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"Oltre. La vita eterna spiegata a chi cerca" di Diego Manetti

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Un percorso tra fede e ragione, per non smettere di interrogarci su quello che ci attende dopo la morte e sul senso ultimo della vita nostra e di quella dei nostri cari.

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DIEGO MANETTI

OLTRE

La vita eterna spiegata a chi cerca

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© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

ISBN 978-88-215-9510-3

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AL LETTORE

Quello che hai in mano lo considero un po’ “il libro della mia vita”. Lo so, può sembrare strano dire così di un libro che parla (anche) della morte, ma non saprei usare altre parole per esprimere che cosa esso sia.

È il libro della mia vita perché – come avrai modo di verificare dopo le prime pagine – non si fonda tanto su studi e citazioni, spiegazioni e letture erudite, quan-to piuttosto sull’esistenza vissuta. La mia, ma non solo: poiché per grazia di Dio ho incontrato così tante perso-ne nel corso degli anni, che essa è diventata come un “serbatoio” di molte altre vite, di diverse esperienze, di mille racconti... E, sempre, ho potuto riscontrare che il cuore dell’uomo – di ogni uomo, quali che siano l’età, la professione, la cultura, la religione... – anela all’infi-nito da cui viene, di cui è costituito e per cui è fatto. Questa è l’esperienza che ho vissuto, attraverso le mol-teplici sfaccettature di umanità incontrate, osservate e conosciute fin qui; ogni uomo porta in sé il desiderio di andare oltre i limiti che la vita continuamente gli pone, in ultimo anelando a varcare quella soglia che, inesora-bile, pare attendere tutti al termine dell’esistenza, cioè la morte.

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La morte terrena incombe, ineluttabilmente, su cia-scuno, eppure – aldilà delle auto-rassicurazioni con cui l’uomo contemporaneo sempre più tenta di censurare la questione, parlandone come di un fatto “naturale” o di un problema che, in fondo, non lo riguarda – nell’inti-mo di noi stessi non riusciamo ad accettare tanto facil-mente che, da un momento all’altro, possa giungere la fine: una fine che ci strappa dalla vita – la nostra e quel-la delle persone amate – annullando in un solo istante progetti, sogni e desideri per il futuro, inghiottendo tut-to il nostro vissuto nel nulla...

Insomma: ci ostiniamo a vivere, pur sapendo che dobbiamo morire.

Perché?Perché non possiamo fare a meno di chiederci che

cosa ci sia oltre la morte, oltre cioè quella fine terrena che – desideriamo, sentiamo, capiamo – non può esse-re la conclusione di tutto.

***

Questo libro tenta di porre alcune domande proprio su questo tema – che cos’è la morte e che cosa c’è oltre di essa –, a partire dagli interrogativi che mi vengono quotidianamente rivolti dagli studenti, dai colleghi a scuola e nel mondo dell’editoria, dalle persone che in-contro nelle occasioni più diverse: mentre sono in pelle-grinaggio a Medjugorje, oppure dopo l’adorazione euca-ristica nella mia parrocchia; quando vado a trovare una famiglia, oppure mi invitano per una conferenza o una testimonianza; ma anche semplicemente quando sono in fila al supermercato o nella sala d’aspetto del medico...

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Al lettore 7

Anche da questo punto di vista è un po’ il libro del-la mia vita, poiché raccoglie le questioni e domande (e anche alcune risposte) che proprio lungo il cammino della mia esistenza ho potuto incontrare e mettere a fuo-co, a poco a poco.

Soprattutto, il libro nasce dal desiderio di condivi-dere la bellezza di poter guardare oltre la morte, dopo averne fatto la drammatica esperienza – e non una vol-ta sola! – nelle persone a me vicine.

Non posso che dirti, caro lettore, che quanto ti con-segno non è solo un libro, ma un pezzo della mia vita. Non è tanto una teoria, quanto l’esperienza che perso-nalmente vivo ogni giorno: la morte non è l’ultima pa-rola per chi sa affidarsi a Gesù Cristo che è «la resurre-zione e la vita» (Gv 11,25).

Grazie per condividere questo tratto di cammino.

