigua Chiesa del Gesù, rimasta a testi-moniare forse meglio di qualsiasi altra costruzione il fasto del baroc-co a Palermo. La Chiesa poggia su un modesto rialzo al di sotto del quale una tradizione vuole che sia rima-sto per lungo tempo in una delle grotte, ormai non più accessibili, San Calogero; sotto il piano stra-dale della piazza e al di sotto della pavimentazione della chiesa corro-no comunque vari cuniculi sotter-ranei, il cui accesso è ora murato, che furono utilizzati in passato an-che dai Beati Paoli.

Nonostante i pesanti danni subiti dalla chiesa nel corso dei violenti bombardamenti degli allea-ti nel 1943, i lavori di restauro av-viati nell'immediato dopoguerra hanno ridato alla costruzione il suo assetto originario. La facciata è sobria e lineare, di aspetto tardo rinascimentale, con al centro la statua marmorea della Madonna della Grotta del '700. La cupola è di dimensioni un po' più grandi ri-spetto a quella originaria, andata completamente distrutta, ma ren-de comunque il senso delle propor-zioni dell'intero edificio. E' comunque l'interno, a croce latina e a tre navate, ad as-sumere una specifica valenza sto-rica. Per oltre un secolo, fino a tut-to il '700, i più illustri artisti sicilia-ni (Pampillonia, Novelli, Vitaliano, Melante, Grano, Marabitti, ecc.) operarono al suo interno sia per decorarla di tarsie marmoree mul-ticolori e di statue di marmo, sia per impreziosirne le pareti con va-rie pitture. La teatralità dell'insie-me, tra putti in estatica adorazione e travolgente e orgiastico gioco dei

Due immagini della chiesa dei Gesuiti a Casa Professa

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colori delle tarsie marmoree dove-va rendere il visitatore attonito della potenza dell'Ordine dei Ge-suiti: questa era infatti la vera fun-zione di tutta la chiesa, dato che essi, fino alla loro cacciata avvenu-ta nel 1767 finirono col dirigere in pratica tutte le fila della vita politi-ca siciliana.

Un particolare dei decori della chiesa del Gesù a Casa Professa

La visita della chiesa è sta-ta il preludio per la scoperta dell’annesso museo, contenente paliotti d’altare, oggetti sacri e ce-ramiche tardo medievali, della cripta con le catacombe e con l’accesso ai cuniculi (oggi chiusi) dei Beati Paoli, e infine all’Oratorio del Sabato, utilizzato per la pre-ghiera del sabato (da qui il suo nome) dai padri gesuiti ed edificato nel ‘700 in modo alquanto più so-brio rispetto allo sfarzo della chie-sa, abbellito solo con stucchi di scuola serpottiana. San Giuseppe dei Teatini

Dopo l’ubriacatura delle decorazioni di Casa Professa, il gruppo si è spostato alla vicina chiesa di San Giuseppe dei Teatini, prospiciente il Corso Vittorio Ema-nuele e addossata a uno dei quat-tro cantoni di Piazza Vigliena. Ini-ziata nel 1612 dalla Compagnia dei Teatini, insediatisi a Palermo pochi anni prima, questa chiesa è un al-tro esempio della sontuosità del barocco palermitano; dopo la con-clusione nel 1645 dei lavori archi-tettonici ci vollero ancora quasi 150 anni per concluderne il sofisti-

cato assetto interno, in quanto i Teatini, che rivaleggiavano all'epo-ca proprio con i vicini Gesuiti, vol-lero far di tutto perché la loro casa confessionale fosse la più stupefa-cente nella città. A tal proposito fu racconta-ta una leggenda relativa alla sua costruzione, raccolta da un croni-sta del secolo successivo (Zampar-rone), secondo la quale «cavandosi il terreno dove aprirono la porta della chiesa di San Giuseppe de li Padri Teatini, si ritrovò alcuna quantità di moneta antica con l’armi di Re Pietro d’Aragona». Questa leggenda, che andava di bocca in bocca al popolino negli anni della costruzione della chiesa, tentava di spiegare come si era potuti giungere a tanta sontuosità.

In realtà anche in questo

caso è l'interno della chiesa a la-sciare stupefatti, sia per la gran-diosa monumentalità dovuta alle altissime colonne, sia soprattutto per la decorazione squillante dei marmi policromi che si annidano quasi ovunque, dalle cappelle al presbiterio all'altare maggiore. Numerosi stucchi e opere pittori-che completano l'insieme; da se-gnalare l'affresco della cupola, o-pera del fiammingo Guglielmo Bor-remans, raffigurante il Trionfo di Sant’Andrea Avellino, un quadro di Pietro Novelli raffigurante San Ga-etano e alcune Madonne del Gagi-ni; e un Crocefisso ligneo di inten-sa spiritualità di Frate Umile da Pe-tralia; oltre allo splendido soffitto della navata centrale, dove stucchi e pittura si fondono in un insieme del tutto unico e particolare.

In alto il nostro gruppo all’interno dell’Oratorio del Sabato; in basso una panoramica dell’interno della chiesa di San Giuseppe dei Teatini

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La Martorana Approfittando della pausa fra una messa e l’altra, officiate come sempre in rito bizantino, è stata poi la volta della visita della chiesa di Santa Maria dell'Ammira-glio, ben più nota ai cittadini pa-lermitani come “la Martorana”, vo-luta nel XII secolo da Giorgio An-tiocheno, Ammiraglio di Re Rugge-ro. E il barocco, vi chiederete? Nel-la realtà questa chiesa, che è la Matrice di rito greco-bizantino della città di Palermo perché al clero greco fu donata nel 1221, ha subi-to una metamorfosi pesante, e la costruzione attuale risulta quindi profondamente diversa da quella svevo-normanna originaria.

La chiesa nacque infatti a pianta quadrangolare con cupola

centrale e tre piccole absidi semi-circolari, nonché un campanile. Tra la fine del '500 e la fine del '600 la chiesa fu allungata demolendo la facciata duecentesca e il nartece interno e costruendo una nuova facciata di stile barocco; furono quindi eliminati l'abside centrale e i relativi mosaici che adornavano in origine tutte le pareti. Nel secolo scorso avvenne il dietro-front: si ricostruirono alcune parti dell'edifi-cio di età normanna nel tentativo di fare riacquistare alla chiesa la precedente impronta, e così si ro-vinarono irrimediabilmente anche le successive aggiunte barocche. L'interno odierno è quindi un misto di stili normanno e baroc-co; il pavimento è intarsiato con mosaici di stile arabo; un po' dap-pertutto alle pareti e ai soffitti si trovano i brillanti mosaici del XII secolo su campo aureo con scene della vita di Gesù, degli Evangeli-sti, dei Profeti e della Madonna e, a destra entrando, la scena del re Ruggero incoronato da Cristo; al-l'ingresso e nella parte mediana della chiesa si trovano le decora-zioni successive: affreschi di Bor-remans, dipinti e marmi policromi; il presbiterio presenta fini decora-zioni marmoree e l'altare centrale ha al centro un tabernacolo sette-centesco in lapislazzuli.

Piazza Pretoria A grande richiesta, uscen-

do dalla chiesa della Martorana, una sosta è stata effettuata nella magnifica Piazza Pretoria, sistema-ta nell'assetto attuale nella secon-da metà del '500. La piazza è chiu-sa per tre lati; vi prospettano la

All’interno della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta la Martorana, Matrice palermitana di rito bizantino

La Fontana di Piazza Pretoria con, alle spalle, il Municipio

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facciata principale del Palazzo Se-natorio e una delle facciate laterali della già visitata chiesa di Santa Caterina. La straordinaria scenografia della piazza è dovuta alla magnifica fontana che, costruita fra il 1554 e il 1555 dallo scultore fiorentino Francesco Camilliani, era stata de-stinata originariamente alla villa to-scana di Don Pietro di Toledo, ma fu poi venduta dai suoi eredi al Se-nato palermitano per un prezzo che all'epoca destò scandalo: trentamila scudi. La fontana, alla quale la no-stra guida Alessandra ha dedicato

alcune interessanti spiegazioni, è in realtà una gigantesca macchina d'acqua, composta in origine da ben 644 statue di marmo (allegorie, divinità pagane e varie figure fem-minili, sirene, arpie, animali e mo-stri) che, a causa delle loro nudità, hanno fatto sì che a livello popolare la piazza prendesse la denomina-zione di Piazza delle Vergogne (non dimentichiamo che proprio di fronte ad esse vivevano le suore domeni-cane di clausura del convento di Santa Caterina).

La chiesa di Santa Maria degli Angeli alla Gancia

L’ultima tappa del nostro giro è stata infine dedicata alla Chiesa di Santa Maria degli Angeli, più nota ai palermitani come Chiesa della Gancia. La storia della chiesa è legata a quella dei Frati di Santa Maria di Gesù che avevano ottenuto alla fine del XV secolo da Papa In-nocenzo VIII il permesso di edifica-

re fuori dalle mura della città una loro "Gancìa", cioè un edificio che servisse per i loro ammalati e per coloro che si trovassero in città per varie ragioni, con annessa la relati-va chiesa. Contravvenendo a quel limite, però, avevano finito con l'e-dificare il nuovo complesso al limi-te, ma comunque all'interno, delle mura cittadine, sul luogo della pre-esistente chiesa di San Girolamo. Dopo una notevole querelle giuridi-ca, Papa Giulio II aveva "sanato" la nuova costruzione permettendo ai frati di completare la nuova chiesa e la limitrofa Gancia, alla quale il

Viceré Vigliena aggiunse a sue spe-se nel 1609 un grandioso chiostro. Di quella Gancia originaria rimangono oggi poche visibili trac-ce (un porticato con alcune figure di Francescani dipinte, un loggiato e una bassa torre), anche perché l'edificio in cui la struttura era o-spitata è stato più volte rimaneg-giato e quindi adibito ad archivi e uffici pubblici. Invece la chiesa an-nessa alla Gancia, dedicata a San-ta Maria degli Angeli, per quanto manomessa nel corso dei secoli, si mostra ancora oggi nella sua ma-gnificenza rinascimentale. All'esterno l'architettura della chiesa si presenta in forme semplici, come tutte quelle france-scane, con una facciata nuda e i muri perimetrali in conci squadrati. Ma è l'interno che, pur se non sempre in omogenee buone condi-zioni, lascia trasaliti sia per alcune sue strutture come il bellissimo soffitto a cassettoni in legno del '500, sia per il celeberrimo organo

realizzato da Raffaele La Valle all’inizio del ‘600, sia per l'enorme numero di opere d'arte che gelo-samente custodisce tra le navate, il presbiterio e le cappellette laterali. Tra i vari artisti che hanno lasciato il loro segno all'interno della chiesa vi sono Giacomo Ser-potta, autore di numerosi stucchi sparsi un po' dappertutto, Giusep-pe Salerno e Pietro Novelli con al-cune opere pittoriche di pregio, e soprattutto Antonello Gagini: suoi sono un bassorilievo raffigurante Gesù al Limbo, la statua di San Mi-chele e una Pietà nelle cappelle di sinistra, due tondi raffiguranti un Angelo e la Madonna dell'Annun-ciazione nel presbiterio, il grande pulpito poligonale a destra, con al-cune delicate formelle con raffigu-rati gli Evangelisti, e infine una de-licatissima statua della Madonna nella quarta cappella di destra. La storia e le vicissitudini della chiesa e del convento della Gancia ci sono state raccontate anche da un simpatico frate che ha fatto gli onori di casa e ha interes-sato tutti i nostri soci ricordando anche una storia realmente acca-duta nel corso del risorgimento pa-lermitano, quella di Francesco Riso e di alcuni suoi compagni che pro-prio all’interno di queste mura pre-pararono l’insurrezione contro i Borboni del 1860; al suono della campana della chiesa scoppiò a Palermo, infatti, un’insurrezione antiborbonica che fu però ben pre-sto sedata. Il Riso e gli altri com-pagni si rifugiarono quindi nel con-vento ma furono sorpresi dalla truppe borboniche e uccisi tutti tranne due soli, che si nascosero tra i cadaveri dei frati nei sotterra-nei e qui rimasero cinque giorni. Distrutti dalla fame e dalla paura, riuscirono infine a fuggire dopo aver scavato con le loro mani nelle mura del convento una buca, ancora visi-bile in Via Alloro, mentre alcune donne facevano sfociare apposita-mente in una rissa un banale litigio per distrarre le truppe borboniche. A ricordo di quel fatto la buca si chiamò Buca della Salvezza. Un bellissimo finale per la nostra visita di Palermo barocca, con la promessa di rivederci al più presto per effettuarne un’altra alla scoperta di altri tesori della nostra sorprendente stupenda città.

Testo di Maurizio Karra Foto di Larisa Ponomareva

Amenta e Maurizio Karra

Il cortile della Gancia, che fu teatro dell’insurrezione antiborbonica del 1860 capeggiata da Francesco Riso

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Tra natura e atmosfere bizantine Tra il 20 e il 21 novembre siamo andati a caccia dei sapori autunnali del territorio di Chiusa Sclafani, tra l’ottimo olio e i formaggi locali, prima di dirigerci verso la vicina cittadina di Contessa Entellina, di matrice albanese, dove si incontrano ancora i papas bizantini

ella seconda metà di

novembre gli appuntamenti per i soci del nostro Club si sono incate-nati l’un l’altro a ritmo vertiginoso, cominciando dal pomeriggio di ve-nerdì 19 con la bella inaugurazione della consolidata mostra fotografi-ca “Latitudini d’autore” per prose-guire la mattina di sabato 20 con la visita di alcune splendide chiese barocche di Palermo che tanto in-teresse e ammirazione ha suscita-to. Per concludere degnamente il fine-settimana non ci restava che imbarcarci sui nostri amati camper per andare a respirare aria di liber-tà a zonzo per la nostra isola. Cosa che abbiamo prontamente fatto nel pomeriggio del sabato, dirigendoci verso un altro degli appuntamenti ormai consolidati del nostro Club: l’acquisto dell’olio presso il frantoio Gebbia di Chiusa Sclafani, grazie alla sapiente organizzazione dell’amico Nino Gendusa. Dopo averlo raggiunto gi-rovagando fra le campagne del corleonese, la carovana di oltre venti camper si è sistemata nel parcheggio dell’oleificio, mentre i presenti cominciavano ad uscire i bidoni che a breve avrebbero riempito del prezioso nettare medi-terraneo. Ma, mentre l’oscurità scendeva e i bidoni cominciavano a riempirsi di profumatissimo olio, fervevano anche i preparativi per la consueta cena contadina da gu-stare tutti insieme all’interno del frantoio, con le muffolette calde calde innaffiate con l’olio appena spremuto, pepe, origano e alici oppure con la ricotta e i formaggi, oltre alla pizza locale e allo sfincio-ne; tutta robetta per stomaci spa-valdi, che anche un buon Nero d’Avola (o per gli astemi qualche bicchiere di Coca Cola) hanno con-sentito di trangugiare facendo in modo che le nostre esperte caval-lette spazzolassero tutto quel ben-diddio in pochi minuti. Per poi ri-prendere con il riempimento delle file di bidoni fino a tarda sera, quando il totale dell’olio acquistato dal nostro gruppo ha raggiunto lo strabiliante totale di 732 chili, pari ad oltre 800 litri!

N

Due immagini della fornitura dell’olio al frantoio Gebbia con i nostri soci in fila con bidoni e contenitori vari

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IL CLUB n. 109 – pag. 22

Dopo una buona notte di sonno ci siamo spostati alla vicina cit-tadina di Contessa Entellina, siste-mandoci nella parte bassa dell’abi-tato, attorno a Piazza della Repubbli-ca, dove abbiamo incontrato le guide messeci a disposizione dalla Pro Loco per la visita guidata. L’odierna citta-dina, di meno di 2.000 abitanti, è stata in gran parte ricostruita dopo il terribile terremoto che distrusse gran parte della Valle del Belice nel 1968; ma la sua importanza è dovuta alle radici storiche: fu infatti uno dei più antichi insediamenti albanesi in Italia e le sue origini sono documentate al 1450 circa, quando un gruppo di sol-dati albanesi, sfuggiti dalla madrepa-tria invasa dagli Ottomani, popolaro-no questa zona della Sicilia per vivere in pace e perpetuare tradizioni e co-stumi dei loro antenati, tra cui il rito bizantino e la lingua albanese, ancora oggi in uso tra gli abitanti.

Il nome originario della citta-dina era Comitissa, divenuto col tem-po Contessa, a cui fu aggiunto nell’800 quello di Entellina per la pre-senza nel suo territorio di una rocca su cui sorgeva l’antica città di Entella, una delle roccaforti della civiltà elima in Sicilia. Grazie ai reperti ritrovati ne-gli ultimi vent’anni nel sito archeologi-co, che si trova a pochi chilometri dall’abitato, si è potuta seguire la sto-ria di Entella, dalla sua fondazione do-vuta ad un nucleo etnico proveniente dalla Frigia Pontica nel VI secolo a.C., fino al suo sviluppo sotto l’egemonia greca, punica, romana e quindi araba.

