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Der Fliegende Hollander Tornando verso casa con la sua nave, Daland, un navigatore norvegese, si trova ad affrontare una tempesta che lo costringe a cercare rifugio a riva. Lascia quindi di guardia una sentinella e va a dormire con i marinai. La sentinella però si addormenta, quando compare un vascello fantasma, nero e dalle vele rosse, da cui scende a terra un uomo pallido vestito di nero. L'uomo si lamenta del suo destino: avendo maledetto Dio a causa delle difficoltà riscontrate nel superare il Capo di Buona Speranza durante una tempesta, è costretto a navigare per sempre senza meta. Un angelo gli annunciò i termini della sua redenzione: ogni sette anni, una tempesta lo porterà a riva, e solo se troverà una moglie che gli sarà fedele per l'eternità potrà abbandonare il suo triste destino. Daland lo incontra. Il fantasma gli offre dei tesori, e quando viene a sapere che Daland ha una figlia nubile ne chiede la mano. Daland acconsente tentato dagli ori. Entrambe le navi ripartono. Delle ragazze cantano nella casa di Daland. Senta guarda sognante il quadro dell'Olandese volante, che vuole salvare. Contro la volontà della nutrice, canta la storia dell'Olandese, di come Satana lo udì giurare e lo portò nel suo mondo, e dichiara in modo passionale la sua intenzione di salvarlo. Erik arriva e la sente; le ragazze se ne vanno, ed il cacciatore che ama la ragazza la rimprovera, raccontandole il suo sogno, in cui Daland ritorna con uno straniero misterioso che la porta via con sé nel mare. Lei ne è felice, ed Erik se ne va sconsolato. Daland arriva con lo straniero; lui e Senta si guardano in silenzio. La figlia quasi non nota il padre, neppure quando le annuncia le intenzioni dell'Olandese. Senta giura in un duetto di essergli fedele fino alla morte. In tarda serata, i marinai di Daland invitano gli uomini dell'Olandese ad aggregarsi alla festa, ma invano. Delle forme spettrali appaiono sulla nave dell'Olandese, e gli uomini scappano impauriti. Senta arriva, seguita da Erik che la rimprovera. Quando lo straniero sente queste parole, è preso dalla paura che lei possa non essergli fedele. Racconta a Senta, suo padre e i marinai di essere l'Olandese volante.

OpeDASre Wagner

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Der Fliegende Hollander

Tornando verso casa con la sua nave, Daland, un navigatore norvegese, si trova ad affrontare una tempesta che lo costringe a cercare rifugio a riva. Lascia quindi di guardia una sentinella e va a dormire con i marinai. La sentinella però si addormenta, quando compare un vascello fantasma, nero e dalle vele rosse, da cui scende a terra un uomo pallido vestito di nero. L'uomo si lamenta del suo destino: avendo maledetto Dio a causa delle difficoltà riscontrate nel superare il Capo di Buona Speranza durante una tempesta, è costretto a navigare per sempre senza meta. Un angelo gli annunciò i termini della sua redenzione: ogni sette anni, una tempesta lo porterà a riva, e solo se troverà una moglie che gli sarà fedele per l'eternità potrà abbandonare il suo triste destino. Daland lo incontra. Il fantasma gli offre dei tesori, e quando viene a sapere che Daland ha una figlia nubile ne chiede la mano. Daland acconsente tentato dagli ori. Entrambe le navi ripartono.Delle ragazze cantano nella casa di Daland. Senta guarda sognante il quadro dell'Olandese volante, che vuole salvare. Contro la volontà della nutrice, canta la storia dell'Olandese, di come Satana lo udì giurare e lo portò nel suo mondo, e dichiara in modo passionale la sua intenzione di salvarlo. Erik arriva e la sente; le ragazze se ne vanno, ed il cacciatore che ama la ragazza la rimprovera, raccontandole il suo sogno, in cui Daland ritorna con uno straniero misterioso che la porta via con sé nel mare. Lei ne è felice, ed Erik se ne va sconsolato.

Daland arriva con lo straniero; lui e Senta si guardano in silenzio. La figlia quasi non nota il padre, neppure quando le annuncia le intenzioni dell'Olandese. Senta giura in un duetto di essergli fedele fino alla morte.

In tarda serata, i marinai di Daland invitano gli uomini dell'Olandese ad aggregarsi alla festa, ma invano. Delle forme spettrali appaiono sulla nave dell'Olandese, e gli uomini scappano impauriti. Senta arriva, seguita da Erik che la rimprovera. Quando lo straniero sente queste parole, è preso dalla paura che lei possa non essergli fedele. Racconta a Senta, suo padre e i marinai di essere l'Olandese volante. Quando salpa con la nave, Senta si tuffa, e muore annegata. Questo salva l'Olandese, che sale con Senta in paradiso.

Die Feen

Atto I

Prima scena: Il giardino delle fateZemina e Farzana sono alla ricerca di Ada, per convincerla a non rinunciare all'immortalità: pregano tutte le fate e tutti gli spiriti di aiutarle.

Seconda scena: Un deserto desolato e rocciosoDopo la morte del padre di Arindal, Morald e Gunther si sono avviati, per

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cercare il figlio smarrito, visto che Tramond è minacciato dal re Murold. Incontrano Gernot che racconta loro cosa è successo negli otto anni passati. Con l'aiuto del mago Groma vogliono convincere Arindal a tornare a Tramond. Arindal è ancora alla ricerca di Ada (Wo find ich dich, wo wird mir Trost, Dove ti trovo, dov'è la mia consolazione) e si imbatte di nuovo in Gernot. Quest'ultimo cerca di farlo uscire dalla sua disperazione, parlando male di Ada e paragonandola alla strega Dilnovaz. Entra in scena in quel momento Gunther, travestito da sacerdote santo (O König du bist übel dran, von einem bösen Weib umstrickt, o re tu sei crudelmente circuito da una donna cattiva) e, una volta svelata questa finzione, Morald, camuffato da fantasma del defunto padre di Arindal e dicendo di essere morto dal dispiacere per la vicenda di suo figlio. Proprio in quel momento il re Murold scende sulla Terra devastandola. Soltanto una città è difesa valorosamente da Lora, sorella di Arindal. Quando questi vuole avviarsi verso casa, anche il secondo travestimento è svelato, ma Morald lo assicura che tutto ciò che ha detto è la verità e che lui deve venire subito a casa. Arindal acconsente. Con ansia vuole partire (Oh Grausame leb ewig wohl, zum Kampfe zieh ich für mein Vaterland), ma improvvisamente lo prende la stanchezza e si distende su una pietra.

Terza scena: Giardino delle Fate con Palazzo splendenteQuando Arindal si sveglia, tutto d'un tratto vede Ada davanti a lui. Grande è la sua gioia, ma lei gli rivela che possono rimanere insieme ancora per poco tempo. Quando Gernot e i compagni ritornano, non capiscono subito dove si trovano. Poi vedono la bellissima Ada e Gernot racconta loro che lei è la moglie di Arindal. Ora diventano pian piano dubbiosi, sul fatto che Arindal sia ancora convinto di tornare a casa. Ada rassicura Arindal di rivederlo il giorno seguente, tuttavia egli deve giurarle di non maledirla qualsiasi cosa succeda. Dopo il giuramento gli permette di lasciare, insieme ai suoi compagni, il regno delle fate, perché si occupi della giustizia e dell'ordine nella sua patria (Auf komm mit uns nach deinem Lande, Orsù, vieni con noi verso la tua terra).

Atto IIScena: Atrio di un palazzo nella città di ArindalAffranti perché destinati alla sconfitta, Lora e gli abitanti di Tramond si radunano davanti al palazzo. Là appare un messaggero che annuncia l’imminente arrivo di Arindal e i suoi compagni. Quando questi giungono vedono lo stato miserevole in cui è ridotto il loro paese (Von Feinden alles voll, kaum noch ein Fußbreit gehöret uns, Pieno di nemici, non ci appartiene quasi più nulla). Ciò nonostante Gernot e Drolla festeggiano il ritorno dopo otto anni di Arindal (Du bist’s! Oh welche Freude!, Sei tu! Oh quale gioia!). Quando i combattenti ingaggiano battaglia, Arindal rimane indietro. Ada gli appare nella sala del palazzo. (Weh mir, so nah die fürchterliche Stunde, Che dolore, così vicina la tremenda ora). Ad un suo gesto appaiono i loro figli che abbracciano Arindal. Improvvisamente Ada glieli strappa e li getta in un abisso infuocato. Nello stesso momento ritornano i guerrieri, messi in fuga che annunciano che tutto è perduto e Morald è scomparso. Quando arriva il generale Harald e racconta che una

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donna soldato di nome Ada ha disperso le sue armate ovunque, Arindal maledice sua moglie. Dopo la rottura del giuramento, si manifesta Ada. Ciò che era appena successo era stata in realtà solo un’allucinazione: lei ha imprigionato Harald, che lo aveva tradito e annientato i suoi compagni, Morald sta vincendo la battaglia grazie all’appoggio della fata e i bambini tornano e riabbracciano il padre. Ma Ada viene trasformata in statua e così rimarrà per cento anni.

Atto IIIPrima scena: Sala delle festeMorald e Lora vengono acclamati re e regina. Morald non è contento perché Arindal, re legittimo è diventato pazzo. Nella sua pazzia Arindal cerca sua moglie Ada. Il mago Groma, di cui spesso ode la voce, lo esorta a continuare la sua ricerca (Auf Arindal, was zauderst du, Su Arindal, cosa aspetti). A questo punto lui incontra le fate Zemina e Farzana. Loro gli indicano il modo con cui riportare in vita Ada, ma in realtà vogliono la sua rovina. (Wir leiten gern ihn hin zu ihr, denn uns erfreut sein Untergang, Lo conduciamo volentieri a lei, perché ci rallegra la sua caduta). Il mago Groma consiglia ad Arindal di seguire le fate ma di portare con sé scudo, spada e lira.

Seconda scena: Il terribile abisso dell’impero sotterraneoLe fate lo conducono nel mondo sotterraneo, dove Arindal deve sostenere due prove contro gli spiriti. Con l’aiuto di Groma, e delle armi vince lo scontro quasi disperato contro questi spiriti e trova la moglie trasformata in statua. Disperato vorrebbe rassegnarsi al destino, perché non può rompere l’incantesimo ma sente di nuovo la voce di Groma, che gli dice di prendere la lira. Arindal obbedisce e, suonando, riporta in vita Ada. Farzana e Zemina, sconfitte, spariscono.

Terza scena: Palazzo delle fate, circondato dalle nuvoleAd Arindal viene concessa l’immortalità dal re delle fate, per il suo coraggio e le sue azioni eroiche. Potrà rimanere per sempre con Ada nel regno delle fate. Ai festeggiamenti per l’incoronazione possono partecipare anche dei mortali: Morald, Lora, Drolla, Gernot e Gunther. Morald e Lora vengono ufficialmente dichiarati da Arindal signori di Tramond (Euch beiden geb ich jetzt mein Erdenland, A voi due, io do ora la mia terra). Arindal viene condotto al trono da Ada tra la grande partecipazione delle fate (Ein hohes Los hat er errungen, Una grande sorte ha conquistato).

