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1 Organizzazione amministrativa e garanzie dell’imparzialità 1 Funzioni amministrative e funzionari alla luce del principio di distinzione tra politica e amministrazione Francesco Merloni Sommario: 1. La premessa. – 2. L’elemento oggettivo dell’organizzazione: l’individuazione di funzioni. 3. La funzione come nozione tipica dell’organizzazione. – 4. Dalla funzione alla competenza. – 5. La competenza e l’organo. - 6. La conoscibilità e controllabilità delle scelte organizzative. – 7. Distribuzione di competenze e principio di distinzione. – 8. L’elemento personale come tratto fondamentale dell’organizzazione. – 9. Il titolare dell’ufficio/organo nel modello della responsabilità ministeriale. – 10. Il titolare dell’ufficio/organo nel modello di distinzione tra politica e amministrazione. – 11. La rilettura dei principi costituzionali sui pubblici funzionari. – 12. La disciplina dello status dei titolari degli organi che svolgono (o concorrono allo svolgimento delle) attività di indirizzo. – 13. La disciplina dello status dei titolari degli organi che svolgono attività di gestione. – 14. Il carattere indiretto delle garanzie sull’imparzialità dei titolari di uffici/organi e il controllo democratico dei cittadini. – 15. La dimensione organizzativa della garanzia dell’imparzialità. 1. La premessa - La recente giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di spoils system (sentenze n. 233 del 2006 e 103 e 104 del 2007) costituisce un’eccellente occasione per ritornare sui principi generali in materia di garanzie organizzative dell’interesse pubblico, del perseguimento imparziale delle finalità e degli scopi fissati dalla legge, dell’esercizio imparziale delle funzioni attribuite alle pubbliche amministrazioni. La Corte, sia pure con ritardi e contraddizioni, afferma principi generali che vanno ben al di là dello stretto oggetto, la legittimità costituzionale di leggi statali e regionali che dispongono la decadenza automatica di alcune figure dirigenziali in seguito all’insediamento di nuovi organi di indirizzo politico. 1 Questo scritto costituisce un’ampia rielaborazione della relazione tenuta al Convegno “Interesse pubblico e disegno organizzativo delle Pubbliche Amministrazioni” (Palermo 20- 21 febbraio 2009).

Organizzazione amministrativa e garanzie dell’imparzialitàscienzepolitiche.unipg.it/tutor/uploads/organizzazione... · 9 Vedi M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della

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Organizzazione amministrativa e garanzie dell’imparzialità1

Funzioni amministrative e funzionari alla luce del principio di distinzione tra politica e amministrazione Francesco Merloni

Sommario: 1. La premessa. – 2. L’elemento oggettivo dell’organizzazione: l’individuazione di funzioni. – 3. La funzione come nozione tipica dell’organizzazione. – 4. Dalla funzione alla competenza. – 5. La competenza e l’organo. - 6. La conoscibilità e controllabilità delle scelte organizzative. – 7. Distribuzione di competenze e principio di distinzione. – 8. L’elemento personale come tratto fondamentale dell’organizzazione. – 9. Il titolare dell’ufficio/organo nel modello della responsabilità ministeriale. – 10. Il titolare dell’ufficio/organo nel modello di distinzione tra politica e amministrazione. – 11. La rilettura dei principi costituzionali sui pubblici funzionari. – 12. La disciplina dello status dei titolari degli organi che svolgono (o concorrono allo svolgimento delle) attività di indirizzo. – 13. La disciplina dello status dei titolari degli organi che svolgono attività di gestione. – 14. Il carattere indiretto delle garanzie sull’imparzialità dei titolari di uffici/organi e il controllo democratico dei cittadini. – 15. La dimensione organizzativa della garanzia dell’imparzialità.

