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L’Universale 1 L’ Universale Periodico di politica, attualità e cultura. ANNO 2012 N. 4 12-03-12

Numero quattro

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Il quarto numero

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L’Universale 1

L’UniversalePeriodico di politica, attualità e cultura.

ANNO 2012 N. 412-03-12

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Sommario

4 IL LEVIATANOStefano Poma

6DISOCCUPAZIONE STELLARE SPREAD MINIMO

Gianluca Di Agresti

8 ITALIA E GRECIA L’ARRIVO DEI NUOVI BARBARI

Franco Morettini

10FECERO UN DESERTO E LO CHIAMARONO PACE

Massimo Pittarello

Direttore

Redazione

Stefano Poma

VicedirettoreGianluca Di Agresti

Marika BorrelliBruna LarosaSilvia Fabbri

Laura FoisFabio PittauDenise PucaMassimo PittarelloFranco Morettini

VignetteRoberto Mascilongo

Segreteria

Elisa Sitzia

U

DALL’ALTRA PARTE DEL TUNNEL12Denise Puca

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1516

17

PUTIN E A CAPOFabio Pittau

Laura Fois

Silvia Fabbri

Bruna Larosa

Marika Borrelli

IN ITALIA L’EUROPA HA PERSO IL TRENO DELLA MODERNITA’

STORIA DELLA VAL DI SUSA

DONNE OGGETTO DI VITA

SOSTIENE LORETTA

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EDITORIALEL’Univ e rs al e di STEFANO POMA

IL LEVIATANO

L’italiano si è sempre sentito protetto, tutelato dallo Stato; se non addirittura guidato e aiutato, come la badante col novantenne, avvalendosi dello welfare state. La burocratizza-zione dell’era moderna ha mi-nato il concetto democratico, trasformando il sistema parla-mentare in potere oligarchico, come da sempre spiega Lu-ciano Canfora. Ma, mentre le lezioni del professore vengono ascoltate da un’irrisoria per-centuale di popolazione sot-tratta al Grande Fratello, i fan della Marcuzzi si domandano cosa sia questo Stato, questo sconosciuto che sino a ieri era percepito come un’istituzione filantropica pronta ad aprire le casse dell’ente previdenzia-le, e che ora presenta il conto, anche a chi durante il buffet è rimasto a digiuno. Ci ha credu-to l’operaio, l’impiegato, l’arti-giano, d’essere lui al centro del sistema sociale, d’avere l’appa-rato istituzionale a sua dispo-sizione, gestito e controllato da lui, dalla sua gente; costruito intorno a lui, come il cerchio sulla sabbia di Ennio Doris. I partiti politici gliel’hanno fatto credere, hanno studiato un unico copione apposta; e, il tanto vituperato qualun-quismo, non viene contagiato

dagli “untori” Travaglio, Grillo e Santoro, ma alimentato da politici che agiscono come Luigi Lusi. I partiti si sono istituzionalizzati, fondendo il loro portafogli con quello dello Stato. Decidono loro, unilateralmente; la democrazia è sostituita dal porcellum, e il politico si appropria di spada e bastone, incarnando il po-tere del Leviatano. Usa, come legittimazione, l’art. 54: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”. E questo equivale al contratto del Leviatano, la “macchina delle macchine” inventata da Hobbes e che, allo sprovveduto, fa venire un sobbalzo: “Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest’uomo o a questa assemblea di uomini”, recita l’accordo. Il cittadino cede la propria libertà al Leviatano, che esercita un potere sovrano illimitato e insindacabile; e la persona del sovrano è sottratta a qualsiasi controllo. Sembra una concezione del potere e della politica totalitaristica, tipica della Germania nazi-sta o della Russia sovietica, col Leviatano interpretato da Hitler e Stalin. Invece è l’Italia contemporanea; lo scopo del

contratto è quello di consenti-re al Leviatano di evitare che “qualcuno venga sopraffatto da altri uomini, perdendo tutto quello che ha”. Era il 1651, ed Equitalia non era nei progetti di Hobbes. Ma, abili giuristi, hanno permesso che, l’unica sicurezza derivante dal Le-viatano, venga meno. Facen-do perdere al cittadino sia la libertà che la tranquillità. E il Leviatano è sempre sottratto dal controllo: quello elettora-le lo evita col porcellum e le liste bloccate, quello penale da lodi Alfano-Schifani, legittimi impedimenti e prescrizioni o, se si chiama Dell’Utri ed è

amico del Leviatano superac-cessoriato, a levarlo dai guai ci pensa l’amico dell’amico Carnevale. Solo il Leviatano e chi gli sta intorno si salva. Lo Stato di diritto tramonta, i diritti acquisiti vengono meno, pur di salvare il libero mercato e le garanzie contrattuali. E, a rimetterci, è chi non sa chi sia questo Leviatano, che lo scambia con altre figure, e che lo cerca facendo zapping in tv, trovandolo in chi fa intratteni-mento. L’italiano vuole ridere, vuole svagarsi, vuole dimen-ticare la crisi, vuole seguire le orme delle persone che reputa importanti, sperando d’averne

egual successo un domani. La fantasia è abolita, la merito-crazia intellettuale è sostituita da quella “manuale” e “orale”. L’italiano, allora, ripiega sul tecnico. Martelli, chiavi inglesi, cacciaviti, un futuro semplice, periferico, per evitare i grandi ingranaggi della città corrotta: che s’ingrassa di cemento, di auto, di gente mantenuta dallo Stato che, come ringraziamen-to per aver fatto eleggere il Leviatano, siede su una scri-vania con dietro la bandiera tricolore.

