Ordinanza Su Richiesta Di Applicazione Di Misure Cautelari

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proc. n. 9762\11 RGNR DDA proc. n. 1037\12 RG GIP n. ___\12 OCC DDA

TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIASezione dei Giudici per le indagini preliminari

-------- oo000oo -------ORDINANZA SU RICHIESTA DI APPLICAZIONE DI MISURE CAUTELARI - artt. 273 e ss. c.p.p. -

Il giudice dott. Francesco Petrone, letta la richiesta depositata in data 23.3.2012 dal P.M. distrettuale in sede per l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. PESCE Giuseppe, inteso testuni, nato a Cinquefrondi il 07.12.1980, gi latitante per altra causa; BERRICA Giovanni Luca, nato a Taurianova, il 10.04.1978 e residente a ROSARNO, Via Eschilo 2, difeso di fiducia dallAvv. Marina Mandaglio del foro di Palmi; FORTUGNO Domenico, nato a Cinquefrondi il 20.07.1981, e residente a ROSARNO Via Fogazzaro 6, difeso di fiducia dallAvv. Michele Novella del Foro di Palmi; FABRIZIO Giuseppe, nato a Taurianova (RC) il 18.11.1974; ANGILLETTA Maria Rosa, nata a Cinquefrondi (RC), il 26.8.1983; FORTUGNO Demetrio, nato a Palmi il 2.5.1952; SPATARO Maria Carmela, nata a Cinquefrondi, il 25.1.1987;

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DAGOSTINO Maria Carmela, nata a Taurianova (RC), il 31.7.1980.

in relazione ai seguenti delitti per i quali sono, rispettivamente, INDAGATI A) PESCE Giuseppe cl. 1980, BERRICA Giovanni Luca, FORTUGNO Domenico, con MARAFIOTI Saverio, MESSINA Rocco, ALVIANO Giuseppe, MUZZUPAPPA Francescantonio, TOCCO Francesco Antonio, DAMICO Danilo, DELMIRO Biagio, RAO Giuseppe, oltre che con ARENA Domenico, BASSOLAMENTO Marco, CAPRIA Carmelina, CONSIGLIO Salvatore, DAGOSTINO Francesco, DI MARTE Francesco, DI MARTE Giuseppe, FERRARO Angela, FERRARO Giuseppe, FERRARO Mario, FILARDO Giuseppe, FORTUGNO Andrea, , GIOVINAZZO Francesco, GIOVINAZZO Rocco, LEOTTA Domenico, LUCIA Claudio, MATALONE Roberto, MESSINA Maria Grazia, MUBARAKSHINA Elvira, ODIERNA Yuri, PALAIA Rocco, PESCE Antonino cl. 1953, PESCE Francesco cl. 1978, PESCE Francesco cl. 1979, PESCE Francesco cl. 1984, PESCE Francesco cl. 1987, PESCE Giuseppina, PESCE Marcello, PESCE Maria Grazia, PESCE Marina, PESCE Rocco cl. 1957, PESCE Rocco cl. 1984, PESCE Salvatore, PESCE Vincenzo cl. 1959, PESCE Vincenzo cl. 1986, PETULL Alberto, RAO Franco, RAO Rocco, SIBIO Domenico, STANGANELLI Maria, TIRINTINO Antonino e VARR Domenico (per i quali si proceduto separatamente) del reato p. e p. dallart. 416 bis commi I, II, III, IV, V e VI c.p., per aver preso parte, con il ruolo e le funzioni di seguito specificati, alla associazione di tipo mafioso denominata 'ndrangheta, nellambito della cosca detta ndrina Pesce, operante, allinterno del cd. Mandamento tirrenico, nel territorio di Rosarno, zone limitrofe e altre localit del territorio nazionale, contribuendo alla realizzazione degli scopi del sodalizio, attraverso la forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo e le conseguenti condizioni di assoggettamento ed omert che ne derivavano nei territori su cui insediata la consorteria criminale, con la commissione di delitti contro il patrimonio e grazie anche alla ampia disponibilit di armi; scopi, in particolare, diretti: - al controllo delle attivit economiche, anche attraverso la gestione di interi settori imprenditoriali e commerciali finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti; - al conseguimento, infine, per s e per gli altri affiliati di ulteriori profitti e vantaggi ingiusti, attraverso attivit delittuose, quali omicidi, estorsioni, rapine, sistematicamente esercitate ai danni di imprenditori privati. 1) PESCE Giuseppe cl. 80, perch, gi partecipe al sodalizio criminoso, dopo larresto del fratello PESCE Francesco cl. 78, avvenuto in data 9 agosto 2011, vi assumeva funzioni di organizzatore, capo e promotore, con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere, degli obiettivi da perseguire, delle attivit

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economiche da avviare e attraverso cui riciclare il denaro e le altre utilit provento delle dette azioni delittuose, in riferimento allintera organizzazione criminale; 2) MARAFIOTI Saverio per avere partecipato al sodalizio criminale quale punto di riferimento per le comunicazioni tra il detenuto PESCE Francesco cl. 78 ed i sodali ancora in regime di libert, con funzioni esecutive delle direttive inerenti la ripartizione dei proventi illeciti della cosca e la redistribuzione della cariche allinterno della stessa, nonch per avere svolto funzioni di ausilio qualificato nel supporto logistico ai capi organizzatori del gruppo che si sono sottratti ai provvedimenti coercitivi. 3) MESSINA Rocco per avere partecipato al sodalizio criminale, con funzioni direttamente esecutive delle direttive di PESCE Francesco cl. 78 e, dopo il suo arresto, del fratello latitante PESCE Giuseppe cl. 80, nonch per avere svolto funzioni di ausilio qualificato nel supporto logistico ai capi organizzatori del gruppo che si sono sottratti ai provvedimenti coercitivi. 4) RAO Giuseppe per avere partecipato al sodalizio criminale, con funzioni direttamente esecutive delle direttive di PESCE Francesco cl. 78 e, dopo il suo arresto, del fratello latitante PESCE Giuseppe cl. 80, in particolare, per avere collaborato direttamente e personalmente al finanziamento dellorganizzazione, attraverso il delitto di riciclaggio, in quanto, stabilmente dedito alla ricezione di assegni bancari provento delle attivit illecite del gruppo, restituendo denaro contante o altri assegni bancari, in modo da ostacolare lidentificazione della loro provenienza delittuosa. 5) ALVIANO Giuseppe per avere partecipato al sodalizio criminale, con funzioni direttamente esecutive delle direttive di PESCE Francesco cl. 78 e, dopo il suo arresto, del fratello latitante PESCE Giuseppe cl. 80, nonch per svolto funzioni di intestatario fittizio di beni riconducibili al gruppo criminale. 6) MUZZUPAPPA Francescantonio per avere partecipato al sodalizio criminale, con funzioni direttamente esecutive delle direttive di PESCE Francesco cl. 78 e, dopo il suo arresto, del fratello latitante PESCE Giuseppe cl. 80, nonch per svolto funzioni di intestatario fittizio di beni riconducibili al gruppo criminale. 7) DAMICO Danilo per avere partecipato al sodalizio criminale, con funzioni direttamente esecutive delle direttive di PESCE Francesco cl. 78 e, dopo il suo arresto, del fratello latitante PESCE Giuseppe cl. 80, nonch per avere svolto funzioni di ausilio qualificato nel supporto logistico ai capi organizzatori del gruppo che si sono sottratti ai provvedimenti coercitivi. 8) DELMIRO Biagio per avere partecipato al sodalizio criminale, con funzioni direttamente esecutive delle direttive di PESCE Francesco cl. 78 e, dopo il suo arresto, del fratello latitante PESCE Giuseppe cl. 80, nonch per avere svolto funzioni esecutive in materia di armi e di ausilio qualificato nel supporto logistico ai capi organizzatori del gruppo che si sono sottratti ai provvedimenti coercitivi. 9) TOCCO Francesco Antonio per avere partecipato al sodalizio criminale, con funzioni direttamente esecutive delle direttive di PESCE Francesco cl. 78 e, dopo il suo arresto, del fratello latitante PESCE Giuseppe cl. 80.

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10) FORTUGNO Domenico per avere partecipato al sodalizio criminale, con funzioni direttamente esecutive delle direttive di PESCE Francesco cl. 78 e, dopo il suo arresto, del fratello latitante PESCE Giuseppe cl. 80, nonch per avere collaborato direttamente e personalmente al finanziamento dellorganizzazione, attraverso il delitto di riciclaggio, in quanto, stabilmente dedito alla ricezione di assegni bancari provento delle attivit illecite del gruppo, restituendo denaro contante o altri assegni bancari, in modo da ostacolare lidentificazione della loro provenienza delittuosa, nonch per svolto funzioni di intestatario fittizio di attivit commerciali riconducibili al gruppo criminale. 11) BERRICA Luca per avere partecipato al sodalizio criminale, con funzioni direttamente esecutive delle direttive di PESCE Francesco cl. 78 e, dopo il suo arresto, del fratello latitante PESCE Giuseppe cl. 80. Con laggravante dellessere lassociazione armata. Con laggravante che le attivit economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, il profitto di delitti. In Rosarno ed altri luoghi con condotta accertata il 12 agosto 2011 e tuttora permanente; per PESCE Giuseppe e FORTUGNO Domenico, a far data dal 12 agosto 2011 (data del sequestro nei confronti di PESCE Francesco cl. 78, del biglietto manoscritto di cui appresso in motivazione). B) FORTUGNO Domenico, FABRIZIO Giuseppe e ANGILLETTA Maria Rosa, del reato di cui allart. 12 quinquies Legge n. 356 del 1992, 7 L. n. 203 del 1991, perch, in concorso tra loro, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, FORTUGNO Domenico, per il tramite e con il contributo causale e consapevole di FABRIZIO Giuseppe e ANGILLETTA Maria Rosa, attribuivano fittiziamente a questi ultimi la titolarit formale della CALABRIA TRASPORTI SAS DI FABRIZIO Giuseppe & C., con sede legale in Rosarno, contrada Testa dellAcqua n. 66, partita iva 02420920809, avente per attivit trasporto merci in conto proprio e in conto terzi, essendone, in realt, FORTUGNO Domenico il reale titolare. Con laggravante di aver agevolato lattivit della consorteria mafiosa denominata cosca PESCE e avvalendosi del metodo mafioso. Fatto commesso in Reggio Calabria il 25.1.2007 (data di iscrizione nel registro delle imprese) C) FORTUGNO Domenico, FORTUGNO Demetrio, SPATARO Maria Carmela, DAGOSTINO Maria Carmela del reato di cui allart. 12 quinquies Legge n. 356 del 1992, 7 L. n. 203 del 1991, perch, in concorso tra loro, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, FORTUGNO Domenico, per il tramite e con il contributo causale e consapevole del padre FORTUGNO Demetrio, della moglie SPATARO Maria Carmela e di DAGOSTINO Maria Carmela attribuivano fittiziamente a questi ultimi la titolarit formale della MEDMA TRANS S.A.S. DI FORTUGNO DEMETRIO & C, con sede legale in Rosarno, in via Tintoretto n. 1, partita iva 02645920808 avente per attivit trasporto merci in conto proprio e in conto terzi essendone, in realt, FORTUGNO Domenico il reale titolare. Con laggravante di aver agevolato lattivit della consorteria mafiosa denominata cosca PESCE e avvalendosi del metodo mafioso. Fatto commesso in Reggio Calabria il 29.9.2010 (data di iscrizione nel registro delle imprese)

