80
settembre 2014 02 ISSN 2384-9029

OFFICINA* 02

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Bimestrale di Architettura e Tecnologia Settembre-Ottobre 2014

Citation preview

Page 1: OFFICINA* 02

settembre 201402

ISSN

238

4-90

29

Page 2: OFFICINA* 02

DIRETTORE EDITORIALE

Emilio Antoniol

COMITATO EDITORIALE

Valentina Covre

Francesca Guidolin

Daria Petucco

REDAZIONE

Filippo Banchieri

Margherita Ferrari

Valentina Manfè

Michele Menegazzo

Chiara Trojetto

PROGETTO GRAFICO

Valentina Covre

Margherita Ferrari

Chiara Trojetto

OFFICINA*

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:

Matteo Basso, Barbara Berger, Luca Colomban, Stefano Di Vita, Fabio Favero, Arianna Garatti,

Michela Langella, Viviana Manfroi, Andrea Reggiani, Alice Tasca, Davide Tuberga

IMPAGINAZIONE GRAFICA

Valentina Covre

EDITORE

Self-published by

ArTec - Archivio delle Tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale

Università Iuav di Venezia

Dorsoduro 2196, 30123 Venezia

tel. +39 041257 1673

fax +39 041257 1678

info@offi cina-artec.com

Copyright © 2014 OFFICINA*

Bimestrale on-line di architettura e tecnologia

N.02 settembre-ottobre 2014

ISSN 2384-9029

Rivista consultabile e scaricabile gratuitamente su :

www.offi cina-artec.com/category/publications/offi cina-magazine

Page 3: OFFICINA* 02

Elefanti bianchi alle Olimpiadi

Il termine ‘elefante bianco’ (white elephant) viene sempre più

spesso associato a quegli edifi ci, opere o progetti caratteriz-

zati da un costo di realizzazione - o di gestione - sproposi-

tato rispetto alla funzione o al reale utilizzo che di essi se

ne possa fare. L’espressione deriva dalla tradizione indiano/

siamese secondo cui il sovrano donava ai membri della no-

biltà non più graditi alla corona un elefante bianco, animale

sacro, che doveva così essere mantenuto e trattato con ogni

riguardo a spese del malcapitato ricevente.

Proprio in architettura, e in particolare in occasione di

gradi eventi o manifestazioni, sono numerosi gli esempi

di ‘elefanti bianchi’ lasciati in eredità alle amministrazioni

ospitanti, trasformando così i profi tti previsti in una lunga

serie di spese di manutenzione o gestione di tali manufatti,

spesso inutili per la città.

Il secondo numero di OFFICINA* affronta questo parti-

colare aspetto dell’architettura contemporanea rileggendo

il tema del ‘grande evento’ da diverse angolazioni e ana-

lizzandone aspetti progettuali, urbanistici, costruttivi, di

marketing e di governo del territorio. Le rifl essioni che ne

conseguono offrono vari spunti di discussione sul ruolo e

sulla funzione delle ‘architetture da grande evento’ troppo

spesso strumentalizzate o piegate ad un fi ne puramente esi-

bizionistico.

A queste visioni si contrappongono invece le moltepli-

ci esperienze che, nelle varie rubriche del numero, fanno

emergere altre fi nalità e altri modi di fare arte e architettura.

Mar

gher

ita

Fer

rari

Page 4: OFFICINA* 02

2 OFFICINA*

INDICE ESPLORARE

Appuntamento in fi eradi Francesca Guidolin

Il lato creativo delle crisidi Chiara Trojetto

GRANDI EVENTI

Grandi eventi e questioni di governo urbanodi Matteo Basso

Bersaglio centratodi Margherita Ferrari

Il riposizionamento strategico delle città europee: dalla spettacolarizzazione dell’urbano alla smart city

di Stefano Di VitaLe cattedrali bianche di Atene

di Emilio Antoniol

PORTFOLIO

Un ponte tra Arte e Architetturadi Viviana Manfroi

IN PRODUZIONE

Reggiani Ceramicaa cura di Emilio Antoniol

VOGLIO FARE L’ARCHITETTO

Gasometro Mon Amourdi Barbara Berger

LCA in ediliziadi Fabio Favero

IMMERSIONE

Young Architects in Africadi Francesca Guidolintraduzioni di Arianna Garatti

4

6

38

30

44

56

N.02 set-ott 2014

in copertina: Pro Tempore

immagine di Ilaria Fracassi*

settembre 201402

ISSN

238

4-90

29

Page 5: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 3

DECLINAZIONI

Tassellodi Chiara Trojetto

MICROFONO ACCESO

Boubacar Seckdi Francesca Guidolin

CELLULOSA

L’uomo artigianoa cura di Chiara Trojetto

ARCHITETT’ALTRO

Sostenibilità nello scenario africano di Alice Tasca

(S)COMPOSIZIONE

“Cause he had to run, run, run, run, run” di Luca Colomban

72

75

70

64

62

* Laureanda in Disegno Industriale, Università Iuav di Venezia, e-mail: [email protected]

Page 6: OFFICINA* 02

4 OFFICINA*

Il lato creativo delle crisi

Il Triennale Design Museum è un mu-seo “mutante” che viene allestito con cadenza annuale all’interno del palazzo della Triennale di Milano. Giunto alla sua settima edizione, che si concluderà nel febbraio 2015, propone una colora-ta analisi sulle reazioni del mondo del design di fronte alle crisi. Il plurale è d’obbligo dato che il curatore Beppe Finessi ha scelto di privilegiare in parti-colare tre grandi periodi critici: gli anni Trenta, la crisi petrolifera degli anni Settanta e il presente, con la necessità di ripensare i modelli produttivi impo-sti dalla globalizzazione.Quasi allegramente ignorando l’on-da mediatica che in genere evidenzia esclusivamente i lati negativi dei pe-riodi neri, le menti dei protagonisti della mostra hanno colto il signifi cato letterale: crisi dal latino crisis, dal gre-co krìsis, ovvero “scelta”, “decisione” e

ESPLORARE

Si svolgerà dal 24 al 27 settembre a Ve-rona MARMOMACC, evento fi eristi-co internazionale del settore marmo. Suddiviso in varie sezioni (MarbleSto-ne & Design, Unprocessed Stone, Ma-chinery & Equipment, Tools & Che-micals) occuperà gli spazi del quartiere fi eristico a 2 km dal centro della città.La manifestazione ospiterà anche la premiazione per la tesi di laurea “Pa-esaggio, architettura e design litici”, giunta alla sua seconda edizione, oltre che la mostra della nuova opera litica di Renzo Piano a Malta, il premio Best Communicator Award, l’Exhibit de-sign per le potenzialità costruttive, de-corative e comunicative della pietra, e il Forum del marmo, una serie di confe-renze e Lectio Magistralis nell’ambito del settore. La città di Verona inoltre, che ospita l’evento, sarà allestita con installazioni

Appuntamento in fiera

Il design italiano oltre le crisi – Autarchia, Austerità, Autoprodu-zioneMilano, Triennale Design Museum4 aprile 2014 - 22 febbraio 2015

MARMOMACC Stone, Design, technology Inter-national trade fairVerona Fiere24-27 settembre 2014www.marmomacc.com

e sculture e impegnata in iniziative cul-turali. Oltre al design, all’architettura, alla produzione, viene messa in luce anche la formazione come settore prin-cipale allo sviluppo dell’innovazione e della creatività, con il progetto Didatti-ca-Formazione 2014.In contemporanea a MARMOMACC si svolgerà, sempre nella città scaligera, l’edizione 2014 di Abitare il Tempo, il salone dedicato al design d’interni e alle soluzioni d’arredo. All’interno dell’e-vento fi eristico la sezione Italy Contract presenta una serie di prodotti italiani nel campo dell’arredamento, dell’il-luminazione del tessuto d’arredi. La sezione espositiva At home, curata dal designer Giuseppe Vigano, raccoglie le collezioni Living, prodotta da Giovanni Barbieri, Night di Lavagnoli Marmi e Wellness di Marini Marmi

di Francesca Guidolin

Page 7: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 5

dunque momento che obbliga al movi-mento e all’innovazione.L’allestimento interessa oltre 600 opere con linguaggi, tipologie e dimensioni differenti: il visitatore incontra oggetti poco conosciuti di molti celebri maestri del passato fi no ad arrivare alle interes-santi sperimentazioni di designer gio-vani o emergenti.Il percorso espositivo si conclude con una sezione meno mutante e più per-manente dedicata alle icone del design italiano che attraversano indenni i de-cenni, le mode e le crisi costituendo degli illustri punti fermi che vegliano sulla nascita delle nuove idee.

di Chiara Trojetto

una colorata anali-si sulle reazioni del mondo del design di fronte alle crisi“ “

Page 8: OFFICINA* 02

6 OFFICINA*

lotte cruente, fi no alle grandi cattedrali medievali l’uomo ha sempre utilizzato l’architettura come scenografi a per le gran-di manifestazioni. Anche in epoca moderna l’architettura continua ad essere al servizio di esposizioni e fi ere interna-zionali, meeting politici o culturali ma soprattutto dei mega-eventi mediatici o sportivi quali le Olimpiadi o i campionati del mondo. Molti sono anche i grandi nomi dell’architettura che si sono cimentati nel progetto di piccole o gradi strutture destinate a tali occasioni trasformando la costruzione dell’o-pera in un atto di spettacolarizzazione dell’evento.

Da sempre l’architettura fa da palcosceni-co a grandi eventi e cerimonie civili o religiose. Dagli archi di trionfo romani, simbolo delle vittorie militari, dai teatri alle arene, sedi di magnifi ci spettacoli e

Celeberrimi sono gli esempi del Crystal Palace di Paxton, realizzato a Londra per l’Esposizione Universale del 1851, o della Torre Eiffel costruita per l’Esposizione Universale del 1889. Il primo, divenuto fi n da subito il vero - e forse il solo - protagonista dell’esibizione londinese, è stato un enorme edifi cio in ferro e vetro, oggi non più esistente, la cui costru-zione segna però l’inizio di una nuova epoca architettonica. La Torre Eiffel, progettata invece per essere demolita dopo vent’anni dalla costruzione, è tuttora il simbolo della città, nonostante gli alti costi di manutenzione e gestione. L’architettura del grande evento è diventata nei secoli sem-pre più opera “da esibizione”, a dimostrazione della potenza economica e dell’abilità organizzativa del paese ospitante. Ed è così che le città, grandi e piccole, fanno a gara per pren-dere parte a questa globale spettacolarizzazione dell’arte,

Page 9: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 7

della cultura e dello sport. Ma più l’evento cresce di rilevan-za più si estende il campo d’azione delle trasformazioni che esso impone. Non è più solo l’architettura a doversi piegare al suo servizio ma è l’intera città a dover affrontare rapide e talvolta indesiderate mutazioni. Si progettano nuovi siste-mi di trasporto e nuovi collegamenti, si costruiscono nuovi quartieri e se ne abbandonano altri, si creano nuove centra-lità e nuove periferie andando ad alterare funzioni, gerarchie e i rapporti sociali all’interno delle zone coinvolte; ma so-prattutto, l’evento diventa occasione di grandi investimenti grazie ai quali la rigenerazione urbana e il marketing coinvol-gono l’immagine stessa della città che può essere così esaltata dal successo o sminuita dall’insuccesso della manifestazione. L’evento diventa quindi un mezzo sempre più mediatico e di comunicazione; ma esso è anche strumento strategico per

il rilancio della città o della nazione e strumento politico di governo del territorio. Tuttavia, proprio nella consapevolez-za della sua temporale limitatezza, l’evento porta in sé anche un latente ma quanto mai tangibile rischio d’insuccesso, che trova nel lungo periodo la sua concretizzazione: errate piani-fi cazioni, mancati sviluppi o progetti troppo ambiziosi por-tano talvolta al naufragio dei programmi iniziali con la rea-lizzazione di interventi spesso ingombranti, troppo costosi e poco funzionali, veri e propri “elefanti bianchi” lasciati in eredità alle generazioni future. I quattro contributi che seguono, sono frutto di un approc-cio multidisciplinare all’analisi del grande evento, dove si affi ancano questioni di gorvenance a temi progettuali e tecno-logici, successi ad insuccessi, mancate occasioni a possibili strategie per lo sviluppo futuro.

OLIMPIADI, MONDIALI, ESPOSIZIONI UNIVERSALI, FIERE, MOSTRE, CONCERTI, ...

Chi

ara

Troj

etto

Page 10: OFFICINA* 02

6 OFFICINA*

Grandi eventi e questioni di governo urbano

di Matteo Basso*

Universali sono associati a grandi trasformazioni territoriali. Inevitabilmente, infatti, ad una città intenzionata a ospitare un grande evento è richiesta di realizzare e/o modernizzare impianti sportivi e spazi espositivi, così come di potenziare e costruire infrastrutture di trasporto fi nalizzate ad accogliere e “smistare” gli intensi fl ussi di visitatori in entrata. In ag-giunta, tali manifestazioni si accompagnano alla costruzione di particolari manufatti architettonici che diventano “sim-bolo” dell’edizione stessa. Si tratta di interventi particolar-mente impattanti, quasi sempre intenzionalmente localizzati in aree considerate degradate, su cui si riversano anche dina-miche di gentrifi cation e polarizzazione sociale.Tali eventi hanno storicamente prodotto trasformazioni fi si-che nelle città in cui sono stati organizzati. Si pensi al Crystal Palace realizzato in Hyde Park a Londra per la prima Esposi-zione Universale (1851), o alla Tour Eiffel eretta in occasione dell’Esposizione parigina del 1889. Tuttavia, è a partire dagli anni Sessanta del XX secolo che grandi eventi come le Olim-piadi iniziano a essere concepiti quali veri e propri strumenti di politica urbana (Essex e Chalkley, 1998; Chalkley e Es-sex, 1999). Roma 1960 e Tokyo 1964 ben evidenziano infatti come l’organizzazione dell’evento sia stata concepita quale occasione di modernizzazione di pezzi rilevanti del proprio tessuto urbano. Negli anni Ottanta – e ancor più negli anni Novanta – ha luogo, dapprima nei Paesi occidentali e quindi nei cosiddetti Paesi “emergenti” come Cina, Sud Africa e Brasile, una vera e propria “corsa” al grande evento, confermata dal crescente numero di candidature presentate a ogni nuova edizione dei Giochi Olimpici o delle Expo. I grandi eventi sono dunque

contenuto, dimensione, investimenti mobilitati, complessità organizzativa, target e copertura mediatica, ricorrenza tem-porale. A livello accademico, pertanto, è pressoché ricono-sciuta l’inutilità di apparati concettuali e classifi catori rigidi, esistendo sempre possibili sovrapposizioni e lacune (Getz, 2005; Guala, 2007; Capantini, 2010).A puro titolo esemplifi cativo, possono considerarsi tali gran-di manifestazioni sportive come le Olimpiadi, i Mondiali di calcio, le competizioni di atletica, di nuoto e di Formula 1, ma anche gli eventi fi eristici e i meeting politici (G8) e religiosi (giornate mondiali della gioventù e viaggi pastorali dei pon-tefi ci). Sono spesso ricomprese nel novero dei grandi eventi anche una serie di manifestazioni meno spettacolari e visibi-li, come i concerti, gli spettacoli, i festival, le mostre d’arte e del libro, le capitali europee della cultura.L’aggettivo «grande», che la letteratura anglosassone restitu-isce indistintamente come «mega», «big», «hallmark» e «special», è però solitamente associato alle Olimpiadi, ai Mondiali di calcio e alle Esposizioni Universali, i tre grandi eventi per eccellenza1. In primis, per il signifi cato e la riconoscibilità in-ternazionale di tali fenomeni, quindi per la complessità or-ganizzativa, l’impatto territoriale e gli ingenti investimenti pubblici mobilitati ai fi ni della loro organizzazione.Al di là delle questioni di nominazione, anche nell’immagi-nario comune Olimpiadi, Mondiali di calcio ed Esposizioni

randi operazioni di trasformazi-one urbana

Il termine «grande evento» allude a una molteplicità di situazioni diverse per G

Page 11: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 7

al di là delle questio-ni di nominazione, anche nell’immagi-nario comune Olim-piadi, Mondiali di calcio ed Esposizioni Universali sono asso-ciati a grandi trasfor-mazioni territoriali

“ “

01

02

Page 12: OFFICINA* 02

8 OFFICINA*

visti come uno degli strumenti chiave attraverso i quali le cit-tà si propongono di affrontare le sfi de della globalizzazione economica, della de-industrializzazione e della terziarizza-zione della propria base economica. In particolare, l’organiz-zazione di grandi manifestazioni internazionali è perseguita dalle città al fi ne di promuovere e far circolare una rinno-vata immagine, identità, ruolo e posizione nello scacchiere internazionale, ma anche per attrarre nuove popolazioni, attività economiche, investimenti e turisti. Per i Paesi emer-genti, il grande evento è poi concepito quale occasione di legittimazione politica e consacrazione economica a livello internazionale, come confermato dalle celebri edizioni cinesi dei Giochi Olimpici (Pechino 2008) e delle Esposizioni Uni-versali (Shanghai 2010).Da un punto di vista squisitamente urbanistico, poi, la loro localizzazione è pensata in modo tale da favorire il recupe-ro funzionale e la riqualifi cazione ambientale di vaste aree dismesse e vuoti urbani, inserendosi in tal modo nei pro-cessi di costruzione della città post-industriale, unitamente a grandi progetti urbanistici e a nuove politiche urbane2. In defi nitiva, anche attraverso le trasformazioni spaziali traina-te dai grandi eventi, le città si attrezzano per offrire nuove funzioni pregiate (commerciali, direzionali e legate al tempo libero), così come un nuovo paesaggio urbano di qualità che agisca quale volano di sviluppo economico.

Configurazioni istituzionali e di processo

Oltre alle soluzioni progettuali e alle implicazioni spaziali connesse all’organizzazione di un grande evento, è però par-

ticolarmente interessante soffermarsi sui meccanismi di go-verno defi niti dalle città ai fi ni di una loro gestione effi cace. I processi organizzativi di un grande evento si caratterizzano infatti per una serie di elementi che, nel loro insieme, confi -gurano l’ideazione e la gestione di tali manifestazioni come delle attività particolarmente complesse. In primis, per le scadenze temporali assolutamente impro-rogabili che intercorrono tra il momento dell’aggiudicazione e quello dell’inaugurazione delle manifestazioni (sette anni nel caso delle Olimpiadi e delle Esposizioni), quindi per i condizionamenti dettati da regolamentazioni e organismi di controllo internazionali (il Comitato Olimpico Internazio-nale nel caso delle Olimpiadi, il Bureau International des Ex-positions nel caso delle Esposizioni). Infi ne, per la massiccia introduzione di agenzie e società specifi catamente dedicate all’evento, il cui operato interferisce con il tradizionale ri-parto di funzioni, poteri e competenze amministrative già di per sé frammentato nella città contemporanea (Barella, 2002; Capantini, 2010).Tali elementi si ritrovano, con intensità diverse, in due esem-pi particolarmente signifi cativi: Londra (Olimpiadi del 2012) e Milano (Expo 2015). Quali sono dunque le confi gurazioni istituzionali e le solu-zioni di governo adottate dalle due città per la gestione di tali eventi?

Londra 2012: la centralità del governo metropolitanoIl Parco Olimpico londinese è situato in un’area, a circa 15 km dal centro città, tradizionalmente conosciuta come Lower Lea Valley (East London), un contesto particolarmente depri-

03

Page 13: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 9

di elaborazione del piano urbanistico per le aree olimpiche, sottraendo in tal modo i poteri alle quattro municipalità in-teressate dalla localizzazione del Parco.In tale prospettiva dunque, il complessivo processo orga-nizzativo delle Olimpiadi londinesi si è tradotto, al di là delle conseguenze spaziali e socio-economiche, in un cam-biamento della geografi a dei poteri istituzionali della città (Newman, 2007). Si assiste infatti a un rafforzamento, per l’area olimpica e il suo immediato intorno, dei poteri del Sin-daco metropolitano, a discapito delle singole municipalità coinvolte.

