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CRONACHE E TESTIMONIANZE DAL DISAGIO MENTALE AL BENESSERE PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE OLTRE IL GIARDINO ONLUS NUMERO 8 DISTRIBUZIONE A OFFERTA LIBERA oltre il giardino EDITORIALE Una cura che arriva da lontano MAURO FOGLIARESI C’era un motivo perché il colle del San Martino era dimenticato, c’erano dentro i cosiddetti “matti”. C’è un motivo perché oggi il colle del San Martino viene dimenticato, perché i cosiddetti “sani” fanno “cose da matti” fuori. Teste appisolate sulle loro comode “scrivanie infeconde”. Erano lì da 40 anni gli ultimi abitanti sul colle: Ambrogio cantava, Alfredo amava il verde, Luigi addirittura credeva nei miracoli… Ma quali miracoli? Il manicomio ha chiuso, e si è aperto al nulla il futuro del colle… Troppe parole e sguardo basso, nella city degli affari si respira male. Per il colle cambiano a iosa i direttori generali, ma in generale non cambia nulla. Il principio aziendalistico del profitto disumanizza e rende greve il passo. Tutto langue. E il bene comune? Abbiamo progettato nell’area un parco cittadino, una cittadella delle associazioni nella palazzina centrale, un museo fotografico con la storia e le immagini dell’antico manicomio; di concreto abbiamo già realizzato il betulleto del Bosco delle parole dimenticate, organizzato i concerti dei vecchi De Sfroos, promosso una serie innumerevole di laboratori creativi e manifestazioni ad aprirsi sul territorio, si è pubblicato un libro fatto memoria, Le Stagioni del San Martino: nulla. Anche l’archivio storico sparito. E il Campus universitario? Il parco cittadino? Ancora una volta, più volte, di nuovo, il progetto rimandato, “bocciato”. Proprio oggi nel Parco del San Martino hanno avvistato una volpe. Come quella del Piccolo Principe? «... disse la volpe: “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi?”». Già, l’essenziale è invisibile agli occhi, e i nostri redattori si sono giocati la loro sensibilità, le loro sofferenze, il loro vedere oltre, proprio per dare un nome a questo “essenziale” che per noi oggi ha un nome: “autenticità”. E in questo percorso “prendersi cura di sé” è stato un passaggio duro, difficile ma irreversibile. Di questo parla l’ultimo numero della rivista, della Cura e di “Chi siamo?”, “Da dove arriviamo?” e “Dove stiamo andando?”. Le radici (la memoria ), il fusto (il presente) e la chioma (il futuro) sono parte armoniosa dello stesso albero. Un albero che ha un nome: “Stare bene con se stessi e con gli altri” e il nostro volerlo testimoniare scrivendo in libertà. «La libertà non è star sopra un albero, libertà è partecipazione», canta Gaber. Con noi: “Oltre il giardino”.

Oltre il giardino numero 8

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il nuovo numero sulla cura

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Page 1: Oltre il giardino numero 8

cronache e testimonianze dal disagio mentale al benesserePeriodico dell’associazione Oltre il GiardinO Onlus ● numero 8 ● distribuzione a offerta libera

oltre il giardino

editoriale

Una cura che arriva da lontano

MaUro Fogliaresi

C’era un motivo perché il colle del san Martino era dimenticato, c’erano dentro i cosiddetti “matti”. C’è un motivo perché oggi il colle del san Martino viene dimenticato, perché i cosiddetti “sani” fanno “cose da matti” fuori. Teste appisolate sulle loro comode “scrivanie infeconde”. erano lì da 40 anni gli ultimi abitanti sul colle: ambrogio cantava, alfredo amava il verde, luigi addirittura credeva nei miracoli… Ma quali miracoli? il manicomio ha chiuso, e si è aperto al nulla il futuro del colle…Troppe parole e sguardo basso, nella city degli affari si respira male. Per il colle cambiano a iosa i direttori generali, ma in generale non cambia nulla. il principio aziendalistico del profitto disumanizza e rende greve il passo. Tutto langue. e il bene comune? abbiamo progettato nell’area un parco cittadino, una cittadella delle associazioni nella palazzina centrale, un museo fotografico con la storia e le immagini dell’antico manicomio; di concreto abbiamo già realizzato il betulleto del Bosco delle parole dimenticate, organizzato i concerti dei vecchi De sfroos, promosso una serie innumerevole di laboratori creativi e manifestazioni ad aprirsi sul territorio, si è pubblicato un libro fatto memoria, le stagioni del san Martino: nulla. anche l’archivio storico sparito. e il Campus universitario? il parco cittadino? ancora una volta, più volte, di nuovo, il progetto rimandato, “bocciato”. Proprio oggi nel Parco del san Martino hanno avvistato una volpe. Come quella del Piccolo Principe? «... disse la volpe: “ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. l’essenziale è invisibile agli occhi?”». già, l’essenziale è invisibile agli occhi, e i nostri redattori si sono giocati la loro sensibilità, le loro sofferenze, il loro vedere oltre, proprio per dare un nome a questo “essenziale” che per noi oggi ha un nome: “autenticità”. e in questo percorso “prendersi cura di sé” è stato un passaggio duro, difficile ma irreversibile. Di questo parla l’ultimo numero della rivista, della Cura e di “Chi siamo?”, “Da dove arriviamo?” e “Dove stiamo andando?”. le radici (la memoria ), il fusto (il presente) e la chioma (il futuro) sono parte armoniosa dello stesso albero. Un albero che ha un nome: “stare bene con se stessi e con gli altri” e il nostro volerlo testimoniare scrivendo in libertà. «la libertà non è star sopra un albero, libertà è partecipazione», canta gaber. Con noi: “oltre il giardino”.

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la ForZa e la CUra

vita spericolata

il coraggio di vivere

la più bella cosa che si avesse in quella casa.a un certo punto mia madre ci ha portato a vivere in una casa popolare in una zona piena di tossici. con questi mia sorella si faceva e se ne fregava di noi.anch’io a undici anni ho iniziato a drogarmi ed è solo perché ho avuto un collasso a scuola che non sono entrata nel giro della pedofilia e della prostituzione.a quel punto mi hanno mandato in un collegio in cui sono stata fino a diciotto anni, prima di andarmene via a ricominciare tutto. il mio ragazzo sapeva di essere sieropositivo ma mi diceva che se non usavo le sue siringhe non lo amavo. mi picchiava e spesso mi violentava. ora sta morendo e non mi dispiace per niente. mi ha rovinato la vita.

dopo essermi lasciata con lui sono entrata in comunità e dopo due anni sono venuta a como. mia madre era stata internata, mio fratello adottato e mia sorella in carcere.La figlia del mio patrigno è morta perché suo marito gli aveva attaccato l’hiv e lei nemmeno si drogava.io mi sono sposata con un uomo spregevole che ha accettato la mia malattia per rinfacciarmelo sempre. Purtroppo io sono sempre stanca ma lui diceva che non avevo voglia di lavorare (ho lavorato vent’anni), non uscivamo mai e odiava andare al cinema, la qual cosa mi ha fatto perdere tutti gli amici. È da lì che ho cominciato a bere per farmi forza, per riuscire a far l’amore con lui.lavoravo, ho sempre lavorato, ho fatto anche lavori pesanti.Poi abbiamo preso un’edicola in gestione e si lavorava sempre in più; avevo la casa a cui badare, sette gatti, lavare, stirare, e fare da mangiare. una volta mi ha detto che era vero che ero ammalata ma non avevo sintomi mentre lui invece lavorava come un “matto” e non si

lamentava. bevevo e in più cercavo di avvelenarmi con le pastiglie. ho deciso quindi di farmi ricoverare in una clinica per alcolisti e lui ha venduto la casa lasciandomi senza nulla.a questo punto mi chiedo ancora: “che cos’è la cura per me?”sono senza casa, senza lavoro, malata, la pensione che sto prendendo è una vergogna. cosa mi curo a fare, per sopravvivere?Vorrei vivere per una volta. mi chiedo perché mi hanno salvato e perché ancora mi dicono di prendere la medicina obbligandomi a farlo.che futuro ho?sono in una casa albergo piena di anziani e non mi daranno mai una casa popolare con quello che guadagno.nel mio caso la cura è un peso e serve ai medici e alle persone che mi curano per sentirsi la coscienza pulita. le pastiglie, tutte le cure che vuoi non servono a niente se non hai un barlume di felicità all’orizzonte. così la penso io con tutto il rispetto per le persone che si curano e magari vogliono vivere e non ce la fanno.Ho paura di finire i miei giorni in psichiatria come mia madre, in più poiché ho rubato (non chiedetemi perché visto che non l’avevo mai fatto prima), ho la nomina di ladro seriale. ce la sto mettendo tutta ma non mi credono e danno la colpa a me anche quando sono innocente. certe volte non ce la faccio più e solo la redazione di “oltre il giardino” e il disegno mi danno la forza di continuare.

roBerTa Dal Corso

che cos’è per me la cura?odio il mio corpo forse perché odio ciò che sono: sono sieropositiva e ho l’epatite b e c.mi sono anche data all’alcol buttando via tante occasioni.dicono che dipende dal mio passato. mia madre veniva ricoverata in psichiatria

continuamente, mio padre è morto quando avevo due anni, mia sorella, sapendo la mia fobia dei ragni, si divertiva sadicamente a farmeli trovare ovunque, fino a farmi svenire.il mio patrigno ci picchiava con la frusta e dall’unione di mia madre con questo è nato fabio; ha nove anni meno di me,

● In alto: foto Sandro Ferrari.

● Qui a lato: Roberta Dal Corso (foto Mario Civati).

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gUarDarsi DeNTro

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luce bianca rumori metallici

Quando il prendersi cura vuol dire tornare in vita

improvvisamente pensai: «ora chi si prenderà cura di te?».Questo pensiero riuscii quasi a sentirlo e come una freccia scoccata da mani abilissime si insinuò nel mio petto e lì scoppiò!uno scoppio improvviso e inaspettato come solo le cose che uccidono o che risorgono possono essere.Fu un flash, uno dei tanti che in quel pomeriggio, o mattino o forse sera, avevo visto.ma dove ero? e che momento della giornata era mai quello? che cosa mi stava succedendo, di chi erano quelle voci ovattate che sentivo?«ora chi si prenderà cura di te?».e ti rividi bambina perderti tra strade conosciute e viuzze di luoghi mai esplorati. facevi sgusciare la tua manina dalla mia e improvvisamente non ti trovavo più..Piccola e indifesa vagavi senza percezione di niente, senza paure, senza linguaggio, senza... e che ne sapevo io veramente

di quale fossero le tue mancanze o le tue risorse?la paura mi paralizzava, il cuore pulsava all’impazzata e si andava a rifugiare in gola.dovevo avere il terrore nel mio sguardo, lo percepivo da come le persone mi guardavano e rispondevano alle mie domande. si guardavano attorno anche loro, si passavano informazioni spontaneamente, ti cercavano.io non sentivo più niente.lo stesso sentire ovattato di oggi.già, oggi... ma dove sono e che cosa mi è successo?Altro flash e mi ritrovavo a deporti addormentata su quella gelida macchina che ti avrebbe dovuto esaminare, fotografare, selezionare, scrutare.«dobbiamo fare una tac», mi dissero. «dovrà rimanere immobile, addormentata ma meglio sarebbe non sedata». cominciavano a richiedermi miracoli. avevi sette mesi, e quell’arnese era rumorosissimo.

«Vai piccola, la tua mamma è qui fuori ad aspettarti».luci bianche, rumori di acciaio, forse attrezzi, o sedie, o forse era il cigolare del lettino dove ero adagiata.già, ma dove mi trovavo?chi si prenderà cura di te, chi comprenderà i tuoi silenzi, chi tradurrà i tuoi eloquenti sguardi?e ti rividi nei corridoi della scuola materna dirigerti verso la grande palestra vestita da Puffetta.sembravi felice o forse volevi solo rassicurare la tua mamma.«signora, riesce a sentirmi? dovrei farle delle domande. ce la facciamo a rispondere?».Luci bianche, figure sfuocate, rumori ovattati. anche questa voce la sentivo lontanissima, rallentata, e uno stranissimo eco.e mi rividi mentre ti portavo in braccio su per le scale, entrare nella stanza dei grandi palloni.era piena di giochi colorati, tappeti... e musichette... e carillon.ti mettevo sul tappeto, ti svestivo e lì aspettavamo la terapista.Quasi tutti i giorni.Questo accadeva quasi tutti i giorni.faccio fatica a respirare.luce bianca rumori metallici.«signora, mi sente? si è svegliata? devo farle delle domande».E ancora flash, mi sparavano addosso fasci di luci bianche, o almeno così credevo. mi sentivo dentro o sopra un materasso d’acqua. ne sentivo il rumore.ma lei dov’è? le ho lasciato un biglietto sul mio comodino.solo a lei, solo per lei.ma che stupida sono! lei

non sa ancora leggerlo un biglietto così.la mia scrittura era incerta.forse non capirà. anzi, non capirà di sicuro.«forza bella e triste signora, forza che ce la facciamo, mi vede? certo che sì, vero? le sto tenendo la mano, mi indichi dove sono».no, no, non riuscirà a leggerlo quel biglietto e nessun altro glielo leggerà. ci rimarrà male non vedendomi. non capirà e si arrabbierà con me.forse è già ora della terapia e tra poco dovrà anche cenare, o pranzare o fare la prima colazione.chi avrà cura di lei? non ho lasciato il foglio con le indicazioni della sua terapia. magari non si ricordano a che ora deve prenderla.mi devo svegliare, forza apri gli occhi...«brava signora, ora un altro sforzo, ben tornata, ha dormito bene? mi vede, mi sente? che facciamo, riusciamo a rispondere a qualche domanda?Va tutto bene, per

● In alto: una sala dell'ex Ospedale Sant'Anna di Como.