“La democrazia è sostituita dal

porcellum”

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Disoccupazionestellare

spread minimo

di GIANLUCA DI AGRESTI

I dati forniti dall’Istat sulla di-soccupazione sono preoccupanti: 9.2 %. Ha raggiunto il suo livello massimo dal 2004. Il governo Monti avrà pure fatto riacqui-stare fiducia all’Italia sui mercati finanziari ma non ci sono rispo-ste sull’occupazione. Questo è un dato di fatto. Il nostro paese è in recessione. In attesa del decreto che andrà a riformare il mercato del lavoro previsto per la fine di marzo, latitano proposte convin-centi volte a stimolare la doman-da interna. Per il momento la trattativa governo-parti sociali si gioca sul terreno dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, il quale non consente alle imprese superiori ai 15 dipendenti di fare licenziamenti discriminatori. È da ricordare che in Italia il 95% delle imprese hanno meno di 15 dipendenti ma anche chi ne ha di più molte volte già non rispetta l’articolo ma per fortuna c’è un giudice terzo che decide. Il gover-no sostiene, con la mano destra convinta della Confindustria, la linea di superare l’articolo 18, ri-tenendolo un ostacolo alla libertà d’impresa. I sindacati, in primis la Cgil, sostengono al contrario, che la legge non deve esser toc-cata perché essa è una“norma di civiltà”. E siamo sicuri che qui si

“Per il momen-to la trattativa governo-parti sociali si gio-ca sul terreno dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori”

arriverà allo scontro finale. Da un lato il governo, il quale non fa altro che obbedire alle direttive della lettera della BCE di agosto ( il mese clou della sospensio-ne della democrazia ) firmata Draghi-Trichet (nella quale il mercato flessibile teorizzato come dogma diventa scelta ineluttabile per tutti i governi dell’area Euro) e dall’altra le forze sociali che si oppongono alle scelte neo-libe-riste che stanno massacrando l’e-conomia. Le ragioni della disoc-cupazione nascono soprattutto da qui. Con la stretta ai consumi derivata dal crollo della doman-da, le imprese ritengono di non

dover produrre. Ne conseguono licenziamenti. Il risultato finale rappresenta l’aumento esponen-ziale della disoccupazione. In Italia ce ne sono più di 2 milioni di disoccupati, senza contare chi studia o chi non avendo più fiducia, ha totalmente rinunciato a mettersi alla ricerca di trovarsi un impiego. Ma anche chi lavo-ra, è a rischio povertà. L’Italia è agli ultimi posti per retribuzioni lorde nell’Eurozona. Secondo la “propaganda padronale”, sostenu-ta anche dal ministro del Welfare, gli stipendi nel nostro paese sono bassi perché il costo del lavoro è alto ed anche la produttività risulta bassa. In verità, siccome la produttività totale è la risultante della somma tra capitale e lavoro, essa è bassa perché questi due fattori sono bassi, quindi il pro-blema del costo del lavoro è falso, considerando il fatto che esso è maggiore in paesi che godono di una salute sicuramente migliore della nostra, uno tra tutti la Ger-mania che guida questa classifica. Da una parte non si vuole andare al nocciolo della questione, non facendo altro che spostare l’asso sul fronte delle polemiche nei confronti dei sindacati accusati dalla leader della Confindustria

Marcegaglia di difendere “assen-teisti cronici”. Tra l’altro definire i lavoratori anche dei ladri, in un momento di forte tensio-ne sociale, non fa che acuire la rabbia di chi non ha voce perché questa le viene scippata, come la ricchezza che essi producono. È da trent’anni che si sposta siste-maticamente la ricchezza da chi lavora a chi invece detiene i mezzi di produzione. In assenza o quasi di politiche volte a ridistribuire il reddito, si assiste al disastro eco-nomico-finanziario, determinan-do in buona sostanza pericolose nuove forme di povertà. Ma su

questa crisi c’è chi si arricchisce, forse chi l’ha provocata, ovvero quell’establishment oligarchico ben rappresentato dalla finanza, il vero potere egemone che dietro le quinte muove i fili di tutte le operazioni politiche ed economi-che. E del resto l’attuale governo, il quale è espressione di quei poteri si dimostra insensibile alle richieste di lavoro e sostegno economico nei confronti delle fasce più deboli. In Parlamento tuttavia, si continua a sostenere in maniera più che convinta ogni scelta politica, eccetto se si tocca-no gli interessi di Berlusconi. È

un dato di fatto che il Pdl dà qual-che sussulto solamente nel caso in cui si tratta di argomenti come la televisione e la giustizia, tutti e due molto cari all’ex premier. La natura del Popolo della Libertà è imperniata proprio sugli interessi di una persona, non lo abbiamo scoperto certo ieri mattina, ma dall’altra sponda, ovvero quella del Partito Democratico se il governo manomettesse in manie-ra decisa i diritti dei lavoratori, questi come si comporterebbe. Ma quella è un’altra storia. O forse no ?