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OSSERVA

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I SULLAMMISSIBILITA DELLA RICHIESTA CAUTELARE FORMULATA NEI CONFRONTI DI BERRICA LUCA E FORTUGNO DOMENICO.Occorre premettere che in data 8.2.2012 il P.M. distrettuale in sede emetteva decreto di fermo a carico di 11 persone che veniva eseguito tra gli altri - anche nei confronti degli indagati BERRICA e FORTUGNO; nei confronti di questultimo (dopo uniniziale irreperibilit dellindagato durata qualche giorno) solo in relazione al delitto di cui al capo A. Lesecuzione della misura precautelare ha quindi determinato il P.M. a rivolgere la richiesta di adozione della misura cautelare, ai sensi degli artt. 291 comma 2, 390 comma 1 e 391 comma 5 c.p.p., al Giudice per le indagini Preliminari presso il Tribunale di Palmi, giudice competente in ragione dei luoghi in cui i fermi erano stati eseguiti (compresi nel circondario di quel Tribunale). Espletati gli interrogatori degli indagati, tuttavia, il GIP palmese non convalidava il fermo e rigettava la richiesta cautelare per difetto dei gravi indizi (nei confronti del BERRICA, con lordinanza 11.2.2012, nei confronti del FORTUGNO con lordinanza 15.2.2012.) Proprio linfruttuoso esito per il requirente dellazione cautelare esercitata con il decreto di fermo innanzi al GIP della convalida, pone a questo punto il problema di verificare lammissibilit dellodierna nuova proposizione della medesima richiesta in seno al medesimo procedimento. Va subito detto che, a parere di questo GIP, non risulta del tutto pertinente il richiamo fatto dal P.M. a quella giurisprudenza della S.C. [il riferimento principalmente alla seguente massima Il provvedimento di rigetto della richiesta di misura cautelare adottato dal giudice delle indagini preliminari, competente per la convalida del fermo eseguito fuori dal circondario, non preclude al p.m. territorialmente competente la reiterazione della suddetta richiesta al giudice naturale, in quanto, qualora il luogo dell'arresto o del fermo sia diverso da quello della commissione del reato, l'eventuale ordinanza coercitiva emessa dal g.i.p. competente per la convalida ha efficacia provvisoria, ex art. 27 c.p.p., che si applica anche ai provvedimenti adottati in esito all'udienza di convalida del fermo o dell'arresto, senza che

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rilevi la formale dichiarazione di incompetenza del giudice con riguardo al reato in contestazione; ne consegue che, nell'ipotesi di provvedimento di rigetto della misura, non si forma alcun giudicato cautelare. (Cass. penale, sez. VI, 28/04/2006, n. 24639), ed alla pronuncia della stessa S.C. (n. 3147/2010 del 22.12.2010, in atti) nel procedimento c.d. ALL INSIDE] che ritiene sempre riproponibile al giudice territorialmente competente la richiesta cautelare gi rigettata dal giudice della convalida incompetente ratione loci commissi delicti. Nella fattispecie, infatti, il GIP palmese (diversamente da quello milanese nel caso del fermo di alcuni indagati evocati nel procedimento ALL INSIDE) non era incompetente per territorio [giacch non v dubbio che lassociazione mafiosa oggetto di indagine ha - storicamente - nel circondario di Palmi il proprio radicamento territoriale (tant che il processo ALL INSIDE si sta celebrando proprio innanzi allA.G. di quel circondario)], ma - solo funzionalmente incompetente trattandosi di procedimento di cui allart. 328 co. 1 bis c.p.p. (rimesso alla cognizione del GIP distrettuale). Del resto, la non assimilabilit del rigetto della richiesta cautelare da parte del GIP della convalida non incompetente per territorio, a quello proveniente dal GIP territorialmente incompetente, si apprezza ulteriormente non appena si consideri che lesercizio da parte del P.M. del potere di appello verso questultimo rigetto importa comunque lo svolgimento del relativo giudizio innanzi a Tribunale della Libert parimenti incompetente per territorio. quanto si verific nellambito del proc. ALL INSIDE nel giudizio cautelare che vide accolte le ragioni del PM appellante da parte del T.d.L. di Milano, ma poi lannullamento senza rinvio da parte della S.C. con la decisione n. 3147/2010 del 22.12.2010 (vicenda espressamente citata dal requirente). Nella specie, invece, non v dubbio che impugnando il rigetto del GIP di Palmi, il P.M. investirebbe (ed pure accaduto in seno al procedimento ALL INSIDE) il T.d.L. di Reggio Calabria certamente competente per territorio a decidere lappello e dunque, in caso di accoglimento dei motivi di impugnazione, ad emettere la misura cautelare nei confronti degli indagati. La questione dellammissibilit della nuova domanda cautelare qui in esame diversamente da quanto argomentato dal P.M. - non pu quindi giovarsi

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delle - agevoli - soluzioni promananti dalla giurisprudenza che nega effetto preclusivo alle ordinanze di rigetto delle richieste cautelari adottate da GIP territorialmente incompetente, evocando piuttosto il tema decisamente pi complesso dei contenuti e degli ambiti delle preclusioni discendenti dalle decisioni in materia cautelare. Nellaffrontare la delicata questione del c.d. giudicando cautelare ci si pu tuttavia giovare di quanto recentemente statuito e soprattutto argomentato dalle Sezioni Unite della S.C. nella nota sentenza 16.12.2010 n. 7931, contenente anche ricostruzione degli approdi della materia. Ha scritto infatti il Supremo Collegio: () Ad avviso del Collegio, per cogliere con esattezza i limiti di operativit del c.d. giudicando cautelare () indispensabile partire dalla considerazione che la relativa problematica inscindibile dal tema - di cui in qualche modo una diramazione - del c.d. giudicato cautelare. E' dunque su quest'ultimo che va focalizzata ora l'attenzione. Come noto, le condizioni e i limiti di operativit nell'incidente cautelare dei principi fissati dagli artt. 648 e 649 cod. proc. pen. sono stati via via affermati e precisati da una serie di pronunzie delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 11del 01/07/1992, dep. 10/09/1992, imp. Grazioso, Rv. 191183; Sez. U, n. 14 del 18/06/1993, dep. 21/07/1993, imp. Dell'Orno, Rv. 194312; Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, dep. 08/11/1993, imp. Durante, Rv. 195354; Sez. U, n. 26 del 12/11/1993, dep. 27/01/1994, imp. Galluccio, Rv 195806; Sez. U, n. 11 del 08/07/1994, dep. 28/07/1994, imp. Buffa, Rv. 198211-213; Sez. U, n. 2 del 15/01/1999, dep. 31/03/1999, imp. Liddi, Rv. 212807; Sez. U, n. 14 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, imp. Piscopo, Rv. 216261; Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, dep. 20/04/2004, imp. Donelli, Rv. 227359; Sez. U, n. 29952 del 24/05/2004, dep. 09/07/2004, C. fall, in proc. Romagnoli, Rv. 228117; Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 10/04/2007, imp. Librato, Rv. 235908),

giurisprudenza in

alla luce della cui complessiva elaborazione il c.d. va inteso come una preclusione

"giudicato

cautelare"

endoprocessuale operante esclusivamente allo stato degli atti e con riguardo soltanto alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte. In tal senso la giurisprudenza di legittimit riconosce che le decisioni assunte a seguito delle impugnazioni cautelari, "in quanto accertamenti interni al procedimento de libertate, assumano un'efficacia preclusiva, che vincola il

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giudice e le parti ad assumere per definite le questioni effettivamente esaminate" (cos espressamente la sentenza Piscopo cit.), fermo restando che tale preclusione non pu essere tout court assimilata a quella conseguente all'assunzione dell'autorit di cosa giudicata dei provvedimenti irrevocabili del giudizio principale di cognizione, e ci in ragione della naturale instabilit di quelli adottati nell'incidente cautelare, riflesso dell'esigenza, espressamente sancita dalle disposizioni del codice di rito, del costante adeguamento dell'intervento cautelare all'eventuale evoluzione dei presupposti di fatto che legittimano la restrizione della libert. La preclusione del giudicato cautelare, dunque, opera esclusivamente rebus sic stantibus, e cio solo in caso di sostanziale immutazione della situazione presupposta, e solo in riferimento alle questioni dedotte e non anche a quelle deducibili (ma non dedotte). Coerentemente a tale impostazione, questa Corte ha anche chiarito che la preclusione del giudicato cautelare attiene propriamente alle singole questioni, potendo in particolare il procedimento cautelare essere sempre attivato dall'interessato (in questo senso oltre alle gi citate sentenze Piscopo eRomagnoli delle Sezioni Unite, pu richiamarsi ex multis soprattutto Sez. 5, n. 40281 del 19/10/2005, dep. 08/11/2005, imp. Notdurfter, Rv. 232798),

attraverso l'istituto della

revoca ex art. 299 cod. proc. pen., inteso come strumento teso a consentire non solo la valutazione ex ante delle condizioni di applicabilit delle misure, ma altres quella ex post della persistenza delle medesime condizioni, nell'ottica (gi evidenziata) di garantire la costante corrispondenza dello status libertatis dell'imputato all'effettiva attualit dei presupposti edittali, probatori o cautelari che legittimano l'adozione delle misure. Conseguentemente il giudice adito con la richiesta di revoca, o con la successiva impugnazione di una decisione di diniego della revoca, pu limitarsi, per la giurisprudenza dominante, a richiamare le decisioni conclusive di precedenti procedure de libertate, qualora rilevi la riproposizione di questioni gi valutate in precedenza, ma sempre tenuto ad accertare d'ufficio la sussistenza di ragioni, pur diverse da quelle prospettate dall'interessato, indicative dell'insussistenza dei presupposti della misura (v. soprattutto le sentenze Piscopo e Romagnoli citt. e Sez. 5, n. 28437 del

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10/06/2004, dep. 24/06/2004, imp. Aitale, Rv. 228897, la quale ha sottolineato come in tal senso quella del giudicato cautelare non pu intendersi come una preclusione in senso proprio con riguardo al procedimento di revoca, ancorch il giudice investito della relativa istanza non possa contraddire le decisioni gi assunte in una precedente impugnazione de libertate in assenza di sopravvenienze o di prospettazioni non gi dedotte in precedenza).