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Nota di lettura – Diverse sono le fonti che si possono citare a sostegno di affermazioni relative alla fede e tra esse la Chiesa ci in-segna che esiste una gerarchia: la Sacra Scrittura, la Sacra Tradizio-ne, il Magistero della Chiesa, il consenso unanime dei Padri, l’in-segnamento dei Dottori della Chiesa, la liturgia e la prassi ecclesia-stica, la vita dei santi e l’elaborazione teologica. Non essendo que-sta un’opera destinata agli addetti ai lavori, pur trattando di questio-ni teologiche ho preferito dare centralità all’esposizione delle tesi, rispetto alla loro fondazione, citando i riferimenti solo laddove l’ho ritenuto strettamente necessario. Altre scelte sarebbero state senz’al-tro possibili, ma in questo modo spero di andare incontro alle esi-genze del pubblico più vasto, cui quest’opera dal taglio intenzional-mente divulgativo si rivolge.

Infine, sovente cito le apparizioni di Medjugorje e i messaggi della Regina della Pace. Non faccio questo con l’intento di antici-pare il giudizio della Chiesa, nei confronti della quale mi sento le-gato da obbedienza e sequela filiale, bensì solo per rendere conto, nei termini di una pura testimonianza umana, di un’esperienza che ha inciso profondamente sulla mia vita di fede.

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I

PRIMA DELLA MORTE

Gli anni della nostra vita sono settanta,ottanta per i più robusti,

ma quasi tutti sono fatica, dolore;passano presto e noi ci dileguiamo.Insegnaci a contare i nostri giorni

e giungeremo alla sapienza del cuore(Sal 89,10.12)

PERCHÉ PARLARE DELLA MORTE,

QUANDO SONO GIÀ TANTI I PROBLEMI DELLA VITA?

Perché occuparsi della morte, quando la vita ha già così tanti problemi? Non sarebbe meglio interessarsi anzitutto alle questioni della vita e solo dopo occuparsi, eventualmente, della morte?

Queste obiezioni sono comprensibili. Ma celano in sé proprio la risposta al perché sia utile – anzi, neces-sario – interessarsi alla morte oltre che alla vita dell’uo-mo.

La vita porta infatti con sé una moltitudine di soffe-renze, preoccupazioni, difficoltà. È come un cammino impervio verso... che cosa? Proprio verso la morte.

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Questo dicono i fatti: tutti gli uomini muoiono. E se la vita è destinata a terminare con la morte, solo inter-rogandosi sulla morte si può sperare di dare una rispo-sta ai mille interrogativi sulla vita. Perché il dolore? Perché la malattia? Perché la fatica? Perché il male? Tutte queste domande conducono all’interrogativo più radicale: perché la morte?

Se paragoniamo la vita a un cammino – metafora tanto cara a scrittori, poeti, filosofi e pensatori nel cor-so dei secoli –, allora la morte è la sua fine. O il suo fi-ne, se pensiamo che ogni cammino tende a una mèta, a un punto di arrivo, a un compimento. Una mèta che re-trospettivamente illumina il valore e la consistenza del cammino percorso.

Ad esempio, se mi limitassi a proporre a un amico di attraversare un deserto, arido e assolato, infestato da ser-penti e scorpioni, dubito che questi accetterebbe di in-camminarsi sulla sabbia rovente... Ma se gli dicessi che, al termine di quel deserto, troverà il tesoro prezioso che tanto desidera, allora saprebbe che ne vale la pena!

Così pure, quando ci apprestiamo a compiere il cam-mino della vita, dobbiamo interrogarci sulla mèta, cioè sulla sua fine. E sul suo fine. Rispondere agli interro-gativi sul mistero della morte significa dunque rispon-dere alle domande più radicali sulla vita.

MA IL PENSIERO DELLA MORTE CI RATTRISTA,

QUANDO POTREMMO GODERE DELLA VITA!

La vita non è fatta solo di dolore, sofferenza, malat-tia... Certo che no! Essa è anche gioia, piacere, serenità,

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amore... Chi potrebbe negare che si tratta di una me-daglia a due facce?

Soprattutto quando si è giovani, in piena salute, con tutta la propria storia davanti: è allora che ci si sente padroni del mondo, capaci di realizzare qualsiasi im-presa e di affermarsi contro qualsiasi destino avverso. Non si sono forse conosciuti ancora i limiti della vita umana e dunque si vuol solo godere di quello che pare essere costitutivo della vita stessa. Oppure, proprio per-ché si intuisce che la giovinezza è destinata a scorrer via, e si osservano le persone più anziane perdere di giorno in giorno vitalità, energia e gioia, ecco che si de-sidera cogliere l’attimo fuggente e vivere secondo il carpe diem degli antichi.