Milano: un modello «para-emergenziale» di gestione dell’e-ventoIn Italia, il modello sino a oggi preponderante nella gestione dei grandi eventi concepisce tali fenomeni, seppur intenzio-nali e programmati, alla stregua delle grandi calamità e del-le catastrofi naturali. In tale prospettiva, dunque, ai grandi eventi è associato un modello di gestione «para-emergenzia-le», fondato sul ricorso alle fi gure dei commissari straordi-nari di governo e sulla deroga a pezzi rilevanti di normativa ordinaria, in particolare con riferimento alla disciplina degli appalti pubblici, alle questioni urbanistiche e di tutela pae-saggistico-ambientale e al funzionamento dei procedimenti amministrativi (Capantini, 2010). Il caso di Milano – il cui sito per l’Esposizione Universale del 2015 è localizzato nell’area di Rho-Pero a circa 10 km a Nord-Ovest del centro – ricalca a pieno titolo tale modello organizzativo. Accanto infatti alla società appositamente co-stituita per la realizzazione del sito espositivo e l’organizza-

vato, in cui, prima dei Giochi, erano ben visibili i “segni” dei processi di de-industrializzazione in corso dagli anni ’80 del XX secolo.In tale prospettiva, le Olimpiadi del 2012 sono state conce-pite quale strumento di attuazione di una specifi ca strategia di rigenerazione fi sica e socio-economica dell’Est della città, avviata con il recupero dei Docklands promosso dal governo Thatcher e successivamente concretizzatasi nel London Plan del 2004 del nuovo Sindaco laburista Ken Livingstone.Dal punto di vista gestionale, Londra ha “complessifi cato” le soluzioni organizzative richieste dal Comitato Olimpico Internazionale, affi dando l’intero processo di pianifi cazione delle Olimpiadi a tre diverse agenzie. L’organizzazione dell’evento e le questioni di gestione logi-stica sono state affi date alla London Organising Committee of the Olympic Games (una società privata), mentre la costruzione di infrastrutture e impianti è stata gestita dalla Olympic Delivery Authority (una società pubblica).L’elemento di gran lunga più interessante dell’esperienza lon-dinese è però l’introduzione, a partire dall’aprile del 2012, della London Legacy Development Corporation (LLDC), un’agen-zia destinata al trattamento della questione dell’eredità del grande evento. Quest’ultima ha sostituito una precedente agenzia attiva dal 2009 al 2012 (Olympic Park Legacy Company), nata per avviare concretamente, tre anni prima dell’evento stesso, il discorso attorno al recupero dell’area olimpica. La LLDC costituisce il primo esempio, nel Regno Unito, di “Mayoral Development Corporation”, una società ad hoc di trasformazione urbana direttamente controllata dal Sinda-co metropolitano Boris Johnson. Ad essa spettano compiti

04

Page 14: OFFICINA* 02

10 OFFICINA*

il discorso sul riutilizzo dell’area a partire dalla fi ne della manifestazione.

Senza entrare ulteriormente nel merito delle diverse soluzio-ni organizzative adottate a Londra e a Milano, che peraltro sono riconducibili a specifi che tradizioni e culture ammi-nistrative, si possono evidenziare alcune tendenze comuni.In entrambi i casi, infatti, è evidente come la complessità di gestione di tali processi sia affrontata con l’introduzione di una molteplicità di organismi, ciascuno con compiti specifi -ci. Tale scelta ha prodotto un “cambiamento” temporaneo nella geografi a dei poteri, delle funzioni e delle competenze amministrative tra gli attori ordinari delle trasformazioni urbane, con un progressivo accentramento delle attività di gestione: nelle agenzie, come visto a Londra, nelle fi gure commissariali, come visto a Milano.Se tale cambiamento sia solo momentaneo o se, al contrario, esso produca apprendimenti e mutamenti più stabili nelle confi gurazioni istituzionali di governo urbano è diffi cile a dirsi al momento. A tal fi ne, sarà necessario monitorare, nel prossimo futuro, l’evoluzione dei ruoli della Legacy Corpora-tion nel caso inglese, e di Arexpo nel caso milanese.

* Matteo Basso, Dottorando di ricerca in pianifi cazione territoriale e politiche pubbliche del territorio, Università Iuav di Venezia. e-mail: [email protected]

zione dell’evento (Expo 2015) e per l’acquisizione delle aree e la gestione delle trasformazioni post-evento (Arexpo), diver-si sono gli organismi commissariali introdotti nel tempo. Tra questi, il commissario straordinario (i due Sindaci di Milano Letizia Moratti e Giuliano Pisapia), il commissario generale (una fi gura prevista dalla Convenzione di Parigi del 1928 per la regolazione delle Esposizioni, a Milano individuata in Ro-berto Formigoni), il commissario generale di sezione per la costruzione del padiglione italiano (Diana Bracco) e, infi ne, il commissario unico Giuseppe Sala (già amministratore de-legato della società Expo 2015). Si ha dunque una tendenza, ben evidente nella fase iniziale del processo, a una “costru-zione” intenzionale dell’emergenza, con il ricorso a una serie di fi gure e poteri straordinari assolutamente non proporzio-nali alle effettive esigenze del caso (Roccella, 2010).In sintesi, una proliferazione di soggetti, poteri e competen-ze che, ben lungi dal “semplifi care” il complessivo processo organizzativo, ha fi nito per appesantirlo irrimediabilmente. Una sorta di “paradosso” della gestione para-emergenziale che, unitamente alle numerose dispute politiche nei primi tre anni della vicenda e allo scandalo legato alle «tangenti» dell’ultimo anno, ha generato i pesanti ritardi di oggi. Con riferimento poi alle strategie di trasformazione urbana, la vicenda milanese mette bene in evidenza la mancanza di una vera e propria politica di sviluppo dell’area di Rho-Pero, la quale, al contrario, è esemplifi cativa di un approccio in-crementale e fondato su occasioni ad hoc di costruzione del-la città contemporanea. Ciò trova conferma sia nell’assenza di un disegno di assetto territoriale iniziale in cui il grande evento è inserito, sia nella diffi coltà con cui è stato avviato

i processi organizzativi di un grande evento si caratterizzano per una serie di elementi che, nel loro insieme, configurano l’idea-zione e la gestione di tali manife-stazioni come delle attività parti-colarmente complesse

“ “

05

Page 15: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 11

06

PER APPROFONDIRE- Barella D. (2002). “I Giochi Olimpici nella prospettiva politologica”, in Bobbio L. e Guala C. (a cura di). Olimpiadi e grandi eventi. Verso Torino 2006. Come una città può vincere o perdere le Olimpiadi, Roma: Carocci, pp. 95-107.- Burns J.P.A. e Mules T.J. (1986). “A framework for the analysis of major special events”, in Burns J.P.A., Hatch J.H. e Mules T.J. (a cura di). The Adelaide Grand Prix: the impact of a special event, Adelaide: The Centre for South Australian Economic Studies, pp. 5-38. - Capantini M. (2010). I grandi eventi. Esperienze nazionali e sistemi ultrastatali, Napoli: Editoriale Scientifica.- Chalkley B. e Essex S. (1999). “Urban development through hosting international events: a history of the Olym-pic Games”, in Planning Perspectives, 14(4), pp. 369-394.- Essex S. e Chalkley B. (1998). “Olympic Games: catalyst of urban change”, in Leisure Studies, 17(3), pp. 187-206.- Getz D. (2005). Event Management & Event Tourism, 2nd Edition, New York: Cognizant Communication Corporation.- Guala C. (2007). Mega Eventi. Modelli e storie di rigener-azione urbana, Roma: Carocci. - Hall C.M. (1992). Hallmark Tourist Events: Impact, Man-agement and Planning, London: Belhaven.- Newman P. (2007). “Back the bid: The 2012 Summer Olympics and the Governance of London”, in Journal of Ur-ban Affairs, 29(3), pp. 255-267.- Ritchie J.R.B. (1984). “Assessing the impact of hallmark events: conceptual and research issues”, in Journal of Travel Research, 23(1), pp. 2-11.- Roccella A. (2010). “Milano in stato di eccezione”, in Gius-tamm.it, 7(2), pp. 1-12.- Roche M. (2000). Mega Events and Modernity. Olympics and Expos in the growth of global culture, London: Rout-ledge.

NOTE

1 - Il nucleo originario della ricerca scientifica sui grandi eventi appartiene al ramo delle scienze economiche e sociali, in parti-colare dell’economia e della sociologia del turismo. I contributi ancor oggi più significativi sono quelli che ne hanno proposto una qualche definizione e classificazione: hallmark events (Ritchie, 1984; Hall, 1992); special events (Burns e Mules, 1986), mega events (Roche, 2000). 2 - Con approcci che propongono un “distanziamento” dai modelli tradizionali di regolazione dello sviluppo urbano, fondati sull’uso pervasivo del Piano Regolatore Generale. Tali modelli, consid-erati oramai incapaci di “trattare” con efficacia le questioni ur-bane emergenti, sono stati sottoposti a pesanti critiche a partire dagli anni Sessanta del XX secolo.

IMMAGINI

01 - Londra, lo Stadio Olimpico e l’ArcelorMittal Orbit. Foto dell’autore, 19 marzo 2013.02 - Il Parco Olimpico londinese nel contesto della Grande Lon-dra.03 - Quartieri ai margini del Parco Olimpico londinese.04 - Quartieri e località ai margini del sito Expo di Milano.05 - Il sito espositivo di Expo nel contesto della Provincia di Milano.06 - Milano, interventi ai margini del sito espositivo. Cascina Mer-lata. Foto dell’autore, 18 luglio 2014.

Page 16: OFFICINA* 02

12 OFFICINA*

Bersagliocentrato

Le Olimpiadi e Paraolimpiadi di Londra 2012, il caso della Shooting Arena

di Margherita Ferrari*

si vuole prima di tutto descrivere il lavoro che è stato fatto in occasione dei giochi olimpici e le imprese che hanno parteci-pato alla loro realizzazione: si riporta, a un anno di distanza, lo stato delle opere, quelle che tuttora esistono e quelle che invece sono state smontate, i quartieri riqualifi cati e le nuove aree urbane. Questo monitoraggio rappresenta non solo l’e-sistenza di un’effettiva eredità, ma anche il suo potenziale successo.La pianifi cazione delle Olimpiadi si è basata sull’applicazio-ne del concetto di sostenibilità a differenti scale, dal bullone al quartiere: i giochi olimpici di Londra sono stati progetta-ti come opportunità di riqualifi cazione dei quartieri e delle infrastrutture, e di miglioramento dei sistemi di comunica-zione. Una pianifi cazione che va ben oltre l’evento sportivo in sé.

possono già trarre le prime considerazioni in merito sebbene le notizie sui bilanci siano offuscate1.Siamo purtroppo spesso abituati ad associare i grandi eventi, anche relativamente grandi e non necessariamente internazio-nali, a una mala organizzazione che produce ricadute nega-tive sui bilanci economici e sociali del paese ospitante. Si vedano i recenti Mondiali di Calcio in Brasile e i XXII Gio-chi Olimpici Invernali a Sochi in Russia, da cui non è ancora passato un anno, ma i giornali parlano già di infrastrutture ed edifi ci abbandonati2.

Sarebbe meglio ricordare invece i buoni esempi, come ap-punto quelli protagonisti delle Olimpiadi e Paraolimpiadi di Londra 2012, svoltesi tra il 27 luglio e il 12 agosto del medesimo anno. Non sono ancora chiari i bilanci economici e le effettive ricadute sull’economia della Gran Bretagna, le variabili coinvolte sono molte e le considerazioni che si pos-sono trarre sono le più differenti.Ciò nonostante, su altri aspetti si possono fare osservazioni ben più chiare che non riguardano la gestione dei fi nanzia-menti bensì l’eredità architettonica di questi Giochi. A darne un segnale positivo è prima di tutto il progetto “We Made 2012”3, creato dall’associazione “The Building Centre” di Lon-dra, che si occupa di ricerca e promozione sulla qualità del costruito nella realtà britannica. Attraverso “We Made 2012”

e Olimpiadi e Paraolimpiadi di Lon-dra 2012 rappresentano oggigiorno un esempio di grande evento sportivo: no-nostante occorrano ancora degli anni per poter valutare la loro eredità, si

la Shooting Arena costituisce un valido esempio di struttura temporanea, funzio-nale sia nella propria fase d’uso che nella propria dismissione

“ “L

Page 17: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 13

01

I principali enti impegnati in questa pianifi cazione sono sta-ti il Government Olympic Executive (GOE) e la Olympic Delivery Authority (ODA), responsabile della costruzione delle sedi e delle infrastrutture, le cui direttive si basano su tre concet-ti: Reduce, Re-use, Recycle. La strategia vincente è stata quella di aver sfruttato le strutture già esistenti (come la Wembley Arena, utilizzata per la precedente edizione dei giochi nel 1948), e di aver saputo distinguere tra le nuove realizzazio-ni l’impiego di una struttura temporanea piuttosto che una permanente. A tal proposito l’edizione londinese rappresen-ta l’evento olimpionico con più strutture temporanee della storia, ovvero circa la metà delle nuove opere realizzate.Questa particolarità, accompagnata anche da un’accurata progettazione, ha permesso di installare opere in aree della città in cui non sarebbe stato possibile intervenire con edifi ci permanenti.Il Parco Olimpico è stato realizzato nell’East End londinese, nella periferia industriale del quartiere di Stratford, mentre la maggior parte delle altre strutture sono state insediate lungo il fi ume Tamigi e in zone centrali della città (come l’Horse Guards Parade che ha ospitato il beach volleyball, una delle arene più apprezzate nelle ultime edizioni olimpioni-

che, progettata e installata con la supervisione di due italiani, Roberto Reggiani e Massimo Scarciglia). Attualmente il Queen Elizabeth Olympic Park4 rappresenta un progetto urbanistico di riqualifi cazione dell’East End, dove strutture come la Basketball Arena sono state smontate, men-tre edifi ci permanenti sono stati destinati ad altre funzio-ni, come l’International Broadcast Centre divenuto sede di BT Sport, un gruppo di canali televisivi sportivi.

L’ODA ha dato precise direttive in merito alla realizzazione delle strutture temporanee, ovvero che almeno il 90% dei materiali impiegati si sarebbe dovuto riutilizzare o riciclare: valutazioni come BREEAM e CEQUAL, che non erano applicabili a questa tipologia di edifi ci, sono state sostituite dall’importanza di ridurre i rifi uti5.Come per le strutture permanenti, anche in questo caso i progettisti hanno dovuto rispettare le predisposizioni del Comitato Olimpico per lo svolgimento dei giochi e dei me-dia per le riprese televisive, sempre con l’obiettivo di garan-tire il comfort all’interno dei padiglioni. Tra le strutture temporanee si ricorda la Olympic and Pa-ralympic Shooting Arena, realizzata dallo studio berlinese

Page 18: OFFICINA* 02

14 OFFICINA*

MagmaArchitecture e vincitrice anche del premio AIA UK 2013 Excellence in Design Award: la struttura è stata progettata secondo le direttive e le disposizioni della International Shoo-ting Sport Federation e della sicurezza. Il campus si estende per 14.000 mq ed è stato installato presso la caserma della storica Royal Artillery. È costituito da tre padiglioni: quello per le fi nali totalmente chiuso con 2600 posti a sedere, mentre i due per le qualifi cazioni parzialmente coperti con comples-sivamente 3800 posti a sedere.Una delle prime soluzioni progettuali al fi ne di limitare l’im-piego di materiale è stato quello di ridurre il numero dei pa-diglioni per le qualifi cazioni da tre a due: uno per la distanza di 25 m mentre l’altro per quelle dei 10 m e 50 m. Questa soluzione è stata ottenuta grazie all’installazione di una pa-rete mobile che ha permesso di risparmiare anche in termini di tempo e costi.

Ciascuno dei tre edifi ci è costituito da un campo di gara e dagli spalti per gli spettatori, intesi quasi come due corpi se-parati. Tale distacco è stato necessario al fi ne di garantire una buona insonorizzazione e rispettare le norme di sicu-rezza previste, obiettivi raggiunti grazie anche all’impiego di pannelli in compensato per rivestire i campi di gara.La struttura è stata realizzata con un telaio in acciaio costi-tuito per oltre l’80% da elementi standardizzati forniti dalla ES Global: sono stati successivamente creati elementi su mi-sura al fi ne di collegare le travature senza l’impiego di ulte-

riori colonne che avrebbero potuto creare disturbo visivo agli spettatori. Il telaio, tramite piastre in acciaio, scarica sui pilastri di fondazione completamente a secco, costituiti da vecchi tubi del gas riciclati e assemblati. Gli edifi ci sono stati rivestiti con una membrana in PVC bianca, scelta per le sue proprietà di resistenza a trazione e di trasparenza: permette infatti di illuminare in modo uni-forme gli ambienti interni. Solamente l’impianto più ampio è stato rivestito da più strati al fi ne di non creare disturbi luminosi per le riprese televisive.Al fi ne di ottimizzare l’isolamento termico interno è stata predisposta una doppia membrana in PVC con intercape-dine di 2 m attraverso la quale è stato possibile ventilare naturalmente gli edifi ci minimizzando l’uso di energia per il mantenimento del comfort interno. La ventilazione è sta-ta resa possibile anche grazie ai fori sulla superfi cie, per i quali è stato necessario realizzare specifi ci anelli in acciaio. Questa scelta progettuale ha riportato inoltre altrettanti van-taggi, come descritto in un report dello studio MagmaAr-chitecture: gli anelli infatti hanno permesso di mantenere la membrana in doppia curvatura, ottimizzandone l’utilizzo. Tale geometria ha potuto garantire lo scorrimento dell’ac-qua piovana sulla superfi cie e il suo completo irrigidimento: nel report viene dimostrato che le forme degli anelli hanno contribuito a distribuire in modo equo le forze su tutta la superfi cie della membrana, a differenza dell’ipotesi in cui non fossero utilizzati. In tal caso sarebbe stato necessario

02

Page 19: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 15

la pianificazione delle Olimpiadi si è basata sull’applicazione del concetto di sostenibi-lità a differenti scale, dal bullone al quar-tiere

“ “impiegare il 40% di acciaio in più per garantire le medesime prestazioni6.Oltre ad avere precise funzioni tecniche questi elementi an-che attraverso l’utilizzo del colore, vogliono richiamare l’im-magine dei fori generati dai proiettili e quindi enfatizzare un effetto che nella realtà è quasi impercettibile all’occhio umano.Attraverso un’accurata progettazione delle strutture e la scelta dei materiali, MagmaArchitecture ha rispettato le di-sposizioni dei differenti enti e non ha lasciato alcuna traccia fi sica, anzi gli elementi sono stati scelti sulla base del proprio impiego successivo, alcuni riutilizzati, altri destinati al rici-claggio.Le strutture del telaio ad esempio sono state restituite alla ES Global, e a loro volta saranno (e sono) impiegate in altri eventi temporanei. La membrana in PVC, priva di ftalati, è completamente riciclabile e al termine dell’evento è stata recuperata dal produttore Serge Ferrari responsabile anche del suo riciclaggio.Altre parti invece sono state recuperate per nuovi eventi. Gli edifi ci per le qualifi cazioni ad esempio sono stati suddivisi: le membrane di chiusura degli spalti sono state vendute, men-tre i materiali per l’insonorizzazione dei campi, cioè le pareti in compensato, i defl ettori e le tettoie, sono stati riutilizzati per le gare di tiro a segno dei Giochi del Commonwealth tenutisi lo scorso agosto. Gli edifi ci sono stati inoltre ricon-fi gurati per un centro equestre a Surrey e uno per il tempo libero in Cornovaglia.