La riconduzione del problema degli effetti delle pronunce sui provvedimenti cautelari alla categoria, non del "giudicato" in senso proprio (evocante una situazione di immutabilit e definitivit, ritenuta, come detto, incompatibile con la natura contingente dei provvedimenti cautelari), ma della (mera) preclusione processuale (mirante ad impedire ulteriori interventi giudiziari in assenza di un mutamento del quadro procedimentale di riferimento), ha comportato anche la conseguenza che tale "effetto preclusivo viene ad essere determinato solo dall'esistenza di un provvedimento decisorio non pi impugnabile", in riferimento al quale siano stati cio esauriti i previsti mezzi di impugnazione, "e non anche nell'ipotesi della mancata attivazione degli strumenti processuali di controllo" (cos espressamente la sentenza Romagnoli cit.,che sulla base di queste premesse ha cristallizzato il principio, gi affermato dalla sentenza Buffa, per cui "la mancata tempestiva proposizione, da parte dell'interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non ne preclude la revoca per la mancanza delle condizioni di applicabilit, neanche in assenza di fatti sopravvenuti").

Sulla stessa linea la sentenza Buffa cit., escludendo la

natura impugnatoria dell'istanza di revoca ex art. 299 cod. proc. pen., ha affermato che la sua presentazione non preclude la successiva proposizione dell'istanza di riesame. La categoria della preclusione processuale stata in alcune pronunzie espressamente elaborata con riferimento, pi che al generale principio del ne bis in idem di cui all'art. 649 cod. proc. pen. (cui pi esplicitamente si richiamano le pi risalenti pronunzie, anche delle Sezioni Unite), alla preclusione disciplinata dall'art. 666 c.p.p., comma 2, per il procedimento di esecuzione. In tal senso, ad esempio, Sez. 2, n. 4042 del 28/09/1999, dep. 05/11/1999, Cieri, Rv. 214578, anticipando i contenuti poi ribaditi dalla sentenza Romagnoli, ha affermato che, nel caso di istanza di revoca della misura avanzata dall'interessato, imposto al giudice il dovere di esaminare

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qualsiasi elemento e questione attinente alla legittimit del mantenimento della misura, con l'unica preclusione derivante dalla circostanza che il controllo delle condizioni di applicabilit sia stato gi in concreto effettuato. Per la sentenza Cieri, infatti, la precedente decisione, anche se priva dell'effetto del giudicato, non pu che produrre nei confronti delle parti interessate un'efficacia analoga a quella prevista dall'art. 666 c.p.p., comma 2 (secondo cui inammissibile la proposta di incidente di esecuzione consistente nella mera riproposizione di una richiesta gi rigettata basata sui medesimi elementi), che pone un principio di carattere generale (applicabile anche al di fuori del procedimento di esecuzione per cui dettato), preclusivo, allo stato degli atti, di una nuova pronuncia giurisdizionale in ordine alle questioni gi trattate (negli stessi termini, soprattutto con riguardo alrichiamo all'art. 666, da ultima si veda Sez. 3, n. 14236 del 21/02/2008, dep. 04/04/2008, imp. Vinciullo, Rv. 239661).

La disciplina del menzionato art. 666 si muove senza dubbio nell'ambito di esigenze comuni allo stesso principio del ne bis in idem (in questo senso exmultis e da ultima Sez. 1, n. 3736 del 15/01/2009, dep. 27/01/2009, P.M. in proc. Anello, Rv. 242533),

ma il profilo specificamente valorizzato non quello della garanzia

della stabilit ed immutabilit della decisione divenuta definitiva, ma quello della tutela dell'economia processuale attraverso la prevenzione della formazione di contrasti tra decisioni e della strumentalizzazione delle forme processuali (in questo senso tra le altre la sentenza Romagnoli cit. e la sentenzaLibrato cit., che sottolinea come in assenza di preclusione risulterebbe vanificata la previsione legislativa dei termini per impugnare i provvedimenti cautelari. Il parallelismo tra giudicato cautelare e giudicato esecutivo (fondato sull'inidoneit dei provvedimenti adottati nei relativi procedimenti a costituire un vero e proprio giudicato ai sensi dell'art. 648 cod. proc. pen.) stato di recente evocato, sebbene ad altri fini, anche da Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, dep. 13/05/2010, P.G. in proc. Beschi, Rv. 246651, la quale ha affermato che l'elemento di novit idoneo a superare la preclusione determinata dalla decisione non pi impugnabile assunta nei suddetti procedimenti pu essere costituito anche dal mutamento giurisprudenziale segnato da un intervento delle Sezioni Unite.)

Circa in particolare gli effetti del giudicato cautelare sul potere d'iniziativa del pubblico ministero per oramai consolidato in giurisprudenza l'orientamento cui l'ulteriore esercizio

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dell'azione cautelare per lo stesso fatto, ed immutato lo stato degli atti, precluso dalla caducazione del precedente provvedimento cautelare per ragioni non formali e cio da una decisione negativa sui presupposti applicativi della misura assunta all'esito dei giudizi incidentali di impugnazione (per tutte si vedano le sentenze Grazioso e Durante cit.). Quanto all'immutazione dello stato degli atti, che legittima invece la reiterazione dell'iniziativa cautelare (con le limitazioni previste dall'art. 297 cod. proc. pen. in ordine alla durata della custodia cautelare), la Corte ha precisato che la stessa pu essere determinata anche da sviluppi investigativi relativi a circostanze maturate prima della deliberazione del giudice del gravame (cos Sez. 6, n. 4112 del 30/11/2006, dep. 01/02/2007, imp. DiSilvestro, Rv. 235610).

() Tirando ora le fila dal lungo discorso che precede, pu osservarsi che se, da un lato, appaiono senza dubbio stringenti e pienamente condivisibili le argomentazioni della sentenza Donati circa l'immanenza nell'ordinamento processualpenalistico di un generale principio di preclusione, di cui la regola dell'art. 649 cod. proc. pen. solo una particolare pregnante espressione, e che opera quindi anche in altri ambiti procedurali, dall'altro intuitivo che ai caratteri e meccanismi di tali ambiti esso si adegui nell'esplicazione dei propri effetti. Per quanto concerne in particolare il procedimento cautelare, lo stesso ha insita nella propria ratio - come si gi avuto modo di ricordare - la natura contingente dei provvedimenti e la necessit del loro tendenziale adeguamento al mutare delle situazioni. Ci evidente, e di forte significato garantistico, per le tutele poste a presidio dell'indagato, attivabili e reiterabili con grande facilit e adottabili in vari casi anche d'ufficio. Ma vale, seppure in termini non sovrapponibili, anche dalla parte dell'accusa. Ne consegue che l'"idem" il cui "bis" precluso non pu concretarsi ed esaurirsi, in ambito cautelare, come avviene invece nel processo cognitivo, nella mera identit del fatto (per la cui precisa nozione v. in particolare la sentenzaDonati cit.),

ma ricomprende necessariamente anche l'identit degli elementi

posti (e valutati) a sostegno o a confutazione di esso e della sua rilevanza cautelare.

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Tale

conclusione,

pacificamente

accolta,

come

si

visto,

per

la

determinazione dei limiti del giudicato cautelare, non pu non valere simmetricamente, per comunanza di ratio, anche in tema di giudicando cautelare. Sarebbe, invero, oltremodo illogico, e contrario alle esigenze di tempestivit tipiche del settore in discorso, negare, a causa di una pendenza in atto, l'immediato utilizzo dei nova utili a sostenere una determinata posizione, rinviandolo ex lege alla cessazione di quella pendenza. E' del resto prassi corrente, della cui legittimit non si dubita, la proposizione, da parte dell'indagato, di istanze di revoca o sostituzione della misura, purch basate su elementi nuovi, mentre in corso, non importa in quale fase, un procedimento cautelare relativo alla stessa contestazione; con quanto poi ne pu conseguire, in termini di interesse, sulla sorte di quest'ultimo. La soluzione non pu essere diversa quando i nova siano fatti valere dal pubblico ministero. Le esigenze di una pronta tutela della collettivit, costituenti il pendant di quelle che presidiano il favor libertatis, sono parimenti incompatibili con improprie e inutili dilazioni, quali quelle che deriverebbero da intralci di tipo procedurale, a volte anche di lunga durata, e magari non nella disponibilit dell'accusa. Le situazioni che si possono presentare nella realt sono evidentemente le pi varie e possono condizionare le scelte concrete del p.m. e riflettersi sulle conseguenze delle medesime sulla sorte dei procedimenti. Il punto fermo comunque che l'autonomo utilizzo dei nova non pu essere paralizzato da una pendenza in atto sullo stesso fatto, mentre a sua volta ne determina la non riversibilit dei medesimi in essa, operando, nell'identit degli elementi addotti, il meccanismo preclusivo. () La conclusione stessa anche conforme, malgrado qualche ingannevole apparenza, all'effettivo tenore della sentenza Donelli. Quest'ultima, come si sopra ricordato, chiamata a esaminare una fattispecie in cui erano stati, in sede di appello cautelare del p.m., prodotti dal medesimo e concretamente utilizzati elementi probatori sopravvenuti all'adozione del provvedimento impugnato, reiettivo della richiesta di misura,

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ritenne legittima la situazione descritta, e si fece carico degli inconvenienti cui tale soluzione poteva dar luogo, superando in particolare l'obiezione collegata alla possibilit che lo stesso pubblico ministero potesse contemporaneamente decidere di ricominciare l'azione cautelare richiedendo al g.i.p. l'emissione di una nuova misura cautelare fondata sugli stessi elementi riversati nel giudizio d'appello - del duplice rischio di un potenziale contrasto di decisioni e della potenziale concorrenza di due titoli cautelari dall'identico contenuto, con il rilievo che le diverse opzioni assegnate alla pubblica accusa si ponevano in rapporto non di concorrenza ma di "alternativit". Il riferimento a tale concetto, letto in correlazione alla fattispecie concreta esaminata e alla puntualizzazione che "nuovi", ai fini in discussione, erano tutti gli elementi comunque non dedotti, indipendentemente dal momento della loro emersione, fosse anche posteriore alla stessa proposizione dell'impugnazione, rende chiaro che per la decisione in esame - al di l della sintetica formulazione del relativo principio di diritto dalla stessa enucleato il p.m. resta libero di scegliere il "veicolo" in cui utilizzare i nova ai fini del perseguimento del suo obiettivo, ma che, una volta operata la scelta, non pu pi, per lo stesso utilizzo, fare ricorso al veicolo alternativo (con quanto di conseguenza, in termini di preclusione, sul suo avvio o prosieguo), scongiurandosi cos anche il rischio del conseguimento di un duplice titolo per lo stesso fatto e sulla base degli stessi elementi. In tale chiarita ottica interpretativa la relazione di preclusione posta dalla sentenza Donelli rivela il suo genuino carattere biunivoco, riassumibile nel brocardo electa una via non datur recursus ad alteram, e pu ritenersi coerentemente estensibile a qualsiasi ipotesi di impugnazione incidentale de libertate, ivi comprese quelle introdotte dall'indagato, tra cui in particolare il riesame (nell'ambito del quale ormai pacifico che anche il pubblico ministero puintrodurre gli elementi di prova a carico sopravvenuti all'applicazione della misura cautelare: v. ex multis Sez. 1, n. 6165 del 29/11/1995, dep. 27/12/1995, imp. Biasioli, Rv. 203164; Sez. 1, n. 4689 del 06/07/1999, dep. 13/09/1999, imp. Piroddi, Rv. 214095; Sez. 4, n. 15082 del 24/02/2010, dep. 19/04/2010, P.M. in proc. Testini, Rv. 247023).