RienziRienzi si basa sul romanzo "the last of tribunes" di Edward BulwerLytton. L'azione si svolge a Roma nel XIV secolo e narra la storia di un politico ambizioso, Cola Rienzi, che fa il voto di liberare la città dalle ostili famiglie patrizie Colonna Orsini. In un primo tempo Rienzi viene festeggiato dal popolo come un salvatore, in un secondo tempo, però, si sentono delle dicerie contro il suo stile di vita troppo festoso, le sue tasse

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e la sua tendenza acompromessi. Adriano della famiglia Colonna, è combattuto nella scelta fra il suo clane Rienzi in quanto innamorato della sorella di costui. Alla fine Rienzi viene scomunicato ed insieme ad Adriano ed Irene trova la morte in uno spettacolare finale ambientato tra le rovine del Campidoglio incendiato dal popolo. Questo scenario, con luoghi storici dove era possibile inserirvi marce, processioni e balletti, era ideale per la sua grande opera. Wagner ci si dedicò con soddisfazione deciso non solo ad imitare modelli esistenti, maanche ad imitarli con una stravaganza senza limiti. Da ciò derivano gli stravaganti effetti, alcuni dei quali sono stati inseriti in un secondo tempo per rimediare a lacune tecniche e alla generale magniloquenza della musica, che può un po' affaticare.Se si prende l'opera come è, si trovano delle parti molto valide, L’ouverture, certamente la parte più nota dell'opera, inizia con una lunga nota sulla tromba. Questo segnale torna di tanto in tanto (per esempio verso la fine del primo atto) per mettere in evidenza l'autoritàrivoluzionaria di Rienzi. Il secondo atto, comincia con una splendida introduzione orchestrale che annuncia il coro dei messaggeri di pace: un canto trionfale della gioventùpatrizia vestita di seta bianca con cui essa festeggia il successo della sua missione di pace in tutta Italia. All'inizio del terzo atto Rienzi, al grido di battaglia "Santo SpiritoCavaliere" incita tutto il popolo alle armi. Poi in questo atto il grido viene ripetuto quando Rienzi precede una festosa processione di Senatori e cittadini armati. Nel frattempo Adriano (che già nel primo atto aveva fatto un duetto con Irene: "Si, un mondo pieno di dolore") combatte disperatamente sui suoi difficili doveri di fedeltà ("Dio giusto!").Il quarto atto comincia su intrighi e complotti quando i patrizi e i cittadini progettano di far cadere Rienzi, e finisce con il drammatico annuncio della sua scomunica dai gradini della chiesa del Laterano.L'ultimo atto comincia con la famosa preghiera di Rienzi "Padre Onnipotente" che si basa sul sublime tema dell'ouverture. L'ultima scena dell'atto, con la caduta del Campidoglio, che seppellisce tra le sue macerie il Demagogo, sua sorella e il suo uomo, conduce l'opera verso un finale tuonante e melodrammatico. La composizione del Rienzi (1838-40) fu interrotta dieci mesi a causa della fuga di Wagner da Riga (dove occupava il posto di maestro di cappella) a Parigi dove sperava di sfuggire ai suoi accaniti creditori e dicominciare la sua carriera. Questa interruzione portò ad una evidente differenza stilistica fra i primi atti scritti a Riga, basati sull'imitazione dello stile del Grand Opèra, e gli ultimi tre atti in cui sono riconoscibili i primi segni degli elementi dell’"arte del futuro".È interessante notare come tuttavia nella prima parte compaia il motivo della vendetta sanguinaria; motivo che precorre il successivo tema del ricordo.

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Tannhauser

Atto primo

Il Trovatore Tannhäuser è trattenuto presso il Venusberg (monte di Venere-Horselberg), sedotto da Venere, circondato in un'orgia dasatiri, baccanti e coppie di amanti. Tannhäuser e Venere sono abbracciati. Le voglie del trovatore sono soddisfatte ed egli desidera ritrovare la libertà e la penitenza cristiana. Prende la sua arpa e intona un canto appassionato alla dea, che si conclude con una richiesta di libertà. Venere tenta ancora di sedurlo, ma egli dichiara di cercare la salvezza nel nome di Maria. Questa parola rompe l'incantesimo: Venere scompare e Tannhäuser si ritrova nella fortezza della Wartburg, in primavera. Un giovane pastore è seduto su una roccia e intona un'ode alla stagione.

Passano alcuni pellegrini in processione: il trovatore, colmo di rimorsi, s'inginocchia piangendo. In questo stato incontra il langravio di Turingia, accompagnato dai poeti Wolfram, Walther, Biterolf, Reimar e Heinrich. Questi accolgono calorosamente il loro antico rivale e lo invitano ad una tenzone poetica: egli inizialmente rifiuta, ma poi accetta quando viene a sapere che Elisabeth, nipote del langravio, colpita dalle sue parole, è ancora afflitta dalla sua assenza.

Atto secondoCastello della Wartburg. Elisabeth apprende del ritorno di Tannhäuser e quindi si mostra in pubblico alla gara canora. Wolfram conduce il trovatore da lei: egli dice di amarla, ma non ha il coraggio di rivelare dove sia stato tutto questo tempo.

I cantori si riuniscono per la gara, arrivano anche i nobili, le dame e i cavalieri vestiti in modo solenne.

Il tema della tenzone è il risveglio dell'amore. Comincia Wolfram, che dichiara che l'amore è un fiume puro che non andrebbe mai turbato. Tannhäuser elogia invece con fervore l'amore sessuale. Gli altri cantori controbattono, Tannhäuser replica a ciascuno, ed in un eccitamento crescente finisce con il cantare un'ode a Venere e raccontare la sua storia. Le donne, eccetto Elisabeth, lasciano la stanza con orrore ed i cavalieri sfoderano le spade contro il trovatore. Elisabeth lo protegge, il cantore si pente ed il langravio acconsente a lasciarlo andare a Roma con un gruppo di pellegrini a chiedere perdono al Papa.

Atto terzoVallata della Wartburg, scena autunnale. La musica orchestrale descrive il pellegrinaggio di Tannhäuser. Elisabeth, accompagnata da Wolfram, s'inginocchia in preghiera. Chiede invano notizie ai pellegrini che ritornano. Prega ancora, offrendo la sua vita alla Madonna in cambio della redenzione del cantore e torna alla Wartburg con il cuore infranto. Wolfram, che l'ama fedelmente, ha un presentimento della sua morte. Vede davanti a lui un pellegrino vestito di stracci: è Tannhäuser, che

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cerca disperato la strada per ilVenusberg. Il Papa gli ha negato l'assoluzione dicendo che questa è impossibile, come per il suo pastorale è impossibile rinverdirsi di fresche foglie. Venere appare per un attimo, interrotta da una processione: il funerale di Elisabeth. Tannhäuser si lancia sul corpo di lei e muore redento grazie al suo sacrificio, dopo averne invocato la santità. I giovani pellegrini entrano e annunciano che il pastorale del Pontefice è fiorito per miracolo come segno del perdono di Dio.

LohengrinL'anziano duca del Brabante ha affidato i suoi eredi – Elsa e Goffredo – alla tutela del conte Federico di Telramondo. Federico avrebbe dovuto sposare Elsa ma, subendone il rifiuto, ha sposato la discendente di una stirpe di principi pagani, Ortruda, le cui divinità sono dotate di poteri magici. Per vendicare l'affronto subìto dal marito e per ereditare il ducato, Ortruda ha tramutato Goffredo in un cigno convincendo Federico ad accusare Elsa di fratricidio.

Atto IScena 1ª In un prato lungo la sponda della Schelda, re Enrico invita i nobili brabantini a difendersi dalla minaccia degli ungari. La battaglia è prevista entro due giorni e chiede l'appoggio del conte di Telramondo – "modello di virtù" – per ristabilire la pace. Il re annuncia poi il secondo motivo della propria venuta: decidere riguardo all'accusa di fratricidio mossa da Federico contro Elsa. La fanciulla, in preda a un sogno perverso avrebbe ucciso Goffredo allo scopo di regnare sul Brabante con un amante segreto.

Scena 2ª Chiamata dall'araldo, Elsa compare tra la fila dei cavalieri e, a testa bassa, avanza verso il Re. Tutti restano colpiti dal suo candore e dalla sua timidezza, chiedendosi se davvero il suo cuore sia colpevole delle terribili accuse mossele dal conte. La ragazza racconta un sogno straordinario, in cui un cavaliere sconosciuto sarebbe arrivato dal nulla per salvarla. Nonostante ciò, tra i presenti, nessuno osa sfidare il valoroso Federico di Telramondo e la chiamata del Re rimane sospesa nel vuoto:

"Chi, in nome di Dio, vuole difendere Elsa di Brabante?"

Anche la seconda chiamata non ottiene alcuna risposta. Elsa intona una breve preghiera accompagnata da un coro di donne –"Signore, aiutala! Dio signore, ascoltaci!". Allora si scorge in lontananza una barca trainata da un cigno, al cui interno è un uomo dall'armatura d'argento. Dopo alcuni attimi di meraviglia ("Vedete! Vedete! Quale singolare miracolo! Come? Un cigno?"), il cavaliere del sogno è viva realtà.

Scena 3ª Sulle medesime note del preludio, Lohengrin saluta il cigno e promette ad Elsa il suo amore, a condizione di non chiedergli mai quale sia il suo nome. Gli astanti sono ammirati e commossi. Telramondo

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accetta di combattere il cavaliere misterioso ("meglio la morte che l'onta!") mentre il Re si prepara a dare inizio al duello. I due contendenti incrociano le spade. Federico viene atterrato in un colpo ma gli viene risparmiata la vita ("ora la tua vita è mia: io te la dono; possa tu consacrarla al pentimento!"). Nel grande coro finale, Lohengrin ed Elsa vengono sollevati sugli scudi e acclamati festosamente dalla folla, mentre Telramondo si getta ai piedi di Ortruda piangendo l'onore perduto.

Atto IIScena 1ª Durante la notte, nel cortile del castello di Anversa, Federico e Ortruda siedono allo scuro, sui gradini della chiesa. Federico si scaglia contro la donna, accusandola di essere la sola responsabile della sua rovina:

"Non fu per la tua testimonianza che fui portato ad accusare l'innocente? Non fui punito dal giudizio di Dio?!"

"Chiami Dio la tua viltà?" ribatte Ortruda. "Se il cavaliere rivelasse apertamente il suo nome, svanirebbe il potere che l'inganno gli ha concesso."

Federico – nuovamente soggiogato dalla moglie – viene preso da un'improvvisa e irrefrenabile bramosia di rivalsa. Bisogna agire subito affinché il veleno del dubbio si sparga nel cuore di Elsa.

Scena 2ª Elsa si affaccia al balcone e ricorda l'amore di Lohengrin, prefigurando le nozze imminenti. La interrompe Ortruda, la quale, fingendosi addolorata, le annuncia il pentimento di Federico. Mentre Elsa, che ingenuamente crede alle parole della donna, rientra nel palazzo, Ortruda invoca l'aiuto delle divinità pagane dei Radbod.

La giovane riappare sulla soglia del palazzo. Subito Ortruda comincia a tessere la propria trama, suggerendo ad Elsa di dubitare del misterioso fidanzato, ma Elsa si difende candidamente:

"Povera, non puoi capire come un cuore possa amare senza incertezza?"

Scena 3ª Spunta il giorno. Le fanfare dei cavalieri risvegliano il castello. L'araldo annuncia l'elezione di Lohengrin a protettore del Brabante e i preparativi delle sue nozze con Elsa. Tra la folla festante, quattro nobili, già vassalli di Telramondo, lamentano l'altrettanto imminente battaglia. Improvvisamente si palesa loro Federico, annunciando l'intenzione di accusare Lohengrin di stregoneria.

Scena 4ª Processione di Elsa nella cattedrale. Il mistico coro del corteo è interrotto dall'intervento di Ortruda, che, con un repentino cambiamento di umore, sfida Elsa in quanto moglie del nobile Telramondo:

"Il nome del mio sposo aveva in patria grande onore. Lo sposo tuo, dimmi, chi lo conosce?! La sua purezza non è quello che sembra!"

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Scena 5ª Mentre la folla respinge le accuse di Ortruda, Elsa si rifugia tra le braccia di Lohengrin, che è appena arrivato accompagnato dal Re. Allora Federico irrompe drammaticamente in scena, accusando Lohengrin di menzogna e stregoneria:

"Nome, rango e meriti io gli domando! Possa egli smentire l'inchiesta!"

Lohengrin si volge verso Elsa:

"Elsa, come ti vedo tremare!"

La povera ragazza è ormai straziata dal dubbio.

Atto IIIScena 1ª Il preludio preannuncia il celebre coro nuziale. A metà dell'inno, si aprono le porte della camera nuziale. Da destra entrano le donne che accompagnano Elsa; da sinistra, gli uomini, che assieme col Re, accompagnano Lohengrin. Otto donne danzano in cerchio attorno agli sposi, i quali, svestiti della corazza e delle ricche sopravvesti, rimangono infine soli.