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di FRANCO MORETTINI

ITALIA E GRECIAL’ARRIVO DEI NUOVI BARBARI

Quando nel 341 a.C. Demostene pronunciò le sue celebri “Filippiche”, orazioni pubbliche contro l’avanzata di Filippo II di Macedonia in Grecia, e il pericolo che le democrazie delle poleis greche stavano correndo per colpa di un, come lo definisce Demostene: “barbaros”, i greci preferirono affidarsi all’ “uomo forte” (Filippo), e la democrazia ateniese morì. In compenso i Macedoni in seguito crearono un impero sovranazionale di cui la Grecia era solo una parte, e neanche la più importante. Sicuramente era la più povera di ricchezze naturali, al confronto con i persiani, i fenici e gli egiziani che ormai erano parte integrante dell’impero Ellenistico.

Venendo ai giorni nostri. Nel 2009 (d.C.), il presidente Papandreou dichiara la Grecia sull’orlo del fallimento, o il default come ormai si dice oggi per non usare la parola bancarotta che si porta dietro un certo odore, o meglio puzza, di illegalità. Ma non è un problema semiologico, è più che altro uno spauracchio usato dalla finanza (i nuovi barbari), per in-fluenzare i mercati e la speculazione, anche a costo di mandare in bancarotta interi stati.Visto che questo è il rischio, tanto vale ritorna-re ad un impero sovranazionale come quello Ellenistico del IV secolo a.C., comandato

direttamente dalla finanza o suoi emissari.Gli emissari, tanto quelli italiani che quelli greci, sono targati Goldman Sachs. Già anche l’Italia fa parte di questo triangolo G.S. al qua-le appartengono: sia il Presidente del Consi-glio Mario Monti, il Presidente del Consiglio greco Lucas Papademos, che il Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, an-che se con funzioni diverse e in tempi diversi. Purtroppo quando si parla di Goldman Sachs, partono subito, sia da destra che da sinistra, le accuse di “complottismo”. Scogliamo i dubbi subito, questa non è una tesi complottista,

quanto piuttosto una tesi realista. E’ ciò che abbiamo sotto gli occhi ma preferiamo non vedere, e magari accusare gli altri di vedere complotti dove non esistono.Ma si sa l’Italia è il paese dei “misteri di stato”, quella dei servizi deviati, quella della P2.Nessuno ricorda più l’Italia degli anni ‘70, quando massoneria, servizi segreti italiani e stranieri, usavano i neofascisti come brac-cio armato per creare ad arte una situazio-ne di pericolo sociale con l’obbiettivo di una richiesta di leggi liber-ticide.Ma cosa è veramente Goldman Sachs? Una banca d’affari america-na dove si scambiano titoli e azioni, e anche titoli di vari stati mon-diali.La sua influenza sui soggetti politici non è indifferente. Partendo dagli U.S.A. dove ha piazzato due suoi uomi-ni, uno nell’entourage di Bill Clinton, e l’altro in quello di George W. Bush. Come si vede la G.S. non guarda alle sfumature politiche. Il suo unico problema è piazzare gli uomini giusti nelle posizio-ni giuste. Dopo aver contribuito non poco all’allegra economia greca al tempo che il nostro Papademos era il diretto-re della Banca Centrale ellenica, l’Europa ha imposto lo stesso Papademos per risolvere la crisi in cui era piombata e che, in un certo senso anche lui aveva collaborato a creare, o quantomeno non era riuscito ad arginare.Monti e Papademos sono gli

uomini “probi” (i probiviri) che ci riporteranno in una situazione medievale tipo: ognuno per sé, Dio per tutti. Già la probità, il valore richiamato dopo anni di finanza allegra, sia in Italia che in Grecia. “Quanti elogi della probi-

tà! - pensava [Julien] - Si direbbe che non vi siano altre virtù”.Ma la probità non è sempre un valore positivo, almeno questo è quello che pensava Stendhal con questa frase del suo capolavoro “Il ros-so e il nero”, scritta nel 1830 ma molto adatta anche alla situazione odierna.Dietro la probità si nasconde la faccia feroce della borghesia,

quella più retriva, quella più pro-vinciale, quella più bigotta. Dopo diciassette anni circa di carnevale, non per tutti ovviamente ma solo per i più furbi quelli al limite della legalità, adesso ci stupiamo che è arrivata la quaresima. Nel Me-

dioevo era addirittura una festa quando si uccideva il simulacro del carnevale, il perio-do dell’anno quando il mondo si rovesciava e i poveri facevano i ricchi e il contrario. Ma alla fine del carnevale i ric-chi rimanevano tali e i poveri improvvisamen-te si ritrovavano nella situazione di partenza, in più, durante il car-nevale, si erano lasciati andare ai bagordi, come andare più spesso a ristorante, comprarsi una sciarpa di cache-mere, una borsa griffata o l’ultimo modello di cellulare. Quando ar-riva la quaresima tutto questo sparisce, come la carrozza di Cenerentola ritorna una zucca dopo mezzanotte.La ventila-ta promessa di vivere, invece che sopravvivere, ha incantato la buona e “vecchia piccola bor-ghesia” che ha votato in massa il re del carneva-le. Quasimodo, quello di Victor Hugo, nano,

gobbo e anche non poco scemo diventa re di Parigi per un giorno. Noi al nostro Quasimodo abbia-mo dato un po’ più di tempo (17 anni!) per demolire lo Stato, le sue fondamenta e i diritti dei cittadini.Quello in cui non è riuscito Quasi-modo, lo sta finendo l’uomo della provvidenza, il probo spettro della quaresima: la bancarotta dello Stato.

