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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO
PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA
GLI ANIMALI SONO INTELLIGENTI? 9 di Danilo Mainardi DALL’INTELLIGENZA ANIMALE A QUELLA UMANA: IL GRANDE BALZO 11 di Luigi Caramiello e Giuseppe Borzacchiello IL COMPORTAMENTO “MATEMATICO” DELLE COZZE 13 di Gionata De Vico L’ETOLOGIA, LA SCIENZA DEL COMPORTAMENTO ANIMALE 15 di Giancarlo Carrada L’IMPERFETTA INTELLIGENZA ANIMALE 17 di Francesco Donadio QUELL'ANIMALE INTELLIGENTE: L'UOMO! 19 di Luciano Gaudio
In natura ogni forma di sapienza è valida nella misura in cui concorre alla vita sana ed equilibrata della propria specie,
perché l’unico principio che davvero conta è il perpetuarsi dell’esistenza.
Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo
www.comeallacorte.unina.it
Danilo Mainardi
Danilo Mainardi, milanese (1933), è professore
emerito di Ecologia comportamentale nella
Università Ca' Foscari di Venezia e direttore della
scuola internazionale di etologia del Centro Ettore
Majorana di Erice.
È presidente onorario della Lipu e membro di
accademie e società tra cui l'Accademia Nazionale
delle Scienze e l'International Ethological Society
di cui è stato presidente.
Si è occupato di molti aspetti del comportamento sociale, in particolare di scelte
sessuali, aggressività e trasmissione culturale negli animali. Ultimi libri pubblicati sono
i saggi “Nella mente degli animali” (2006), “La bella zoologia” (2008) e “L’intelligenza
degli animali” (2009), pubblicati da Cairo editore, Milano. Collabora con Rai 1
(Superquark e TG1), con il Corriere della Sera e con il Sole 24 Ore.
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli animali sono intelligenti?
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
GLI ANIMALI SONO INTELLIGENTI? Danilo Mainardi Professore Emerito di Ecologia comportamentale Università Ca’ Foscari di Venezia
L’intelligenza è un po’ come l’istinto: la
gente comune sa di che si tratta, mentre gli
studiosi non riescono a mettersi d’accordo. Il
motivo è semplice. Gli studiosi vogliono
definizioni precise, che descrivano concetti
inequivocabili e che consentano misurazioni
comparabili. Il che è quasi impossibile,
trattandosi di fenomeni compositi, oltretutto tra
loro interdipendenti. Partiamo allora dalla
sapienza popolare, per cui l’intelligenza è la
capacità di capire, di ragionare, di trarre logiche
conclusioni che servano a risolvere problemi sia
pratici che teorici. Quanto all’istinto, si potrebbe
definire come l’intelligenza della specie,
quell’insieme di risposte prefabbricate che
vengono sparate fuori al momento giusto,
indipendentemente dall’esperienza individuale,
ma che pure servono a risolvere problemi. A
stare al mondo, in definitiva.
Ebbene, non c’è specie animale che, se
ci rifacciamo alle definizioni “popolari” appena
date, non possieda almeno una briciola di
intelligenza o di comportamento istintivo.
Se affrontiamo il problema in un’ottica
evolutiva e adattativa, istinto e intelligenza sono
complementari perché se cresce l’una cala
l’altro, e viceversa. Le specie più ricche di
intelligenza sono povere di istinti, quelle ricche
di istinti hanno minori capacità intellettive, ed il
motivo è facilmente comprensibile. Gli istinti,
essendo risposte prefabbricate, funzionano nelle
specie adattate in un ambiente stabile, perché in
questo caso i problemi sono quasi sempre gli
stessi. Meglio dunque ereditare le soluzioni per
via genetica. Le specie che vivono in ambienti
mutevoli, o che sono colonizzatrici, devono
invece essere preparate a risolvere sempre
problemi nuovi e, in questo caso, gli istinti
servono meno. Il che non significa solo essere
capaci di apprendere, ma anche avere curiosità,
sapere come usare ciò che si è appreso, fare
collegamenti, esperimenti mentali e così via
(l’intelligenza è un fenomeno composito). Per
fare un esempio: al koala, che si nutre solo di
foglie di eucalipti, non serve assaggiare ogni tipo
di foglie per sapere cosa è commestibile, mentre
i ratti, che mangiano un po’ di tutto, non solo
devono assaggiare ogni alimento, ma devono
anche imparare a evitare i veleni.