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La conclusione cos assunta pu trovare espressione nel seguente principio di diritto: "Qualora il pubblico ministero, nelle more della decisione su una impugnazione incidentale de libertate, intenda utilizzare, nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, elementi probatori "nuovi", preesistenti o sopravvenuti, pu scegliere se riversarli nel procedimento impugnatorio o porli a base di una nuova richiesta di misura cautelare personale, ma la scelta cos operata gli preclude di coltivare l'altra iniziativa cautelare". Vi sono a questo punto solo due ulteriore aspetti che, connessi allesame della specifica questione di ammissibilit rimessa allo scrivente GIP, meritano di essere considerati ed approfonditi nel quadro comunque di quanto argomentato dalle Sezioni Unite circa l'immanenza nell'ordinamento processualpenalistico di un generale principio di preclusione, di cui la regola dell'art. 649 cod. proc. pen. solo una particolare pregnante espressione, e che opera quindi anche in altri ambiti procedurali adeguandosi ai connotati propri di essi nell'esplicazione dei propri effetti e che per quanto concerne in particolare il procedimento cautelare risente della natura contingente dei provvedimenti e della necessit del loro tendenziale adeguamento al mutare delle situazioni [essendone evidente il forte significato garantistico, per le tutele poste a presidio dell'indagato, attivabili e reiterabili con grande facilit e adottabili in vari casi anche d'ufficio, ma anche dal punto di vista dellaccusa, per le esigenze di una pronta tutela della collettivit immanenti nella ratio delle misure cautelari]. In particolare ed in primo luogo, occorre considerare la diversit delle conseguenze per lo status libertatis dellindagato che la scelta (assolutamente discrezionale come detto dalla S.U. anche se preclusiva delliniziativa pretermessa) compiuta dal P.M. di far valere i nova in sede di impugnazione del rigetto di prime cure ovvero in una nuova richiesta al GIP. Ed infatti, nel caso in cui i nova determinino laccoglimento dellappello del P.M. e dunque ladozione della misura ricusata in prime cure, lefficacia esecutiva di questultima, risulter sospesa sino a che la decisione non sia divenuta definitiva (art. 310 co. 3 c.p.p.); qualora invece gli stessi nova vengano posti a fondamento di una nuova richiesta e ne determino

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laccoglimento, la misura cautelare gi negata risulta immediatamente esecutiva ed efficace. Orbene, tale considerazione impone, a parere dello scrivente GIP, di realizzare una sorta di bilanciamento della facolt discrezionale attribuita al P.M. di giocarsi diversamente gli elementi nuovi con un coefficiente pi elevato di rigore interpretativo/valutativo circa la qualit dei nova posti a fondamento della nuova richiesta. Orbene, a parere dello scrivente GIP, in primo luogo, non deve trattarsi di nova apparenti, ovvero di emergenze in realt gi presenti nel compendio di elementi di fatto portato al vaglio del GIP che pronunci il rigetto e tuttavia da questi non considerate o sottovalutate non v dubbio infatti che, in un caso del genere, il P.M. potrebbe solo dolersi, con lappello, dellomissione di valutazione di quelle emergenze e/o dellerroneit di quella sottovalutazione. Ancora, pur se autenticamente nuovi (ovvero non compresi nel compendio di elementi gi vagliati), deve trattarsi di emergenze di fatto che, anche se non sufficienti a sostanziare da sole i presupposti necessari (in termini di gravit indiziaria e/o di esigenza cautelare) per ladozione della misura invocata, siano comunque dotate della intrinseca efficienza di determinare una concreta amplificazione della capacit dimostrativa del compendio di elementi di fatto gi vagliato (negativamente) in una lettura combinata e complementare con le emergenze nuove; in sintesi, deve trattarsi di nova in grado davvero di provocare la positiva rivalutazione della richiesta cautelare gi rigettata. Infine, ancora necessario che tale sostanza del novum sia il pi possibile obiettivamente riconoscibile ed apprezzabile, ovvero una variabile massimamente indipendente (naturalmente nei limiti di relativizzazione propri del giudizio incidentale cautelare) da considerazioni eminentemente soggettive del giudicante. Va da s infatti che i prefati requisiti di sostanza dei nova, valgono a contenere il rischio di un uso strumentale della facolt di scelta tra appello e nuova richiesta concessa (dalle citate pronunce giurisdizionali) al P.M.; questi, infatti (per ottenere subito lesecutivit della misura, od anche solo perch gli sono sfumati i termini per lappello verso il primo rigetto) potrebbe

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essere indotto a proporre quali nova fondanti la nuova richiesta elementi di fatto dalla portata dimostrativa intrinsecamente modesta, quando non a vestire di nuovo dati gi noti e valorizzati, sol proponendoli in contenuto di maggior dettaglio in esito a pi recenti ed approfondite note informative sollecitate alla P.G.. Non chi non veda, peraltro, come la pretesa di una cifra di rigore nellapprezzamento dellintrinseca qualit del novum e soprattutto dellobiettiva - pi possibile sua efficienza dimostrativa nel determinare la rivalutazione della richiesta, sia tanto pi avvertita nei casi (come appunto quello in esame, per ragioni di competenza funzionale), in cui diversa sia la persona fisica del GIP cui viene proposta la nuova richiesta. In questi casi, infatti, sempre presente il pericolo di una rivalutazione positiva della richiesta non tanto indotta dalla portata del novum, quanto dalla diversa considerazione da parte del nuovo GIP, in primo luogo per effetto degli argomentati (e magari condivisibili) rilievi proposti dal requirente verso la prima ordinanza di rigetto, di quelle medesime emergenze gi valutate negativamente da parte del primo GIP. Occorre in altre parole prevenire il rischio (obiettivamente pi contenuto quando si proponga la nuova richiesta al medesimo giudice) di trasformare la nuova richiesta cautelare in un surrettizio giudizio di gravame verso la prima ordinanza, dissimulato dietro lo schermo di qualche novum appositamente proposto (magari proprio perch confezionato a verifica in fatto dello sviluppo argomentativo seguito dal giudice per motivare il primo rigetto). Alle riferite linee interpretative, dunque, questo GIP si atterr nel valutare nel prosieguo la richiesta cautelare nei confronti degli indagati BERRICA e FORTUGNO, stante la necessit di superare il rigetto delle relative richieste gi (oltre che di recente) pronunciato dal GIP di Palmi allesito del giudizio di convalida del fermo nei confronti dei predetti disposto. Con una ulteriore, essenziale, precisazione. Se nel caso di nova apparenti senzaltro lecito, ed anzi doveroso, ritenere integralmente perfezionato ed operativo il meccanismo preclusivo del giudicando/giudicato cautelare, e dunque concludere sancendo

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linammissibilit della richiesta che si fondi esclusivamente sul novum apparente, di gran lunga pi ardua risulta tale conclusione negli altri casi che appena sopra s cercato di delineare di nova privi di obiettiva efficienza determinante la rivalutazione. In casi del genere, infatti, si potrebbe gravare il P.M. di una preventiva verifica circa la valenza dimostrativa del novum, forse non del tutto impossibile, ma probabilmente dagli esiti troppo incerti per farne un onere dellaccusa (ma il discorso, mutatis mutandis, vale anche per le istanze ex art. 299 c.p.p. provenienti dai cautelati); non bisogna infatti dimenticare che in tali casi (fuori cio dai casi dei nova apparenti) ci trova comunque al cospetto di elementi di fatto certamente nuovi, ovvero non considerati (perch appunto non considerabili) in occasione del primo rigetto. Se ne deve far conseguire che tale - minimo - connotato di novit possa senzaltro costituire un valido ostacolo alla declaratoria di inammissibilit della richiesta, e tuttavia la valutazione di ammissibilit non pregiudicher lo svolgimento del giudizio di corrispondenza del novum ai parametri sopra specificati (e dunque la salvaguardia di quelle esigenze di garanzia cui s fatto cenno e cui quel giudizio appunto indirizzato) giacch lapprezzamento finale della modestia significativa del novum, la valutazione negativa della sua efficienza dimostrativa, determiner necessariamente il rigetto (di merito) della richiesta. Non chi non veda, peraltro, come la prefata diversit di conseguenze per nei casi di reiterata richiesta cautelare fondata sui falsi nova (ovvero, declaratoria di inammissibilit, nel caso di nova apparenti, rigetto di merito, nel caso, di nova privi di oggettiva efficienza ribaltante le primitive conclusioni di rigetto) si collochi, anche formalmente, nellalveo degli insegnamenti della Suprema Corte in materia di giudicando/giudicato cautelare.

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II ALCUNE CONSIDERAZIONI DI METODO Tanto chiarito, ancora in premessa pare opportuno, sul piano metodologico, evidenziare che [come peraltro espressamente chiarito dallo stesso P.M. che a quei provvedimenti ha fatto (a pag. 5) integrale richiamo nella sua richiesta] costituiscono antefatto logico-fattuale e giuridico dellazione cautelare oggi in esame il decreto di fermo del P.M. 8.2.2012 (contenente la dettagliata esposizione di tutti i risultati investigativi sin qui sviluppati nel procedimento), le ordinanze cautelari provvisoriamente emesse, in via durgenza, dal GIP di Palmi in data 11.2.2012 e 15.2.2012 e soprattutto lordinanza emessa da questo GIP a termini dellart. 27 c.p.p. in data 25.2.2012. In particolare, si pu nei paragrafi seguenti in primo luogo riprodurre, almeno nella parte qui di interesse, quanto dedotto in seno a questultima ordinanza (nei CAPITOLI 1 e 2, ai 1.1., 1.2., 2.1. e 2.2.) in ordine alla sussistenza del reato associativo, alla efficienza dimostrativa delle fonti di prova acquisite ed allimpulso genetico dato allindagine dal sequestro nella Casa Circondariale di Palmi del, ormai noto, biglietto manoscritto attribuito a PESCE Francesco cl. 78 Testuni.