Si tratta di un atteggiamento che ben si rappresenta nel detto di Lorenzo il Magnifico (1449-1492), politico e scrittore della dinastia fiorentina dei Medici:

«Quanto è bella giovinezzache si fugge tuttavia,del diman non v’è certezzachi vuol esser lieto sia».

Una frase dal tono agrodolce: la realtà della giovi-nezza è gioia e piacere, tuttavia essa è di breve durata, effimera, per cui conviene goderne presto. Senza la-sciarsi troppo turbare da cattivi pensieri, come scriveva il filosofo e matematico francese Blaise Pascal (1623-1662):

«Gli uomini, non avendo alcun rimedio contro la mor-te, hanno stabilito, per essere felici, di non pensarci mai» (Pensieri, 168).

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Ancora a Pascal possiamo rifarci per il concetto fi-losofico di “divertimento”, inteso in senso letterale (dal latino) come la scelta di de-vertere, cioè “allontanarsi”, “voltarsi dall’altra parte”, per non dover riconoscere che la vita pone questioni di senso per nulla facili né como-de, che possono turbare la pace e la tranquillità di chi vorrebbe, invece, limitarsi a godere dei piaceri del mo-mento. Scrive infatti il filosofo:

«L’unica cosa che ci consola dalle nostre miserie è il divertimento, e intanto questa è la maggiore tra le nostre miserie» (Pensieri, 168).

Il divertimento diviene quindi una (vana) consola-zione dinanzi ai limiti e alle fragilità della vita, una via di fuga che immiserisce l’uomo perché lo distoglie da ciò che lo differenzia dagli animali, conferendogli spe-cifica dignità, vale a dire la capacità di interrogarsi sul senso della vita, al di là della soddisfazione degli istin-ti e dei bisogni primari (bere, mangiare, dormire, ripro-dursi).

Si può dunque scegliere di non pensare ai problemi della vita, ignorando la questione della morte. Una tale scelta non appare però ragionevole, se confrontata con la necessità della ricerca di senso della vita nella sua complessità. Che senso avrebbe infatti vivere il momen-to presente della vita senza chiedersi quale sia il termi-ne verso cui tende?

Sarebbe come trovarsi in macchina in autostrada, lanciati a 180 km/h, e concentrarsi sulla scelta della sta-zione radio preferita piuttosto che domandarsi se i freni funzionano bene, così da evitare di schiantarsi alla pri-

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ma curva! O ancora, è come se capitasse di svegliarsi di soprassalto su un treno in corsa, non sapendo dove si sia diretti, e invece di ricercare – fors’anche con una certa ansia – il capotreno per chiedere informazioni sul-la destinazione, ci si preoccupasse anzitutto di sapere se servono uno spuntino durante il viaggio oppure se la toilette è sufficientemente comoda...

Credo, quindi, che non vi sia chi non vede che è as-sai più ragionevole affrontare il problema della morte – anche a costo di qualche grave pensiero –, piuttosto che ignorare la questione di proposito, restando nell’i-gnoranza circa la fine e il fine.

LA MORTE: UNA QUESTIONE

CHE NON SI PUÒ IGNORARE

In ogni caso, la maggior parte dell’umanità spesso non si pone alcun interrogativo sulla morte, bensì pare interessata a ben altre questioni. Non è un atteggiamen-to tipico solo della nostra epoca. Nel Vangelo si ripor-ta infatti una parabola di Gesù che mi pare altamente istruttiva:

«Disse poi una parabola: “La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione mol-ti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sa-

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rà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio. Chi di voi, per quanto si affanni, può ag-giungere un’ora sola alla sua vita?”» (Lc 12,16-21.25).

Gesù è estremamente concreto e diretto nei suoi in-segnamenti. Anche in questo caso. Si parla di un uomo ricco, ma non si dice né che fosse un malfattore (anzi, appare un gran lavoratore) né un avaro (sceglie anzi di far festa e godere di quanto ha, presumibilmente condi-videndo con parenti e amici). Però appare in tutta la sua stoltezza perché, mentre si preoccupa di accumulare, ecco che neppure si cura di “contare i giorni” della sua vita. Giorni il cui computo non è in mano nostra, bensì nelle mani di Dio, poiché nessuno di noi può aggiunge-re neppure “un’ora sola” alla sua esistenza. E questo vale per ogni uomo: per me che in questo momento sto scrivendo questo libro e per chi “adesso” lo sta leggen-do.