Sembrerebbe tutto chiaro, ma non è
così. Perché anche il koala ha bisogno di
un’esperienza, che inizia e si conclude già
mentre beve il latte materno, che profuma di
eucaliptolo. È sufficiente ciò a indirizzare il suo
monotono comportamento alimentare. Ma uno
scienziato può ancora definirlo istintivo quel
comportamento? Ecco la difficoltà delle
definizioni. E anche il ratto, pur apparentemente
così libero di comportarsi come vuole, non è
privo di istruzioni genetiche. A parte il fatto che
le sue tendenze esploratorie, le sue capacità di
apprendimento, sono trasmesse geneticamente,
anche la diabolica capacità di riconoscere, a
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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
posteriori, i veleni, segue tragitti comportamen-
tali che sono innati. Dunque perfino le qualità
intellettive si ereditano, anche se poi lo sviluppo
e l’esperienza possono (o meno) fortificarle. Ho
scritto che praticamente ogni animale può
possedere un briciolo di intelligenza. Già certi
protozoi sono in grado di apprendere a evitare
uno stimolo fastidioso. Forse soltanto i parassiti
interni (il verme solitario), vivendo in un
ambiente più d’ogni altro stabile e prevedibile,
sono privi di capacità di apprendimento. Ogni
specie, a ogni modo, ha sviluppato capacità
diverse, a seconda delle necessità che il suo stile
di vita esige.
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DALL’INTELLIGENZA ANIMALE A QUELLA UMANA: IL GRANDE BALZO Luigi Caramiello Professore di Sociologia dell’arte e della letteratura Università degli Studi di Napoli Federico II Giuseppe Borzacchiello Professore di Oncologia veterinaria Università degli Studi di Napoli Federico II
Spesso guardando gli animali notiamo
che ci somigliano: ossa, organi interni,
comportamenti, gli manca solo l’intelligenza.
Non è così, essi hanno facoltà intellettive, certo
meno “complesse” delle nostre, ma efficaci e
soprattutto, evolutivamente vincenti, nella loro
“scala”. Già la cellula ha dentro di sé capacità di
percepire informazioni, dall’ambiente interno ed
esterno, e “agire” in rapporto ai mutamenti.
Attraverso la lente dell’evoluzione lo sviluppo
dell’intelligenza, dagli invertebrati fino agli
organismi più complessi, si mostra quale
crescendo di diverse facoltà di adattamento, di
fitness, di capacità di risolvere problemi in forme
innovative fino allo sviluppo di facoltà cognitive
sempre più avanzate. Finanche l’uso di utensili,
non è esclusivamente umano: il polpo utilizza
strumenti per poter meglio ghermire la preda. Il
corvo risolve con successo situazioni impreviste
e il “codice” dei delfini è molto sviluppato, fatto
di suoni e “frasi” che, pare, li aiuta anche a
riconoscersi. Gli elefanti vivono in famiglie,
socializzano “competenze”, sono altruisti e
quindi percepiscono l’altro. I cani imparano
dall’esperienza, riconoscono molti “segnali” e
reagiscono conseguentemente. Ovviamente, la
specie animale dalle facoltà “intellettuali” più
alte è un primate (con cui abbiamo in comune
circa il 99% del DNA): lo scimpanzé Bonobo: è
in grado di “riconoscersi” allo specchio, possiede
“emozioni”, è socievole, impiega attrezzi
elementari. Il branco di Bonobo è una società
complessa, benché “patriarcale”, e, come noi
umani, fa sesso anche per il puro piacere.
