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1 OPPOSIZIONI ALLE CARTELLE DI PAGAMENTO E OPPOZISIONI ALL’ESECUZIONE ESATTORIALE

OPPOSIZIONI ALLE CARTELLE DI PAGAMENTO E … · 6 (per cui anche se in un'unica cartella vengano incorporate più pretese, ciascuna di esse conserva piena autonomia e il regime delle

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OPPOSIZIONI ALLE CARTELLE DI PAGAMENTO E

OPPOZISIONI ALL’ESECUZIONE ESATTORIALE

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INDICE

1. PREMESSA

2. LE OPPOSIZIONI ALLE CARTELLE DI PAGAMENTO ED

ALL’ESECUZIONE ESATTORIALE

3. CONCLUSIONI

PREMESSA

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E’ noto che, a far data dal 1 ottobre 2006, con lo scopo dichiarato di rendere

più efficace l’azione esattoriale e di ridurne i costi, è stato soppresso il

sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della

riscossione. Le relative funzioni sono state attribuite all’Agenzia delle

Entrate che le esercita mediante Equitalia SpA (già Riscossione SpA)1,

holding a totale capitale pubblico, appositamente costituita dall’Agenzia

delle Entrate (che detiene il 51% del capitale sociale) e dall’INPS (che

detiene il residuo 49%)2.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo potenziamento

dell’attività di riscossione (culminato, da ultimo, nel D.L. 31 maggio 2010

n.78 conv. in Legge 30 luglio 2010, n. 122)3, che ha suscitato un diffuso

malcontento del quale, con le presenti note, ci proponiamo di verificare, in

termini strettamente giuridici, la reale fondatezza.

L’esame della disciplina esecutiva esattoriale, pertanto, verrà condotto

senza nessuna pretesa di esaustività ma, essenzialmente, con l’intento di

verificare l’effettiva possibilità, per il debitore, di tutelare

giurisdizionalmente i suoi diritti.

1 In Sicilia le funzioni relative alla riscossione sono esercitate da Serit Sicilia SpA che è partecipata anche dalla Regione.

2 Cfr. Art.3, D.L. 30 settembre 2005 n.203, conv. In L. 2 dicembre 2005 n.246.

3 Cfr. artt.29 (Concentrazione della riscossione nell’accertamento) e 30 (Potenziamento dei processi di riscossione INPS) del D.L. 31 maggio 2010 n.78 conv. in Legge 30 luglio 2010, n. 122.

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LE OPPOSIZIONI ALLE CARTELLE DI PAGAMENTO ED

ALL’ESECUZIONE ESATTORIALE

Gli strumenti attuativi della riscossione coattiva sono:

1) l’ingiunzione fiscale, disciplinata dal R.D. 639/1910;

2) il ruolo, disciplinato nel D.p.r. 602/73;

3) l’avviso di addebito (a partire dall’1 gennaio 2011) disciplinato dal D.L.

78/2010 conv. in L.122/2010;

4) l’avviso di accertamento (a partire dall’1 luglio 2011) disciplinato dal

D.L. 78/2010 conv. in L.122/2010.

Pur senza voler affrontare l’ampia tematica dei titoli esecutivi esattoriali,

riteniamo necessario accennare, in questa sede, alle recentissime

disposizioni normative introdotte dal D.L.78/2010 funzionali all’argomento

in trattazione.

Con l’art. 29 del D.L. 78/10, conv. in L.122/2010, si è inteso concentrare la

riscossione conseguente ad accertamenti fiscali in un unico atto,

velocizzando i tempi della procedura coattiva e semplificando l’iter

amministrativo della stessa.

A partire dal 1° luglio 2011, infatti, l’avviso di accertamento emesso

dall’Agenzia delle Entrate, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva (per i

periodi d’imposta in corso alla data del 31/12/2007), sarà titolo esecutivo

per la riscossione. Decorsi sessanta giorni dalla notifica dell’avviso, nel

caso di mancato pagamento dei tributi accertati e delle relative sanzioni,

l’agente della riscossione potrà quindi direttamente procedere, senza la

preventiva notifica della cartella di pagamento, ad esecuzione forzata4.

4 La riscossione delle somme richieste con l’avviso di accertamento divenuto esecutivo è affidata, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento.

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Parimenti, per effetto dell’art. 30 del medesimo decreto, a decorrere dal 1°

gennaio 2011, l'attività di riscossione relativa al recupero delle somme a

qualunque titolo dovute all'Inps, anche a seguito di accertamenti degli uffici,

é effettuata mediante la notifica di un avviso di addebito con valore di titolo

esecutivo. Decorsi sessanta giorni dalla notifica dell’avviso, nel caso di

mancato pagamento delle somme intimate, l’agente della riscossione potrà

procedere, senza la preventiva notifica della cartella di pagamento, ad

esecuzione forzata.