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di MASSIMO PITTARELLO

FECERO UN DESERTOE LO CHIAMARONO PACE

E’ arrivata la pace. Fra politica e giustizia. Fra poteri dello stato. Fra potentati istituzionali e commerciali. I cittadini, invece, quelli sono ancora guerra. “Credo che si incominci a capire che questo paese ha bisogno di pacificazione”, è il commento di Claudio Scajola che a sua insaputa ha copiato il più diretto Berlusconi: “La guerra sta finendo”. Almeno per lui, sicuramente.

L’annullamento della condanna a 7 anni a Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa segna un punto di non ritorno nei rapporti tra politica e giustizia, ma non solo. La quinta sezione della Corte di Cassazione ha stabilito che il processo è da rifare. Il reato di cui è accusato l’avvocato del premier dovrà essere giudicato nuovamente in appello, da capo. Ergo, andrà in prescrizio-ne. L’ opinione sulla colpevolezza del fondatore di Forza Italia, uno che nei comizi definiva Vittorio Mangano, il mafioso pluriomicida

che faceva lo stalliere nella villa di Arcore, “un eroe”. Ma le opinioni si sa, non contano: in uno Stato di diritto, quello che conta, alla fine, è solo la parola dei giudici. Che questa volta hanno deciso che la colpevolezza del senatore presen-tava ancora qualche elemento di dubbio. E a deciderlo, almeno formal-mente, non è stato Aldo Grassi, il presidente della sezione accusato di avere una visione favorevole a Berlusconi, che negli anni no-vanta è diventato famoso per le sue conversazioni con il collega Corrado Carnevale, meglio noto

come l’“Ammazzasentenze”. E’ stato il sostituto procuratore gene-rale, Francesco Mauro Iacoviello a chiedere l’annullamento, con una requisitoria in cui ha sostenuto che “il reato di concorso esterno è un reato indefinito al quale ormai non crede più nessuno”. Vada per la prescrizione di Dell’U-tri, che ce la potevamo anche aspettare visti i tempi che corro-no, ma derubricare il “concorso esterno in associazione mafiosa” a qualcosa a cui “non crede nes-suno”, è un po’ troppo. Come dire che per essere mafioso, e compiere reati mafiosi, devi per forza essere

un affiliato, un appartenente ad un clan, ad una famiglia, altrimenti niente, niente reati di mafia. Se aiuto la mafia dall’esterno non sto facendo ugualmente attività mafiosa?Poi c’è il caso Mills, dove Berlu-sconi era imputato in un processo in cui il principale testimone ha ammesso il suo illecito, ed è stato condannato. La prescrizione, anche qui, ce l’aspettavamo. E in fondo anche la conferma che se in questo Paese si hanno i soldi per pagare dei buoni avvocati, la giustizia è un po’ meno giusta, e un po’ meno uguale per tutti. La tendenza manifestasti con il processo Dell’Utri e quello Mills è quella di assopire contrasti che fino a sei mesi fa erano quoti-diano succulento materiali per le prime pagine dei giornali. La lotta fra politica e magistratu-ra come l’abbiamo conosciuta in questi anni sta giungendo al termine. Massimo Milane-se libero e Alfonso Papa no. Perché? Solo per opportunità politica. La Lega, vicina a Tre-monti, ha sorretto il Pdl contro l’arresto di Milanese, uomo appunto di Tremonti. Con Papa, invece, di cui special-mente a Maroni non fregava niente, ecco il carcere e le visite dei Radicali a Rebibbia. Berlusconi appoggia Monti purché lui e le sue proprietà rimangano intatte. Non è un salvacondotto. E’ una pace. Un armistizio condizionato. Firma-to a novembre ed evidente da quando la Corte Costituzionale ha bocciato in blocco il refe-rendum sulla legge elettorale. Si tornerà a votare con il Porcel-lum, e sarà ancora Berlusconi a decidere chi sarà eletto nel 2012 nelle liste del Pdl. Quan-do si cambierà le legge elettorale, sarà la fine del Pdl. Finirà che il la questione Ruby, con accuse di

prostituzione minorile e corruzio-ne aggravata, quello Unipol, con accusa di rivelazione di intercetta-zioni (da parte di B. !!!, maddai), la vicenda All Iberian, con accusa di frode fiscale e appropriazione indebita, le inchieste Mediatrade e quella di Trani, finiranno tutti in un nulla di fatto. C’è stata l’asta delle frequenze televisive, occu-pate dal 2001 in barba a sentenze della Corte Costituzionale da Me-diaset? Il ministro Passera è an-dato da Fazio a dire che Mediaset avrebbe dovuto pagare. Successo qualcosa? Assolutamente no, ma intanto Fedele Confalonieri viene ricevuto come un capo di Stato. E la legge Gasparri, sulla spartizione