IMMAGINI

01 - Vista esterna di due padiglioni della Shooting Arena realiz-zate in occasione delle Olimpiadi e Paraolimpiadi di Londra 2012; Hufton+Crow.02 - Montaggio della membrana in PVC di copertura; ESG03 - Due degli anelli della facciata esterna: il foro di destra è completato, mentre quello di sinistra è privo del rivestimento; Dave Tully.04 - Schema riassuntivo delle principali componenti di un padi-glione; immagini e disegni forniti dallo studio Magma Architec-ture.05 - Vista interna di uno degli padiglioni; Magma Architecture.

03

Page 20: OFFICINA* 02

16 OFFICINA*

04

La membrana in PVC, priva di ftalati, è

completamente riciclabile. E’ stata recuperata dal produttore

Serge Ferrari.

Le membrane dei padiglioni per le qualifi cazioni sono

state vendute.

il riv

estimento esterno

Le strutture del tealio sono state restituite al

fornitore, ES Global, e re-impiegate per altri eventi

temporanei.

la s

truttu

ra portante

Progettati separata-mente per soddisfare

differenti requisiti: il com-fort interno, la sicurezza,

l’insonorizzazione.

gli interni

CAM

PO DI GARA

AREA SPETTATORI

Il campus della Shooting Arena è costituito da tre

padiglioni, la cui struttura rispecchia la suddivisione

interna: gli spalti per gli spet-tatori e il campo di gara.

SHOOTING ARENA CAMPUS

Le pareti in compensato, i defl ettori e le tettoie sono stati riutilizzati

per i Giochi delCommonwealth dello

scorso agosto.

Il campo di gara.

La membrana interna permette di creare un sistema di ventilazione naturale che mantiene un buon comfort termico all’interno del padiglione.

Gli spalti e le sedutesono state fornite daLOCOG, a cui sono statesuccessivamente resti-tuite.

La membrana esterna degli spalti è ritmata dai fori colorati cherichiamano l’effetto dei proiettili

Il telaio è costituitoprincipalmente daelementi standardizzati.

Il rivestimento per la copertura del

campo da gara è stato impiegato solo per il

padiglione delle fi nali.

Solamente il campo di gara del padiglione

per la fi nale prevedeva la copertura, e quindi

la relativa struttura portante.

Page 21: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 17

La Shooting Arena costituisce un valido esempio di strut-tura temporanea, funzionale sia nella propria fase d’uso che nella propria dismissione, appunto riciclabile e reimpiegabile.La scelta da parte del Comitato Olimpico di investire anche in strutture temporanee è riuscita grazie a un accurato con-trollo lungo tutto il loro ciclo di vita. Probabilmente la deci-sione più importante è stata quella di riconoscere le oppor-tunità delle strutture permanenti e temporanee, e valutarle per ogni singolo caso ottimizzando ciò che la città poteva già offrire. Infatti se un edifi cio ha una durata di utilizzo differente da quella progettata può comportare spese impre-viste, dovute alla manutenzione prolungata di una struttura che doveva essere utilizzata solo temporaneamente o al com-pleto abbandono di un’opera duratura. Scelte che ricadono anche sulla stessa qualità dei materiali, e quindi sul loro fi ne vita. È da qui che deriva l’eredità architettonica del paese.L’impiego di strutture temporanee non è necessariamente la risposta ideale per eventi temporanei, ma costituisce una valida opportunità, così come le stesse strutture permanenti.La connotazione sostenibile associata ai Giochi Olimpici e Paraolimpici di Londra 2012 deriva proprio da questa strate-gia progettuale, grazie alla quale i temuti “elefanti bianchi” non sembrano aver lasciato neppure le proprie orme.Tuttavia solo tra qualche anno sarà possibile valutare l’ere-dità architettonica e il proprio potenziale, ma nel frattempo possiamo probabilmente inserire nel medagliere questa edi-zione olimpionica.

NOTE

1 - Enrico Franceschini, “L’eredità delle Olimpiadi 2012 un anno dopo. Gran Bretagna divisa sul bilancio dei Giochi”, in www.re-pubblica.it, 26 luglio 2013.2 - “Benvenuti nella città fantasma: Sochi dopo le Olimpiadi”, in LaRepubblica.it, foto di Alexander Valov #IBERPRESS.3 - www.wemade2012.co.uk/index.asp4 - queenelizabetholympicpark.co.uk5 - Lena Kleinheinz, Buill for the Moment: Designing for a Fast-paced World, in The Economy Of Sustainable Construction, Ilka&Andreas Ruby, Ruby Press, Berlin, 2014, pp. 310-325.6 - Lena Kleinheinz, “Buill for the Moment: Designing for a Fast-paced World”, in The Economy Of Sustainable Construction, Ilka&Andreas Ruby, Ruby Press, Berlin, 2014, pp. 310-325.

Materiale fornito dall’arch.Lena Kleinheinz di Magma Architecture

05

PER APPROFONDIRE

- Joseph di Pasquale, “ London Shooting Venue, Temporary Landmark”, Arca International 111, marzo 2013, pp. 12-21 “Poros textiles”, Arquitectura viva 143, 2012, pp. 56-59.- Martin Ostermann et al., “Plastic Make Perfect”, Mark: Another Architecture 40, ottobre 2012, pp. 124-133.-w w w.detail-online.com/architecture/news/london-2012-olympic-shooting-venues-019370.html www.architetti.com/articolo/15513/Olimpiadi-2012-Mag-ma-Architecture-centra-il-bersaglio-con-la-Shooting-Arena.- Lena Kleinheinz, “Buill for the Moment: Designing for a Fast-paced World”, in The Economy Of Sustainable Con-struction, Ilka&Andreas Ruby, Ruby Press, Berlin, 2014, pp. 310-325.

* Margherita Ferrari, Assegnista di Ricerca, Università Iuav di Venezia.e-mail: [email protected]

Page 22: OFFICINA* 02

18 OFFICINA*

Il riposizionamento strategico delle città europee: dalla spettacolarizzazione dell’urbano alla smart city

L’esperienza di Milano

di Stefano Di Vita*

zione la città di Milano, il presente contributo mira a eviden-ziare alcuni recenti cambiamenti nelle strategie di riposizio-namento delle città europee su scala globale, che sembrano corrispondere ad una presunta incipiente metamorfosi dell’e-conomia e della società dei servizi, affermatasi negli scorsi decenni, verso nuove forme di organizzazione economica e sociale, caratterizzate da una crescente diffusione di attività manifatturiere innovative: benché ancora deboli e dalle pro-spettive incerte, questi accenni di una possibile inversione di tendenza assumono particolare rilevanza in contrapposi-zione alla contrazione in corso dell’economia e della società dei consumi. Alcuni segnali di questo cambiamento possono essere altresì riconosciuti nelle attuali politiche urbane che, ai grandi progetti di trasformazione spaziale della preceden-te fase di de-industrializzazione (spesso caratterizzati da un signifi cativo impatto mediatico e da un approccio fortemen-te orientato allo sviluppo del mercato immobiliare), stanno affi ancando inedite strategie di innovazione economica e sociale.In questo senso, nel contesto italiano l’esperienza milanese sembra essere particolarmente rappresentativa. Da un lato, a fronte delle numerose criticità espresse dalle grandi trasfor-mazioni urbane attivate negli ultimi anni, si stanno diffon-dendo proposte ed esperienze dal basso, che costituiscono un sistema di avanguardie (Gallione 2014): incubatori, co-wor-

king, fab-lab, che esprimono un’elevata capacità di sviluppo legata all’espansione del settore del new manufacturing (Com-pagnucci 2013; Menghini 2013; Micelli 2014) e del quinto stato delle libere professioni (Formenti 2003; Bonomi 2013), rispetto a cui il capoluogo lombardo potrebbe rinnovare e consolidare il suo ruolo di polo urbano precursore e propul-sore di condizioni di innovazione (Adamoli 2013; Adamoli, Caiazzo 2013; Alferj, Favazzo 2014). Dall’altro lato, l’orga-nizzazione di un grande evento come l’ormai imminente Esposizione Universale del 2015, che rappresenta la massi-ma espressione del fenomeno di spettacolarizzazione dell’ur-bano in cui si è spesso tradotto lo sviluppo post-industriale delle città dei paesi a economia capitalista matura, si intreccia con la promozione di strategie e progetti di smartness urbana, attraverso i quali si sta tentando di stimolare il rinnovamento e il riposizionamento della città alla scala europea e mondia-le. Se il rischio che anche il paradigma della smart city possa essere impiegato semplicemente come slogan, e quindi tradur-si in una nuova opportunità di sviluppo del processo di festi-valizzazione delle città degli scorsi decenni (Venturi 1994), è elevato e non può essere ignorato, va comunque sottolineata la peculiarità del caso di Milano: mentre uno degli elemen-ti caratterizzanti dei progetti di smartness urbana attivati è rappresentato dallo sviluppo di iniziative espressamente dedicate all’Expo 2015, al contempo uno degli aspetti mag-giormente innovativi dell’esposizione milanese, rispetto ad altri mega-eventi recentemente celebrati in diversi contesti territoriali, è l’inedita sperimentazione di progetti di smart city nell’occasione di una grande manifestazione.La proliferazione di grandi eventi su scala globale, a cui si

trategie di marketing territori-ale oltre la terziarizzazione delle città

Assumendo come campo di osserva-S

Il riposizionamento strategico delle città europee: dalla spettacolarizzazione dell’urbano alla smart city

Page 23: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 19

i mega-eventi possono offrire una chiave di lettura multidisciplinare per l’osservazione e l’interpretazione del fenomeno urbano contemporaneo

“ “tà straordinaria di marketing territoriale fi nalizzato al riposi-zionamento delle stesse città ospiti nella rete urbana globale (Munoz 2011).Nella loro eccezionalità, i mega-eventi possono offrire una chiave di lettura multidisciplinare per l’osservazione e l’in-terpretazione del fenomeno urbano contemporaneo, della sua organizzazione spaziale e funzionale, della sua rinnovata centralità nel processo di mondializzazione e delle sue con-traddizioni interne (Bolocan Goldstein et al. 2014). Dopo l’emblematica esperienza fallimentare dei Giochi Olimpici Estivi di Atene 2004, nei paesi europei la grande contrazione del 2008 sembra aver contribuito a stimolare l’affermazio-ne di una nuova tendenza: un’evoluzione dei processi di di-sneylandizzazione (Nicolin 2007) e di urbanalizzazione (Munoz 2008) delle città degli scorsi decenni, ovvero di un’urbanisti-ca dello spettacolo prevalentemente orientata alla realizza-zione di grandi progetti urbani e alla celebrazione di grandi manifestazioni internazionali di elevato impatto mediatico (Gaja i Diaz 2009), verso nuovi obiettivi di sviluppo e moda-lità di intervento. Elementi di innovazione si stanno ad esem-pio affi ancando ai consueti progetti di sviluppo immobiliare nell’ambito della retorica della smart city. Molte sono le città del continente che, dopo aver recentemente ospitato diversi grandi eventi, nell’attuale congiuntura stanno sostituendo l’organizzazione di manifestazioni straordinarie, eccessiva-mente dispendiose e rischiose (Furrer 2002; Di Vita 2010), con progetti che assumono la contrazione delle risorse come condizione operativa e la necessità di innovazione spaziale e socio-economica ad elevato contenuto tecnologico come sfi da. Una nuova frontiera del marketing territoriale sembra

è assistito a partire dagli anni Novanta del Novecento e a cui è corrisposta una larga diffusione della letteratura spe-cializzata (Hall 1992; Roche 2000; Guala 2007; Getz 2008), ha origine nei processi di de-industrializzazione della società (e delle città), nonché di mondializzazione dell’economia e della cultura contemporanea, che condizionano lo sviluppo urbano. La promozione dell’immagine delle città, di cui gli eventi sono veicolo privilegiato per il loro intrinseco valore mediatico, è diventata una priorità delle politiche urbane, modifi cando il ruolo tradizionalmente svolto dalle grandi manifestazioni che hanno segnato lo sviluppo della me-tropoli industriale: da occasioni eccezionali di innovazione tipo-morfologica e di trasformazione dello spazio fi sico e degli assetti socio-economici delle città ospiti, a opportuni-

Page 24: OFFICINA* 02

20 OFFICINA*

quindi esprimersi attraverso il paradigma della smart city, che in questo senso potrebbe anche simbolicamente rappresen-tare una possibile transizione dalla città post-industriale dei consumi ad una città neo-industriale delle produzioni addi-tive.Signifi cative sono le esperienze di Barcellona, Genova e To-rino che, dopo aver investito molte risorse nei grandi eventi per incentivare processi e progetti di rigenerazione urbana post-industriale, condotti con successo tra gli anni Novanta e il primo decennio del Duemila, hanno oggi abbandonato (temporaneamente?) la straordinarietà delle grandi manife-stazioni e stanno sostenendo, con maggiore determinazione rispetto ad altre città europee, il loro rinnovamento nell’am-bito di programmi di smartness urbana: un’opportunità per superare la fase di recessione che ha fatto seguito alla loro recente transizione terziaria. Un’esperienza simile è del resto quella di una città globale come Londra che, in un contesto non così pesantemente segnato dalla crisi, ha iniziato a inve-stire signifi cativamente nello sviluppo della smart city in se-guito alla celebrazione delle Olimpiadi 2012, a partire dalla recente approvazione dello Smart London Plan.Benché non sia chiaro se e quali legami intercorrano tra la crisi attuale e i grandi eventi recentemente ospitati dalle città europee negli ultimi trent’anni, diversamente dai casi citati Milano è chiamata a organizzare una grande manifestazio-ne in una fase di contrazione, che pertanto non può essere sottovalutata e richiede approcci e soluzioni differenti dal passato. Questa sfi da potrebbe essere agevolata proprio dalla diffusione delle ICT, rispetto alle quali l’esperienza milanese dell’Expo 2015 propone alcune buone intuizioni che potreb-

bero compensare, almeno in parte, le numerose criticità già riscontrate nella fase di organizzazione della manifestazio-ne: dalle diffi coltà politiche nella defi nizione della governance dell’evento, alla riduzione dei fi nanziamenti originariamente attesi; dai ritardi nella realizzazione delle opere infrastruttu-rali previste, e in parte cancellate, agli scandali per corruzio-ne (Erba 2008; Erba 2009; AA.VV. 2009; Di Vita 2010; De Magistris, Rolando 2011; Gallione 2012; Erba, Di Vita 2012; De Magistris et al. 2014; Di Vita 2014 A; Di Vita 2014 B).

Esposizione Universale e smartness urbana: quali opportunità per la costruzione della nuova Città Metropolitana di Milano?

Con un lieve ritardo rispetto ad altre città italiane, anche Mi-lano sta attualmente investendo nello sviluppo della smartness urbana: all’inizio del 2013, il Settore Innovazione e Smart City del Comune1 e la Camera di Commercio hanno avviato il programma Milano Smart City, promovendo un sistema di iniziative che intercettano differenti ambiti tematici e che sono supportate da fondi pubblici (bandi regionali, nazio-nali e comunitari) e privati (sponsor). Il programma mira a coordinare tutte le esperienze in atto nel territorio comunale che mostrano affi nità con i temi della smartness urbana insie-me ad alcune iniziative appositamente concepite. Una prima ricognizione interna all’Amministrazione Comunale ha con-sentito di rilevare i progetti e i piani già approvati o in fase di elaborazione, articolandoli rispetto a specifi ci temi (città digitale, mobilità, ambiente, inclusione e coesione, servizi al cittadino, cultura e attrattività). Successivamente, attraver-

Page 25: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 21

so un’iniziativa di public hearing, è stato avviato il processo partecipativo per la delineazione del programma di svilup-po della smart city, articolato in un sistema di tavoli temati-ci riconducibili alle categorie del Modello di Vienna (smart environment, smart mobility, smart economy, smart governance, smart people e smart living) (Giffi nger et alii 2007), integrate da una linea di azione specifi camente dedicata a Expo2.Contemporaneamente alla defi nizione di questo quadro di iniziative, promosse o riconosciute dal Comune, anche l’E-sposizione Universale ha autonomamente assunto un pro-fi lo digitale attraverso lo sviluppo di progetti direttamente avviati dalla società di gestione Expo 2015 Spa, lavorando su differenti scale territoriali: il progetto Digital Smart City Expo per la smartness del sito Expo; la piattaforma E015 Di-gital Ecosystem per lo sviluppo di servizi digitali nel territorio metropolitano; il progetto Cyber Expo per un’esperienza vir-tuale della manifestazione attraverso il web (Di Vita 2014 B). Di particolare interesse, la piattaforma E015 Digital Ecosystem si confi gura come una comunità di fornitori di servizi e ap-plicazioni3, stabilendo regole di collaborazione e fornendo standard tecnologici comuni che consentono la condivisione di dati e, quindi, lo sviluppo di un sistema di servizi digitali interoperabili4.L’assenza di una visione strategica generale dello sviluppo della città, rispetto a cui promuovere i singoli piani e pro-getti, sembra però penalizzare l’integrazione e favorire la frammentazione delle diverse iniziative a svantaggio di una loro effettiva valorizzazione, oltreché di una potenziale ca-pitalizzazione della legacy dell’Esposizione Universale nel tempo e nello spazio. Il capoluogo lombardo è il principale

polo di gravitazione di una vasta regione metropolitana che oltrepassa i tradizionali confi ni amministrativi (provinciali, regionali e nazionali) e, a sua volta, si inserisce nel contesto territoriale della mega-city region (Balducci 2005) o global city-region (Perulli, Pichierri 2010) del Nord Italia. Sarebbe per-tanto opportuno sia che venisse delineata una visione stra-tegica per la città con riferimento alla scala territoriale della megalopoli diffusa, sia che lo spazio concettuale della smart city venisse esteso a quello di una smart city-region (Rete Con-sultiva per Milano Glocal City 2013), o più semplicemente di una smart region (Morandi et al. 2013); ovvero, che venisse ampliato alla scala di una smart land, scardinando le logiche localistiche con cui i singoli comuni tendono abitualmente ad operare, spesso penalizzando una rivoluzione tecnologi-ca, economica e sociale (Bonomi, Masiero 2014).

Milano è chiamata a organizzare una grande manifesta-zione in una fase di contrazione, che pertanto non può es-sere sottovalutata e richiede approcci e soluzioni differenti dal passato

“ “

Page 26: OFFICINA* 02

22 OFFICINA*

sarebbe pertanto opportuno sia che venisse delineata una visione strategica per la città con riferimento alla scala territoriale della megalopoli diffusa, sia che lo spazio concettuale della smart city venisse esteso a quello di una smart city-region

“ “

La sperimentazione nel campo delle ICT e l’implementazio-ne di servizi digitali legati all’Expo potrebbero contribuire al consolidamento della legacy spaziale e immateriale dell’e-vento al di là del sito espositivo e dei confi ni del territorio comunale milanese. Certamente, negli scorsi anni, una va-lorizzazione maggiormente fi nalizzata delle ICT come driver di sviluppo territoriale avrebbe potuto coinvolgere diretta-mente nell’evento luoghi esterni al sito Expo e spesso mar-ginali, ma rilevanti rispetto al tema della manifestazione, in-centivando opportunità di riequilibrio territoriale alla scala vasta (Rolando 2011; Rolando 2014); alcune potenzialità di innovazione possono però ancora essere riconosciute. Da un lato, il riutilizzo del sito Expo, per il quale la società Arexpo Spa sta attualmente sviluppando il progetto di trasforma-zione post-evento, potrebbe benefi ciare del valore aggiunto offerto dai servizi elettronici introdotti per la manifesta-zione, utilizzabili dalle diverse attività che saranno ospitate nell’area. Dall’altro lato, la formazione dell’imminente Città Metropolitana (e lo sviluppo della relativa agenda urbana) potrebbe assumere Expo e il post-evento come uno dei suoi primi progetti di sviluppo territoriale, anche integrando i servizi digitali offerti dalla piattaforma E015 Digital Ecosystem nell’ambito di un contesto spaziale che oltrepassa gli attuali confi ni comunali: servizi destinati a rimanere in dotazione al territorio anche dopo l’Expo, incidendo sulle relazioni tra le diverse popolazioni urbane e i luoghi di loro fruizione, ovvero sul rinnovamento del sistema socio-economico lo-cale e delle relative confi gurazioni spaziali (Di Vita 2014 B). Rispetto a queste opportunità, numerose sono le proposte e le sperimentazioni fi nora effettuate: dal quadro di riferimen-

to teorico e concettuale offerto dalla Rete Consultiva per Milano Glocal City (Rete Consultiva per Milano Glocal City 2013), ad alcune attività di ricerca applicata condotte nelle università milanesi5.