● Sotto: Rosalba Perla.

sicurezza passerà qui la notte. domani la lascerò tornare a casa, sì, da lei. Parlava male e confusamente ma ho capito sa, che crede?non tema, continuerà a essere lei a prendersene cura. da domani però. ora riposi e ritorni a dormire».sono “rientrata”, sono “tornata a casa”.il biglietto è lì, al solito posto, sul mio comodino, da più di tre anni.lo lascio perché mi serva da monito.mai più! ho troppe cose che voglio e devo fare.Prima di tutto prendermi cura di lei!

rosalBa Perla

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e TUTTo TorNa BlU

una casa-famiglia per la cura

i ragazzi di atlantis

● Foto Mario Civati.

� atlantis in breVe atlantis è una comunità psichiatrica ad alta protezione. Nasce nel 1994 per iniziativa della Cooperativa sociale rainbow. Nel 2001 la sede si trasferisce da Cantù a Lipomo. Essa adotta la filosofia e il metodo integrativo funzionale del noto psichiatra professor giovanni Carlo Zapparoli che si fonda sull’approccio multidisciplinare nella cura della persona, vista nella complessità dei suoi bisogni. in aderenza a tali principi ispiratori il personale presente in struttura, coordinato dalla dottoressa anna Zanettti, prevede ruoli che vanno dall’oss, all’infermiere, all’educatore, allo psicologo.la comunità ospita nove pazienti inviati dai Cps presenti sul territorio della provincia di Como per ciascuno dei quali viene stabilito un piano terapeutico individualizzato con verifiche periodiche concordate con la comunità e finalizzate alla buona riuscita della cura.la struttura richiama quella di una casa-famiglia, dove gli ospiti hanno la possibilità di gestire autonomamente alcune attività, dividendosi per esempio i compiti legati alla cucina e alla cura degli spazi. È previsto un ricco calendario di attività e di laboratori giornalieri.i pazienti hanno anche la possibilità di sperimentare numerose attività all’esterno, prevalentemente legate all’area sportiva in collaborazione con le associazioni del territorio (nuoto, pallavolo, calcio, equitazione, eccetera). Tali iniziative si sono rivelate nel tempo molto efficaci nel processo di guarigione dei pazienti.ogni settimana è prevista una seduta di psicoterapia con il proprio medico di riferimento. sono inoltre programmati incontri mensili di gruppo tra gli ospiti per condividere e discutere insieme i loro problemi.sempre una volta al mese vengono organizzate gite sul territorio per curare la dimensione sociale degli ospiti ai quali è anche consentito di trascorrere tre giorni al mese presso la propria famiglia di origine.la permanenza in struttura è di 36 mesi al termine dei quali il Cps competente valuta se proseguire o meno con il percorso.Coloro che terminano la cura tornano in famiglia, altri vengono inseriti i progetti di housing per agevolarne il processo di accompagnamento all’autonomia.

lisa TassoNi

È un pomeriggio di sole, di quelli che si muovono lenti. un pomeriggio che sembra quasi imbevuto d’estate. l’aria è ferma. la strada è incerta, ma la troviamo subito, tutta a destra fin dentro un bosco. un sentiero che si sale solo a piedi e ancora a destra un cancello come i cancelli piccoli di casa, il citofono con un solo nome. suono un paio di volte, come fanno i postini. Poi una voce di padrona di casa. anna ci accoglie con i capelli biondi, gli occhi chiari di cielo, come una mamma. «Venite, vi apro!».

e siamo subito dentro un giardino. un roseto senza spine e senza rose che attendono il sole quello più alto.una casa gialla e bassa, curata dappertutto, una giovane donna che viene di lontano mi riconosce e mi sorride con un saluto bianco e pieno forse anche di sole.Un piccolo ufficio, l’indispensabile per dare la misura giusta della appena necessaria burocrazia.tutto il resto è per loro per la vita di tutti i giorni per una casa, come quella delle origini forse a volte meglio.

i ragazzi mi mostrano una bella sala da pranzo

che guarda dalla finestra piante di primavera già quasi piena, una primavera gialla, bianca. una sala da pranzo con un murales dipinto dai ragazzi in fondo all’ultima parete. i colori sono forti fortissimi, pieni di una vita vissuta e sopravvissuta nonostante tutta la sofferenza.il calore di una caraffa di acqua, le mele sopra una mensola, un tavolo bello ampio per mangiare insieme un cibo cucinato insieme dai ragazzi.i ragazzi hanno le mani per raccontare di prima e di dopo. «fin da bambino amo disegnare, andavo allo zoo a ritrarre gli animali». Poi un giorno una leonessa si arrabbiò e dallo zoo lui scappò. adesso ci sono i girasoli le rose, gesù e le madonne e ancora qualche animale dal passato, mario.

divani verdi a cerchio intorno a un piccolo tavolino per il caffè, per i libri e rosy silenziosa in blu che guarda la tv.i pesci rossi e medi di un bell’acquario sembrano nuotare in pace.Pierfrancesco è di cultura universale, ma non si è mai laureato “in spregio” ai titoli accademici. fu filosofo, giurista, scrittore, pittore, fino alla sintesi suprema dell’esoterismo che tutte le risposte

racchiude. ha gli occhi vivi le mani che si muovono sapienti.

ci portano un caffè con dentro un raggio di sole appena entrato dal silenzio di una finestra che affaccia su un coro di piccoli uccelli liberi.in cima a una breve scala una piccola libreria chiara con uno sportellino e intanto le stelline dorate penzolano dal lampadario in attesa della prossima cena, mentre un fiume lontano scorre senza sosta.

È l’ora del riposo che precede le attività del pomeriggio con la natura i cavalli i movimenti guidati del corpo e leggeri.usciamo salutando antonella con il viso aperto gli occhi chiari la camicia bianca e il sorriso perenne di fianco a Claudio che pacifico osserva il roseto che verrà.roberta si prepara per il canile, per il suo piccolo compagno di passeggiata, la seguiamo dentro uno spazio immenso verde di animali grandi e piccoli curati da una cura mancata, dal passato.e tutto torna blu, da lontano torna il rumore di una città che sembra lontana mentre saliamo in macchina a ritroso e stavolta tutta a sinistra.

lisa TassoNi

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riCorDo Di gio'

● Casa Santa Marcellina delle Suore Guanelliane, Como (foto Gin Angri).

Cronaca da un'altra età

Se fin da bambino ti devi prendere cura di qualcuno, quando resti solo ti sembra di non avere più motivo per stare al mondo.giò perde la mamma a dieci anni e deve badare alla sua sorella più piccola, perché il papà manda avanti - ormai solo - l’osteria. dopo le tre commerciali trova lavoro in una ditta vicino a casa, all’inizio in portineria e al centralino e poi in magazzino, a tenere il registro di carico e scarico e a controllare le pezze prima che vengano consegnate ai clienti. un lavoro né bello né brutto, per più di cinquant’anni: nel frattempo il papà muore d’infarto, la sorella riesce a diventare maestra e insegna. giò ha un fidanzato che, quando si decide a chiederle di sposarla, deve partire per la guerra. la tranquillizza però, perché gli americani

sono già intervenuti e tutto finirà presto. Ma viene investito da un camion, tornando a casa solo dopo un mese. giò deve quindi anche consolare il fidanzato, che ha perso una gamba senza nemmeno combattere; continua a sognare il matrimonio ma lui, invalido, non trova lavoro. E quando finalmente è assunto dal comune e si comincia a parlare di sposarsi, lui la lascia una domenica mattina, senza neanche avvertirla (già le pettegole però lo danno interessato a un’altra): giò ha cucinato per lui, inutilmente, lo stracotto con la polenta, che è il suo piatto preferito e per la rabbia lo da ai gatti del cortile.ma non c’è molto tempo per disperarsi, perché qualche anno dopo alla sorella viene diagnosticato un tumore al seno: operazioni, cure… con un

lavoro né bello né brutto che diventa una valvola di sfogo. Quasi quindici anni di su e giù, un giorno bene e l’altro no, l’ansia che non può condividere con nessuno, le cure che non bastano a togliere la paura. e quando a casa non è più possibile assisterla bene, il ricovero in una casa per anziane, dove ogni giorno va a trovarla e può solo tenerle la mano e parlarle, perché non c’è da fare altro, sino alla fine.la stessa casa per anziane dove giò decide di andare quando si accorge di avere troppi acciacchi, dentro e fuori, per vivere da sola. c’è sempre qualcuno che si prende cura di lei e delle altre ospiti, con le quali però non riesce a legare; perde il sorriso - già in parte sbiadito - e non indossa più la collana di perle “coltivate” – dice con orgoglio – che le ha regalato la sua ditta quando è andata in

pensione. sino a che non arriva, nel salone delle attività ricreative, una gabbietta con gec, un bel criceto nero e bianco. giò inizia ad accudirlo, passando molto del suo tempo in salone; gli porta da mangiare i biscotti e la frutta, gli parla dolcemente, lo accarezza e a volte lo toglie dalla gabbia per stringerselo vicino, con delicatezza. ridà un senso alla sua vita prendendosi cura di un criceto nero e bianco, bianco come la collana di perle coltivate che ha ripreso a indossare. giò se ne va in una notte d’inverno, improvvisamente, ma ha dato la buona notte al “suo” gec, prima di andare a dormire, perché la vita le ha insegnato che è brutto lasciare qualcuno senza un ultimo, affettuoso saluto.

aNgela CoreNgia

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«sino a che non arriva, nel salone delle attività ricreative, una gabbietta con gec, un bel criceto nero e bianco»

un ultimo saluto affettuoso

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sTella BarBeri

FaBio MesChiari

MaUro leDDa

alDo ColoMBo

MUsiCoTeraPia

● Foto Sandro Ferrari

interviste

la mia esperienza negli alchechengi

la mia collaborazione con il laboratorio musicale ha inizio tre anni fa:cosi per caso , un giorno ,mi proposero tramite la drs.a Floris di parteciparvi e io accettai di buon grado. Mi ritrovai dunque catapultato in mezzo a 30-40 persone senza sapere cosa dire o cosa fare. ero in uno stato di vuoto, inadeguatezza e completo sbaraglio; a dirla tutta, ero nel bel mezzo di una lieve depressione, a cui cerco di reagire ancora oggi. Comunque, non so come, da un inizio che mi si preannunciava fallimentare, è nato un gruppo musicale comasco che nel complesso sta andando bene e che, secondo me, ha già fatto passi da gigante, e parlo di tutti i componenti del gruppo.sono necessari ulteriori miglioramenti perché nella vita c’è sempre da imparare e cosi, col tempo, si impara ad accettarsi e di conseguenza ad accettare anche gli altri. oltre a questo, grazie al mio frequentare in modo assiduo il laboratorio, sono riuscito quasi del tutto a vincere la paura di cantare al microfono davanti a tutti. Vorrei parlarvi del periodo in cui mi sentivo estraniato dal gruppo e, sottolineo, non per cause dovute ad altre persone, ma principalmente alla mia insicurezza. Di conseguenza del mio non riuscire ad esprimermi liberamente, per paura di un giudizio esterno, che possa affievolire la mia già scarsa autostima. Ci tengo a dire che provavo rabbia e vergogna per questo, per questo mi è servito tanto tempo e pazienza per sentirmi parte di questo gruppo, appunto gli alchechengi: nello specifico parlo di divertirmi nel comporre canzoni, per poi successivamente cantarle di fronte ad un pubblico, per superare cosi la mia paura, e di instaurare rapporti di amicizia coi suoi membri di cui ho conquistato la fiducia in maniera graduale, pur sapendo di poter sempre cambiare in meglio.

laUra«io,come forse altri del gruppo,sto male nel mondo perche il mondo non accetta e non lascia fluire la vitalità e l energia di chi ha una forza vitale maggiore o diversa, perche rischia di portare troppa positività al mondo e stravolgerlo spezzandone le regole percorrendo "terze vie" (spesso vie dell’anima)... cosi veniamo compressi, fino a che la nostra energia enorme non ci fluisce addosso e scorrendo all’ inverso ci ammala..e noi ci pieghiamo su noi stessi... ecco da quando sono negli alchechengi queste energie fluiscono nel verso giusto e ho iniziato a rendermi conto che ognuno non è sbagliato,

trovare tanta energia positiva musicale e carica vitale, con il gruppo c’è un affiatamento pressocché perfetto».