Reperti provenienti dagli scavi di En-tella conservati nell’antiquarium di Contessa Entellina

Notevoli testimonianze del-la lunga storia dell’antica città di

Alcuni momenti della grande abboffata della sera, con le muffolette cal-de calde e innaffiate con l’olio appena spremuto, pepe, origano e alici oppure con la ricotta e i formaggi, oltre alla pizza locale e allo sfincione

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Entella sono così visibili nel mo-derno antiquarium costruito a Con-tessa nella parte bassa del borgo, con alcune iscrizioni in elimo, gre-co dorico, osco, latino e arabo, le diverse lingue parlate nel corso dei secoli sulla rocca cittadina, con le raffigurazioni del granaio ellenisti-co scoperto in loco e con le nume-rose anfore ricolme di granaglie ritrovate al suo interno. Inoltre nell’antiquarium sono visibili le foto dei Decreti di Entella, conservati presso il Museo Archeologico Salinas di Palermo, in cui si informava la popolazione delle varie opere pubbli-che in programmazione e di altri particolari della vita pubblica. Pec-cato che della struttura cittadina, sopravvissuta fino al XIII secolo, sia rimasto ben poco, perché fu messa a ferro e fuoco sotto Federico II per estirparvi un covo di musulmani ri-belli che non volevano sottometter-si al potere dell’imperatore.

La parte centrale del borgo è scandita da via Morea che, dopo essersi momentaneamente allarga-ta in una minuscola piazza, sulla quale si affaccia la chiesetta delle Anime Sante, prosegue fino alla parte alta dell’abitato, che è chiusa scenograficamente dalla Chiesa di Santa Maria delle Grazie, la Chiesa Madre di rito latino detta anche della Favara, costruita nel luogo dove, secondo la tradizione, sa-rebbe stata trovata un’immagine della Madonna, dipinta su una la-stra di pietra e immersa nelle ac-que di una fontana poco lontana.

L’interno della Chiesa Matrice di rito bizantino di Contessa Entelli-na, dedicata a San Nicola di Mira

Nella parte bassa del bor-go si innalza invece uno dei sim-boli dell’identità religiosa e cultu-rale di Contessa Entellina, la Chie-sa Madre della SS. Annunziata di rito bizantino, denominata Klisha e dedicata a San Nicola di Mira, con la facciata in pietra viva risa-lente al ‘600, con gli interni scan-diti da un’iconostasi che, secondo la tradizione bizantina, separa lo spazio dedicato ai fedeli da quello destinato all’officiante, e con un tetto affrescato da icone di santi; altre icone della Madonna, di Gesù Cristo e dei santi, intese come fi-nestra dell’aldilà davanti alle quali i fedeli sono invitati a meditare, si trovano nelle cappellette laterali, oltre ad adornare l’iconostasi.

Un’esperienza mistica da non perdere è stata la partecipa-zione alla messa officiata secondo il rito bizantino all’interno della chiesa, accompagnata suggesti-vamente dai canti dei fedeli, men-

tre l’incenso si diffondeva lenta-mente al salmodiare del papas. Un’esperienza che molti compo-nenti del nostro gruppo hanno a-vuto la fortuna di poter condivide-re con gli abitanti della cittadina, ritrovandosi immersi in un’atmosfera mistica dalle tonalità “esotiche”, pur a poche decine di chilometri da casa.

E questo non è che uno degli innumerevoli vantaggi che ci regala il nostro compagno di mille avventure, il camper, in una gita fuori porta così come a migliaia di chilometri da casa e questi pen-sieri affollavano la nostra mente mentre tornavamo verso casa alla fine del raduno: meno male che c’è il camper!

Testo di Mimma Ferrante Foto di Filippo De Luca e

Larisa Ponomareva Amenta

Alcuni momenti della visita di Contessa Entellina

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Le nostre bambine Le ultime notizie dalla Comunità di Sant’Egidio sulle nostre tre bambine adottate a distanza

Olive N. - Ruanda

La Comunità di Sant’Egidio ci ha comunicato che Olive sta bene. La buona alimentazione che riceve influisce positivamente sul-la sua salute e la sua crescita. Grazie al contributo dell'adozione a distanza è stata iscritta anche quest'anno alla scuola della Cre-che Amizero e ha ricevuto il mate-riale didattico necessario.

Sono stati altresì acquista-ti per Olive e per gli altri bambini adottati anche dei vestiti e delle scarpe nuove. La sua famiglia sa-luta e ringrazia per il sostegno a-limentare che ricevono regolar-mente. Clarisse R. – Madagascar

Dalla Comunità di Sant’Egidio ci giunge notizia che anche Clarisse gode di buona sa-lute. Nel corso di questi ultimi an-ni il suo rendimento a scuola è molto migliorato, ed è stata pro-mossa con buoni voti: ciò è stato possibile anche perché Clarisse – come lei stessa ha comunicato - si è sentita “sostenuta” e accompa-gnata nello studio, potendo anche frequentare alcune ore di dopo scuola con ripetizioni private. An-che questo ha contribuito a farla maturare.

Grazie all’adozione a di-stanza è stato possibile acquistarle anche nuovi vestiti e scarpe, oltre che il materiale scolastico. Per questo Clarisse ci saluta con gran-de affetto.

Annie C. - Madagascar Anche la seconda delle due bambine del Madagascar da noi adottate, Annie, sta bene; la Co-munità di Sant’Egidio ci ha comu-nicato che è cresciuta di statura (e si vede dalla foto!) ed è sempre più una bambina socievole e molto educata.

Dopo essere stata promos-sa a scuola con buoni voti, ha tra-scorso alcuni giorni di vacanza in campagna e ha potuto prendere parte a gite organizzate al mare e in città. Sono stati giorni sereni in cui è cresciuta l’amicizia. Grazie al sostegno dell’adozione a distanza, anche per lei è stato possibile ac-quistare nuovi vestiti e nuove scar-pe. Anche l’alimentazione che rice-ve risulta equilibrata e nutriente. Il contributo dei nostri soci

Nel corso dell’anno 2010, fino al momento in cui andiamo in stampa, il c/c appositamente aper-to per gestire il progetto di adozio-ni a distanza del Club (separato da quello ordinario relativo alla ge-stione amministrativa della nostra associazione) ha registrato uscite pari a 936,00 euro (per i tre boni-fici da 312 euro in favore della Comunità di Sant’Egidio operati a gennaio e relativi alle tre quote annuali in favore delle bambine) ed entrate pari a 663,09 euro (in pratica quasi tutte legate a piccoli versamenti effettuati dai nostri so-ci nel corso dell’anno sul conto, ol-tre a pochi spiccioli di interessi a credito sul c/c). Il saldo contabile, che all’inizio del 2010 era di 2.455,22 euro, risulta quindi in questo momento di 2.182,31 euro. Speriamo di andare in pareggio entro la fine dell’anno.

Nel ringraziare di cuore e con affetto quanti finora hanno con-tribuito a portare avanti il nostro progetto, ricordiamo che chiunque volesse contribuire allo stesso potrà effettuare un bonifico o un versa-mento sulle seguenti coordinate bancarie (che a seguito della rior-ganizzazione del Gruppo Unicredit sono in parte state modificate):

IBAN: IT 49 C 02008 04642 000300563557

Banca: Unicredit

Filiale: Palermo Agenzia Ruggero Settimo B

Intestazione: Club Plein Air BdS – Progetto Ado-zioni a distanza

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La rinascita del Magnum Per festeggiare i 60 anni di vita dell’azienda, Elnagh rilancia con i nuovi motorhome

e c’è una casa co-

struttrice e un gruppo che hanno davvero lavorato tantissimo nell’ultimo biennio per fronteg-giare con proposte concrete la crisi questi sono la Elnagh e tutto il Gruppo SEA. In particolare la Elnagh, uno dei marchi storici della produzione made in Italy nel settore dei veicoli abitativi, con 60 anni di storia alle spalle, oltre a irrobustire le gamme dei tradizionali mansardati e semin-tegrali e dopo la nascita - l’anno passato - dei primi semintegrali

con letto basculante, quest’anno ha completato la sua gamma con il ritorno alla produzione sia di rou-lotte che di motorhome, ripescan-do dal libro dei ricordi un nome mi-tico per questi ultimi, Magnum, si-nonimo negli anni passati di gran-de eleganza e di insuperata eccel-lenza nel rapporto qualità-prezzo.

Era ovvio, quindi, che vo-lessimo subito presentare, al suo arrivo a Palermo presso il conces-

sionario Vemacar, uno degli esem-plari di motorhome che la Elnagh ha esposto in anteprima alla fiera di Parma ricevendone subito grandi consensi, il Magnum 70, proposto su meccanica Fiat Ducato 3.000 cc da 157 cavalli (ma disponibile an-che sul Ducato 2.3 da 130 cavalli) e pacchetto elegance (clima cabi-na, chiusure centralizzate, ecc.).

Diciamo subito che nulla è stato lasciato al caso: dalla qualità

S

Elnagh Magnum 70

Tipologia: motorhome Meccanica: Fiat Ducato 3.0 da

157 cavalli (disponibile anche in versione 2.3 da 130 cavalli)

Lunghezza: m. 7,18 Larghezza: m. 2,35 Altezza: m. 2,89 Posti omologati: n. 4 Posti letto: n. 4 (2 matrimoniali:

uno in coda e uno basculante) Serbatoio acque chiare: l. 100 Serbatoio acque grigie: l. 100 WC: Thetford cassetta l. 17 Riscaldamento: Webasto Air Top

3900 a gasolio Boiler: Truma 10 litri a gas Frigorifero: trivalente l. 150 Cucina: piano cottura 3 fuochi +

forno a gas con cappa aspirante Oblò: 1 maxi 70x50, 2 cm. 40x40

e 2 con ventola cm. 30x30 Prezzo: € 64.160 chiavi in mano

L’esterno del nuovo Magnum 70 e l’elegantissimo living anteriore

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della scocca, con grande attenzione ai materiali costruttivi e isolanti (pavimento da 70 mm. e pareti da 35 mm. con stiropar e fibra di ve-tro), all’impiantistica di bordo, con il riscaldamento Webasto a gasolio o la cucina con forno a gas, dai letti con doghe in legno alla tappezzeria al mobilio entrambi raffinatissimi.

Il piano di lavoro con lavello e cucina a gas a tre fuochi con cappa; in pri-mo piano l’anta stondata del mobi-letto basso nasconde un cestello e-straibile con grande capacità di sti-vaggio; dalla parte opposta si trova invece la colonna frigo, con frigorife-ro da 150 litri e forno a gas

Zona giorno e zona notte sono divise fisicamente da una porta a vetri che lascia al di qua il grande living anteriore, con tavolo

centrale che può essere sfruttato comodamente da sei persone, e la zona cucina, con piano di lavoro a elle da un lato, colonna frigo - for-no e armadio dalla parte opposta, accanto alla porta di accesso alla cellula abitativa; e dall’altro la zo-na notte e servizi, con bagnetto a sinistra (wc e lavandino) e cabina doccia a destra, oltre al letto ma-trimoniale trasversale in coda, sot-to il quale trova posto un ampio garage accessibile sia dall’interno che da ambedue le pareti esterne.

Nella foto ciò che si vede aprendo la porta centrale che introduce nella zona notte: al centro il letto matri-moniale con, in basso, il portello scorrevole di accesso al garage, a destra la cabina doccia e a sinistra la porta che dà accesso al bagnetto

Sono tanti gli esempi di scelte di qualità che stanno dietro al progetto di questo motorhome, dalle dimensioni perfette per esse-re grande e comodo senza essere “eccessivo” (meno di 7,20 metri): di alcuni abbiamo già fatto cenno, di altri ci si accorge solo se si è camperisti esperti. Si pensi per esempio al numero di oblò che è stato predisposto: uno di grandi dimensioni sul living, due da 40 cm. di lato e altri due da 30 cm con ventola fra bagnetto, camera da letto, zona cucina e cabina an-teriore; si pensi al cablaggio già predisposto per la televisione e la retrocamera; si pensi alla grande e razionale capacità di stivaggio ottenuta in ogni zona del veicolo, e non solo nel garage posteriore dove possono trovare posto co-modamente le biciclette o anche un ciclomotore; ma si pensi anche all’abbinata ciliegio-avorio di parte del mobilio, così da dare grande luminosità all’interno, complice una scelta delle tappezzerie assoluta-mente coordinata nei colori e di grande qualità nei tessuti (optional anche l’ecopelle di colore chiaro).

Il vano bagnetto del Magnum 70 con wc e lavandino; la cabina doc-cia è separata e si trova dalla parte opposta del motorhome

Insomma, un gran bel mezzo, davvero difficile trovarvi difetti; e quindi un ritorno alla grande, quello di Elnagh, nella produzione dei motorhome; quan-to al prezzo, si faccia avanti chi pensa che circa 64.000 euro chiavi in mano siano troppi!

Maurizio Karra

Uno sguardo d’insieme della parte centrale del nuovo motorhome El-nagh: la porta divide fisicamente la zona notte dalla zona giorno

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Doppia coppia Un interessante mansardato con camera matrimoniale privata e mansarda

ra i mansardati che

abbiamo trovato interessanti in quest’ultimo periodo ve n’è uno dell’Adria, ben noto costruttore dell’altra sponda dell’Adriatico, che propone un’inedita pianta in grado di soddisfare il desiderio di privacy di una coppia in viaggio con bambini (da allocare in man-sarda) o in grado di ospitare in mansarda anche una seconda coppia di amici o parenti (genitori,

cognati...): insomma un mezzo perfetto per una doppia coppia. Stiamo parlando del Coral A690-SP, un mansardato dalle generose dimensioni (circa 7,40 metri) su meccanico Ducato 2,3 da 130 ca-valli. Diciamo subito che è un camper che si fa ammirare già alla prima occasione di “incontro”, con interni di grande razionalità, co-modi negli spazi e nello stivaggio e luminosissimi, complice anche

un colore di mobilio chiaro, oltre all’ampia finestratura e agli oblò, ben due di grandi dimensioni, il primo sul living anteriore e il se-condo sul letto posteriore, oltre a due da 40 cm. per lato posizionati sul tetto del bagnetto e in corri-spondenza della zona cucina. La parte anteriore svilup-pa un accogliente zona giorno con semidinette a sinistra, poltrona a destra e tavolo allungabile che, grazie alle due poltrone girevoli della cabina, consente di fare sa-lotto o stare a tavola comoda-mente in cinque, nonostante la presenza della mansarda.

F Adria Coral A690-SP

Tipologia: mansardato Meccanica: Fiat Ducato 2.3 da

130 cavalli Lunghezza: m. 7,39 Larghezza: m. 2,30 Altezza: m. 3,13 Posti omologati: n. 5 Posti letto: n. 5; 2 matrimoniali

(uno in coda e uno in mansar-da) e 1 singolo ottenibile dalla trasformazione della semidinet-te centrale

Serbatoio acque chiare: l. 110 Serbatoio acque grigie: l. 100 WC: Thetford cassetta l. 17 Riscaldamento e boiler: Truma

Combi a gas Frigorifero: trivalente l. 150 Cucina: piano cottura 4 fuochi +

forno a gas Oblò: 2 cm. 60x40 e 2 cm. 40x40 Prezzo: € 56.200 chiavi in mano

In alto il profilo dell’Adria Coral A690-SP; in basso il living anteriore con le due poltrone della cabina girevoli e il tavolo allungabile

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Al centro, dal lato destro, trova posto la zona cucina con un piano di lavoro a elle che com-prende il lavello e il piano cottura a 4 fuochi; mentre a sinistra, accan-to alla porta di ingresso alla cellula abitativa, ecco la colonna frigo con il forno e di seguito la porta di ac-cesso al bagnetto, con wc e lavan-dino.

Il bagnetto del Coral A690-SP ac-cessibile dalla zona giorno; la ca-bina doccia, a parte, è accessibile dalla camera da letto posteriore

Un’altra porta con vetro infrangibile smerigliato (metacri-lato) divide la zona giorno dalla zona notte; qui, in coda, è stata sistemata una vera camera da letto dotata di ogni confort che di giorno è del tutto “invisibile”; la camera comprende un letto ma-trimoniale a isola, due ante di armadio ai lati e un grande gavo-ne centrale al di sotto, accessibile sia dall’interno che dall’esterno; nonché, sulla destra, la cabina doccia, separata dal resto del ba-gnetto. Questo mansardato ha in-somma tutte le carte in regola per ottenere successo, grazie all’eccellente abitabilità di giorno e all’ottima privacy che garantisce la notte anche a due coppie, cia-scuna perfettamente a proprio a-gio in un comodo letto matrimo-niale pronto; e grazie anche a un prezzo certamente interessante e concorrenziale (circa 56 mila euro chiavi in mano con pacchetto lus-so sulla cabina Ducato).

Maurizio Karra

L’area centrale del mansardato dell’Adria: una porta divide la zona giorno dalla zona notte

Qui in basso, la camera da letto con il letto a isola

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Fino ai confini della Russia

Dall’Italia alle Repubbliche Baltiche e da queste di ritorno in Sicilia: un itinerario nell’itinerario, relativo alla Russia, di cui parleremo nel prossimo numero...

inalmente si parte: di-

rezione Russia! Attraversiamo d'un baleno l'Italia fino a Tarvisio, l'Au-stria fino a Graz, che superiamo; ci concediamo una visita a Brno e al-la vicina Slavkov U Brna (Auster-litz) dove, sulla collina della pace (Mohyla Miru), fu firmato il 26 di-cembre del 1805 l'armistizio dopo la battaglia nella quale Napoleone aveva vinto sugli altri due impera-tori – quello russo e quello austria-co - con soli 7.000 morti a fronte del totale di 19.000 soldati uccisi. Un monumento ed un museo ne ricordano le gesta.