* Stefano Di Vita, Adjunct professor presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. e-mail: [email protected]

NOTE

1 - Istituito presso l’Assessorato a Politiche per il Lavoro, Svi-luppo Economico, Università e Ricerca.2 - Fonte: sito internet del programma Milano Smart City (www.milanosmartcity.org).3 - A cui hanno già aderito più di 120 operatori pubblici e privati.4 - Fonti: siti internet della società Expo 2015 Spa (www.expo2015.org) e della piattaforma E015 Digital Ecosystem (www.e015.expo2015.org).5 - Per esempio, al Politecnico di Milano, la ricerca Expo Diffusa e Sostenibile, che ha alimentato il dibattito su temi e progetti correlati all’Esposizione Universale attraverso l’elaborazione di una piattaforma on-line di e-participation (www.eds.dpa.polimi.it), contribuendo alla costruzione dello scenario di una possibile regione metropolitana sostenibile (Battisti et al. 2011); oppure, le attività dell’Osservatorio TOMI MITO (www.mito.polimi.it) e del Laboratorio Urb&Com, che stanno lavorando da tempo sulle potenzialità di valorizzazione del territorio tra Milano e Torino, assumendo le ICT come strumento in grado di incidere sulle mo-dalità di fruizione dei luoghi distribuiti lungo le reti infrastrut-turali che innervano la regione; nonché, come mezzi per consoli-dare e ampliare il ruolo dei nodi urbani e territoriali, migliorando l’erogazione di servizi destinati a diverse categorie di utenti (Mo-randi et al. 2013; Morandi et al. 2014; Rolando, Scandiffio 2013; Rolando, Di Vita 2014).

Page 27: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 23

PER APPROFONDIRE

- AA.VV. (2009), Milano, Forum Expo 2015, Territorio n°51.- Adamoli R. (2013), I confini dell’economia milanese, Imprese e Città n°1.- Adamoli R., Caiazzo A. (2013), Uno sguardo sul manifatturiero a Milano, Imprese e Città n°2.- Alferj P., Favazzo A. (2014), Nuovi spazi dell’economia urbana, Imprese e Città n°3.- Balducci A. (2005), Dall’area metropolitana alla regione urbana: forme efficaci di pianificazione, Impresa & Stato n°71.- Battisti E., Battisti F., Di Vita S., Guerritore C. (2011), Expo Dif-fusa e Sostenibile, Milano, DPA-Unicopli.- Bolocan Goldstein M., Dansero E., Loda M. (2014), Grandi eventi e ricomposizione dello spazio urbano: per un’agenda di ricerca in una prospettiva geografica (paper).- Bonomi A. (2013), Il capitalismo in-finito. Indagine sui territori della crisi, Torino, Einaudi.- Bonomi A., Masiero R. (2014), Dalla smart city alla smart land, Venezia, Marsilio.- Compagnucci F. (2013), Manifattura e attività della conoscenza nelle città: l’alleanza necessaria, Imprese e Città n°1.- Dansero E., Segre A. (a cura di) (2002), Il territorio dei grandi eventi. Riflessioni e ricerche guardando a Torino 2006, Bollettino della Società Geografica Italiana, serie XII, volume VI, fascicolo 4.- De Magistris A., Rolando A. (a cura di) (2011), Torino Milano: prospettive territoriali per una cooperazione competitiva, Atti e Rassegna Tecnica n°3-4.- De Magistris A., Di Vita S., Pagliara C., Patti F., Zito C. (2014), Milano 2015. L’Expo est morte. Vive l’Expo!, Inchiesta del Gior-nale dell’Architettura n°117.- Di Vita S. (2010), Milano Expo 2015. Un’occasione di sviluppo sostenibile, Milano, Franco Angeli.- Di Vita S. (2014 A), Da smart city a smart region. Progetti spa-ziali e digitali e scenari possibili del post evento. In De Magistris A., Di Vita S., Pagliara C., Patti F., Zito C., Milano 2015. L’Expo est morte. Vive l’Expo!, Inchiesta del Giornale dell’Architettura n°117.- Di Vita S. (2014 B), Governance, progettazione e smartness di Expo 2015. Occasioni mancate e tentativi di innovazione nella grande contrazione. In Lodigiani R. (a cura di), Milano 2014. Expo, laboratorio metropolitano cantiere per un nuovo mondo. Rappor-to sulla città della Fondazione Culturale Ambrosianeum, Milano, Franco Angeli.- Erba V. (a cura di) (2008), Milano, Forum Expo 2015, Territorio n°46.- Erba V. (a cura di) (2009), Milano, Forum Expo 2015, Territorio n°48.- Erba V., Di Vita S. (2012), Milano Expo 2015. Problemi irrisolti e potenzialità di sviluppo, Territorio n°62.- Formenti C. (2003), Not Economy, ETAS, Milano 2003.- Furrer P. (2002), Giochi olimpici sostenibili: utopia o realtà? In Dansero E., Segre A. (a cura di), Il territorio dei grandi eventi. Riflessioni e ricerche guardando a Torino 2006, Bollettino della Società Geografica Italiana, serie XII, volume VI, fascicolo 4.- Gaja i Diaz F. (2009), Grandi eventi, grandi progetti: una scommessa ad alto rischio. In Erba V. (a cura di), Milano, Forum Expo 2015, Territorio n°48.- Gallione A. (2012), Dossier Expo, Milano, RCS Libri. - Gallione A. (2014), La prossima vita di Milano, D di Repubblica del 23 maggio.- Getz D. (2008), Event Studies. Theory, Research and Policy for Planned Events, Londra, Elsevier.- Giffinger R., FertnerC., Kramar H., Kalasek R., Pichler-Milanovic N., Meijers E. (2007), Smart cities. Ranking of Euro-pean Medium-Sized Cities, Centre of Regional Science, Vienna.- Guala C. (2007), Mega eventi. Modelli e storie di rigenerazione urbana, Roma, Carocci.- Hall C.M. (1992), Hallmark Tourist Events: Impacts, Manage-ment and Planning, Londra, Bellhaven.

- Lodigiani R. (a cura di) (2014), Milano 2014. Expo, laboratorio metropolitano cantiere per un nuovo mondo. Rapporto sulla città della Fondazione Culturale Ambrosianeum, Milano, Franco An-geli.- Menghini F. (2013), Confini mobili, nuova rivoluzione industriale, Imprese e Città n°1.- Micelli S. (2014), La rivoluzione del digital manufacturing e la sfida per l’Italia, Imprese e Città n°3.- Morandi C., Rolando A., Di Vita S. (2013), ICT: interfacce tra per-sone e luoghi. Sperimentazioni in corso per una smart (city-)re-gion del Nord Italia: il territorio tra Torino e Milano verso l’Expo 2015 e oltre, Tema. Journal of Land Use, Mobility and Environ-ment n°1.- Morandi C., Palmieri R., Stojanovic B., Tomarchio L. (2014), Digi-tal mapping: the analysis of the social realm of Urbino, Planum. The Journal of Urbanism, n°27, vol. 2.- Muñoz F. (2008). Urbanalización: Paisajes comunes, lugares globales, Barcelona, Gustavo Gili.- Munoz F. (2011), I grandi eventi nella città del XXI secolo: vari-azioni sull’esperienza di Barcellona. In Mugnano S. (a cura di), Progetta, esponi e visita. Mega eventi e grandi città, Sociologia Urbana e Rurale n°96.- Nicolin P. (2007), Milano Boom. Dall’etica della produzione all’estetica del consumo, Lotus n° 131.- Perulli P., Pichierri A. (2010), La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord, Torino, Einaudi.Rete Consultiva per Milano Glocal City (2013), Milano smart city-region (report).- Roche M. (2000), Mega-events and Modernity: Olympics and Ex-pos in the Growth of Global Culture, Londra, Routledge.- Rolando A. (2011), Torino e Milano: territori intermedi e spazi aperti come opportunità di sviluppo di una smart region. In De - Magistris A., Rolando A. (a cura di), Torino Milano: prospettive territoriali per una cooperazione competitiva, Atti e Rassegna Tecnica n°3-4.- Rolando A. (2014), Tecnologie digitali fuori porta. In De Magis-tris A., Di Vita S., Pagliara C., Patti F., Zito C., Milano 2015. L’Expo est morte. Vive l’Expo!, Inchiesta del Giornale dell’Architettura n°117.- Rolando A., Scandiffio A. (2013), Milan-Turin: a Bundle of In-frastructures to Access a Network of Places. Between Cultural Heritage and Landscape. In Gambardella C. (a cura di), Heritage Architecture Landesign, Le Vie dei Mercanti, Aversa-Capri, XI Fo-rum Internazionale di Studi.- Rolando A., Di Vita S. (2014), Un Central Park tra Torino e Milano? Uno spazio pubblico per Expo 2015. In Vitellio I. (a cura di), Città open source. Spazio pubblico, network, innovazione so-ciale, Dossier Online Urbanistica Informazioni n°6.- Venturi M. (a cura di) (1994), Grandi eventi. La festivalizzazione della politica urbana, Il Cardo, Venezia.

Riferimenti a siti internet

- E015 Digital Platform: www.e015.expo2015.org. - Expo 2015: www.expo2015.org. - Expo Diffusa e Sostenibile: www.eds.dpa.polimi.it.- Milano Smart City: www.milanosmartcity.org.- Osservatorio Torino Milano: www.mito.polimi.it.

Page 28: OFFICINA* 02

24 OFFICINA*

Le cattedrali bianche di Atene

La durabilità dell’architettura dei grandi eventi

di Emilio Antoniol*

come quelli descritti da Roth, si presentano altri tipi di in-successi le cui cause non vanno ricercate tanto nella natura concreta dei materiali, quanto piuttosto nella qualità stessa del progetto di architettura. Infatti, mentre il mantenimento nel tempo delle prestazioni fi siche dell’opera è esprimibile attraverso il concetto di affi dabilità, l’invecchiamento e il de-grado dell’architettura fanno riferimento all’idea di durabilità, di cui la prima è solo una delle componenti (Manfron, 1995, p.94). Mentre alle cadute di affi dabilità si può porre rimedio attraverso appropriati interventi di manutenzione, volti a ripristinare le prestazioni dei componenti edilizi (Manfron, 1995, p.93), la durabilità degli edifi ci andrebbe invece proget-tata fi n dalle fasi ideative dell’opera, valutando le trasforma-zioni future che possono coinvolgere il contesto o le esigen-ze dell’utenza. Per questo, il progetto della durata “richiede prima di tutto un approccio culturale consapevole, che dovrebbe sfociare in una adeguata competenza tecnica e tecnologica” (Raiteri, 2004, p.19). Troppo spesso, invece, nell’architettura contempora-nea tale questione è considerata solo un problema di tipo tecnico-specialistico (Giachetta, 2004, p.173), avulso quindi dalle mansioni dell’architetto e rimandato a fasi successive in cui porre rimedio alle mancanze del progetto originario.Durabilità e gestione nel lungo periodo dovrebbero essere questioni fondamentali anche nella progettazione di strut-ture destinate a grandi - e meno grandi - eventi. In esse, esigenze e funzioni sono destinate a modifi carsi in un lasso temporale estremamente breve che vede, nella maggior parte dei casi, la fi ne dell’evento come termine ultimo dell’utilizzo dell’edifi cio secondo le fi nalità per cui era stato pensato. La defi nizione delle modalità di trasformazione, riutilizza-

fanno opere di canalizzazione si sistemano condutture, tubi di scarico, lavandini in porcellana e cancellate a prova di ruggine. Ma in capo a due anni la porcellana si crepa e viene tenuta insieme da una colla sudicia e giallastra, gli alberi diventano grigi e sotto lo spesso strato di polvere non possono respirare, i canali si intasano, i tubi scoppiano, dai soffi tti delle stanze gocciola acqua e le cancellate di ferro non arruggi-niscono per il semplice fatto che da tempo sono scomparse. I muri anne-riscono, la malta si sgretola, e le case sembrano soffrire di una orrenda malattia che fa squamare la pelle. La loro non e una decorosa vecchiaia, ma un rapidissimo logorio”. Joseph Roth.La citazione di apertura, tratta dal saggio Le città bianche di Joseph Roth, pone l’accento su uno dei grandi problemi dell’architettura contemporanea, sempre più spesso carat-terizzata da un invecchiamento tanto rapido e improvviso da renderla non più funzionale “in capo a due anni” (Roth, 1987, p. 23). Il mantenimento nel tempo della qualità e delle prestazioni dei materiali, quali parametri fondamentali per il soddisfacimento delle esigenze dell’utenza, si basa su un concetto teorico relativamente semplice secondo il quale “ogni elemento edilizio […] deve opporsi, grazie alla sua confi gurazione e alle sue caratteristiche fi siche, chimiche e tecnologiche, ad una serie di agenti che, nelle diverse condizioni d’uso ipotizzabili, tendono a rendere diffi cile il soddisfacimento di tali esigenze” (Sinopoli, 1995, p.12). A tale semplicità si contrappone tuttavia uno scenario reale in cui, a fi anco ad insuccessi qualitativi (Manfron, 1995, p.92)

La rapidità con cui invecchiano in moderni quartieri operai di tutte le città del mondo è davvero incredibile. Si inventano continua-mente materiali nuovi e migliori, si piantano alberi verdi e sani ai bordi dei marciapiedi, si “

Page 29: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 25

durabilità e gestione nel lungo periodo dovrebbero essere questioni fonda-mentali anche nella progettazione di strutture destinate a grandi - e meno grandi - eventi

“ “Le immagini illustrano la situazione attua-le del Parco Olimpico di Atene e sono state scattate dall’autore nel giugno 2013.

Page 30: OFFICINA* 02

26 OFFICINA*

zione o dismissione dell’opera dovrebbe quindi rientrare in ogni progetto che punti alla realizzazione di tali tipologie di edifi cio. E invece sono innumerevoli gli esempi di archi-tetture, più o meno famose, costruite in occasione di eventi sportivi, culturali o mediatici e abbandonate al loro destino pochi mesi dopo la conclusione dell’evento stesso. Sono re-centissime anche le polemiche relative alle modalità seguite per la realizzazione delle strutture che hanno ospitato gli ul-timi mondiali di calcio in Brasile. In questo articolo, invece, si vogliono riportare gli esiti di un esempio a noi più vicino, quello delle olimpiadi di Atene del 2004. Esattamente dieci anni fa la XXVIII edizione dei giochi olimpici ha completamente trasformato la capitale greca con la costruzione - o in casi più rari la riqualifi cazione - di oltre ventisette impianti sportivi, la realizzazione di due nuove li-nee di metropolitana e l’implementazione dei collegamenti con l’aeroporto tramite una nuova linea ferroviaria (Kas-sens-Noor, 2012, p.73), per un investimento pubblico totale di oltre 10 miliardi di euro (Boykoff, 2013). Ma, mentre la candidatura ai giochi ha aiutato Atene ad avviare una fase di generale rinnovamento urbano, è mancata totalmente una strategia per il mantenimento e il riutilizzo delle strutture dopo la fi ne delle olimpiadi. Già pochi mesi dopo i giochi la maggior parte delle strutture olimpiche era infatti abbando-nata o utilizzata solo in sporadiche occasioni (Boykoff, 2013, p.46). Nel 2005, il governo aveva tentato di porre rimedio alla situazione presentando un primo - anche se oramai tar-divo - disegno di legge per il riutilizzo delle strutture secon-do il quale gli impianti sarebbero stati affi dati in gestione a privati per recuperare parte dei costi, trasformandone alcune

aree in hotel, parchi acquatici, bar, locali e ristoranti (Bosio, 2005, p.88). In realtà ben poche di tali misure sono state realmente intraprese anche a causa della crisi economica nazionale che tuttavia, secondo il parere di diversi studiosi, vede nelle Olimpiadi una delle principali cause scatenanti (Boykoff, 2013, p.46). Anche sul piano del rispetto ambien-tale i giochi di Atene non si sono dimostrati all’altezza dei proclami pre-olimpici con la trasformazione di molte aree verdi della città e scelte poco condivisibili sul piano della sostenibilità. Tra gli esempi che si possono citare troviamo la mancata previsione di sistemi di produzione di energia da fonti rinnovabili o il mancato inserimento di sistemi passivi per lo sfruttamento solare nel progetto del villaggio olim-pico (Bosio, 2005, p.101); o ancora in merito all’irrigazione delle nuove aree verdi, il mancato rispetto dei provvedimenti sul risparmio idrico, con la scelta di utilizzare specie arboree di provenienza non mediterranea, a rapida crescita, ma ne-cessitanti di molta acqua per la loro irrigazione. Sono state in tal modo disattese le principali norme ambientali vigenti in materia ma, visti i ritardi e lo stato di ‘emergenza’ imposto dalla situazione, la maggior parte degli interventi è stata au-torizzata con leggi speciali (Bosio, 2005, p.102) scavalcando le normali procedure di approvazione e, come spesso accade, facendo dell’emergenza uno strumento attuativo e operativo (Giachetta, 2004, p.40). La situazione odierna, riportata in vari reportage su diverse testate di informazione, evidenzia lo stato di abbandono delle strutture, soprattutto in quei casi in cui si combinano, come nell’impianto di canottaggio, una scarsa attrattività della disciplina praticata e una certa di-stanza dal centro città.