del potere televisivo, comun-que non si tocca. Finirà che Berlusconi non verrà condan-nato, il suo Impero rimarrà intatto, e i danni fatti li pa-gheremo noi. Compresi quelli nel campo della giustizia. La magistratura, ora che ha vinto questa battaglia con l’ometto di Arcore, tornerà più forte di prima. Si prevedono giorni di labirintici percorsi per corridoi di tribunali e aule giudizia-rie per tutti i poveri mortali. Poveracci in galera per anni in attesa di giudizio e colletti

bianchi che pagano profumati onorari di avvocati. Gli italiani si ritroveranno ancora una volta cornuti e mazziati. Con processi duranti anni, costati tantissimo, in grado di bloccare un Paese, che si risolveranno in una bolla di sapone, mentre noi, staremo ancora ad aspettare giustizia per Cucchi, Aldovrandi, Uva, San-dri e tutte le altre vittime silen-ziose. Con sempre bene ferma in mente di non obliterare mai due volte il biglietto dell’auto-bus, che è reato penale. Sulla

giustizia si sono, ci siamo scannati per anni. E’ stato fatto un deserto. E ora lo chiamiamo pace.

“Finirà che Berlusconi non

verrà condannato, il

suo Impero rimarrà intat-to, e i danni

fatti li pagheremo

noi”

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di DENISE PUCA

DALL’ALTRA PARTE DEL TUNNEL

Alla nascita delle proteste in Ita-lia la stampa francese ha sottoli-neato, come quella italiana, più le azioni violente che le motiva-zioni reali alla base del no al Tav, suscitando preoccupazioni per gli investimenti francesi che poteva-no essere sprecati nel caso in cui i lavori si fossero bloccati.Pian piano però qualcosa ha cominciato a muoversi. Anche dall’altro lato del tunnel è nato il movimento No-Tav Savoie, che il 1 marzo ha organizzato a Lione un corteo di solidarietà con i compagni italiani. Sul loro blog (http://notav-savoie.over-blog.com/ ) troviamo 101 motivi contro l’opera, le stesse ragioni economiche e ambientali docu-mentate e confermate da anni di proteste dei No-Tav italiani. La diffusione delle notizie sulla rete ha permesso di arrivare ad un pubblico sempre più vasto anche in Francia, laddove la sicurezza sui bassi rischi ambientali sta co-minciando lentamente a calare.Ecco che, nel rapporto francese,

“Il dossier sulla Torino Lione presenta delle contraddizioni e delle imprecisioni già segnalate precedentemente, in particolare su punti essenziali quali le pre-visioni del traffico.[…] L’Agenzia per l’Ambiente raccomanda di ri-mediare nella versione del dossier che sarà resa pubblica”. Comincia così il commento francese sul dossier della Tori-no-Lione presentata dall’Italia all’’Agence de l’Environnement (Agenzia dell’Ambiente). Nel mezzo di vari tecnicismi e ap-prezzamenti per alcuni punti ben presentati, troviamo spesso critiche vagamente preoccupanti. Il rapporto francese arriva infatti a sostenere che “lo studio dell’im-patto ambientale non ha il livello di precisione, di completezza e di attenzione per le specificità locali che si considera come normale per progetti anche minori”.Di fronte ad affermazioni del genere diventa lecito porsi una domanda.Ma cosa pensano davvero del Tav i nostri cugini d’otralpe?Innanzitutto scopriamo come è stata affrontata lì la questione della preparazione del territorio. Il governo ha aperto dei tavoli di trattative non dopo aver già deciso tutto, sulla scia di scontri e proteste, ma prima di iniziare qualsiasi decisione, anche tecni-ca. I cittadini dei paesi interessati sono stati coinvolti direttamente e gradualmente nel processo de-cisionale, motivo per cui si sono convinti dell’utilità dell’opera e hanno accettato volentieri.

le continue richie-ste di precisazioni sui dati ambien-tali dei territori interessati forniti dall’Italia suonano un po’ come un campanello d’allar-me. Perché dopo 20 anni di prepa-razione all’accordo c’è bisogno di ulte-riori informazioni? O meglio, perché l’accordo è stato

firmato se non si avevano notizie certe sui rischi derivanti dallo scavare un tunnel in una mon-tagna piena zeppa di amianto? E perché le indicazioni illustrate dall’Italia su come evitare un dissesto idrogeologico risultano ancora incomplete?La necessità di avere precisazio-ni può sembrare una semplice formalità, ma non si può liqui-dare così la questione. L’agenzia raccomanda infatti “di spiegare la natura delle compensazioni, tenendo in conto gli impatti dei progetti […], di precisare le modalità di gestione dei terreni; di mettere in opera le misure di compensazione prima dell’inizio dei lavori, se possibile; di realiz-zare un dispositivo di analisi e valutazione dei benefici ecologici e idraulici delle misure prese, con un comitato che associ tutte le parti interessate”.Non facciamo calare il silenzio sul Tav, forse qualcosa si sta muo-vendo.