Chiarito dunque che nel prossimo futuro il ruolo non sarà più utilizzato per

la riscossione dei crediti sopra riferiti, possiamo passare ad esaminare,

brevemente, i più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di

opposizione a cartella esattoriale.

A tal fine è necessario premettere che a norma dell’art.10 del D.p.r.602/73

per “ruolo” deve intendersi “l’elenco dei debitori e delle somme da essi

dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del

concessionario”. Il ruolo viene consegnato dall’ufficio al concessionario

(art.24 del medesimo decreto), il quale, a norma del successivo art.25,

“notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo”.

Poiché gli enti creditori abilitati alla formazione dei ruoli sono vari e,

conseguentemente, molteplici sono le tipologie dei crediti ivi indicati, non

esiste un’unica giurisdizione per le opposizioni alla cartella esattoriale né

una sola procedura di opposizione.

Ed infatti Cass. civ. Sez. Unite Sent., 08-02-2008, n. 3001, ha

puntualmente rilevato che: “La cartella di pagamento impugnata costituisce

solo uno strumento in cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura

sostanziale, cioè non possiede (a differenza del fermo di beni mobili

registrati e della iscrizione di ipoteca) alcuna autonomia che consenta di

impugnarla prescindendo dagli atti in cui l'obbligazione è stata enunciata

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(per cui anche se in un'unica cartella vengano incorporate più pretese,

ciascuna di esse conserva piena autonomia e il regime delle impugnazioni è

identico a quello che troverebbe applicazione ove fossero notificate più

cartelle). Di conseguenza la cartella di pagamento deve essere impugnata

davanti al giudice competente a decidere in ordine al rapporto cui la

cartella stessa è funzionale.

La circostanza che la cartella di pagamento non contenga una puntuale

indicazione della fonte del credito fatto valere con la cartella stessa può

indurre il destinatario in errore scusabile (rendere inidoneo l'atto a

determinare il decorso dei termini di impugnazione o costituire fonte di

responsabilità civile per il concessionario), ma non può determinare una

deroga alle norme di ordine pubblico che individuano la giurisdizione

competente in relazione alle diverse controversie”.

In terminis, la recentissima sentenza della Cassazione Civile - Sez. Unite,

n. 11720 del 14.05.210, per la quale: “non è il mezzo di esazione - cartella

esattoriale -, astrattamente considerato, a poter determinare a quale

giudice spetti la giurisdizione in ordine ad una controversia relativa

all'opposizione alla cartella, bensì la natura della pretesa che, mediante

quello specifico strumento, l'ente creditore vanta nei confronti del soggetto

destinatario della cartella medesima. Queste Sezioni Unite hanno già avuto

modo di evidenziare con riferimento a fattispecie che ponevano analoga

problematica, come ad es. una controversia avente ad oggetto l'opposizione

avverso la cartella esattoriale emessa da una provincia per il recupero di

somme erogate a titolo di contributo industriale: in tal caso, è stato

affermato che "spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine

all'opposizione avverso la cartella esattoriale emessa da una provincia per

il recupero di somme erogate a titolo di contributo industriale, di cui sia

stata disposta la revoca a seguito dell'inadempimento da parte del

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beneficiario dell'obbligo di occupare la forza lavoro minima concordata:

pur avendo ad oggetto una pretesa patrimoniale avanzata da un ente dotato

di poteri tributari, la controversia non è infatti riconducibile alla

giurisdizione tributaria, prevista dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art.

2, come modificato dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12, in quanto la

provincia non agisce in qualità di ente impositore, ma fa valere

un'obbligazione che trae origine da un inadempimento contrattuale; né la

devoluzione alla giurisdizione tributaria può essere desunta dalla seconda

parte del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, il quale non riconosce la

giurisdizione del giudice tributario per tutte le controversie riguardanti gli

atti anteriori alla notifica della cartella di pagamento, limitandosi ad

escluderla per quelle aventi ad oggetto gli atti successivi, anche nel caso in

cui il giudizio di cognizione si sia svolto dinanzi alle commissioni

tributarie".

Dunque, per opporsi ad una cartella esattoriale è preliminarmente necessario

identificare l’ente impositore e la natura del credito azionato.