Che cosa rimprovera dunque Gesù all’uomo ricco? Non certo di aver accumulato ricchezze e neppure di volersi dare alla pazza gioia senza controllare glicemia o colesterolo! Il problema è ben più radicale: quell’uo-mo vive la sua vita come se la durata non fosse una va-riabile indipendente dalle sue decisioni, bensì potesse egli disporne a piacimento. Ma così non è. Perché la morte può sopraggiungere da un momento all’altro, è imprevedibile, per chiunque. E dunque non si tratta di un problema squisitamente filosofico sul quale posso scegliere se interrogarmi o meno, bensì di una questio-ne drammatica che mi interpella in quanto individuo, a prescindere da quanto fanno i vicini.

Se in piena notte il Titanic sta affondando e la mag-

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gioranza dei passeggeri si mette a rimirar le stelle, ripe-tendosi come un mantra «il Titanic è inaffondabile!», io resterò a contemplare la volta celeste perché così fan tutti, o non correrò piuttosto alla ricerca di un salvagen-te per cercare di mettermi in salvo?

ANCHE SE L’UOMO NON SI INTERROGA

SULLE COSE DEL CIELO, NON SIGNIFICA

CHE SIA FATTO PER LA TERRA

Se la maggior parte degli uomini vive come se fosse “tutto qui”, cioè come se la vita si giocasse interamen-te in un orizzonte intra-mondano, perché interessarsi di quanto va “oltre”?

In parte l’ho già detto: che sia tutto qui o meno, quel-lo che conta è proprio scoprire come stanno le cose. Non pretendo che il lettore accolga come verità aprioristica-mente valida l’esistenza della vita eterna, della vita do-po la morte, ma chiedo almeno che colga l’ineluttabili-tà della questione: dobbiamo interrogarci sulla morte, sulla sua realtà, per cogliere il significato della vita. Perché se è tutto “al di qua”, è un conto; ma se c’è la vita eterna, allora la prospettiva cambia.

Per stare nella metafora del cammino, posso propor-re questo esempio: se la vita è una strada, la morte è la porta che si trova al termine di essa. Ora, che cosa ci sia dietro alla porta è una questione di capitale interesse per un essere ragionevole: se non c’è nulla, o se la porta neppure si apre, la vita ha una certa consistenza; ma se dietro a quella porta si apre un nuovo cammino, di una durata e una bellezza infinite, tutto cambia. E le asprez-

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ze e le fragilità della vita ricevono un senso. È un po’ come se si fosse attraversato l’arido deserto di cui ab-biamo detto, e alla fine si rimanesse con un pugno di mosche. Ne sarebbe valsa la pena? Ma se invece tro-vassimo il tesoro prezioso a lungo cercato, allora sì che potremmo dire: ha senso aver rischiato la vita affron-tando la sete, i serpenti e gli scorpioni per arrivare fi-nalmente alla mèta!

Premesso questo, dobbiamo chiederci se l’uomo sia fatto per la terra o per il cielo, per le cose finite o per l’infinito. Questa è la domanda cruciale.

L’UOMO, CREATURA COSÌ FRAGILE, EPPURE FATTA

PER L’INFINITO

Già sant’Agostino (354-430), vescovo e dottore del-la Chiesa, lo scriveva:

«Tu ci hai fatti per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te» (Confessioni 1, 1).

Proviamo a uscire dalla riduzione “religiosa” a cui una tale affermazione è spesso ricondotta e ne scopri-remo la profonda verità. Invece di parlare di Dio – cosa che potrebbe indurre non credenti o agnostici a dire: la cosa non mi riguarda – riferiamoci all’infinito, all’eter-no.

Agostino dice che l’uomo è fatto per l’infinito e che, finché non lo trova, il suo cuore è inquieto. Ma di que-sto facciamo esperienza noi stessi ogni volta che ci ac-corgiamo – dolorosamente! – che le cose del mondo non

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colmano le nostre attese. Basta far caso ad alcune que-stioni semplici: posso lavorare anni e anni per comprar-mi la macchina nuova, ma quanto durano poi il piacere e l’emozione di guidarla? Non è forse vero che dopo un po’ nasce il desiderio di averne una ancora più costosa, più veloce o più potente?

Due esempi di questa inquietudine del cuore umano aiutano a riflettere su situazioni che sovente i giovani, soprattutto, si trovano a vivere in prima persona.