NiColas«sono arrivato agli alchechengi tramite gianda, mi aspetto di emozionarmi attraverso la musica; il gruppo è diventato come una famiglia in cui posso esprimermi liberamente, sia musicalmente che come persona. inoltre devo dire che siamo tutti accomunati dalla musica, che è una sorta di collante, che amalgama tutti noi, appunto gli alchechengi».

sTella«sono arrivata al gruppo alchechengi tramite la mia psicologa; mi aspetto di instaurare nuove amicizie, nonché continuare a suonare, per provare allegria e nel corso di questi tre anni trascorsi con il gruppo si è creato una sorta di feeling ed inoltre espandere la mia conoscenza musicale».

che ho diritto d essere..credo sia questo... in barba a chi ci dice che solo le medicine e le sedute possano "curare"... il punto è penso invece trovare uno spazio di vita sano davvero in cui essere te stesso e iniziare a far fluire le energie e non sentirti sbagliato..e penso che questo gruppo riesca a fare questo... risolve il problema alla base, non cura solo i sintomi...».

FaBio«sono venuto a conoscenza del gruppo tramite gianda ed è così che ti trovi in un contesto fuori dai comuni rapporti mi aspetto che non diventi la “classica band” ma qualcosa di molto più ampio ed è per questo che sto cercando di instaurare un buon rapporto con tutti i suoi membri».

alDo«sono arrivato agli alchechengi tramite una conoscenza che già suonava nel gruppo. mi aspetto di

siMoNe«ha portato la mia attenzione a questo progetto, gianda, proponendomi di suonare insieme a lui negli alchechengi; mi aspetto di trovare persone coinvolgenti. e spero di stringere nuove amicizie, nonché liberare emozioni musicali. fondamentalmente la varietà di personalità prese nel gruppo farà sì che nel suonare si amalgamino, creando nuovi generi musicali nella diversità del gruppo».

MarTiNa«sono arrivata agli alchechengi tramite gianda, ad un concerto al cinema gloria, in cui mi ha proposto di unirmi al gruppo; descrivendolo in tutte le sue sfaccettature molto bene. gli alchechengi sono per me una grande famiglia dove chiunque può esprimersi liberamente suonando o cantando che sia. provando cosiìa manifestare, il suo io più profondo che magari, non si riesce per via verbale; riesci a conoscere

persone e di conseguenza idee diverse fra loro e che dà la possibilità ad un'ampia fascia d’età, di vivere un esperienza e sensazioni indescrivibili a parole, e si può fare una sola cosa: viverla sulla propria pelle, per comprendere a pieno».

aNiTa«ho iniziato a partecipare, ormai più di 3 anni fa, al laboratorio musicale, su consiglio di una psicologa del cps (centro psico-sociale del dipartimento di salute mentale). cosa mi aspetto dal gruppo? le aspettative spesso sono controproducenti, anche se in fondo vorrei continuassimo a vivere nel migliore dei modi possibili, per il bene, conoscendo il male e sentendoci liberi di fluire come ci sentiamo davvero. esperienza degna di essere vissuta, stimolante, dolce e violenta, densa e rarefatta , inconsistente e dura, fragile e forte; che contiene in sé il seme da cui è nata e il frutto che matura marcisce e concimerà gli altri semi.Alchenchengi è un fiore e un frutto , una pianta con radici foglie e fusto; e prende dalla terra e dall’ aria e dal sole, e restituisce condividendo e unendosi a ciò che è fuori e dentro».

esperienze raccolte da MaUro leDDa

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CoNsaPeVolMeNTe, ViVo

Nonostante tutto

anima e corpo

mi convinco sempre di più, crescendo, che star bene con il corpo, fisicamente, sia legato anche al benessere mentale. al di là di una condizione..., nel mio caso, “condizionata” dalla malattia, che mi costringe su una carrozzina e a prendere regolarmente farmaci a vita, i quali ne addormentano la causa, con limitazioni nell’autonomia e una valanga di ostacoli che tutto il mondo della disabilità comporta (per esempio facoltà di scelta, libertà di decidere, scalare una montagna e così via), ci sono molti presupposti che obbligano a non avere una serenità interiore e affrontare un’esistenza cosiddetta “normale”. Purtroppo non siamo noi a decidere quello che può capitare, e inoltre sprofondare nell’autocommiserazione e abbandonarsi al vittimismo provoca soltanto un peggioramento nella psiche, e di conseguenza nel corpo. Per questo (facile a parole!) l’accettazione, accontentandosi di ciò che rimane, di quello che si può fare può aiutare anche nelle proprie capacità. di certo prendersi cura di se stesso, cercando di alimentarsi nel modo più corretto possibile, cura del prossimo, cura delle piante, degli animali, una consapevolezza di dare con gioia, perché è spontaneo farlo, è un arricchimento interiore che valorizza quello che sei. naturalmente, affrontare tutto, con il giusto equilibrio, non è sempre facile: bisogna poi fare i conti con l’emotività, l’istinto, l’impulsività, che a volte predomina la ragione, con la solitudine che può diventare l’anticamera della depressione, con la noia; inoltre non bisogna pretendere che la propria verità sia assoluta e non criticare per non essere

giudicato, credere nel confronto, che fa maturare nel considerare altre vedute, dando spazio ad altri orizzonti, godere di quello che si ha, di essere al mondo, non pretendere quello che non si può… la felicità è fatta di piccole cose, di cose semplici, come aprire gli occhi e godere dell’alba, come ammirare un tramonto, confondersi con i colori dell’autunno, sentirsi utili, prima di tutto a se stessi ma anche agli altri, non aver timore di mostrare le proprie paure, le proprie fragilità; tutto questo secondo me riesce a dare più tranquillità e benessere nell’anima, quindi nel corpo. anche se poi la mente è una macchina complessa, che non si può né gestire, né modellare, tanto meno

telecomandare, ma percepisce e trasmette quello che ti circonda, coinvolgendoti in quello che non sempre sei tu a volere. la distribuzione dei farmaci, decisa e gestita da multinazionali, che scelgono ciò che fa guadagnare di più, l’industria alimentare (con alimenti di cui non si conosce la produzione, o la provenienza), questa non trasparenza fa sprofondare nell’ignoto, nell’incertezza, lasciandoti nel dubbio su ciò che fa bene o male. Per questo siamo in dovere con noi stessi di non farci travolgere affrontando un’esistenza che comunque vale la pena vivere.

FerNaNDo CosTa

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� Vita Periferica

ti trovi costretto, ad affrontare una malattia, che a volte, non lascia libero il pensiero di esprimere ciò che vorresti, così il corpo, non risponde al volere della mente, condizionato da distrofia muscolare, neuropatia, che limitano le funzioni fisiologiche, quotidiane, con tutte le conseguenze psicologiche del caso. in passato scelte sbagliate fatte nel percorso della propria vita, ti condizionano e subisci al presente eredità ora pesanti: l’ assunzione di medicinali potenti, che limitano la propria indipendenza e libertà rimanendo imprigionato da pesanti limiti. Viene da chiedersi quali nuovi motivi possano di nuovo entusiasmarti, quali prospettive future diano ancora, voglia e senso, di continuare ad assaporare un esistenza che ci è stata donata. È vero, esistono altre piccole grandi emozioni che motivano una ragione per esserci: leggere un libro, far suonare le corde di una chitarra, una vera amicizia, scambiare complicità con persone che senti. e così insieme ai tuoi limiti, alle tue fragilità, rimani condizionato, da un sistema che da valore ad altro: alle etichette o a quanti soldi hai in tasca… ti trovi a dover vivere un ritmo frenetico e nevrotico, che concede poco, alla disabilità, ai più deboli perché l’ importante è arrivare primo, e da “ultimo” sei costretto a rimanere alla finestra, ad aspettare che la massa, esaurisca prima le proprie necessità. ecco, allora, che diventa difficile, avere spazi personali, per, non dico essere protagonista, perlomeno di essere ascoltato e considerato come persona. nonostante ciò, so di dover reagire, a questa sensazione di inutilità, di foglia secca, che viene trasportata ad ogni folata di vento, chiuso in una ragnatela, condizionato da problemi fisici ma anche mentali. rimangono tante sensazioni da sprigionare, da far emergere, per non cadere nella solitudine, triste e scura, continuando a credere nell’umanità, “nonostante un certo egoismo personale” e gioire della semplicità, e di tante emozioni offerte dal creato. le domande senza risposte, aleggiano dentro di me, è giusto, desiderare vivere, nonostante le difficoltà fisiche, le contraddizioni personali ? nonostante chi ci governa ci impone un sistema, che corre dietro al consumismo obbligandoci a recintarci nel proprio giardino, o, sottometterci al passo e diventare a nostra volta ipocrita, per non essere escluso dal giro, o essere zattera in balia delle onde, e farsi schiaffeggiare dal mare. no, sento il dovere con me stesso di, vivere il mare, svegliarmi al mattino e non aver voglia di sputarmi addosso, per non aver tenuto in considerazione, un aiuto, non necessariamente materiale, ma morale, ad un mio simile. cos’è, quindi, la bilancia dei valori da considerare, può essere un giudice a stabilire ciò che è giusto o sbagliato? ma quale etica propria? Se non esiste rosa senza spine, un carnefice senza vittima, un mare senza sale, le contraddizioni personali dovrebbero servire a guardarsi dentro, per non disprezzare, un barbone, un mendicante, è persona umana, con stessi diritti comuni. il passato, deve servire, a costruire un futuro che non ripeta gli stessi errori, anche se è presuntuoso pensare di percorrere la via giusta, le strade sono talmente tante, che non basterebbe una vita per percorrerle tutte, ed è presuntuoso credere di avere la verità in tasca. si cerca piuttosto di essere più consapevoli, nelle valutazioni, nelle scelte, nell’esprimere una propria opinione, nel rispetto del prossimo poiché uno non’è sincero con se stesso, se tutto è costruito sulle ossa di un altro. la vita offre non di più, né meno, di quello, che sta a te sapere apprezzare, nonostante tutte le difficoltà si possano incontrare, per questo, investire le proprie energie in una ricerca continua infinita, serve a non rimanere indifferente, a non diventare cinico, apatico, serve a sperare ancora nonostante tutto per non rischiare di sprofondare nell’oblio del menefreghismo, del “tutto diventa inutile“. Per non aspettare, che altri facciano per noi il nostro dovere di assumerci le giuste responsabilità .

FerNaNDo CosTa

«Prendersi cura di se stesso, cercando di alimentarsi nel modo più corretto possibile, cura del prossimo, cura delle piante, degli animali, una consapevolezza di dare con gioia, perché è spontaneo farlo, è un arricchimento interiore che valorizza quello che sei»

● La metamorfosi della Casa dei Risvegli di Bologna, 2014. (foto Gin Angri).

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io – giovanni – e mia moglie maria abbiamo una casetta in un paesino della Valcuvia nella provincia di Varese. una gran bella vallata, a ovest il lago maggiore e a est il lago ceresio e di lugano.Abbiamo anche un figlio angelo, ora ventenne che preferisce stare con i suoi amici e la sua fidanzata qui a como; così come due vecchietti i fine settimana li passiamo nella nostra piccola casetta.Una domenica di fine agosto io stavo lavorando nell'orto e maria potava le rose, aveva piovuto tutta settimana, ma sabato era ritornato sereno e il caldo del mese dovuto.raramente si litiga ma quel week end eravamo ambedue tesi, il rapporto non era dei più belli per quella favolosa giornata.a metà della scalinata che va verso l'orto vi è un tubo di plastica lungo circa 50 cm con un diametro di 10, dove vi passa l'acqua piovana e defluisce nel prato. mia moglie mi urla:«giovanni, non vedi che il tubo è ostruito?».«cosa vuoi? sto lavorando, pensaci tu!». la vidi dopo un attimo con un bastone in mano infilato ad inizio tubo. «ma cosa accidenti stai combinando? rompi

il tubo». e lei: «non vedi che c'è qualcosa? È pieno di terra».«Per forza, ha piovuto tutta settimana». le tolsi bruscamente il bastone di mano e mi misi a mani nude a scavare, ma più scavavo più niente si muoveva. introdussi la mano e sentii a tatto un rigonfiamento che copriva tutto il tubo, al che mi accovacciai e vidi una massa pulsare come un palloncino; li c'era poco da capire, non era fanghiglia ma un corpo vivente. «ma cosa... può essere? un serpente arrotolato o chissà che diavolo altro!». ripresi il bastone di maria e con delicatezza spinsi, senza capire dove fosse il davanti e dove fosse il retro di questo animale; per fortuna spinsi dalla parte giusta, il retro. dopo una ventina di minuti uscì la testa, il corpo e le zampe: era un rospo.la sorpresa fu grande, come aveva potuto sopravvivere tutto quel tempo chiuso lì dentro, ora rimaneva il problema di dove metterlo. Prendemmo una gabbia piccola per criceti che avevamo nel pollaio, ma feci fatica a prenderlo a metterlo dentro. forse stordito dalle ore passate

nel tubo il rospo dalla paura per difendersi, si gonfiò e arrivò a pesare quasi un chilo.appena uscito si ridimensionò, ma era sempre un bell'animale grosso per la gabbia. l'intenzione di mia moglie e mia era quella che, dopo pranzo, l'avremmo liberato in un ruscello a circa due chilometri dal paese. così lo mettemmo in gabbia, che aveva una sola uscita a molla e per giunta piccola, dove potrebbe passare solo un criceto o un uccellino.il nostro nuovo amico ci guardava con due occhioni profondi e noi lì ad ammirarlo, non è da tutti avere un rospo in casa.«giovanni – mi disse maria – diamogli da bere!». così facemmo. Poi aprimmo la gabbia dalla finestrina e nell'accarezzarlo diventava piccolo, riducendo di molto le sue dimensioni; poi dopo alcuni minuti ritornava come prima.scendemmo a pranzare. all'una del pomeriggio mia moglie salì per vedere l'animale, dopo un po' sentii un grido: «giovanni, giovanni corri il rospo non c'è più!!!». salì di corsa: «come? dov'è?», mi rispose: «forse sotto i sassi». avevamo messo