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CAPITOLO INOTE INTRODUTTIVE

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1.1. I precedenti cautelari nel procedimento c.d. ALL INSIDE. Le O.C.C. 20.5.2010 e 15.11.2010 e la sentenza GUP 21.9.2011 per le conclusioni circa la sussistenza del reato associativo.Prima di addentrarci nellesame peraltro, ancora in premessa appena il caso di evidenziare - e lo fa per vero puntualmente il P.M. nellincipit del provvedimento di fermo che ha innescato la presente vicenda cautelare - come la richiesta in esame costituisca lo sviluppo dellindagine compendiata nel procedimento n. 4302/06 RGNR DDA c.d. ALL INSIDE che ha registrato plurime iniziative cautelari del requirente distrettuale cui sono seguiti diversi provvedimenti giurisdizionali, spesso sovrappostisi tra loro per le necessit processuali conseguenti alladozione (per vero raramente giustificabile) delle misure precautelari e dei successivi provvedimenti cautelari durgenza ex art. 27 c.p.p.. In questa sede, peraltro, pare necessario (ancor prima che utile sul piano espositivo e metodologico) operare riferimento alle due ordinanze emesse da questo GIP distrettuale rispettivamente in data 20.5.2010 (n. 36/10 O.C.C.) e 15.11.2010 (n. 42/10 O.C.C.) nellambito del prefato procedimento (4302/06 RGNR DDA e 3567/07 R.G.Gip DDA), parte integrante del compendio degli atti posti a sostegno della presente richiesta. E tanto non certo per (e si confida nel credito del lettore) attaccamento agli approdi del giudizio cautelare raggiunti da questo stesso giudice in quei provvedimenti, ma per due ordini di ragioni. Per essere tali ordinanze ricognitive/ricostruttive dellinsieme delle emergenze procedimentali acquisite [naturalmente prima degli sviluppi investigativi conseguenti alla collaborazione di di PESCE Giuseppina e CACCIOLA Maria Concetta che, insieme alle indicazioni dellormai noto biglietto vergato da PESCE Francesco durante la sua breve permanenza nel carcere di Palmi successiva allarresto, sostanziano gli elementi fondanti lodierna richiesta] e dunque loro compiuto contenitore, ma anche per la constatazione che, non essendosi registrate allesito delle valutazioni in seconda istanza innanzi al Tribunale della Libert, riforme delle conclusioni assunte con i prefati provvedimenti custodiali (se non dopo laccoglimento di alcuni appelli del P.M. - nella direzione di implementare il numero di misure custodiali emesse), pare lecito ritenere dette ordinanze un autentico punto fermo anche del presente giudizio cautelare.

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Del resto, occorre considerare che tale conclusione ha ricevuto ulteriore fondamentale riscontro dagli sviluppi di merito del processo ALL INSIDE, che ha visto in esito alla celebrazione delludienza preliminare del 23.4.2011, il rinvio a giudizio innanzi al Tribunale di Palmi (dove in corso di celebrazione il dibattimento) di tutti gli imputati (diverse decine) che non avevano richiesto di essere giudicati nelle forme del giudizio abbreviato e soprattutto, nei confronti di questi ultimi, dalla sentenza pronunciata in data 20 settembre 2011, dallo stesso GUP di Reggio Calabria. Tale pronuncia, infatti, per quanto mette conto in questa sede evidenziare, contiene laffermazione di penale responsabilit degli imputati del reato associativo di cui allart. 416 bis c.p. col contestato, ovvero dellassociazione alla cosca di ndrangheta armata e pluriaggravata c.d. Pesce storicamente operante in Rosarno e luoghi limitrofi ma con diramazioni operative in varie parti di Italia, e soprattutto del riconoscimento del ruolo di promozione, organizzazione e direzione attribuito a PESCE Francesco cl. 78 (condannato anche per gli altri delitti contestatigli ritenuti commessi nel vincolo della continuazione - alla pena, diminuita per il rito, di anni venti di reclusione - v. dispositivo in atti). Se ne deve far necessariamente discendere che la conclsusione contenuta nelle ordinanze emesse da questo GIP in seno al procedimento 4302/06 RGNR circa la permanente esistenza ed operativit della cosca di ndrangheta Pesce [la cui sussistenza era gi stata riconosciuta con diverse sentenze irrevocabili pronunciate nellultimo trentennio nei Tribunali del distretto], lessere la stessa armata (art. 416 bis co. 4 e 5 c.p.) ed attivamente impegnata nel reimpiego in attivit economiche lecite dei capitali prodotto e/o profitto dei delitti-fine dellassociazione (art. 416 bis co. 6 c.p.), ha ormai rinvenuto avallo anche nel giudizio di merito (sia pure di primo grado), notoriamente necessitante di un coefficiente dimostrativo di maggior peso rispetto a quello della gravit indiziaria (c.d. probatio minor) necessario (e sufficiente) per ladozione delle misure cautelari personali. Tanto si riverbera evidentemente sul presente giudizio cautelare, almeno riguardo alla parte relativa alla sussistenza del reato associativo provvisoriamente contestato anche con la presente nuova richiesta cautelare, giacch tale giudizio pu davvero limitarsi a mutuare, rinnovandole e riproponendole, le conclusioni gi raggiunte in quei precedenti giurisdizionali.

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Si reputa conseguentemente utile, per evitare lappesantimento della presente trattazione rinviare, in partibus quibus, al contenuto delle predette ordinanze. Ed in particolare, quanto alla concreta evidenza degli elementi che imponevano di ritenere, ed impongono oggi anche nella diversa dimensione temporale del reato associativo provvisoriamente contestato nella nuova richiesta cautelare, ancora esistente ed operativa la cosca PESCE di Rosarno si rinvia il lettore ai 3-15 dellOrdinanza 15.11.2010 (n. 42/10 O.C.C.; 4302/06 RGNR DDA e 3567/07 R.G.Gip DDA). Ci si limiter in questa sede solo a riproporre quanto suo tempo dedotto in seno allOrdinanza 20.5.2010 circa le premesse teoriche che, secondo questo GIP, costituiscono il quadro di riferimento tecnico-giuridico entro il quale la questione della sussistenza del reato associativo, ma soprattutto le condotte dei singoli associati devono essere inquadrate per potersi concludere circa la sussistenza del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai singoli indagati. Si tratta infatti della concreta specificazione dei criteri cui ci si atterr nella valutazione delle odierne richieste del P.M.. 3. Una premessa in diritto.Al capo 1 della provvisoria contestazione il P.M. postula la commissione, da parte dei soggetti indicati del delitto di associazione di stampo ndranghetistico armata. Anticipando le conclusioni della verifica, rimessa al GIP, circa la sussistenza del presupposto della gravit indiziaria in relazione a tale addebito, si pu senzaltro riconoscere che le emergenze investigative acquisite e portate dal P.M. riscontrino lipotesi daccusa ben oltre quanto necessario (e sufficiente) ai fini del giudizio incidentale cautelare e con i soli ridimensionamenti oggettivi e soggettivi di cui si dar conto nel prosieguo. A tale scopo peraltro innanzitutto necessario svolgere alcune considerazioni di segno eminentemente tecnico-giuridico in ordine alla condotta incriminata dalla fattispecie in contestazione. Sul punto, infatti, il P.M. (al Capitolo III del fermo pagg. 20 e ss.) propone una ricostruzione della condotta punita dal delitto in esame

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che, a parere del giudicante (e senza che, per vero, ne discendano particolari conseguenze sulla concreta valutazione rimessa) risulta sostanzialmente condivisibile, solo che la si emendi da un approccio eccessivamente proiettato sulla prospettiva soggettiva della condotta e che trascuri invece la dimensione collettiva della condotta incriminata. Tanto premesso il dato di partenza non pu che essere quello normativo. Lart. 416 bis del codice penale, sotto la rubrica ASSOCIAZIONE DI TIPO MAFIOSO, al primo comma punisce chiunque fa parte di unassociazione di tipo mafioso, formata da tre o pi persone; al comma 2, peraltro lo stesso articolo, punisce pi gravemente quanti promuovono, dirigono od organizzano lassociazione mentre il comma 3 specifica che lassociazione di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza dintimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omert che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto od indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attivit economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per s o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a s o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Non ci si soffermer in questa sede sulle ragioni di politica criminale, anche simboliche in chiave di evidenziazione del particolare disvalore della criminalit mafiosa, oltre che di indole pratica ed applicativa [connesse alla necessit di apprestare rimedio alla lamentata inadeguatezza della ipotesi delittuosa di cui allart. 416 c.p. rispetto al contrasto di fenomeni criminali di cos rilevanti dimensioni quantitative e qualitative] che determinarono lintroduzione nel nostro ordinamento di tale fattispecie. Piuttosto, mette conto subito evidenziare come il delitto in questione risponda a ragioni di tutela di pi oggettivit giuridiche; ed infatti, proprio gli identificativi attribuiti allassociazione di tipo mafioso dal comma 3 dellarticolo in esame, evidenziano come le associazioni in

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parola presentino connotati di plurioffensivit, recando minaccia oltre che al bene dellordine pubblico, ad altre oggettivit di rango costituzionale, come le libert di mercato e di iniziativa economica, limparzialit ed il buon andamento della pubblica amministrazione, il libero esercizio dellelettorato attivo e passivo, la propriet. Pure con questi connotati di plurioffensivit pare indubbio che la fattispecie incriminatrice in argomento abbia mantenuto quella ratio spiccatamente preventiva tipica dei delitti associativi; il legislatore incriminando lassociazione in se stessa infatti tende appunto a prevenire, a rimuovere il pericolo che venga attuato il programma associativo, e soprattutto che tale realizzazione avvenga mediante limpiego del c.d. metodo mafioso, ovvero con avvalimento della forza di intimidazione e della condizione di assoggettamento ed omert che ne deriva, sostanziante lautentico fulcro della fattispecie incriminatrice l'in s in dell'associazione ci del resto di tipo mafioso il (secondo tratto la felice espressione di Cass. Pen., Sez. I, 25 febbraio 1991, Grassonelli). Proprio risiede principale distintivo dellassociazione in parola rispetto al genus dellassociazione a delinquere. Nella fattispecie prevista e punita dallart. 416 c.p. infatti tutto il disvalore penale viene incentrato sulle finalit del sodalizio, ovvero la commissione di pi delitti, nellassociazione di stampo mafioso invece ci che massimamente qualifica il sodalizio criminoso rappresentato dal modus operandi dell'associazione, caratterizzato dall'avvalersi della diffuso forza intimidatrice che promana dalla sociale esistenza e, stessa una dell'organizzazione, alla quale corrisponde, con nesso causale, un assoggettamento nell'ambiente dunque, situazione di generale omert () (Cass. Pen., Sez. VI, 10 febbraio 2000, n. 54, Ferone e altro), e non gi negli scopi che si intendano perseguire, atteso che questi, nella formulazione della norma, hanno carattere indicativo ed abbracciano solo genericamente i delitti, comprendendo una variet indeterminata di possibili tipologie di condotte, che possono essere costituite anche da attivit lecite, che