Insomma, tra capacità cognitive e posto
occupato nella scala zoologica la relazione è
evidente. Eppure in questo percorso vi è un
salto, un mutamento qualitativo, una
“catastrofe”. Sapiens sviluppa facoltà intellettive
“altre”, radicalmente estranee al mondo
biologico, di cui pure fa parte. Si dice
generalmente che noi possediamo l’esclusiva del
“linguaggio”. È vero solo in parte. Altre specie
hanno codici di comunicazione. Eppure il
linguaggio ha una magia peculiare: la doppia
articolazione. I nostri “segnali” sono in grado di
evocare sia “oggetti” materiali, tangibili,
presenti, concreti, sia “fantasmi” concettuali,
immateriali, simbolici. Da qui non solo la
funzione del “ricordo”, ma anche la possibilità
dell’astrazione. Siamo oltre la sfera della
semplice razionalità: qualsiasi predatore sa
sbranare un bufalo, in questo senso, forse, è
“sapiens” quanto e più di noi. Solo un umano,
però, passerebbe giorni e giorni a dipingerlo
sulla parete di una caverna: azione del tutto
irrazionale: “demens”. Come l’inumazione dei
cadaveri, spreco di risorse alimentari, ma
sublime viatico per l’aldilà, medicina contro la
morte. Insomma, a distinguere originariamente
l’intelligenza umana vi sono due comportamenti
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli animali sono intelligenti?
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del tutto disfunzionali: l’arte, la sepoltura. Cioè
la religione, che è estranea a tutti gli altri
animali. Ma proprio questa “mentalità”
irrazionale, ci spinge verso forme più alte di una
nuova razionalità: la scrittura, la ruota, lo Stato,
la scienza, la moneta, la fotografia, il computer.
Tutto nasce in quella facoltà intellettuale
specifica, “proprietà emergente al margine del
caos”, che ci permette e ci impone di chiederci,
in ogni istante della nostra vita: che cosa ci
faccio qui?
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IL COMPORTAMENTO “MATEMATICO” DELLE COZZE Gionata De Vico Professore di Patologia comparata Università degli Studi di Napoli Federico II
Se qualcuno ci chiedesse: "a chi
associeresti la parola geometria"? La risposta
sarebbe quasi ovvia: "Euclide!". Tutti noi infatti,
conosciamo la figura del grande matematico
greco autore degli "Elementi", non fosse altro
perché a scuola ne studiamo i contenuti (chi di
noi non ricorda i "teoremi di Euclide"?). E quante
volte abbiamo sudato sulle "forme" della
geometria Euclidea: triangoli, quadrati, cerchi,
sfere, cubi, per calcolarne l'area, il perimetro, il
volume... Eppure se volessimo utilizzare quelle
stesse forme, quella stessa "geometria", per
descrivere un semplice oggetto "naturale" (un
albero, il profilo di una montagna, le onde del
mare) avremmo serie difficoltà a farlo! Gli
oggetti euclidei, infatti, sono oggetti “ideali”,
“platonici”, che non trovano (se non raramente)
riscontro in natura. Le forme naturali sono più
spesso “irregolari”, sia nel profilo che nella
superficie, e sono il risultato di fenomeni
dinamici iterativi soggiacenti. Negli anni '70, un
matematico di origini polacche, B. Mandelbrot,
coniò il termine “frattale” per descrivere le
caratteristiche di particolari oggetti matematici
che riproducevano meglio di quelli euclidei le
forme che la Natura incessantemente plasma, e
definì un nuovo genere di geometria più adatta a
descriverne le caratteristiche costitutive: la
“geometria frattale”. Il rapporto che un oggetto
“euclideo” ha con lo spazio, è diverso rispetto a
quello di un oggetto “frattale”; ciò è dovuto
principalmente al fatto che questi ultimi sono
“auto-simili”: una piccola porzione della propria
struttura, riproduce le caratteristiche dell'intero
oggetto (un po' come il ramo di un albero,
riproduce in piccolo la struttura dell'albero
intero). I principi della geometria frattale
trovano applicazione in molti campi della scienza
contemporanea: dall'ingegneria alla medicina,
dalla fisica alla biologia. In ecologia marina, essi
ci aiutano a comprendere le dinamiche che gli
animali utilizzano per colonizzare i fondali. Le
cozze ad esempio, nell'espandere i propri areali,
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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
dimostrano un comportamento diffusivo frattale:
si organizzano in piccoli gruppi, che vengono
circondati da ammassi più grandi, e poi da
ammassi ancora più grandi, iterando questo
fenomeno finché non occupano tutto lo spazio
disponibile nell'ambito della propria fascia di
competenza. Non sono del tutto noti i
meccanismi che soggiacciono a tale fenomeno,
ma poiché ai molluschi sessili si associano flora e
fauna acquatiche specifiche, si può affermare
che in un certo senso essi siano dei veri e propri
“ingegneri” degli ecosistemi bentonici. Detto
questo, non so quali siano i vostri pensieri
davanti ad una bella “impepata di cozze”... Io,
non posso fare a meno di immaginare che
alcune ore prima, qualcuno di quei saporiti
molluschi, forse, era impegnato a risolvere
qualche complicata equazione...