Page 31: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 27

Page 32: OFFICINA* 02

28 OFFICINA*

del luogo, dove l’architettura, “usata e gettata” (Tatano, 2014, p.42), deperisce velocemente sotto l’azione del tempo e dei vandali. Vetri rotti, sedute divelte, graffi ti sui muri, cancelli e transenne che direzionano i pochi visitatori e gli intrepidi del jogging tra i percorsi pedonali ormai riconquistati da una vegetazione spontanea che reclama il suo spazio, mentre il candore delle strutture, in acciaio verniciato di bianco, lascia lentamente il posto alle colate di ruggine, che fanno riaffi o-rare l’essenza materiale e concreta che sta dietro l’immagi-ne di facciata. Indagando poi sul perché edifi ci così costosi, così recenti e usati tanto poco invecchino così velocemente la causa, come ci dice lo stesso Roth in apertura, viene molto spesso cercata nei materiali utilizzati, poco durevoli o sem-plicemente non adeguati. I sistemi costruttivi impiegati sono spesso una delle cause del deterioramento dell’architettura contemporanea ma non sono certo la sola: “a usurarsi non sono i muri o le fi nestre ma l’espressività di quei muri e di quelle fi nestre. […] Invecchiano precocemente tutti quegli edifi ci che scelgono di espri-mersi con un linguaggio legato alle mode, siano esse di natura formale o costruttiva. Architetture emozionali come uno spot pubblicitario, im-pattivo ma fugace” (Tatano, 2014, p.66). Ed è così dunque che la nuova acropoli, quella moderna, dopo soli dieci anni è già in fase di deperimento; ma mentre “le architetture antiche

Il parco olimpico di Atene

“Quando le cattedrali erano bianche, l’universo intero era percorso da un’immensa fede nell’azione, nell’avvenire e nella creazione armoniosa di una civiltà”. Le Corbusier.Erano forse questi citati da Le Corbusier i principi e le spe-ranze a cui aspiravano le bianche cattedrali d’acciaio proget-tate dall’architetto Santiago Calatrava per il parco olimpico di Atene? Sicuramente le enormi vele, gli archi e le avveniri-stiche strutture degli stadi alte fi no a 60 metri, tutte avvolte in un bianco immacolato, puntavano ad una spettacolariz-zazione senza precedenti dei giochi e della città; miravano quasi alla creazione di una nuova acropoli, moderna, d’accia-io, situata a pochi chilometri da quella antica, di cui restano solo le rovine. Tra tutti i complessi olimpici quello dell’OA-KA (Athens Olympic Sport Complex) è sicuramente il più vasto e imponente, destinato alle cerimonie principali e alle grandi fi nali ed è forse l’unico ancora utilizzato per le funzioni per cui era stato costruito, anche se solo in occasione di gran-di eventi sportivi nazionali o internazionali. Tuttavia, dei fasti dei giochi e delle grandi aspirazioni programmatiche resta ben poco. Passeggiando per il parco olimpico ciò che traspare in modo evidente è lo stato di generale abbandono

la causa di questa precoce rottamazi-one deve quindi es-sere cercata anche nella mancata pro-gettazione della du-rata dell’opera di architettura

“ “

Page 33: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 29

PER APPROFONDIRE

- Bosio Roberto, I giochi del potere. Gli abusi e la corruzione della multinazionale dei cinque cerchi, Macro,Cesena, 2005. - Boykoff Jules, Celebration capitalism and the Olympic ga-mes, Routledge, Abingdon, 2013.- Giachetta Andrea, Architettura e tempo. La variabile della durata nel progetto di architettura, CLUP, Milano, 2004.- Gregotti Vittorio, Architettura, tecnica, finalità, Laterza, Roma, 2002.- Kassens-Noor Eva, Planning Olimpic Legacies: Transport Dreams and Urban Realities, Routledge, Abingdon, 2012.- Le Corbusier, Quando le cattedrali erano bianche. Viaggio nel paese dei timidi, Marinotti, Milano, 2003.- Manfron Vittorio, Qualità e Affidabilità in edilizia, Franco Angeli, Milano, 1995.- Raiteri Rossana, Tecnologia e tecniche dell’architettura e durata nel tempo: una questione da districare, pag. 11-34 in Giachetta Andrea, Architettura e tempo. La variabile della durata nel progetto di architettura, CLUP, Milano, 2004.- Roth Joseph, Le città bianche, Adelphi, Milano, 1987, tradu-zione di Rondolino Fabrizio.- Sinopoli Nicola, Presentazione, pag. 9-18, in Qualità e Af-fidabilità in edilizia, Manfron Vittorio, Franco Angeli, Milano, 1995.- Tatano Valeria, Architettura usa e getta, pag. 56-124, in Du-rabilità. Loungue durée, Barucco Mariaantonia (a cura di), Aracne, Roma, 2014.

hanno prodotto rovine, cioè frammenti in cui la fi nalità è comunque riconoscibile, le architetture moderne producono rottami e in generale non sopportano modifi cazioni” (Gregotti, 2002, p.111). Ciò che rimane sono, infatti, spazi ed edifi ci troppo grandi per le rinnovate esigenze post-olimpiche ma anche troppo rigidi e troppo vincolati ad una visione architettonica che non lascia molto spazio alla trasformazione e al rinnovamento. E così invecchiano, velocemente, accogliendo in sé nuove impre-viste e improbabili funzioni: sono depositi di rifi uti a cielo aperto, rifugi per persone senza fi ssa dimora, superfi ci da imbrattare con graffi ti e disegni o, più semplicemente, luo-ghi dimenticati, inutili e per questo abbandonati. La causa di questa precoce rottamazione deve quindi essere cercata anche nella mancata progettazione della durata dell’opera di architettura, realizzata per insistere su di un sito per lungo tempo ma non pensata per assolvere alle sue funzioni per lo stesso arco temporale. In questo scenario, le strade percor-ribili sono quindi soltanto due: o progettare edifi ci fl essibili in grado di adattarsi con facilità alle future modifi cazioni fi siche, funzionali e ambientali che l’utenza richiede, oppure estendere il campo del progetto architettonico anche a quelle fasi, come la dismissione fi nale dell’opera, ancora oggi trop-po spesso lasciate in eredità ai posteri (Raiteri, 2004, p.31).

* Emilio Antoniol, Dottorando di ricerca in Nuove Tecnologie e Informazione Territorio e Ambiente, Università Iuav di Venezia.e-mail: [email protected]

Page 34: OFFICINA* 02

30 OFFICINA*

sotto tutte le immaginabili luci dei cieli, serene, tempestose, estive, invernali, splendenti e cupe, e sotto tutte le incidenze del sole, mat-tutino, meridiano e rosso di tramonto - questo è il generarsi sensorio dell’Architettura […]”. Gio Ponti.

Noi amiamo l’Architettura, in tutte le sue sfumature.E’ così che nasce questo progetto.Tutto inizia per gioco, e presto diventa una sfi da; con Mi-chela Langella**, da studentesse d’Architettura allo Iuav, ci improvvisiamo fautrici di un sogno, accomunate da una stessa passione e da uguali domande… Come avremmo potuto parlare e rendere accessibile a tutti l’Architettura in quanto ‘arte del fare’, ‘arte del costruibile’?

Si è svolta in marzo, presso Cà Zanardi, Palazzo cinque-centesco nel cuore di Venezia, la nostra prima Rassegna collettiva. E’ così che nasce VeneziadeiSensi.VeneziadeiSensi è àrche-técton - Capacità fabbricativa congi-unta alla consapevolezza teorica.

Il tema centrale, cuore del progetto, è l’analisi urbana di Ven-ezia, di come questa città si sviluppi nel concreto, nella sua architettura e nei suoi spazi.Con la rassegna collettiva abbiamo voluto sfi darci, dando la

Un ponte tra Arte e Architettura

L’Architetto, l’Artista, per capire tutto il suo mestiere bellissimo, deve avere nei sensi le sue costruzioni, cioè prevederle (vederle prima), e pre-sentirle tattilmente nelle materie, lisce, as-pre, fredde, calde: precollaudarle visualmente

PORTFOLIO

di Viviana Manfroi*

“ possibilità a tutti (noi in primis) di intraprendere un percorso di analisi urbana, ovvero un approccio meditativo di studio del luogo, per poi divenire architéktōn, artefi ce, con l’arte del-lo spazio nel quale si abita - per meglio poterlo comprendere. La comprensione avviene attraverso la sensorialità imme-diata: vista, tatto, udito. Il mezzo è l’arte: il técton, ovvero il fare.

La Rassegna parla di Architettura che diviene Arte: il vuoto, il costruito e le sensazioni scaturite da essi vengono inter-pretati da artisti di natura molteplice… Studenti, artigiani, architetti, fotografi , pittori, videomakers di ogni età. L’obiettivo a cui si mira è l’interpretazione di una realtà ur-bana attraverso le sensazioni: qui si pone il ruolo degli artisti, ai quali è affi dato il compito di prendere questi parametri e trasporli in arte.La vista, l’udito, il tatto sono i sensi che vengono presi in considerazione in questa interpretazione artistica.E’ attraverso l’unione delle singole opere soggettive che viene alla luce un collage che riesce a dare un’immagine pluri-sensoriale e oggettiva della città di Venezia.Venezia si è potuta toccare (‘Venezia sComposta’), ammirare (la fotografi a), capire (‘Arcipelago’), ascoltare (‘Concerto per quattro appartamenti’)… Facendosi semplicemente traspor-tare dai sensi.

E da cosa nasce cosa. Abbiamo voluto dare più ampio respiro a questo progetto, abbiamo voluto farlo crescere, consce che tutti abbiamo qualcosa da dire, da esprimere, riguardo il luogo in cui viviamo.

Laboratorio/Rassegna Collettiva VeneziadeiSensi: un progetto di Viviana Manfroi e Michela Langella

Page 35: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 31

01 - Rassegna collettiva VeneziadeiSensi, Cà Zanardi. Allesti-mento di Viviana Manfroi e Michela Langella.02 - “VENEZIA sComposta”. Acqua, legno, mattone, pietra d’Istria, vetro. Viviana Manfroi e Michela Langella.

E’ così che, grazie ad un bando per le attività culturali fi -nanziato dallo Iuav e al sostegno di tutti coloro che hanno creduto in questo lavoro, VeneziadeiSensi diviene Laborato-rio itinerante.

I laboratori si svolgeranno questo autunno presso l’Università Iuav, sono aperti a chiunque abbia voglia di fare ed esprimere. Prevedono i seguenti temi: plasmare, colorare, comporre, leggere (la città). Essi saranno seguiti e supervisionati dagli artisti e dai col-laboratori di VeneziadeiSensi, i quali aiuteranno chiunque voglia a divenire artefi ce e interprete di un luogo.

“[…] Gli artisti, veri, non sono dei sognatori, come molti credono, sono dei terribili realisti: non trasportano la realtà in sogno, ma un sogno nella realtà: realtà scritta, fi gurata, musicata, architettata.”

Contatti:www. [email protected]

* Viviana Manfroi, architetto, laureata in Architettura e Città presso l’Università Iuav di Venezia.e-mail: [email protected]** Michela Langella, laureanda in rchitettura e Città presso l’Università Iuav di Venezia.e-mail: [email protected]

01

02

Page 36: OFFICINA* 02

32 OFFICINA*

03

Page 37: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 33

Venezia si è potu-ta toccare (‘Venezia sComposta’), ammi-rare (la fotografia), capire (‘Arcipelago’), ascoltare (‘Concerto per quattro apparta-menti’)… Facendosi semplicemente tra-sportare dai sensi

“ “03 - Installazione luminosa. Serie di lam-pade in terracotta. Modello/stampo/co-laggio, diametro 22 cm, h.30 cm. Andrea Reggiani.04 - “VENEZIA sComposta”. Acqua, legno, mattone, pietra d’Istria, vetro. Viviana Manfroi e Michela Langella.05 - Installazione luminosa. Serie di lam-pade in terracotta. Modello/stampo/co-laggio, diametro 22 cm, h.30 cm. Andrea Reggiani.

04

05

Page 38: OFFICINA* 02

34 OFFICINA*

06

07 08

Page 39: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 35

la Rassegna parla di Architettura che di-viene Arte: il vuoto, il costruito e le sensa-zioni scaturite da essi vengono interpretati da artisti di natura molteplice

“ “

06 - Rassegna collettiva VeneziadeiSensi, Cà Zanardi. Allestimento Viviana Manfroi e Michela Langella.07 - “IDEALIZZAZIONE DI UN TRAMONTO A SAN GIORGIO MAGGIORE”, acrilico su tela, 50x70. Tiziano Piani.08 e 11 -“KILN DRIED”, acquerello 23x18. Gianni De Val.09 e 10 - Fotografie, “VENEZIA DECA-DENTE. PERSONA” 20x30 Maria Franc-esca Frosi.

09 10 11

Page 40: OFFICINA* 02

36 OFFICINA*

VeneziadeiSensi è àrche-técton Capacità fabbricativa congiunta alla con-sapevolezza teorica

“ “11

13

Page 41: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 37

11 - Interno veneziano, “OMAGGIO A PIETRO LONGHI”. Roy Me-neghetti.12 - “CONCERTO PER QUATTRO APPARTAMENTI” video, colore-suono, 16/9, 12 h. Francesco Battaglia e Olmo Pietro Missaglia.13 e 14 -“IL TEMPIO”, “CHIESA DI SANTA FOSCA” 20X30 cm Nicolò Zanatta.15 - “MONOLITE” olio su tela, 100x70 cm Ivan Boldrin.16 - “ARCIPELAGO” listello lineare a 3 strati, 8/18 cm di spes-sore, diametro 100/120 cm max. Antonio Sarto.

14 15 16

12

Page 42: OFFICINA* 02

38 OFFICINA*

l’esperienza di Reggiani Ceramica, un laboratorio artigianale di produzioni ceramiche avviato nel cuore di Venezia da Andrea Reggiani. Nato a Padova, e formatosi presso l’U-niversità Iuav di Venezia, Andrea intra-prende questa attività più per passione che per necessità. Durante alcune espe-rienze didattiche presso il Laboratorio Iuav Alias, l’uso del gesso, degli stampi e dell’argilla si trasformano in cono-scenze di base per le sue future crea-zioni, stimolando allo stesso tempo l’interesse per la lavorazione artigianale degli oggetti in ceramica e porcellana. Il modellare e il dar forma alla materia diventano così nell’attività di Reggiani un modo per trasferire conoscenze, idee e concetti in oggetti concreti che, con il tempo, si sono trasformati in vere e proprie opere d’arte: dai vasi alle lampade, dalle tazze ai piatti fi no alla splendida teiera Pinocchio, perfetto connubio tra praticità e design. La scelta poi di situare questa attività

Reggiani Ceramica Design, arte e artigianato a Venezia

Fare dell’arte il pro-prio mestiere: que-sto potrebbe essere il motto che caratterizza

IN PRODUZIONE

a cura di Emilio Antoniolcontributi di Andrea Reggiani* e Davide Tuberga**

a Venezia, città non facile per quanto riguarda lo sviluppo di un’impresa, ri-sulta essere uno dei punti di forza del laboratorio. Campo Santa Margherita, dove ha sede il laboratorio, è uno dei cuori pulsanti e vivi della città. Esso diventa la vetrina perfetta non solo per mettere in mostra la qualità del pro-dotto ma anche per stringere relazioni sempre più forti con la città, con i suoi abitanti e la sua cultura. Collaborazioni artistiche, mostre e installazioni sono parte fondante dell’attività di Andrea che cerca nella contaminazione di arte, materia e tecnica lo spunto per nuove creazioni. Nascono così idee di fusione tra mate-riali diversi, quali vetro e ceramica, ma anche progetti innovativi che vedono nella stampa 3D uno dei futuri sviluppi delle attività del laboratorio, di cui ci parlerà Davide Tuberga.Ed è proprio in questo clima di ricerca e sperimentazione che OFFICINA* ha avuto modo di conoscere l’esperienza di Reggiani Ceramica. Alcune visite al laboratorio hanno permesso di vedere la produzione e conoscere i concetti di fondo che stanno alla base di questa piccola realtà artigianale.

Progettare la forma è infatti solo il primo passo di un processo molto più articolato che vede nella scelta dei materiali, delle terre, delle fi niture e nell’uso delle tecniche di lavorazione più appropriate una continua ricerca formale e concettuale sulle modalità di fare arte con la ceramica. Semplici operazioni manuali legate alla serialità della produzione, quali la realizzazione degli stampi per colare la ceramica, la cottura in forno o la decorazione fi na-le diventano parti vitali di un processo che conferisce all’oggetto fi nito una valenza unica, che lo allontana dalla produzione in serie tipica del model-lo industriale, per avvicinarlo sempre più alla creazione artistica. Tra queste, la decorazione diventa forse uno degli elementi di massima originalità dell’at-tività di Reggiani: se infatti l’impiego di terre diverse - rossa, bruna o bianca - conferisce unicità e carattere al singolo oggetto, l’uso attento e minimale dei colori di fi nitura - bianco, rosso, nero, blu e pochi altri - riassume tutta l’essen-za del processo creativo, diventando la fi rma stessa dell’artista.

www.reggianiceramica.com

Page 43: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 39

01

02

il modellare e il dar forma alla mate-ria diventano così nell’attività di Reg-giani un modo per trasferire conoscen-ze, idee e concetti in oggetti concreti

“ “

Page 44: OFFICINA* 02

40 OFFICINA*

03

Page 45: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 41

semplici operazio-ni manuali legate alla serialità della produzione, quali la realizzazione degli stampi per colare la ceramica, la cottura in forno o la decora-zione finale diventano parti vitali di un pro-cesso che conferisce all’oggetto finito una valenza unica

“01 - Pinocchio: teira - ceramica bianca smaltata.02 - Caffè Reggiani: tazzine - ceramica bianca smaltata, interno nero.03 - Laboratorio: rifinitura lampada in terracotta - Andrea.04 - Honey: lampadario - finissima porcellana bianca, inserti in vetro con magneti.05 - Forno: cottura 1025°C.

04

05

Page 46: OFFICINA* 02

42 OFFICINA*

Stampante 3D Ceramicadi Davide Tuberga

La mia prima esperienza con la cerami-ca è avvenuta presso i laboratori Alias, all’interno dell’Università Iuav di Ve-nezia, durante un corso organizzato da Andrea Reggiani. Durante questo pe-riodo mi sono lasciato affascinare dalle tecniche di lavorazione tradizionali di quest’arte, ma allo stesso tempo, vista la mia passione per la tecnologia e la meccanica, mi è nata un’idea.Quest’idea sono riuscito a metterla in pratica un anno dopo, proponendo proprio ad Andrea la realizzazione di una stampante 3D che fosse in grado di estrudere non più la plastica bensì l’argilla. Abbiamo quindi fuso le nostre espe-rienze per costruire una stampante di tipo Delta, una struttura di stam-pante adatta ai nostri bisogni, che fosse

in grado di muoversi liberamente nello spazio eludendo la rigidità dei movi-menti sugli assi x,y,z, con un serbatoio centrale, connesso a un sistema ad aria compressa, che funge da vero e proprio estrusore costante di argilla. Questa macchina funziona con metodo addi-tivo di materiale, il quale si presenta come un sottile fi lo di terra che vie-ne applicato a spirale crescente, strato dopo strato, fi no a creare l’oggetto de-siderato. I pezzi che nascono dall’utilizzo di questa macchina sono complessi e arti-colati, a tal punto che io e Andrea non pensavamo fosse possibile la realizza-zione fi no a qualche mese fa. L’ unio-ne di questo sistema innovativo con un’arte così antica, come quella della ceramica, permette di esplorare campi fi no ad oggi mai studiati, realizzando oggetti impossibili da creare con le tec-niche tradizionali.

07

Page 47: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 43

Il progetto è solo all’inizio e permette la realizzazione di forme che con meto-di tradizionali risultano quasi impossi-bili, ma ogni giorno pensiamo a come rendere più evoluto e più effi ciente tut-to il sistema di stampa, dal perfeziona-mento della macchina e del programma che gestisce la generazione delle forme, alla progettazione dei pezzi da model-lare.

* Andrea Reggiani, artigiano proprietario del laboratorio Reggianiceramica a Venezia.e-mail: [email protected]

** Davide Tuberga, laureato in Design Indu-striale peresso l’Università Iuav di Venezia.e-mail: [email protected]

06 - Laboratorio: stampi in gesso.07 - Estrusione: Generazione bicchiere.08 - Performance: stampa in Campo Santa Margherita.09 - Assemblaggio: Davide Tuberga.

06

08 09

Page 48: OFFICINA* 02

44 OFFICINA*

progresso, oggi soprattutto relitti indu-striali: i gasometri1. Rimangono spesso dismessi e abbandonati, ma con un’ani-ma che ancora testimonia lo sviluppo e il signifi cato di un’epoca intera. Queste alte costruzioni hanno plasmato, attra-verso una nuova forma di architettura industriale, l’immagine delle città, e allo stesso tempo ne hanno elevato lo stile di vita.

L’ amanteIl cosiddetto gas illuminante fu usato per la prima volta a Londra nel 1808 per l’illuminazione pubblica2. Il gas veniva prodotto in offi cine del gas tramite la distillazione del carbon fossile. Prima di essere immagazzinato nei gasometri, doveva passare inoltre attraverso diffe-renti apparecchiature di depurazione.

La prima progettazione del gasome-tro aveva due obiettivi principali: ave-re una capacità variabile ed evitare le fuoriuscite del gas. Queste esigenze

di Barbara Berger*

queste alte costruzioni hanno plasmato, attraverso una nuova forma di architettura industriale, l’immagine delle città“ “

VOGLIO FARE L’ARCHITETTO

GasometroMon AmourUna storia che comincia a Venezia

furono risolte con l’invenzione del ga-sometro a chiusura idraulica, costituito da una vasca riempita d’acqua e un se-condo contenitore aperto verso il basso - la campana. Questa veniva immersa nell’acqua che si innalzava e abbassava rispetto al proprio contenuto di gas.Del gasometro a chiusura idraulica esi-stono varie forme:- Gasometro a campana (anche g. semplice, g. ad un’alzata3). Prima forma di co-struzione, composta da una vasca, una campana sola e un traliccio di guida (alzata);- Gasometro a telescopio. A differenza del

arbone, fornaci, reti, fanali, luce, r i sca lda mento. All’epoca, sim-boli di grande C

precedente è costituito da più alzate che hanno un movimento lineare;- Gasometro elicoidale (anche g. autopor-tante). Rispetto alle altre, questa co-struzione non necessita di un traliccio di guida, perché le campane ruotano come una vite; questo sistema rende la struttura portante.Una forma particolare di gasometro, che nasconde il proprio carattere fun-zionale, è il gasometro con una fac-ciata massiccia anteposta. In tal modo sembra essere piuttosto un’architettura sacrale con la sua costruzione centra-lizzata e la facciata articolata.