PUTINdi Fabio Pittau

E A CAPO

so. E dire che per non dare adito a polemiche, lo stesso Presidente aveva speso circa 400 milioni per dotare quasi tutti i seggi di due webcam, per fugare qualsia-si timore di brogli in suo favore. Proprio una di queste webcam, in Daghestan, nel Caucaso Setten-trionale, alla ribalta del mondo sportivo per le vicende milionarie della società Anhzi, ha mostrato clamorose irregolarità in sede di scrutinio. Il video è apparso il giorno dopo in rete e la Commis-sione elettorale centrale di Mosca ha prontamene invalidato i risulta-ti del seggio. “Una piovra mafiosa che ha allungato i suoi tentacoli sulle elezioni” ha denunciato il leader comunista Ziuganov, che ha ottenuto il 17,1% di preferenze. “Un tentativo di delegittimazio-ne” - invece, secondo le autorità governative, “pianificato ed orga-nizzato dal movimento di opposi-

L’aveva promesso con arroganza e presunzione e i seggi elettorali gli hanno dato nuo-vamente ragione: Vladimir Putin sarà ancora per sei anni il Presi-dente della Russia. Un esito mai in discussione e una riconferma pre-vista da tempo, che ha spazzato via i pochi dubbi ancora alimentati da un’opposizione civile mai attiva quanto negli ulti-mi mesi. La primavera russa deve dunque attendere. Quella voglia di cambiamento respirata attorno al Cremlino grazie al movimento nato in rete e capace di portare nelle piazze di Mosca più di cento-mila persone in più di un’occasio-ne, si è pian piano spenta facendo i conti con la realtà. Il presidente della nuova Grande Russia, delle oligarchie affaristiche e del benes-sere apparente, ha riottenuto la fiducia dal 64% degli aventi voto, nonostante l’ombra dei brogli ha fatto vacillare la credibilità inter-nazionale dell’ex agente del Kgb per qualche giorno. L’attenzione degli analisti di tutto il mondo si è concentrata su alcune presun-te irregolarità che si sarebbero verificate durante le operazioni di voto soprattutto nelle province più estreme dello sconfinato stato rus-

zione, per sovvertire il voto popolare”. I leader occidentali (Monti, Merkel, Cameron, Sarkozy), nonostante tutto, hanno fatto a gara per congratularsi, facendo recapitare i loro messaggi di auguri all’inquilino del Cremlino poche ore dopo la certezza della rielezione. E a consacrare defini-tivamente il nuovo Presidente, è arrivata puntualmente anche

la telefonata di Obama. Il presi-dente americano vede in Putin un interlocutore imprescindibile per la questione siriana e quella iraniana. L’attivismo della società civile non sembra però aver co-nosciuto sosta neanche dopo una settimana: arrestati alcuni leader, il movimento si è ripresentato in piazza Bolotnaya per far sentire la propria voce e chiedere l’annulla-mento delle elezioni. Le battaglie del movimento contro lo Zar e i suoi metodi coercitivi, senza la le-gittimazione internazionale, sono destinate però a rimanere un nulla di fatto. Putin potrebbe restare in carica sino al 2024 con un’altra possibile elezione nel 2018. Lo scenario che si sta delineando per la società civile russa, potrebbe non conoscere varianti ancora per tanti anni.

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IN EUROPA

L’ITALIA HA PERSO IL TRENO DELLA MODERNITA’

di MASSIMO PITTARELLOdi LAURA FOIS

L’anno scorso la Commissione europea ha proposto di modificare l’attuale rete di trasporti europea in un network, la Ten-t, fatto di collegamenti prioritari ferroviari, marittimi, portuali e telematici in un modo efficiente e ambizioso. Il progetto Ten-t prevede una rete centrale da completare entro il 2030 e una rete globale da com-pletare entro il 2050. Quest’ultima garantirà la piena copertura del territorio dell’Ue e l’accessibilità a tutte le regioni. Per completare il mercato unico, l’Europa ha infatti bisogno di un rete unificata che colleghi ogni angolo dell’Unione, e che soprattutto funzioni. La Com-missione ha stanziato una valanga di miliardi (250 entro il 2020) per migliorare e rendere sostenibili in-frastrutture e rotte strategiche che permettano una migliore circola-zione delle persone e delle merci. In altre parole, per continuare nel cammino di una maggiore inte-grazione europea. Bruxelles ha segnalato dieci pro-getti prioritari, tra cui l’inserimen-to nel corridoio Baltico-Adriatico dei collegamenti ferroviari e delle piattaforme multimodali di Udine, Venezia e Ravenna, i porti di Ravenna, Trieste e Venezia, l’asse ferroviario Torino-Lione e Genova-Milano-Svizzera, il tunnel del Brennero, il potenziamen-to della ferrovia Napoli-Reggio