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L’ETOLOGIA, LA SCIENZA DEL COMPORTAMENTO ANIMALE Giancarlo Carrada Professore di Biologia marina Università degli Studi di Napoli Federico II
Come nel caso di molti altri campi del
sapere che riguardano il mondo vivente, col
quale l’uomo ha da sempre dovuto confrontarsi,
l’osservazione e lo studio del comportamento
animale hanno origine antichissima. Già gli
uomini che vivevano di caccia, ancor prima
quindi della comparsa dell’agricoltura, dovevano
conoscere il comportamento delle loro prede
perché l’attività venatoria avesse successo.
L’agricoltura e il successivo addomesticamento
di diverse specie animali hanno poi segnato un
ulteriore passo avanti nella conoscenza del
comportamento animale, che assieme alle
conoscenze empiriche che si andavano
accumulando sulla loro biologia, costituiva il
presupposto necessario per il successo delle
attività umane. Campo di interesse antichissimo,
dunque, quello mirato a osservare e interpretare
il comportamento animale e che oggi indichiamo
col termine di etologia, una disciplina scientifica
che, nel secolo appena trascorso, ha avuto uno
sviluppo vigoroso ed ha visto assegnato il Nobel
a diversi suoi rappresentanti.
Il progredire delle conoscenze ha portato
l’etologia a sviluppare branche specialistiche,
aprendola anche allo studio sperimentale su
specie animali particolarmente interessanti. Si
pensi, ad esempio, alle celebri ricerche sul
complesso comportamento sociale delle api, il
cui autore Karl von Frisch è stato insignito del
Nobel nel 1973, assieme a Konrad Lorenz, noto
anche al largo pubblico per i suoi studi sul ruolo
dell’imprinting, cioè sul ruolo formante delle
primissime esperienze dei giovani nati. Ciò che
ha contribuito a spiegare, non solo l’evoluzione
del comportamento individuale e sociale negli
animali, ma anche alcuni aspetti di quello
umano.
L’etologia, col fornirci gli strumenti per
individuare e comprendere i meccanismi che
guidano il comportamento animale, ha avuto un
peso determinante anche per spiegare il
successo evolutivo delle specie, ed ha
contribuito anche, ed efficacemente, ad offrire al
grande pubblico una visione più informata e
partecipe di questo mondo affascinante.
L’etologia è diventata anche nel nostro
Paese un campo di interesse molto popolare. Chi
più di ogni altro ha contribuito a suscitare e
continua ad alimentare questo interesse è uno
scienziato di fama internazionale, il Prof. Danilo
Mainardi, dell’Università Ca' Foscari di Venezia.
Sono tantissimi coloro che seguono le sue brevi
ma incisive presentazioni nell’ambito della
trasmissione televisiva di Piero Angela,
anticipate sempre da uno dei suoi disegni che,
con pochi tratti, ci introduce alla figura e alla
“personalità” dell’animale del quale si appresta a
svelarci aspetti e significato del comportamento;
gli stessi disegni che arricchiscono i suoi libri di
alta divulgazione e di “racconti” che hanno per
protagonisti le specie animali; spesso quelle a
noi più vicine. Una domanda viene sempre alla
mente di chi possiede un animale o vive
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comunque vicino al loro mondo: gli animali sono
intelligenti? Una domanda complessa che
comporta implicazioni molteplici, non solo di
natura e d’importanza culturali. Proprio di questo
argomento tratta l’ultimo libro di Danilo Mainardi
“L’intelligenza degli animali” in esso troveremo
risposte e riflessioni che ci porteranno,
fortunatamente, a farci ulteriori domande.