1. La premessa - La recente giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di spoils system (sentenze n. 233 del 2006 e 103 e 104 del 2007) costituisce un’eccellente occasione per ritornare sui principi generali in materia di garanzie organizzative dell’interesse pubblico, del perseguimento imparziale delle finalità e degli scopi fissati dalla legge, dell’esercizio imparziale delle funzioni attribuite alle pubbliche amministrazioni. La Corte, sia pure con ritardi e contraddizioni, afferma principi generali che vanno ben al di là dello stretto oggetto, la legittimità costituzionale di leggi statali e regionali che dispongono la decadenza automatica di alcune figure dirigenziali in seguito all’insediamento di nuovi organi di indirizzo politico.

1 Questo scritto costituisce un’ampia rielaborazione della relazione tenuta al Convegno “Interesse pubblico e disegno organizzativo delle Pubbliche Amministrazioni” (Palermo 20-21 febbraio 2009).

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La Corte realizza una progressiva delimitazione del campo di applicazione della decadenza automatica, considerandola legittima solo per le figure “apicali” all’interno delle pubbliche amministrazioni, cioè per le figure più “vicine” agli organi politici e ad essi legati da rapporti di tipo fiduciario. Soggetti legati da rapporti fiduciari sono utili allo stesso funzionamento degli organi politici2, ma la configurazione come fiduciario di ogni incarico dirigenziale, con la conseguente applicazione generalizzata dello spoils system, sarebbe in contrasto con i principi di buon andamento (per lesione del principio di continuità dell’azione amministrativa) e di imparzialità. Pur nei limiti già altrove segnalati3, questa giurisprudenza ha il pregio di collegare strettamente l’elemento soggettivo e l’elemento oggettivo dell’organizzazione amministrativa. Occupandosi di spoils system, la Corte avrebbe potuto limitare il suo intervento alla sola salvaguardia della posizione individuale del dirigente all’interno dell’organizzazione e in particolare nei confronti delle possibili intromissioni degli organi politici. Al contrario, nelle sue sentenze, la Corte stabilisce un nesso stretto tra la garanzia della posizione personale, indipendente4, del dirigente e l’introduzione, nel nostro ordinamento, del principio di distinzione tra competenze degli organi politici e organi amministrativi Come vera e propria

2 Essi possono fornire migliori informazioni relativamente agli atti di indirizzo da adottare, conoscenza delle amministrazioni, più fluidi rapporti con la dirigenza nella trasmissione dell’indirizzo. 3 Poco convincente il criterio che fa coincidere la fiduciarietà degli incarichi con la posizione istituzionale dei relativi uffici (uffici apicali), laddove il criterio distintivo coerente con il principio di distinzione si fonda sulle funzioni esercitate: a incarico fiduciario corrisponde lo svolgimento di compiti connessi all’area dell’indirizzo politico (collaborazione con gli organi politici, coordinamento dei dirigenti in vista dell’attuazione dell’indirizzo), mentre a svolgimento di compiti di gestione amministrativa corrispondono incarichi di natura professionale e non fiduciaria. Su questo vedi i commenti di F. MERLONI: Primi incerti tentativi di arginare lo spoils system nelle Regioni, in Le Regioni, n. 1/2007, pagg. 137-151; Lo spoils system è inapplicabile alla dirigenza professionale: dalla Corte nuovi passi nella giusta direzione (commento alle sentt. n. 103 e 104 del 2007), in Le Regioni, n. 5/2007, pag. 836-848. Si veda anche F. MERLONI, Gli incarichi fiduciari, in G. D'ALESSIO (a cura di) L'amministrazione come professione, Bologna, Il Mulino, 2008, pagg. 117-123. 4 Sull’indipendenza come tratto riferibile alle persone titolari di organi e uffici e non alle amministrazioni pubbliche si veda B. PONTI, La nozione di indipendenza nel diritto pubblico come condizione del funzionario, in Dir. Pubbl., n.1, 2006, pagg. 185-246.