In realtà, però, pur se le regole del gioco risultano semplici da un punto di

vista teorico, non è altrettanto facile individuare in concreto la giurisdizione

esatta, perché non è sempre agevole reperire la fonte normativa di

attribuzione della stessa.

Così, ad esempio, se la cartella si riferisce ai tributi di cui all’art. 2 del

D.Lgs.546/1992 ed accessori (aggi esattoriali, interessi e rivalutazione), la

giurisdizione sarà del giudice tributario. In questo ambito, pertanto,

rientreranno le controversie relative alla TOSAP (tassa per l’occupazione di

aree pubbliche), contemplata dalla lett. h) dell’art.2 del D.Lgs.546, ma non

anche quelle relative alla COSAP (canone di concessione), le quali a mente

dell’art. 5 della L.1043/1971, saranno devolute alla giurisdizione del giudice

ordinario (Cass. SS.UU.1239/2005). Le controversie relative ai contributi al

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SSN, a seguito della modifica apportata all’art. 2 D.Lgs.546/92 dall’art. 12,

comma 2 della L. 448/2001, sono state assorbite dalla giurisdizione del

giudice tributario (Cass.SS.UU.5908/2008).

Sono invece devolute alla cognizione del giudice ordinario i giudizi di

opposizione a cartella esattoriale per la riscossione di sanzioni

amministrative conseguenti ad indebite percezioni di aiuti comunitari nel

settore agricolo. Infatti l’art. 4 della L.898/1986 stabilisce espressamente

che a dette violazioni si applica il Capo I della legge 689/1981, così

ribadendo l’attribuzione, in materia, della competenza giurisdizionale al

giudice ordinario ex artt. 22 e ss di questa legge (Cass.SS.UU. 4804/2005).

Appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario anche le sanzioni

irrogate per la violazione di norme valutarie, quali quelle dettate dal

D.L.167/1990 (conv. in L.227/90), concernente il trasferimento da e per

l’estero di danaro, titoli e valori, poiché non è stata riconosciuta loro natura

fiscale (Cass.SS.UU.3001/2008).

Quanto alla specifica situazione dei crediti conseguenti dell'erogazione

dell'acqua potabile la Corte di Cassazione ha stabilito il seguente principio

di diritto: "spetta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia che

abbia ad oggetto l'impugnazione di una cartella esattoriale con la quale il

Consorzio di bonifica che sia ente erogatore del servizio di

somministrazione di acqua potabile abbia agito nei confronti dell'utente per

il recupero delle somme da quest'ultimo dovute per l'utilizzazione del

servizio medesimo. Infatti, in tal caso l'ente non agisce nell'esercizio del

potere impositivo che ad esso è riconosciuto in materia di contributi

consortili, ma in forza di un rapporto contrattuale di erogazione di acqua

potabile, che nemmeno comporta l'iscrizione dell'utente al Consorzio"

(Cass.SS.UU. n. 11720 del 14.05.210).

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Con l’ordinanza 18.3.2010, n. 6539, invece, le SS.UU. della Cassazione

hanno confermato che "rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e

non di quello tributario la controversia avente ad oggetto diritti ed obblighi

attinenti ad un rapporto previdenziale obbligatorio anche se originata da

pretesa azionata dall'ente previdenziale a mezzo di cartella esattoriale, non

solo per l'intrinseca natura del rapporto, ma anche perché il D.Lgs. 26

febbraio 1999, n. 46, art. 24, sul riordino della disciplina mediante ruolo,

nell'estendere tale procedura anche ai contributi o premi dovuti agli enti

pubblici previdenziali, espressamente prevede che il contribuente in

presenza di richiesta di contributi previdenziali può proporre opposizione

contro l'iscrizione a ruolo avanti al giudice del lavoro".

Sgombrato il campo dai problemi di giurisdizione, resta da verificare quale

azioni sono esperibili contro la cartella esattoriale.

In termini generali, e fatte salve le specificità di cui diremo, si possono

ipotizzare tre tipi di opposizioni avverso la cartella di pagamento:

A) l’opposizione propria del rapporto giuridico che ha dato origine al

credito riscosso. Questa opposizione, che segue le modalità, le forme ed i

tempi stabiliti dalla legge che disciplina la contestazione del rapporto

controverso, è ammissibile quando la cartella non deve essere o non è stata

preceduta dalla notifica di altro atto autonomamente impugnabile e risponde

alla necessità di consentire all’interessato di recuperare l’esercizio del

mezzo di tutela previsto da detta legge per l’opposizione all’atto prodromico

non notificato;

B) l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., allorquando si

contesti la legittimità della iscrizione al ruolo per la mancanza di un titolo

legittimante l'iscrizione stessa, o si adducano fatti estintivi sopravvenuti alla

formazione del titolo esecutivo;

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C) l'opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 617 cod. proc. civ. nel

caso in cui si contesti la ritualità formale della cartella esattoriale o si

adducano vizi di forma del procedimento di esecuzione esattoriale,

compresi i vizi strettamente attinenti la notifica della cartella o quelli

riguardanti i successivi avvisi di mora.