Il primo caso è il sabato sera: quante attese! I miei studenti ne parlano fin dal lunedì mattina in classe: sa-bato sera faremo questo, faremo quello... Mille pro-grammi e idee. Poi la “febbre” sale a mano a mano che ci si avvicina alla fatidica scadenza. E quindi si vive la serata (sempre più spesso: la nottata!) che si era pro-grammata. E si torna a casa che ormai è l’alba, per but-tarsi nel letto e trascorrere “in coma” la maggior parte della domenica. Risvegliandosi poi con una certa tri-stezza. Questo mi testimoniano, il lunedì mattina. E se chiedo loro: «E perché eravate tristi, dopo un così bel sabato sera?», qualcuno risponde: «Perché pensavamo che saremmo dovuti tornare a scuola all’indomani!» Al che la classe ride. Ma i più scaltri già intuiscono quan-to subito dopo replico loro: non è il pensiero della scuo-la che rende tristi, ma la consapevolezza che quel “fan-tastico” sabato sera, che pure è andato esattamente come programmato, non ha soddisfatto le attese del cuore, ben più profonde! È come se, per quante inebrianti esperien-ze si possano vivere e per quanto sballo si possa ricer-care (versione radicale e degenerata del divertissement pascaliano), si ha la chiara percezione che manchi sem-pre qualcosa... Proprio a conferma di quanto scrive

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sant’Agostino: il nostro cuore è fatto per l’infinito ed è inquieto e insoddisfatto finché non lo trova.

Un altro esempio, che porto a quegli stessi studenti, sull’apertura del cuore umano all’infinito è relativo al-la vita affettiva. Chiedo loro se ricordano il primo ap-puntamento con la fidanzata o il fidanzato. Cerco di ri-creare l’atmosfera per coinvolgere tutti i presenti, fa-cendomi raccontare un episodio concreto da chi si sen-te di condividere. E a un certo momento tento di pun-tare l’attenzione sulle paroline dolci che accompagnano le dichiarazioni d’intenti di fine cena e provoco, incal-zando: che cosa vi siete detti alla fine della cena? Forse hai guardato la tua bella negli occhi e le hai detto: «Ti amerò fino alla prossima fidanzata»?, oppure «...fino al prossimo anno scolastico»?, o «...fino al prossimo go-verno»?, o ancora: «...fino alla pensione», che poi coi tempi che corrono neanche sappiamo se ce la daranno!? No – dico – niente di tutto questo. Vi siete guardati ne-gli occhi, vi siete magari tenuti per le mani e vi siete detti: «Ti amerò per sempre». Per sempre, non «...per tutta la vita». Perché «...per tutta la vita» è meno che per sempre.

Per sempre. Sono parole grandi, più grandi del cuo-re che le pronuncia. E perché si dicono, anche quando si sarebbe disposti a giurare di non credere all’eternità né all’infinito? Semplicemente perché il cuore conosce cose che la ragione (non solo dei miei studenti, ma de-gli uomini in generale) spesso ancora non sa: cioè che l’uomo è fatto per il “per sempre”, per l’eterno e l’infi-nito. E tanto basta per dare un indizio del fatto che l’uo-mo non sia fatto solo per la terra, bensì per il cielo.

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INDICE

Al lettore pag. 5

I. PRIMA DELLA MORTE » 9

Perché parlare della morte, quandosono già tanti i problemi della vita? » 9Ma il pensiero della morte ci rattrista, quando potremmo godere della vita! » 10La morte: una questione che non si può ignorare » 13Anche se l’uomo non si interroga sulle cose del cielo, non significa che sia fatto per la terra » 15L’uomo, creatura così fragile, eppure fatta per l’infinito » 16Accorgersi che la vita terrena “non basta” al cuore dell’uomo non è un’invenzione religiosa, ma un’esperienza possibile per ognuno » 19Sopravvivere nel ricordo dei posteri » 22Non basta neppure la speranza di sopravvivere nel ricordo dei propri cari » 25La morte non è semplicemente un “fatto naturale” » 28La paura della morte: un tabù di cui difficilmente si parla » 31Perché interrogarsi sulla morte, visto che comunque non le si può sfuggire? » 37Due tipi di paure: per quanto sta al di qua della morte e per quanto sta oltre » 40La vita dell’uomo non è limitata all’orizzonte terreno » 43