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riserva delle competenze di gestione e di adozione ai dirigenti. Ma si arriva più oltre, affermando la diretta derivazione del principio di distinzione dalle disposizioni costituzionali5, rendendolo così principio generalissimo dell’organizzazione valido per tutte le pubbliche amministrazioni6. E, va sottolineato, le disposizioni costituzionali richiamate riguardano, ancora, tanto l’elemento oggettivo («il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione»; la determinazione delle «sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità», art. 97 Cost.) quanto l’elemento soggettivo («le sfere di competenze, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari», «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante

5 Corte cost. sent. n. 103 del 2007: “La Corte, poi, ha affermato che gli artt. 97 e 98 Cost. sono corollari dell’imparzialità, in cui si esprime la distinzione tra politica e amministrazione”. 6 Il principio, dettato con riferimento alle amministrazioni statali, è principio generale, non tanto per il meccanismo di adeguamento previsto dalla legge (art. 27 del lgs. n. 165), quanto perché può essere definito come direttamente derivante da principi costituzionali (articoli, 54, 97, 98 Cost.) In questo modo si supera anche il problema della non chiara legittimazione della legge statale a fissare principi di organizzazione validi anche per le altre amministrazioni pubbliche, in specie gli enti territoriali, dal momento che la Costituzione oggi riserva alla legge statale solo la materia dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» (art. 117, comma 2, lettera g)). La diretta derivazione costituzionale del principio fa sì che la legge statale non può più imporre alle altre amministrazioni il suo modello organizzativo, ma semmai contiene un’esplicitazione del contenuto delle disposizioni costituzionali. La cui applicazione spetta anche alle leggi regionali, che potranno ulteriormente declinare e disciplinare nel dettaglio il principio, differenziando il proprio modello organizzativo. In questo senso vedi F. MERLONI nel capitolo Principi generali comuni alla dirigenza delle Stato e delle amministrazioni regionali e locali, in G. D’ALESSIO (a cura di), L’amministrazione come professione, Bologna, Il Mulino, 2008, pagg. 211-215. Diversa la soluzione adottata dalla recente legge “Brunetta” (Legge 4 marzo 2009, n. 15, «Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e all’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti»), che, all’articolo 2, comma 4, prevede che «i decreti legislativi di cui al comma 1 individuano le disposizioni rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, e quelle contenenti principi generali dell’ordinamento giuridico (corsivo nostro), ai quali si adeguano le regioni e gli enti locali negli ambiti di rispettiva competenza». Sulla differenzazione dei modelli organizzativi dopo l’entrata in vigore del nuovo Titolo V vedi E CARLONI, Lo stato differenziato, Torino, Giappichelli, 2004.

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concorso», art. 97; «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione».)7. L’imparzialità dell’amministrazione è, quindi, assicurata sia dalla riserva di competenze a favore dei dirigenti, sia dalle disposizioni che garantiscono che essi svolgano i compiti loro affidati senza gli impropri condizionamenti che la Corte collega all’adozione di meccanismi di automatica decadenza dall’incarico. Si tratta, sempre, di garanzie di imparzialità che vengono offerte dall’organizzazione amministrativa in quanto tale, ancora prima dello svolgimento dell’azione amministrativa, della puntuale individuazione dell’interesse pubblico. Un’organizzazione che è composta, in egual misura, dall’elemento oggettivo (la distribuzione delle competenze) e da quello soggettivo (la posizione del titolare dell’organo cui sono attribuite le competenze). 2. L’elemento oggettivo dell’organizzazione: l’individuazione di funzioni - Il primo punto da affrontare è l’emergere progressivo delle garanzie fornite dall’organizzazione rispetto al tradizionale approccio che vede la garanzia fondamentale legata allo svolgimento dell’attività amministrativa. Il punto di partenza può esser così riassunto: l’interesse pubblico è individuato e curato con attività svolte da pubbliche amministrazioni. Le garanzie per il cittadino sono procedimentali (far valere i propri interessi prima che la decisione sia assunta) e giurisdizionali (chiedere ad un giudice tutela rispetto ad atti che ledono le proprie situazioni giuridiche soggettive). L’organizzazione, come complesso di regole che predispongono le condizioni per lo svolgimento di attività finalizzate alla decisione amministrativa, è strumentale rispetto al vero momento di emersione giuridica del potere amministrativo: l’adozione dell’atto che ha effetti conformativi delle situazioni giuridiche del cittadino interessato. L’organizzazione costituisce, in questa visione, il “retrobottega” dell’azione amministrativa. L’organizzazione “concorre” alla cura di un interesse pubblico, ma non è cura dell’interesse.