Page 49: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 45

Alla fi ne del Novecento si sono svilup-pati gasometri con una capacità sempre più grande, ma con maggiori diffi coltà nell’impiego del sistema idraulico.Fu inventato quindi il gasometro a secco o a disco, differente dai precedenti. Con-sisteva in un cilindro unico e un disco mobile che veniva inserito per regolare il contenuto del gas4.

La storiaVenezia si dotò presto di questo siste-ma innovativo e così fu inaugurata l’il-luminazione a gas in Piazza San Marco nel 1841. La prima offi cina del gas fu

realizzata a San Francesco della Vigna, mentre la seconda fu eretta nel 1908 sull’ex-campo di San Marte5. Entrambe furono messe fuori servizio con l’avve-nire del metano nel 1970. A San Francesco della Vigna oggi sono rimasti due gasometri a telescopio a due alzate, abbandonati, con danni locali di corrosione e deformazione. Tutta l`area non è più usata e non è accessibile al pubblico.

Il più vecchio è il gasometro V, risalente al 1882 e visibile da Campo San Fran-cesco della Vigna. Ha una capacità di

01

8.850 m3 ed è costituito da una vasca chiodata con due campane inserite. La pianta del traliccio di guida è a forma decagonale ed è diviso in due anelli. Il traliccio è composto da colonne tonde collegate tra loro attraverso travi reti-colari: sotto la base di ciascuna colonna vi è l’appoggio di un traliccio che riceve il carico verticale. Sulle colonne sono installati i montanti guida per il movi-mento delle campane. Osservando at-tentamente si possono riconoscere due fasi principali di costruzione: il gaso-metro originale con una campana sola fu reso telescopico con l`aggiunta di una seconda campana circa dieci anni dopo6. A sostegno di questa ipotesi, si possono notare i due anelli di traliccio che furono costruiti con due altezze di-verse e con due tecniche costruttive dif-ferenti, in particolar modo per quanto riguarda la colonna7. Questo gasometro riscontra affi nità costruttive con il ga-sometro storico di Firenze, eretto con un brevetto francese di Lione. Dal vaporetto si riesce a scorgere più chiaramente il gasometro VI, del 1928. Ha una capacità di 8.000 m3, la stessa forma del precedente, ma gli elementi sono stati realizzati diversamente. La vasca è di calcestruzzo armato, il tra-liccio di guida è costituito da pilastri di profi lo angolare e per rinforzare la struttura sono state inserite travi reti-colari e controventi. Rispetto all`altro gasometro questo ha un traliccio a pianta dodecagonale. La calotta fu costruita col sistema di Schwedler, un ingegnere tedesco che aveva inventato una calotta priva d’irrigidimento nella terza dimensione, una soluzione impie-gata a Berlino8.

In altre città dell`Italia settentrionale si possono riconoscere gasometri di im-

Page 50: OFFICINA* 02

46 OFFICINA*

portante valore. Per esempio a Torino in zona Vanchiglia si trovano due ga-sometri a telescopio, di cui uno ha la vasca interrata. A Firenze c’è un gaso-metro (ancora accessibile) a San Fre-diano, sull’area della prima offi cina del gas, mentre a Bologna esiste tuttora il primo gasometro a secco in Italia.A Trieste è conservato il gasometro di Broletto, sistema a telescopio con due alzate e completamente rivestito in mu-ratura. A Roma si trova il gazometro di San Paolo, probabilmente il gasome-tro a telescopio più grande d’Italia che rappresenta un landmark un po’ diverso dall’immaginario usuale di Roma.

La ricercaGeneralmente l’architetto viene imma-ginato davanti ad una scrivania grande con tante planimetrie, matite, lucidi e un cellulare che suona sempre perché qualcosa in cantiere non va. Pochi ve-dono un architetto in combinazione con un lavoro scientifi co. Ma ciò che lo muove in questa direzione è la curiosità e la passione per un tema e la volontà di conferirgli nuova e maggiore luce.

Ciò che mi ha spinto in questo percorso di ricerca è stato capire il valore del ga-sometro all’interno della storia edilizia.La nostra storia - la mia e quella dei

gasometri - dev’essere però raccontata dalle sue origini. Tutto è nato nel 2006 da uno scambio Erasmus a Venezia presso lo Iuav, senza pensare che que-sta scelta avrebbe segnato in modo de-terminante il mio futuro professionale. Ho abitato alla Celestia e ogni giorno passavo con il vaporetto davanti a del-le strutture di ferro, quelle appunto di San Francesco della Vigna, che emer-gono rispetto al contesto urbano. Ne fui subito incuriosita. “Sono gasome-tri…”, mi rispondeva un veneziano. Ma questo non mi bastava, volevo saperne di più.

“Che cos è un gasometro?”“Come funziona?”

Così, dopo esser riuscita ad accedere all’area di San Francesco della Vigna, ne fui così affascinata che divennero il tema della mia tesi di laurea9. Succes-sivamente decisi di intraprendere la mia prima esperienza come architetto “normale”, ma non mi ha mai abban-donato la sensazione di proseguire le ricerche sui gasometri, per riportare il loro signifi cato alla luce. Durante que-sto periodo ebbi inoltre la possibilità di esporre i risultati della mia tesi tra-mite una mostra organizzata dal prof.

02

Page 51: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 47

Fontanari presso lo Iuav nel 201110 e una lezione di gasometria in occasione dei workshop WAVE 2012. E proprio in quest’ultima occasione, quando ho visto la sensibilità per i gasometri cre-scere tra gli studenti, ho capito il valore della mia missione gasometrica. Era sempre più chiaro l’obiettivo di rilevare il signifi cato, lo sviluppo, la forma e la costruzione dei gasometri storici, essendo una parte signifi cativa

dell’eredità ingegneristica e un grande esempio di archeologia industriale. Mi sono così iscritta alla Technische Uni-versität di Monaco di Baviera per un dottorato di ricerca, con l’obiettivo di produrre uno specifi co manuale: il gaso-metro come tipo edilizio. Il lavoro però non è soltanto ricerca pura e organizzazio-ne di sopralluoghi, bensì è legato anche all’organizzazione e alla gestione dei contatti, alle richieste di borse di studio

e all’acquisizione di fi nanziamenti: que-sto per far sì che la ricerca possa pro-seguire e allo stesso tempo che questo tema si inserisca nel mondo scientifi co. Ho iniziato il dottorato lavorando part-time come architetto e anche come commessa in un negozio di triathlon. Ogni spostamento in un’altra città per lavoro e non solo, ha rappresentato un’occasione per scoprire nuovi gaso-metri.

03

IMMAGINI

01 - Gasometro VI, San Francesco della Vigna, Venezia. BB, 2008.02 - Gasometro V, San Francesco della Vi-gna, Venezia. BB, 2013.03 - Il guidaggio delle campane del Gaso-metro V, San Francesco della Vigna, Vene-zia. BB, 2008.04 - Lo schizzo primigenio della tesi di laurea, San Francesco della Vigna, Vene-zia. BB, 2007.05 - Il traliccio di guida del gasometro VI, San Francesco della Vigna, Venezia. BB, 2013.

Lo sviluppo dei gasometri.Da sinistra: gasometro a campana, gasometro a telescopio, gasometro elicoidale, gasometro a seccoBB, 2008

Page 52: OFFICINA* 02

48 OFFICINA*

Il primo sguardo ad un gasometro è sempre un momento prezioso, mi fa sorridere e dichiara la mia strada. Sono le mie muse, i gasometri, che mi ispira-no e rafforzano.

Grazie ad una borsa di studio presso il Centro Tedesco di Studi Veneziani, nel 2013/14 ho potuto dedicarmi esclusi-vamente alla ricerca e ho trovato sia il mio metodo di lavoro, sia la mia strada scientifi ca. C’è voluto tempo per stabi-lire tutti i temi principali, un agenda di priorità e la possibilità di discutere con altri dottorandi per ampliare il proprio punto di vista e defi nire un metodo di lavoro.

Inizialmente i gasometri sono stati lo-calizzati e determinati attraverso l’ap-plicazione di Google Maps e Google Street View. La diffi coltà più grande è stata successivamente quella di contattare i relativi proprietari, al fi ne di effettua-re un sopralluogo. Una volta sul posto, attraverso il primo schizzo sono stati messi a fuoco i principali aspetti della costruzione, gli elementi che la com-

pongono e cerco di risalire alla tipolo-gia di struttura brevettata (francese, in-glese, tedesca). Il sopralluogo perfetto include una salita sul gasometro fi no in cima al traliccio di guida, in modo tale da poter esaminare e sfi orare tutta la costruzione, capire com’è stato costrui-to fi no ai particolari tecnici.Purtroppo queste operazioni sono spesso ostacolate dalle condizioni fa-tiscenti del gasometro, le cui scale e passarelle sono pericolanti e rendono inaccessibili soprattutto il traliccio di guida. Oltre a rilievi diretti sullo stato attuale, è importante il confronto di questi con la progettazione originale e l’individuazione dei vari cambiamenti strutturali tramite planimetrie e imma-gini storiche. Nel raccogliere tutte queste informa-zioni, sono giunta alla conclusione che la ricerca non consiste soltanto in una bella collezione di gasometri da am-mirare, ma necessita di una domanda centrale e ben defi nita. Attraverso le domande When, Where, Why, How, Who la mia ricerca si è dunque limitata a specifi che esigenze: ovvero gasometri

* Barbara Berger è ricercatrice presso l’Istituto di Ricerca per la Storia delle Scienze e Tecnologie del Deutsches Mu-seum, a Monaco di Baviera, e collabora con lo studio Haushochdrei GmbH di Monaco di Baviera. Borsista presso il Centro Tedesco di Studi Veneziani (Ex-Direttrice Prof. Dr. Sabine Mei-ne) nell`anno 2013/14 e socio fondatore di Save Industrial Heritage, Bologna.Da anni prosegue la propria ricerca sulla tipologia edilizia del gasometro, attraverso uno studio sempre più ap-profondito sui casi italiani. Accanto alla ricerca, Barbara prosegue la propria carriera sportiva: triatleta e istruttrice di nuoto, si è avvicinata anche al mondo del canottaggio per la prima volta a Venezia nel 2007, par-tecipando alla sfi da remiera in galeone per la Regata Storica del 2007 come atleta della squadra Iuav. Poco dopo ha iniziato a anche l’attività di dragon boat con la squadra delle Università Veneziani, partecipando a campionati di livello nazionale e mondiale.

04

Page 53: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 49

per l’illuminazione pubblica a gas, con il sistema idraulico e secco, realizzati nell’Ottocento e nel primo Novecento in Italia settentrionale.

La ricerca signifi ca dotarsi, identifi -carsi e avere una relazione stretta col proprio tema. I gasometri ormai fan-no parte della mia quotidianità. “Che disegno vuoi sulla schiuma del tuo cappuccino?” mi chiede il barista, un vero coffee-artist. Lo guardo e rispon-do “Un gasometro.”. In questo modo, quando mi racconto, parlo della mia relazione con i gasometri. I miei ami-ci non si stupiscono più di questa mia passione, anzi mi mandano sempre una foto quando vedono un gasometro da qualche parte, oppure mi chiedono: “Come stai? I gasometri?”.Sensibilizzare la gente sull’esistenza dei gasometri e soprattutto su come guar-darli, apprezzarli e magari anche riuti-lizzarli, rappresenta lo scopo della mia ricerca.

Con affettoBarbara & gasometri

NOTE

1 - La voce gasometro non è del tutto corretta. Il suffisso “metro” indica la misurazione del volume del gas. Invece il gasometro deve essere semplicemente inteso come con-tenitore, serbatoio, utilizzato per lo stoccaggio del gas appena prodotto dall’officina. Quindi sarebbe più corretto il termine contenitore di gas. Tuttavia in Italia ha prevalso l`uso del termine gasometro che di conseguenza viene usato anche in questo articolo. Schilling, 1860, p. 9.2 - Schilling, Nikolaus Heinrich, Prof. Dr. Knapp, Friedrich Ludwig, Handbuch für Steinkohlengas-Beleuchtung (Manuale dell`illuminazione a gas-coke), München, Old-enbourg-Verlag, 1860, p. 9.3 - Il numero di campane viene anche espresso con il termine alzate.4 - Esistono anche altre forme di gasometri, però questa ricerca si focalizza su i gaso-metri dall’ Ottocento e primo Novecento.5 - Zucchetta, Giampietro, Storia del gas nella città dei dogi, Marsilio Editore, Venezia, 1996, p.15/ 166 - A.S.ITG, Venezia, Faldone 109: Relazione, 1926, p. 1.6 - A.S.ITG, Torino, Archivio Storico e Museo Italgas di Torino, Venezia, Faldone 106 Riparazione Gasometro MC. 8400 a San Francesco, 1926-27: Vecchio Gasometro da 8000 a S. Francesco - Relazione, Venezia, Marzo 1926, p. 17 - La prima consiste in tubi chiodati il cui diametro diminuisce verso alto. La seconda colonna ha degli elementi identici. Ogni tubo ha un diametro minore in alto rispetto alla parte bassa.8 - Si ringrazia per le informazioni fornite l Archivio Storico e Museo Italgas di Torino e Gruppo Veritas di Venezia.9 - Tesi di laurea con Esther Brenner, inclusi rilievi, analisi e documentazioni varie, seguiti da un progetto di rivitalizzazione dell’area. Le ricerche e la documentazione sono stati pubblicati in una brochure. A.A. 2008/2009. www.lt.ar.tum.de/lehre-studium/diplomarbeiten-master-thesis/10 - www.iuav.it/Facolta/facolt--di2/NEWS1/eventi-del3/Gasometri-/index.htm

05

la ricerca significa dotarsi, iden-tificarsi ed avere una relazione stretta col proprio tema“ “

Page 54: OFFICINA* 02

50 OFFICINA*

crescente numero dei pesci; non dalla potenza delle pompe idriche ma dalla contrazione delle falde acquifere; non dal numero delle motoseghe ma dalla scomparsa delle foreste primarie”.(Hawken, Lovins, 2001)La Society of Environmental Toxicolog y and Chemistry (SETAC), nel 1990, conia de-fi nitivamente il procedimento, a oggi conosciuto, con il termine LCA e lo de-fi nisce come: “Un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici e ambientali relativi a un processo o a un’attività, effettuato attraverso l’identifi cazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifi uti rilasciati nell’am-biente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il trasporto delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzio-ne, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento fi nale”.Questo metodo porta a un’analisi com-pleta e sistematica che valuta tutti gli impatti nell’ambiente di un prodotto, di un processo o di un servizio, duran-te tutto il suo ciclo di vita, attraverso

di Fabio Favero*

un procedimento og-gettivo di valutazione dei carichi energetici e ambientali relati-vi a un processo o a un’attività

“ “LCAin edilizia Calcolo del consumo energetico per la realizzazione dei manufatti edilizi, dalla produzione alla dismissione

la valutazione di tutti i fl ussi di materia e di energia in ingresso (consumi) e in uscita (emissioni), durante tutte le fasi, dall’estrazione delle materie prime, tra-sporto, produzione, distribuzione, uso e dismissione. L’intera vita di un com-posto o di un prodotto viene conside-rata “dalla culla fi no alla tomba”. La metodologia, che nasce per essere applicata al settore dei prodotti indu-striali, trova ben presto notevoli ri-scontri nel mondo delle costruzioni, anche se con non poche diffi coltà nella sua applicazione. L’obiettivo principale che si pone la valutazione è la riduzio-ne degli impatti prodotti nella fase di realizzazione di un edifi cio, fornendo informazioni a supporto delle scelte del progettista.Le basi su cui si fonda il metodo LCA, per quello che riguarda il mondo delle costruzioni, sono la valutazione com-plessiva dei consumi e delle emissioni inquinanti, derivanti dalla scelta dei materiali, delle componenti edilizie, delle soluzioni tecniche costruttive e degli impianti, più una nuova variabile che riguarda la temporalità, cioè il tem-po di vita utile dei materiali e dell’edi-fi cio stesso.

Oggi il nostro pro-gresso non è minac-ciato dal numero delle imbarcazioni da pesca ma dal de-“

Page 55: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 51

Le maggiori diffi coltà che si riscon-trano nell’analisi, riguardano diversi aspetti. Per prima cosa vediamo che la somma degli impatti dei singoli pro-dotti diffi cilmente corrisponderà all’ef-fettivo impatto del sistema edifi cio, perché molte operazioni non avvengo-no in stabilimento ma in cantiere, luo-go diffi cilmente controllabile dal punto di vista ambientale, avviando processi impattanti e spesso tralasciati per la diffi cile valutazione. Un altro tipo di impatto, di diffi cile analisi, che entra a far parte del proces-so, è la valutazione lungo tutto il ciclo di vita dell’edifi cio, mettendo in evi-denza, come la pulizia, la manutenzio-ne, le ristrutturazioni e gli adeguamenti impiantistici creino nuovi punti di stu-dio per una quanto più reale e oggettiva valutazione.Aspetto portante del metodo LCA è la limitatezza del campo d’indagine, dovuta ai confi ni molto rigidi che ci si pone in partenza, caratteristica che allo stesso tempo è uno dei suoi punti di forza ma anche punto di debolez-za. Questo perché, mette in campo le operazioni di tutto il processo edilizio dalla progettazione alla dismissione/

riciclaggio, riuscendo a dare risultati at-tendibili; allo stesso tempo però trascu-ra importanti tematiche macroambien-tali, come il rapporto con il contesto, la qualità dell’ambiente e la vicinanza ai servizi.Il metodo LCA per gli edifi ci per alcuni aspetti, soprattutto nella parte iniziale, è molto simile alla valutazione del pro-dotto. Si parte infatti dalla defi nizione degli obiettivi e degli scopi dell’analisi, in base al destinatario della valutazio-ne, defi nendo il grado di approfondi-mento da raggiungere e il tipo di dati da raccogliere.

01 - Non esiste un vero e proprio metodo per lo studio dell’energia incorporata de-gli edifici ma è possibile sviluppare uno studio che integri le informazioni prove-nienti dal mondo del design integrandolo alla scala dell’edificio.