Questi principi di carattere generale possono essere chiaramente desunti da

Cass., Sez. II, 22 febbraio 2010, n. 4139, che, con specifico riferimento

alle sanzioni amministrative, ha precisato:” Avverso la cartella esattoriale o

all'avviso di mora emessi per riscuotere sanzioni amministrative pecuniarie

sono possibili le seguenti azioni:

1) l'opposizione a sanzioni amministrative ex art. 23 legge n. 689 del 1981,

esperibile nei casi in cui la cartella esattoriale, mediante preventiva

iscrizione al ruolo, è emessa senza essere preceduta dalla notifica

dell'ordinanza-ingiunzione o del verbale di accertamento, onde consentire

all'interessato di recuperare l'esercizio del mezzo di tutela previsto da detta

legge riguardo agli atti sanzionatori; ciò avviene, in particolare, allorché

l'opponente contesti il contenuto del verbale che è da lui conosciuto per la

prima volta al momento della notifica della cartella;

2) l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., allorquando si

contesti la legittimità della iscrizione al ruolo per la mancanza di un titolo

legittimante l'iscrizione stessa, o si adducano fatti estintivi sopravvenuti

alla formazione del titolo esecutivo; con la conseguenza che se il rimedio è

esperito prima dell'inizio dell'esecuzione, giudice competente deve ritenersi,

in applicazione del criterio dettato dall'art. 615, primo comma, cod. proc.

civ., quello ritenuto idoneo dal legislatore a conoscere della sanzione, cioè

quello stesso indicato dalla legge come competente per l'opposizione al

provvedimento sanzionatorio;

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3) l'opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 617 cod. proc. civ., che

deve essere attivata (nel termine di cinque giorni [oggi 20 gg., n.d.r.] dalla

notifica della cartella) nel caso in cui si contesti la ritualità formale della

cartella esattoriale o si adducano vizi di forma del procedimento di

esecuzione esattoriale, compresi i vizi strettamente attinenti la notifica della

cartella o quelli riguardanti i successivi avvisi di mora.

A tali diverse forme di tutela corrispondono distinti mezzi di impugnazione:

il ricorso per Cassazione è esperibile nella prima e nella terza ipotesi -

rispettivamente, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 689 del 1981 e del

combinato disposto degli artt. 11 Cost. e 618, ultimo comma, cod. proc. civ.

- mentre nella ipotesi di opposizione all'esecuzione, la sentenza di primo

grado è impugnabile mediante il rimedio processuale dell'appello”.

Resta inteso, quindi, che le opposizioni di cui al punto n.1) devono essere

necessariamente coordinate con le specificità normative disciplinanti i

singoli rapporti giuridici dedotti in giudizio5.

5 Segnaliamo, perché d’interesse per la classe forense, che la Suprema Corte di Cassazione Sezione

Lavoro, con la n. 9725/2000 ha affrontato complessivamente il procedimento della riscossione a mezzo

ruolo dei contributi e delle sanzioni ed accessori dovuti agli enti previdenziali privatizzati giungendo ad

una ricostruzione del sistema contrastante con il modus operandi degli enti previdenziali privatizzati. La

Suprema Corte, infatti, in tale occasione, ha sottolineato come le normative specifiche che, nei diversi

ordinamenti degli enti previdenziali privatizzati, rinviano alla disciplina della riscossione a mezzo ruolo

prevista per le imposte dirette per la riscossione di contributi e sanzioni, non implicano che detto

procedimento particolare della riscossione possa essere attivato prima ed a prescindere dal possesso di un

titolo esecutivo ed al fine di precostituire il medesimo. In altre parole la Suprema Corte ha ritenuto che gli

enti previdenziali privatizzati possano esclusivamente avvalersi di un diverso (più economico e, nelle

intenzioni del legislatore più spedito) sistema per intraprendere l’esecuzione forzata ma non possano

prescindere dal possesso di un titolo esecutivo.