due sassi grossi in modo che lui ci salisse sopra.«cosa stai dicendo?» dissi io. «Vai a vedere che si è sciolto nell'acqua!».eppure l'animale non c'era più. uscire non poteva, era troppo grosso.“sparito”, in quel momento mi venne in mente un sortilegio, un mistero. non c'era più.non sapevamo più a cosa pensare.alle 2 del pomeriggio salii in camera di nostro figlio, dove c'era la gabbia posta sopra un davanzale alto circa un metro; sentii gracidare. corsi verso la gabbia ma era chiusa e vuota, rovistai la camera; quando ad un tratto lo vidi in un angolo dietro al comodino. «maria corri, vieni a vedere!» mia moglie non credette ai suoi occhi: «come ha fatto ad uscire da un buco così piccolo? e poi richiudere la gabbia?» esclamo.un mistero.lo prendemmo e lo coccolammo per una ventina di minuti, non sapendo che i rospi hanno dietro gli occhi una sostanza velenosa usata per difendersi.«come aveva fatto ad uscire solo dio lo sa».Poi lo rimettemmo in gabbia alzandola dai lati, usando i ganci esterni; proprio come

facemmo al momento del ritrovamento.lo portammo in macchina e poi vicino al ruscello aprimmo la gabbia ma stranamente l'animale non scappò. ci guardava con quei due occhioni da far tenerezza. mia moglie esclamò: «giovanni...».io risposi: «ascolta, abbiamo avuto tanti animali, ma un rospo dove lo mettiamo? soffrirebbe». a quelle parole, il nostro amico ci guardò per l'ultima volta. Pian piano da un sasso all'altro scivolò nel ruscello, poi riemerse.Voi non ci crederete, ma si voltò per l'ultima volta e fece un cenno col suo testone e svanì fra erba, sassi e acqua. era di nuovo libero.noi ci abbracciammo e a mia moglie scese una lacrimuccia, così un week end nato storto finì con abbracci e risate.

non vuole essere retorica ma gli animali sono un'ottima cura; chi non ama gli animali non ama neppure il prossimo.adesso caro rospo non hai fatto felice una principessa ma hai suggellato la pace fra noi.

TesTo e FoTo

gioVaNNi saPoriTi

PeT TheraPY

animali liberi

la cura del “rospo”

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non ti curar, non ti curar di loro. iniziamo così, o perlomeno ri-iniziamo così perché qualcuno questa frase l’aveva già utilizzata a suo tempo, frase mai così attuale come in questi tempi. tempi in cui tutto va curato. il mio non vuole essere un invito a non curarsi, tutt’altro, ma vuole essere semplicemente un incoraggiamento a non uniformarsi a uno standard psico-fisico che ci prefiggiamo per non sentirci esclusi, diversi,

inabili, malati. Perché al tempo d’oggi noi esseri (quasi) umani non accettiamo la malattia, il difetto, l’anomalia. ogni cosa fuori dai binari, dall’estetica sociale, dalle regole imposte dalla società, va corretta, aggiustata, curata. tutto ciò non solo per non apparire diversi, inferiori, deboli, ma soprattutto per non soffrire. Perché nell'epoca del tutto e subito il minimo contrattempo ci potrebbe fare impazzire, non parliamo poi se arriva una malattia “importante”.

PeT TheraPY

Un colpo di “spugna” al mio T. s. o.

una carezza

● Corridoi del Reparto psichiatria del Sant'Anna di Como (foto Archivio Oltre il giardino).

il mio primo trattamento sanitario obbligatorio si svolse in questa maniera. era domenica e anche il compleanno di mia sorella laura. io gironzolavo per la casa senza sapere cosa fare. a un certo punto mi assalì una confusione in testa, mi sembrava di avere al posto della testa uno sciame d’api. inciampai e caddi facendomi male a un braccio. mi sdraiai e osservavo il soffitto, sentivo il mio corpo vagare per la stanza come un astronauta in movimento. un pensiero mi balenò nella mente: “solo la morte è meglio di questa confusione”. Pian piano mi rialzai,

� oggi la mia medicina Preferita È il mio amato “sPugna”Mi capita a volte di svegliarmi di notte per andare in bagno e soffermarmi a guardare il mio cagnolino che dorme sul dorso e con le zampine all’aria e pensare: “guarda come dorme, sembra un bambino”; con un po’ di tenerezza e commozione mi capita di bagnare dolcemente gli occhi. lui si chiama spugna ed è un trovatello. Me l’ha cortesemente donato una signora che l’ha trovato legato a un albero insieme con un suo fratellino che purtroppo è morto. Nonostante ciò il mio spugna è sopravvissuto ed è venuto a rendermi la vita più facile. Mi ricordo quando me lo hanno regalato: aveva le zampine grosse e il corpicino piccolo piccolo. Mi faceva ridere e lo trovavo proprio brutto. adesso ha quasi tre anni ed è bellissimo. gli voglio un bene dell’anima. lo porto a passeggio quattro volte al giorno, gli preparo la pappa, lo lavo, gli faccio il bagnetto e lui se lo lascia fare volentieri. gli ho insegnato quattro o cinque parole e qualche frase; lui le ha imparate e le mette in pratica durante la passeggiata. il mio amico a quattro zampe mi dà tante soddisfazioni, specialmente quando gioca con me ed emette dei suoni come volesse parlare. Ciao spugna, vieni mamma… e dopo vai nanna.

CrisTiNa Ughi

andai diritta verso lo stiletto delle medicine e, con rabbia, presi con l’acqua tutte le gocce e le pastiglie in esso contenute.Persi subito conoscenza, mio padre si accorse subito dell’accaduto e telefonò al 118 riferendo di mandare l’ambulanza con la riabilitazione a bordo. io non mi accorsi di nulla. mi svegliai in un bianco letto d’ospedale. al mio fianco vidi mia madre la quale mi disse: «ma cristina, cos’hai fatto?». io la guardai intensamente, le feci una lunga carezza e le dissi: «oh questa volta è andata proprio male».

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● In alto: Spettacolo teatrale della Casa dei Risvegli di Bologna.A lato: un murales alla Somigliana a Como (foto Gin Angri).

soNo aNCora QUi

lotta continua

Una scomoda testimonianza

� Poesia corPorale

sono sieropositiva da 21 anni e da 24 anni ho anche un’epatite b cronica. oggi mi ritrovo con un forte dolore alle gambe: neuropatia. e pensare che mi vantavo di avere, grazie alla mia altezza di 180 centimetri, delle gambe bellissime, affusolate, toniche e sode, da fotomodella. un giorno, pregando, ho chiesto a dio: “tutto meno che le gambe”. ma questa mia richiesta non è stata considerata. sarà per le varie cazzate giovanili che ho fatto? sarà perché ho camminato tantissimo nella mia vita? sarà perché ho fatto dello sport pericoloso (lo sci), fratturandomi, più volte, tendini e ginocchia? sarà perché ho fatto poca riabilitazione? sarà perché mangio poco formaggio? sarà perché bevo, lo stretto necessario? sarà solo un momento, della mia vita (disgraziata), dove io possa riflettere, con me stessa. dio aiutami. Prego tutte le sere, invocando la madonna, ma ho paura; ho paura di rimanere immobile. ora, dopo una caduta dal tapis roulant le mie gambe, inizialmente gonfie per uno stiramento e poi per uno strappo muscolare con conseguenze di infiammazione ai tendini, tra pomate e ghiaccio, riposi e massaggi, hanno perso della loro naturale tonicità e flessibilità. Sarà per la mia malattia, ma tale conseguenza ha reso le mie gambe sempre più rigide. al mattino, dopo aver dormito, a volte, mi sveglio con il terrore negli

occhi. mi ritrovo bagnata, con le lenzuola rase della mia stessa urina. aiutata dal bastone, arrivo in bagno e faccio la doccia, ma fatico, giorno dopo giorno. ho decisamente rallentato i miei movimenti, per la paura di cadere. ma, grazie alla mia forza interna e spirituale, reagisco. speranzosa di non abbattermi mai,

penso alle belle cose che ho fatto e ho fatto fare alle mie gambe. la depressione è una cosa bruttissima. la cura migliore è reagire, anche nel pianto. mi sono sempre curata in ogni particolare, senza perdere la voglia di vivere, giorno per giorno. ammetto, è stata dura all’inizio, di avere

avuto paura di morire, di rifiutare di mangiare e bere, di non seguire correttamente il dosaggio e l’orario terapeutico. Pur di vivere, ingerisco pastiglie su pastiglie; sarebbe da pazzi, mollare. mi sono imposta un tenore di vita, mi curo e basta. in questi lunghi anni il mio corpo ha subito mutamenti organici

pazzeschi: svuotamento della massa muscolare, pelle asciugata, perdita di peso, distrofia muscolare, crampi notturni, diabete, epatiti, eccetera. ma io, malgrado tutto ciò, sono ancora qui: viva e vegeta. Mi curerò sempre, fino alla mia morte e forse curerò anche quella.

Paola ToMaselli

lavami, amore mioCurami, fino all’UltimoForo della mia pellePerché sono rarasono l’armonia Per tutta la tua vita…

Paola

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MeDiCiNa e MiTo

Dall'olimpo a Charlot

non aver paura

il mito è un racconto che descrive eventi la cui comprensione è difficile per l’uomo antico. si tratta di una modalità di rappresentazione semplificata di fenomeni complessi. nell’antica grecia i processi morbosi venivano considerati come la conseguenza di una punizione divina. se l’uomo aveva offeso il dio o non aveva celebrato riti sacrificali in misura adeguata per placarne l’ira, il dio inviava sofferenze, malattie e morte. il processo di guarigione non era contemplato, anche perché molto frequentemente l’uomo moriva per effetto dei processi morbosi stessi. gli dei dell’olimpo erano immortali, immuni da malattie e sofferenze; erano litigiosi, vendicativi, inclini ai vizi, spesso dediti agli amori extraconiugali e al tradimento. se l’uomo, essere mortale, non venerava adeguatamente gli dei o se si macchiava di empietà veniva punito con dardi invisibili e infallibili o per mezzo della folgore di zeus.

Pandora e la nascita delle malattiema come nacquero le malattie? in origine, nella mitica età dell’oro, l’uomo non si ammalava e soprattutto non lavorava poiché la terra produceva spontaneamente ogni sorta di frutto. un giorno il titano Prometeo decise di rubare il fuoco agli dei per farne dono agli uomini. zeus (giove) punì l’intera stirpe umana inviando una donna di nome Pandora insieme con un vaso sigillato nel cui fondo vi era ogni forma di malattia e sofferenza. Pandora, presa dalla curiosità, aprì il coperchio e ogni forma di male uscì dal vaso. da quel momento si diffusero le malattie e gli uomini condussero un’esistenza dura e faticosa che culminava con la morte. da quel momento nacque

anche il detto “la curiosità è donna”!zeus punì anche Prometeo infliggendogli un terribile supplizio: l’eroe venne incatenato sul caucaso e ogni giorno un’aquila gli divorava il fegato. al termine della giornata il fegato si rigenerava e il supplizio ricominciava. fu questa forse la prima intuizione delle capacità rigenerative del fegato. mentre l’aquila dilaniava il fegato del povero Prometeo, dal sangue che sgorgava a fiotti dalle sue ferite nacque un fiore, il colchico (croco caucasico). Tale fiore fu usato da medea per rendere invincibile giasone e fu impiegato nell’antichità sia come veleno che come farmaco. Questo si racconta dall’antica grecia, mentre oggi l’interpretazione che si dà alle malattie dal punto di vista filosofico è che la malattia è il prodotto delle nostre contraddizioni della vita quotidiana e per guarirle ci si affida alla medicina

contemporanea con le sue alchimie di prodotti chimici per ogni male.anche delle arti in generale, della musica, della pittura e del teatro si fa un uso taumaturgico e terapeutico.

“ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,e guarirai da tutte le malattie” (franco battiato, la cura)

il rapporto che si può vivere con le terapie è dei più disparati, a volte molto sofferto a causa della gravità della malattia e a volte di momentaneo sollievo, mentre nella storia del cinema c’è chi con la cura ha un rapporto del tutto particolare, come per esempio charlie chaplin in la Cura miracolosa.charlot è un ubriacone che va alle terme per depurarsi. già l’arrivo del nuovo ospite allo stabilimento termale e il suo stato visibilmente alterato denotano la predilezione di questi più

all’alcol che all’acqua, per quanto curativa, e il baule al seguito come bagaglio, colmo di bottiglie di liquore, confermerà l’impressione, destando vivo interesse da parte del personale di servizio, in particolare di un vecchio e decrepito fattorino che avrà modo in seguito di apprezzare la qualità della personale collezione del

cliente. succede che, dopo una serie di gag esilaranti, accidentalmente all’acqua del pozzo termale viene mescolato il contenuto dell’alcol custodito nella cassapanca, facendo così scoppiare un’euforia collettiva tra gli ospiti della casa di cura.