7 Principi cui vanno connessi quelli dell’articolo 28 Cost. sulla responsabilità dei «funzionari e [dei] dipendenti dello Stato e degli enti pubblici» e dell’articolo 54 Cost.: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore».

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Questa impostazione è, almeno nella dottrina italiana, da tempo largamente superata, a favore di una rilevanza giuridica propria dell’organizzazione, in funzione di garanzia dell’imparzialità, nell’interesse generale e del cittadino. Questa significativa evoluzione si è realizzata, in primo luogo, intorno alla nozione di funzione. La disciplina dell’attività come prima garanzia delle situazioni giuridiche del cittadino è stata ricostruita da Giannini come “funzionalizzazione”: le attività svolte dalle pubbliche amministrazioni acquistano rilevanza giuridica, diventano “funzione”, in virtù del principio di legalità8. Spetta alla legge fissare obiettivi (quali interessi curare, quali interessi possono esser individuati come pubblici) e disciplinare lo svolgimento dell’azione (procedimento). L’attività è predefinita, perché occorre predefinire il potere, sia al fine di dargli una posizione di prevalenza (sugli interessi privati), sia al fine di limitarlo. Se l’attività, per acquistare rilevanza giuridica, deve essere predefinita in rapporto allo scopo che deve raggiungere, il passaggio fondamentale al fine del controllo sul corretto esercizio del potere sta nell’attribuzione di quell’attività predefinita, di quella funzione, ad un soggetto, ad un “ufficio” (nel suo significato più ampio). Dal punto di vista dell’organizzazione la funzione resta pre-determinazione di attività, predefinizione di un potere9, di un’attività potenziale che si tradurrà in atto, solo al momento del suo concreto svolgimento (nel rispetto di regole, quelle che siamo soliti chiamare sull’attività amministrativa, anch’esse predeterminate, a garanzia del cittadino). Ma non basta che la legge predefinisca una funzione; la deve anche assegnare ad un soggetto visibile, riconoscibile (e adeguato) perché la svolga. L’autore che ha dato il più significativo contributo di teoria generale alla nozione di funzione10, pur fortemente influenzato dalla costruzione

8 Vedi M.S. GIANNINI, Corso di diritto amministrativo, Milano, Giuffré, 1965, per il quale la funzione amministrativa, come ogni altra funzione, è «la rilevanza giuridica non del solo atto, ma dell’intera attività sotto il profilo dell’attitudine dei mezzi scelti al fine giuridico da conseguire», pag. 84. 9 Vedi M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, Giuffré, 1966, che parla di organizzazione come «momento astratto della prefigurazione dell’attività» (pag. 126). 10 F. MODUGNO, Funzione, in Enc. dir.

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gianniniana della funzione come attività funzionalizzata, sottolinea la stretta correlazione tra functio e officium, tra attività e soggetto11 cui essa viene affidata per lo svolgimento in concreto. Perché si abbia attività pubblica giuridicamente rilevante l’attribuzione ad un ufficio è passaggio ineliminabile. Qui sta la differenza tra attività e organizzazione privata e attività e organizzazione pubblica: nella prima ciò che veramente conta è l’attività e la sua riferibilità ad una persona (fisica o giuridica); per la seconda rileva non solo l’attività ma la sua attribuzione ad un ufficio, individuato in rapporto a sue determinate caratteristiche. La disciplina pubblicistica dell’organizzazione è funzionale a far emergere quali siano le attività individuate dalla legge in vista del raggiungimento delle finalità generali da essa prefissate, ad articolare gli uffici in modo che essi corrispondano alle esigenze di svolgimento delle attività (ovvero a distribuire le attività in rapporto alle caratteristiche degli uffici). Nella ripartizione che questo autore fa tra funzione-scopo, funzione-compito e funzione-ufficio possiamo intravedere non solo gli elementi costitutivi della nozione di funzione ma la successione logica, le fasi, di un processo di progressiva definizione dell’organizzazione amministrativa. Con la funzione-scopo12 possiamo intendere, quindi, la scelta che consiste nell’individuazione della finalità generale da perseguire. Esistono tante funzioni quanti sono gli scopi generali assunti dall’ordinamento13. Non esiste una “funzione amministrativa” in generale, ma tante funzioni, riconducibili,