Il monumento che ricorda la bat-taglia vinta da Napoleone ad Au-sterlitz, vicino Brno in Moravia

Dalla Slovacchia attraver-siamo la libera frontiera con la Po-lonia a Cesky Tesin; un veloce sguardo a Bielsko Biala e da Kety arriviamo allo scalo ferroviario di Brzezinka, più conosciuto come Oswiecim o Kl Auschwitz, campo di concentramento nazista, che visi-tiamo e dove pernottiamo senza paura e con grande rispetto per i milioni di morti causati dalla feroce e fredda determinazione dei nazi-fascisti, non solo tedeschi; visitia-mo solo una decina di baracche in ricostruzione, fra il centinaio pre-senti; il muro della morte per le fucilazioni del tutto indiscriminate; guardiamo le foto di quei tempi

con i colpi di grazia alla nuca e i forni crematori; e a pochi chilome-tri eccoci a Birkenau 1 e 2, tran-quilli sobborghi i cui abitanti chiu-devano il naso e gli occhi al fumo delle camere a gas. D'altra parte oggi si dice si fidassero del cartello Arbeit Macth Frei, l'eufemistico “il lavoro rende liberi”.

Attraversiamo, io e mia moglie, a piedi l'enorme piazzale che culmina con il monumento e le

targhe di tutte le nazionalità coin-volte nell'Olocausto, con i binari d'arrivo fino alle baracche di prima selezione e annientamento con il gas dei più deboli, dei malati, dei diversamente abili, dei bimbi, dei vecchi, degli ebrei di ogni naziona-lità, degli oppositori, anche dei pri-gionieri di guerra, se sovietici, e in ogni caso dei non abili al lavoro, resi tali dalla denutrizione, dal freddo, dalle malattie. Notevoli i

F

Due immagini simbolo del campo di concentramento nazista di Birkenau in Polonia: in alto il muro della fucilazione, in basso le camere a gas

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magazzini dello Zyklon B, l'innova-tivo gas di sterminio di ogni esse-re...

C’è sempre chi mette in dubbio l'Olocausto, sconvolgendoci intimamente. Raccapricciante! Non volevo visitare il sito perché avevo già visitato nel 1989 Mauthausen nel primo viaggio all'estero in camper ed alcune visioni rimango-no dolorosamente scolpite per sempre nell'animo umano senza bisogno di reiterazioni, o false in-terpretazioni ideologiche, oggi sempre più evidenti.

Cambiamo scenario: ci a-spettano le miniere di salgemma, Patrimonio dell’UNESCO, di Wielic-zka ordinate turisticamente a par-tire dalla storia del re Casimiro il Grande di Polonia e visitabili fino a circa 135 metri (attenzione solo alla claustrofobia); quindi Wadowi-ce, con il museo dedicato al papa Woitila dove scavalchiamo la fila solo perché italiani; non visitiamo Kalwaria e andiamo a Krakow che giriamo in pulmino; visitiamo la piazza del mercato ebreo dove fu girato il film “Schindler List”; ce-niamo in piazza e ritorniamo in ta-xi. Ci spostiamo quindi a Czesto-chowa dove pernottiamo ai piedi del Santuario Paolino di Jasna Gò-ra, sempre grandioso, ma un po' freddo... Di notte, lasciato ad a-sciugare fuori, rubano l'ombrello al secondo equipaggio, che giura ...vendetta.

A Jasna Gòra

Da Piotrkov Trybunalski ar-riviamo a Varsavia che giriamo per due giorni con i mezzi pubblici e a piedi, ammirando(!) il grande mo-numento ai “dannati” ebrei in usci-

ta dalle fogne sotto i mitra, i cani dei tedeschi durante la rivolta del ghetto, e il successivo sterminio di 300.000 abitanti durante l'insurre-zione della città; il centro storico sempre più si somiglia a tutti gli altri nell'Europa globalizzata, con le bancarelle e i gazebo dei risto-rantini a contornare le solite birre multinazionali... Ma c'è anche il Barracane sulle vecchie mura; l'onnipresente palazzo della cultura e della scienza, donato da Stalin (234 metri di altezza, 30 piani, tre teatri), quasi uguale a quello di Bucarest, ricchissimo di marmi e di centinaia di sale riccamente arre-date e una enorme biblioteca, solo un po' tetro esternamente. Mo-derna e viva la città, quasi del tut-to ricostruita, ma vivibilissima.

Lasciamo la Polonia per la Lituania e andiamo, come prima tappa, a Kaunas dall'unica strada di accesso (Pultusk, Lomza, Augu-stow, Suwalki), attraversando l'en-nesima frontiera prima di Marijam-pole. La visitiamo a turno perché nutriamo un minimo di timore a lasciare i camper; abbiamo dormi-to in un parcheggio incustodito e molto rumoroso, attraversato da poveri, nell'aspetto poco racco-mandabile, ma in realtà inermi e dignitosi: una cittadina molto ben organizzata con il suo enorme via-lone moderno, alberato e contor-nato da negozi; persone gentilis-sime ci accompagnano e ci indica-no i vari luoghi, compreso il ban-comat di una banca modernissima per il prelievo. Al di fuori dei per-corsi principali i muri sono sbrec-ciati, le strade malandate, alcune case diroccate. Nel centro antico, godibilissimo, compriamo un vas-soio di artista locale. Proseguiamo quindi per Vilnius passando da Trakai, con il bel castello e la gente al sole, nel camping dell'Expo, enorme e mo-derno, dove sono in smontaggio i vari padiglioni. Mi diverto a foto-grafare le notevoli sculture nel giardino d'ingresso, residui dell'ul-tima mostra internazionale. Città inserita nel patrimonio dell'UNE-SCO, sul fiume Neris, quasi inte-gralmente barocca, a partire dalla piazza della cattedrale. Con i mezzi pubblici la visitiamo e beviamo ec-cellente birra locale in un locale del centro. In Lituania non paghiamo autobus perché pensionati. Ci avviamo a Rezekne (passando da Utena e Daugavpils). Mi ferma la polizia: una graziosa

tenente che vuole controllare i passaporti... contenta che andiamo in Russia... dopo aver controllato tutti i visti. Passiamo la frontiera con la Lettonia a Zarasai e andia-mo alla ricerca di un campeggio con un fuori programma che pro-duce qualche fastidio al nostro ter-zo equipaggio: il campeggio è a Ludza, a 7 km, su un lago, ma va superato un tratto di 3 km di ster-rato facile. Qui giunti, ci assiste una ragazza che parla un italiano quasi perfetto. Passiamo il pome-riggio in pieno relax sul lago pro-tetti da una costruzione in legno con enormi assi scortecciati e to-talmente bianchi, dove ceniamo.

Il giorno dopo, a pochi km, andiamo a Zilupe, dove è fissato con gli altri equipaggi l'appunta-mento per entrare in Russia (alla quale sarà dedicato un apposito autonomo articolo sul prossimo numero de IL CLUB - ndr). Finora non ci sono stati problemi di fron-tiera: tutti i varchi sono stati disat-tivati grazie agli accordi di Shen-gen con libertà assoluta di movi-mento entro i confini EU; ma si toccano con mano, purtroppo le diverse potenzialità economiche delle varie nazioni; a volte sono solo sensazioni lungo le strade di frontiera o di ingresso nelle città d'arte o addirittura nel retro dei vari monumenti che fungono da presentazione: due facciate in pie-na antitesi tra ricchezza e povertà. In estrema sintesi la na-zione più ricca fra quelle attraver-sate è l'Austria, molto povera è la Slovacchia; passi da gigante fa la Polonia, seguita dalla Lituania. Più arretrata risulta l'Estonia, piena di contraddizioni, e la Lettonia, dove praticamente siamo costretti a parcheggiare entro un recinto chiuso e custodito di una stazione di servizio in pieno centro e solo per pochi spicci! La mancanza di risorse e di lavoro specializzato, malgrado abbiano richiesto, e ot-tenuto, da 20 anni la libertà, non ha fermato la migrazione all'estero di 200.000 persone su 2.000.000 di abitanti.

Ma tutta l'Europa è piena di contraddizioni. Enormi campi agricoli disabitati e senza case, senza trattori, senza animali, per decine di chilometri; enormi con-centrazioni industriali con aria irre-spirabile e accanto città con altis-sima urbanizzazione, anche se a onor del vero non esistono che po-chi cosiddetti casermoni dormitorio

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essendo l'urbanizzazione spalmata in casette basse. A volte siamo af-fumicati da camioncini puzzolenti che emettono chili di particelle carboniose: ma può succedere an-che in Italia. Le strade, se affron-tate ad alta velocità lasciano a de-siderare, ma succede anche sulla Palermo-Messina.

Dopo l’effettuazione del previsto tour in terra russa, usci-remo a Narva, antica città anseati-ca, completamente distrutta nel 1944 dai bombardamenti sovietici per la sua liberazione dai nazisti, oggi ricostruita in senso moderno, con altra frontiera da attraversare senza problemi, dopo i soliti certo-sini controlli; ci avviamo sulla stra-da costiera verso Tallin. Cerchiamo e troviamo rifugio, con un senso di libertà indefinito ma che ci rende gioiosi e leggeri, nel parco Lahe-maa Rahvuspark, nella cittadina di Viitna; nel villaggio costiero di Alti-ja, ceniamo superbamente in una locanda tutta in legno, dopo avere a lungo passeggiato nel villaggio di pescatori, quasi preistorico e in ri-va al Baltico. Visitiamo Vhula, pie-na di dacie in legno, e Loksa con tutto il comprensorio, pieno di splendide chiese di villaggio e pic-coli manieri sempre rigorosamente in legno. Dopo 108 km arriviamo a Tallin, abitata da oltre 400.000 abi-tanti, a fronte di soli 1.200.000 a-bitanti della Estonia, metà dei quali russi, città anseatica anch’essa, gemellata con Venezia nel 1970. La parte antica, medioevale, inse-rita nel patrimonio dell'UNESCO, pedonale, è deliziosa, ricca di pic-coli gazebo, di negozietti intercon-nessi, ma occidentalizzati, in pieno contrasto con la parte moderna, ma piena di senso di povertà; non sono solo questi i contrasti: belle larghe strade, con marciapiedi o ponti sconnessi, ma attraversati da Suv ricchissimi; i palazzi da ristrut-turare accanto a palazzi neogotici o all'albergo Viru, un grattacielo modernissimo di 22 piani; passeg-giamo a lungo nella piazza Raeko-da (del municipio); per dormire ci spostiamo, con gli efficienti mezzi pubblici, sulla lunga Pirita tee, sul mare, in un cortile interno tra pa-lazzi, pomposamente chiamato camping città di Tallin. Di Parnu, pur essa città fa-cente parte della Lega Anseatica, dopo i bombardamenti, non è ri-masto nulla della sua parte medio-evale, se non la città ricostruita in

senso 'termale'. Andiamo così a Riga, capitale della Lettonia, desi-derosa di riprendere il suo vecchio

ruolo di metropoli del Baltico, sul fiume Daugava. Anch'essa è inseri-ta nel patrimonio dell'UNESCO.

Due istantanee del centro storico di Tallin, capitale dell’Estonia

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Dopo averla visitata, ci spostiamo a Siaulai (passando da Jelgava), città industriale, chiusa fino al 1987 perché era ricca di in-stallazioni militari sovietiche, del tutto ricostruita dopo la completa distruzione subita nella II Guerra Mondiale. 5 km. prima, svoltiamo per Kryziu Kalnas, dove c'è dal 1831, la collina delle Croci, che ri-corda le rivolte antizariste; ai no-stri giorni invece l'uso di porre cro-ci ricorda la resistenza lituana, progressivamente trasformatasi in pellegrinaggi religiosi; una lunga passeggiata pomeridiana molto ri-lassante ce lo conferma. Proseguiamo poi per Pa-langa (una volta detta la Rimini dell’Unione Sovietica), attraver-sando l'interno della Lituania fino al mare della cittadina, dove po-steggiamo per la notte in una viuz-za del centro, senza nessun tipo di problema. Di Palanga ci colpisce la vitalità, l'allegria, la libertà di co-stumi portata all'eccesso. Sembra proprio che la libertà ventennale di cui godono sia stata acquisita da qualche giorno con la mercificazio-ne inusuale del corpo, e non ab-biano ancora trovata una stabilità progettuale impegnativa, esclusa la lavorazione dell'ambra che può impegnare però solo pochi tecnici-artisti.

La strada che da Klaipéda scende verso Neringa e Kaliningrad nella stretta penisola dei Curoni

A Klaipéda ci incolonniamo per il traghetto (solo 50 metri) il cui costo irrisorio è aumentato da una tassa ecologica; sbarchiamo nella famosa penisola dei Curoni, detta di Neringa, dal nome mitolo-gico di una dea che la creò; essa in effetti è solo una lunga striscia di terra (100 km), molto bella, visto il tempo primaverile, che da Sud, territorio di Kaliningrad avanza verso Klaipéda. Avanziamo per 50 km su una strada perfetta, senza una curva, fiancheggiata da alberi, dietro i quali si nasconde una dop-

Un’immagine di Riga, capitale della Lettonia; in basso la collina delle croci (Kryziu Kalnas) vicino Siauliai in Lituania

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pia scogliera a picco sui due mari, spesso intervallati da spiagge di finissima sabbia. I cinque villaggi che vi hanno sede sono ricchi di vedute e di musei, ma evitiamo di visitarli accuratamente, dato che per passare da Kaliningrad abbia-mo un permesso di soggiorno che scade al 30° giorno di permanenza complessiva in Russia e siamo prossimi alla sua scadenza. Arriviamo alla graziosa cit-tadina di Nida, dove pernottiamo in una viuzza-posteggio dal costo notturno irrisorio, controllato da un ragazzo serissimo e dove pas-seggiamo a volontà; visitiamo il locale supermercato, compriamo coperte in pura lana, e infine ce-niamo magnificamente a base di sogliole del Baltico e salmone sel-vaggio. Di mattina ci avviamo nuovamente alla frontiera, a soli 4 km, per l'ingresso nell'enclave Russa di Kaliningrad; l'attraver-siamo e, all'uscita dal territorio russo, entrati in Polonia passiamo da Elblag e arriviamo a Gdansk (Danzica), dove troviamo ospita-lità notturna nel posteggio molto piccolo, a pagamento, dell'hotel Mercure in pieno centro, custodi-to sia dalle guardie dell'hotel che da spuntoni in acciaio anti-uscita, a comando manuale. Ciò ci con-sente di visitare tranquillamente, lungamente e per due giorni, la città; bella anche se in parte ri-costruita. All'uscita da Danzica ci av-viamo verso l'impronunciabile Szczecin (Stettino), città cantieri-stica, ma ci fermiamo per la notte a Koszalin, nella magnifica grande e curatissima piazza del municipio che ricorda quelle francesi imban-dierate e infiorate a festa. Faremo acqua da una efficiente fontanella pubblica al suo centro senza esse-re disturbati pur essendo in due camper.

Attraversiamo quindi il fiume Oder, allontanandoci dal pro-fondo fiordo che attraversa Stetti-no, ed entriamo nel famoso circo delle autostrade gratuite della Germania, verso Berlino. Staremo due giorni in pieno centro in un parcheggio a pagamento e visite-remo parte della città, non visitata da me le precedenti due volte che vi sono stato.

Da qui infine la discesa di ritorno in Italia.

Giuseppe Eduardo Spadoni

L’arsenale di Danzica, sulla Vistola; in basso il monumento che ricorda gli impiegati delle Poste della città che furono i primi a cadere per mano dei nazisti nel primo scontro della seconda guerra mondiale, il 1° settembre 1939

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Natale a Cervia Un suggestivo percorso che si snoda tra i diversi presepi preparati a Cervia per festeggiare il Natale, tra emozione e fascino del sacro, per i bimbi ma anche per gli adulti

emozione del Natale,

la tradizione del Presepe, i festeg-giamenti per la Natività: è un o-maggio al grande pubblico delle famiglie quello voluto dalla città del sale che come ogni Natale si prepara a presentare i tanti prese-pi che accompagneranno le feste a Cervia e Milano Marittima. Si par-te con i presepi nelle chiese per arrivare a quello, unico, fatto di sale, e ancora il Presepe dei Sali-nari e l’emozionante spettacolo del Presepe vivente.

Il presepe di sale Cervia, la città del Sale,

non può non avere un Presepe di sale. Le sculture, custodite negli spazi del Museo del sale sul Porto Canale, sono state create nel 1992 da un anziano salinaio, la cui pas-sione e la cui maestria, sono tutt’oggi visibili nel museo del sale. L’intero presepe, che mette in sce-na la classica Natività, è conserva-to in una teca di vetro che lo ripara dai cambiamenti climatici e soprat-tutto dall’umidità.