In tale prospettiva la Suprema Corte ha ritenuto che, per il conseguimento di un titolo esecutivo, gli enti

previdenziali privatizzati siano tenuti a rispettare tutta la normativa di cui alla L. n. 689/81 che prevede la

preventiva contestazione dell’addebito (cfr. art. 14 della L. n. 689/81), l’emissione e la notificazione di

un’eventuale ordinanza ingiunzione in caso di contestazione dell’addebito (cfr. art. 18 della L. n. 689/81,

giusta il rimando di cui all’art. 35 della L. n. 689/81). Il Giudizio d’opposizione avverso l’ordinanza

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Così, ad esempio, nel caso di riscossione di crediti aventi natura

contributiva, l’opposizione di cui al punto 1) dovrà essere proposta dinanzi

al giudice del lavoro entro il termine di 40 giorni dalla notifica della cartella

di pagamento (art. 24, c.5, D.Lgs. 46/1999) ed il giudizio sarà regolato dagli

artt. 442 e ss cpc.

Nel caso di riscossione dei tributi devoluti alla giurisdizione del giudice

tributario, l’opposizione dovrà essere proposta dinanzi alla Commissione

Tributaria nel termine di 60 giorni dalla notifica della cartella (artt.19 e 21

D.Lgs.546/92) ed il giudizio sarà regolato dal D.Lgs.546/92.

Nel caso di riscossione di sanzioni amministrative, l’opposizione dovrà

essere proposta dinanzi al giudice competente nel termine di 30 giorni dalla

notifica della cartella (artt.22, 22 bis e 23 L.689/1981).

Quando la cartella di pagamento è stata preceduta dalla rituale notifica di un

atto autonomamente impugnabile, invece, non è più ammessa la

contestazione del credito nel merito (l’opposizione eventualmente spiegata

per tali motivi dovrebbe essere dichiarata inammissibile) ma possono essere

dedotte unicamente questioni relative a vizi propri dell’atto (nullità della

notifica, errori di calcolo, mancanza di requisiti formali, decadenza dal

diritto di riscossione) o a fatti sopravvenuti (prescrizione, pagamento,

morte).

Per far valere giudizialmente queste eccezioni si devono seguire, a seconda

del motivo di opposizione, le forme e i termini degli artt. 615 e 617 cpc

(Cass. SS.UU. 13.7.2000 n.491; in terminis C.15419/2007).

ingiunzione è, poi, regolato dagli artt. 22 e 23 della L. n. 689/81. La Suprema Corte di Cassazione ha

concluso che l’iscrizione a ruolo di una somma non già consacrata in un titolo esecutivo e per la quale

l’ente previdenziale privatizzato non abbia preventivamente seguito il procedimento di cui alla L. n.

689/81 è nulla.

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Ed è proprio con riferimento a queste fattispecie che emergono le

problematiche di maggiore criticità per la riscossione dei crediti tributari,

viepiù acuite dalle novità introdotte dal surriferito D.L.78/2010.

Non di rado, infatti, l’avviso di accertamento erariale non viene notificato

correttamente; fino ad oggi è stato possibile segnalare la nullità della

notifica in sede di opposizione alla successiva cartella di pagamento.

Con l’entrata a regime della novità della manovra d’estate, però, poiché

l’avviso di accertamento diviene strumento immediato di riscossione (non

essendo più necessaria la formazione del ruolo e la notifica della cartella), il

contribuente rischierà (quantomeno con maggior frequenza di oggi) di

venire a conoscenza della pretesa tributaria a seguito dell’adozione di atti

cautelari (fermo o ipoteca) o, addirittura, direttamente ad esecuzione già

avvenuta (pignoramento), e correrà seri rischi di non poter tutelare

giudizialmente le sue ragioni.

A norma dell’art. 2 del D.Lgs.546/1992, infatti: “Restano escluse dalla

giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della

esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di

pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art. 50 del DPR 602/73, per

le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del

Presidente della Repubblica”.

Mentre poi, a norma dell’art.57 del D.Lgs.602/1973 (rubricato

“Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi”), nella procedura

esattoriale: “non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’art. 615 cpc,

fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le

opposizioni regolate dall’art. 617 cpc relative alla regolarità formale ed alla

notificazione del titolo esecutivo”6.

6 Questa disposizione non si applica alle entrate tributarie diverse da quelle elencate dall’art.2 del D.L.gs. 546/92 ed a quelle non tributarie (cfr. art. 29 D.L.gs. 46/99).