01

Page 56: OFFICINA* 02

52 OFFICINA*

L’analisi prosegue defi nendo l’unità di misura di riferimento o il fl usso di riferimento e l’unità funzionale neces-sari alla raccolta dei dati, in relazione all’oggetto da analizzare, individuando l’insieme dei processi attuati durante l’intero ciclo di vita. Questo insieme di operazioni necessarie a fornire una determinata funzione, viene defi nito “sistema”. Per riuscire a rilevare i fl ussi in ingresso e in uscita dal sistema, al fi ne di creare un inventario dei consumi energeti-ci e della produzione di inquinanti, si stabiliscono dei confi ni che isolano e delimitano il suddetto, defi nendo quali processi vanno tenuti in considerazione e quale sia il grado di dettaglio necessa-rio alla raccolta dei dati. Il reperimento avverrà in base agli obiettivi che ci si è prefi ssati, in alcuni casi sarà necessario cercare dati primari, per altri invece, soprattutto come supporto alla proget-tazione, sarà suffi ciente utilizzare dati secondari, raccolti dalle banche dati esistenti. Si tenga presente che tutte le valutazioni presentano delle semplifi -cazioni e limitazioni, per renderle mag-giormente gestibili, si tratta solamente di delimitare correttamente i confi ni in

relazione agli obiettivi posti a monte.Altra questione da tenere in conside-razione, come già detto, è la durata. La complessità del bilancio è data da-gli impatti generati dalla produzione, dalla fase d’uso dell’edifi cio e dal fi ne vita, ma tale durata è diversifi cata per le varie componenti; in alcuni casi in-fatti alcuni elementi verranno sostituiti dopo pochi anni e altri subiranno ma-nutenzione. Queste azioni devono es-sere computate come ulteriore energia incorporata, con degli impatti associati.Ragionare dunque sulla durata è essen-ziale per i notevoli sviluppi che ne deri-vano, ma nonostante ciò, è un aspetto ancora in parte trascurato nelle valuta-zioni, che tengono conto solo della du-rata utile dell’edifi cio.Un altro aspetto molto importante è il ruolo dell’energia utilizzata nella pro-duzione dei componenti. La tipologia dell’approvvigionamento energetico può variare da Stato a Stato, e modifi ca fortemente gli impatti ambientali che ne conseguono, visto che è possibile ridurli anche tramite la scelta di utiliz-zare sistemi di produzione di energia di tipo “pulito”, aumentando notevol-mente l’effi cienza energetica di produ-

zione.I dati che si raccolgono per la valuta-zione variano in base agli obiettivi e al tipo di studio, semplifi cato o detta-gliato. Si decide così se utilizzare dati primari raccolti direttamente negli sta-bilimenti di produzione o se utilizza-re dati secondari ricavati dalle banche dati disponibili. Rimane però il dubbio sull’affi dabilità di queste banche dati per la diffi coltà di comprensione nella costruzione del dato preso in consi-derazione. I dati vengono poi raccolti nell’inventario.A questo punto i dati raccolti vengono sintetizzati, molto spesso in maniera semplicistica, rischiando di non risul-tare utili come potrebbero. Scegliendo, infatti, dei dati medi sulle emissioni in-quinanti di ogni operazione, cosa che molto spesso accade, viene meno la possibilità di migliorare il processo in-tervenendo nei picchi di massima criti-cità, a prova che ogni singolo prodotto può apportare delle differenze sostan-ziali nel processo costruttivo.Per verifi care ciò che è stato detto fi no ad ora, viene analizzato un edifi cio esi-stente. Un’analisi fatta a posteriori ci permette di dimostrare l’effi cacia del

la valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attivi-tà, comprendendo l’estrazione e il trasporto delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale

“ “

Page 57: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 53

metodo, portando alla luce quante più possibili questioni da analizzare.La valutazione dei consumi e delle emissioni inquinanti, derivanti dalla realizzazione di un edifi cio, detta an-che calcolo dell’energia incorporata dei materiali, in concreto, viene svol-ta utilizzando un foglio di calcolo per l’analisi del bilancio energetico. Si in-seriscono i parametri meteorologici, i contesti energetici, i dati generali, le modalità d’uso e di occupazione e gli impianti utilizzati, poi, inserendo i dati riguardanti i materiali in kg presenti nell’edifi cio, avremo i singoli valori di Embodied Energ y e l’energia incorporata totale dell’edifi cio.Il foglio di calcolo utilizza, per per la valutazione dell’energia incorporata, i dati provenienti dal database realizzato dall’università di Bath e ha il vantaggio di calcolare istantaneamente i valori in MJ, permettendo così un’immediata valutazione dell’incidenza del materiale preso in analisi.L’edifi cio preso in oggetto è TVZEB un esperimento “ad energia zero”, rea-lizzato nel 2013 e si trova a Costabissa-ra, in provincia di Vicenza. Il lavoro di analisi e verifi ca sull’edifi cio deriva da

03

02 - Sezione est-ovest dell’edificio TVZEB.03 - Esempio del calcolo LCA del pacchet-to costruttivo “Piano Terra” dell’edificio preso in analisi.

02

Page 58: OFFICINA* 02

54 OFFICINA*

uno studio condotto attraverso una tesi di laurea in Architettura per la Sosote-nibilità, svolta presso l’Università Iuav di Venezia, dal titolo “Energia incor-porata ed Energia di funzionamento, il caso studio TVZEB”, laureando Fabio Favero, Marzo 2014, relatori MariaAn-tonia Barucco e Massimiliano Scarpa.L’edifi cio ha una dimensione di circa 200 m2 sviluppati in due blocchi e sfrut-ta l’uso di pannelli fotovoltaici in grado si sostenere circa il 75% dei consumi energetici; utilizza pacchetti costrutti-vi con una notevole massa per ottenere un buon controllo climatico interno e i materiali provengono da piccole aziende artigianali locali. La forma fa si che la radiazione solare venga sfrut-tata al massimo nel periodo invernale ed esclusa quasi completamente nel periodo estivo. Ogni singolo elemento costruttivo è disegnato con precisione tale da ridurre al minimo i tempi di re-alizzazione, i costi intrinseci del cantie-re, gli scarti e i rifi uti, nonché lo spreco di acqua e tempo. La pesante struttura in larice lamellare e acciaio zincato è appoggiata su due linee di fondazione longitudinali, viene assemblata a secco rendendo così TVZEB smontabile e ri-

ciclabile. Dagli studi svolti sull’edifi cio vediamo che una progettazione ben ra-gionata a monte riduce i costi energetici per la sua realizzazione, oppure origina dei costi che sono facilmente recupe-rabili nell’immediato periodo, grazie all’utilizzo di tecnologie che sfrutta-no le energie rinnovabili. La scelta dei materiali impiegati nella costruzione, diventa fondamentale per raggiungere gli obiettivi di risparmio energetico che si traducono in un piano di ammorta-mento dei costi sostenuti veloce e ben giustifi cato. In conclusione, quello che ci sembra di

04 - Calcolo totale dell’LCA dell’edificio preso in analisi.05 - Considerazioni sull’influenza dei di-versi pacchetti analizzati sul calcolo to-tale.

04poter sottolineare è che un intervento complessivo che voglia ottenere risulta-ti in termini di riduzione dei costi ener-getici, deve tener conto di tutte le fasi indicate: dalla progettazione alla ge-stione, dalla scelta dei materiali a quella della manovalanza necessaria. Solo in questo modo l’obiettivo indicato diven-ta concreto e raggiungibile.

* Fabio Favero, Architetto, laureato in Ar-chitettura per la Sostenibilità presso l’Univer-sità Iuav di Venezia.e-mail: [email protected]

Page 59: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 55

Interpretazione e considerazioni finali sui risul-tati ottenuti dal calcolo LCA dell’intero edificio.

0505

Page 60: OFFICINA* 02

56 OFFICINA*

zia, nel tentativo di dare maggiore visibilità ai giovani archi-tetti stranieri, in questo caso provenienti dal continente afri-cano, nell’esposizione aperta dal 7 luglio al 28 agosto scorsi, tra gli eventi collaterali della Biennale 2014.Come nelle due precedenti edizioni, gli esiti del concorso Young Architects in Africa, i progetti selezionati e i materiali pervenuti allo studio di Parigi, sono stati parte di un’espo-sizione che ha occupato il piano terra e il salone del piano nobile di Palazzo Ca’ Asi, in Campiello Santa Maria Nova.Tra i 194 progetti, provenienti da 26 Paesi africani, parteci-panti al concorso indetto dallo studio parigino, sono stati individuati tre vincitori ex-equo: il progetto Seed, bleprint for libraries in South African Schools (Repubblica del Sud Africa), degli Architects of Justice, il Dorabis Community Spine (Nami-bia) di André Christensen e Mieke Droomer, e la Red Pepper house (Kenya), di Orko Sanchez.La giuria internazionale ha visto il coinvolgimento di per-sonaggi di spicco del mondo dell’architettura e accademico africano. Essa, oltre che dai membri dello studio Martin Robain, Architetto associato e fondatore, Rodo Tisnado, Roueida Ayache e Amar Sabeh el Leil, era composta da Jean-Louis Cohen, Commissario del Padiglione Francese della quat-tordicesima Biennale di Venezia, l’architetto-artista Didier Faustino, il giornalista Frederick Edelmann, il direttore della

Young Architects in AfricaUn evento collaterale della Biennale di Venezia, di AS.Architecture-Studio

Dopo le edizioni dei contest “Young Chi-nese Architects” (2010) e “Young Arab Architects” (2012), lo studio francese AS.Architecture-Studio, partecipa alla XIV Biennale di Architettura di Vene-

IMMERSIONE

di Francesca Guidolintraduzioni di Arianna Garatti*

scuola d’architettura ESSECA, Jean-Jaques Kotto, l’architet-to e membro dell’Accademia di Architettura Francese Nicole Roux Loupiac, e infi ne il presidente di Africa 24 TV Con-stant Nemale.L’esposizione, curata da AS con il contributo dell’artista Di-dier Faustino, conta più di 30 pannelli rappresentanti i 16 progetti selezionati, nonché due installazioni video.La prima, Mille Soleils di Mati Diop, si interroga sulla trasmis-sione simbolica e intellettuale attraverso un viaggio tra storia e geografi a del Senegal1.Il secondo contributo video, [dis]connect IV & Loco-Metta, se-rie Fractal Scape di Emeka Ogboh, è un’opera sperimentale che indaga la megalopoli di Lagos, la sua natura complessa di città conosciuta attraverso i suoi punti di entrata e uscita.

01

Page 61: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 57

02 - L’ubicazione dei progetti vincitori e selezionati, partecipanti al concorso.(Elaborazione grafica dell’autrice).03 - Provenienza dei 194 progetti parte-cipanti al concorso.(Elaborazione grafica dell’autrice).

Contraddizioni e ChallengesIn occasione della consegna dei premi agli architetti vincito-ri, si è svolta una tavola rotonda, “Mieux costruire en Afrique”, che ha raccolto le impressioni e riassunto per punti chiave l’attuale situazione urbanistica e architettonica del continen-te africano. Alle questioni proprie del progettare l’architet-tura, in questa occasione si sono unite le esperienze pratiche di giovani architetti, con meno di 15 anni di esperienza alle spalle.I temi della conferenza hanno potuto avere argomentazioni concrete, proprie di chi si è confrontato con il complesso iter attuativo del proprio lavoro intellettuale, di chi si è scontrato con le problematiche, le sfi de, le enormi risorse che costitui-scono le complessità di ordine sociale, del processo costrut-tivo e decisionale nell’ambito di una cultura del costruire dei Paesi in via di sviluppo.A fronte di un contesto estremamente differente in termini di possibilità e di mezzi, di risorse, tuttavia, i fondamenti dell’architettura non cambiano: è un gioco continuo di cre-azione con ciò che si ha, una tensione dinamica all’ottenere un risultato con il minimo sforzo. “Water, electricity, the simple things you take for granted are part of our project mandate. We expect to make comfortable buildings and spaces. Only, we have 10 thousand more challenges” 2.L’architettura africana assume una rilevanza importante perché si confi gura come emblema di una forte complessità e contraddizione. Infatti essa, se da una parte, nelle com-ponenti, materiali e tecnologie, trae le sue radici dal verna-colare, espressione più alta di un “minimalism”3 inteso come semplicità e come perfetto accordo del rapporto prestazione-

02

03

Page 62: OFFICINA* 02

58 OFFICINA*

04 - Alcuni pannelli dell’esposizione Young Architects in Africa, di AS.Architecture-Studio durante il Vernis-sage dell’esposizione.05 - La sala d’ingresso dell’esposizione.06 - La sala laterale del piano terra di Pal-azzo Ca’ Asi.

forma, dall’altra parte è espressione di una eterogeneità ele-vata di istanze, che l’architetto deve prendere in esame. Un architetto che diventa “il coordinatore e il direttore d’orchestra assieme, colui che dà inizio ma anche accompagna”4 secondo Jean-Louis Cohen, un processo continuo di costruzione di una città, quella africana, che sembra espandersi dall’interno.Tra i temi trattati, che emergono dai progetti esposti, è chia-ro il legame al vernacolare, un carattere di sedimentazione dei processi tipici delle popolazioni africane (e non solo), che oggi si mescola alle nuove tecnologie e tendenze dell’archi-tettura contemporanea: molti degli architetti africani han-no compiuto i loro studi all’estero. “The European mindset and African mindset collide and that turns into something beautiful”5. Questa caratteristica permette la presenza di un’eterogenei-

tà di soluzioni architettoniche che si deve necessariamente sempre relazionare con l’abitante.

Autocostruzione: abitanti come risorsaLa sfi da del concepire architettura in e per l’Africa, come molti hanno sottolineato, si gioca sull’esigenza di creare la semplicità a fronte delle complesse esigenze del fruitore: “the more effort you put to make it look easy, the more effort it takes”6, spiega l’architetto Bruce Rowland durante la conferenza.Tra le risorse più presenti in Africa, e probabilmente meno considerate, vi è infatti la collettività, l’abitante che è spesso forza lavoro per la concretizzazione dei processi architet-tonici. La comunità diventa il soggetto a cui si indirizza la costruzione e assieme il costruttore, non solamente materia-

04

Page 63: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 59

autocostruzione, inestimabile ricchezza di un processo edilizio “ “

le, ma anche costitutivo del progetto7. “Projects are challenges, because projects are very community-based and community- involved”8. È il progetto stesso in alcuni casi che si confà alle necessità dell’abitante in un continuo modifi carsi, una incessante me-tamorfosi dinamica del processo: a volte si decide di lasciare piccole parti del progetto incompiute, per far sì che siano gli abitanti “to fi nish the design to meet their own needs”9; altre volte, si predispone la possibilità di ampliamenti futuri, secondo i bisogni, prevedendo sia l’espansione in senso verticale che in orizzontale10.Il tema dell’autocostruzione è tra quelli evidenziabili nei pro-getti. Autocostruzione, inestimabile ricchezza di un proces-so edilizio, quello africano, che fa continuamente i conti con l’importazione dell’85% dei materiali utilizzati nella costru-zione11. Ma oltre alla ricchezza della forza lavoro, la necessità della costituzione di un vero insegnamento di progettazione urbanistica è ciò che l’architetto Martin Robain, fondatore di AS, ha riscontrato nella presa in esame dei progetti. Le città sembrano espandersi dall’interno, con una logica che è stata più volte defi nita durante la conferenza di caos, random. Ma anche nel caos ci può essere una certa poesia data proprio dall’approccio spontaneo, dalla necessità di adeguatezza,

05

06

Page 64: OFFICINA* 02

60 OFFICINA*

dalla community energ y che crea ciò di cui necessita, una rispo-sta primaria, naturale alle necessità umane. Forse è proprio così: l’Africa “è il continente dove l’architettura sarà più esemplare: economia di mezzi, ecologia e soprattutto una risposta all’esistenziale-umano.”12

* Arianna Garatti, Laureata in Lingue e Letterature Europee, Americane e Postcoloniali all’Università Cà Foscari di Venezia.

NOTE

01 - Dalla presentazione di AS.Architecture-Studio.02 - Alessio Lacovig (AOJ), durante la conferenza.03 - Il termine minimalism, o forse più correttamente minimal, come sottolineato dall’architetto Roueyda Ayace, moderatrice del confronto, è stato uno dei temi chiave della tavola rotonda. Il concetto come lei stessa spiega è quello di riuscire a fare qual-cosa di successful con il minimo sforzo.04 - Jean Louis Cohen, Storico e professore di architettura, NYU, commissario del Padiglione Francese della XIV Biennale di Architettura di Venezia, da Young Architects in Africa, catalogo dell’esposizione dell’evento collaterale, AS.Architecture-Studio, Parigi, giugno 2014, p.28.05 - “La mentalità europea e la mentalità africana collidono e si crea qualcosa di bello”. B.Rowland in verbis, durante la conferenza svolta il 5 giugno 2014 presso il palazzo Cà Asi di Venezia.06 - “Più ti sforzi per far sì che sia semplice, più sforzo devi fare”.07 - Boubacar Seck sottolinea le contraddizioni del lavoro in Afri-ca, contesto in cui spesso il raggiungimento del cantiere, richiede molta energia, in termini di bilan carbon, di footprint.08 - M.Droomer in verbis, durante la conferenza.09 - “..a fi nire il design dell’oggetto architettonico secondo i propri bisogni”, M.Mutanda in verbis, durante la conferenza.10 - Liberamente riportato dal discorso di M.J.Wilson.11 - Dato riportato da K.Banning durante la conferenza nell’ambito del vernissage dell’esposizione.12 - L’arch. Martin Robain, in AS.Architecture-Studio, Young Ar-chitects in Africa, catalogo dell’esposizione dell’evento collat-erale presso la XIV Biennale di Architettura di Venezia, p.31.

07

08

Page 65: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 61

una tensione dinamica all’ottenere un risultato con il minimo sforzo “ “

07 - La table ronde “Mieux construire en Afrique”.08 - Pannello del progetto di Orko Sanchez.09/10 - La sala d’ingresso dell’esposizione, con i pannelli del progetto di Mieke Droomer & André Christensen.

Tutte le foto sono dell’autrice.09

10

Page 66: OFFICINA* 02

62 OFFICINA*

DECLINAZIONI

di Michele Menegazzo

Derivato dai termini latini tassella, diminuti-

vo di tessera, e taxillus, che signifi ca “piccolo

dado”, il termine può indicare più elementi di

diversa natura e consistenza tra i quali, an-

zitutto: un piccolo pezzo di vario materiale

utilizzato come elemento di intarsi o di mo-

saici, per mascherare difetti nei materiali da

costruzione o per eseguire restauri e rifi niture

nei mobili.

Il termine indica anche i blocchetti in legno

che venivano un tempo murati nelle pareti, per

permettere l’inserimento di chiodi, viti o ganci

e il sostegno di oggetti. Per estensione, con lo

stesso termine identifi cano molti elementi di

fi ssaggio e di collegamento meccanici, in genere

a espansione, o chimici da inserire in appositi

fori praticati nei diversi supporti (legno, mura-

tura, pietra, calcestruzzo).

dal “Dizionario degli elementi costrut-tivi”, diretto da G.V.Galliani, Utet, 2001.

di Chiara Trojetto di Michele Menegazzo

Page 67: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 63

Tassello /ta’s:εl:o/ s. m.

Page 68: OFFICINA* 02

64 OFFICINA*

Architetto a Dakar e Bordeaux.

Copresidente del C2D (Conseil de développement Durable de la Commu-

nauté Urbaine de Bordeaux), l’architetto senegalese Boubacar Seck è incar-

icato della comunicazione del Conseil de l’Ordre des Architectes d’Aquitaine

e redattore capo della sua rivista «Le 308».

Lavora tra Bordeaux, Parigi e l’Africa (Dakar, Abidjan, Casablanca et Nd-

jaména), è associato con gli architetti Cherif Diattara et Mbaye Sène (Archi

art Concept) a Dakar. Attualmente, il suo studio professionale, associato

con BOM architecture, ha ricevuto l’incarico di costruire la scuola del cin-

ema a Ndjamena, mentre il cantiere di un altro suo progetto, la scuola di

Manécounda in Senegal, è in via di ultimazione.

Com’è nato il vostro studio di progettazione, di cosa si occupa e com’è

gestito?

Il nostro studio di progettazione è nato da un incontro all’università, in Francia. Abbiamo poi scoperto di aver frequentato lo stesso liceo a Dakar. Condividiamo anche la vita tra Europa ed Africa. Per quanto riguarda i progetti, proviamo ad elaborare una produzione architettonica abbastanza diversifi cata, che spazia dalla casa unifamiliare ai grandi cantieri di edilizia sociale, o agli incarichi dei governi africani (es. Call Center in Marocco, Alloggi collettivi a Abidjan o Dakar, edifi ci per il terziario e per l’educazione e la cultura). Attualmente tra i numerosi progetti dello studio, associato con BOM Architecture, abbiamo ottenuto la commessa per la costruzione della Scuola del Cinema a Ndjaména in Chad.Insegnamo a Bordeaux e a Dakar, e partecipiamo a numerosi incontri internazionali (Bruxelles, Les Rencontres de Lomé, Biennale di Dakar, Université Populaire du Patrimoine de Casablanca, Commission Nationale du Débat Public a Parigi, Rencontre des Communautés Urbaines a Marsiglia...)Tutte queste attività permettono una continua rifl essione sul paesaggio architettonico in Europa e Africa.