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L’IMPERFETTA INTELLIGENZA ANIMALE Francesco Donadio Professore di Storia della filosofia Università degli Studi di Napoli Federico II
È una straordinaria e talvolta divertente
esperienza comune osservare l’immanente
finalismo del comportamento animale ovvero
quel certo grado di intelligenza che guida la sua
condotta. Ma cosa significa propriamente
«intelligenza»? Qui l’inventario delle risposte è
ricco. Da sempre l’intelligenza si configura come
una sorta di «luce» che illumina il cammino del
vivente, i suoi movimenti di adattamento alla
realtà circostante. In tale senso si suole
accostare l’intelligenza alla metafora del
«lampo» che, irrompendo tra le tenebre, lascia
apparire le cose nei loro contorni e articolazioni,
nel loro aspetto di paesaggio variegato. Se ne
può dedurre che intelligenza è capacità di
cogliere l’unità di un insieme, collegando mezzi a
fini e in tal modo districandosi da situazioni
ingarbugliate, caratterizzate cioè da un certo
grado di complessità. Entro certi limiti anche gli
animali sono in grado di fare questo. Anzi, grazie
al loro apparato di abiti operativi congeniti,
strutturato per così dire sin dall’inizio già pronto
per l’uso, essi sono in grado di farlo in forma
immancabile e in tempi persino accelerati
rispetto all’uomo, «un imperfetto non compiuto»
(Nietzsche).
Per ogni condizione, però, ci sono
sempre vantaggi e svantaggi. In effetti, se
l’animale è immediatamente in grado di
rapportarsi al suo mondo-ambiente e così
provvedere alla sua sopravvivenza biologica,
esso rimane anche «chiuso» in tale mondo, in
quanto «di natura è frutto ogni [sua] vaghezza»
(Leopardi). L’animale, per dirla
approssimativamente, resta coscienza-senso,
senza elevarsi a coscienza del senso; nell’uomo,
invece, vissuto e rappresentazione del suo
vissuto divaricano, anche qui con qualche
svantaggio, ma con alcuni vantaggi. Ancora una
volta Leopardi e Nietzsche interpretano
autorevolmente un tale rapporto di
comparazione: l’animale, immerso nel presente,
vive felice, senza noia e dolore; l’uomo, invece,
incapace di dimenticare e spinto a ricercare la
felicità oltre il recinto del suo presente, stempera
la sua esistenza in un crescente affanno. Si
rende necessario correre ai ripari. Una tale
scialuppa di salvataggio è offerta all’uomo dalla
sua «forza plastica», cioè dalla sua capacità di
inventarsi un rapporto «mediato» col mondo
attraverso meccanismi di compensazione quali il
linguaggio, l’agire strumentale, le forme di
produzione simbolica, etc., operazioni nelle quali
è riconoscibile quell’attività dello «spirito» che
costituisce un vero «salto» rispetto alla natura.
L’immagine del «salto» è di Hegel, ma a certe
condizioni si potrebbe utilizzare anche quella
kierkegaardiana del «volo»: «saltare significa
essenzialmente che si appartiene alla terra e che
si riflette la legge di gravità: così il salto non è
che qualcosa di momentaneo; ma volare
significa che ci si è svincolati dai rapporti
terrestri, come qualcosa che è riservato solo alle
creature alate». Accedendo al potere di
astrazione del pensiero, l’uomo vive «aperto» al
mondo. Questa sua «eccentricità» lo rende
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli animali sono intelligenti?