11 Anche se non mancano nel diritto e nelle scienze sociali dell’antica Roma riferimenti all’officium come mera condizione di dovere, priva di riferimenti a persone determinate o a strutture organizzative. Si pensi solo al celeberrimo De officiis (dei doveri) di Cicerone. 12 Rileggendo Modugno, G. MARONGIU, Funzionari e ufficio nell’organizzazione amministrativa dello Stato, in G. MARONGIU, La democrazia come problema, Il Mulino, 1994, pagg. 229 e ss., sottolinea: «la parola “funzione” assolve al compito essenziale di mettere innanzi a tutto il fine, lo scopo dell’attività, quella deputatio ad finem rispetto alla quale chi sia, poi, ad agire poco importa» (pag. 270). Si ribadisce così il carattere oggettivo e prevalente della funzione sull’elemento soggettivo, il soggetto chiamato ad esercitarla. 13 Si potrebbe dire quante sono le finalità generali individuate nella nostra Carta costituzionale. A. PIOGGIA, La competenza amministrativa, Torino, Giappichelli, 2001, pag. 199, sottolinea il «legame tra il ruolo dell’amministrazione e la prima parte della Costituzione», tra i diritti dei cittadini e le funzioni e i poteri dell’amministrazione.

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semmai, ad una figura unitaria (tante funzioni aventi caratteri ricorrenti ed omogenei). Con la funzione-compito possiamo intendere l’attività necessaria al perseguimento dello scopo. Nel passaggio dalla definizione della finalità generale al compito le attività di esercizio della funzione si scompongono, si articolano. Ogni funzione-scopo consiste in una pluralità di attività (funzioni-compiti) che concorrono al raggiungimento dello scopo. Attività che potranno essere distribuite tra “uffici” (in senso ampio, comprendente sia le amministrazioni pubbliche sia gli organi al loro interno), diversi e potranno avere contenuto diverso (di regolazione o di erogazione di beni e servizi, di diritto pubblico o di diritto privato14). In questa fase ciò che conta è la coerenza tra l’articolazione delle attività e lo scopo da raggiungere. Con funzione-ufficio si deve intendere il momento, la fase, di attribuzione, assegnazione, incardinamento dei compiti (delle attività di esercizio della funzione) in uffici (ancora in senso ampio). Si tratta di un processo di emersione articolato in tre fasi logicamente successive che quasi mai si presentano distinte. Di frequente esse sono comprese in un unico atto a contenuto organizzativo (ad esempio una legge che individua gli obiettivi, li articola in compiti e li attribuisce ad un’amministrazione). Altrettanto spesso le scelte organizzative sono contenute in una pluralità di atti organizzativi (legge sulla finalità, successive leggi sull’articolazione delle attività di esercizio, atti normativi di istituzione di uffici e di attribuzione di competenze, atti amministrativi generali (piani di gestione), atti di indirizzo a contenuto organizzativo. 3. La funzione come nozione tipica dell’organizzazione - La funzione è nozione oggi applicata tanto all’attività quanto all’organizzazione15, ma è in questa

14 Anche l’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 241 chiarisce che possano esservi attività di cura di interessi pubblici di natura non autoritativa, che possono essere svolte secondo le regole del diritto privato. La funzione è la rilevanza di qualunque attività svolta in vista di una finalità di interesse generale. Solo le attività meramente private dell’amministrazione, quelle che non sono preordinate alla cura di un interesse pubblico, sono da considerarsi al di fuori della funzione, mentre vi rientrano le attività amministrative che utilizzano strumenti di diritto privato. 15 S. CASSESE, in Le basi del diritto amministrativo, Milano, Garzanti, sesta ed., 2000, dedica un intero capitolo alla ricostruzione della nozione di funzione. Essa «non si esaurisce nella somma dell’organizzazione, degli atti e dei procedimenti. C’è qualcosa di più che precede