Scena 2ª La successiva scena tra i due protagonisti rappresenta il momento culminante della vicenda, che dall'estasi iniziale si stringe in un'ansietà frenetica sempre crescente, poiché Lohengrin muove dal piano della cieca fiducia, mentre Elsa non sa più trattenersi dal porgli la domanda proibita. Dice Lohengrin:

"Dai tuoi occhi appresi l'innocenza… Non dovetti chiedere la tua origine, benché su di te gravasse la terribile accusa…"

Dice Elsa:

"Come si chiama quella parola che – ahimè – non potrò mai usare per rivolgermi all'amato? Permetti al mio labbro di pronunciarla, quando saremo soli, quando mai giungerà all'orecchio del mondo. Se conoscessi il tuo segreto, nessuno me lo potrebbe più strappare! Rendimi orgogliosa della tua fiducia, affinché non ne sia indegna!…"

Allora Lohengrin è costretto a rivelarle una mezza verità, che però non fa altro che accrescere l'incertezza di Elsa nel timore di venire un giorno abbandonata:

"Il tuo amore dev'essere la ricompensa di ciò che rinunciai per te. L'unica cosa che valga il mio sacrificio la vedo nel tuo amore. Non provengo dall'oscurità ma dalla luce e dallo splendore!"

Il dramma si è compiuto. Elsa si sente troppo piccola per compensare questo sacrificio, nonostante Lohengrin desideri farsi amare con semplicità. Improvvisamente, alla domanda proibita "qual è la tua origine?", Federico, credendo che Elsa abbia così reso il suo rivale più debole, entra nella stanza per affrontare il rivale. Senza pronunciare parola, questa volta Telramund cade ucciso nel rapido scontro.

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Scena 3ª Sul prato lungo la Schelda i brabantini sono riuniti per la guerra. Tutti aspettano che il cavaliere d'argento li guidi alla vittoria ma, mostrando la salma di Federico, Lohengrin rivela finalmente la propria origine: egli è il figlio di Parsifal, il re delSanto Graal, sceso sulla terra per combattere il male. In definitiva, Lohengrin non rinuncia ai poteri che gli consentono di diffondere la virtù, per quanto la loro rivelazione lo costringa a ribadire la sua diversità e, di conseguenza, la sua triste solitudine. Invano Elsa, il Re e i cavalieri lo invitano a restare: il cigno è già apparso per riportare Lohengrin a Monsalvato. La perfida Ortruda non gli risparmia quest'ultimo momento:

"Vattene, superbo eroe, perch'io possa svelare con giubilo chi fu a guidarti con la navicella! Imparate come si vendicano gli dei!"

Ma Lohengrin, che l'ha udita, cade solennemente in ginocchio e prega. Per miracolo, il cigno si tuffa nell'acqua ritrasformandosi in Goffredo: ha così fine il potere delle divinità pagane dei Radbod.

"Ecco il duca del Brabante, sia eletto a vostro condottiero!"

Una colomba scende dall'alto e guida la barca sul lago. Mentre Lohengrin si allontana, Elsa cade priva di forze tra le braccia del fratello.

Das RheingoldLa prima scena si apre: le tre ninfe Woglinde, Wellgunde e Flosshilde (che sono figlie del Reno ed hanno il compito di proteggerne l'oro) stanno giocando nell'acqua. Il nano Alberich fuoriesce dalle viscere della terra e si ferma a guardarle; non si trattiene e proclama il suo amore per loro. Ma esse lo deridono; allora, infuriato, egli cerca di afferrarle. Nel frattempo l'oro del Reno si mostra; le tre rivelano il segreto potere del tesoro che custodiscono: chiunque sarà capace di forgiare con esso un anello, dominerà il mondo; per farlo però deve rinnegare l'amore. Ed Alberich maledicendo l'amore si impadronisce dell'oro e scompare.

Scena secondaWotan riposa accanto alla moglie Fricka. Ella lo sveglia. Discutono, poiché Wotan si è fatto costruire dai gigantiFasolt e Fafner una dimora celeste promettendo loro in cambio la sorella di Fricka, Freia. Tuttavia Wotan, completato il lavoro, non vuole accondiscendere al pagamento. I giganti si presentano e, se non accontentati, intendono rapire Freia, in difesa della quale sono pronti a intervenire i fratelli Donner e Froh, fermati in tempo da Wotan prima che si sparga sangue. Il semidio Logepropone una soluzione: rubare l'oro al nano Alberich che, nel frattempo, è riuscito a forgiare l'anello. Ma, ora che ne conoscono il potere, tutti sentono il desiderio di impossessarsene. I giganti rapiscono Freia: la terranno fino a che non avranno l'oro.

Scena terzaNel suo regno sotterraneo Alberich ha costretto in servitù i Nibelunghi e

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se ne serve per accumulare ricchezze. Perfino suo fratello Mime è picchiato e torturato, sebbene abbia realizzato per Alberich un elmo magico chiamato Tarnhelm, che dona a chi lo indossa il potere di mutarsi in qualunque cosa, o di diventare invisibili. Wotan e Loge con un inganno riescono tuttavia a fare prigioniero Alberich e lo portano con sé in superficie.

Scena quarta

Per essere liberato Alberich dovrà consegnare il suo tesoro, compreso l'anello. Una volta liberato egli maledice l'anello affinché conduca alla rovina chiunque ne sia il possessore. Wotan ignora la maledizione e indossa l'anello, intenzionato a tenerlo per sé. Ma i giganti non si accontentano del tesoro: esigono anche l'anello. Wotan è costretto a cedere, anche se lo fa solo dopo che Erda, dea della terra e custode di conoscenze sul futuro, gli ha predetto un infausto destino, la seconda volta che avrà l'anello in mano. La maledizione comincia subito il suo effetto: Fafner, per avidità, uccide il fratello Fasolt e fugge col tesoro. Gli dei prendono possesso della loro dimora e l'oro non viene restituito alle figlie del Reno, che supplicano invano.

Die Walküre

Antefatto

Rinunciando all’amore, il nibelungo Alberich si è impossessato dell’oro del Reno forgiando con esso un terribile anello: chiunque lo possieda diventa il padrone del mondo. Wotan (il padre degli Dei) se ne impossessa a sua volta per pagare ai due giganti la costruzione del Walhalla. A quell’epoca, infatti, Wotan accarezzava ancora ambiziosi sogni di potenza. L’anello si trova quindi nella mani del gigante Fafner che - dopo avere ucciso il fratello - lo custodisce gelosamente in una caverna. Consapevole del pericolo che gli Dei correrebbero se il malvagio Alberich tornasse in possesso dell’anello - ma prigioniero del patto che ha stretto coi giganti - Wotan si è mescolato tra gli uomini sotto le spoglie di un viandante e ha generato la stirpe dei Walsi, tra cui i figli mortali Siegmund e Sieglinde. In essi, egli identifica gli “uomini liberi” in grado di rigettare l’anello nel Reno e riportare l’amore nel mondo. Siegmund non sa chi sia veramente suo padre ed è cresciuto con lui nella selva. Sieglinde è stata rapita ancora bambina e costretta a sposarsi col capo di una stirpe nemica: Hunding.

Atto primoScena 1. L’interno di una capanna nel bosco. Un focolare acceso. Un grande albero al centro della stanza. Un fuggiasco che arriva di notte, una donna che lo accoglie. La sensazione confusa di essersi già conosciuti. L’arrivo del nemico, il ricordo di una spada che il padre aveva promesso nel momento del bisogno. La coscienza di se stessi rivelata nella passione.

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Tutto questo, a grandi linee, costituisce il primo atto dellaValchiria. Il preludio strumentale descrive la corsa disperata di Siegmund nella selva, col tema di Donner che evoca la tempesta come nell'Oro del Reno. Il ragazzo, ferito e senz’armi, trova casualmente riparo nella capanna. È il tema dei Walsi a risuonare nel violoncello, mentre Sieglinde accoglie lo sconosciuto alla porta. I due fratelli non si riconoscono ma tra loro nasce subito un profondo e misterioso affetto.

Scena 2. Hunding rientra a casa e, trovando lo straniero, lo invita a narrare la sua vita. Siegmund si perde nel lungo racconto che occupa la parte centrale del primo atto: si presenta col nome di Wehwalt (dolore), narra le sue peregrinazioni col padre Wolfe (lupo), le guerre combattute nella sofferenza e la perdita del padre avvenuta in circostanze misteriose (qui l’orchestra annuncia il tema del Walhalla, indicando il luogo dove Wotan è tornato). Alla fine del racconto, Hunding riconosce in lui il suo nemico, il “figlio del lupo” che stava cercando. I doveri d’ospitalità lo inducono a dargli riparo per la notte ma il giorno dopo lo sfiderà in un duello alla morte. Dopo aver spento il fuoco si ritira a letto trascinando Sieglinde con sé.

Scena 3. Siegmund solo, davanti alle braci del focolare. Sdraiato sotto l’albero, l’eroe si ricorda le parole del padre, quando gli promise una spada nel momento del massimo pericolo:

“Walse! Walse!”, grida su note lungamente tenute, “dov’è la tua spada, la forte spada che io possa brandire nella tempesta?!”

All’improvviso la brace si ravviva come per incanto e una lingua di fuoco colpisce un punto preciso dell'albero.

Scena 4. Sieglinde, addormentato il marito con un sonnifero, rivela a Siegmund il segreto: c’è una spada immersa nell’albero! Un misterioso viandante l’aveva infissa il giorno delle sue nozze con Hunding e molti guerrieri tentarono invano di estrarla.

“Oh se trovassi l’amico da terra straniera, quel che ho sofferto nella mia ignominia sarebbe allora espiato!"

“Ti tiene l’amico, destinato all’arma e alla donna! In te ritrovo ciò mi manca!...”

Nel montare dell’esaltazione i due ragazzi si riconoscono l'uno nell'altro. Un colpo di vento spalanca la porta: è il vento della primavera che soffia nella foresta.

“La bufera d’inverno viene meno alla Luna, dal suo sangue sbocciano i fiori, la sorella liberò lo sposo fratello, costringendo il mondo con la grazia di tenere armi…”

Questo brano musicale segna un regresso nella rivoluzione stilistica di Wagner, che sembra tornare alle melodie dell’opera lirica convenzionale. In compenso, la sensualità della situazione e l’amore incestuoso tra i due fratelli (dotato di una carica erotica superiore a quella che unirà Sigfrido e Brunilde) segna una rivoluzione nella concezione borghese

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dell'Ottocento.

“Ciò che io sono crebbe dentro di me, la trama delle tue vene s’intesse alle tempie. Tu offri la mia immagine come la voce che udivo da bambina..."

“Tu sei l’immagine che nascondevo in me!”

D’un tratto Sieglinde ribattezza l’amato col nuovo nome: Siegmund (vittoria). A quel nome l’eroe balza in piedi impugnando l’elsa della spada e sotto lo sguardo esaltato di Sieglinde la estrae con forza dal tronco di quercia.

“Lontano da qui ora seguimi, nella ridente dimora della primavera. Là ti protegge Nothung, la spada che si abbandona al tuo amore."

“Io sono Sieglinde, la tua sorella! Fiorisca così il sangue dei Walsi!”

Abbracciandosi con impeto, i due amanti fuggono nella notte.

Atto secondoScena 1. Il preludio costituisce una potente pagina musicale. I temi della spada e della fuga irrompono fortissimi sovrastati dal celebre tema della cavalcata delle valchirie. Sulla cima di una montagna, Wotan incita Brunnhilde a proteggere Siegmund nel duello. Brunnhilde è la sua figlia prediletta, una delle nove valchirie deputate alla difesa del Walhalla. Ma una nube nera si avvicina dal fondo: è Fricka, moglie di Wotan e Dea della legge.

Scena 2. Ha inizio il lungo dialogo Wotan-Fricka, il più importante per quanto riguarda la trama dell’intera Tetralogia. La musica soggiace al significato della poesia.