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hanno

come

unico

comune

denominatore

l'attuazione

od

il

conseguimento del fine attraverso l'intimidazione e l'insorgere nei terzi di situazione di omert, che pu derivare anche soltanto dalla conoscenza della pericolosit del sodalizio. (Cass. Penale, Sez. VI, 31 gennaio 1996, n. 7627, Alleruzzo; cfr. altres, Cass. Pen., Sez. VI, 6 dicembre 1994, Imerti). In ogni caso, ci che preme evidenziare che la forza di intimidazione del vincolo associativo un elemento strumentale, e non gi una modalit della condotta associativa (Cass. Pen., Sez. II, 15 aprile 1994, Matrone e altro) che da questo punto di vista, quello specificamente materiale, non si distingue affatto dalla condotta associativa incriminata dallart. 416 c.p.. Si pu a questo punto meglio specificare il contenuto della condotta tipica del delitto in esame che il legislatore, al primo comma, definisce con la locuzione, riferita allagente, fa parte. Si errerebbe infatti a parere di chi scrive - ove si ritenesse che la condotta punita sia quella, eminentemente individuale, di partecipazione ad un associazione di tipo mafioso, quasi che ai fini della rilevanza penale fosse sufficiente lopzione, appunto del singolo agente, di aderire al programma ed allattivit di un sodalizio mafioso. Corrisponde, invece, alla generale sociologia dellassociazionismo, anche quello lecito (incentivato od anche solo tollerato dallordinamento statale) la sua configurazione come fenomeno umano collettivo e non meramente individuale, come lincontro di pi soggetti che decidono di mettere insieme le proprie energie volitive e materiali per realizzare uno scopo comune che altrimenti, da soli non potrebbero realizzare o comunque realizzerebbero con maggior sforzo e difficolt. Ma tanto impone di interpretare in stretta la locuzione con fa le parte parole necessariamente persone, della condotta. ponendola relazione

successive, di unassociazione di tipo mafioso formata da tre o pi cogliendone immediatamente lunica dimensione significativa razionalmente possibile, ovvero la dimensione collettiva

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Trova cos conferma quanto s anticipato sopra circa lidentit della condotta tipica, almeno nella sua dimensione pi strettamente materiale, nella fattispecie di cui allart. 416 bis ed in quella di cui allart. 416 del codice penale. La condotta incriminata infatti, comunque e sempre, quella collettiva - dellassociarsi fra tre o pi persone ferme restando le diverse caratteristiche distintive proprie dellassociazione mafiosa rispetto allassociazione a delinquere, proprie appunto dellorganismo associativo costituito e dunque dellevento causalmente riconducibile alla condotta associativa (e come tali oggetto di necessaria rappresentazione e volont da parte degli associati), ma non elemento della condotta incriminata. In altri termini, la condotta incriminata appunto quella definita dalla rubrica dellarticolo in esame, di associazione di stampo mafioso e non di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, fermo restando che ci non significa affatto che il reato si realizzi esclusivamente nel momento in cui pi (di tre) persone, mettendo insieme stabilmente volont ed azioni positive e, in molti casi, anche beni e risorse (danaro, mezzi, armi, etc.), danno vita, costituiscono la struttura organizzata e permanentemente mafioso. La condotta associativa, infatti, si realizza anche quando, gi sussistendo la struttura permanente ed organizzata di stampo mafioso, ad essa un determinato soggetto decida di aderire. Anche in questo momento successivo, infatti, la condotta non perde la sua dimensione collettiva, essendo sempre necessario che ladesione del nuovo membro venga accettata dagli altri associati, e dunque si realizzi lincontro appunto collettivo delle volont dei membri in cui risiede lessenza del fenomeno associativo, a poco rilevando, peraltro, se per lingresso del nuovo adepto (ovvero per manifestare laccettazione dei membri gi associati), siano o meno previste particolari formalit (presentazione da parte di altri associati, cerimonie orientata alla realizzazione del programma criminoso (esplicitato nel comma 3) mediante limpiego del c.d. metodo

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di affiliazione, deliberazioni degli organi direttivi, etc.,), come per vero di norma accade per le associazioni di cui allart. 416 bis c.p., connotate da elevatissimi livelli di segretezza [La condotta di partecipazione all'associazione di tipo mafioso consiste nel fare parte dell'associazione, cio nell'esserne divenuto membro attraverso un'adesione alle regole dell'accordo associativo e un inserimento, di qualunque genere, nell'organizzazione, con carattere di permanenza. Inoltre l'adesione deve trovare un riscontro da parte dell'associazione, nel senso che questa a sua volta deve riconoscere la qualit di associato alla persona che ha manifestato l'adesione. Non occorrono atti formali o prove particolari dell'ingresso nell'associazione, che pu avvenire nei modi pi diversi ed anche solo mediante un'adesione di qualunque genere ricevuta dal capo, ma occorre che un ingresso ci sia stato, che cio una persona sia divenuta "parte" dell'associazione, e non sufficiente che con l'associazione essa sia entrata in rapporti trovandone giovamento o fornendo un contributo fattivo ad alcuni associati (Cassazione penale , sez. I, 01 settembre 1994)]; del resto, ragionando a contrario, il mancato rispetto delle particolari formalit previste per ladesione al gruppo non varrebbe certo ad escludere la consumazione del delitto in esame qualora si accerti, su un piano eminentemente oggettivo, che lassociazione si sia realizzata [In tema di associazione del tutto irrilevante, ai fini del riconoscimento o meno dell'intervenuta adesione di taluno al sodalizio criminoso, il fatto che, secondo le regole proprie di quest'ultimo, il soggetto non sia da considerare un associato a pieno titolo, dovendosi invece aver riguardo soltanto all'obiettivit della sua condotta, onde verificare se essa sia o meno rivelatrice, alla stregua della logica e della comune esperienza, di una adesione che, nei fatti, si sia comunque realizzata. (Cassazione penale , sez. I, 25 ottobre 1993, Santoriello)]. In ultima analisi, al di l della non felicissima formulazione dellarticolo in esame [risulta invero di pi agevole comprensione lo schema descrittivo impiegato dallart. 416 c.p. in cui chiaramente si evidenzia, nella prima parte, la condotta collettiva incriminata quella appunto

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associativa - pur risultando adeguatamente delineata la differenza, in termini di disvalore penale, della condotta dellassociato promotore, organizzatore e direttore dellassociazione (anche in quel caso pi gravemente punita) rispetto a quella dellassociato partecipe dellassociazione; schema peraltro efficacemente riproposto nellipotesi associativa di cui allart. 74 DPR 309/1990], rimane indubbio che la condotta tipica, anche nellassociazione di tipo mafioso, lassociarsi di tre o pi persone cui riconnesso levento della nascita dellassociazione o comunque del suo rafforzamento, determinandosi con ladesione successiva di nuovi membri laumento del numero degli associati e dunque la pericolosit del gruppo. Del resto, non vera ragione alcuna di concepire lassociazionismo di stampo mafioso, dal punto di vista della condotta tipica con connotati diversi dalle altre associazioni punite. Gli elementi specializzanti risiedono infatti tutti nei connotati propri dellevento realizzato, ovvero nellassociazione che si caratterizza, dal lato attivo, per l'utilizzazione da parte degli associati dell'intimidazione nascente dal vincolo associativo e, dal lato passivo, per la condizione di assoggettamento conseguenza per ed il omert, singolo che sia costituiscono all'esterno l'effetto che e la all'interno

dell'associazione con la conseguenza che la tipicit del modello associativo delineato dall'art. 416-bis c.p. risiede nella modalit attraverso cui l'associazione si manifesta concretamente e non gi negli scopi che si intendono perseguire, atteso che questi, nella formulazione della norma, hanno un carattere indicativo ed abbracciano solo genericamente i delitti, comprendendo una variet indeterminata di possibili tipologie di condotte, che possono essere costituite anche da attivit lecite, che hanno come unico comune denominatore l'attuazione od il conseguimento del fine attraverso l'intimidazione e il conseguente insorgere nei terzi di quella situazione di soggezione, che pu derivare anche soltanto dalla conoscenza della pericolosit di tale sodalizio (Cassazione penale, sez. I, 10 febbraio 1992, D'Alessandro e altro).

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Naturalmente potr pure continuare a definirsi la specifica condotta associativa (c.d. base), considerata dal punto di vista del singolo associato come partecipazione (del resto la responsabilit penale rimane pur sempre una declinazione singolare), purch si abbia sempre chiara la dimensione collettiva e non individuale della condotta, e tanto per evitare di sovrapporre elementi fattuali ulteriori e soprattutto estranei rispetto alla condotta incriminata. A questo punto, si crede, si sono poste le basi per rimuovere quello che, a parere del giudicante, costituisce uno degli equivoci interpretativi pi ricorrenti nella lettura della fattispecie incriminatrice in argomento, proprio facente leva su un malinteso concetto di partecipazione. Invero, si sente spesso ripetere (ed argomentare con richiamo, tuttaltro che esente da equivoci, a pronunce della Suprema Corte) che, ai fini dellaffermazione della penale responsabilit per il delitto di cui allart. 416 bis c.p. sia assolutamente necessario laccertamento dello specifico ruolo attribuito al singolo in seno al sodalizio criminoso, dello specifico e fattuale contributo portato dal medesimo alla realizzazione del programma criminoso; tant che ci si spinge pure sino a sostenere la necessit che detto specifico ruolo venga delineato gi nel capo di imputazione, Invero, tale pena la sua genericit ed indeterminatezza il frutto (con violazione del disposto degli art. 417 lett. b o 552 co. 1 lett. c). affermazione piuttosto dellerronea sovrapposizione di piani di indagine assolutamente distinti (e che tali devono invece rimanere), ovvero della confusione tra la condotta incriminata ed il percorso dimostrativo della effettiva realizzazione della condotta da parte dellimputato (nel caso dellindagato); in ultima analisi, si confonde il fatto punito (e che pu dirsi sufficientemente descritto ipotizzando lassociazione di quel particolare soggetto a quel particolare sodalizio criminoso di stampo mafioso operante in un determinato contesto spazio temporale) con la prova che quel fatto sia stato commesso dallimputato/indagato.