È composto da oltre quin-dici personaggi le cui statuine, alte dai 10 ai 40 centimetri, sono state realizzate a mano con una cristal-lizzazione guidata del sale. Una tecnica laboriosa e molto particola-re che ha richiesto una grande cu-ra, compresa la correzione giorna-liera della cristallizzazione delle statuette dentro le saline fino ad ottenere la forma voluta. Museo del Sale, Magazzino del Sale “Tor-re”, Via Nazario Sauro. Dal 18 di-cembre al 6 gennaio aperto tutti i giorni, festivi compresi, dalle ore 15 alle 19.

Il presepe dei salinari

Sempre al MUSA in occa-sione del Natale viene allestito il Presepe dei salinari, un omaggio alla Natività ambientata nella tipica capanna in giunco dei salinari con all’interno le statue a grandezza naturale di Maria, Gesù e San Giu-seppe che vanno a completare la coreografia formata dalle altre fi-gure già ospitate negli spazi del museo. Queste statue in terracotta

patinata, plasmate su una struttu-ra di sostegno in metallo, fanno infatti parte di una serie di realiz-zazioni che rappresentano i salinari al lavoro e le figure della vita in salina e che sono in mostra tutto l’anno su idea (e con la collabora-zione) dei soci fondatori del Grup-po Culturale Civiltà Salinara.

Tutta la serie fu realizzata (e cotta nel forno dell’artista) negli anni Ottanta da Paolo Onestini, fi-glio di Giacomo Onestini, famoso ceramista cervese. Si possono ammirare un finanziere nella sua postazione dentro alla garitta, un

salinaro che spinge il carriolo ed uno che utilizza la gottazza, stru-mento usato per spostare l’acqua da un bacino all’altro. Infine le fi-gure sono vestite con abiti del pe-riodo realizzati con grande passio-ne da una azdora cervese. Museo del Sale, Magazzino del Sale “Tor-re”. Dal 18 dicembre al 6 gennaio aperto tutti i giorni, festivi compre-si, dalle ore 15 alle 19.

Il presepe animato

Un’altra particolarità è il presepe animato, visitabile nella Chiesetta del Suffragio, che sorge

L’

Il presepe di sale di Cervia; in basso il presepe meccanico

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nel centro storico di Cervia. Il pre-sepe presenta un toccante pae-saggio che passa alternativamente dal giorno alla notte proponendo le attività della giornata alternate al silenzio ed al chiarore notturno; il movimento delle stelle, cometa com-presa, illumina il paesaggio calmo e silenzioso.

Le 50 statuette che anima-no la scena sono state realizzate e decorate a mano; il materiale usato è la creta. Si muovono spinte da una centinaia di piccoli meccanismi. Il presepe è stato realizzato in più di vent’anni, ma il lavoro continua perché ogni anno si aggiungono

nuove figure e nuovi meccanismi. Aperto dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18 il sabato e i festivi.

Il presepe meccanico

Il Presepe meccanico, alle-stito all’interno della Chiesa della Madonna della Neve sulla via Sala-ria, è visibile dall'Immacolata (8 di-cembre) all'Epifania (6 gennaio). Ogni anno varia a seconda del tema spirituale che si vuole sottolineare (l'anno scorso ricordava la geogra-fia della Terra Santa, dove a Natale il gruppo giovanile della parrocchia si è recato in pellegrinaggio).

Quest'anno il tema è la giornata mondiale dei giovani a Madrid quindi il Presepe sarà rea-lizzato in omaggio all'aggregazione dei popoli. Le statue disposte a semicerchio, attorno all’ampio fon-te battesimale della Chiesa, sono frutto di un laborioso lavoro e re-stituiscono al pubblico la sugge-stione della Natività in tutto il suo splendore. Aperto dall’8 dicembre al 6 gennaio dalle 8 alle 19.

Il presepe nella chiesa

Stella Maris Il segreto di questo prese-

pe risiede nell’uso dei materiali. Per la realizzazione della Natività della Chiesa Stella Maris a Milano Marittima vengono utilizzati solo materiali naturali e del territorio. Il presepe, che ha come caratteristi-ca l'essere diverso ogni anno, gra-zie agli ampi spazi, circa 40 metri quadri, a disposizione e ai materia-li naturali che si utilizzano, riesce sempre a creare una visione sem-

plice ma efficace della Natività e ci porta nel luogo in cui nacque Gesù.

L’anno scorso portò il pub-blico nel luogo in cui nacque Gesù ricostruendo a lato dell’altare maggiore uno scorcio della Bet-lemme del tempo. Chissà quale tema sarà scelto quest’anno per omaggiare la natività con Giusep-pe, Maria ed il bambino Gesù e tutti gli altri personaggi classici del presepe. Aperto tutti i giorni dal 24 dicembre al 31 gennaio dalle ore 8-12 e 15-18.

Sfila il presepe vivente Lo spazio antistante la

Chiesa Stella Maris a Milano Marit-tima si trasformerà in un palco-scenico che ospiterà un imperdibi-le Presepe vivente. Lo spettacolo realizzato con decine di comparse, si svolgerà nella notte di Natale (venerdì 24 dicembre dalle 22,30 all’una del 25 dicembre) quando i figuranti interpreteranno diverse scene classiche del presepe.

Al centro di tutte, la Nati-vità, allestita nella capanna che ospita la sacra famiglia. Accanto: il fabbro al lavoro nella caratteri-stica fucina, il pastore con il recin-to di animali veri, asini, capre e pecore, e l’emozionante interpre-tazione della vita che si svolge in-torno alla nascita di Gesù. Tutti saranno allietati dal cibo caldo cu-cinato in strada: si potranno gu-stare agnello, castagne e vin brulè raccolti intorno al calore dei fuochi di Natale allestiti per l’occasione.

Tatiana Tomasetta

Il presepe fra i pini

Il territorio

Il Comune di Cervia è situato in Emilia Romagna, in una parte meravigliosa della co-sta Adriatica, a 20 km a sud di Ravenna, con un litorale di 10 km caratterizzato da un arenile di sabbia finissima e da bassi fondali. L'antica "città del sale", il vecchio "borgo di pescatori" e le ampie distese della secolare pineta, si sono trasformate in funzione di uno sviluppo turisti-co che si è realizzato in modo pionieristico dalla fine dell'800 fino ad avere un impulso decisi-vo con la nascita, nel 1912, del-la "città giardino" di Milano Ma-rittima, sorta ai margini della secolare pineta.

Il cuore di Cervia è Piazza Garibaldi, con il Palazzo Comunale e la Cattedrale, am-bedue del ‘700. Vicino ad esse il Teatro Comunale. Di partico-lare interesse la cinta muraria che rende l'idea della struttura quadrangolare della città di fondazione nella quale le mura sono formate dalle stesse case dei salinari: piccole abitazioni tutte uguali, divise in quattro stanze, una per ogni famiglia, ed intervallate da una serie di cortili interni utili per raccoglie-re l'acqua del pozzo e per rico-verare gli attrezzi da lavoro.

Soste e pernottamenti: AA in loc. Pinarella, Viale Trito-ne, all’ingresso sud del paese; PS in Piazza Resistenza, in Piaz-za XXV Aprile e al parcheggio delle Terme (sotto i pini); a Mi-lano Marittima in Piazza del Grattacielo, vicinissimo al mare.

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Il castello Maniace di Siracusa

Una fortezza militare che oggi ospita importanti eventi

a scelta del castello Ma-

niace quale sede, l’anno passato, del G8 Ambiente potrebbe non essere stata suggerita solamente dalla of-ferta suggestiva dell'antica fortifica-zione. L'importanza della riunione e la conseguente necessità di sicurezza non potevano non tenere conto del-l'individuazione di un luogo più sem-plice da proteggere: infatti, è prati-camente inaccessibile per la posizio-ne geografica.

Per questo motivo fu eretto dal comandante bizantino Giorgio Maniace, nel 1038, impegnato allora nella cacciata degli arabi. La struttura occupa la parte terminale dell'isola di Ortigia che si affaccia immediatamen-te sull'imboccatura del Porto Grande da un lato, e sul mare aperto dall'al-tro. Nessuno, pertanto, poteva e può avvicinarsi a Siracusa, o peggio entra-re nel porto. senza essere avvistato con abbondante anticipo.

E' stato praticamente da sempre luogo militare. Tra il 1232 e il 1240 fu trasformato in castello da Federico II con la possibilità di in-gresso solo attraverso un ponte leva-toio. Le note storiche parlano del re Pietro d'Aragona che vi dimorò con la sua famiglia, e di Federico Il d'Ara-gona che nel 1321 convocò il Parla-mento siciliano per l'eredità governa-tiva al figlio Pietro II d'Aragona.

Tra il 1305 e il 1536 il Ca-stello ha ospitato le regine d'Aragona Costanza, Maria e Bianca e anche Germana de Foix, la seconda e ulti-ma moglie, poi vedova, di Ferdinan-

do il Cattolico. Nel 1540 ospitò anche l'ammiraglio Andrea Doria mandato da Carlo V contro i musulmani. Il sito fu quindi adattato, oltre che a ca-serma e presidio militare, a prigione e residenza. E' dunque chiaro che nei suoi mille anni, e soprattutto nei primi cinquecento, sono state molte e diverse per tipologia te modifiche apportate. Vanno anche considerati i devastanti terremoti del 1542 e del 1693, le opere di rafforzamento del castello e quelle di manutenzione contro la naturale erosione del mare.

Le bocche per la fuoriuscita dei cannoni si fanno risalire all'età na-poleonica mentre i Borboni nel 1838 innalzarono un altro edificio quale protezione dell'artiglieria sempre più pesante e precisa. Dall'Unità d'Italia,

e sino a pochi anni fa, il castello Ma-niace non ha quindi smesso di essere un sito militare. L'ultimo presidio, quel-lo dell'Esercito italiano: le forze armate hanno utilizzato sino agli anni Novanta gli ampi spazi interni per i mezzi e per gli uffici del distretto militare.

Gli anni Duemila, dunque, rappresentano di fatto un cambio e-pocale per l'antica fortificazione. Il ca-stello perde, dopo circa un millennio, la sua naturale vocazione militare per la straordinaria posizione strategica. Una posizione, tuttavia, ancora sfrut-tata a protezione del G8 Ambiente. Il castello, in conclusione, per volontà delle ultime configurazioni politiche e per l'impegno della Soprintendenza aretusea, si è trasformato in un luogo di cultura, dove anche i profani pos-sono sentire i racconti millenari delle mura che hanno conservato la storia personale di centinaia di migliaia di persone e di soldati.

E questo grazie ad un pro-getto che ha dovuto tenere conto, tra le altre cose, della demolizione delle strutture realizzate nel recente passato, tanto da presentare il ca-stello così com'era alla fine del Cin-quecento, del restauro complessivo e del consolidamento dei torrioni e del-le opere a mare. Unica concessione all’utilizzo militare, il sito della Casina presente nella Piazza d'Armi ospita la sede del Nucleo tutela patrimonio artistico e culturale dell' Arma dei Carabinieri.

Alfio Triolo

L

Il castello Maniace che protegge l’accesso al porto di Siracusa

L’interno del castello

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Punta Secca Un angolo di paradiso da Ulisse al Commissario Montalbano televisivo

a spiaggia, una volta

conosciuta solo dai siciliani e dai viaggiatori più curiosi, è diventata una delle più famose d'Italia. Forse non l'avete riconosciuta, ma se guardate bene forse potete scorge-re il commissario Montalbano men-tre sorseggia il caffé dal balcone di casa sua. Siamo a Punta Secca, una frazione di Santa Croce Came-rina, in provincia di Ragusa, dove il famosissimo commissario fa le sue nuotate televisive.

Inutile dire che qui, oltre a Ingrid e Mimì, troverete un sacco di altri turisti che come voi inten-dono scoprire gli splendidi luoghi raccontati da Camilleri e visti in televisione, gli stessi vissuti da sempre (beati loro) dai ragusani. Ah, per la cronaca: su queste spiagge nel 1943 iniziò lo sbarco degli anglo-americani nella secon-da guerra mondiale, ma questa è roba già vecchia. Punta Secca, sin dai tempi remoti, ne ha viste tan-te. Il facile approdo di Punta Sca-lambri (dirimpetto all'arcipelago maltese) vide sbarcare infatti mol-to tempo prima la nave di Ulisse; lo stesso luogo salutò greci e ro-mani e diede il benvenuto, appun-to, nel ‘43, agli anglo-americani.

Adesso accoglie turisti, so-prattutto quelli sulle rotte delle fiction televisivi, ansiosi di vedere e fotografare, in particolare, un "mo-numento": ovviamente, la casa di Montalbano. La villa sulla spiaggia da cui l'eccentrico commissario na-to dalla fantasia del maestro An-drea Camilleri e magistralmente interpretato da Luca Zingaretti, guarda il mare, è infatti diventata oggetto di culto. La casa si trova a pochi metri dal mare, da cui è se-parata da dieci metri di sabbia do-rata, e condivide una piazzetta con la torre Scalambri (del XVI secolo), a cui i turisti la preferiscono per e-videnti motivi di notorietà. La casa di Montalbano è un immobile stori-co del piccolo borgo marinaro: ori-ginariamente magazzino per la dis-salazione delle sarde, venne acqui-stato nel 1904 dagli avi dell'attuale proprietario e successivamente tra-sformato in abitazione.

A cento metri si trova il fa-ro di Punta Secca (altro monu-

mento simbolo della serie televisi-va), una torre circolare bianca del 1853 che, con i suoi 35 metri, do-mina il piccolo porticciolo proiet-tando la sua ombra nella piazza principale dell'abitato che, nelle sere estive, si anima di villeggianti.

Sui tavolini del bar ai piedi del faro turisti e locali si cimentano in ardite sfide di briscola pazza. L'atmosfera che si respira è lonta-

nissima dalla mondanità di certe spiagge famose: Salvo Montalba-no, per fortuna, non ha modificato il dna di chi frequenta Punta Secca e Punta Secca non ha snaturato se stessa, offrendosi in tutta la sua affascinante semplicità. Al bar gli intenditori scelgono il gelato di ri-cotta (inventato negli anni ‘50 a Cassibile, frazione di Siracusa), molto apprezzato dai ragusani e

L

Punta Secca vista dal mare, con il faro e, a sinistra, casa Montalbano

In basso uno zoom sulla casa diventata, grazie ad Andrea Camilleri e alla trasposizione televisiva dellaRAI, la più famosa d’Europa...

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consumato nei muretti da cui si ammira il mare, appassionandosi alle sfide notturne di calcetto e pallavolo che si disputano in un campetto di sabbia. Poco più in là si trova il porticciolo e, al suo in-gresso, il piccolo mercato del pe-sce fresco dove la mattina i pesca-tori vendono quel che le reti hanno tirato nel corso della notte. L'ap-prodo ha un braccio che diventa camminamento per ammirare l'in-tera frazione marina racchiusa fra il faro e la casa di Montalbano.

La vera attrazione di Punta Secca resta, comunque, il mare e la sua sconfinata spiaggia sabbiosa che in estate si trasforma in un infi-nito solarium, accogliendo i patiti della tintarella e gli appassionati di fitness. Per un tour completo di questo minuscolo angolo di Sicilia ci si può inoltrare lungo la costa per circa 300 metri, verso Casuzze, si-no a raggiungere il vicino Parco Ar-cheologico di Caucana, immerso nel verde di olivi e carrubi. Qui si sco-prono i resti di una città, che fu im-portante ancoraggio, dove è stato riportato alla luce un insediamento di epoca tardo-antica con 25 edifici di diversa tipologia ed una piccola chiesa a tre navate facente parte di un'area cimiteriale.

Punta Secca è tutta qui, e di certo non è poco. Per il Comune di Santa Croce Camerina natural-mente la fiction rappresenta una fonte di grandissima promozione. Basti pensare che proprio qualche tempo fa a Punta Secca sono arri-vati dieci autobus tutti pieni di turi-sti che volevano visitare la frazione marinara proprio perché location della fiction. Ma Punta Secca sta puntando anche alla valorizzazione del pescato e alla orto-frutta locale, con occasione di formazione nelle scuole dell'obbligo per promuovere la dieta mediterranea. A questo si aggiunge un'attività di promozione dei beni culturali, e in particolare archeologici, il Bagno Arabo di Mez-zagnone e il villaggio di Caucana, entrambi oggetto di restauro a ope-ra della Sovrintendenza. Prossima-mente Santa Croce Camerina di-venterà un’importante vetrina in Sicilia per il pesce azzurro.

D’altronde, nel suo territo-rio si trova la casa più famosa d'Europa in questo momento, quel-la del commissario Montalbano, e si intende sfruttare la notorietà per veicolare i prodotti del territorio!

Alfio Triolo

a preistoria della Sici-

lia fu quel lasso di tempo che va dalla comparsa dell’uomo sull'isola fino al momento in cui i Greci, nel VII secolo a. c., vi introdussero la scrittura. Il Val di Noto risulta mol-to importante per le testimonianze delle epoche preistoriche, essendo abitato fin dai tempi più remoti. Si tratta di luoghi e itinerari meno conosciuti ma di grande valore sto-rico.