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Pertanto, tutte le contestazioni relative al diritto a procedere alla esecuzione

forzata (salvo che si eccepisca la pignorabilità dei beni) e le opposizioni

relative alla regolarità formale del titolo esecutivo, non appartengono alla

fase della esecuzione, in una scelta legislativa ancor oggi ritenuta coerente

con il sistema nel quale il giudizio di cognizione assorbe tutta la materia

relativa alla legittimità formale e sostanziale degli atti di imposizione,

“arrestandosi unicamente di fronte agli atti dell’esecuzione”

(Cass.23832/2007).

Varie sono state le ragioni addotte a giustificazione della scelta del

legislatore: per un verso si è invocato (da pare della Corte Costituzionale,

con la sentenza 138 del 1968) il principio per il quale al debitore è concessa

la possibilità di ottenere il risarcimento del danno una volta chiusa

l’esecuzione; per altro verso, si è sottolineata (nella relazione di

accompagnamento al D.Lgs. n.46/1999) l’inutilità di una tale forma di

opposizione per i crediti tributari, stante la possibilità riconosciuta al

contribuente di impugnare l’avviso di accertamento o la cartella esattoriale

davanti alle commissioni tributarie, senza dimenticare la convinzione, che

spesso costituisce un presupposto di tutte le ricostruzioni del fenomeno

tributario, per la quale la particolare relazione che si instaura tra lo Stato ed

il contribuente e la connessa esigenza di garantire, attraverso la riscossione,

il funzionamento delle attività essenziali dello Stato, non consente di

assimilare la posizione del debitore esecutato, soggetto passivo di una

esecuzione forzata iniziata da un creditore comune a quella del debitore

nell’ambito dell’attività di riscossione.

Nessuno di questi argomenti, però, risulta convincente: non il primo, stante

la non permeabilità delle forme di tutela risarcitoria ed oppositoria, essendo

solo quest’ultima diretta ad impedire che l’esecuzione si realizzi con la

ingiustificata perdita del diritto di proprietà sul bene pignorato. Del resto

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questa giustificazione difficilmente potrebbe reggere la censura di

violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (si veda, tra le

altre, Corte Europea dei diritti dell’Uomo 12 giugno 2007, ricorso

n.10756/2002, che sottolinea che il processo di esecuzione forzata deve

garantire il giusto equilibrio “tra l’interesse generale al pagamento dei

creditori e l’interesse del ricorrente al rispetto dei beni”).

Non il secondo, che pare frutto di una non piena conoscenza delle regole

che disciplinano i rapporti tra deducibilità dei motivi di merito in sede di

opposizione all’esecuzione e giudizio nel quale il titolo esecutivo si è

formato, nel senso che non si tratta di rimedi tra di loro sovrapponibili.

Infatti, il rimedio ex art. 615 cpc non è previsto per contestare la

validità/legittimità dell’avviso di accertamento non impugnato, bensì per far

valere eventi dai quali deriva l’inesistenza del diritto di procedere ad

esecuzione forzata diversi e sopravvenuti da quelli deducibili in sede

ordinaria (per esempio il pagamento, ovvero la decadenza o la prescrizione,

o ancora l’annullamento dell’avviso di accertamento o la sua sospensione).

Anche l’ultima giustificazione, che per la verità costituisce più una

premessa che una argomentazione, non appare condivisibile. La particolare

qualifica soggettiva del creditore non può essere ex se in grado di

determinare una alterazione dei principi che regolano i rapporti tra pretesa

esecutiva e garanzie del debitore, tant’è che esistono numerose fattispecie

normative che dimostrano il contrario.

Da un punto di vista pratico, dunque, l’interpretazione letterale dell’art. 2

del D.Lgs.546/92 e dell’art.57 Dpr 602/73, rischia di impedire al

contribuente di far valere dinanzi al giudice tributario ovvero a quello

ordinario gran parte delle irregolarità della procedura accertativa ed esattiva

e dei fatti sopravvenuti (finanche l’eventuale pagamento del credito

tributario o l’annullamento del medesimo).

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Giova al riguardo ricordare che il processo dinanzi alle Commissioni ha

oggi, ed ha sempre avuto, carattere impugnatorio. L’atto introduttivo del

processo è un atto di impugnazione di un provvedimento amministrativo e

non sono ammesse azioni di mero accertamento (fatta eccezione per le

azioni di nullità degli atti impugnabili)7: l’art. 19 del D.lgs. 546/92,

nell’elencare gli atti autonomamente impugnabili, fornisce una

enumerazione tassativa che ammette letture estensive ma esclude

integrazioni analogiche8. Ne consegue che contro gli atti della esecuzione

forzata successivi alla cartella o all’avviso di cui all’art. 50 del

D.Lgs.602/73 non è consentita l’impugnazione dinanzi al Giudice tributario.