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seconda che si presenta come massimamente utile, perché aiuta il cittadino a ricercare regole di garanzia altrettanto necessarie quanto quelle che disciplinano lo svolgimento dell’azione. Da quanto detto si comprende come la nozione di funzione debba essere per intero ricondotta al campo dell’organizzazione: complesso di attività, attribuite ad uffici, predeterminate dalla legge (o da atto organizzativo sulla base della legge), volte al perseguimento di finalità generali. La garanzia del cittadino sta nella predeterminazione delle attività di esercizio della funzione, che può essere vista anche come «inizio dell’attività», ma solo nel senso che nelle attività tipizzate che prefigurano la futura azione il cittadino trova una tutela anticipata, perché sa quali azioni può attendersi dagli uffici ai quali le attività sono attribuite. All’amministrazione-attività nel suo svolgersi, nel passaggio dalla situazione potenziale (potere, che qui consideriamo come funzione) alla situazione effettuale (la cura concreta di interessi pubblici) meglio si addice, quindi, la definizione di azione amministrativa16. La disciplina dello svolgimento dell’azione amministrativa, è cosa diversa, da tenere concettualmente distinta dall’organizzazione, perché si preoccupa di fornire garanzie nel momento dell’effettivo svolgimento dell’azione e non della predeterminazione delle attività. Dalla chiara distinzione tra i due piani e delle due forme di garanzia il cittadino non perde nulla: una parte della garanzia sta nella predeterminazione delle attività, una parte nella predeterminazione delle

l’organizzazione e l’attività amministrativa» (pag. 126); la funzione è «quella parte dell’attività che va oltre l’organizzazione, i procedimenti e gli atti» (pag.129). L’analisi delle funzioni come scopi assunti dall’ordinamento consente quindi di considerare l’amministrazione come fenomeno nel suo complesso. 16 Vedi la modifica della rubrica dell’art.1 della legge n. 241 da parte della legge n. 15 del 2005 «Principi generali dell’azione amministrativa» e la tendenza dottrinale a utilizzare sempre di più il termine azione. Si veda, ad esempio, G. SCIULLO (/a cura di), Le nuove regole dell’azione amministrativa, BUP, 2006 e N. PAOLANTONIO, A. POLICE, A. ZITO (a cura di) la pubblica amministrazione e la sua azione, Giappichelli , Torino, 2005, M.A. SANDULLI (a cura di) l’azione amministrativa, Milano, 2005; V CERULLI IRELLI (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa, Napoli, 2006; M.P. CHITI, G. PALMA (a cura di), I principi generali dell’azione amministrativa, Napoli, 2006.

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regole sullo svolgimento dell’azione (da parte dell’ufficio competente all’esercizio delle attività). In tal modo siamo anche costretti a fare i conti con le costruzioni che sulla scia della nozione di funzione come “attività funzionalizzata” (Giannini) l’hanno definita come “potere che si fa atto” (Benvenuti17). Esse si sono rivelate e conservano la loro grandissima utilità nel processo culturale che ha prodotto l’emersione dell’attività amministrativa rispetto al solo atto, del procedimento rispetto alla sola decisione finale. Processo che ha incrementato enormemente la tutela del cittadino di fronte all’azione dell’amministrazione. Una tale nozione di funzione perde però chiarezza se la si voglia applicare anche all’organizzazione, poiché essa finisce per dare poca rilevanza agli elementi oggettivi e soggettivi della prefigurazione e distribuzione del potere18. Attività che potranno essere distribuite tra “uffici” (in senso ampio, comprendente sia le amministrazioni pubbliche sia gli organi al loro interno), diversi e potranno avere contenuto diverso (di regolazione o di erogazione di beni e servizi, di diritto pubblico o di diritto privato19). In questa fase ciò che conta è la coerenza tra l’articolazione delle attività e lo scopo da raggiungere. Il rilievo giuridico che in tal modo viene dato alle scelte organizzative costituisce una sorta di “funzionalizzazione” dell’organizzazione, parallela al