La necropoli di Castelluccio

La necropoli di Castelluc-cio, ad esempio, è uno dei più im-portanti siti dell'età del bronzo in Sicilia. La cultura di Castelluccio prende il nome da questo insedia-mento posto tra Noto e Palazzolo Acreide. Lungo le pareti della cava si estende la necropoli costituita da 176 tombe scavate nella roccia. Spicca in questo sito la cosiddetta "Tomba del Principe", che ha un aspetto imponente, grazie ai pila-stri scavati nella roccia che ador-nano il prospetto.

Poco a nord di Siracusa si trova la penisoletta di Magnisi, sulla quale sorgeva l'antico abitato di Thapsos, della media età del bronzo. Qui è stata individuata una necropoli con tombe a grotticella artificiale.

Pantalica è un'altra località naturalistico-archeologica della provincia di Siracusa che nel 2005 è stata inserita nel Patrimonio del-l'Unesco. Il sito si trova su un alto-piano, circondato da canyon for-mati nel corso dei millenni. Vari sentieri permettono di visitare la zona, costellata da necropoli in tut-to il suo territorio, come la Necro-poli di Filiporto, composta da un migliaio di tombe.

Pantalica

Cava Lazzaro è un altro si-to preistorico poco conosciuto: si tratta di una cava ubicata nei pres-si di Rosolini. Al suo interno si tro-va una necropoli preistorica con una tomba monumentale. E’ una delle numerose cave che attraver-sano la Sicilia sud-orientale.

Anche in Contrada Baravi-talla, che si trova nella parte set-tentrionale della Cava d'Ispica, ha sede una piccola necropoli di epoca coeva a quella di Castelluccio.

La Cava d’Ispica

Nei pressi di Ragusa è ubica-to uno dei più antichi siti preistorici siciliani: il riparo sottoroccia di Fonta-na Nuova, una cavità naturale am-pliata artificialmente per permettere ai cacciatori di trovarvi riparo.

Nel sito di Monte Tabuto, nei pressi di Comiso, sono particolar-mente suggestive le miniere di selce che vennero usate fin dall'antica età del bronzo per estrarre il minerale. Le grotte di Monte Tabulo rappresenta-no le più antiche miniere della Sicilia.

All'interno della bellissima area naturalistica attrezzata di Cala-forno si trova infine un ipogeo costi-tuito da ben 35 camere scavate nella roccia e datate attorno al III millen-nio a.C.

A. T.

L

La preistoria in Sicilia Sicani, Siculi, Elimi abitarono l’isola prima dei Greci; molte le testimonianze dell’epoca tra Ragusa e Siracusa

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‘A trinca Non un taglio pregiato di carne, ma un gioco che appassionava le ragazze siracusane di un tempo

e chiedete oggi alle gio-

vani mamme di Siracusa cosa sia la trinca, probabilmente vi risponde-ranno che è soltanto un taglio pre-giato di carne bovina corrispondente alla lombata. Eppure le loro madri ancora ricordano bene un gioco con questo nome per averlo praticato dall'infanzia all'adolescenza. È que-sta la dimostrazione che la Trinca era il passatempo preferito soprat-tutto dalle ragazze sino alla seconda metà del secolo scorso: non per niente si differenziava da tutti i gio-chi di quel tempo per la raffinatezza e l'eleganza dell'esecuzione durante la quale le partecipanti, più che gio-care, sembravano danzare su quel suggestivo palcoscenico naturale che era Ortigia.

Anche se con varianti molto accentuate, in Sicilia era diffuso o-vunque; solamente nel Siracusano e nel Ragusano aveva il nome di Trin-ca, nel Messinese e nel Catanese aveva quello di Sciancatedda, nel Palermitano si chiamava 'U Zuppid-du o A fu zoppu. La nostra Trinca solo lontanamente si può paragona-re al gioco della Campana del resto d'Italia, talmente è diverso nell'ese-cuzione.

A Siracusa raramente dalle ragazze era consentita la partecipa-zione dei maschietti insieme a loro; se si verificava, il fortunato quasi sempre era il fratello più piccolo o un parente stretto di una delle giocatrici. Questo passatempo di solito si svol-geva in un cortile o in un ronco (a Siracusa questo termine designa una strada senza uscita, ndr) perché sulla strada passavano i carretti e c'era il

rischio che gli asini imbrattassero il campo da gioco. Chi tra le giocatrici aveva maggiori capacità grafiche, con una bacchetta di gesso bianco prele-vato appositamente a scuola, oppure con un pezzetto di carbone che allora non mancava mai nelle case, o addi-rittura con una pietra bianca, deline-ava per terra il campo da gioco che poteva avere due forme, una a por-toncino, come risulta dalla vignetta, e l'altra a croce.

Mi limito a descrivere la pri-ma perché era la più diffusa. Si se-gnavano tre linee longitudinali, di cir-ca tre metri e distanti su per giù ses-santa centimetri l'una dall'altra, che poi si chiudevano con sei linee tra-sversali in modo da formare dieci ca-selle numerate da uno a dieci. Sopra le ultime due, precisamente sulla quinta e sulla sesta, veniva disegnato un semicerchio al centro del quale si scriveva a stampatello la parola RI-POSO.

Ogni ragazza teneva in ma-no una pietruzza piatta o una pia-strella ('na chiappedda). Fatta la tocca, chi vinceva iniziava il gioco da sinistra e dal basso verso l'alto, se-guendo progressivamente la nume-razione segnata. Dopo avere gettato la pietruzza, senza avere oltrepassa-to la linea di partenza, nella casella uno, vi saltava con un piede tenendo l'altro sospeso e, abbassandosi, sempre su un piede, riprendeva la pietra, si rialzava e usciva dal retico-lato. Allo stesso modo, se non com-metteva errori, faceva nella secon-da, e poi via via nella terza, nella quarta e nella quinta casella, senza mai fermarsi. Arrivata dentro il se-micerchio si riposava poggiando en-

trambi i piedi per poi, con un salto, girarsi su se stessa di 180 gradi e intraprendere, saltellando con un piede, la via della discesa dalla sesta alla decima. Se durante il gioco sba-gliava a lanciare la pietruzza nella casella dovuta, se con il piede tocca-va una delle linee che dividevano le caselle o, poggiando l'altro piede, si riposava quando non doveva, un'al-tra giocatrice prendeva il suo posto facendo attenzione a non commette-re errori; altrimenti, a sua volta, ve-niva sostituita.

Ulteriori percorsi dovevano compiersi, saltellando, con la piastrel-la, ora su due dita, ora sul dorso di una mano. Chi per prima compiva l'intero tragitto risultava vincitrice di quella prova. Il bello del gioco comin-ciava quando l'itinerario doveva com-piersi, ovviamente saltando sempre con un piede, con la piastrella sulla fronte o con una benda agli occhi. A questo punto la giocatrice, non ve-dendo il reticolato, ad ogni casella doveva dire "Ah!" che stava per "Va-do!". Se con la pietra aveva centrato la casella giusta e l'aveva ripresa senza toccare con i piedi le linee di demarcazione, le compagne in coro rispondevano "Salàm". Se sbagliava, la risposta corale, ma spiritosa, era "Salamino", e in questo caso la mano del gioco passava ad un'altra compa-gna che per vincere doveva compiere l'intero percorso senza commettere errori, cosa che al buio era difficilis-simo.

L'esclamazione Ah! e la ri-sposta Salàm mi fanno legittimamen-te supporre che questo gioco fosse praticato dagli Arabi durante la loro lunga dominazione in Sicilia. L'Alep-po-Calvaruso fa infatti derivare, per metatesi letterale, l'interiezione sici-liana Ah! da quella araba hâ! (andia-mo!) di cui si servono gli Arabi per chiamare i cammelli o farli cammina-re. Che la voce araba Salam (pace) esprima un concetto positivo e di as-senso è noto. Se fosse un gioco ara-bo Trinca deriverebbe, per metatesi, da TRICNA, forma dialettale nordafri-cana di TARIKUNA, che in arabo vuol dire "il nostro percorso", quello, per l'appunto, compiuto dalle fanciulle nel corso di questa divertente gara.

Alfio Triolo

S

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Terza pagina Quando una banca muore: il caso Banco di Sicilia

uando leggerete questo

articolo il Banco di Sicilia non esi-sterà più. Nel senso che l’ultima a-zienda bancaria che ha portato questo nome, pur con alterne vi-cende e a seguito di tutte le rivolu-zioni avvenute nel mondo bancario e nello specifico di tutte le ristruttu-razioni subite negli ultimi quindici anni, bene l’ultimo “Banco di Sici-lia”, come dicevamo, avrà cessato di esistere, incorporato in un’altra banca, la capogruppo Unicredit.

Cosa c’entra questo con il nostro bimestrale, vi chiederete? Beh, questa rubrica ha sempre trattato un argomento di cultura, anche avulso e indipendente ri-spetto alla totalità degli altri servizi pubblicati, e sono certo che non poteva non trattare adesso, in questa occasione, proprio questo argomento, dato che il Club Plein Air BdS è prima di tutto, come re-cita il suo statuto, l’associazione dei camperisti del Banco di Sicilia. In ogni caso, chi scrive sentiva l’obbligo morale di farlo, con il massimo di serenità ed equilibrio storico, seppur col magone dentro.

Le origini Per scrivere una storia del

Banco di Sicilia dobbiamo andare molto indietro nel tempo; dobbiamo cioè partire dall’inizio, dalle ragioni storiche ed economiche della nasci-ta di questa banca. Sono certo che pochissimi sono a conoscenza che il primo “banco” in Sicilia fu istituito alla fine del ‘400. Fu una nobile fa-miglia dedita anche all’attività mer-cantile, quella dei Sanchez, ad a-prirlo insieme ad Ambrogio Levi, il cui cognome è di chiara derivazione ebraica, anche se il nome Ambrogio evidenzierebbe una nascita milane-se. Questo banco ebbe la tesoreria in Sicilia per conto del re Ferdinan-do il Cattolico; ma le forze dei fon-datori da sole non bastarono a co-prire gli anticipi di tesoreria neces-sari e alcune famiglie genovesi ir-ruppero ben presto sulla scena fi-nanziaria dell’Isola fino a monopo-lizzare nei decenni successivi il “mercato bancario” siciliano con va-ri sportelli sparsi sul territorio dediti soprattutto all’attività finanziaria per conto dei mercanti dell’epoca.

Nel 1551 e nel 1587 ven-gono istituite a Palermo e a Messina (che erano le due città più impor-tanti dell’Isola) le “Tavole Pecunia-rie”, che ebbero funzioni di deposito e di tesoreria, molto meno di ban-che d’affari; mentre il credito al consumo iniziò a essere elargito dai monti dei pegni e il “credito d’affari” - come a quel tempo era definita l’attività di prestare denaro per im-piantare o sostenere un’impresa – rimase nelle mani dei mercanti più facoltosi. Ben poco di articolato e di organizzato, quindi.

Fu così che «la Sicilia arri-vò al XIX secolo senza banchi né banche, senza un’organizzazione creditizia, senza un sistema - qua-lunque fosse – capace di vitalizzare la sua economia e la sua potenzia-le ricchezza», come acutamente scrive lo storico e archivista Car-melo Trasselli; il quale nota altresì che i Borboni, dal canto loro, erano gelosissimi della loro monetazione, a tal punto da «respingere con or-rore la carta moneta... I soli titoli di credito noti in Sicilia» – continua - «rimasero le tratte dei mercanti e le “fedi di credito” che non aveva-no le funzioni del “biglietto” perché rappresentavano denaro metallico realmente depositato».

Solo quando il casato dei Borbone era ormai prossimo alla sua fine, nel 1843, furono istituite dalla corona le Casse di Corte (sempre a Palermo e a Messina) che, sebbene fossero istituti di semplice deposito e circolazione, operarono congiuntamente, tanto che con lo scoppio della rivoluzione del 1848 e il momentaneo distacco della Sicilia dalla capitale borbonica Napoli, divennero col governo rivo-luzionario due articolazioni di un u-nico “Banco Nazionale della Sicilia”.

Il 13 agosto 1850, dieci anni prima della spedizione gari-baldina in Sicilia, nasceva il Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro, con sede in quell’edificio di Piazza Marina a Palermo che da sempre è conosciuto dai palermi-tani come “Palazzo delle Finanze”; e il 10 aprile 1859 iniziarono a o-perare anche le due Casse di Scon-to di Palermo e Messina, nate per lo sconto di cambiali e per anticipi su merci e su «mesate di stipendio

agli impiegati dello stato», con tassi di interesse calmierati.

La situazione economica e finanziaria dell’Isola all’atto dell’im-presa garibaldina e dell’annessione della Sicilia all’Italia era quindi ab-bastanza poco evoluta, ma il mu-tamento politico successivo al 1860 portò subito molte novità. In quel momento le famiglie economica-mente più prestigiose dell’Isola e-rano i Florio, i Chiaramonte Bordo-naro, i Raffo, i Pojero, i Varvaro, autorizzati anche dalle posizioni chiave in cui erano collocati loro rappresentanti (governatori del banco, deputati della borsa dei cambi, membri della Camera Con-sultiva del Commercio) a indirizza-re e controllare agevolmente le at-tività economiche e finanziarie di tutta la Sicilia. Fu proprio per loro iniziativa che fu istituto il Banco di Circolazione per la Sicilia, con sede a Palermo e succursali a Messina e Catania, con capitale iniziale di 6 milioni di lire italiane diviso in 6.000 azioni da 1.000 lire l’una. Ma quella banca, per quanto rego-larmente istituita, non divenne mai realmente operativa abortendo prematuramente.

Fu solo dalle ceneri del Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro, mai soppresso, che ebbe di fatto origine il Banco di Si-cilia, banca pubblica che segnò comunque per gli operatori eco-nomici dell’Isola il primo momento di una presa di coscienza della loro funzione autonoma all’interno dell’economia “italiana” che proprio in quegli anni andava creandosi a seguito dello stato unitario e della circolazione anche nell’Isola della prima carta moneta in sostituzione della sola moneta metallica.

Ma la nascita di questa prima vera banca siciliana attirò subito su di sé la reazione della fi-nanza piemontese e ligure, indu-cendo Carlo Bombrini, che allora dirigeva la Banca Nazionale (nata come banca di emissione dei Sa-voia dalla fusione nel gennaio del 1850 della Banca Nazionale degli Stati Sardi, della Banca di Genova e della Banca di Torino), ad aprire una propria filiale anche a Paler-mo, come quella che la banca ave-va appena aperto a Napoli, anche

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per evitare che l’emissione di carta moneta per conto dello stato uni-tario potesse essere un giorno ef-fettuata da più banche, come qual-cuno aveva subito ipotizzato attri-buendo tale compito, per la Sicilia, proprio al Banco di Sicilia, come in Campania al neonato Banco di Na-poli. Da qui a chiedere la chiusura dei due “banchi meridionali” (come già allora vennero definiti) il passo fu rapidissimo.

Ma l’operazione non riuscì: il Consiglio del Banco di Sicilia, che operava – ricordiamolo – per conto dello Stato, fu infatti chiamato a e-sprimere un parere sulla delicata vi-cenda; e, pur non manifestando in

linea di massima alcuna opposizione all’istituzione in Sicilia di filiali della Banca Nazionale, fu chiaramente dell’avviso che «non era conveniente né possibile abolire l’istituzione pro-sperante del Banco governativo, perché esso prestava dei servizi e delle agevolazioni che la Banca Na-zionale non avrebbe offerto coi bi-glietti al latore e col suo genere di operazioni... Un passo non giustifi-cabile abolire un’istituzione che ren-deva utilissimi servizi al commercio, alle private contrattazioni, al Gover-no», come è scritto negli atti del Consiglio del Banco di Sicilia di quel tempo.

Anche a seguito di questo

parere, il governo sabaudo decise quindi di autorizzare l’istituzione di filiali in Sicilia della Banca Naziona-le, ma senza tuttavia fare cessare l’attività del Banco di Sicilia che in-fatti proseguì, come avvenne in Campania col Banco di Napoli, an-che se seguirono comunque anni difficili e di continui screzi fra le due istituzioni, culminate con l’introduzione - il 1° maggio del 1866 - del costo forzoso del denaro che obbligava le banche autorizzate a emettere fedi di credito (titolo di credito solo in parte uguale all’attuale assegno circolare) a im-mobilizzare presso le proprie casse almeno «due terze parti della mas-sa metallica a copertura delle emis-sioni» dei titoli stessi. In contropar-tita, però, quando la Banca Nazio-nale riceveva presso i suoi sportelli le fedi di credito emesse dal Banco di Sicilia, iniziò a incamerarle cam-biandole con cartamoneta e obbli-gando il Banco di Sicilia a restituire in stanza di compensazione giorna-liera monete.

Una fede di credito del Banco di Si-cilia, titolo di credito che consentiva la girata “condizionata” che è stato emesso fin quando il Banco è stato un istituto di credito di diritto pub-blico, cioè fino al 1990

La “guerra” fra le due ban-che comportò che anche il Banco di Sicilia, come contromisura, iniziò «a fare circolare i propri valori te-nendo a sua volta in serbo quelli della Banca Nazionale da utilizzare unicamente per eseguire la riscon-trata con essa e con le sue casse», come sottolinea lo storico Romual-do Giuffrida nel suo volume “Il Banco di Sicilia”. Questo causò la

Il decreto con cui Vittorio Emanuele II autorizzava il Banco di Sicilia ad aprire altre sedi in Sicilia e nella penisola oltre a quelle iniziali di Palermo e Messina

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sparizione della “moneta” in Sicilia con una crescente crisi finanziaria dovuta «all’emissione di un estesis-simo numero di polizzini di piccolo taglio pagabili al portatore» (sempre il Giuffrida, ibidem).