Calabria e della tratta Napoli-Bari. L’Italia, dunque, è uno dei paesi più interessati nel progetto, ma è anche quello che meno approfit-ta dei fondi UE, o per incapacità o per mancanza di una visione comune. Eppure è il paese che più ha bisogno di migliorare e in certi casi riformare la propria rete dei trasporti. Partendo da quella ferroviaria, che tra l’altro ha il merito di ridurre le emissioni e il traffico autostradale.L’Italia, secondo stime europee, ha il maggior numero di incidenti sui binari. La scarsa manutenzio-ne non affetta le tratte riservate all’Alta Velocità (che poggia su binari relativamente nuovi) ma quelle secondarie, che sono le più frequentate. Il trasporto locale, su gomma e su ferro, è sovvenzionato per il 70% con i soldi dei contri-

buenti, e non è un caso che l’Italia abbia le tariffe più basse d’Europa. Gli incidenti alle persone causati dai treni in movimento pongono addirittura l’Italia in testa alla classifica negativa con 89 casi nel 2011, 15 in più rispetto a due anni prima.Nel rapporto della Commissione non si è mai citato il Ponte di Mes-sina. Semplicemente, non serve, quindi non c’è neanche bisogno di menzionarlo. Sulle grandi opere, l’Italia neanche arranca. Se i francesi proseguono spediti nella costruzione della tratta di 50 chilometri che gli compete lun-go le Alpi, gli italiani si dividono tra appoggiare o no la TAV. Per 7 chilometri.La Spagna è il paese europeo con più chilometri di autostrade; ha inoltre da poco sorpassato la Francia diventando il paese con la rete di alta velocità più estesa. Nella classifica mondiale occupa il dodicesimo posto, alle spalle della Cina. Ma le polemiche non man-cano. Sono solo un paio infatti i milioni di passeggeri che utilizza-no l’AVE (la sigla dell’alta velocità in spagnolo) ogni anno, contro i 400 milioni di passeggeri della Cercanías, il servizio ferroviario suburbano. I biglietti costano, ma i servizi sono efficienti, anche nelle linee cosiddette secondarie. La Spagna si ritrova così all’avanguar-dia, perché ha saputo realizzare delle infrastrutture che tutto il mondo gli ammira, e perché ha saputo utilizzare al meglio i fondi europei. Con la crisi, i grandi pro-getti subiranno un rallentamento. È anche per questo che da tempo i vari ministri dei trasporti spagnoli si stanno ingegnando a trovare capitali privati in Cina e negli Stati Uniti. In Italia, il dibattito conti-nua. In Italia, i treni della moder-nità si perdono uno dopo l’altro.

di SILVIA FABBRI

SOSTENIAMO LUCASTORIA DELLA VAL DI SUSA

Luca Abbà è un uomo che vive dei frutti della terra che coltiva, terra che rischia di vedersi sottrarre a causa dell’ampliamento del cantiere della Tav. Da qualche tempo, infatti, sono cominciati gli espro-pri dei terreni per allargare il cantiere. Durante la manifestazione No Tav di lunedì 27 febbraio, per rallentare le operazioni di esproprio, Luca sale su un palo dell’alta tensione. Una forma di resistenza assolutamente pacifica e simbolica. Direttamente dal palo Luca chiama Radio Blackout per raccon-tare cosa sta succedendo e spiegare la sua forma di protesta. Improvvisamente Luca blocca la telefo-nata dicendo: “Adesso stacco perché sta salendo un rocciatore e devo attrezzarmi per difendermi”. Luca, intimidito e spaventato alla vista dell’”agente rocciatore”, si agita, e per difendersi si avvicina troppo ai fili dell’alta tensione ne resta folgorato e precipita da un’altezza di circa 15 metri. Le imma-gini registrate dalle telecamere della Polizia dello Stato, relative a questo lasso di tempo, mostrano un agente rocciatore che si arrampica sul palo per raggiungere Luca, ma secondo le procedure i poliziotti non dovrebbero arrampicarsi, dovrebbe-ro attendere l’arrivo dei vigili del fuoco con teloni e materassi gonfiabili. Le procedure, dunque, sono state ignorate e il risultato è un uomo con nume-

rose emorragie, tante fratture, alcuni organi compromessi e molte ustioni. Nonostante la tragedia le ruspe continuano a lavorare, la celere non muove un dito e i soccorsi arrivano dopo 20 minuti dall’accaduto. Le condizioni di salute di Luca migliorano mol-to lentamente. Il 12 marzo è stato sottoposto all’ennesimo intervento chirurgico e trasferi-to al reparto di terapia intensiva, dove reste-rà almeno una settimana. In queste condi-zioni sarà impossibile che Luca quest’anno riesca a mandare avanti l’”Orto del Sole” (è questo il nome della sua attività agricola), da cui trae i mezzi per sostenersi, per questo il Coordinamento NO TAV ALTA VALLE SUSA ha lanciato la campagna SOSTENIA-MO LUCA per dare la possibilità ai sensibili e solidali di offrirgli un aiuto economico.

Chi vuole contribuire all’iniziativa può utilizzare i seguenti metodi:

-versamento tramite bollettino postale sul CONTO CORRENTE POSTALE n. 59258160 intestato a Luca Abbà-bonifico (o posta giro) sul CONTO BAN-COPOSTA con IBAN IT 35 P 07601 01000 000059258160 intestato a Luca Abbà.Per entrambe le modalità la causale è SOSTE-NIAMO LUCA ABBA’.