TesTo e FoTo

saNDro Ferrari

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sulla soglia

rePorTage

● Foto Gin Angri

Su di un tavolo, sparse, un centinaio di fotografie, e c’è anche man ray. mani che rovistano e scelgono.musica a palla come sottofondo. disegni alle pareti, mascheroni di gommapiuma, libri, un pianoforte.E poi, le sbarre alle finestre.non lo conoscevo, ma dentro il carcere di san Vittore esiste un centro diurno, come quello che ospita la nostra redazione di Oltre il Giardino a como.il servizio si chiama “sulla soglia”, gestito dalla cooperativa sociale a&i (accoglienza e integrazione onlus) ed è nato per fornire sostegno psicologico a quei detenuti prossimi alla dimissione che presentano disagio psichico, favorendone il reinserimento sociale.uno spazio analogo è stato aperto, sempre nell’ambito del servizio sulla soglia, da settembre 2013 anche all’interno della casa di reclusione di milano opera.in queste stanze è facile scordarsi di dove ci si trova. alcuni detenuti ascoltano e fanno musica mentre altri scelgono le foto e si raccontano. le difficili condizioni quotidiane di vita sono lasciate fuori dalla “soglia”.secondo i dati della società italiana di medicina Penitenziaria, in cella contraggono malattie il 60-80% dei detenuti. i tossicodipendenti sono il 32%, il 17% ha malattie osteoarticolari, il 16% cardiovascolari, circa il 10% problemi metabolici e dermatologici e ben il 27% ha un problema psichiatrico.l’équipe è formata da psicologi, psichiatri ed educatori.

giN aNgri

[a&i società cooperativa sociale onlus, via allegranza 16, 20144 milano, tel. 02.39400911, fax. 02.89690527, cell. 389.1804281, www.aei.coop]

anzicché con la parola.Nonostante la distanza a volte notevole fra i generi musicali preferiti, è significativo fra i partecipanti un buon valore medio di spontanea tolleranza reciproca, che si esprime lasciando ad ognuno lo spazio e la possibilità di fruire di ciò che evidentemente viene identificato come bene comune e come tale trattato, non diversamente da altri momenti, spazi ed oggetti comuni (vedi ad esempio il caffè di accoglienza, il pranzo, la “pausa fumo” e di conversazione).Significativa anche la richiesta, sempre alta e ripetuta ma burocraticamente complessa, di poter ottenere una raccolta dei brani di volta in volta prescelti, per poter ripetere l’esperienza di ascolto e partecipazione, con tutti i

suoi effetti benefici, anche al di fuori del laboratorio settimanale.Naturalmente la musica da sola non può risolvere, salvo casi eccezionali, i problemi che hanno fatto deragliare delle individualità per altri versi tuttora visibilmente dotate di valori promettenti. la meta, e la speranza, restano quelle di riuscire a proporre concretamente e far sperimentare un polo alternativo di interesse, di gratificazione, di identificazione e in ultima analisi di benessere, a dire che, oltrepassata la soglia, non è così fatale non avere altra scelta che ricadere nelle strade finora percorse.

UMBerTo TeNagliamusicoterapista

adeguata nei suoi generi a chi ne fruisce, riafferma sempre ed ovunque i suoi poteri (creativo, evocativo, regolarizzante e rilassante rispetto alle ansie ma stimolante rispetto alle depressioni, messaggero di emozioni non sempre altrettanto verbalizzabili, in certi casi anche centro focale di autorealizzazione).l’attività del laboratorio, pur con molta elasticità e compenetrazione, si divide in due momenti ugualmente significativi e ugualmente

centrati sul coinvolgimento personale, senza cattedre e stando tutti dalla stessa parte:– quello attivo, in cui la musica “si fa” improvvisando con strumenti percussivi di facile uso o col canto, sia su una base preesistente che da zero;– quello ricettivo, in cui si ascoltano invece i brani richiesti da ognuno nell’incontro precedente e se ne condividono le emozioni, i motivi della scelta e gli eventuali ricordi collegati.Va da sé che spesso i momenti si fondono assieme, laddove esporsi a improvvisare o creare risulta più facile e “protetto” seguendo una musica già strutturata, così come a volte è più agevole esprimere la propria partecipazione emotiva ad una suggestione musicale con l’esecuzione strumentale

� MUsiCoTeraPia “sulla soglia”

arrivo in questo progetto dopo una pluriennale esperienza di Musicoterapia applicata a persone, età e problematiche le più disparate, e dopo alcuni mesi di esperienza in un progetto invece assai similare, ma applicato ad altra sede (Casa di reclusione di opera).Trovo qui, ovviamente, un’età media piuttosto giovane e carichi penali più leggeri, ma uguale entusiasmo, partecipazione e disponibilità da parte dei ragazzi.la musica, di volta in volta

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San Vittore

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rePorTage

● Foto Gin Angri

il “Centro Diurno riabilitativo”del carcere di san Vittore

«Il Centro diurno è come una scala. Ogni scalino si arriva al traguardo per un nostro futuro è serenità e un mondo migliore pace pace per tutti»

Cosa vuol dire per noi essere fieri di se stessi, diciamolo con una o due foto

s.• Foto “sagoma nera”; “mare”: sia nella luce che nell’ombra sono fiero di me.

g.• Foto “casa palloncini”: sono fiero quando ho pensieri felici.• Foto “2 scalatori”: quando aiuto gli altri.

d. • Foto “donna anziana”: raggiungere una certa età, aver vissuto pienamente per lungo tempo, aver fatto esperienze.• Foto “sagome con ombrelli in new York”: sono fiero di me quando sono “stiloso”.

m.• Foto “Ombre sul muro”: quando sconfiggo i miei demoni.

a.• Foto “lavoratori ponteggio in new York”: sono fiero di me quando lavoro.

� laBoraTorio Di FoToliNgUaggiocentro diurno san Vittore

silVia sala docente laboratorio fotolinguaggio

Cosa vuol dire per noi vergognarsi, diciamolo con una o due foto

g. • Foto “stanza con donna sola vicino al letto”: quando sono depresso mi emargino e di questo me ne vergogno.• Foto “scale con persone che guardano giù”: quando le persone mi fissano, mi sento osservato, criticato, giudicato e mi vergogno.

d.• Foto “Elefante”: sono aumentato di peso in questi mesi di carcere (18 chili) e ciò mi fa vergognare.

m. • Foto “Sagoma nera”: mi sento piccolo piccolo come questa ombra quando ci sono discussioni o litigi. ieri al processo ho provato vergogna.

s.• Foto “coppia in catini blu”: mi vergogno davanti a maschi e femmine.• Foto “mondo visto dalla luna: “mi vergogno davanti al mondo, sono timido.

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la saNa iMPerFeZioNe

● Foto Gin Angri.

simbiosi

non ti curar, non ti curar di loro. iniziamo così, o perlomeno ri-iniziamo così perché qualcuno questa frase l’aveva già utilizzata a suo tempo, frase mai così attuale come in questi tempi. tempi in cui tutto va curato. il mio non vuole essere un invito a non curarsi, tutt’altro, ma vuole essere semplicemente un incoraggiamento a non uniformarsi a uno standard psico-fisico che ci prefiggiamo per non sentirci esclusi, diversi, inabili, malati. Perché al tempo d’oggi noi esseri (quasi) umani non accettiamo la malattia, il difetto, l’anomalia. ogni cosa fuori dai binari, dall’estetica sociale, dalle regole imposte dalla società, va corretta, aggiustata, curata. tutto ciò non solo per non apparire diversi, inferiori, deboli, ma soprattutto per non soffrire. Perché nell'epoca del tutto e subito il minimo contrattempo ci potrebbe fare impazzire, non parliamo poi se arriva una malattia “importante”. allora sono dolori, perché fino ad adesso ci curiamo la forfora, gli inestetismi della pelle (cosa saranno poi me lo devono ancora spiegare), la caduta dei capelli, la sudorazione eccessiva (in piena estate poi non si era mai vista), i peli superflui e l’irregolarità intestinale. e allora proviamo ogni tipo di medicina alternativa (o panacea che dir si voglia). medicine orientali,

occidentali, nordiste, sudiste, indiane, cinesi e milanesi (al limite c’è sempre la buona vecchia clinica del fu don Verzè). Per non parlare delle diete, dell’alimentazione che deve essere curata (anche quella), bilanciata, mediterranea, vegetariana, vegana, crudista, dukan (non so neanche se si scrive così), a zona, a uomo, a marcatura fissa. Insomma una gran confusione, ma soprattutto ci costringiamo a snaturarci. non mangiamo più per piacere e per nutrirci ma mangiamo per avere un benessere psico-fisico che ci faccia star bene con noi e soprattutto con gli altri. si, avete capito bene, gli altri. gli altri, perché la cura, la nostra cura potrebbe iniziare proprio dagli altri, non vedendoli solo come giudici inquisitori ma come semplici persone come noi. noi che tendiamo a vederci come fulcro del mondo, non come parte del mondo, anzi è il mondo che deve ruotare intorno a noi, tutto ci è dovuto, chissà perché. forse come moneta di ritorno per qualche torto, malattia o contrattempo della vita subìto in passato. invece sarebbe bello vedere gli altri come una cura, per noi, per gli altri. Perché la vita va vissuta in simbiosi tutti insieme, se no diventa un individualismo collettivo. Questa è per me la vera cura: la simbiosi. come avrete capito dal testo non so tornare a capo

nella stesura del testo. le frasi, i miei periodi sono delle lunghe linee orizzontali con parole, una punteggiatura appena sufficiente, appena accettabile. ma a me piacciono così i miei testi, le mie frasi, con tutti i loro sbagli, con tutti i miei sbagli. sarà poi opera di chi li legge coglierne il contenuto (se contenuto ci sarà) senza badare alla forma della stesura del testo. così come nella vita gli errori, gli sbagli, i difetti vanno corretti, migliorati, curati,

«si, avete capito bene, gli altri. gli altri, perché la cura, la nostra cura, potrebbe iniziare proprio dagli altri, non vedendoli solo come giudici inquisitori ma come semplici persone come noi»

ma con le giuste cautele e attenzioni senza farci prendere dalla paura di non essere perfetti. abbiamo dei limiti, dei difetti, delle malattie, (e questo è umano) che non sempre si possono curare. Vanno accettate con serenità perché fanno parte del nostro percorso, della nostra vita. e se ad accettarci per primi siamo noi, tutto sarà più facile per noi e per gli altri perché ha inizio la vera cura, la simbiosi. giUsePPe BrUZZese

non ti curar...

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una scossa

● In alto: Parada par tücc 2013.

● A lato: Un'azione di “yarn-bombing”, un platano rivestito all'uncinetto a Bellaria (Rimini) (foto Archivio Oltre il Giardino).

la BelleZZa salVerà il MoNDo

le nostre migliori cose

la cura a volte passa da una scossa che per poco che sia ti risveglia alla vita.

ero sopita di sicuro non sotto una pianta. le piante fanno stare bene. se uno si sopisce sotto una pianta è già in paradiso. non ha bisogni. solo respirare. aria pulita, natura, le cose essenziali, quelle che servono per respirare e per stare bene. nessuna complicazione non umana, carte scrivanie, dottori di turno, code, polvere, regole sociali per le società di capitali e non per l’uomo. niente incroci diritti di precedenza raccomandazioni per posti che non servirebbero più. solo piante arte bellezza parole misurate e cordiali.svegliarsi su una spiaggia della sicilia e addormentarsi al tramonto che scende lento dietro le dolomiti.

le cose vanno fatte con sentimento e per amore proprio e per amore verso chi le riceve come un dono. le nostre migliori cose donate in cambio delle migliori cose dell’altro che non sappiamo fare noi.considerato un mattino reso gradevole dalla vista di un fiore ben curato, un abbraccio con dentro tanto sentimento, una colazione ben servita, fatta con gusto.considerato un pomeriggio con dentro una passeggiata di bordo a osservare altra vita che scorre magari solo dentro un fiume o ascoltare la musica da chi la sa fare.considerata la sera quanto si spegne e il silenzio o si esce per la cena per un amico o solo per sentire il silenzio quando la luce se ne va a prepararsi per un nuovo giorno.considerato il più piccolo attimo in cui proviamo del piacere per poco che sia, il tempo di una scossa che ti cambia la vita.considerata l’attesa che non dovrebbe mai far perdere la misura dei giorni dentro cui si perde

una vita intera.considerato che ogni giorno è buono per l’emozione di essere vivi attraverso le nostre migliori cose, che sono come una scossa che passa e va via mentre aspetto di ricevere la tua migliore cosa.considerato il fastidio del rumore che ti fa accorgere di quanto è bello il preciso momento della solitudine.considerato che vivo per sentire con gli occhi con il gusto con tutto il mio corpo ogni migliore cosa della vita fino al dolore quello più fondo.considerata l’ispirazione che come una scossa arriva e va via magari dopo una troppo lunga attesa che perde solo per se stessa i migliori giorni della vita. dopo averla rincorsa fuori da una finestra, dentro persone cose vuote. considerando un attimo di vita messo al riparo dal vento dall’attesa dal

rumore da tutti quelli che non potranno mai sentire a fondo.considerato il silenzio che passa tra gli occhi delle persone che si riconoscono magari dopo una troppo lunga attesa.