Cosa succede, allora, se gli atti cautelari (fermo o ipoteca) o esecutivi non

sono stati preceduti dalla notifica del titolo (cartella di pagamento) e/o di

atti prodromici? E come opporre al concessionario le irregolarità formali del

titolo (tra cui il difetto di notifica) ed i fatti estintivi successivi a detta

notifica ?

Il problema può ritenersi solo parzialmente risolto.

L’art.35 del D.L.4 luglio 2006 n.223, conv. in L.248/2006, ha

espressamente introdotto, tra gli atti impugnabili dinanzi alla Commissione

Tributaria di cui all’art. 19 del D.Lgs.546/92, anche l’iscrizione di ipoteca

sugli immobili (lett. e-bis) ed il fermo di beni mobili registrati (lett. e-ter).

Sicché, a far data dal 12 agosto 2006, è pacifico che detti atti, adottati per la

tutela di crediti tributari, vanno opposti dinanzi alle commissioni.

Tuttavia, l’attuale formulazione dell’art. 57 Dpr 602/73, seppur innovata

con il D.L. n. 46 del 26/02/1999 (che ha modificato il precedente sistema

contenuto negli artt. 53 e 54 del D.P.R. 602/73), presenta ancora profili

problematici di non facile soluzione. 7 Cfr. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, vol. I, 9a ed., Torino, 2006, 369.

8 Tesauro, Lineamenti del processo tributario, Rimini, 1991, 89.

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Nella vigenza del vecchio disposto normativo, le opposizioni di cui agli artt.

615 e 617 erano pressochè escluse (l’art. 54, c.2 del D.P.R.602/73 stabiliva

espressamente:”Le opposizioni regolate dagli artt. da 615 a 618 del cpc non

sono ammesse”).

Ed infatti Cass.565/2005 ribadiva che: “Secondo la consolidata

giurisprudenza di questa Corte, i soggetti passivi dell’esecuzione possono

esperire soltanto il rimedio amministrativo del ricorso all’intendente di

finanza (primo comma dell’art. 53 del citato decreto 602 del 1973) ed è loro

precluso l’esperimento delle opposizioni regolate dagli artt. 615 e 618 del

cpc (secondo comma dell’art.54). A questi stessi soggetti è, invece,

consentito di proporre gli strumenti giudiziali di controllo solo dopo il

“compimento della esecuzione”, a norma del terzo comma del medesimo

art. 54, che consente la proposizione della sola azione di danno contro

l’esattore (C.S.U.2090/2002; 2755/93; 8686/92; 12032/1990). Più

precisamente, le disposizioni su richiamate, nell’escludere la ammissibilità

delle opposizioni esecutive, configurano una ipotesi di improponibilità

assoluta della domanda, per carenza nell’ordinamento di una norma che

riconosca e tuteli la posizione giuridica dedotta in giudizio, che attiene al

fondamento della domanda stessa, e non, come si riteneva nella

giurisprudenza meno recente, alla giurisdizione”.

Le modifiche apportate con il D.L.46/99, pur consentendo le opposizioni

concernenti la pignorabilità dei beni e le opposizioni agli atti esecutivi

diverse da quelle concernenti le regolarità formale e la notificazione del

titolo esecutivo, e pur limitando l’operatività della disposizione alle sole

entrate tributarie di cui all’art. 2 del D.Lgs.546/92, mantengono però

invariato l’impianto previgente. Infatti a norma dell’art. 59 D.P.R. 602/73,

infatti, “chiunque si ritenga leso dall’esecuzione può proporre azione contro

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il concessionario dopo il compimento dell’esecuzione stessa ai fini del

risarcimento del danno”.

La novella, a ben guardare, ha lasciato insolute un gran numero di

problematiche, come si evince dalla copiosissima giurisprudenza, spesso

contrastante, che si è occupata di queste questioni, e dalla ripetuta richiesta

di intervento della Corte Costituzionale (che peraltro da ultimo, con ord.

n.93 del 27 marzo 2009, ha dichiarato manifestamente inammissibile la

questione di legittimità costituzionale dell’art. 57 Dpr 602/73, sollevata dal

G.d.P. di Marcianise in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione

perché l’ordinanza di rimessione non era stata ritualmente motivata; analoga

pronuncia aveva adottato in passato a seguito del giudizio promosso dal

Tribunale di Torre Annunziata, cfr. ord. 242/2001).