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di BRUNA LAROSA

DONNE OGGETTO DI VITA

Sono già più di trenta le don-ne uccise per mano dei proprio compagni nel 2012. Tanti i motivi che spingono all’insano gesto: una non rassegnazione all’abbando-no, una cieca e vecchia idea della donna quale oggetto su cui eserci-tare il proprio potere, ad esempio. Educare alle differenze per capire quanto si è uguali in realtà sembra la soluzione di tutto, eppure ogni giorno, ogni momento c’è qualche donna costretta a subire violenza fisica o psicologica, se non proprio uccisa. Amare non è certamente una colpa, così come smettere di farlo: non si sceglie, succede. Spesso succede non perché si de-siderino altre persone, ma perché paradossalmente la donna, il sesso debole, si ritrova sulle spalle il peso della vita di coppia, oltre che i problemi di ogni giorno. Così l’amore si esaurisce, senza biso-gno di nuovi principi azzurri o di altro e non è certo con la violenza che si torna indietro. Se la donna fosse considerata un essere uma-no pensante, se ella fosse davvero libera come solo nelle pubblicità in tv sembra, allora non ci sareb-bero tanti problemi. Il fatto è che la donna è vista come un oggetto non solo quando si tratta di creare delle reclame o degli spot: è un oggetto anche nella vita, qualcosa da possedere e di cui andare fieri, qualcosa, non qualcuno. Quando si innesta questo meccanismo la

donna si ritrova ad essere moglie e madre per il suo compagno: pensa a tutto lei, accetta tutto e spesso, piano piano, non riceve più nulla; lei, il fulcro della casa viene dato per scontato proprio in virtù di questo suo ruolo. La prima a capire che questo meccanismo del possesso potesse essere qualcosa che non si confaceva al suo spirito di ragazza fu Franca Viola, nella Sicilia degli anni ’60. Violentata lei rifiuta il matrimonio riparatore, appoggiata anche dai suoi. È un caso che fa scandalo: una donna che si ribella ad un sistema con-solidato! Eppure lei lo fa e ce la fa, nonostante tutte le difficoltà del caso. Ma siamo molto lontani da allora? Se solo in Italia le notizie venissero dette tutte scopriremmo che oltre alle donne italiane uccise, stuprate e perennemente in ansia, esistono le donne straniere che giorno dopo giorno subiscono violenze e angherie. Eppure non è così, anche nel dolore e nell’orrore continuiamo a frammentare la realtà in mille differenze. Migliori tra i peggiori, medi e poi gli insi-gnificanti. Parliamo di uguaglian-za, parliamo di popoli, di donne e di uomini che, verità vuole, siano complementari e necessari gli uni alle altre, solo così potremo avere un mondo più giusto, per le donne e non solo.

“Franca Viola, violentata, ri-fiuta il matri-monio riparato-re

Sostiene Loretta

di MARIKA BORRELLI

“Sostiene Loretta” è il titolo di una video rubrica che l’economista (ma anche prolifica editorialista internazionale) Loretta Napoleoni tiene (o forse teneva perché l’ulti-ma clip è del dicembre scorso) sul Fatto Quotidiano TV.Ma non è della stampa italiana che ci vogliamo occupare.La Loretta è stata intervistata dal TIME Magazine che le ha posto le famose “10 Questions” [rubrica fissa del settimanale], le cui rispo-ste sono state pubblicate a metà febbraio.Loretta sostiene che la differenza principale tra USA ed Europa sta nel fatto che gli Americani si lamentano poco rispetto alle piagnulenti nazioni del vecchio continente, dove, per colpa del tempo usato per le lamentazioni contro l’economia ed i Governi, si prendono pochissime iniziative.In più, ci dice che è principalmen-te colpa delle barriere linguistiche se in Europa c’è poca mobilità occupazionale, contrariamente allo spirito comunitario che abo-liva libera circolazione di persone e merci. Ma vi è più. Secondo la Napoleoni gli Europei tutti non si piacciono poi tanto: sono vivi e vegeti pregiudizi ed idiosincrasie che poco hanno a che fare con la politica o l’economia e molto con sociologia, cultura, storia e tra-dizioni. Insomma, siamo molto lontani dall’integrazione di quel melting pot che sono gli States, perché – come afferma l’esperta – un’idea di Europa in realtà non

esiste.Insomma, agli occhi della studio-sa, siamo messi maluccio come mentalità.La Napoleoni, però, non discono-sce il valore del capitalismo che diventa più adatto a nazioni in crescita (i BRICs, per esempio), ma non intravvede una soluzione innovativa per l’economia euro-pea. Alla socialdemocrazia non fa neanche un accenno (nonostante fosse stata una delle papabili al posto di Governatore della Regio-ne Lazio) e glissa sulla necessità di una migliore re-distribuzione del reddito, pur avendo l’intervistato-re fornitole una sponda per dire qualcosa i merito.L’intervista, in definitiva, lascia ad una lettrice europea (ovvero italia-na, come chi scrive) più domande di quante ne contenga. Ovvio che i lettori del TIME (nell’edizione europea in cui era pubblicata) non sentono la necessità di un appro-fondimento sullo stato dell’Italia rispetto agli esiti di questa crisi perdurante. Per un sacco di moti-vi, non ultimo per via delle barrie-re linguistiche che rendono pigri proprio i lettori Italiani rispetto alla stampa internazionale.Una cosa, però, mi sembra molto

degna di nota. Secondo la Na-poleoni, non sono più i grandi eventi storici, anche catastrofici come il crollo delle Torri Gemelle, a modificare il corso degli eventi, della vita e dell’economia mondia-le, bensì la tecnologia. Da quando è stato inventato l’iPod, la nostra vita non è più la stessa. Amen.

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