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capace di non aderire meccanicamente a uno
sfondo dato, ma di dispiegare autonomamente il
suo sfondo, di sovrapporre cioè a uno spazio
fisico uno spazio «virtuale». Abitare nella
«Possibilità» è l’altra e identica faccia del
carattere di ulteriorità e profondità dell’esistenza
umana, è scelta per una qualità di vita nutrita di
avventura e novità. In tale capacità di
trascendere la propria situazione e di proiettarsi
in territori alternativi, di guardare alle cose non
solo in bianco e nero, ma secondo una più ampia
scala cromatica, è da riconoscere l’intelligenza
propriamente umana. L’«uomo di spirito»
trasmette questo senso di levità e libertà. Non a
caso si è osservato che, a differenza degli
animali, propriamente solo l’uomo «piange» e
soprattutto «ride». Il «riso» come innalzamento
all’universale! Quanta esplosione di intelligenza.
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QUELL'ANIMALE INTELLIGENTE: L'UOMO! Luciano Gaudio Professore di Genetica Università degli Studi di Napoli Federico II
In una delle ultime pagine de “L’altra
faccia dello specchio” Konrad Lorenz parla
dell’oscillazione dell’opinione pubblica scrivendo
testualmente “...Ho già detto che la ricerca di
argomentazioni pro e contro viene attivizzata da
motivazioni molto forti. Fintantoché queste si
limitano alla semplice ricerca della verità,
l’oscillazione rimane attutita e si ferma al punto
giusto. Non appena entrano in gioco spinte
istintuali più violente, sorge il pericolo che la
diversità di due opinioni porti alla formazione di
due gruppi, ognuno dei quali è convinto della
giustezza della propria opinione, fino a giungere
allo stadio dell’entusiasmo militante e quanto sia
esso pericoloso ho avuto modo di illustrare in
tutti i particolari nel mio libro sull’aggressività…”
e ancora “…e le opinioni contrapposte perdono
con ciò il proprio contenuto di verità. A ciò
contribuisce il fatto che ciascun partito per
aumentare il numero dei propri sostenitori, cerca
di esprimersi mediante formulazioni il più
possibile semplici e comprensibili… Dal momento
che una simile semplificazione rende
effettivamente più sciocche le argomentazioni di
entrambe le parti, esse divengono così anche
sempre meno accettabili dall’avversario…”
“L’altra faccia dello specchio” l’opera nella quale
vi è il compendio del suo pensiero sull’evoluzione
biologica considerando il lato del comportamen-
to. Pensiero e studi che lo hanno portato nel
1973 a vincere il premio Nobel per la Medicina e
la Fisiologia, insieme ai colleghi N. Tinbergen e
K. Von Frisch. Studi sul comportamento innato
degli animali che hanno contribuito alla nascita e
all’affermazione dell’etologia. I suoi studi sulle
oche e sul fenomeno dell’imprinting sono noti
anche ai non addetti ai lavori. È tipica la sua
fotografia con le oche che lo seguono perché
hanno fissato la sua immagine al momento della
schiusa delle uova. Lorenz può essere
considerato il padre della scienza del comporta-
mento. Il suo pensiero vede il comportamento
umano come il risultato di un lungo percorso
evolutivo. Nei suoi scritti assume un ruolo
importante l’aggressività che sarà poi il tema
centrale di altri libri. I suoi scritti aprono il
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dibattito, ancora oggi vivo, su cosa sia innato e
cosa sia frutto dell’apprendimento nel
comportamento umano. L’istinto e l’intelligenza.
Il determinismo biologico o il libero arbitrio.
L’istinto: la capacità degli animali di applicare
moduli funzionali ma stereotipati. L’intelligenza:
la capacità di risolvere problemi nuovi in
funzione di un rapporto ottimale con l’ambiente.
Anche se riportate in modo approssimativo, due
delle possibili definizioni di queste “entità”.
Ritornando alla citazione da “L’altra faccia dello
specchio” come non riconoscere in quella
descrizione molti dei comportamenti di oggi.
Allora oggi alla domanda provocatoria di Danilo
Mainardi se gli animali sono intelligenti verrebbe
da porre quella forse ancora più provocatoria se
gli uomini sono intelligenti.
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