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Lo scontro tra il materialismo contemporaneo e la spiritualità dell’uomo pag. 46L’insegnamento del Magistero della Chiesa sull’uomo inteso quale unione di corpo e anima » 50Se l’uomo è fatto di anima e corpo, ci si deve interrogare sulla morte » 52

II. LA MORTE » 54

Che cos’è la morte? » 54Ritenere che la morte non sia solo un evento biologico non è solo questione di fede » 57Il significato cristiano della morte » 59La morte quale “ultima agonia” » 61Se l’uomo è fatto per l’infinito e per la vita, perché la morte? » 69L’ipotesi della reincarnazione » 72Per il cristiano la morte è una porta aperta sull’eternità » 77Gesù, che è il Figlio di Dio, ci libera dalla morte » 80Anche Gesù, che è il Figlio di Dio, ha affrontato il dramma della morte » 83La morte di Gesù: un evento salvifico a me contemporaneo » 86Farsi contemporanei della morte di Cristo per poter anche credere alla sua resurrezione » 90Un uomo contemporaneo, che non abbia avuto la fortuna di assistere alle apparizioni del Risorto, come può credere a una simile promessa: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11, 25)? » 92La differenza tra risorgere e resuscitare » 97«Chi crede ha la vita eterna» (Gv 6,47) » 99Il brano delle pecore e dei capri, che troviamo al cap. 25 del Vangelo secondo Matteo, parla di un giudizio che riguarda tutti gli uomini, alla fine dei tempi. Ma che cosa accade alla mia morte? » 103Due tipi di giudizio: uno subito dopo la morte e uno alla fine dei tempi » 104

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La sorte dei bambini morti senza Battesimo pag. 109Chi giudica – sia a livello particolare, sia a livello universale – è Cristo » 111Con tutto questo parlare di “giudizio”, come si fa a non temere Gesù, in quanto giudice, piuttosto che amarlo? » 113Il giudizio come espressione della misericordia di Dio » 116

III. DOPO LA MORTE. I «NOVISSIMI» » 120

Il destino che attende le anime dopo la morte » 120Il purgatorio » 121La pena del purgatorio » 124Su quali basi la Chiesa cattolica insegna la dottrina del purgatorio? » 126La preghiera per i defunti che sono in purgatorio » 129Noi possiamo pregare per le anime del purgatorio, ma loro possono pregare per noi? » 132Quando andremo in purgatorio, potremo incontrare i nostri cari che si trovano là? » 134La dimensione temporale dell’aldilà » 137Il paradiso » 140Il paradiso è la piena comunione con Dio » 143Il paradiso come vita “beata” » 148Che cosa si fa in paradiso? » 151Quindi in cielo non ci saranno più differenze di rapporto, ma ameremo uno sconosciuto come un parente stretto? » 154Gli animali andranno in paradiso? » 156Le “esperienze dell’aldilà” che confermano il paradiso » 160Il “viaggio” in paradiso dei veggenti Vicka e Jakov » 163L’inferno » 167La Sacra Scrittura parla dell’inferno » 168L’eternità dell’inferno » 170Chi va all’inferno » 174L’inferno non può essere vuoto » 176La pena dell’inferno » 179

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L’immagine dell’inferno che la Madonna ha mostrato ai pastorelli di Fatima pag. 181La visione dell’inferno di suor Josefa Menendez » 184Santa Faustina Kowalska e la visione dell’inferno » 186Gloria Polo e la visione delle pene infernali » 188La testimonianza di Vicka sull’inferno » 189L’inferno è un estremo appello alla libertà dell’uomo » 192La resurrezione dei corpi » 193Il fondamento della resurrezione finale dell’uomo » 195Il nostro destino e la resurrezione dei corpi » 196Anche i dannati risorgeranno col corpo » 199Il corpo con cui risorgeremo » 201«Risorgerò proprio con il mio corpo?», molti si chiedono » 204Le caratteristiche dei corpi risorti » 207Le diverse caratteristiche dei corpi risorti dei beati e dei dannati » 208Il valore esistenziale della fede nella resurrezione » 209I risvolti etici della fede nella resurrezione dei corpi » 211La Chiesa Cattolica e la cremazione » 213Quando risorgeremo saremo ancora uomini e donne? » 217In cielo riconosceremo i nostri cari » 218Già ora, nell’attesa di rincontrare i nostri cari, possiamo restare in rapporto con loro » 220

Per finire. Perché hai scritto questo libro? » 225

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