Boubacar Seck

Abbiamo intervistato l’architetto di origine senegalese Boubacar Seck, architetto a Bordeaux e Dakar.

Lo abbiamo interrogato sulla sua visione dell’architetura africana in rapporto al contesto

occidentale.

di Francesca Guidolin

MICROFONO ACCESO

Page 69: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 65

Quali sono le differenze, secondo la vostra esperienza, tra nuovi studi di

architettura africani e studi affermati? In relazione a questo salto generazi-

onale, cambia il modo di concepire l’architettura?

Cito spesso lo storico francese Marc Bloch “Nous sommes plus les fi ls de notre temps que ceux de nos pères.”1 I giovani architetti sono legati alla loro epoca. A breve, la metà della popolazione del pianeta vivrà in città e nelle metropoli africane la crescita demografi ca è già molto veloce.Questa progressione della modernità è accompagnata dallo spostamento della ri-fl essione non più sull’asse dell’urbanizzazione ad oltranza, ma sulle nuove forme di concepire l’urbanizzazione, tenendo presente che la modernizzazione non si attua più attraverso le “superstructures”. La modernità si, la modernizzazione no. La convinzione che è una necessità quella di far evolvere la città coloniale non è più un tabù, ma non credo che i giovani architetti siano in ginocchio davanti a questa geniale architettura. Concepita spesso in altro luogo rispetto al continente, gli

la modernizzazione non si attua più attraverso le superstructures“ “

01 - Boubacar Seck, architetto.

01

Page 70: OFFICINA* 02

66 OFFICINA*

esempi sono Casablanca e Ganvié, ma anche Barcellona e Copenhagen. Un’altra differenza fondamentale è che noi siamo la generazione 2.0. Oggi viene data la parola anche le persone che non fanno parte di grandi studi: la maggior parte dei giovani architetti ha dei siti internet anche se ancora non hanno costruito le proprie architetture. Esperienze come i workshop sono allo stesso modo delle magnifi che opportunità di incontro, per sentire le voci del mondo, e quindi di costruire con correttezza.

In che senso l’architettura africana è portatrice di un insegnamento e qual

è l’importanza del vernacolare in questa circostanza?

Un progetto di architettura in Africa è spesso una vera sfi da per lo sviluppo, una sfi da politica, a volte addirittura si tratta di mettere un intero popolo in movimento. È ciò che fa Francis Keré a Gando (Burkina Faso) costruendo sia con gli anziani che con i giovani. È costruire degli edifi ci residenziali di grande qualità, qualunque sia lo standard nelle capitali africane, è anche mostrare un’immagine positiva di un’Africa urbana dinamica, lontana dai clichés della povertà.È ciò che fanno Guillaume Koffi e Issa Diabaté ad Abidjan. È costruire una Scuola di Cinema a Ndjamena, come messaggio di pace, in Chad, in un paese dove si parla esclusivamente attraverso la guerra. Costruire una scuola materna in Casamance in Senegal, in un villaggio che ha un insegnante ma non ha scuole; è un imperativo per l’educazione dei nostri fi gli. È ciò che tentiamo di fare.L’impegno sociale è forse il vero insegnante. Ciò che voi chiamate «vernacolare» è ciò che io considero come due punti chiave dell’architettura: l’economia del progetto e il suo contesto.Costruire in un sito con la terra battuta, i cui depositi si trovano in prossimità, non è solamente una esigenza, ma un dovere.

Il continente africano è un territorio in sviluppo costante dal punto di vista

architettonico. Proprio per questo motivo gli occhi sono puntati su di esso.

I giovani architetti africani possono dare degli insegnamenti per quanto

a volte addirittura si tratta di mettere un intero popolo in movimento“ “

02 - Immeuble de logements à Dakar.©Architectes Boubacar Seck, Chérif Diat-tara, Mbaye Sène (Archi art concep).03 - Ecole de cinéma de Ndjaména, Vue aérienne. ©Architectes Boubacar Seck et BOM Ar-chitecture.04 - Ecole de cinéma de Ndjaména. Vue de l’esplanade. ©Architectes Boubacar Seck et BOM Ar-chitecture.

02

03

04

Page 71: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 67

riguarda questi argomenti, al mondo intero?

Si, tre volte si. I giovani architetti africani hanno fatto della debolezza la loro forza: il fatto che non vi siano scuole di formazione per l’architetto nel continente ci ha spinto a “disertare”. Questo esilio, forzato o per libera scelta, sviluppa in questa generazione delle fi gure professionali ibride, che giocano con una doppia cultura per mettere in opera delle “interurbanité” come gli scrittori operano con delle “intertexualité”. Mi sembra sia importante per noi continuare a sviluppare quella che è la nostra forza: aprirci al mondo restando noi stessi. Aprirci ma senza complessi. Le metropoli africane non sono più unicamente delle “villes cruelles” come descriveva Eza Boto. Esse sono anche terreno di studio come Lagos è stato per Rem Koolhaas e i suoi studenti di Harvard. Si può, come diceva Gregory Scruggs “s’imprégner de la densité de l’informalité et de la vitalité de certaines villes du Sud»2.Penso ad un aneddoto di una giovane studentessa senegalese, bocciata al secondo ciclo di una scuola di architettura francese perché a detta della commissione esaminatrice “manque de culture architecturale”. Infastidita, lei chiese se potevano

05 - Chantier de l’Ecole maternelle a Manecounda, Senegal. ©Architecte Boubacar Seck.

05

Page 72: OFFICINA* 02

68 OFFICINA*

citarle il nome di un architetto africano. Non riuscirono a citare alcun nome.Se tutto ciò può servire ad aiutare dei professori occidentali a riattualizzare la loro conoscenza della cultura architettonica africana e conoscere David Adjaye (Ghana), Rachid Andaloussi (Marocco), Mokena Makena (Africa del sud), Jean-Charles Tall (Sénégal), non è poi così male, no?

L’architetto Kotto ha detto «Les innovations techniques ont amené des

changements (es. De la ventilation à la climatisation) – ça symbolise la rupture

avec l’empire colonial.»3 Le innovazioni tecnologiche possono apportare dei

cambiamenti, e come, in quale misura, nell’architettura africana?

Sono d’accordo con la rottura. L’ho evocato poco fa d’altra parte, con il discorso sull’ evoluzione di questa città coloniale.In cambio, non sono sicuro che noi abbiamo mai trovato niente di meglio di certi sistemi di ventilazione come lo spazio tampone che rinfresca gli edifi ci o i balconi che creano un’ombra portata. Le regolamentazioni termiche di oggi possono impedire di aprire le fi nestre per aerare una stanza. È inconcepibile. Infatti si vedono in molte città africane delle piccole edicole per la climatizzazione davanti alle facciate degli edifi ci. «La seule connaissance technologique ne suffi t pas à faire la différence pour repenser les villes»4, diceva il senegalese Alioune Badiane. Più che l’energia dispersa o l’energia grigia, ciò che mi sembra più importante prendere in considerazione nel processo di progettazione, è l’energia della “materia grigia”.

06

Page 73: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 69

NOTE

01 - “Noi siamo più fi gli del nostro tempo che dei nostri padri”. Marc Bloch, Storico francese (Lione 1886 - Les Roussilles, Lione, 1944); professore di storia medievale a Strasburgo (1919) e dal 1936 di storia economica alla Sorbona.(N.d.T)02 - “Impregnarsi della densità, dell’ informalità e della vitalità di certe città del Sud”. Gregory Scruggs, giovane ricercatore all’università newyorkese di Columbia, in C. Losson, “Forum urbain mondial: lesvilles du Sud prennent leur envol”, Liberation 12, 13 aprile 2014.(N.d.T.)03 - “Le innovazioni tecniche hanno apportato dei cambiamenti (es. dalla ventilazione naturale alla climatizzazione) - ciò simboleggia la rottura con l’ impero coloniale.”04 - “La conoscenza tecnologica da sola non basta per fare la differenza nel ripensare le città”.

06/07 - Ecole de Manécounda. ©Architecte Boubacar Seck.

Consumo più energia io andando al mio cantiere sperduto a Casamance, che non la scuola che noi costruiamo. Ma laggiù tutto il villaggio ci aiuta sinergicamente a completare il nostro disegno. Un edifi cio o un paesaggio pensato in relazione appropriata con le variabili dell’architettura che sono il contesto, la topografi a, il clima, l’economia, la destinazione d’uso (il programma) e la cultura, porterà di fatto a delle innovazioni tecniche. È di una semplicità disarmante, ma è un percorso che resta diffi cile.

07

Page 74: OFFICINA* 02

70 OFFICINA*

L’uomoartigiano

Richard Sennett, 2008

Fa cura di Chiara Trojetto

CELLULOSA

stieri che Richard Sennett considera per descrivere L’uomo artigiano.Il saggio, edito nel 2008 con il titolo originale “The craftsman” (Yale Univer-sity Press), analizza l’evoluzione del rapporto tra l’uomo e il “saper fare” dai tempi più antichi ai giorni nostri: no-nostante nella storia naturale il tempo occupato dalle invenzioni dell’uomo sia molto breve – un solo minuto nell’i-potetico fi lm di due ore sulla storia animale immaginato dal biologo John Maynard Smith - questo rapporto si è declinato in molti modi ed è in conti-nuo divenire.«Una delle prime celebrazioni dell’artigia-no compare nell’inno omerico a Efesto, il dio protettore degli artigiani»: nell’antica Gre-cia essi non erano dei tecnici, ma dei civilizzatori, coloro che usavano gli attrezzi per un bene collettivo e tra-mandavano le proprie abilità ai posteri. Fu Aristotele a determinare un cam-biamento nell’accezione del termine abbandonando demiourgos in favore

ilosofi , architetti, orafi , scienziati e persino cuochi: sono numerosi ed eterogenei i me-

di cheirotechnes, lavoratore manuale: questo comportò delle conseguenze a livello sociale in quanto la maggior par-te delle “arti domestiche” riservate alle donne e un tempo celebrate, persero il loro prestigio. «Lo sviluppo della scienza classica contribuì alla divisione delle abili-tà tecniche lungo i confi ni di genere che diede luogo alla connotazione maschile della parola artigiano, particolarmente evidente nel termine inglese craftsman»: ancora oggi le attività domestiche quali il cucinare o l’allevare i fi gli appaiono di natura diversa dalle attività lavorative svolte al di fuori delle pareti di casa.L’infl uenza della civiltà antica è riscon-trabile anche in un altro aspetto della società moderna: il sistema operativo open source Linux «[...] è un manufatto pubblico» e i suoi creatori incarnano al-cuni degli elementi celebrati nell’inno a Efesto. Il codice sorgente del sistema è accessibile a tutti e tutti lo possono adattare, con una fi losofi a simile all’im-plementazione delle voci di Wikipedia, tuttavia l’accesso aperto porta con sé il problema della qualità e, naturalmente, dell’uso degli strumenti tecnologici, delle macchine: «la progettazione assistita dal computer può servire da emblema di una

Page 75: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 71

Richard Sennett (Chicago, 1 gennaio 1943) è un sociologo, critico letterario e scrit-tore statunitense che si occupa del rap-porto tra individuo e ambito urbano e di teoria della socialità e del lavoro. Insegna sociologia alla New York University e alla London School of Economics.

sullo scaffale

grande sfi da alla quale la società moderna si trova di fronte: come continuare a pensare da artigiani facendo un uso corretto della tecno-logia».Una possibilità, scrive l’autore, è «[...] imparare dalla macchina qualcosa di positi-vo sulla nostra umanità», apprezzando le irregolarità del lavoro fatto a mano e distinguendo tra replicante, un artefat-to che replica, appunto, un’azione fatta dall’uomo, e robot, un ”uomo poten-ziato” che lavora più velocemente, con minor margine di errore e che non co-nosce stanchezza.Il talento, la curiosità, la coscienza ma-teriale, impossibili da attribuire a un macchinario, sono un’esclusiva dell’uo-mo artigiano, così come lo è l’imma-ginazione, descritta come qualcosa che ci viene incontro e che prepara il terreno all’intuizione, che «[...] scatta a partire dal sentimento che ciò che ancora non esiste potrebbe esistere». Sono dunque gli attrezzi a dare concretezza all’esperien-za immaginativa e a portarla a risultati produttivi.Uno degli ultimi capitoli di questo den-so saggio regala al lettore una sorta di decalogo delle caratteristiche del “bra-vo artigiano”, che trova il positivo nel-

le limitazioni, tollera l’incompletezza evitando di accanirsi nella ricerca della perfezione e capisce quando è il mo-mento di smettere.L’uomo artigiano fa del saper fare bene le cose per il proprio piacere una regola di vita decisamente attuale e riscontra-bile nelle azioni dell’uomo a qualsiasi scala: dalla creazione di un piccolo vaso in ceramica alla complessa organizza-zione di eventi d’interesse mondiale.

Stefano MicelliFuturo artigiano. L’innovazione nelle mani degli artigianiMarsilio, 2011

Francesco FranchiDesigning NewsChanging the World of Edi-torial Design and Informa-tion GraphicsGestalten, 2013

Page 76: OFFICINA* 02

72 OFFICINA*

Sostenibilità nello scenario africano

di Alice Tasca*

ARCHITETT’ALTRO

con quella degli architetti”1. Il profondo signifi cato di questa cita-zione è ciò che mi ha spinto nel No-vembre 2011 a trasferirmi in Ruanda, piccolo Paese dell’est-Africa dove in-segno Progettazione Architettonica III e Design Sostenibile alla Scuola di Architettura dell’Università di Kigali (UR) e dove da un anno collaboro con uno studio di architettura che si occu-pa di progettazione e costruzione di scuole e ospedali in collaborazione con Unicef e altri partners2.Quando ho scelto di specializzarmi in Architettura per la Sostenibilità nel 2008 allo Iuav di Venezia, non immagi-navo che l’approccio accademico fosse così lontano dalla realtà che sto speri-mentando in Africa: lo studio di ener-gie rinnovabili, cambiamenti climatici e design integrato è generalmente fi -nalizzato all’impiego di sistemi attivi e alla certifi cazione energetica. L’inter-pretazione del termine sostenibilità per mezzo di questi soli ambiti genera però

L’ architettura agli occhi di un occidenta-le non ha nulla a che vedere con la soprav-vivenza, tranne che

un punto di vista assai parziale. Se si considera reale la previsione che la popolazione mondiale raggiungerà i nove miliardi entro il 2050, e che i paesi emergenti saranno i primi spettatori di questo boom demografi co3, i problemi collegati alla crescita sociale, economi-ca e ambientale di nazioni come India e Cina ed il continente africano acquisi-scono una certa rilevanza. Questi Paesi, che sono spesso lontani dal porsi pro-blemi sul consumo delle risorse, altresì aspirano a uno sviluppo sul modello occidentale, ma l’esperienza ci insegna che più alti sono gli standard di vita e

VENEZIA

Architettura in Ruanda: com’è cambiato il mio punto di vista.

Page 77: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 73

meno sostenibile diventa il progresso4. Il Ruanda, come altri stati africani, ha un’economa basata soprattutto su investimenti esteri, aiuti fi nanziari di organizzazioni non governative e fondi internazionali per lo sviluppo. Vivendo in tale contesto la sensazione è, da una parte, di essere trainati e travolti dal-la crescita economica che trasforma la città in modo visibile, dall’altra di esse-re testimoni di un ripetersi di errori e strategie di stampo capitalista che han-no portato, tra le varie cose, polarizza-zione della ricchezza, squilibri sociali, inquinamento, consumo energetico e crisi economiche già sperimentati in occidente. È evidente come sia di estre-ma diffi coltà trovare un punto d’incon-tro tra la rincorsa e l’aspirazione a un progresso su modello del primo mondo e la riduzione del consumo di risorse5. Per questo nell’ambito dell’architettura diventa fondamentale il ruolo del pro-gettista, non solo come esecutore di un oggetto che combini forma, funzione ed estetica, ma anche come catalizzato-re di tradizione e stile di vita locale in un prodotto contemporaneo e soprat-tutto sostenibile. Vivere, insegnare e

progettare in Ruanda hanno cambiato il mio punto di vista, mi hanno fatto riconsiderare il signifi cato del termine sostenibilità e maturare un pensiero critico nei confronti dell’interpreta-zione del termine. La ricerca sull’ar-chitettura vernacolare e sui sistemi di costruzione locali, iniziata nel 2010 e in continuo sviluppo, mi ha spinta alla pratica e all’insegnamento di una progettazione profondamente conte-stualizzata. Essa si basa, da una parte, su autocostruzione, riciclo, riuso e im-piego di materiali a chilometro zero, dall’altra sulla sensibilizzazione di stu-denti e comunità locali a problemi di natura socio-economica, le cui soluzio-ni dovrebbero essere commisurate alle necessità ambientali più che basarsi su modelli di sviluppo occidentali. Secondo l’architetto e teorico Yona Fri-edman “un’architettura è di sopravvivenza se non rende diffi cili l’approvvigionamento di ac-qua, la protezione climatica e l’organizzazio-ne dei rapporti sociali e non vi è architettura tradizionale che non rispetti questi criteri (…) provando a trasformare il modo in cui l’uomo impiega le cose esistenti”6. Personalmente trovo questa citazione adatta all’inter-KIGALI

5555 km

01 - Kigali_quartiere informale: la mag-gior parte della superficie della città di Kigali è occupata da quartieri informali _ Picture by Alice Tasca 2010.02 - Kigali city center: il centro di Kigali rispecchia un’architettura di stampo occi-dentale con ampio utilizzo di calcestruzzo e vetro per la costruzione di torri sede di banche, uffici e centri commerciali _ Pic-ture by Sebastian Kranz 2014.03 - Kigali masterplan: la visione per la città nei prossimi 10 anni. L’idea è di tras-formare Kigali nella Singapore d’Africa _ Kigali master plan by Thomas Goodfellow 2012.

01

02

03

Page 78: OFFICINA* 02

74 OFFICINA*

“riconsiderare il significato del termine sostenibilità e maturare un pensiero critico nei confronti dell’interpretazione del termine

“pretazione del termine sostenibilità nello scenario Africano: l’architettura vernacolare si basa sul principio della sopravvivenza, sul soddisfacimento dei bisogni minimi (approvvigionamento idrico, protezione dagli agenti atmosfe-rici e rapporti interpersonali) e sull’uso di materiali disponibili in spazio e tem-po immediati. La tradizione, dunque, le soluzioni tecnologiche defi nite dall’e-sperienza, i sistemi passivi e l’analisi ambientale sono principi fondamentali da cui partire per uno sviluppo soste-nibile e l’esperienza che sto vivendo mi ha fatto capire come questi non siano ritenuti fondamentali agli occhi della maggioranza.

* Alice Tasca è architetto, laureata all’Uni-versità Iuav di Venezia. Lavora in Ruanda.e-mail: [email protected]

NOTE

1/6 - Friedman Yona, L’architettura di so-pravvivenza - una filosofia della povertà, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.2 - www.activesocialarchitecture.com 3 - United Nations Population Division, World Population Prospects, The 2008 Revision.4 - Global Footprint Network 2008.5 - Intese come risorse energetiche, ma anche capitali sociale, economico e am-bientale.

04 - Finestra: circa l’80% degli edifici ru-rali in Ruanda è costruito in terra _ Picture by Alice Tasca 2010.05 - Ventilazione_riuso: copricerchi uti-lizzato in costruzione per la ventilazione naturale del sottotetto _ Picture by Alice Tasca 2010.06 - T-riciclo: sulla base di una mancanza di oggetti di uso comune, riuso e riciclo sono ampiamente impiegati in Ruanda in diversi ambiti _ Picture by Alice Tasca 2013.

06

0504

Page 79: OFFICINA* 02

N.02 SET-OTT 2014 75

(S)COMPOSIZIONE

“Cause he had to run, run, run, run, run”

La Sportiva Lynx GTX3700 km percorsi

Immagine di Luca Colomban

Run, Run, Run, The Velvet Underground, 1967

Page 80: OFFICINA* 02