“Intesi il tormento di Hunding, che mi chiamò a vendetta…”

È chiaro il motivo della polemica. Fricka chiede spiegazioni al marito, lui stesso custode delle Sacre Rune, le leggi su cui si fonda l’esistenza del mondo. Wotan si appella all’amore:

“Li congiunse la primavera. Dovrei punire la forza dell’amore?”

Ma Fricka lo assale con una serie di rimproveri e gelosie, accusandolo di spezzare vincoli che non possono essere spezzati. Le nozze di Hunding sono state tradite, Fricka stessa è stata tradita generando una coppia di mortali incestuosi. Niente è possibile contro la legge dell’ordine e delle convenzioni sociali. Wotan ribatte con una delle frasi più significative tra quelle scritte da Wagner:

“Solo la tradizione riesci a comprendere, ma il mio pensiero mira a tutto ciò che ancora non è avvenuto.”

L’idea è la seguente: necessita un uomo libero dalla legge per compiere l’azione necessaria. Ma questa è pura utopia. Non fu forse Wotan ad allevare Siegmund? Non fu forse lui a guidarlo di nascosto fino alla spada? La spada magica, dunque, gli venga tolta.

“La spada?!” grida Wotan con terrore. Mentre il tema dell’angoscia

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comincia a serpeggiare nell’orchestra, Wotan si ritrova succube di se stesso. Sprofondato nel silenzio non può che subire le ragioni di Fricka, che gli mostra le Sacre Rune incise sulla sua lancia.

“Derisi dagli uomini noi Dei saremmo perduti e Siegmund toccò a me quale schiavo! Ricevo da te il giuramento?”

Wotan giura a malincuore.

Scena 3. Mentre Fricka si allontana, Brunnhilde è vicina al padre. Inizia una nuova lunghissima scena, durante la quale Wotan si confida alla figlia parlando a se stesso. Cantando a mezza voce, come ad evocare l’angoscia infinita di un’anima, ha luogo il racconto degli eventi passati, ossia l'antefatto dellaValchiria. È il nulla cosmico che si fa tragica realtà, è il desiderio della fine che irrompe nel travaglio interiore di Wotan.“Desiderare la fine e compierla noi stessi”, è ciò che Wagner scrisse in una lettera del 1854, pochi mesi prima di aver letto Il mondo come volontà e rappresentazione di Arthur Schopenhauer. In esso, il musicista trovò la conferma della sua stessa concezione drammatica.

“A Fafner dovrei sottrarre l’anello ma con chi strinsi il patto non devo incontrarmi. Come posso creare il libero? Come posso creare l’altro che non fosse più me? Con disgusto ritrovo solo me stesso!... Quel che amo devo abbandonare! Crolli quel che ho costruito! Rinuncio alla mia opera! Solo una cosa bramo ancora: la fine, la fine!”

Al colmo dell’angoscia benedice il figlio del suo nemico:

“Il tenebroso nemico dell’amore ha generato il frutto dell’odio, mentre io che ho creduto nell’amore non riesco a creare la libertà. Che tu sia benedetto, figlio del Nibelungo!”, e rivolto alla sconvolta Brunnhilde le ordina di uccidere Siegmund.

“Chi sempre m’insegnasti ad amare, mai la tua ambigua parola mi muoverà contro di lui!”

Ma Wotan la afferra per un braccio e la costringe all’ordine, prima di allontanarsi in preda alla disperazione.

Scena 4. Spinti dal tema della fuga, totalmente in balìa degli eventi, Siegmund e Sieglinde corrono incontro alla morte. Ciò che non può essere ammesso ha mutato la gioia in terrore e Sieglinde è colta da tremendi presagi. Siegmund cerca di calmarla ma la donna si sente colpevole, immagina l’arrivo di Hunding e le zanne dei suoi cani che le dilaniano le carni. Sviene in preda al delirio.

Scena 5. Sulle note ripetute del motivo del destino, l’ombra di Brunilde si allunga a poco a poco verso il centro della scena.

"Siegmund!" chiama imperiosamente. “La mia vista è concessa solo ai consacrati alla morte.”

A questo punto la situazione si rovescia di nuovo. Le nove valchirie hanno il compito di raccogliere gli eroi morti per portarli al Walhalla e Siegmund dovrebbe dunque seguirla. Ma Sieglinde non potrebbe sopravvivere

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senza di lui e il fratello si rifiuta di abbandonarla a se stessa.

“Affidala a me!", lo implora Brunilde. “Chi ti diede la spada ha decretato oggi la tua fine!”

“Se questa spada non vale più contro il nemico, che valga allora contro l’amico!” e la punta su Sieglinde con l’intenzione di volgerla poi verso di sé. Brunilde si lascia trasportare dall'emozione:

“Fermati, pazzo! Ascolta la mia parola!…Cambio le sorti della battaglia! Fedele ti proteggerà la valchiria! A te donerò la vittoria!"

Scena 6. Lampi e tuoni oscurano il cielo.

“Wehwalt! Wehwalt!” chiama Hunding soffiando nel corno. Al richiamo risponde Siegmund, che lo raggiunge sul campo di battaglia. Le spade si incrociano. Con la sua scintillante armatura, Brunilde si libra sopra Hunding e copre Siegmund col suo scudo. Ma il tema della cavalcata si spezzà a metà sotto la voce di Wotan:

“Via dalla lancia! In pezzi la spada!”

Apparso in una nube di luce, Wotan spezza con la sua lancia la spada del figlio. Mentre Hunding si erge vittorioso, Brunilde fugge atterrita portando Sieglinde con sé. Prima di lanciarsi al suo inseguimento, Wotan sancisce l'esito del giuramento:

“Vattene, schiavo. Annuncia a Fricka che ho vendicato ciò che la oltraggiava”.

Al gesto di disprezzo ch’egli fa con la mano, Hunding cade morto al suolo.

Atto terzoScena 1. L’inizio del terzo atto presenta il tema della cavalcata in tutta la sua ampiezza. Le nove valchirie si danno convegno sui loro cavalli alati, ridendo allegramente e chiamandosi continuamente tra loro. Del tutto soggiogate alla volontà paterna, mutano le loro risa in spavento quando vedono Brunilde accorrere precipitosamente portando una donna con sé. Sieglinde implora a gran voce di essere uccisa:

“Chi ti ordinò, fanciulla, di sottrarmi allo scontro? Avrei ricevuto il medesimo colpo di Siegmund! Strappata da lui, immergimi la lama nel petto!”

“Vivi, o donna, lo vuol l’amore! Salva colui che tu porti nel grembo!...”

Dopo i primi attimi di titubanza, le valchirie consigliano la fuga nella foresta orientale, dove il potere di Wotan non ha alcun effetto. Laggiù vive infatti il gigante Fafner che, trasformatosi in drago, custodisce l’oro del Reno. Mentre Sieglinde fugge con in mano i pezzi della spada, la melodia di Sigfrido si alza per la prima volta dall’orchestra, seguito dal tema della redenzione d’amore che nel Crepuscolo concluderà l’intera Tetralogia. La spiegazione per cui la “redenzione” appaia soltanto in questo momento, sul canto estasiato di Sieglinde, è oggetto di

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congetture da parte della critica wagneriana.

Scena 2. Wotan, al colmo della collera, ha raggiunto il gruppo delle valchirie. Egli cerca la traditrice, la valchiria che ha osato ribellarsi alla sua volontà. Mentre le sorelle, terrorizzate, si disperdono confusamente, Brunilde si mostra per affrontare lealmente il castigo.

Scena 3. Wotan e Brunilde, soli, mentre cala la sera.

“Fu così vile quello che feci?...Quando Fricka negò i tuoi desideri fosti nemico a te stesso.”

“Non dubitavo che tu avessi compreso e punisco la sfida cosciente”, risponde Wotan voltando le spalle.“Mi hai creduto vile e sciocco”.

“Non sono saggia però so una cosa: tu amavi Siegmund ed io percepii tutta la sua terribile angoscia".

Il tema della giustificazione sembra indurre il perdono ma il Dio inveisce contro di lei:

“Così facilmente ti abbandonasti all’amore, mentre io mi torturavo in orrendo destino, tra le rovine del mio stesso mondo!”…

Invano Brunilde gli ricorda la gravida Sieglinde, invano gli ricorda i pezzi della spada che non sono andati perduti. Per punizione, Wotan la sprofonderà nel sonno rendendola preda di un uomo qualsiasi. Il tema del sonno discende la sua misteriosa armonia, tanto simile al tema della magia nel secondo atto del Lohengrin. Brunilde implora pietà:

“Annienta tua figlia, calpestane il corpo, ma non renderla preda della vergogna!”

Gli si pone davanti con selvaggio entusiasmo:

“Ad un cenno tuo divampi una fiamma! Fiammeggiante vampa circondi la roccia, la sua lingua lambisca e il dente divori il vile che tentasse di giungere a me!”…

Mentre il motivo del fuoco scintilla sul suo canto disperato, irrompe ancora una volta il tema della cavalcata delle valchirie. Wotan è travolto da un'ondata di commozione:

“Addio, temeraria, splendida fanciulla! Addio, mia figlia, addio! Devo lasciarti!... Se devo perdere chi amo, se devo andare lontano, fugga il codardo questa montagna e ti possa raggiungere solamente un eroe che sia più libero di me!”

Si devono per forza lasciare, lo vuole la stessa legge che condannò Siegmund alla morte, ma prendendole il volto tra le mani la bacia a lungo sugli occhi. Brunide si addormenta tra le sue braccia mentre i violini lanciano al cielo il grande tema della giustificazione. Wotan le allaccia l’elmo e la guida dolcemente a sdraiarsi all’ombra di un abete. Quindi, accompagnato dal tema del patto, si volge verso un gigantesco macigno:

“Loge, qui! Come un dì ti trovai, come un dì mi sfuggisti, t’evoco or qui!… Loge, Loge, a me!”

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Batte per tre volte la punta della lancia. Subito sprizzano luci e scintille, la cima del monte risplende sotto le stelle e Brunilde viene circondata da un mare di fiamme.

“Chi teme la punta della mia lancia, mai attraversi il fuoco!”

Il tema di Sigfrido esplode nei fiati, fortissimo, preannunciando l’eroe del futuro: l’uomo della libertà che - secondo gli ideali della Rivoluzione - tenterà di redimere il mondo. Prima di ritirarsi sconfitto, sulle note dolorose del tema del sonno, Wotan guarda Brunilde per l’ultima volta.

SiegfriedSono passati alcuni anni dagli eventi de La Valchiria. Mime, il fratello di Alberich, sta forgiando una spada nella sua caverna nella foresta: il nano ha in mente di impossessarsi dell'anello, servendosi di Sigfrido, che in questi anni ha cresciuto perché uccidesse Fafner per lui. Sigfrido però finora ha rotto qualsiasi spada che egli gli ha fabbricato. Sigfrido torna dai suoi vagabondaggi nella foresta e chiede a Mime di parlargli delle sue origini. Mime è costretto a narrargli di come, anni prima, avesse trovato nella foresta sua madre, Sieglinde, morta dandolo alla luce. Mostra a Sigfrido i frammenti di Nothung, che conservava da allora, e il giovane gli ordina di riforgiare la spada.

Sigfrido si allontana, lasciando Mime sconsolato: non è in grado infatti di riparare la spada. Un vecchio Viandante (Wotan travestito) giunge all'improvviso alla sua porta. Il Viandante scommette con Mime la sua testa che saprà rispondere a tre indovinelli che il nano vorrà sottoporgli, e Mime acconsente: chiede all'ospite di nominargli le tre razze che vivono sotto terra, sulla superficie e nei cieli. Si tratta deiNibelunghi, dei giganti e degli dei, risponde correttamente il Viandante. Ora tocca a quest'ultimo proporre tre quesiti, e Mime dovrà rispondere pena la vita. Il Viandante gli chiede di dirgli il nome della razza più cara a Wotan, ma da lui trattata più duramente, il nome della spada che può distruggere Fafner, e il nome della persona che può forgiarla. Mime sa rispondere ai primi due quesiti, i Valsidi e Nothung, ma non conosce la risposta al terzo. Ciò nonostante, il Viandante lo risparmia, rivelandogli che solo "colui che non conosce la paura" potrà riforgiare Nothung, e sarà anche colui che ucciderà Mime. Quindi se ne va.

