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Opera Prima - Michele Lamon

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Opera Prima - Michele Lamon

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Titolo: Con amoroso senso

Autore: Michele Lamon

Fonti: Collana “Opera Prima”, n. 23, Anterem 2010

A cura di: Luigi Bosco e Poesia2.0

In copertina: Particolare di un’opera di Tommaso Durante

Il presente documento è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro.

Tutti i diritti riservati all’autore.

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OPERA PRIMA

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MICHELE LAMON

CON AMOROSO SENSO

(Poesie Scelte)

Anterem, 2010

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La sai, una cosa.

C'è, c'è il desiderio di un passato in grado di risuonarmi a pelle il tuo

nome.

Poterti interrogare seguendo le curvature di cui sei esperta, avvertire

in risposta segnali continui, effrasuoni ad occhi chiusi, liberi dal diktat

dell'onoff, delle emanazioni sotto piena responsabilità.

Circonfondermi di molecole che ti appartengono, aromatiche

ratificazioni di distanze nulle, di pressioni sulle, di battiti a mille.

Abissi a livello di mare.

Scriversi, segnare per, sa di passato, di atto tardo, di pensieri dopo, di

ricor danze celebrative. Spirali ecoiche, autoalimentate; innocenti e

astemie: narcotizzabili a coppe di virtù. Ma mi piego ad esse perché

trasmissibili anche furfantescamente, come a fare la corte trattenendo

l'orlo della gonna, così che lei non fugga, a meno che disposta a

lasciar delizie in scia nel conquistar congedo.

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“È arabo per me”

La distanza

il velo di Dio

solo di parole mi fa grazia

che affidi a sconosciuti messi

Dimentico del tè

seguo i segni di penna

l'eco di mano

in racchiuso scorrere e rotare

minime bizze al giogo che ci osta

Il vento dei pensieri non dà posa ai fogli ornati,

incide il tuo nome nei grani di polvere

illacrimanti gli occhi del mercato grande

E la sera al quinto richiamo

gli animali sorridono

perché sbaglio ad inginocchiarmi.

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Amen parole

Con rotazione di sorrisi

ortogonare nasi

e metterci una croce sotto

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Nari pori bulini

indolenziti intontiti accaldati

sfuriando bruciando bagnando

i corpi si ricordano

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Tra un secondo la luna

e otto minuti il sole

tra quattr'anni stella

poco fa un passante

Ma io ricorrente fisso

filo zanzareo basta:

pontifica orziero.

Affiancati, eppure differenti le vedute dalla finestra: tu

sull'anta aperta, io sulla chiusa. Vedo un po' quel che

vedi, respiro meno ma ho noi riflessi.

Stanza perturbine hai colore fino ai fruscii e da ora

all'astro si chiederà della tua espressione sola.

Varo un gesto che mi avalli

accosti

spieghino pure i tendaggi

adesso.

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Compila liste in riduzione ad ogni a capo

oggi

intreccia nodi vecchi in teoria

non resiste leggera

e si prova accostando

curvature da cercare nel disteso

cerchiare distesi

soppese su passi a me alieni

terre natali nelle precipiti domeniche loro

Così radente ci scorre il sangue

febbrile quasi frammisto eppure parallelo

Mettiamo da parte le labbra

anche se tra i denti

le stagioni zampillano

sciolte negli eteri imprendibili

che ci fanno bracieri

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Le cure

a volte intingoli madreperlacei

a volte voglie.

Non è pericoloso spargersi

capitolare ripetutamente,

temperatura ne troviamo

all'umidità provvederemo.

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I pezzi che sbrano e rimugino

perché mondi di veleno siano

quando te li passo in bacio

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Starsi a pensare, arte dedicata (e delicata nel suo modo)

agli arabeschi del reciproco; nastri del riaversi, incisi

delle istruzioni per ridurre il tempo a francobolli da

incorniciare, o da leccare.

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si sta via tanto

il riso fa far falle

stupiti palpiti

e il contatore

è staccato

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haiku

chiusi gli occhi

tu non dormivi sola

fiore di riso

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Obbedisco.

Non siamo riusciti ad essere lievi, forse per forza di cose (e le “cose”

sono potenti, lo sappiamo entrambi). Col permesso di inferire oltre le

nostre ombre, cosa ci saremmo inferti?

Alle eccitazioni di queste domande ti sei resa liscia, riflettente. Non

posso accarezzarti senza cadere, mi confini maschio in codice,

inarrecante i danni, le dannazioni.

Nel tuo carnet di ballo il mio nome non ne precede mai alcuno, a

spallate scaricato nell'alba inadeguata e livida, sentina delle lavorate

libidini, faro sui gretti saccheggi.

Igiene e profilassi nei confronti di una sindrome del combacio, un

fascinoma che potrebbe crescere e sbilanciare i preziosi sudati stati di

quiete. Per quanto possano arrivare perfino a gravare e opprimere,

queste anomalie sono biodegradabili: la vita le distrugge, la vita le

consuma; benedetto oblio, salvifica stupefacente capacità di

adattamento. Da roulette russa a montagne russe a mite russare, mi

diceva un anziano vicino mentre adolescente bestemmiavo tra lacrime

e assoluti; tutto finisce, tutto.

E di ciò che intanto non è finito cosa fai, lo guardi, lo palleggi, lo

mungi, te lo spalmi addosso...?

Le tante possibilità moltiplicato altrettante e più volontà, un'infinità di

combinazioni; quasi totalmente perdenti. Poiché perdere è uno dei

verbi che ci connota: dimenticare, chiudere fuori, donare, darsi...

Siamo esseri esotermici, e la temperatura ha un limite minimo, uno

zero assoluto, non c'è un limite massimo...

Mi trattengo dall'imbrattare con sordidi imperativi le pareti cui così

bene ti uniformi. Il desiderio rende davvero insensata la distinzione tra

forza e debolezza, non si riesce a capire quale delle due spinga a fare

cosa. Mi dai ragione in questo?

Obbedisco quindi, e ti sfioro tendendo muscoli offensivi e scoprendo

denti, ma a una distanza tale da disincarnarmi nella più ridicola delle

antonomasie di delicatezza.

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