Questa crisi strisciante, che caratterizzò con vari scandali tutta l’Italia, si concluse con un apposito atto legislativo che fu emanato l’11 agosto del 1867, allorquando il Go-verno, per rispondere alle richieste degli stessi siciliani, trasformò il Banco di Sicilia, unico stabilimento pubblico dell’Isola, in “Ente Morale Autonomo”, annettendovi le Casse di Sconto fino a quel momento au-tonome. Per inciso, analoga trasfor-mazione ebbe luogo anche per il Banco di Napoli. E fu così che i due banchi meridionali nel 1867 diven-nero istituti di credito autonomi, pur se a capitale pubblico, sottraendo alla Banca Nazionale il monopolio dell’emissione della carta moneta attraverso l’autorizzazione ad emet-tere polizzini di cassa e fedi di credi-to, richiedibili a titolo gratuito per evitare di portare con sé masse mo-netarie ingenti da una parte all’altra dell’Italia, titoli negoziabili a vista al portatore presso ogni filiale in Italia anche della Banca Nazionale.

La prima espansione e la direzione di Notarbartolo

Un’ulteriore valorizzazione del Banco di Sicilia avvenne con la progressiva apertura di nuove filiali in Sicilia (le prime a Catania, Gir-genti, Trapani e poi a Caltanisset-ta, Siracusa e pian piano anche nel “continente”) e con l’autorizzazione già nel 1870 a effettuare operazio-ni di credito fondiario. Fra una crisi finanziaria e l’altra, qualche anno più tardi, la legge Minghetti del 1874 autorizzò sei banche in Italia, fra cui il Banco di Sicilia, ad emet-tere “biglietti di banco”; in cambio queste sei banche, riunite in con-sorzio, avrebbero concesso allo stato un prestito di un miliardo di lire, una enormità per l’epoca, a causa delle cattive condizioni del bilancio dello stato.

Ma mentre le altre banche cessarono questa attività nel 1893, il Banco di Sicilia ebbe il privilegio insieme al Banco di Napoli di pro-seguirla ininterrottamente fino al 1926, affiancando l’istituto di e-missione che continuò a gestire la tesoreria di stato, anche se la de-nominazione “Banca Nazionale” con la legge 449 del 1893 (che riordinò dopo le varie crisi finanzia-

rie di fine ‘800 la banca) fu modifi-cata definitivamente in “Banca d’Italia”. Il massimo prestigio del Banco di Sicilia a fine ‘800 corri-spose alla gestione del Direttore Generale Emanuele Notarbartolo, che era stato fra i seguaci di Gari-baldi e che per circa tre anni era stato anche Sindaco di Palermo, uomo integerrimo che, fra le altre azioni intraprese per rendere più solida la banca e per aumentarne la funzionalità, riuscì ad avere affi-data dallo stato la gestione finan-ziaria delle opere pubbliche e quel-la del credito agrario. Oltre a ciò la grande intuizione del Notarbartolo fu quella dell’apertura di una rete di agenzie (non di sedi come lo e-rano state le prime filiali), sì auto-nome, ma “controllate da una ope-razione superiore”, cioè appunto da sedi capozona. Oltre all’apertura di Roma, Milano e Reg-gio Calabria, la banca iniziò la sua espansione in centri di grande in-teresse commerciale (per lo zolfo, per l’agricoltura, per il commer-cio), come Caltagirone e Sciacca.

Emanuele Notarbartolo, Direttore Generale del Banco di Sicilia dal 1876 al 1890, assassinato dalla mafia il 1° febbraio 1893

Il suo lavoro al Banco di Sicilia non fu però semplice, e non solo per le continue crisi finanziarie che attanagliavano l’Italia del tem-po. Il consiglio generale della ban-ca era composto infatti principal-mente da politici, molti dei quali collegati ad apparati locali di pote-re o peggio collusi anche con la mafia. Per di più, durante il gover-no Depretis furono affiancati a No-tarbartolo due personaggi a lui no-toriamente ostili, tra cui il parla-mentare Raffaele Palizzolo. Il de-putato, come si sussurrava all’epoca in tutti gli ambienti, era colluso con la mafia locale e le sue speculazioni avventate avevano già creato non pochi screzi con il Notarbartolo.

Nel 1882 Emanuele Notar-bartolo fu addirittura oggetto di un sequestro, con la liberazione avve-nuta solo a seguito del pagamento di un riscatto. Ma fu solo il prologo della sua triste fine: dopo la mani-festa progressiva ostilità cui andò sempre più incontro nella sua a-zione, Notarbartolo fu infine co-stretto dopo 14 anni alle dimissioni dalla carica di Direttore Generale e addirittura a intentare una causa con lo stesso Banco di Sicilia che gli negava la dovuta pensione. In-fine, il 1° febbraio 1893, mentre era sul treno che da Termini Ime-rese lo avrebbe condotto a Paler-mo, nei pressi di Trabia venne uc-ciso con 27 colpi di pugnale da Matteo Filippello e Giuseppe Fon-tana, legati alla mafia siciliana. Questo caso avrebbe acceso un importante dibattito sulla situazio-ne della mafia in Sicilia e in Italia e, soprattutto, sulla collusione tra mafia e politica, ma inizialmente nessuno osò fare nomi. Solo nel 1899 la Camera dei Deputati au-

Banconota di 1 lira emessa dal Banco di Sicilia, nella sua funzione di istituto di emissione proseguita fino al 1926

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torizzò il processo contro l’on. Pa-lizzolo riconoscendolo mandante dell'assassinio; ma per quanto in primo grado il Palizzolo fosse stato giudicato colpevole e condannato, nel 1905 fu assolto in appello per insufficienza di prove. L’onorevole Nervo, quindi un politico, sostituì Notarbartolo nella carica prima di Commissario Governativo e poi nel 1890 di Di-rettore Generale (allorquando fu ricostituito il Consiglio Generale dell’Istituto che era stato sciolto con le dimissioni di Notarbartolo). Ma dopo poco tempo fu il Duca della Verdura a prendere il suo po-sto (era il 18 febbraio 1891). Crispi aveva nel frattempo istituito una commissione ispettiva che verifi-casse l’effettiva solvenza delle banche italiane, sempre attana-gliate da continue crisi, in partico-lare le banche di emissione (come il Banco di Sicilia). E proprio il Banco di Sicilia vacillò davanti alla scoperta di speculazioni di borsa non coperte da preventiva autoriz-zazione del Consiglio, tanto che anche il Duca di Verdura fu co-stretto alle dimissioni.

Ci volle la nuova legge bancaria del 1894 per portare un po’ di serenità nell’ambiente ban-cario italiano, e al Banco di Sicilia nello specifico, anche se le tristi vicende delle guerre d’Africa e del primo conflitto mondiale avrebbero nuovamente indebolito il quadro economico e finanziario della na-zione e, ancor più, di tutto il meri-dione e della Sicilia.

Il primo Novecento L’evoluzione dei principi normativi che regolavano il mer-cato finanziario e creditizio in Ita-lia portò nel 1926 a riscrivere la legge bancaria del 1894, affidando alla sola Banca d’Italia il compito di istituto di emissione e di teso-reria dello Stato e autorizzando invece tutte le altre banche ad ef-fettuare operazioni di deposito e di affidamento. Nel 1926, quindi, il Banco di Sicilia cessò insieme al Banco di Napoli la sua funzione di istituto di emissione, anche se fe-di di credito e polizzini di cassa continuarono ad essere emessi insieme ai vaglia cambiari al posto degli assegni circolari consentiti a tutte le altre banche, con agevo-lazioni quindi sul deposito di fondi precostituito a garanzia dell’emissione e del denaro così circolante.

Gli anni a cavallo delle due guerre furono anche segnati per il Banco di Sicilia da una imperiosa apertura di filiali in tutta la Sicilia e in molte città della penisola e si pensò anche all’edificazione di una nuova sede centrale a Palermo. In-fatti, dopo un breve periodo nel quale la sede del Banco di Sicilia era stata trasferita dal Palazzo del-le Finanze di Corso Vittorio Ema-nuele a Palazzo Nasca in via Roma, durante il ventennio si sviluppò la necessità di edificare ex novo un palazzo che ospitasse molto più comodamente sia la Direzione Centrale che la sede operativa pa-lermitana dell’Istituto.

Il progetto della nuova co-struzione fu affidato all’architetto Salvatore Caronia Roberti, allievo del Basile, che ideò una compatta volumetria in stile modernista, pe-raltro assai tipico del periodo, in li-nea con quella che egli stesso definì "la volumetria e la razionalità medi-terranea". Nel 1933 si diede inizio ai lavori, affidati all’impresa Cardillo, e in tre anni fu realizzato il palazzo che ha il suo prospetto principale sulla Via Roma, nuovo asse viario della città dei primi anni del secolo, ma che ben si radicava all’allora centro economico e finanziario di Piazza Borsa (oggi Piazza Cassa di Risparmio), dove il Basile aveva rea-lizzato la sede dell’allora direzione della Cassa siciliana. Fra i locali del palazzo, che si presenta massiccio e squadrato, con marmi grigi su tutto il prospetto (e che dalla fine degli

anni ‘50 ospita solamente la Sede di Palermo del Banco di Sicilia), i più eleganti sono certamente il salone di cassa del piano terreno e la vecchia Sala del Consiglio, oggi adibita a sa-la delle riunioni della direzione, dove per tanti anni sono stati esposti alle pareti i ritratti dei Direttori Generali del Banco a partire dalla sua fonda-zione (adesso i dipinti si trovano presso la Fondazione Banco di Sicilia in Via Libertà).

Il secondo Novecento

Dopo gli anni della seconda guerra mondiale, il Banco di Sicilia iniziò una politica di consolidamen-to del proprio patrimonio immobi-liare; fra gli altri immobili acquisì sulla Via Ruggero Settimo, cuore nevralgico del nuovo centro citta-dino fra il Teatro Massimo e il Tea-tro Politeama, una vasta area edi-ficabile venutasi a creare a seguito delle distruzioni belliche, e lì decise di costruirvi un nuovo edificio per trasferirvi gli uffici della Presidenza e della Direzione Generale. La nuo-va costruzione fu collegata alla si-stemazione urbanistica del rione Villarosa e fu bandito dal Banco un «concorso pubblico per la compila-zione del progetto relativo all’aspetto architettonico del Palaz-zo del Banco di Sicilia». I lavori, af-fidati alla Società Costruzioni Sici-liane, si conclusero nel 1957. L’edificio, in marmo bianco, fu rea-lizzato con ampi portici e con una teoria di finestre ritmate da semico-lonne. Sull’ottagono di Piazza Re-

Il palazzo che ha ospitato finora la Direzione Generale del Banco di Sici-lia in Via Ruggero Settimo a Palermo

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galmici un bel fregio, sempre in marmo bianco, compare nella parte alta della costruzione sotto la scritta "Banco di Sicilia", mentre in basso i portici sono chiusi da un fregio ge-ometrico in marmo rosa. Nel palaz-zo sono state ospitate sia la Presi-denza che la Direzione Generale che la Sala del Consiglio, nonché alcuni degli uffici della Direzione Centrale. Altri uffici si trovano nell’adiacente nuova costruzione, conclusa e acquisita dal Banco nel successivo 1979, che prospetta sempre sulla Via Ruggero Settimo.

In questo stesso periodo, mentre le aperture di filiali prose-guono incessantemente, il Banco si dota di un Ufficio Studi e inizia a valorizzarsi e ad accreditarsi istitu-zionalmente anche nel ruolo di sponsor culturale. Molti furono proprio in quegli anni, per esem-pio, gli interventi in favore dell'ar-cheologia siciliana da parte del Banco di Sicilia, il primo dei quali riguardante l’area archeologica di Selinunte. Vi è un aneddoto rac-

contato, in un intervista di alcuni anni fa, dal prof. Vincenzo Tusa, a lungo illustre professore dell’Università di Palermo, da poco scomparso, per anni Sovrintenden-te del Capoluogo siciliano, che in un‘intervista di alcuni anni addietro sintetizzò così le ragioni di questa sensibilità: «Quando nel ‘63 ho cominciato ad occuparmi attiva-mente di Selinunte in qualità di Sovrintendente - sono appunto le parole di Vincenzo Tusa - gli sca-vatori clandestini infestavano la zona saccheggiandone in maniera irreparabile i reperti archeologici. Era questo forse il principale pro-blema da risolvere, che mi spinse a conoscere meglio i "clandestini"... Erano analfabeti, senza possibilità di lavoro, non avevano neanche le barche per andare a pescare, e gli scavi rimanevano così la loro unica fonte di reddito. Cominciai ad avvi-cinarli... dovevo assolutamente ri-solvere il problema... Occorrevano adeguati finanziamenti, ma volevo al tempo stesso evitare le lungag-

gini burocratiche che avrebbero consentito ai tombaroli di lasciare ben poco dei tesori ancora nascosti nella necropoli. Pensai così di fare visita al dott. Carlo Bazan, allora Presidente del Banco di Sicilia... Bazan mi accolse con grande cor-tesia e accettò la mia richiesta d’aiuto... Tornai a Selinunte trion-fante. Iniziarono così quattro anni di scavi, dal ‘63 al ‘67, finanziati dal Banco di Sicilia... Alla fine degli scavi, all’Istituto spettò un quarto del valore dei reperti trovati».

Possiamo dire che il Banco di Sicilia promosse a quel tempo un’operazione di sponsorizzazione culturale in un’epoca in cui questi interventi erano considerati pionie-ristici. E questo è forse il grande merito dell’Istituto, che nella sette-centesca Villa Zito a Palermo, oggi sede della Fondazione Banco di Si-cilia, ha realizzato un ricchissimo Museo, intitolato a Ignazio Mormi-no, a ricordo del Direttore Generale del Banco sotto i cui auspici aveva avuto origine nel 1954 la "Fonda-zione per l'incremento economico, culturale e turistico della Sicilia".

Sulla politica di espansione del Banco di Sicilia nella seconda metà del ‘900 va aggiunta qualco-sa: oltre a consolidare la propria posizione in Italia con l’apertura di nuove filiali in quasi tutte le regio-ni, il Banco si propose fra le prime banche italiane anche all’estero con l’apertura di filiali e uffici di rappresentanza in tutta Europa, in Asia e in America; la filiale di New York, fra tutte le altre, diverrà ad-dirittura la più importante banca italiana negli Stati Uniti.

Ma questa enorme espan-sione aveva forse i piedi di argilla e, anche per le continue sovrappo-sizioni fra la sfera economico-gestionale e quella politica, il Ban-co di Sicilia, assai scoperto sul pia-no del capitale proprio e dei fondi rischi rispetto alla massa finanzia-ria circolante e dei prestiti erogati, entrò in crisi a fine anni ’80. La situazione lo accomunava a tutte le banche del Meridione, e in par-ticolare a quelle pubbliche che scontavano una carenza di mezzi propri, segno anche di una eco-nomia meno solida delle regioni meridionali nonché di una gestione amministrativa squilibrata dal punto di vista aziendale: si tratta-va sempre di un’azienda pubblica, gestita con criteri che erano disal-lineati rispetto a quelli di altre banche private, organizzate come

Una sala del Museo Ignazio Mormino, a Villa Zito in Via Libertà a Paler-mo, oggi sede della Fondazione Banco di Sicilia; il museo ospita, fra le altre collezioni, una preziosa raccolta di reperti archeologici il cui nucleo originario è quello degli scavi operati nell’area di Selinunte a metà del ‘900 con il contributo finanziario, fondamentale, del Banco

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società per azioni, che avevano sempre gestito le loro attività con criteri meno clientelari e aprendo sportelli solo dove le piazze avreb-bero garantito redditività (mentre il Banco di Sicilia, in quanto banca pubblica, operava in Sicilia in quasi tutti i Comuni, anche in quelli dove le filiali erano in perdita, al pari delle Poste).

Fu così che il 21 agosto 1990, dopo un lungo iter legislativo, entrò in vigore una nuova legge bancaria che radeva al suolo alcuni postulati della legge precedente, la cosiddetta legge Amato-Carli: le nuove norme attuarono fra l’altro la trasformazione del Banco di Sicilia e

delle altre banche pubbliche in so-cietà per azioni sollecitando una ri-capitalizzazione aziendale e scorpo-rando in apposite Fondazioni tutte le attività non strettamente legate all’attività finanziaria e creditizia. Il 2 maggio 1991 la Regione Siciliana approvò quindi una legge per la ri-capitalizzazione delle banche pub-bliche siciliane. Il 21 dicembre ven-ne firmato l'atto costitutivo del Banco di Sicilia SpA che dal 1° gen-naio 1992 iniziò l'attività in Italia e all'estero nella nuova veste giuridi-ca di società per azioni, lasciando le altre attività (culturali e filantropi-che) alla “Fondazione” Banco di Si-

cilia, alla quale fu girato il tesoro artistico della banca, fra cui le ope-re archeologiche che erano toccate al Banco con il finanziamento degli scavi di Selinunte.