Allo stato, il debitore che non ha ricevuto nessuna notifica di atti

impugnabili dinanzi alla Commissione tributaria, come pure quello che

intende dedurre fatti estintivi sopravvenuti, sembrerebbe non avere alcuna

tutela giuridica certa. Di fronte a fattispecie di questo genere la mancata

possibilità di esperire l’opposizione di merito all’esecuzione si traduce in

una amputazione delle forme di tutela riconosciute al debitore del tutto

ingiustificata.

Non resta quindi altra strada che quella di ritenere incostituzionale l’art.57

del Dpr 602/73 in tutti i casi in cui non consente l’opposizione

all’esecuzione per contrastare il diritto di procedere ad esecuzione forzata

sulla base di motivi non deducibili in nessun altra sede e non consente di

dedurre con lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi l’irregolarità

formale o il difetto di notifica del titolo esecutivo.

Ed invero, da ultimo, il Tribunale di Venezia con l’ordinanza del 30

settembre 2009 ha sollevato ulteriori dubbi di legittimità costituzionale con

riferimento all’art. 57 del Dpr 602/73. A parere dei giudici veneziani,

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l’art.57 violerebbe i principi costituzionali di uguaglianza, parità di

trattamento, non discriminazione e del diritto di difesa, nella parte in cui

esclude la possibilità di proporre opposizione all’esecuzione in materia di

riscossione esattoriale nel caso in cui sia contestato il diritto a procedere ad

esecuzione forzata (ad esempio sollevando l’eccezione di prescrizione del

credito azionato).

Peraltro l’incostituzionalità potrebbe essere esclusa ove si ritenesse di

garantire il diritto del debitore valorizzando l’opposizione agli atti esecutivi

come strumento diretto non soltanto a far valere vizi delle modalità del

processo esecutivo, ma anche, eventualmente, la mancanza di condizioni

dell’azione esecutiva.

Trib. Napoli n.5276 del 12.5.2006, ha qualificato come opposizione agli atti

esecutivi l’opposizione volta a far valere la mancata notifica di alcuno degli

atti previsti dalla legge come indispensabili ai fini della vendita forzata.

Trib. Bari n.24 del 7.1.2010, invece, ha accolto l’opposizione rilevando che

l’azione esecutiva esattoriale era stata avviata sia per crediti tributari che per

sanzioni amministrative, per le quali non si applica l’art. 57.

Alcuni giudici tributari, peraltro, hanno ritenuto di poter affermare la

giurisdizione della commissione nel caso di impugnazione dell’atto di

pignoramento presso terzi notificato dal concessionario ex art. 72 bis dpr

602/73, valorizzando l’omessa notifica di atti prodromici, la natura

amministrativa del pignoramento esattoriale e la facoltà, espressamente

concessa dall’art. 19, c.3 D.Lgs.546/92, di impugnare l’atto notificato

unitamente ai precedenti non notificati (cfr. CTP Treviso 4 marzo 2009 n.23

e CTP Piacenza 29 giugno 2009 n.71; contra CTP Novara 2 luglio 2010

n.89).

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CONCLUSIONI

In conclusione cerchiamo di trarre alcuni spunti finali e alcune

considerazioni di carattere generale dall’esposizione sin qui condotta.

Il principio che possiamo senz’altro ritenere acquisito è quello della

persistenza di evidenti lacune legislative in tema di opposizioni agli atti

esecutivi del concessionario, e di un’obbiettiva situazione di debolezza del

contribuente.

La circostanza che parte di queste lacune (in particolare quelle in tema di

pignorabilità dei beni esecutati o di opposizione ad atti esecutivi diversi dal

titolo esecutivo, ovvero l’inapplicabilità dell’art. 57 Dpr 602/73 alle entrate

tributarie diverse da quelle elencate dall’art.2 del D.L.gs. 546/92 ed a quelle

non tributarie), siano state colmate di recente con il D.Lgs.46/99 non risulta

allo stato ancora sufficiente, perché permango dei vuoti normativi di tutela

in danno del soggetto esecutato che ben difficilmente potranno essere

ricomposti in sede giurisprudenziale. Tale situazione ci pare, dunque,

meritevole di un tempestivo e diretto intervento da parte della Corte

Costituzionale o dello stesso legislatore che serva non solo a fare chiarezza,

ma che, in un ottica di parificazione tra i soggetti interessati, prevenga e

ponga rimedio alle sperequazioni ancor oggi esistenti.

Allo stato, dunque, potrà capitare, e non di rado, di doversi rimettere alla

sensibilità dei singoli giudici per tutelare giurisdizionalmente quei diritti che

l’esattore abbia (anche gravemente) leso nell’esercizio della funzione di

riscossione dei tributi.

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