sono sopita e di sicuro sotto una pianta mentre ascolto il silenzio dentro i tuoi occhi e ti regalo la mia migliore cosa.

lisa TassoNi

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Nel prossimo Numero Di olTre il GiArDiNo il piACere e lA BelleZZA

● Cristiano Stella (foto Gin Angri).

la mia “nota” cura

UN TiPo “sUoNaTo”

vivere la musica

scrivere e suonare è una cura.ma in che cosa consiste quella che è per me la cura? che cosa, per me, è benessere vitale?... ecco che, piano piano, si dipana la nebbia, sono arrivate le parole, come quando compongo una canzone, arrivano… ecco che cosa è la mia “nota” cura, il mio stare bene: la parola musicata.scrivere una canzone è un liberarsi, uno svuotare pesantezze e dolori… si scrive, cosi dicono, per lasciare una traccia… e io aggiungo che si scrive, si suona per tirarsi via quel torpore da quotidiano vivere.ora è venuto il momento di librarsi in volo e di donare qualcosa di me.Perché scrivo canzoni? Perché a volte non ne posso fare a meno, non posso fare a meno di essere tramite per altre voci dimenticate, ombre che trovano pace, almeno spero, nelle righe di un pentagramma.da componente del gruppo “oltre il giardino project” ho uno sguardo privilegiato e il sentirmi parte di una condivisione di intenti… beh… è una panacea contro tutta la precarietà che vivo in questo momento di crisi profonda…

credo che vivere la musica, non solo dal punto di vista della perfomance, ma anche e soprattutto dalla parte dell’esprimere emozioni libere, sia un rimedio naturale per le lacerazioni dell’anima.

e il fatto che la musica abbracci gli altri denota l’effetto dirompente della cura. cura che fa bene a chi la fa e a chi l’ascolta.

ma è sempre cosi? si scrive sempre?no, non sempre se ne ha il bisogno, parlando di me, di scrivere note e parole… dopo la scrittura, cura doverosa per la liberazione, si ha il bisogno di riempirsi, di ridare il tempo affinché altre voci dimenticate incomincino a bussare per esser scritte sul quel pentagramma.la mia “nota” cura è una musica ribelle, che, citando il cantautore finardi, «È la musica la musica ribelle che ti vibra nelle ossache ti entra nella pelle che ti dice di uscireche ti urla di cambiare di mollare le menatee di metterti a lottare».sì, non si deve smettere di lottare… uscire oltre le apparenze, oltre gli ostacoli… forse non servirà a molto per qualcuno, ma ve lo assicuro cari lettori… comporre qualcosa ti fa stare bene…e voi che “note” cure avete?non abbiate timore di avere la vostra cura, qualsiasi essa sia… fatevi del bene… scrivete, dipingete, suonate… curate la vostra anima.ora vi saluto: altre voci dimenticate mi attendono…

CrisTiaNo sTella

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«Perché scrivo canzoni? Perché a volte non ne posso fare a meno, non posso fare a meno di essere tramite per altre voci dimenticate, ombre che trovano pace, almeno spero, nelle righe di un pentagramma»

� un inVito sPecialeCristiano stella con Paolo Fan, simone riva, igor Congedo e omar Caccia fa parte della band di "oltre il giardino project". il gruppo musicale nato nel clima artistico e creativo che si muove attorno alla nostra rivista, sta portando in giro uno spettacolo particolarissimo di teatro canzone

dal titolo Non tutti i matti vengono per nuocere . Testi, canzoni, immagini, arrangiamenti, musiche tutte fatte in casa "nostra". Vi invitiamo quindi ai nostri prossimi concerti, le cui date sono riportate sul nostro sito www.oltreilgiardinoonlus.it. avrete così occasione di conoscere in musica la storia bizzarra di "oltre il giardino".

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la CUra siaMo Noi

il mito della guarigione scienza e tradizione

la cura è intrusiva, senza contatto non vi è guarigione, dove per contatto si intende compenetrazione, compresenza, coazione: come per i taumaturghi, che nella tradizione orientale guariscono attraverso la trasmissione della propria conoscenza terapeutica, anche solo attraverso l’imposizione delle mani…esculapio, che è il vate dei medici, è patrono dell’occulto e dei negromanti: sono le insidie a guarirci e quanto non conosciamo, esso può avere un effetto benigno ed, evidentemente, vivificante.il dio greco portava dentro di sé un sangue velenoso e uno miracoloso, questo a chiarire come per gli antichi fosse già evidente che nelle potenzialità del medicamento (di cui il dio è immagine vivente) fosse molto il maleficio e assai il beneficio. Per questo i dosaggi dei farmaci hanno tale importanza e l’uso moderato di alcol e

droghe può avere effetti benigni sulla salute.la pozione è infatti quella mistura, avulsa invalsa, che porta l’organismo in una condizione di agio o di disagio sintomatico; le streghe del seicento erano eredi di un sapere millenario che si origina nel culto della madre terra, di demetra e di Persefone, e che ancora oggi sopravvive in alcune zone silvane del nostro bel paese e di altre terre.i sovrani dell’antichità usavano assumere veleni (droghe), per rendere il loro fisico impenetrabile a malefici e congiure.È ovvio che una sostanza che lede può ledere una lesione: la cura è quindi cura quando vi è da curare un’incuria: più sarà mirata più mirerà il disagio provocato dalla malattia, sanando il paziente e annientando il fuoco virale, coacervo di infezioni.credo che la medicina moderna debba rivolgersi a quella antica per trovare una cura alternativa che presenti elementi validi e

più validi nello stroncare il morbo: se infatti uniamo il sapere medico tradizionale alle medicine contemporanee abbiamo un’efficacia maggiore delle une e un potere risanante superiore delle seconde.Per questo i rimedi della nonna non sono da sottovalutare, come non va sottovalutata la diagnosi di un medico: è la combinazione tra le testimonianze del passato e le innovazioni del presente a rendere veramente efficace una cura.La cura, in definitiva, sta poi nel curarsi, poiché solo chi vuole guarire guarisce.la cura è quindi guarigione solo se la guarigione è curata accuratamente, passo per passo.concludo dicendo che già in noi vi sono terapie e medicamenti a cui poter attingere per risanare il nostro corpo e il nostro animo.la cura siamo noi.

MarCo CaTaNia

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● Marco Catania ( foto Gin Angri).

� l’agro negro del negro mante ( sfondo sfondato a fondo affondato)l'agro Negro Del Negro MaNTe

Urge urgere, gli urti dei detriti deterrenti urticanti, incroci destinati nei crocevia tra i crocicchi, spiazzati dai pazzi, negli spiazzi all’impazzata.se sarà, sarà essere.se avrà, avrà avere.se potrà, potrà il possibile.I belligeranti bellicosi e le fiere altere, anime spiritualmente corporee, divise dall’inventiva, pericolosamente.Umanamente l’ideale è ideale idealmente, e malamente.idealmente l’umanità è umana malamente, umanamente.la mente è un ideale umano malato.Divino è l’entusiasmo, entusiaste divinità che divinate entusiasmando, che entusiasmate divinando, tra gli orpelli repellenti nelle brughiere malsane.

Come eccome come comincia economo, secondo la volgata a frittata, il lessico lessato, criterio rincretinito.imbarcati a barcamenarti, e barcamenerai imbarcati…. l’ evo vede il longevo, l’eone vede il longanime asseconda a seconda, secondariamente…secca seccatura, se secca seccatura è seccatura secca. avarizia del prodigio.

MarCo CaTaNia

il farmaco, la droga, il veleno, agenti esterni interiorizzati. come la serpe, che si insinua nelle cavità; come la croce, che si erge nelle fenditure del cielo; come la serpe sulla croce (il cielo che fende le insidie incavate, i fendenti insidiosi negli incavi celestiali)

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Yoga TheraPY

● Foto Archivio OLtre il Giardino

stavo scrivendo un libro sulla clown terapia e sulla gelotologia, la disciplina che studia il ridere, quando mi giunse la proposta di fare il mio primo corso per diventare leader di Yoga della risata, metodo che avevo conosciuto solo tramite i libri. Poi un week end a chianciano nel 2007, cambiò radicalmente il mio sguardo sul ridere come terapia. fu allora che per strane coincidenze scoprii una nuova pratica e il suo ideatore, madan Kataria, un medico indiano col quale poi scrissi quello che rimane il libro di base del metodo: Yoga della risata: ridere per vivere meglio, pubblicato da edizioni la meridiana. Per me fu uno stimolo a far entrare nella mia vita lo Yoga della risata e così è stato sia a livello personale, dove lo pratico con continuità, sia come strumento per diffondere il buonumore e contagiare le persone che incontro quotidianamente o che partecipano ai miei corsi. mi è capitato di fare un concerto di risate in un teatro di bari per 300 insegnanti. di coinvolgere nel “ridere” manager di banche svizzere, spesso impettiti nei loro vestiti e nel loro ruolo ingessato. di vivere esperienze importanti anche nel sociale, sia nelle residenze per anziani sia con persone con problemi di tipo psichiatrico e non ho mai trovato ostacoli, anzi in un batter d’occhio questa pratica sgombra la mente dei pensieri inutili e, grazie alla modifica della nostra posizione corporea, grazie al cambio della nostra maschera facciale, il cervello, quando scopre che stiamo ridendo anche senza motivo, ci invia le endorfine che equivalgono alle droghe del buonumore. ad oggi l’esperienza più significativa è un appuntamento settimanale con una classe di terza elementare di capiago. sono stato invitato da

seguire il percorso lineare dell’umorismo. una proposta apparentemente folle come la risata senza ragione è comprensibile che generi resistenze e scetticismo e l’unico modo per comprenderla è partecipare a una sessione di risate. gli studiosi, Paul ekman e robert levenson, psicologi dell’università della california, sono arrivati alla conclusione che il detto di un proverbio inglese “indossa una faccia felice”, naturalmente intesa come scelta volontaria, può portare a dei risultati straordinari. le ricerche hanno dimostrato che le espressioni facciali non sono soltanto delle reazioni a degli stati emozionali, ma possono a loro volta provocare questi stati emozionali. È quello che succede nei club della risata. una volta stimolata la risata, per contagio

un’insegnante entusiasta del metodo e i risultati che stiamo ottenendo sono fenomenali: i bambini si sentono più liberi di esprimersi, ridono con più facilità anche durante la settimana, apprezzano la musica e la guida di una voce che gli propone le visualizzazioni mentre loro sono sdraiati a terra in silenzio, con gli occhi chiusi. tutto ciò porta maggiore relax, una serenità e un clima di convivialità che facilita le relazioni tra di loro e coi loro genitori, i quali, anche a casa, hanno percepito che qualcosa stava succedendo. la presenza di bambini autistici o con ritardo cognitivo ha permesso anche a loro di fare un’esperienza insolita che li ha stimolati a varcare limiti prima insuperati. dopo una sessione di risate, con qualsiasi gruppo io lo faccia, anche il mio buonumore riceve una dose di manutenzione che mi dà energia e, quello che è più importante, mantiene bene in forma il mio bambino interiore, la mia giocosità e mi ha fatto diventare un adulto diverso, che non ride solo 10 o 15 volte al giorno, ma si avvicina al ritmo dei bambini che, quando stanno bene, possono ridere fino a 400 volte al giorno. infatti i bambini sanno vivere il presente e non si preoccupano come gli adulti, i quali nel 95% dei casi si occupano prima di fatti che mai succedono. È un dato acquisito che la risata aiuti a sviluppare un processo di pensiero positivo, ma si può parlare anche di un’azione di cura? non sembra lontano il tempo in cui essa potrà essere introdotta, dalla porta principale, nei luoghi di cura per integrare e migliorare l’efficacia della medicina classica e, soprattutto, per agire come fattore protettivo e preventivo. Per ora sono in atto delle sperimentazioni, ad esempio con persone in dialisi, mentre dal punto

di vista preventivo il dato risulta ormai acquisito. la risata è una medicina per il cuore, non solo perché tutela un organo prezioso del nostro corpo, ma anche perché rafforza la metafora che lo identifica come propulsore e generatore di quell’affetto e amore che ognuno di noi considera l’alimento principe della vita. la proposta semplice e un po’ rivoluzionaria dello Yoga della risata messa a punto da madan Kataria congiunge le potenzialità del ridere con quelle dello Yoga. ne deriva un metodo spiazzante attraverso cui si può giungere alla risata positiva senza

guardando un’altra persona o per un piccolo atto di volontà, il risultato finale nasce dalla nostra parte più profonda e la nostra apertura mentale alla risata senza motivo può favorire in noi una maggiore disponibilità e capacità umoristica. Quindi, si può ridere senza motivo e il nostro cervello, quando l’espressione facciale è ridente, attiva le endorfine e genera quel piacere che tutti noi possiamo procurarci senza aiuti esterni come le cosiddette “pillole della felicità”. immaginate un mondo in cui si potesse ridurre di molto la tristezza e la paura grazie alle risate. Potrebbero addirittura chiudere molti dei cosiddetti “luoghi di cura” e persino il bilancio dello stato ne avrebbe beneficio.

alBerTo TerZi

life coach del buonumore

● Foto Archivio Oltre il giardino.