Nel giro di pochi anni però i mutamenti si susseguirono a ritmo incalzante. Dopo gli anni della massima espansione anche all’estero voluta dal Direttore Ge-nerale Ottavio Salamone, la banca entra seriamente in crisi per il pe-so esorbitante dei crediti in con-tenzioso e viene commissariata di fatto dalla Banca d’Italia a opera di Cesare Caletti. Nel 1997, dopo la positiva valutazione espressa dalla Banca d’Italia, il Banco di Si-

cilia acquisisce attività e passività della Sicilcassa S.p.A. (altra banca ex pubblica dell’Isola), prepoten-temente in crisi e ormai in liquida-zione. Successivamente il Medio-credito Centrale, banca di sviluppo e investimento con sede a Roma, fa il suo ingresso nella compagine azionaria della nuova aggregazio-ne creditizia. Fu forse questo il canto del cigno per il Banco di Si-cilia, rinnovato managerialmente sotto la guida del compianto Gian-franco Imperatori che investì sul Banco tutte le sue forze per indi-rizzarlo secondo logiche di svilup-po commerciale e del territorio.

Le ultime vicissitudini Dopo che il Banco entrò a

far parte del gruppo Mediocredito Centrale, il processo di privatiz-zazione avviato dal Ministero del Tesoro toccò anche questa banca di sviluppo: il pacchetto azionario di MCC venne infatti a sua volta acquisito dalla Banca di Roma. Nel 2002, con la riorganizzazione del Gruppo BancaRoma, il Banco di Sicilia venne incorporato nella Banca di Roma e, contestualmen-te, le sue attività bancarie tradi-zionali (solo quelle) furono scor-porate e conferite ad una nuova società, operativa dal 1° luglio 2002, che riassunse la denomi-nazione Banco di Sicilia, parteci-pata al 100% da Capitalia, nuova denominazione della holding del gruppo bancario. Ma il nuovo Banco di Sicilia era in realtà monco di alcune parti, dato che fu subito privato dei suoi immo-bili, della tesoreria e della finan-za; cioè della sua reale ricchez-za. Nel giro di qualche mese ven-nero chiuse tutte le sue filiali e-stere e si avviò anche un piano di razionalizzazione degli sportel-li di tutto il Gruppo per evitare sovrapposizioni territoriali.

Ma la storia non è ancora finita. Nel 2007, a seguito del processo di fusione fra il Gruppo Unicredit e il Gruppo Capitalia, il Banco di Sicilia entrò a far parte di Unicredit Group. Anche qui, a seguito della riorganizzazione del nuovo Gruppo, il Banco di Sicilia venne incorporato in Unicredit; contestualmente le attività ban-carie retail (per le famiglie e le piccole imprese) nella sola Sicilia delle tre banche (Banco di Sicilia, Unicredit e Banca di Roma) furo-no scorporate e conferite ad una nuova società che riassunse la denominazione Banco di Sicilia; mentre il Banco perse le attività bancarie legate alle grandi e me-die aziende e alla gestione dei patrimoni privati, oltre che tutte le filiali che aveva nella penisola tranne tre, di “rappresentanza”, a Roma, Milano e Torino.

L’ultimo atto è di qualche settimana fa: il 27 ottobre 2010 si è riunito per l’ultima volta il Con-siglio di Amministrazione del Ban-co di Sicilia, presieduto dall’ultimo presidente Ivan Lo Bello; prima dell’estate la Capogruppo aveva avviato già l’iter per l’incor-porazione definitiva del Banco di Sicilia SpA e delle altre banche

L’evoluzione del marchio del Banco di Sicilia negli ultimi anni

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italiane del gruppo; in tal modo Unicredit ha riassunto sotto il suo nome tutte le attività bancarie (corporate investment, retail e private) con il cosiddetto “banco-ne unico”. Scompaiono quindi dal 1° novembre 2010 sia il Banco di Sicilia SpA che Unicredit Banca di Roma SpA, Unicredit Corporate Banking e Unicredit Private Ban-king. Il marchio “Banco di Sicilia” rimarrà nell’Isola, forse solo per qualche altro anno ancora, ma so-lamente come “marchio commer-ciale”.

Il magone c’è, inutile na-sconderlo, soprattutto per tanti di noi che in questa banca abbiamo trascorso i migliori anni della no-stra vita. «Il sentimento della no-stalgia è del tutto legittimo» – afferma Salvatore Butera, a lun-go capo del Servizio Studi del Banco e oggi Consigliere della Fondazione Banco di Sicilia – «ma il giudizio sulla fine di un’epoca deve essere solo storico e basato esclusivamente sui do-cumenti. E quindi, se è il caso, deve anche essere spietato». «Il Banco è entrato in agonia irre-versibile» – gli fa eco Gianni Pu-glisi, che della medesima Fonda-zione è Presidente – «in un pe-riodo il cui il sistema economico siciliano era fuori da ogni control-lo e ha perso la propria autono-mia nel momento in cui si è spenta la sua capacità di essere volano dell’economia siciliana».

Nella realtà, secondo un al-tro economista siciliano, il prof. Carlo Dominici, che fu anche Presi-dente della Fondazione Banco di Si-cilia nonché Vice Presidente del Banco di Sicilia SpA, il Banco «ha perduto la sua identità già ai tempi dell’arrivo del Banco di Roma, quando fu svuotato del patrimonio e dei suoi migliori asset». E forse è proprio così ed è a un tempo un po’ meno recente dell’attuale che biso-gna andare per decretare la sua re-ale fine.

Insomma, fra giudizi con-trastanti, mutamenti organizzativi anche profondi, esuberi di perso-nale, fusioni e controfusioni, ci la-sciamo alle spalle l’ultima rivolu-zione, il bancone unico creato da Unicredit con tutte le banche ita-liane del Gruppo. Speriamo sia sta-ta la soluzione migliore. Come di-re: niente lacrimucce, è la globa-lizzazione, ragazzi...

Maurizio Karra

Salvatore La Francesca

Cesare Caletti

Gianfranco Imperatori

Beniamino Anselmi

Ivan Lo Bello

Roberto Bertola

Alcuni degli uomini che hanno guidato il Banco di Sicilia negli ultimi anni: Ivan Lo Bello ne è stato l’ultimo presi-dente, Roberto Bertola l’ultimo Amministratore delega-to, adesso alla guida del Network Famiglie e Piccole e Medie Imprese di Unicredit in Sicilia

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Il mio camper Anche i nostri soci parlano di camper, del loro camper: com’è, del perché l’hanno scelto, dei suoi pro e contro... Ed è come se parlassero di loro stessi!

er spiegare perché

io e la mia famiglia viaggiamo in camper, piuttosto che andare in va-canza nei villaggi turistici o in tour organizzati, devo cominciare a rac-contare di quando, dall’età di 9 anni, ho iniziato a fare “vacanza en plei-nair” con la tenda, senza la presenza dei genitori». Così si presenta Gio-vanni Anello, socio del nostro Club dal 2006 dopo aver acquistato il pro-prio camper l’anno precedente. «Ho cominciato, infatti, a 9 anni – conti-nua - facendo il lupetto in un gruppo di Boy Scout nella parrocchia di San-ta Lucia, di fronte il carcere dell’Uc-ciardone di Palermo. Ricordo ancora perfettamente la prima notte in ten-da nel lontano luglio del 1974, a Fon-te Ramosa nel Bosco della Ficuzza, avvolto in un pesante sacco a pelo militare comprato da mio padre, il giorno prima di partire, in quello che in quei tempi era l’unico luogo dove si potevano comprare attrezzature da campeggio a poco prezzo: al mercatino dei Lattarini. Ero talmente emozionato che non chiusi occhio tutta la notte. Ma da quel giorno ho iniziato ad amare questo tipo di va-canza, a stretto contatto con la na-tura e con il territorio».

E’ indubbio che per Giovanni Anello la scelta di viaggiare in camper sia stata, quindi, l’evoluzione naturale di quell’innamoramento iniziale, «un tipo di vacanza che non delega ad altri tutti gli aspetti organizzativi e che, soprattutto, è sempre aperto a nuovi ed imprevisti cambiamenti di itinerario, decisioni dettate dall’emo-zione che può far nascere un’imma-gine, un monumento o un panorama osservati pochi minuti prima in un depliant o in una cartolina esposte in una bancarella durante la vacanza», sottolinea. E’ ovvio che il passaggio dalla tenda al camper è stato gradua-le, con una primissima esperienza nel 1992 con il noleggio con tre amici a Roma di un vecchio Rimor Sloop 560 col quale girarono in lungo e in largo l’Austria. Quell’esperienza fece capire definitivamente al nostro Giovanni che l’acquisto di un camper sarebbe stata soltanto una questione di tempo.

Nel 1996 il nostro Giovanni conosce Serena e dopo nemmeno due anni, a dicembre del 1998, si

sposano. E nonostante Serena aves-se avuto fino ad allora un concetto di vacanza diverso dal suo, quasi esclu-sivamente basato su itinerari turistici proposti dalle agenzie specializzate, la “vacanza en pleinair” li ha messo immediatamente d’accordo e così, «dopo alcune vacanze in tenda, ci ripromettemmo di provare alla prima occasione l’esperienza del viaggio in camper, che era una novità assoluta per mia moglie. Il nostro primo viag-gio in camper è stato nell’estate del 1999, Serena era già in attesa della nostra prima figlia, Maria Chiara. Ab-biamo affittato a Pisa un altro mezzo

della Rimor insieme a una coppia di amici, per fare un bellissimo giro del-la Toscana e dell’Umbria. Dopo quell’esperienza assolutamente posi-tiva, ci siamo convinti che la vita in camper faceva per noi e che, quindi, prima o poi avremmo fatto il grande passo: acquistarne uno tutto nostro».

Ma quel passo non è stato immediato: dopo la nascita del se-condo bambino, Gabriele, la famiglia Anello ormai composta da 4 persone, affitta nell’estate del 2001 un camper a Roma, e con quello effettua un bel-lissimo tour del centro Italia. Dopo la nascita del terzo figlio, Francesco, e altri tre noleggi di camper tra il 2003 e il 2004, finalmente nel 2005 l’acquisto dell’attuale mezzo: un Challenger 172 di seconda mano, 7 posti letto, già dotato di tutti gli op-tional, immatricolato appena un anno

prima e tenuto in maniera quasi ma-niacale dal primo proprietario. Il pas-so immediatamente successivo è sta-to quello di associarsi al nostro Club, incoraggiato dai alcuni colleghi e ami-ci che già ne erano soci.

Qual è il giudizio su questo mezzo? «Avevo già conosciuto le qualità costruttive di questa marca, in occasione di uno dei noleggi presso l’Holiday Camper di Misilmeri. È dav-vero costruito con materiali resistenti, e con tre bambini piccoli a bordo è stato facile constatarlo di persona. Durante la marcia, non si sentono cigolii nelle giunture e nel mobilio, lo

spazio interno è più che sufficiente per una famiglia con tre bambini. L’unico neo che gli trovo, non poten-do rinunciare ad una delle due cuc-cette laterali, è la limitata capacità di stivaggio esterno. Un altro mezzo con la doppia cuccetta posteriore in-vece che laterale e con doppio por-tello di accesso avrebbe risolto que-sto problema, ma l’occasione che ci era capitata non poteva essere rifiu-tata. Altro piccolo difetto è la dimen-sione del bagnetto, forse troppo pic-colo rispetto ad altri modelli, ma do-po tutto si tratta di ben poca cosa rispetto alla qualità di tutto il resto».

Purtroppo, si rammarica Giovanni, la sua partecipazione alle gite associative non è mai stata as-sidua, dapprima perché i bambini erano ancora troppo piccoli e non ci consentivano di seguire il ritmo delle

«P

Da sinistra Serena, Francesco, Giovanni, Gabriele e Maria Chiara Anel-lo davanti al loro Challenger

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gite, delle visite guidate e delle cene luculliane che il Club da sempre orga-nizza mensilmente. Adesso che i figli sono più grandi, il motivo è dettato dai ritmi di lavoro che, a causa dei nume-rosi impegni sopraggiunti con l’avvento di Unicredit, lo costringono a stare fuori Palermo quasi ogni setti-mana e che, quindi, non gli lasciano molto spazio per uscire con una certa assiduità durante il sabato e domeni-ca. Da molti anni Giovanni Anello è infatti analista funzionale nell’ambito dei Canali Telematici presso il Centro elettronico della banca. «A partire dal-la convergenza di Capitalia in Unicre-dit, sono stato chiamato a fare molte trasferte, prima presso i poli di Roma e Verona e poi, da un paio di anni a questa parte, anche a Monaco e a Vienna, per partecipare ai progetti di migrazione della banca tedesca HVB e di Bank Austria».

Ma è anche il lavoro della moglie Serena che a volte costringe la famiglia Anello a limitare le uscite settimanali. Da qualche anno, infatti, la moglie, che è giornalista, è la cor-rispondente per la Sicilia dell’agenzia di stampa “Redattore Sociale”, spe-cializzata nel reperire sul territorio nazionale attraverso corrispondenti locali notizie che riguardano proble-matiche di natura sociale e politica che poi diffonde attraverso un portale web a tutti gli organi di stampa na-zionali. Oltre a questo lavoro, Serena è da una decina d’anni direttore re-sponsabile del settimanale di ispira-zione cristiana “CNTN - Cieli Nuovi e Terra Nuova”, che fa riferimento alla fervente comunità parrocchiale di piazza Magione e all’intuizione di uno dei “preti di frontiera” più intrapren-denti di Palermo, padre Giacomo Ri-baudo. «E così – aggiunge lei - molto spesso sono gli impegni di lavoro che

ci dettano il calendario delle uscite settimanali in camper». Anche se, ne siamo certi, oltre a questi motivi pro-

fessionali, ci sono anche gli impegni legati al “mestiere” di genitori e alle attività dei figli, in particolare dei due più grandi che, seguendo le orme paterne, hanno iniziato l’esperienza dello scoutismo e della vita all’aria aperta, e che quindi tutti i sabato e domenica partecipano alle riunioni di Branco (per i più piccoli, i lupetti) e di Reparto (per gli adolescenti, ossia gli esploratori e le guide).

«Tengo però a dire una cosa – conclude Giovanni - che i miei figli stanno imparando ad apprezzare le attività del Club; anche nella bella gita di fine ottobre a Militello Val di Cata-nia, Grammichele e Palazzolo Acreide tutti e tre si sono divertiti moltissimo, merito anche della presenza di altri loro coetanei, tanto che, arrivati a ca-sa, ci hanno subito chiesto: “quando facciamo un’altra gita con il Club?”».

Maurizio Karra

I nostri soci all’interno del loro camper

Carta d’identità

Socio: Giovanni Anello (anni 45) Residenza: Palermo Occupazione: Dipendente di UGIS, analista funzionale nell’ambito dei

Canali Telematici (sede di lavoro: Palermo, Vienna e Monaco di Baviera) Altre persone che compongono l’equipaggio: la moglie Serena e i

tre figli Maria Chiara, Gabriele e Francesco

Caratteristiche del camper

Veicolo: Challenger Mageo 172 Anno di acquisto: 2005 Anno di prima immatricolazione: 2004 Tipologia: mansardato Meccanica: Ford Transit 2.5 Misure: lunghezza: m. 7,10, larghezza: m. 2,30, altezza: m. 3,15 Posti omologati: n. 6 Posti letto: n. 7: 1 matrimoniale in mansarda, 2 singoli a castello in coda,

1 matrimoniale ottenibile dalla trasformazione della dinette centrale e 1 singolo centrale ottenibile dalla trasformazione della mini-dinette accanto

Serbatoi acque chiare: l. 250 Serbatoio acque grigie: l. 100 WC: Thetford a cassetta Riscaldamento e boiler: Combi Truma a gas con ventilazione Frigorifero: trivalente l. 90 Cucina: piano cottura 3 fuochi + forno Optional montati: tendalino, pannello solare, antifurto, generatore 220v, inverter, retrocamera, televisione

Valutazione del mezzo da parte del socio

Motorizzazione veicolo (velocità/ripresa) Molto soddisfatto Impianto freni Molto soddisfatto Tenuta di strada Molto soddisfatto Spazio utilizzabile nella cellula abitativa Molto soddisfatto Impiantistica (capacità serbatoi/stufa...) Molto soddisfatto Qualità del mobilio ed eleganza arredi Molto soddisfatto Cuscineria e tappezzeria Molto soddisfatto Comodità dei letti Molto soddisfatto Comodità dei divani e dei posti a tavola Molto soddisfatto Capacità stivaggio (gavoni/armadio/ante) Abbastanza soddisfatto Servizio WC/doccia Abbastanza soddisfatto Cucina/piano cottura/frigo Molto soddisfatto

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Musica in camper

Due proposte internazionali per allietare le nostre gite invernali

l freddo e le sempre più

poche ore di piena luce incombono sulle nostre giornate invernali, per-mettendoci spesso solo di sognare il tempo libero da godere all’aria aperta con il nostro amico camper. E allora, mentre sogniamo le va-canze (ahimé decisamente lonta-ne!), progettando magari il viaggio della prossima estate, non ci rima-ne che goderci qualche uscita nel fine settimana e le note di una bel-la canzone con cui farci cullare a piene mani. Fra le novità del mercato discografico, la prima proposta ri-guarda una giovane cantautrice, pianista e attrice americana, Nora Jones, dalle notevoli doti vocali ed interpretative che spaziano dal jazz al blues, dal pop all’hip hop al country. L’artista ha ottenuto un notevole successo già dall’album di esordio del 2002, “Come away with me”, vendendo circa 20 milio-ni di copie; e dopo questo strabi-liante successo mondiale ha vinto molti premi internazionali, tra cui 5 Grammy Awards in una sola sera-ta. Ha poi bissato i consensi dei fan con l’uscita di altri tre album che l’hanno resa una delle cantau-trici più popolari dell’odierno pano-rama musicale, con la conseguente vendita di 40 milioni di album in tutto il mondo.