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Tale confusione indotta (oltre che dalla gi evidenziata infelice formulazione letterale del comma primo dellart. 416 bis c.p.) dalle ordinarie difficolt di acquisire, in seno al giudizio penale, la diretta dimostrazione delleffettiva associazione del singolo al sodalizio mafioso, difficolt evidentemente connesse al pressoch impenetrabile tegumento di omert e segretezza posto a protezione di essi sodalizi e che impone, tanto nella dimostrazione della loro esistenza che nellindividuazione dei partecipi, il ricorso alle prove indirette ed ai percorsi cognitivi inferenziali. Accade di sovente, infatti, nei processi di criminalit organizzata (in genere, ma soprattutto in quelli) di stampo mafioso che per offrire ragione in fatto della ritenuta associazione, della partecipazione del singolo, al gruppo mafioso, si argomenti da elementi fattuali reputati significativi (secondo ordinarie regole di esperienze e di conoscenza pregressa delle dinamiche di tali associazioni) delladesione allassociazione, elementi di fatto quali la partecipazione del soggetto alla commissione di delitti fine o comunque il compimento da parte dello stesso di attivit sostanzianti contributo fattivo o comunque genericamente di attivit ausiliatrici della realizzazione degli scopi dellassociazione e/o strumentali allesercizio del metodo mafioso. Ma tanto non deve trarre in inganno. Occorre comunque aver presente che la condotta punita rimane sempre quella associativa, lessere divenuti parte dellassociazione, essendo laccertamento del contributo causale alla realizzazione del programma del sodalizio od allesercizio del metodo mafioso, meri elementi sintomatici, significativi, dellintervenuta associazione e non elementi costitutivi della condotta incriminata. A seguire lopinione che qui si contrasta, del resto, si potrebbe (si ritiene, assurdamente) del fatto pervenire da parte alla conclusione per della difetto non di commissione dellimputato

accertamento in ordine al ruolo attribuito al medesimo in seno allorganigramma del sodalizio mafioso e pure in presenza della piena e diretta dimostrazione della sua (consapevole e volontaria) associazione

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al gruppo (con riconoscimento ed accettazione da parte degli altri associati). Dal punto di vista della condotta tipica, si reputa allora lecito affermare che lassociazione a sodalizio mafioso sia qualcosa di meno rispetto alla partecipazione intesa come realizzazione concreta di un contributo fattivo allestrinsecazione del metodo mafioso e/o alla realizzazione del programma associativo; come detto, infatti allintegrazione del delitto sar sufficiente che il singolo, abbia aderito allassociazione divenendo parte di essa, che si sia realizzato il suo inserimento nellorganigramma del sodalizio e cos la stabile e permanente messa a disposizione del gruppo della propria capacit di contribuire allesercizio del metodo mafioso e delle finalit sociali. In altri termini, ladesione al gruppo mafioso gi realizza la condotta incriminata nella misura in cui realizza le condizioni perch il singolo membro possa esprimere, anche in termini di mera (anche se concreta e riconosciuta dagli altri adepti) potenzialit, la propria capacit contributiva agli scopi ed allazione del sodalizio, e sempre che ci sia chiamato a fare appunto dallinterno del sodalizio medesimo, con connotati di stabilit e permanenza. Al tempo stesso, per, non v dubbio che lassociazione a sodalizio mafioso sia qualcosa di pi rispetto alla mera appartenenza ad associazione mafiosa, condizione soggettiva elevata dallart. 1 della L. 575/1965 a specificazione della pericolosit sociale qualificata presupposto dellapplicazione delle misure di prevenzione antimafia; questultima condizione infatti, lungi dal presupporre leffettivo e stabile inserimento nel gruppo, individua tutte quelle situazioni di vicinanza, di contiguit, di adesione (questa s individuale e non collettiva) allassociazione stessa che risultino variamente funzionali agli interessi della struttura criminale (eventualmente anche integranti il c.d. concorso esterno) e come tali denotanti la pericolosit sociale specifica sottendente il trattamento prevenzionale (cfr. Cass. Pen., sez. I, 16 gennaio 2002, n. 5649, Scamardo).

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Anche il reato associativo in esame come s detto di pericolo (e dunque opera in chiave preventiva della lesione dei beni tutelati) e tuttavia per la sua consumazione necessario che si realizzi, non la mera appartenenza, quanto leffettiva e stabile compenetrazione organica del singolo nel sodalizio di cui allart. 416 bis c.p.: in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, pi che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Cass. Pen., Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino; nello stesso senso Cass. Pen. Sez. I, 11.12.2007, 1470). Dalla massima citata peraltro pu desumersi che la compenetrazione organica per pure sufficiente allintegrazione del reato, giacch reputata dal legislatore contributo fattivo alla permanenza in essere dellassociazione, la quale esprime la propria capacit offensiva degli interessi tutelati, in primo luogo, nellincremento delle fila dei propri membri, i quali rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi e per lesercizio del metodo mafioso, realizzano per ci solo il pericolo che la norma intende prevenire. Ed infatti, il personale inserimento in un organismo collettivo con soggezione alle sue regole e comandi non esprime solo lappartenenza del singolo al gruppo criminale ma costituisce altres la prova del contributo causale, che immanente nell'obbligo di prestare ogni propria cos la disponibilit potenzialit al servizio e la della cosca, di accrescendone operativa capacit

inserimento nel tessuto sociale anche merc l'aumento numerico dei suoi membri (Cass. Pen. Sez. II, 28.1.2000, n. 5343, Oliveri; cfr. pure, Sez. I, 25.2.1991, Grassonelli).

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in questo senso che va interpretata laffermazione ricorrente nella giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui non necessario perch si realizzi la condizione di partecipazione dei singoli associati, () che ciascuno utilizzi la forza di intimidazione n consegua direttamente per s o per altri il profitto o il vantaggio da realizzare attraverso l'associazione, che contrassegnato dal connotato dall'ingiustizia (Cass. Pen., Sez. II, 15 aprile 1994, Matrone; nello stesso senso, Sez. I, 25.2.1991, Grassonelli). La conclusione cui s pervenuti ha delle immediate ricadute su quello che il giudizio di fatto nei processi/procedimenti in cui risulta contestato il delitto di cui allart. 416 bis c.p.. Poich infatti la condotta tipica incriminata proprio costituita dallassociarsi in un, o ad un, sodalizio che abbia i connotati propri dal comma 3 dellart. 416 bis c.p., deve reputarsi necessario e sufficiente ai fini dellintegrazione della materialit della condotta punita dalla fattispecie: a) laccertamento della realizzazione dellevento, ovvero laccertamento della sussistenza di unassociazione di stampo mafioso, ovvero di un gruppo organizzato che composto da tre o pi persone presenti i tratti distintivi delineati dal comma 3 dellart. 416 bis c.p.; b) dal punto di vista del soggetto imputato/indagato, la dimostrazione dellintervenuta sua associazione (naturalmente consapevole e volontaria, trattandosi di delitto doloso), ovvero il suo stabile inserimento nel gruppo gi reputato ex lege contributo causale alla realizzazione dellevento sopradetto. Solo nellipotesi in cui al soggetto sia pure contestata la fattispecie associativa aggravata di aver esercitato in seno al gruppo uno dei particolari ruoli (di promozione, direzione od organizzazione) delineati dal comma 2, laccertamento dovr pure necessariamente orientarsi verso la concreta verifica del ruolo o dei compiti concretamente svolti in seno allorganizzazione mafiosa. **************

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Come si verificher nel prosieguo, le emergenze acquisite riscontrano appieno lipotizzata esistenza, nel periodo di tempo in contestazione, di una cosca di ndrangheta armata detta ndrina Pesce operante in Rosarno e zone limitrofe, oltre che per il tramite di sua articolazione nel milanese. A tal fine si reputa davvero sufficiente fare riferimento a quanto argomentato dal P.M. nel provvedimento di fermo [il riferimento era evidentemente al fermo del 26.4.2010]. In un secondo momento [distinguibile logicamente, pi che concretamente, essendo il pi delle volte le emergenze in fatto al tempo stesso significative in direzione oggettiva e soggettiva], si verificher se le emergenze acquisite consentano anche di concludere per leffettiva associazione (intesa appunto come compenetrazione organica e messa a disposizione) dei singoli indagati alla cosca in argomento, dovendosi peraltro in relazione ad alcuni di essi effettuare la verifica aggiuntiva circa leffettivo assolvimento degli specifici compiti di promozione-organizzazione della cosca loro attribuiti nel capo daccusa. Sin da ora peraltro, occorre chiarire come anche il presente giudizio cautelare, in punto di fatto (secondo quella che appare essere una costante dei procedimenti di criminalit organizzata di stampo ndranghetistico caratterizzati generalmente da un modesto apporto dei collaboratori di giustizia), si giover massimamente di prove indirette e tanto sia quanto al momento della verifica concernente la sussistenza dellassociazione, sia con riferimento alle posizioni dei singoli associati. Si tratta tuttavia di un percorso ricostruttivo che, anche in relazione a tale specifico momento, ha gi registrato lavallo esplicito della Suprema Corte (e peraltro in un contesto quello del giudizio di merito, ben pi pregnante dal punto di vista della verifica fattuale). stato infatti osservato che lassociazione a sodalizio di cui allart. 416 bis c.p. pu essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno

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della criminalit di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi lorganica appartenenza al sodalizio criminoso; il limite solo quello ordinario sancito dallart. 192 co. 2 c.p.p.: deve trattarsi di indizi gravi e precisi () idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico la periodo S.C. temporale ha pure nelle rituale, considerato pregresse fasi dall'imputazione, di osservazione che e

esemplificativamente indicato ne i comportamenti tenuti prova, l'affiliazione

l'investitura della qualifica di uomo d'onore, la commissione di delittiscopo, oltre a molteplici, e per significativi facta concludentia (cfr. motiv. Sezioni Unite, 12.7.2005, cit.).

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1.2. La genesi dellindagine, gli elementi di prova ed i loro criteri di valutazione.Prima di passare alla valutazione del merito della richiesta si reputa utile mutuare integralmente le considerazioni di metodo svolte dal GIP palmese circa i criteri seguiti nella ricostruzione delle emergenze in fatto e diritto. () Ha infatti considerato il primo GIP [nellordinanza 11.2.2012, n.d.e.]: Fatte le premesse che precedono, sotto il versante metodologico si evidenzia che la complessit dei fatti di causa ed i limiti temporali di un tempestivo intervento del Giudice impongono procedure semplificate di illustrazione dei fatti. In ragione di ci, attesa la completezza della richiesta del P.M. e la bont delle valutazioni in diritto dallo stesso articolate e che si condividono- si proceder ad un richiamo pressoch integrale delle varie parti della stessa, riservandosi questo Giudice le sue valutazioni conclusive, che verranno espresse alla fine di ogni singola sezione dedicata ai vari indagati. Del resto, si osserva che questa metodica operativa, per nulla inusuale in procedure di tal genere, risulta in linea con i principi affermati dalla Suprema Corte, sez. IV, nella sentenza 14 novembre 2007 - 28 gennaio 2008 n. 4181, imp. Benincasa, laddove si afferma che la motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale da considerarsi legittima quando: a) faccia riferimento ad altro atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua decisione; c) l'atto di riferimento sia conosciuto dall'interessato o almeno a lui ostensibile. Orbene, nel caso specifico, si evidenzia come il P.M. nelle premesse del suo lavoro ha specificato lorigine di questa indagine; ha illustrato le varie fonti di prova (costituite in principal modo da intercettazioni telefoniche ed ambientali); ha riportato diligentemente i principi di diritto comunemente adottati in materia (e che si fondano sulle pronunce pressoch uniformi della Suprema Corte) in tema di valutazione da dare ai materiali captativi, distinguendo la loro differente portata dimostrativa a seconda che si tratti di intercettazioni autoaccusatorie, parzialmente autoaccusatorie o totalmente eteroaccusatore; ha, poi, illustrato compiutamente i profili di identificazione delle voci dei conversanti (legati allutilizzo di schede telefoniche a loro nome; dal riferimento specifico alle rispettive identit effettuate da molti di loro nel corso dei colloqui che venivano di volta in volta captati; dalla pregressa conoscenza che gli inquirenti avevano dei singoli indagati, comprensiva dei rispettivi soprannomi; dalla familiarit acquisita con le loro voci durante il lungo periodo di lascolto, che spesso veniva confortata da puntuali servizi di osservazione dinamica sul territorio); ha, infine, riassunto i principi di diritto uniformemente espressi dalla Suprema Corte in tema di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di Giustizia (quali sono, nel caso specifico, Cacciola Maria Concetta, Pesce Giuseppina e Facchinetti Salvatore).[Si vedr oltre che le dichiarazioni della CACCIOLA meritano in realt altro inquadramento tecnico-processuale, n.d.e.] Insomma, si tratta di un inquadramento preliminare dellindagine e dei metodi di valutazione della prova che, proprio perch attinge a parametri largamente condivisi e che questo Giudice fa propri, viene riportata nella sua interezza, salve le valutazioni di merito che verranno