Ritorna Sigfrido, e subito si irrita al vedere che Mime non ha fatto alcun progresso. Mime comprende che l'unica cosa che in quegli anni non ha insegnato a Sigfrido è la paura, e il giovane è ansioso di apprenderla: Mime promette di insegnargliela conducendolo dal drago Fafner. Poiché il nano non è stato in grado di riforgiare Nothung, Sigfrido decide di provarci da solo: riunisce i frammenti di metallo, li fonde insieme e fabbrica così una nuova spada. Mime si ricorda delle parole del Viandante e capisce che ora sarà ucciso da Sigfrido: non visto, prepara allora una bevanda avvelenata da offrire al giovane subito dopo che egli avrà ucciso

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Fafner.

Atto IIIl Viandante giunge all'ingresso della caverna di Fafner: lì si trova anche Alberich, deciso a riprendersi l'anello. I due antichi nemici si riconoscono subito. Alberich annuncia a Wotan i suoi piani di dominio del mondo non appena avrà rimesso le mani sull'anello. Wotan, invece, replica che egli non ha alcuna intenzione di tentare di impossessarsene: con grande sorpresa dell'altro, sveglia Fafner e informa il drago che sta per giungere un eroe per combatterlo. Fafner si fa beffe di quella minaccia, rifiuta di riconsegnare l'anello ad Alberich, e torna a dormire. Wotan e Alberich partono.

All'alba, giungono Sigfrido e Mime. Mime si nasconde mentre Sigfrido va per affrontare il drago. In attesa che questo si mostri, il giovane vede un uccello della foresta posato su un albero: cerca di imitare il suo verso con una canna, ma senza successo. Suona quindi una nota con il suo corno, che attira Fafner fuori dalla caverna. Dopo un breve scambio di frasi, i due combattono, e Sigfrido trafigge al cuore il drago con Nothung.

Prima di morire, Fafner si fa dire da Sigfrido il suo nome, e lo avverte di guardarsi dal tradimento. Quando Sigfrido estrae la lama dal corpo del drago, le sue mani sono ricoperte del sangue di Fafner, ed egli istintivamente le porta alla bocca, assaggiandolo. Dopo averlo bevuto, riesce a comprendere il canto dell'uccello della foresta. Facendo come questi gli suggerisce, prende dall'antro del drago l'anello e il Tarnhelm, l'elmo magico che consente di mutare forma e divenire invisibili. Ricompare Mime, e Sigfrido si lamenta con lui perché ancora non ha imparato cosa sia la paura. Ansioso di mettere mano sull'anello, Mime offre al giovane il veleno, ma tra i poteri del sangue del drago che ha bevuto vi è anche quello di leggere il pensiero, perciò ora Sigfrido intuisce le malvagie intenzioni del nano, e lo uccide.

L'uccello della foresta canta di una donna addormentata su una roccia circondata dal fuoco. Sigfrido, pensando di poter forse apprendere il significato della paura da costei, si dirige verso la sommità della montagna.

Atto IIIIl Viandante compare lungo il sentiero che conduce alla roccia di Brunilde ed evoca Erda, la dea della terra. Ella, confusa, dice a Wotan di non poterlo aiutare, ma questi l'informa di non temere più la fine degli dei, anzi, la desidera: la sua eredità passerà a Sigfrido il Valside, e la loro figlia, Brunilde, compirà l'impresa che redimerà il mondo. Erda sprofonda di nuovo nelle viscere della terra.

Giunge Sigfrido, e il Viandante lo interroga. Il giovane, che non ha riconosciuto suo nonno, risponde con insolenza e fa per proseguire verso la cima. Il Viandante gli blocca il passo, e allora Sigfrido gli spezza la lancia con un colpo della sua spada. Con calma, Wotan ne raccoglie i pezzi e scompare.

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Sigfrido giunge infine di fronte al cerchio di fuoco e lo attraversa. Vede la figura in armatura che giace addormentata, e dapprima pensa che sia un uomo. Ma, dopo che ha rimosso l'armatura, si accorge che si tratta di una donna. Quella vista per lui sconosciuta lo colpisce, non sa cosa fare, e per la prima volta nella sua vita sperimenta la paura. Bacia Brunilde, svegliandola dal suo sonno. Dapprima esitante, Brunilde è poi vinta dall'amore di Sigfrido, e rinuncia al mondo degli dei. Insieme, i due cantano "l'amore lucente e la morte ridente" (leuchtende Liebe, lachender Tod!)

Die GötterdämmerungNorne, figlie di Erda, si riuniscono sulla rocca di Brunilde, tessendo il filo del Destino. Cantano del passato, del presente e del futuro, di quando Wotan darà fuoco alValhalla per dare il segnale dell'inizio della fine degli dei. All'improvviso, il filo si spezza. Piangendo la perdita della loro saggezza, le Norne scompaiono.

All'alba, Sigfrido e Brunilde escono dalla loro caverna. Sigfrido parte per nuove avventure, e nel salutarlo Brunilde lo prega di ricordarsi del loro amore. Come pegno di fedeltà, egli le lascia l'anello che ha preso a Fafner. Portando con sé lo scudo di Brunilde e montando il cavallo di lei, Grane, Sigfrido si allontana.

Atto I

L'atrio dei Ghibicunghi, un popolo che vive lungo il Reno. Gunther, signore dei Ghibicunghi, siede sul trono. Hagen, il suo fratellastro, gli consiglia di trovare al più presto una moglie per sé e un marito per sua sorella Gutrune, e gli suggerisce rispettivamente i nomi di Brunilde e Sigfrido. Hagen ha preparato e consegnato a Gutrune una pozione che farà dimenticare a Sigfrido Brunilde e lo farà innamorare di Gutrune; sotto l'effetto della pozione, Sigfrido sottometterà Brunilde e la consegnerà a Gunther.

Giunge Sigfrido, e Gunther gli offre la propria ospitalità. Gutrune gli presenta la pozione e l'eroe, ignaro dell'inganno, brinda a Brunilde e al loro amore, e la beve. Perde così il ricordo dell'amata, e si innamora di Gutrune. Sotto l'effetto della pozione magica, si offre di conquistare una sposa per Gunther, che gli dice di Brunilde. I due giurano un patto di fratellanza di sangue, e partono per la roccia.

Nel frattempo, Brunilde viene visitata da sua sorella, lavalchiria Waltraute, che le racconta come Wotan sia tornato un giorno dai suoi vagabondaggi per il mondo con la lancia spezzata. In essa erano intagliati tutti i patti e i contratti che Wotan aveva stipulato, la sua fonte di potere. Egli aveva ordinato che i rami di Yggdrasill, l'Albero del Mondo, venissero accatastati attorno al Valhalla, aveva mandato i suoi corvi per il

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mondo perché spiassero e riferissero a lui tutte le notizie, ed ora aspettava la fine nel Valhalla. Waltraute prega Brunilde di restituire l'anello alle Figlie del Reno, poiché la sua maledizione sta colpendo anche il loro padre Wotan. Ma Brunilde rifiuta di separarsi dal pegno d'amore che Sigfrido le ha lasciato, e Waltraute si allontana disperata.

Arriva Sigfrido, che ha assunto l'aspetto di Gunther grazie al magico Tarnhelm, e pretende Brunilde come sua sposa. Nonostante la donna opponga una violenta e fiera resistenza, Sigfrido la sconfigge, strappandole l'anello dal dito e infilandolo sul suo.

Atto IIHagen, sulle rive del Reno, è visitato in sogno da suo padre,Alberich: incalzato da questi, gli giura che riuscirà a impossessarsi dell'anello. All'alba fa ritorno Sigfrido, che ha assunto di nuovo il suo aspetto e cambiato posto con Gunther. Hagen riunisce il popolo dei Ghibicunghi per accogliere il re Gunther e la sua sposa.

Giunge Gunther conducendo con sé Brunilde, che rimane sconvolta al vedere Sigfrido: notando l'anello al dito di lui, capisce di essere stata tradita. Di fronte ai vassalli di Gunther, accusa Sigfrido, che però giura sulla lancia di Hagen di essere innocente. Si allontana quindi con Gutrune e gli altri cavalieri, lasciando soli Brunilde, Gunther e Hagen. Pieno di rabbia e vergogna, pur sapendo perfettamente i fatti, Gunther è d'accordo con il fratellastro che Sigfrido debba morire perché lui riacquisti il suo onore. Brunilde, desiderosa di vendicarsi del tradimento di Sigfrido, si unisce alla congiura e rivela ad Hagen l'unico punto debole dell'eroe: sebbene ella lo avesse reso invulnerabile tramite la sua magia, aveva tralasciato la sua schiena, sapendo che non sarebbe mai fuggito di fronte a una minaccia. Hagen e Gunther decidono di attirare Sigfrido in una battuta di caccia e ucciderlo.

Atto IIINei boschi sulle rive del fiume, le Figlie del Reno piangono la perdita dell'oro. Sigfrido, allontanandosi dai compagni di caccia, si avvicina alla riva. Le ninfe lo implorano di restituire loro l'anello sfuggendo così alla sua maledizione, ma Sigfrido le ignora. Esse si allontanano nuotando, predicendo che Sigfrido morirà ma che la sua erede, una donna, sarà più gentile con loro.

Sigfrido si riunisce agli altri cacciatori, fra cui Gunther e Hagen. In un momento di riposo, racconta loro le sue avventure giovanili. Hagen gli dà una pozione che gli fa recuperare la memoria, e Sigfrido racconta di quando aveva trovato Brunilde e l'aveva risvegliata con un bacio. Improvvisamente, due corvi escono da un cespuglio e, mentre Sigfrido li guarda volare via, Hagen lo trafigge alla schiena con la sua lancia. Gli altri assistono alla scena con orrore, e Hagen si allontana con calma nella foresta. Sigfrido muore, abbandonandosi negli ultimi istanti al ricordo di Brunilde. Il suo corpo viene trasportato in una solenne processione funebre.

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Nell'atrio del palazzo dei Ghibicunghi, Gutrune attende il ritorno del marito. Giunge Hagen precedendo il corteo funebre. Gutrune si dispera quando viene portato il cadavere di Sigfrido. Gunther accusa Hagen della morte di Sigfrido. Hagen lo ammette e fa per strappare l'anello dal dito del cadavere. Quindi, siccome Gunther, desideroso a sua volta di prenderlo, cerca di impedirglielo, lo uccide. Ma, quando si china sul corpo per afferrare l'anello, la mano dell'eroe morto si alza minacciosa, ed egli arretra terrorizzato.

Entra Brunilde, ed ordina che una grande pira funebre venga accesa accanto al fiume, rimandando i corvi da Wotan con le tanto attese notizie. Prende l'anello e annuncia alle Figlie del Reno di venire a riprenderlo dalle sue ceneri, una volta che il fuoco lo avrà purificato della maledizione. Viene accesa la pira, Brunilde monta sul suo cavallo Grane e cavalca in mezzo alle fiamme.

Il fuoco si estende mentre il Reno straripa dai suoi argini. L'anello finisce nell'acqua: Hagen si tuffa per prenderlo e annega. Le Figlie del Reno si allontanano a nuoto, portando l'anello trionfanti. Mentre le fiamme crescono di intensità, si intravede nel cielo il Valhalla popolato dagli dei, anch'esso preda di un incendio che lo distrugge.

Tristan und Isolde

Antefatto

Per liberare la Cornovaglia da un ingiusto tributo imposto dagli irlandesi, Tristano ha ucciso il cavaliere Moroldo, patriota irlandese e fidanzato della principessa Isotta d'Irlanda. Ferito durante il combattimento, viene amorevolmente curato dalla stessa Isotta senza conoscere la sua identità. Soltanto il ritrovamento di un frammento della spada le fa capire di trovarsi davanti all’assassino del suo uomo, facendosi promettere di sparire per sempre dalla sua vita. In seguito, come pegno di riconciliazione tra i due paesi, Tristano infrange il giuramento e ritorna per sposarla al Re di Cornovaglia.