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Yoga della risata...

cronaca del buonumore

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alla riCerCa Della gUarigioNe

pensiero positivo

● Rosanna Motta.

l'abecedario dello star bene

creato dove tu ne sei parte e consapevole dono di te stesso;tutto è più chiaro di te e degli altri, senza troppe complicazioni, in modo lineare,naturale. Tutto questo è sorpresa, stupore e meraviglia.Ti rendi conto del tuo passato , del perché sei stato o hai agito in un certo modo e anchedel perché sei oggi, quello che sei.se a volte hai agito provocando lo star male degli altri, comunque eri in buona fede, fuori dalla vera volontà e dentro di te sparisce quel senso di colpa che come una nebbiaoffuscava la mente, il cuore. il tuo vero essere era escluso da quell’agire inconsapevole.in tutto questo mi è stata maestra la mia vita , il contesto dove sono cresciuto, la cultura e in seguito la psicanalisi mi ha svelato anche le parti più nascoste di me stesso fino adarrivare a “comprendere” e non

ad accusare.la sorpresa di sorprendermi di me stesso è stupore.impari ad accarezzare l’altro perché ti rendi conto che a volte il loro agire è un agireinconsapevole come lo ero io, dentro camuffato nelle difese , difese che servivano a nonfar riemergere certi vissuti. Dunque come potrei biasimare o giudicare male unainconsapevolezza?stupore è anche incontrare

all’improvviso la donna che ami e sorprendertipiacevolmente,anche dopo anni di convivenza, come se fosse la prima volta ed il tempo si annulla inquell’emozione.stupore è il sorgere dell’alba, vivere questa emozione probabilmente come l'havissuta il primo uomo che ha visto la prima alba. Un alba chiara come un’anima pulita esemplice.il vero stupore incanta, senza parole, come un metallo attratto da una calamita, ti trattiene e non vuoi uscire da quell’incanto.lo stupore profondo è una condizione che ti conduce all’estasi, senza emozionisaremmo banali robottini.lo stupore è emozione e quindi vita vera.Noi tutti siamo fatti così, semplicemente… così...

giaMPiero ValeNTi

in questi anni, passati alla ricerca della guarigione, mi sono evoluta culturalmente (senza falsa modestia).• Dalla conoscenza del pensiero di Erasmo da Rotterdam e di alcuni psichiatri e psicologi (quali r. laing ,V. andreoli, eugenio borgna, f. basaglia, sigmund freud, carl Jung, r. coleman, m. gambotto, r. anchisi e altri); • alla macrobiotica, con la quale ho e sto cercando di mantenere il mio equilibrio olistico (cercare di mantenere di continuo l’equilibrio tra yin e yang, cioè tra il negativo e il positivo che c’è in noi ed è in ogni forma di ciò che ci circonda nella vita: notte-giorno, freddo-caldo, femminile-maschile, odio-amore, eccetera);• al pensiero positivo; • allo sviluppare l’ottimismo;• alla risata;• all’ironia, regalatami da un amico, con il quale ho iniziato l’avventura dell’amicizia;• a Mauro che mi offre la possibilità di esprimermi;• agli amici della Redazione;• alla relazione con i miei famigliari;• alla ginnastica respiratoria;• alla lettura di Nemesi medica di Ivan Illich, con il quale ho potuto sapere e perciò chiarirmi le idee in merito alla scelta fatta dall’o.m.s. (organizzazione mondiale della sanità) di abbandonare l’umanesimo di ippocrate per la chimica e la tecnica, legate al liberismo abbracciato da molti medici, che mi sta facendo riflettere, e molto, sulla differenza fra vera intelligenza, intelligenza (o follia della normalità) o stoltezza, che mi aiuta a capire perché siamo ridotti in un mondo di corruzione e di falsità, in cui pochi hanno potere economico e molti sono quelli che vengono ridotti in miseria. Qui il discorso si fa lungo, quindi torno alla descrizione delle mie cure, tra le quali c’è anche il risperdal; • al Risperdal, una iniezione che faccio ogni 14 giorni, che mi aiuta a tenermi salda, e lucida, nel sostenere il dibattito-confronto con l’anna rita, che essendo una al servizio dei liberisti è molto tosta e la considero “torturatrice” nei miei confronti. anna rita è diventata una “voce” da avversa ad avversaria, con la quale dibatto continuamente gli argomenti molto vivi della società;• alla partecipazione alla Redazione, che mi dà l’occasione di conoscere molte persone e di capire che altri soffrono malesseri e disagi anche più gravi del mio;• alla scoperta di Dio Geova che a sua volta mi aiuta a scoprire e a fuggire la falsità di molti, o di tutta la società, che per il potere economico è in sfida (nichilismo) con Dio geova.con tutte queste cure riesco a essere serena e a sapere dare amore agli altri. Questo è il traguardo da me raggiunto e che voglio continuare a mantenere; e soprattutto voglio mantenere la gioia di vivere, perché la vita è un dono ricevuto da dio geova.

rosaNNa MoTTa

● Giampiero Valenti.

la vita è stupore.la vita ti sorprende, la vita è sorpresa.Quando meno te l’ho aspetti… quando sei meno guardingo e ti lasci andare, ti lasci guidaredal tuo cuore, tutto diventa più bello, a condizione che il cuore sia un cuore pulito, libero daogni pregiudizio o preconcetto, un cuore consapevole libera l’anima ad ascoltare il vero dite stesso; il cuore è la mente dell’anima. l’anima pulita è emozione pura.la mente stessa quando libera una consapevolezza, ti stupisce e gli vuoi bene, apprezzilei e te stesso.Ti rendi conto di quanto è immensamente grande e complicata la mente ma nellostesso tempo così semplice, la logica dei meccanismi che muovono tutto il tuo essere e forse in questa consapevolezza sta la bellezza. Ti avvicini sempre più a te stesso e ticommuovi di tutto questo, del

� stuPore

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«la cultura e in seguito la psicanalisi mi hanno svelato anche le parti più nascoste di me stesso fino ad arrivare a “comprendere” e non ad accusare»

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leTTera

Figli di un Dio migliore

da un “contenuto contento”

● Pierfrancesco urla (foto Gin Angri).

lettera da un “contenuto contento” di filippoamici, chi Vi scrive non è come tanti ... come nessuno io ho patito, come nessuno ho gioito, come nessuno io ho vissuto ... che il mio dolore mi lasci fiero e testimone di un orgoglio che voi vogliate perdonare nella sua composta fierezza e orgogliosa umiltà e accogliere come il ruggito di un leone ferito ma affatto sconfitto.il mio dolore è quello di pochi privilegiati, il mio, quello di tanti altri, ma il mio, quello mio è assoluto, perché incomunicabile e incompreso e ciò fa del mio cuore profondo una perla imperfetta ma preziosa.ho amato molte donne, ho odiato molti uomini indegni del mio disprezzo

ma nel mio microcosmo mi hanno reso arido ma non sterile.mi hanno reso serio, ma posso ancora ridere.mi hanno reso tragico, ma non drammatico.mi hanno piegato, ma non spezzatopoiché ancora posso essere felice...… amando silvia che nessuno amava perché non amata da nessuno, aiutando francesco che nessuno aiutava poiché si è troppo in debito con chi non chiede niente a nessuno, non cedendo alle lusinghe di uno o alle provocazione di un’altra, dando sollievo a una fata dalle ali tarpate crudelmente imprigionata in un letto di spine, spargendo profumo sull’ultimo dei reietti, gesto inutile ma santo, dando la mia parola a una prostituta subito dopo averla avuta al mio tavolo vederla omaggiata da una rosa, poiché l’amore non si riposa e si manifesta in ogni dove nel peggiore dei luoghi, le sue alchimie conducono anche chi non è alchimista e in questo viaggio sono favoriti e santi, benedetti e unti quei figli di un dio migliore disagiati disabili diversamente abili.

Vi allego questi versi omettendone l’autore acciocché acquistino un carattere universale di aiuto a coloro che soffrono e di monito ai superbi che senza conoscere sentenziano sul dolore, quello altrui.Per tutti luce di perenne sostegno.

Invictus

“al di fuori della notte che mi ricopre, nera come l’abisso che va da un polo all’altro.ringrazio gli dei per qualunque cosa faranno, per la mia anima inviolabile.nelle peggiori circostanze non ho mai indietreggiato né pianto perché mi udissero.sono stato a lungo minacciato e la mia testa sanguina ma non si piega.”

P.F.M.T. r+C

Questo articolo è tratto scrupolosamente e rigorosamente dalle confidenze e confessioni di Filippo che ha voluto farmi partecipe della sua storia e dolore.Filippo parla chiaro: pretende da me correttezza e fedeltà di pensiero, preferisce lo pseudonimo che consente quella libertà che altrimenti non avrebbe e la disinvoltura con cui non sarebbe possibile parlare di sé come a un amico caro.Non è facile afferrare il pensiero di Filippo: quasi sempre necessiterebbe di quelle spiegazioni che nessuno può dare intorno alla veracità assoluta e immediata di un genio, un poeta, o un pazzo afferrabile per sola simpatia, colorita come direbbero i nostri amici medici, togliendo di molto alla complessità caratteriale del nostro amico; forse per comprendere Filippo dovremmo farci folli come lui è, e forse per comprendere il fenomeno, umano, tutto, dovremmo farci folli.Filippo è disabile, o diversamente abile, una definizione finita per una propensione umana assolutamente infinita: l’anima umana e la sua complessità sfuggono a qualsiasi definizione, e appena catturata da un termine esso è già improprio, desueto e riduttivo, ignorante e pernicioso come ogni ignoranza, crudele e “massiminale” come solo i mass media possono essere, … ma per fortuna Filippo non si cura dei termini inclementi relativi al suo stato sociale o a una forma mentale che definiscono più la mediocrità di chi li conia che l’effettivo stato delle persone a cui sono rivolte e sul piano, per così dire, puramente “umano” preferisce vivere e guarire nella maturata convinzione di essere stato sempre degno nonostante i perigliosi cammini, le tortuose strade, le tappe in salita e quelle in discesa, tutte accolte e necessarie perché hanno fatto di lui una persona non perfetta ma perfettamente unica, non malata anzi privilegiata: conosce le vie degli universi anche se li ha resi inutili e vane ai più e vuole condividere tutto ciò con i cosiddetti “normali” per salvarli e riscattarli dei loro stessi mali,Dice Filippo: “se ognuno prendesse la sua terapia il mondo sarebbe migliore”.

e anche del mio onore... ho amato dio sempre, sempre mi ha rincorso anche quando mi si mostrava sordo era presente nel peggiore dei letti, con me crocefisso dalle peggiore terapie avvelenato, negli insulti e negli abusi di chi doveva curarmi e guarirmi e invece mi ha odiato e percosso, nelle ingiustizie verso un amore mai profanato, il dolore era tale che non potevo essere solo nel sentirlo, dunque una croce con una rosa, una rosa + croce, dio era sempre con me.ora mi sono guadagnato irrequieto il giusto paradiso degli ingiusti e nonostante dicano che una pace iniqua sia meglio di una guerra giusta qualcosa in me è ancora convinto che la seconda non sia la più

conveniente ma certo la più degna e coraggiosa e questa fiamma che arde in me è ancora il mio vero paradiso che testimonia a me solo di non aver ceduto al male, al male oscuro, quello potente, irreversibile, vicino e forte, cattivo non umano, presente, sempre, quello con gli zoccoli potenti che di notte fanno rumori impietosi e inclementi, forieri di giorni peggiori dei primi e certi di nuovi giorni.il paradiso è cosa da folli e non per le persone cosiddette “normali”: è nel crogiuolo dell’inferno che ci forgiamo e che troviamo la nostra vera medicina, quella che ci rende immune a tutte le altre: la pietra d’oro foriera di molteplici trasformazioni infinite tutte riconducibili all'unico amore nel cuore infernale di ogni dolore ove giace un paradiso denso e sottile per noi creato, che io stesso ho sfiorato toccato e visto. spesso la mia intelligenza ama fuggire via e lasciarmi solo con il mio orgoglio

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TraTTaMeNTo saNiTario oBBligaTorio

Basterebbe una carezza di... Valentina

chi è sano? chi è malato?