In questi giorni Nora Jones replica i suoi successi con l’uscita del suo nuovo album “… Featu-ring”. Si tratta di una collezione di 18 brani che spaziano tra i migliori duetti che la cantante ha eseguito nel corso della sua carriera con

numerosi artisti, alcuni dei quali sono degli autentici mostri sacri, come Ray Charles, Willie Nelson e Dolly Parton, per proseguire con Outkast, Herbie Hancock e Bryan Adams. A questo proposito l’artista racconta: «E’ così eccitante, diver-tente e lusinghiero cantare con qualcuno che ammiro, collaborare con un altro artista ti porta fuori dalle tue certezze, non sai mai co-sa aspettarti. Per molti degli artisti presenti in questo album ho sem-pre avuto, fin da piccola, una ve-nerazione, molti sono più giovani di me e altri miei coetanei; anche se tutti questi artisti sono così dif-ferenti tra loro è solo mettendo in-sieme questi brani che si trova il giusto senso». Ed effettivamente ascoltando questi pezzi, alcuni dei quali non sono mai stati editati sul mercato discografico, si passa at-traverso generi, atmosfere ed e-mozioni diverse di grande spesso-re, in grado di arricchire l’anima fino all’ultima nota. Dall’altro capo del mondo arriva la seconda proposta musica-le del momento, e precisamente dal martoriato medio oriente; è in-fatti israeliana la cantante Noa, nata a Tel Aviv da una famiglia di ebrei yemeniti, cresciuta a New York fino all’età di 17 anni quando, in preda ad una crisi di identità, decise di tornare in patria a pre-stare servizio militare rispolveran-do in un certo senso le sue origini ...multietniche. Da quel momento, dopo un prevedibile momento di confusione in cui non riusciva nemmeno a parlare ebraico con le sue coetanee, iniziò la sua nuova vita di madre e moglie di un pedia-tra israeliano e la sua carriera di cantante, profondamente impe-gnata nell’utilizzo della musica co-me strumento di riavvicinamento fra i popoli in conflitto, con partico-lare riguardo alla tragica questione mediorientale.

Forse per questa ragione è stata scelta da Roberto Benigni per cantare il pezzo principale della co-lonna sonora del film “La vita è bella”. Le sue canzoni sono forte-mente influenzate dall’ambiente israeliano, con le sue numerose contraddizioni, i suoi dolori e le sue speranze e l’artista per il suo im-

pegno sociale è stata nominata Ambasciatrice della FAO. Nel corso della sua carriera ventennale la cantante ha duettato con numerosi artisti, tra concerti e manifestazio-ni di beneficenza.

Ma la sua collaborazione più eclatante è stata con l’attrice-cantante palestinese Mira Awad; queste due stelle del firmamento mediorientale, come due facce del-la stessa medaglia, si sono impe-gnate in una campagna sociale e musicale che ha lo scopo di sensi-bilizzare il pubblico sul sanguinoso e devastante conflitto in palestina. E poco tempo fa è uscito l’album “There must be another way”, cioè “Ci deve essere un’altra stra-da”, in cui i 12 brani presenti sono un inno alla pace che ha la caratte-ristica di essere cantato in tre lin-gue diverse, l’ebraico, l’arabo e l’inglese, per giungere a più cuori contemporaneamente.

Il brano che dà il titolo all’album è un pezzo divenuto ce-lebre per essere stato presentato al concorso annuale di Eurovision per rappresentare lo stato israelia-no, innescando numerose polemi-che sia da parte ebraica che araba. Ma il messaggio di pace e di spe-ranza trasmesso da questo album è molto chiaro: ci deve pur essere un’altra strada per giungere alla convivenza pacifica di due popoli così diversi e, come spesso acca-de, la musica è una strada privile-giata per unire anime, popoli e cul-ture così lontane tra loro. Non sie-te d’accordo?

Mimma Ferrante

I

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Riflessioni Come giustificare la propria esistenza

se quel giorno la

sveglia non avesse suonato? Tanti eventi non sarebbero accaduti o non li avrei vissuti. Forse sarebbe stato meglio, non sarebbe acca-duto ciò che poi avrebbe condizionato i miei comportamenti, il mio modo di vivere. O forse no. Perché se subito viene da pensare che avrei potuto non vivere quei momenti indesiderabili, contempo-raneamente però non avrei vissuto nemmeno tutto il bello, il positivo che sarebbe scaturito da quelle situazioni.

Perché la vita è fatta di eventi, occasioni, causa-effetto, coincidenze, azioni e razioni di mo-menti belli e brutti, apparente-mente non legati tra loro ma che invece hanno il senso di esistere, in quanto strettamente in relazione consequenziale.

Varrebbe davvero la pena, potendo, cancellare quel brutto momento, fare in modo che non fosse mai accaduto, pensando di eliminare la causa del malessere, sapendo pure che si perderebbe anche tutto ciò che di bello è accaduto in conseguenza a quello accadimento negativo? Forse la risposta viene da sé.

Ogni essere umano è unico, irripetibile, ogni vita è il risultato di un impasto magico tra positivo e negativo che alle volte subiamo inermi, ma che altre volte possiamo manovrare: aumentare il volere, diminuire il piacere, rinunciare alle novità, acconten-tarsi del certo, accettare il rischio, affrontare l’incognito…

La vita è bella perché viene costruita istante dopo istante, nessuno sa cosa succederà tra un secondo, tra un giorno, tra un mese o un anno. E’ soltanto l’esperienza, la conoscenza di sé che aiuta a scegliere i comportamenti che presumiamo ci possano fare raggiungere gli obiettivi che giustifichino la nostra esistenza.

I percorsi sono spesso tor-tuosi e non sempre gli acca-dimenti piacevoli e desiderabili. E’ come un romanzo che cresce, si sviluppa e diventa sempre tanto più interessante, quanto più il suo autore è in grado di creare un’alternanza di situazioni piacevoli ed anche meno piacevoli, che si intersecano tra loro.

L’osservare i singoli eventi, avulsi dal contesto di un’esistenza, mi porterebbe a

desiderare di scegliere quali lasciare e quali preferire non fossero mai accaduti, dimenticarli. Si creerebbero dei vuoti nel mosaico tracciato finora. Forse sarebbe gratificante, ma le tessere restanti non avrebbero più relazione, in quel contesto.

Il bilancio in fondo è positivo: i segni + sono maggiori dei segni – e in fondo, riflettendo bene, sono contento che quella sveglia, quel giorno, abbia suonato.

Luigi Fiscella

E

Cucina in camper

Gnocchetti al pesto di zucchine

Ingredienti: 400 gr. di gnocchetti, 2 zucchine genovesi, 2 cucchiai di pinoli, un pugno di foglie di basilico, ½ bicchiere di olio d'oliva, parmigiano, sale. Preparazione: tagliare a ron-delle le zucchine e lasciarle sbollentare. Scolarle appena cotte e frullarle insieme ai pinoli, al basilico e all'olio d'oliva, salando il tutto. Cuo-cere la pasta e, appena cotta, amalgamarla al condimento, aggiungendo il parmigiano grattugiato (il pesto si può preparare anche prima e si può congelare).

Involtini di tacchino Ingredienti: 4 fette di tacchino, 4 fette di prosciutto cotto, 4 fette di caciocavallo (tagliato sottile), sale, 2 uova, olio d’oliva, pangrattato. Preparazione: porre le fette di tacchino su un ripiano, rico-prendole con una di prosciutto ed una di caciocavallo. Rotolarle e chiuderle con uno stecchino. Passare gli involtini nel battuto d’uova e poi nel pangrattato e friggerle in olio caldo.

Enza Messina

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Internet che passione La “realtà aumentata

orse qualcuno si ri-

corderà ancora di Tom Cruise, in-vestigatore “precriminologo” in Minority Report, che armeggia con le dita su un video virtuale alla ricerca di file, letteralmente spostati con le mani. Oppure an-cora la splendida mappa virtuale tridimensionale di Pandora, il mondo alieno del film Avatar. Si tratta di due esempi, ormai con-creti, di “realtà aumentata” e cioè di quella sovrapposizione di in-formazioni sensoriali reali e vir-tuali che compongono una “mixed reality”.

Da non confondere con la realtà virtuale, il cui ambito è co-stituito esclusivamente da oggetti virtuali e quindi generati artifi-cialmente, la realtà aumentata riguarda essenzialmente la ampli-ficazione sensoriale di tutto ciò che ci circonda e che vediamo, tocchiamo e sentiamo (sia col gusto che con l’udito), ottenuta grazie all’utilizzo di strumenti in-formatici, capaci di aggiungere ulteriori elementi di stimolazione sensoria. Un’applicazione della real-tà aumentata (o AR, dall’inglese “augmented reality”) molti di noi possono facilmente sperimentarla: un comunissimo smartphone, in-fatti, con l’ausilio di appropriati programmi e delle periferiche di cui è disposto, quali il GPS o la bussola, può rivelarsi particolar-mente utile nell’aiutarci a indivi-duare gli esercizi commerciali o i monumenti che stanno intorno a noi, semplicemente puntandoli con la videocamera del dispositi-vo.

In questo caso l’esatto posizionamento del cellulare, de-

terminato dai satelliti collegati al GPS, fa sì che sull’immagine pre-sente nello schermo vengano e-videnziate le informazioni relative alla storia di un antico palazzo cittadino o, più semplicemente, il numero di telefono del parcheg-gio taxi a noi più vicino. O anco-ra, dettagli sulle opere esposte nei musei o il menu del ristorante della strada adiacente.

Se poi la simulazione si potesse anche spingere oltre, magari restituendoci anche per esempio in anteprima la consi-stenza tattile della panna del dol-ce e l’odore del caffé che ci a-spettano a fine pasto, l’esperienza sensoriale a distanza potrebbe senz’altro definirsi com-pleta!

Inutile dire che questa tecnologia è nata per scopi mili-tari (pensate infatti ad un missi-le teleguidato, capace di supera-re tutti gli ostacoli fisici) e per finalità mediche (interventi chi-rurgici a distanza) ma, com’è spesso accaduto, è stata poi uti-lizzata in campo civile e in ulti-mo specialmente su internet, dove è sempre più sovente uti-lizzata in campo pubblicitario per creare una sia pur minima interazione con il sito che si sta visitando.

F

Link utili http://augmentedworld.it/ http://it.wikipedia.org/wiki/Realtà_aumentata http://be-part-of-it.unicredit.eu/it/tour/digital/ http://www.unicef.it/web/malnutrizione/index.html http://ge.ecomagination.com/smartgrid/#/augmented_reality http://www.joinpad.net/ http://www.tissy.it/category/nuove-tecnologie/realta-aumentata-nuove-tecnologie/

Un touchscreen, esempio ormai concreto di “realtà aumentata”

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Un esempio di tale utilizzo è reperibile nel sito UniCredit dedi-cato alla Champions League dove, stampando un marker (cioè un’immagine guida che verrà letta dalla webcam e interpretata da un programma applicativo) e acceden-do ad una specifica pagina, chiun-que può fotografarsi con una vir-tuale Coppa dei Campioni sul palmo

della mano. Con lo stesso sistema nel sito dell’Unicef si potrà effettua-re un piccolo tour in un villaggio a-fricano e, nel sito della General E-lectric, si potrà “dare fiato” ad una centrale eolica!

Sempre con l’utilizzo di markers, per esempio, e sempre naturalmente con la nostra webcam e la connessione a internet, si po-

trebbe provare a collocare nella propria casa la versione virtuale dei mobili che piacciono, prima del loro acquisto. Stessa cosa per gli abiti o per il taglio dei capelli o il trucco. Oppure ancora, grazie al nostro cel-lulare, puntando un orizzonte mari-no, sapere quali relitti stanno nel fondo del mare che tanto stiamo ammirando.

Con la realtà aumentata è possi-bile anche provare in anteprima un paio di occhiali

Per concludere, credo sia inutile dire che computer sempre più potenti e sempre maggiore velocità della rete non possono che affinare e potenziare questa tecnologia che, in un futuro for-se non troppo lontano, potrebbe magari permetterci di viaggiare in modo attivo, oltre che senso-rialmente efficace; dappertutto, anche tra i pianeti del nostro si-stema solare!

Giangiacomo Sideli

La “Coppa dei Campioni” digitale del sito UniCredit

Uno smartphone, capace di “aggiungere” alla realtà che ci circonda altre utili informazioni

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News, notizie in breve Una guida per conoscere i luoghi dell’unità d’Italia

Il 17 marzo 1861 il Par-lamento di Torino, capitale del regno, proclamò Vittorio Emanue-le II re d'Italia "per grazia di Dio e volontà della Nazione". Fu l'atto di nascita della Nazione, a com-pimento di un lungo e controver-so percorso cominciato dalla cin-que giornate di Milano, prosegui-to con la spedizione dei Mille di Garibaldi e le grandi battaglie del Risorgimento e conclusosi con i plebisciti di annessione di altre regioni, l'assedio di Gaeta e la breccia di Porta Pia che aprirà le porte di Roma capitale.

Per celebrare l’unità d’Italia a 150 anni dalla sua rea-lizzazione, è stata pubblicata an-che una guida che vuole condurre gli italiani sui luoghi in cui si sono compiuti i loro destini, alla cono-scenza degli eventi storici e poli-tici e dei personaggi che li hanno determinati: la Torino di Vittorio Emanuele II e di Cavour, le Reg-ge dei Savoia, le battaglie di Sol-ferino e Custoza, la Firenze che fu per breve tempo capitale, la Roma finalmente conquistata e la Napoli dei Borbone; e ancora nei musei e Sacrari, e altri luoghi particolari ed importanti o solo curiosi.

Il titolo del volume è “L'U-nità d'Italia - Guida ai luoghi del

Risorgimento da raggiungere in camper”; l’autore è Mario Busso-ni, il costo è 19 euro.

Pedaggi sulle autostrade siciliane?

C'è un nuovo balzello al-l'orizzonte per il turismo siciliano: il pagamento dei pedaggi auto-stradali che da qualche tempo è una delle proposte in discussione a Roma per sanare i bilanci dell’Anas potrebbe infatti avere ripercussioni anche sull'economia dell'isola, forse già a partire dal 1° maggio 2011.

L'elenco delle tratte che dovrebbero essere trasformate "a pagamento" comprende la Sira-cusa-Catania, la Catania-Palermo, la Palermo-Mazara. E si parla già di tariffe: il criterio ge-nerale fisserebbe un introito di 7.50 euro ogni cento chilometri. Spostarsi da Catania a Palermo verrebbe quindi a costare circa 15 euro a tratta per l’auto, qual-cosa in più per un camper, men-tre siracusani e catanesi dovreb-bero sborsare circa 3 euro e 50 centesimi per ogni collegamento. Un costo che andrebbe a riper-cuotersi anche sulle tasse dei tu-risti costretti, tra l'altro, a fare i conti con l'assenza di collega-menti alternativi.

Intanto, l'Anas si prepara ad indire la gara, prevista a fine novembre, per appaltare l'instal-lazione dei sistemi elettronici di telerilevamento. Dalla riscossione

dei ticket autostradali l'Anas do-vrebbe così recuperare i fondi necessari al mantenimento della rete viaria non potendo più con-tare nei trasferimenti statali. L’Italia al 7° posto fra i Paesi da visitare

Il miglior posto dove an-dare in vacanza è la regione del Sinai in Egitto, mentre le isole Shetland in Scozia sono rimaste l'unico posto inesplorato del Re-gno Unito, dove è ancora possi-bile vedere facilmente animali come le balene e godere di splendidi paesaggi. E l'Italia? E' al settimo posto tra i Paesi da visitare.

I consigli sono contenuti nell'ultima edizione della guida Lonely Planet sui luoghi migliori da visitare in tutto il mondo, 'Best in Travel 2011', appena pubblicata dalla casa editrice, specializzata in guide turistiche, che mette al primo posto dei pa-esi imperdibili l'Albania, "l'ultima delle frontiere" secondo gli e-sperti, seguita dal Brasile e Capo Verde. Tra le regioni, invece, il Sinai si posiziona in cima alla classifica seguita dall'Istria in Croazia, mentre le città 'indi-menticabili' sono, in ordine di classifica, New York, Tangeri in Marocco e Tel Aviv in Israele.

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