Atto IScena 1ª La voce di un giovane marinaio si alza dal ponte di un vascello:

“Verso levante muove la nave, soffia il vento verso il nostro paese: e tu, bimba irlandese, dove rimani?...”

In rotta verso l'Inghilterra, Isotta sfoga la sua rabbia contro il giovane Tristano, cui la lega un confuso sentimento di amore e di odio. Lo fa chiamare affinché la venga a trovare ma Tristano, turbato, risponde di non poter abbandonare il timone della nave.

Scena 2ª Isotta ricorda il passato, racconta alla sua ancella Brangania di essersi affezionata a un misterioso guerriero di nome Tantris, il giovane rimasto ferito nella battaglia e che lei lo raccolse e curò le sue ferite. In realtà, Tantris era Tristano, che presentandosi sotto falso nome era

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riuscito a scampare alla vendetta di Isotta grazie al suo sguardo supplicante.

“Con lucida spada mi presentai davanti a lui, per vendicare la morte di Moroldo. Dal suo giaciglio egli mi guardò: non sulla lama, non sulla mano, ma sui miei occhi egli alzò lo sguardo. Con mille giuramenti mi promise lealtà eterna ed ebbi pietà per la sua pena. Ma ben altro sfoggio fece Tristano di ciò che in me celavo. Colei che tacendo gli ridava la vita, colei che tacendo lo salvava dall’odio, tutto egli ha messo in mostra! Borioso del successo, mi ha additata quale preda di conquista. Sii maledetto, infame!...”

Reprimendo l' amore che li unisce, Isotta vorrebbe uccidersi con lui per cancellare l'affronto.

Scena 3ª Tristano arriva e, in un impeto di rabbia, accetta di sacrificarsi con onore.

“La signora del silenzio, silenzio a me impone. Se comprendo ciò che ha taciuto, taccio ciò che non comprende.”

Entrambi credono di bere un potente veleno ma Brangania ha sostituito il veleno con un filtro d'amore. Nell'orchestra, ricompaiono i temi del Desiderio e dello Sguardo, che erano già apparsi nel preludio strumentale. Il loro sentimento si rivela con forza alla realtà, ogni incomprensione svanisce e il mondo circostante non ha più alcun significato. Quando lo scudiero di Tristano, Curvenaldo, giunge ad avvertire l'imminente incontro col Re, Tristano risponde: “Quale re?” ormai del tutto ignaro di ciò che sta avvenendo. Nel momento in cui la nave approda nel porto, Tristano e Isotta si gettano l'uno nelle braccia dell'altro.

Atto IIScena 1ª Nel giardino del castello di re Marco, durante la notte, Isotta attende l'arrivo di Tristano. Brangania la avverte del pericolo che stanno correndo, sapendo che Melot, amico di Tristano, ma innamorato segretamente di Isotta, potrebbe rivelare al Re l'amore clandestino della coppia. Isotta non le crede. Tristano si precipita in scena con un abbraccio travolgente.

Scena 2ª Incomincia la lunga notte dei due innamorati che è la vera protagonista del dramma, è l'oscurità che circonda i due amanti e li riassorbe in un'originaria, individuale armonia. Dice Isotta:

"Chi là segretamente celai, come mi parve malvagio quando, nello splendore del giorno, l'unico fedelmente amato sparve agli sguardi d'amore, e quale nemico s'erse dinnanzi a me! Trascinarti voglio laggiù, con me nella notte, dove il mio cuore mi promette la fine dell'errore, dove svanisce la follia del presentito inganno."

Dice Tristano:

"Su noi discendi, notte arcana! Spargi l'oblio della vita!... Quel che là nella notte vegliava cupamente richiuso, quel che, senza sapere e

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pensarci, oscuramente concepii - l'immagine che, i miei occhi non osavano osservare, ferita dalla luce del giorno - mi si rivelò scintillante."

''Gloria al filtro e alla sua forza! Mi dischiuse le vaste porte dove solo in sogno ho soggiornato. Dalla visione celata nel segreto scrigno del cuore, esso cacciò lo splendore ingannevole del giorno, sì che il mio orecchio, penetrando la notte, potesse vederla davvero.

"Chi amoroso osserva la notte della morte, a chi essa confida il suo profondo mistero: la menzogna del giorno, fama e onore, forza e ricchezza, come vana polvere di stelle innanzi a lui svanisce!... Fuor dal mondo, fuor del giorno, senza angosce, dolce ebbrezza, senza assenza, mai divisi, soli, avvinti, sempre sempre, nell'immenso spazio!..''

Ma nel momento più impetuoso della passione, quando le voci e la musica vengono sospinte dal motivo della Felicità, improvvisamente l'incanto si spezza. Arrivano il Re, Melot e i cortigiani del castello, che circondano inorriditi la coppia degli amanti. Il tema musicale del Giorno avverso invade la scena. Sorge l'alba.

Scena 3ª Melot, tradendo Tristano, presenta al Re la sua vittima. Il magnanimo re Marco si perde allora in un lungo monologo cantato sul tema del Cordoglio, addolorato per il comportamento di Tristano e rievocando le vicende che li unirono in passato.

"A me, questo? Perché? Chi mi è fedele, se il mio Tristano mi tradì?... Se non c'è redenzione, chi può spiegare al mondo tale cupo immenso abisso?..."

Ma Tristano, come trasognato, non può fornire alcuna spiegazione. "Ciò che tu domandi non potrai mai comprendere", e si volge quindi verso l'amata:

"Dove ora Tristano s'avvia, vuoi tu seguirlo, Isotta? E' terra buia, muta, da cui mia madre m'inviò, quando mi partorì dal regno della morte..."

Mentre Isotta lo bacia, Melot incita il Re a reagire. Tristano sfida l'amico a duello e si lascia cadere sulla sua spada. Cade ferito tra le braccia di Curvenaldo.

Atto IIIScena 1ª

Tra le rovine del suo castello, accudito dal fedele Curvenaldo, Tristano riprende lentamente conoscenza. Ferito nel corpo e nell'anima, egli ha delle allucinazioni. Ciò che desidera gli è negato e il pensiero di Isotta, simbolo di quel desiderio, lo travolge. Immobile sul letto la cerca, in preda al delirio la invoca:

"Curvenaldo, non la vedi?!"

Ma l'orizzonte del mare è completamente vuoto. Tristano, allora, maledice il filtro magico che gli rivelò l'amore e la verità:

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"Il terribile filtro, che m'ha votato al tormento, io stesso l'ho distillato! Nell'affanno del padre, nel dolore della madre, nel riso e nel pianto, ho trovato i veleni del filtro!"...

Sono pagine molto drammatiche, dove la musica rompe definitivamente con la tonalità tradizionale anticipando per la prima volta il sistema dodecafonico. Ma intanto la nave di Isotta è apparsa davvero all'orizzonte, salutata da un'allegra cantilena del corno inglese. Tristano, è fuori di sé dalla gioia. Egli segue l'arrivo del veliero e manda Curvenaldo a ricevere l'amata. Rimasto solo, si strappa le bende della ferita e si alza in piedi sanguinante:

"O sangue mio, scorri giulivo!... Lei, che un dì mi guarì le ferite, a me s'avvicina per salvarmi!... Possa il mondo perir, dinnanzi alla mia esultante fretta!"...

Isotta entra in scena. Sulle grandi note del tema del Giorno avverso, i due amanti si abbracciano. Sul tema dello Sguardo, Tristano esala l'ultimo respiro.

Scena 2ª Mentre Isotta piange la morte di Tristano, un'altra nave approda al castello. Si tratta di re Marco che, venuto a conoscenza del filtro magico e dell'inevitabile verità, è accorso con Melot a chiedere perdono. Ma Curvenaldo, furibondo per la morte del suo padrone, si scaglia contro di lui. Appena Melot arriva lo uccide in un colpo; resta ferito a sua volta e muore egli stesso accanto al corpo di Tristano. Il Re, addolorato, cerca di spiegarsi con Isotta ma lei, ormai, non lo ascolta più. Nel suo canto supremo, Isotta invoca la celebre Liebestod, la "morte d'amore" che riunirà i due amanti:

"Son forse onde di teneri zeffiri? Son forse onde di voluttuosi vapori? Nel flusso ondeggiante, nell'armonia risonante, nello spirante universo del respiro del mondo, annegare, inabissarmi, senza coscienza, suprema voluttà!"

Sulle note della Felicità, Isotta cade trasfigurata sul corpo di Tristano. Il Re benedice i cadaveri. Si chiude lentamente il sipario.

Die Meistersinger von Nürnberg

La vicenda si svolge nella città tedesca di Norimberga, nel XVI secolo.

Atto ILa chiesa di S. Caterina di Norimberga. La Messa sta finendo e i fedeli intonano un corale, quando il giovane cavaliere Walther von Stolzing arriva, in cerca dell'amata Eva. Trovatala, le chiede se sia già promessa a qualcuno. Eva è subito attratta da Walther, ma deve informarlo che suo padre, il fabbro e maestro cantore Veit Pogner, ha stabilito di dare sua figlia in moglie al vincitore della gara di canto della gilda dei maestri cantori, prevista per il giorno seguente, festa di S. Giovanni. La nutrice di Eva, Magdalene, convince il suo corteggiatore, David, a istruire Walther nell'arte dei maestri cantori, in modo che possa essere accolto nella loro

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corporazione nell'assemblea che si svolgerà in chiesa dopo la Messa, e possa quindi avere il diritto di partecipare alla contesa.

Mentre la chiesa viene preparata per l'incontro, Walther si intrattiene a parlare con David, che gli dice di essere l'apprendista di Hans Sachs, calzolaio, maestro cantore molto rispettato. Quindi dà al giovane una rapida e piuttosto confusa lezione sulle regole di composizione e di canto dei Maestri cantori, con una sfilza di melodie diverse per temi, toni, piedi metrici (molti dei quali erano effettivamente esistenti all'epoca). Walther rimane costernato dalla complessità delle regole, ma è tuttavia deciso a concorrere.

Cominciano intanto ad arrivare nella chiesa i Maestri cantori, tra cui Hans Sachs, lo scrivano comunale Beckmesser, e il padre di Eva, Veit Pogner. Beckmesser, anche lui innamorato di Eva e deciso a ottenere la vittoria nella gara canora, concepisce subito un'istantanea antipatia per Walther. Pogner prende la parola e annuncia che il vincitore della gara avrà l'onore di sposare sua figlia Eva; quando Hans Sachs obietta che la giovane deve pure avere il diritto di esprimere il suo parere sulla questione, Pogner replica che ella potrà rifiutare il vincitore, ma che dovrà comunque scegliere un Maestro cantore. Un'altra proposta di Sachs, che sia il popolo e non la corporazione a nominare il vincitore, viene rigettata dagli altri Maestri.

Walther viene introdotto nell'assemblea, e i Maestri lo accoglieranno fra loro se saprà cantare una canzone di sua composizione: Beckmesser, il "marcatore" (chiamato così perché dovrà annotare su una lavagna tutti gli errori eventualmente commessi dal giovane), sarà colui che dovrà giudicare la sua esibizione. Walther si lancia in un gioioso inno alla primavera e all'amore, in forma libera, improvvisato e pieno di licenze, e il suo mancato rispetto delle rigide regole fa inorridire i Maestri: il suo canto è costantemente interrotto dallo sfregare del gessetto di Beckmesser, che, malignamente, annota gli errori uno dopo l'altro. Sebbene Sachs insista perché a Walther sia permesso di finire la sua canzone, il resto del gruppo boccia la prova del giovane cavaliere.

Atto II [modifica]A sera, in una strada di Norimberga, all'angolo fra la casa di Pogner e la bottega di Hans Sachs. David informa Magdalena del fallimento di Walther. Delusa dalla notizia, Magdalena si allontana dimenticandosi di dare a David il cibo che aveva portato per lui. Ciò suscita la derisione e le prese in giro degli altri apprendisti, e David sta per reagire quando Sachs arriva e con un fischio chiama il suo apprendista nella bottega.