● Disegno di Valentina.● In basso: Cesare Benzoni nel giardino dell'Hospice San Martino (foto Mario Civati).

basterebbe una carezza di… Valentinaraccontare la mia storia non è facile perché dopo anni in cui vengo ritenuta e curata per le mie crisi dissociative la mia credibilità è ormai lesa, il bollino ormai stampato sulla fronte.sono una persona come tante dotata di intelligenza e grande capacità di controllo della mia emotività, così almeno ammettono anche i medici.da poco ho terminato il mio ricovero in spdc come Tso, da me definito “9 giorni di galera”; mi chiedo a tutt’oggi che reato ho mai commesso per meritarmelo!i miei 9 giorni rinchiusa nel reparto psichiatrico mi sono sicuramente serviti per prendere consapevolezza di come si cura la malattia mentale. Quattro mura circoscritte, metodi che incutono paura a persone già spaventate abbastanza dal proprio vissuto, un personale medico e infermieristico poco educato all’ascolto, uso dei

farmaci improprio perché lì la cosa importante è sedare, non curare.sono stata legata per ben due volte dalle guardie e con tanto di punturone perché mi rifiutavo di prendere i farmaci senza aver mai avuto scatti di

rabbia o manifestato atti vandalici, la prima volta tra l’altro mi hanno legato per quasi tutta la giornata senza aver diritto al pasto perché così è la prassi.Qui due domande sorgono spontanee: se il problema è l’assunzione del farmaco

� “ACCANTO”, la casa degli addii. Viaggio al termine della cura

Nel parco del san Martino, in cima alla strada che porta verso Villa Verde, subito dopo la graziosa chiesa da poco restaurata, si trova la sede dell’hospice san Martino: struttura adeguata alla cura dei malati terminali. ad alleggerire l’arduo compito di medici ed infermieri ci sono i volontari dell’associazione accanto.il sodalizio nasce nel 2005 un anno dopo l’ apertura dell’hospice. Per saperne di più sul compito di un volontario che si prodiga in un esercizio così delicato intervistiamo Cesare Benzoni , che ci testimonia i lunghi anni trascorsi per l’associazione.

Benzoni racconta: “essenzialmente direi che il nostro motto è: ”non curare ma prendersi cura”. in hospice ci si arriva quando le cure mediche tradizionali non servono più, ma serve altro: cure palliative, psicologiche, insomma un aiuto a fare l’ultimo viaggio… Normalmente i pazienti non sanno della gravità della loro situazione, di solito pensano di esser li per una terapia di recupero e i familiari di riflesso spesso preferiscono non dire

nulla… Certo noi preferiamo la conoscenza per il malato, la consapevolezza… anche in quell’attimo di vita i pazienti informati recuperano situazioni lasciate alle spalle. in certi casi gli ospiti hanno avuto una trasformazione: malati che sono entrati hanno avuto un beneficio, da malati terminali hanno bloccato la malattia… ovvio che in molti altri casi ciò non succede... l’associazione accompagna il paziente a lasciare la vita, dando un aiuto anche ai familiari…l’accanimento delle cure non serve, la chemio quando non indispensabile fa stare male fisicamente, quindi è inutile portare avanti una cura che nella fase terminale non lenisce la malattia diversamente le cure palliative possono invece sollevare il paziente… il tempo medio di permanenza di un paziente terminale – da studio fatto – si attesta sui 20 giorni.Mi chiede quanto l’approccio affettivo e la serenità del luogo possono aiutare: noi non possiamo seguire la cura, il compito nostro è stare vicino alla persona e dare affetto… molti pazienti non hanno più famiglia. Certamente si cerca in hospice di creare l’ambiente di casa, attraverso oggetti famigliari, quadri… come se il paziente fosse a casa…il volontario condivide certi momenti, cercando di recuperare la dignità del paziente. Paziente che spesso eroicamente incoraggia noi, in un attimo così drammatico, nell’essergli vicino.

MaUro Fogliaresi

non era sufficiente la puntura? Perché si vuole a tutti i costi spaventare?l’altro punto riguarda i farmaci, mi è stato dato il serenase che mi ha provocato un irrigidimento muscolare tale da far fatica persino a respirare, ma il medico di turno non ha alzato un dito per aiutarmi perché sosteneva che la mia reazione era frutto della mia emotività; al cambio turno il medico successivo mi ha aiutato con una puntura di valium.le altre domande sono: chi è veramente dissociato? siamo proprio sicuri che sia questo il modo migliore per ascoltare e curare?ciò che ho percepito e che percepisco ogni giorno è che viviamo in un contesto sociale ricco di contraddizioni: da una parte un grande bagaglio culturale sano e dall’altra una grande inconsapevolezza e incompetenza; da una parte fior di libri che hanno già scoperto l’arcano, dall’altra una grande difficoltà a

mettere in pratica i grandi insegnamenti.forse ci stiamo confondendo un po’: chi è sano e chi malato? che cos’è la normalità?nel mio mondo ritengo normale la persona in grado di volersi bene e di voler bene al prossimo, la persona in grado di ascoltare.a volte per sanare basta veramente poco, me l’ha insegnato un bambino, basta una “carezza”!e di “carezze” mancate negli ospedali ce ne sono davvero tante!

ValeNTiNa

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la sCeNa e la CUra

● Foto Mario Civati.

● A sinistra: Miriana Ronchetti nel Teatro di Villa Olmo a Como. ● A destra: Marco Wenk, attore.

da quando ho avuto una forte depressione dovuta alla scomparsa di mia mamma, iniziai tre anni fa un corso di teatro e posso dire che è stato ed è tuttora una buona cura, grazie alla mia insegnante miriana ronchetti che ci ha insegnato le diverse nozioni della recitazione e dell’uso della voce, facendo seguire poi alla lettura la spiegazione di diversi autori di teatro. la cosa che mi piace fare è l’improvvisazione, creare il personaggio: da

� la cura È ParteciPazione.siamo noi la cura!riscoprirsi ogni giorno nel proprio limite che è la malattia, cercando sempre di rimanere attaccati alla realtà, sapendo bene che in prima persona viviamo noi la soluzione dei nostri problemi!il miracolo della vita ci aiuta a riscontrarci vivi nel presente, dove vediamo che tante e tante persone come noi soffrono. il coraggio di continuare ci rende protagonisti della nostra vita, malata o sana che sia! la soddisfazione è quella di sentirci partecipi e coerenti e di essere sempre vivi e fratelli.Con la sicurezza che bisogna anche essere opportunisti per farci aiutare nei nostri momenti difficili e trasformarci nelle più belle cortesie e accortezze grazie a chi ci aiuta in evidenti gesti di umanità.e ricordiamo che, molte volte, la pace di ognuno di noi può diventare la pace del mondo, quel mondo, quel mondo particolare dove vivono tante creature come noi o anche diverse. Come è la natura multiforme della vita.

Mario MaraNgio

quello allegro, a quello scherzoso a quello triste, modificando l’espressione del volto, nonché lo stato d’animo. ma la cosa molto importante che va curata consiste nell’articolare la voce e nel far uscire la parola.il tutto posso dire che mi ha giovato tanto, insomma la teatro-terapia è stata una buona cura (per non essere ripetitivo, dopo avere fatto quattro spettacoli mi sono “rimesso in piedi” con la mia anima).

frequento inoltre un centro diurno, dove mi ritrovo a fare diverse attività: montagna, gioco delle carte, scacchi, pallavolo, canoa e per finire pattinaggio su ghiaccio. a volte con il centro diurno si affrontano escursioni anche di qualche giorno e se per qualcuno sarà solo divertimento, ma per me rimane pur sempre una buona cura.

MarCo WeNK

� il teatro e il suo doPPioecco l'angoscia umana in cui lo spettatore dovrà trovarsi uscendo dal nostro teatro. egli sarà scosso e sconvolto dal dinamismo interno dello spettacolo che si svolgerà sotto i suoi occhi. e tale dinamismo sarà in diretta relazione con le angosce e le preoccupazioni di tutta la sua vita. Tale è la fatalità che noi evochiamo, e lo spettacolo sarà questa stessa fatalità. l'illusione che cerchiamo di suscitare non si fonderà sulla maggiore o minore verosimiglianza dell'azione, ma sulla forza comunicativa e la realtà di questa azione. ogni spettacolo diventerà in questo modo una sorta di avvenimento. Bisogna che lo spettatore abbia la sensazione che davanti a lui si rappresenta una scena della sua stessa esistenza, una scena veramente capitale. Chiediamo insomma al nostro pubblico un'adesione intima e profonda. la discrezione non fa per noi. ad ogni allestimento di spettacolo è per noi in gioco una partita grave. Se non saremo decisi a portare fino alle ultime conseguenze i nostri principi, penseremo che non varrà la pena di giocare la partita. lo spettatore che viene da noi saprà di venire a sottoporsi ad una vera e propria operazione, dove non solo è in gioco il suo spirito, ma i suoi sensi e la sua carne. se non fossimo persuasi di colpirlo il più gravemente possibile, ci riterremmo impari al nostro compito più assoluto.

(da Il teatro e il suo doppio di antonin artaud)

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«... la pace di ognuno di noi può diventare la pace del mondo, quel mondo, quel mondo particolare dove vivono tante creature come noi o anche diverse»

la mia “teatro terapia”

il teatro mi ha guarito

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aNiMa e CUra

Prenderla con filosofia

● E diventa normalità il silenzio, non ne puoi più fare a meno. Diventa la tua droga, la tua tana, la tua

Quando si parla di anima, si parla di Platone. l’anima per Platone ha a che fare con l’eternità della vita, è da sempre ciò che dà vita. la concezione dell’anima è un cammino che è cibo della vita eterna. il rapporto anima e corpo è un dualismo da comprendere nella sua totalità, mente e corpo sono inscindibili ma distinguibili. il cibo che nutre l’anima è la continua ricerca del sapere, l’immancabile desiderio di cultura, l’unica risorsa che abbiamo per evitare di spegnere la luce che ci tiene vivi. lo svilupparsi costante della sensibilità e dell’amore profondo produce la capacità di creare legami fecondi che sono l’insieme

delle relazioni umane, l’essenza della vita stessa. coltiviamo l’amicizia nella verità e l’amore nell’umanità. non si può pervenire al proprio bene se non si tiene conto del bene dell’altro e per far ciò bisogna sviluppare e realizzare le risorse che abbiamo, stando costantemente pronti a correggerci ed evolverci. le fragilità si uniscono nella loro diversità, diventando un’unica forza nella loro reciproca corrispondenza. la felicità non sta nella realizzazione del singolo ma nella capacità di saper relazionare con l’altro, nell’essere nel giusto rapporto con la cosa con cui si ha a che fare. la comprensione è un alternarsi di silenzi più che una prepotenza di

parole. noi abitatori del tempo, custodi del mondo, riempiamo il cuore di bene e bellezza. se il mondo fosse così come lo vediamo, sarebbe già crollato da tempo. È quello che non si vede che ci fa ben sperare. abbiamo un’umanità ricchissima di strumenti ma poverissima di sapienza, allora prendiamoci cura della nostra anima.

Paolo MaFFia

● In alto: Jean Delville, La Scuola di Platone, particolare, 1898, Parigi, Musée d'Orsay.

● In basso: disegno di Anita Bertacchi

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proGeTTo GrAFiCoandrea rosso

reDAZioNe Di quesTo Numerosergio baragiola, anita bertacchi, giusePPe bruzzese, marco catania, mario ciVati, angela corengia, fernando costa, roberta del corso, gioVanna galeazzi, sandro ferrari, Vanessa filiPPi, aleXandra Kalsdorf, mauro letta, Paolo

maffia, mario marangio, alessandra moratti, laura moretti, rosanna motta, rosalba Perca, elena Poli, gioVanni saPoriti, cristiano stella, lisa tassoni, Paola tomaselli, Pierfrancesco P.f.m.t. r+c trombetta, gianPiero Valenti, marco WenK

sTAmpAPixartprinting, Quarto d'altino (Ve).

reGisTrAZioNePeriodico registrato presso il tribunale di como n. 8/010 del 23 giugno 2010.

riNGrAZiAmeNTiun particolare grazie a tomaso baj per il suo estro e creatività che ci ha aiutato a far nascere e crescere Oltre il Giardino.

associazione socio culturale Oltre il GiardinO Onlus

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� Scura riaffiora la pauraScura riaffiora la pauradeserto sterile giungla urbana

e seNTirsi MaNCa

DiPeNDe Fragile

la MeNTe sFUggePerChe' al CUore DeBole il soFFio resisTa

la cura alla sterile giungla porta all'attenzione e la ForZa Che resTa e' Per aBBaTTere ogNi MUro

chiara riaffiora la paura di mondi su misuratutto inclusoregole scritte e non da rispettaredifficile volare camminare dormire bere …....facile prendersi per il sedereinghiottiti assimilati espulsichiusi in un sacco nero o trasparente violaperché tanto nel 2014 ricicliamo come dio comandainseminati tiossati reclusi obbligati vincolatisbagliati! Avvelenati schifati rifiutati lasciati solia marcire nel sacco ermeticamente chiuso

libera espressione fine soluzione

lavoro su noi stessi libera i riflessilavoro per noi stessi libera i riflessiconfusamente labile vita impalpabileoppressi dai problemi fossimo tutti scemi chiusi negli scheminegli dagli schermiribolloguizzofluiscoevaporopiovopenetrovolo?sorvolo?scivolocrollonon mollo come muro?respiro

aNiTa BerTaCChi

CoPerTiNaL'urlo di Rossana (foto gin angri)

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a scuola da Platone

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photofinishdi Mario CiVaTi

Nel prossimo Numero Di olTre il GiArDiNo il piACere e lA BelleZZA

Fotofinish è il giardino di Mario Civati, il nostro fedelissimo fotoreporter, uno “scatto” senza barriere e chiusure, la luce è luce ovunque sguardo universale, da cittadino del mondo. La nostra linea oltre il giardino non è difendere uno spazio ma condividerlo ovunque, non è chiudersi in un territorio . Ma Viverlo. Fotofinish è ai confini di un mondo dentro e fuori di noi

MaUro Fogliaresi

oltre il giardino