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analiticamente compiute nella sezione conclusiva di questo lavoro, allorch cio saranno passate in rassegna le posizioni dei singoli indagati, rispetto ai quali vi sar un controllo ad opera di chi scrive che sar maggiormente e doverosamente penetrante ed incisivo, nei termini gi accennati in precedenza. In ultimo, si rammenta che la richiesta cautelare del P.M. si divide sostanzialmente in due distinte parti, che ricalcano i due filoni di indagini convergenti di cui si diceva. E cos nel primo di essi si affronter la genesi e ed il triste epilogo della collaborazione di Cacciola Maria Concetta, mentre nella seconda parte si illustrer lo sviluppo investigativo compiuto con riferimento al famoso pizzino sequestrato a Pesce Francesco, cl. 78. Non resta, quindi, che richiamare la richiesta del P.M. che, nel merito del primo troncone di indagine, cos si espresso. PREMESSA In data 26 aprile 2010 la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria emetteva un provvedimento di fermo di indiziato di delitto nei confronti di 40 indagati (qui da intendersi integralmente riportato), per il reato associativo sopra indicato ed altri reati fine, nellambito del procedimento 4302/06 RGNR DDA (cd. ALL INSIDE), che consentiva, attraverso unarticolata e complessa attivit di indagine interforze, la disarticolazione di una delle pi potenti ed egemoni cosche operanti nellambito dellassociazione di tipo mafioso denominata 'ndrangheta: la cosca PESCE di Rosarno. Lattivit di indagine All Inside riusciva a dimostrare che PESCE Francesco cl. 78 a causa della lunga detenzione protrattasi sin dal 1993 del padre Antonino, storico leader del gruppo criminale, aveva di fatto assunto la guida della potente cosca mafiosa, che dominava con lucidit ed efferatezza, con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere, degli obiettivi da perseguire, delle attivit economiche da avviare e attraverso cui riciclare il denaro e le altre utilit provento delle dette azioni delittuose, in riferimento allintera organizzazione criminale. PESCE Francesco cl. 78 era riuscito - insieme ai suoi pi stretti collaboratori, tra cui il fratello PESCE Giuseppe cl. 80, tuttora latitanti - a sottrarsi alla esecuzione del provvedimento coercitivo in data 28.4.2010. Il provvedimento di fermo del 26.4.2010 veniva confermato sia dal Gip presso il Tribunale di Palmi, che dal Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria ex art. 27 cpp, ad eccezione di alcune marginali posizioni. Il Tribunale della Libert di Reggio Calabria confermava tutti i provvedimenti coercitivi. In data 24 novembre 2010, venivano, altres, contemporaneamente eseguiti unordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 15 indagati e

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un provvedimento di fermo di indiziato di delitto per altri nove soggetti (atti qui da intendersi integralmente richiamati). Anche questi provvedimenti coercitivi venivano confermati dal Gip di Palmi (competente per il fermo di indiziato di delitto) e successivamente dal Gip di Reggio Calabria ex art. 27 c.p.p., ad eccezione delle posizioni di SIBIO Domenico ed ARENA Domenico. Il Tribunale della Libert confermava anche questi provvedimenti coercitivi. In data 23 marzo 2011, veniva depositata richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli imputati ed, in data 23 aprile 2011, allesito della celebrazione delludienza preliminare, il GUP presso il Tribunale di Reggio Calabria emetteva decreto che dispone il giudizio nei confronti di tutti gli imputati che non chiedevano di essere giudicati con il rito abbreviato, innanzi al Tribunale di Palmi, ove il dibattimento attualmente in corso. In data 9 agosto 2011, i Carabinieri del Nucleo Investigativo Reparto Operativo e del ROS di Reggio Calabria, allesito di complessa attivit di indagine, procedevano alla cattura del latitante PESCE Francesco cl. 78, rifugiatosi allinterno di un bunker dotato di ogni comfort e di un sofisticato sistema di videosorveglianza, con ben 16 telecamere a raggi infrarossi. Il bunker era sito in Rosarno, allinterno di unarea adibita a deposito giudiziale, di pertinenza di PRONESTI Antonio (tratto in arresto con laccusa di favoreggiamento aggravato dallart. 7 D.L. n. 152/91), a dimostrazione che la potente forza di intimidazione, il controllo del territorio, la capacit di penetrazione nei vari livelli della societ civile della cosca PESCE avevano consentito al giovane boss di trascorrere il lungo periodo di latitanza senza allontanarsi dal territorio di Rosarno, cos come del resto gi accaduto in passato per gli altri latitanti del gruppo. Nei confronti di PRONESTI Antonio veniva emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere. In data 20 settembre 2011, infine, sulla base delleccezionale compendio investigativo raccolto nellindagine All Inside ed a conferma della solidit del quadro accusatorio, il GUP di Reggio Calabria pronunciava sentenza di condanna nei confronti di tutti gli imputati (ad eccezione di una posizione marginale). PESCE Vincenzo cl. 59 e PESCE Francesco cl. 78, con la diminuente del rito abbreviato, venivano condannati alla pena di anni 20 di reclusione ciascuno, per il reato di appartenenza allassociazione mafiosa (di cui sono stati ritenuti esponenti di vertice) e numerosi reati fine (v. dispositivo in atti). Per quanto attiene lesistenza della cosca mafiosa PESCE, pertanto, si fa espresso rinvio ai provvedimenti coercitivi ed alla sentenza in sede di rito abbreviato (qui da intendersi integralmente riportata e condivisa) del Gip

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presso il Tribunale di Reggio Calabria, in data 20 settembre 2011, emessi nellambito del procedimento 4302/06 RGNR DDA (cd. All Inside). LE FONTI DI PROVA Il presente provvedimento di fermo si fonda su molteplici ed eterogenei elementi di prova, che convergono in modo univoco e concludente per la partecipazione di tutti gli indagati alla cosca di ndrangheta PESCE: - dichiarazioni rese dalla testimone di giustizia CACCIOLA Maria Concetta; - dichiarazioni rese dalla collaboratrice di giustizia PESCE Giuseppina; - dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia FACCHINETTI Salvatore; - intercettazioni tra presenti allinterno dellautovettura VW Golf targata DJ874ZM in uso a MARAFIOTI Saverio; - sequestro, in data 11/08/2011, di un pizzino nella disponibilit di PESCE Francesco cl. 78; LATTIVITA DI INTERCETTAZIONE Il materiale probatorio che analizzeremo si fonda anche sulle conversazioni tra presenti registrate allinterno dellautovettura autovettura VW Golf targata DJ874ZM, in uso al MARAFIOTI e su intercettazioni telefoniche. Va subito rilevato che, con riferimento alle intercettazioni eseguite allinterno della predetta autovettura, lidentificazione dei singoli interlocutori si rivelava assai agevole, in quanto, gli stessi conversanti facevano ripetuti riferimenti personali che consentivano agli investigatori di risalire agevolmente alla identit dei colloquianti. Anche lidentificazione dei dialoganti nelle telefonate intercettate non poneva particolari problemi, trattandosi di soggetti che utilizzavano utenze intestate a se stessi o a familiari. Lesattezza dellidentificazione veniva assicurata anche dalle notizie fornite dai medesimi conversanti, dati conoscitivi opportunamente sviluppati, ad esempio, quali luso di nomi o dei diminutivi corrispondenti ai nomi di battesimo ovvero di soprannomi perfettamente conosciuti dalla PG operante sul territorio e, comunque, poi facilmente conoscibili attraverso la ripetuta lettura delle conversazioni intercettate ed il confronto fra esse. La combinazione di tali elementi, o anche solo di alcuni di essi, consente di conferire adeguato valore di affidabilit anche al riconoscimento vocale soggettivo esperito dagli operanti, che - adusi alla voce - sono in grado di

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procedere alla identificazione, per familiarit, dellinterlocutore e con una soglia elevata di affidabilit. LA VALENZA DELLE CONVERSAZIONI INTERCETTATE Con particolare riferimento alle conversazioni tra presenti registrate allinterno dellautovettura in uso a MARAFIOTI Saverio, evidente la spontaneit delle stesse, circostanza che si desume chiaramente dallo stesso contenuto degli argomenti affrontati nel corso dei dialoghi, come a breve si evidenzier. Il tenore insolitamente esplicito di alcuni dialoghi captati certamente da attribuire al fatto che i conversanti ritenevano di parlare in un luogo assolutamente sicuro e proprio per tale ragione abbandonavano ogni prudenza ed affrontavano con assoluta chiarezza questioni di eccezionale interesse investigativo. Il criterio interpretativo delle conversazioni intercettate Prima di analizzare il materiale probatorio opportuno precisare che, nel corso dei colloqui registrati allinterno dellautovettura sopra indicata sono state captate dichiarazioni sia autoaccusatorie sia eteroaccusatorie. Per cui appare preliminarmente necessario chiarire quale sia stato il criterio utilizzato da questo Ufficio nellinterpretazione delle conversazioni intercettate. In proposito occorre innanzitutto rilevare che indiscutibile generale dei soggetti intercettati, desumibile dal loro stabile nellassociazione a delinquere denominata ndrangheta, che si dal rapporto di estrema fiducia che lega MARAFIOTI Saverio al Francesco cl. 78, che dallesame complessivo del contenuto conversazioni captate. laffidabilit inserimento desume sia boss PESCE di tutte le

Nulla quaestio con riferimento alle c.d. dichiarazioni autoaccusatorie intercettate -rivelatesi intrinsecamente attendibili e logicamente credibiliche non necessiterebbero di alcun elemento di riscontro o di conferma, che pure spesso in concreto stato acquisito. Per quanto attiene MARAFIOTI, le dichiarazioni registrate costituiscano nella quasi totalit dei casi una piena ammissione di responsabilit quale associato mafioso. Non emersa ragione alcuna, del resto, per ritenere che le dichiarazioni autoccusatorie registrate fossero oggetto di invenzione o fantasia, tenuto anche conto dellassoluta delicatezza e importanza delle questioni oggetto dei dialoghi.

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Quanto alle dichiarazioni eteroaccusatorie, evidente che queste abbiano una maggiore e pi pregnante valenza probatoria soprattutto quando la fonte conoscitiva del soggetto conversante sia diretta. Andranno distinti, ovviamente, i casi in cui la dichiarazione eteroaccusatoria si sia risolta in