Entra Pogner con Eva, i due conversano: Eva esita a chiedergli l'esito dell'esame di Walther, e Pogner dentro di sé comincia ad avere dei dubbi sull'opportunità di offrire sua figlia in sposa come premio per il vincitore della gara. Entrati in casa, Magdalene si avvicina e rivela a Eva il fallimento di Walther. Rattristata, Eva decide di chiedere consiglio al saggio Sachs.

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Al crepuscolo, Hans Sachs si siede di fronte a casa per lavorare a un nuovo paio di scarpe per Beckmesser, riflettendo nel frattempo sulla canzone di Walther, che l'ha molto colpito. Sopraggiunge Eva, e i due discorrono sulla gara canora dell'indomani. Eva non nasconde il suo scarso trasporto per Beckmesser, che sembra essere l'unico possibile vincitore, e accenna al fatto che non le dispiacerebbe se fosse Sachs, vedovo, a vincere. Sebbene colpito, Sachs protesta che sarebbe un marito troppo vecchio per lei. Dopo vari incitamenti, Sachs riferisce dell'esito deludente della prova di Walther all'assemblea della corporazione. Questo fa inquietare e rattristare Eva, confermando il sospetto di Sachs che ella sia innamorata del giovane, ma egli non dà a vedere di aver capito, anzi, continua a deprecare l'ignoranza del cavaliere, provocando la stizza di Eva, che lo lascia furibonda. La ragazza si imbatte in Magdalene, che la informa che Beckmesser sta arrivando per farle una serenata: Eva, decisa ad andare in cerca di Walther, ordina a Magdalene di mettersi alla finestra della sua stanza da letto fingendo di essere lei.

Proprio mentre Eva sta per andare, compare Walther, che le racconta del suo fiasco. Ferito nel suo orgoglio nobiliare e ormai convinto di non poter ottenere la vittoria nella tenzone imminente, Walther convince Eva a fuggire con lui. Ma Sachs ha ascoltato il loro piano, e mentre i giovani passano là davanti, illumina la strada con la sua lanterna, costringendoli a nascondersi in un angolo buio di fianco alla casa di Pogner. Walther vorrebbe affrontare Sachs, ma deve rinunciare per l'arrivo di Beckmesser.

Mentre Eva e Walther stanno nascosti, Beckmesser comincia la sua serenata. Sachs lo interrompe iniziando a cantare una chiassosa canzone mentre martella la forma delle scarpe. Irritato, Beckmesser gli dice di smetterla, ma il calzolaio replica innocentemente che proprio lui, Beckmesser, gli ha ordinato le scarpe per l'indomani, perciò non può interrompersi. Beckmesser, che ha visto qualcuno affacciarsi alla finestra di Eva (Magdalena travestita), non ha tempo per mettersi a discutere: riluttante, accetta la proposta di Sachs, cioè che egli farà da "marcatore", segnalando ogni errore nella serenata con una martellata sulle scarpe. Beckmesser comincia, ma commette così tanti errori che, colpo dopo colpo, Sachs è in grado di portare a termine il lavoro ben prima del previsto, con grande scorno dello scrivano. Il rumore sveglia l'intero vicinato. David, riconoscendo nella donna alla finestra la sua amata Magdalena e vedendo qualcuno farle una serenata, si getta addosso a Beckmesser. Gli altri apprendisti si buttano nella mischia, e la situazione degenera in una rissa gigantesca che coinvolge tutto il quartiere. Nella confusione, Walther prova a scappare con Eva, ma Sachs spinge Eva in casa sua e trascina Walther nella sua bottega. La quiete viene ristabilita, improvvisamente così come era stata rotta, dall'intervento del guardiano di notte.

Atto IIIDi buon mattino, Sachs è nella sua bottega e legge un grosso volume in-

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folio. Perso nei suoi pensieri, dapprima non risponde a David, di ritorno dall'aver consegnato a Beckmesser le sue scarpe. David alla fine riesce ad attirare l'attenzione del suo maestro, e i due discutono sui festeggiamenti di quel giorno: è la festa di San Giovanni, l'onomastico di Hans (diminutivo di Johannes) Sachs. David recita i suoi versi di auguri per Sachs, ed esce.

Rimasto solo, Sachs riflette sulla rissa della scorsa notte e, più in generale, sulla follia che governa il mondo, stravolgendone ogni tanto a capriccio il corso normale (Wahn! Wahn! Überall Wahn!: "Follia! Follia! Follia dappertutto!"). Il suo tentativo di impedire una fuga era sfociato in uno scoppio di violenza. Ciò nonostante, egli è deciso a far sì che quel giorno la follia lavori per i suoi scopi.

Walther, che ha passato la notte in casa di Sachs, entra nella stanza. Racconta a Sachs di aver fatto un sogno meraviglioso e, incoraggiato dal calzolaio, decide di metterlo in musica. Il ciabattino maestro cantore illustra al cavaliere il valore delle regole poetiche e lo esorta a dare forma e schema opportuni al contenuto del sogno: con l'aiuto di Sachs, che scrive il testo mentre il giovane lo canta, Walther riesce così a produrre alcune strofe di una "canzone da maestro". Manca ancora da comporre un'ultima strofa, ma Walther è stanco: i due uomini si allontanano per prepararsi per la festa.

Beckmesser, ancora pesto per la notte precedente, entra nella bottega. Vede il foglio con i versi della canzone, scritti nella calligrafia di Sachs, e conclude che anche il ciabattino aspiri alla mano di Eva e voglia partecipare alla gara. Sachs rientra nella stanza, e Beckmesser gli chiede dei versi. Ma Sachs dichiara di non essere interessato a gareggiare per Eva, anzi offre allo stupito Beckmesser di prendere i versi da lui scritti: addirittura, promette di non rivendicare mai la canzone come sua. Beckmesser si allontana in tutta fretta per prepararsi per la gara, entusiasta all'idea di poter usare versi scritti dal famoso Hans Sachs per la sua canzone.

Venuta con la scusa che le sue scarpe nuove hanno bisogno di un ritocco, Eva arriva alla bottega in cerca di Walther. Sachs capisce che le scarpe vanno benissimo, ma finge di mettersi al lavoro su di esse. Mentre lavora, racconta a Eva di aver sentito una bellissima canzone, cui mancava solamente la fine. In quel momento entra Walther, splendidamente vestito per la gara, e canta l'ultima strofa della sua canzone: Eva piange di gioia al vederlo, e la coppia è colma di gratitudine verso Sachs, che ha insegnato a Walther la sua arte per amore della giovane. Eva chiede a Sachs di perdonarla per aver giocato con i suoi sentimenti, ma il calzolaio si schermisce, lamentando la sua sorte di anziano artigiano, poeta e vedovo. Alla fine, tuttavia, ammette che, nonostante i suoi sentimenti per Eva, vuole evitare la sorte di Re Marke (autocitazione di Wagner di un'altra sua opera, Tristano e Isotta: Re Marke è il marito di Isotta, che lo tradisce con suo nipote Tristano), e perciò dà ai due innamorati la sua benedizione.

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Sopraggiungono David e Magdalena. Sachs comunica loro che è stata composta una nuova canzone da maestro, cui, secondo le regole dei Maestri cantori, deve essere dato un nome. Poiché un apprendista non può fare da testimone a un battesimo, Sachs promuove David al rango di "compagno", con il tradizionale schiaffo sulle orecchie. Battezza quindi la canzone l'"aria felice del sogno svelato del mattino" (Selige Morgentraumdeut-Weise). Dopo aver riflettuto sulla loro buona sorte, il quintetto parte per andare alla festa.

La festa di San Giovanni ha luogo nel prato vicino al fiume Pegnitz. Sfilano tutte le corporazioni cittadine, ciascuna con il proprio inno, e per ultimi i Maestri cantori. All'arrivo di Hans Sachs, il più amato fra questi, la folla intona il suo Lied più celebre, Wach' auf! ("Svegliati!"). La gara inizia. Il primo concorrente è Beckmesser, che tenta di usare i versi cedutigli da Sachs. Ma egli non è riuscito a imparare una canzone non sua e non è in grado di adattare le parole a una melodia appropriata, e finisce per cantare in modo così impacciato da suscitare l'ilarità del pubblico. Prima di andarsene via pieno di rabbia, Beckmesser afferma che l'autore della canzone è Hans Sachs, ma questi nega: per dimostrarlo, chiama Walther a esibirsi.

La canzone di Walther non rispetta le regole dei Maestri cantori, ma è così bella che tutti ne sono conquistati. Egli viene proclamato vincitore all'unanimità, e ottiene in premio la mano di Eva. I Maestri cantori vogliono nominarlo sul posto membro della corporazione, ma inizialmente egli rifiuta (Will ohne Meister selig sein!, "Voglio essere felice senza essere maestro!"); Sachs interviene, consigliandogli di non offendere i Maestri, che, nonostante i loro difetti, hanno avuto a cuore la sopravvivenza dell'eccelsa arte tedesca anche in quegli anni turbolenti. Walther alla fine accetta, e nell'apoteosi generale la folla canta ancora una volta le lodi di Hans Sachs, l'amato Maestro Cantore di Norimberga

Parsifal

Sulla cima di una montagna, dettaMonsalvato, il vecchio Titurel ha fondato un eremo inaccessibile di pace. I puri di cuore vi trascorrono una vita ritirata e casta, attingendo forza dalle sacre reliquie che Titurel custodisce nel monastero: il Graal - il calice con cui Cristo bevve nell'Ultima Cena - e la Lancia Sacra che ferì il Salvatore sulla Croce. Con questi tesori, i cavalieri difendono il bene nel mondo e accolgono coloro che si dimostrano capaci di comprendere la virtù. Anche Klingsor avrebbe voluto arruolarsi nella pia congregazione ma, non riuscendo a reprimere dentro di sé il richiamo del desiderio, ha conservata la castità mutilandosi con un gesto terribile. Ciò ha determinato la sua condanna. Trovandosi preclusa la strada della salvezza, Klingsor è stato sedotto dal lato oscuro della fede, convertendo in magia nera la virtù dello spirito cristiano. Egli ha quindi trasformato le pendici del monte in un giardino pieno di delizie, dove donne di grande bellezza attirano i cavalieri del Graal soggiogandoli al loro potere. Anche il figlio di Titurel, Amfortas, è caduto miseramente nella trappola, abbandonandosi tra le braccia della più insidiosa tra le

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donne del giardino, "Kundry", la cui doppia identità è misteriosamente sospesa tra il bene e il male. Klingsor ha ferito Amfortas con la Lancia Sacra, ripromettendosi di conquistare un giorno tutto il Graal. Tornato al monastero, Amfortas è torturato dalla piaga insanabile e i cavalieri sono condannati a languire con lui. Tutti attendono il redentore che dovrebbe arrivare per salvarli: il "puro folle", insapiente di Dio.

Atto IScena 1° L'introduzione sinfonica espone con straordinaria ampiezza il motivo dell'Ultima Cena, articolato col tema della Fede in un discorso interrotto da lunghi silenzi. L'atmosfera di altissima sacralità si rivela fin dalle prime battute del preludio, collegandosi direttamente alla scena del primo atto. In una radura boscosa nei pressi del monastero, i cavalieri si destano al sorgere del sole; tra di loro è l'anziano Gurnemanz, il più saggio custode della virtù e della storia del Santo Graal. Giunge al galoppo la selvaggia Kundry, che appare nelle sincere vesti di amica dei cavalieri. La donna ha con sé un'erba medicamentosa proveniente dall'Arabia, pensando che possa servire per lenire la piaga di Amfortas. Dopo un accenno alla profezia del Salvatore, Amfortas viene condotto sul lago per l'abluzione giornaliera, mentre la natura sorride al sole del mattino.

Scena 2° Il lungo monologo di Gurnemanz svela goccia a goccia tutto l'antefatto del dramma, raccontando a quattro giovani scudieri il mistero di Kundry, le sue improvvise assenze e le sciagure che si abbatterono sulla confraternita. Il racconto è dominato dai cromatismi dei temi di Klingsor e della Magia, intercalati da una suggestiva variazione del tema della Fede sulle parole "scesero a lui, in notte santa e solenne..." ("la notte di Natale", secondo la traduzione ritmica di Giovanni Pozza).

Scena 3° All'improvviso, un cigno cade ucciso da una freccia. Il cacciatore, Parsifal, viene catturato dai cavalieri e rimproverato severamente da Gurnemanz, che decanta la tenerezza degli animali in un commovente brano poetico. Quindi, interroga il ragazzo:

"Chi sei? Come ti chiami?"

Parsifal non risponde. Egli non conosce nulla del mondo e di se stesso, a parte il vago ricordo di sua madre Herzeleide. Colpito da tanta ingenuità, Gurnemanz pensa di metterlo alla prova: che sia lui il tanto atteso Salvatore?

Scena 4° L'ingresso alla sala del Graal è illustrato da una grande pagina sinfonica. Risuonano le campane mentre i cavalieri si dispongono lentamente intorno all'altare. Un coro di voci bianche scende dalla cupola:

"Vive la fede, si libra la colomba, nobile messaggera del Salvatore: gustate il vino che scorre per voi, prendete del pane della vita" (tema della Fede).

La voce di Titurel risuona dalla profondità di una cripta. Egli invoca la

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forza del Graal che lo tiene miracolosamente in vita e chiede a suo figlio di scoprire la coppa.

"No!" grida Amfortas sollevandosi contro i cavalieri,"non si scopra ancora!..."

Il suo terribile lamento sgorga dalla ferita sanguinante e contrasta vivamente con la mistica atmosfera della cerimona.

"Le onde del mio sangue peccatore, in una folla fuga, da me devono ancora fluire, per riversarsi nel mondo con torbido orrore..."

Nell'orchestra aleggia continuamente il tema della Cena, arcano monito che dalla ferita di Amfortas si propaga a tutta l'umanità. Ed è ancora la Cena che risuona come all'inizio del preludio, mentre il Graal - taciuto Amfortas - brilla di abbagliante luce rossastra. I cavalieri istituiscono l'Eucarestia e si stringono la mano. Intanto, defilato in un angolo, Parsifal resta immobile come un semplice spettatore; Gurnemanz gli chiede:

"Lo sai cos'hai visto?"

Il ragazzo allarga le braccia con espressione confusa.

"Non sei che uno sciocco!"

Seccato, il vecchio sacerdote lo allontana richiudendo la porta, mentre dalla cupola scende nuovamente la voce della Profezia:

"Sapiente per pietà, il puro folle."

Atto IIScena 1° I temi di Klingsor e della Magia commentano il breve preludio orchestrale, mentre la scena rivela l'interno di un favoloso palazzo arabo: Klingsor, guardando nel suo specchio magico, osserva Parsifal venire verso il castello. Solo il nemico del Graal riconosce il puro folle che potrebbe redimere i cavalieri, e lo attira dunque nell'abbraccio mortale di Kundry. L'evocazione della donna ne rivela il passato reincarnato: non fu già l'Erodiade che rise in faccia al Battista? Così Klingsor la chiama e la obbliga ad adempiere al proprio castigo. Ma pur preda di terribili sofferenze, Kundry ride in faccia anche a lui, beffeggiando la castità che lo accomuna ai cavalieri del Graal.

"Orribile angoscia!" grida Klingsor, "m'irride il demonio perché un giorno volli essere santo? Tormento di brama indomabile, impulso dei più terribili istinti, che in me costrinsi al silenzio mortale, ora si ride e si beffa di me!..."

Egli ricorda brevemente il passato, il mancato raggiungimento della virtù, l'umiliante esclusione che dovette subire da parte dei cavalieri.

"Già un altro espiò il suo disprezzo: il superbo, forte della sua santità, io colpii nel tronco!..."

Così apprendiamo la storia vista dall'altra parte, con gli occhi dell'antagonista, pure lui sofferente di una ferita provocata dall'incapacità di reprimere il desiderio. Ma Klingsor gioisce della sua

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vendetta, gioisce dei lamenti di Kundry e osserva l'arrivo di Parsifal affacciandosi alla soleggiata terrazza.

Scena 2° Il giardino magico prende il posto del palazzo. Tra fiori e colori d'oriente spuntano gruppi di belle fanciulle, che si rincorrono allegramente giocando con Parsifal.

"Che dolci profumi... Siete voi fiori?"

"Siam del giardino gli spiriti aulenti... Cresciamo nel sole d'estate... Sii il nostro tenero amico..."

La musica, nella scena più leggera del dramma, assume le cadenze di un valzer lento, tanto caro al critico Eduard Hanslick - antiwagneriano - che proprio qui credette di individuare il momento più bello di Wagner. Ma quando Parsifal cerca timidamente di fuggire, si leva sensuale la voce di Kundry:

"Parsifal!"

"Parsifal? Così in sogno mi chiamò mia madre."

Scena 3° La trappola che Kundry tende al ragazzo è chiara: privato dell'amore materno, egli ritroverà la gioia perduta nell'amore erotico: premonizione freudiana di straordinaria modernità. Sparite le fanciulle, la bellissima donna muove la seduzione su parole indugianti, quasi sussurrate, in una musica straordinariamente avvolgente. Gli parla della madre che lo accarezzava, gli parla della madre che lo cercava quando era lontano, che moriva nell'attesa del suo ritorno. Ascoltandola, Parsifal viene preso da un turbamento profondo, cedendo sempre più nello sconforto:

"La Madre, la madre potei scordare... Tuo figlio dunque t'uccise?... Che altro ancora scordai? Sol cupa follia resta in me."

"Ceda la follia all'amore, quale ultimo saluto di materna benedizione."

Kundry gli cinge la braccia al collo, mentre le sottili spire del tema della Magia si insinuano tra i corpi ora abbracciati. Un lungo bacio.

"Amfortas!!" grida Parsifal all'improvviso. "La piaga!!"

Tutto è compiuto. Un'ondata di "cosmica chiaroveggenza" inonda lo spirito di Parsifal, suprema rivelazione percepita al tocco del bacio di Kundry. Ora Parsifal sente di comprendere "l'inspiegabile", sulle note del tema della Cena e dell'Agonia di Cristo, come simboli di un misterioso ricordo. Kundry lo guarda con stupita ammirazione, presa dal sincero desiderio di essere redenta e cercando quindi di attirarlo a sé:

"Se nel cuore senti gli altrui dolori, senti ora anche i miei! Se sei il Redentore, cosa ti vieta di unirti a me per la mia salvezza?... Lo vidi, vidi Lui, Lui, e risi! Ora lo cerco di mondo in mondo, per incontrarlo ancora, e posso solo gridare, urlare, nell'ombra cieca della mia follia... Lasciami piangere sul tuo petto, lasciami unirmi a te affinché in te io sia purificata!... "

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Ma Parsifal la respinge con dolce violenza, ben sapendo che se acconsentisse il suo desiderio cederebbe sempre alla sua seduzione. La strada della Salvezza dev'essere compiuta in un altro modo. Kundry inveisce allora contro di lui, piena di violenta passione, chiamando aiuto affinché Parsifal non possa ritrovare la strada del suo Graal.

"Fermo!" grida Klingsor apparso improvvisamente, "t'inchiodo con la giusta arma! Arresti il folle la lancia del suo padrone!"

Il momento culminante del dramma è risolto con un'estrema riduzione di mezzi: un tremolio di archi, il tema del Graal, un glissando d'arpa. Klingsor scaglia contro Parsifal la Sacra Lancia, che resta miracolosamente sospesa sul capo di lui. Parsifal la afferra e traccia in aria il segno della croce. Subito il giardino si trasforma in deserto e il potere di Klingsor si dissolve nel nulla. Prima di allontanarsi, Parsifal si volge verso Kundry:

"Tu sai dove mi puoi trovare ancora!"

Atto IIIScena 1° L'apertura del terzo atto è simboleggiata dall'idea del deserto. Il deserto che ha preso posto del giardino magico, il deserto e la solitudine interiore dei cavalieri del Graal, il deserto in cui Parsifal si è perso nella via del ritorno. Quest'immagine è descritta in un lento preludio strumentale, che costituisce una della pagine più drammatiche conosciute (citazione da Manuale wagneriano, di Gualtiero Petrucci).

Aperta campagna nei pressi di Monsalvato, all'alba del Venerdì Santo. Gurnemanz si prende cura della povera Kundry, che giace intirizzita sotto un cespuglio di spine; umile penitente, le sue uniche parole sono"dienen, dienen" (servire), da qui fino alla fine. Ma è proprio lei, poco dopo, a notare un cavaliere misterioso profilarsi nel fondo.

"Lo riconosci?" sussurra Gurnemanz a Kundry. "È colui che un giorno uccise il cigno."

Il tema della Cena riappare presentando Parsifal, mentre la Fede inonda il cuore del vecchio sacerdote riconoscendo la Sacra Lancia perduta. Dopo un accenno al Deserto, ha luogo il lungo rituale evangelico: Gurnemanz asperge il capo di Parsifal versando il contenuto di una fiala, mentre Kundry gli lava i piedi asciugandoli coi suoi capelli.

"I fiori del prato l'uomo risparmia con lieve passo. Ciò che fiorisce e che muore, oggi conquista il suo giorno d'innocenza."

"Già vidi appassire coloro che mi sorrisero", dice Parsifal alludendo alle fanciulle-fiori. "Oggi anelano forse a redenzione? Anche la tua lacrima si fa rugiada di benedizione. Tu piangi... Vedi? Ride il prato!"

Parsifal si china su Kundry e la bacia sulla fronte. La natura brilla ai raggi del Sole. Risuona l'Incantesimo del Venerdì Santo.

Scena 2° È ora di raggiungere il monastero. Cambiamento di scena

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come nel primo atto: la musica si fa solenne e tragica, pesantissima al ritmo di un marcia funebre che contrasta con la dolcezza della scena precedente. Il corteo dei cavalieri procede con passo lento, tra le buie arcate della sala, portando nel feretro il cadavere di Titurel.

"Chi ha colpito colui che protesse lo stesso Dio?"

"Lo ha colpito il peso dell'età, che più non contemplava il Graal."

"Chi gli vietò di contemplare la grazia del Graal?"

"Lo vietò il colpevole custode..."

Il corteo si sdoppia tra coloro che recano Titurel e coloro che recano Amfortas, in un coro dall'empito spettrale e sempre più ossessivo. Alla fine, la bara di Titurel viene scoperchiata. Amfortas si solleva lentamente e fissa il cadavere del padre:

"Padre mio, tu che ora contempli il Salvatore, la tua benedizione riconforti i fratelli e a me conceda la morte. Morte, unica grazia..."

I violini ripropongono il tema della Fede mentre Amfortas si lascia cadere tra vuote pause di dolore. Ma i cavalieri si levano minacciosi:

"Scopri il Graal! Tuo padre lo impone! Lo devi! Lo devi!"

"No!" grida Amfortas scagliandosi contro di loro. "Ah! Sento la morte farsi tenebra e dovrei ancora tornare alla vita?! Pazzi!..."

Egli si strappa le vesti e indica la piaga che gli strazia le carni, mentre il tema di Klingsor turbina tra le sue frasi scomposte.

"Ecco la ferita, immergete le vostre armi e uccidete il peccatore!... Brillare da solo il Graal si vedrà!"

Allora Parsifal allunga la Sacra Lancia verso di lui e, non appena la punta tocca la ferita, il viso di Amfortas si inonda di luce.

"Sìì benedetta la tua sofferenza, che donò la forza della pietà e il potere della conoscenza..."

Questo canto supremo è accompagnato dal tema della Profezia, ora esaudita, che sembra avvolgere l'intero universo. Tutto il finale è impregnato di altissima sacralità, coi motivi le cui note sembrano fluire da una dimensione sovrumana. La melodia della Fede riappare più volte mentre Parsifal sale sull'altare quale nuovo Re del Graal. Kundry ritrova il Nirvana e cade trasfigurata ai piedi del Salvatore. Una bianca colomba scende dalla cupola.

"Redenzione al Redentore."