17 F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1952, p. 118 e ss. Se riguardata solo sotto il profilo dell’attività, la costruzione appare estremamente suggestiva e utile. L’atto è strettamente collegato alla funzione: è il momento in cui essa diviene concreto esercizio del potere. 18 Questo esito si realizza anche nella tesi di G. BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, Cedam, Padova, 1968, che, partendo dalla costruzione di Benvenuti del potere che si fa atto, definisce il momento organizzatorio come momento «dell’attivazione delle competenze», ovvero di «trasformazione del potere in atto». In tal modo si finisce per pervenire all’«assorbimento dell’attività nell’organizzazione» (vedi M. NIGRO, Studi sulla funzione…, op. cit. pag. 125). 19 Anche l’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 241 chiarisce che possano esservi attività di cura di interessi pubblici di natura non autoritativa, che possono essere svolte secondo le regole del diritto privato. La funzione è la rilevanza di qualunque attività svolta in vista di una finalità di interesse generale. Solo le attività meramente private dell’amministrazione, quelle che non sono preordinate alla cura di un interesse pubblico, sono da considerarsi al di fuori della funzione, mentre vi rientrano le attività amministrative che utilizzano strumenti di diritto privato.

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processo di funzionalizzazione (nel procedimento) dell’attività. Sono entrambe processi che danno rilevanza giuridica a ciò che sta “dietro” e “prima” dell’atto amministrativo20, un dietro e un prima normalmente irrilevanti nel diritto privato, ma che acquistano rilevanza nel diritto pubblico perché sono strumenti di progressiva definizione dell’interesse pubblico (da astratto, potenziale, a concreto, attuale) e di delimitazione del potere.

4. Dalla funzione alla competenza - Con l’attribuzione ad un ufficio (ancora in senso ampio) delle attività di esercizio della funzione, la funzione (scopo e compito) diviene competenza (in senso ampio), individuazione delle attività di perseguimento delle finalità generali (degli interessi pubblici astratti) così come si sono venute precisando nelle scelte organizzative. La competenza in questo ampio senso si declina, poi, da un lato, in attribuzione (con riferimento agli enti pubblici), intesa come assegnazione di un’intera funzione (della totalità delle attività di esercizio della funzione) o di una significativa parte di essa (di alcune attività di esercizio, mentre altre sono attribuite ad enti diversi). L’organizzazione come distribuzione delle funzioni tra enti. L’applicazione recente più significativa: il principio di sussidiarietà come garanzia della prossimità della funzione al cittadino (e al suo controllo democratico)21, principio in realtà non ancora applicato in modo coerente, insieme al principio, non costituzionale, ma di fonte ordinaria, di unicità22 tanto che quasi mai un’intera funzione è attribuita ad

20 A. PIOGGIA, La competenza…, op. cit.: «la rilevanza dell’organizzazione in questi termini non può più essere ricostruita come riflesso dell’attività: l’origine della giuridicità del fenomeno è già nell’organizzazione in sé, nella circostanza per cui un apparato diventa un centro di riferimento di interessi dotato delle attribuzioni necessarie per perseguirli» (pag. 198). 21 In questo modo si trova finalmente una lettura coerente dell’uso del termine «funzioni» nel nuovo Titolo V della Costituzione, in particolare agli articoli 114, secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), 117, sesto comma, 118, primo e secondo comma, 119, quarto comma. Qui le funzioni sono le funzioni amministrative, le funzioni-scopo, i complessi di attività preordinati al raggiungimento di finalità pubbliche, non le tipologie generali di attività. In questo senso si veda F. MERLONI, Il destino dell’ordinamento degli enti locali (e del relativo Testo unico) nel nuovo titolo V della Costituzione, in Le Regioni, n. 2/3, 2002. 22 Nella legge n. 59 del 1997 e non trasfuso, come gli altri, nel testo costituzionale.

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un solo ente (a un solo livello di governo), ma diverse sua attività di esercizio sono attribuite ad enti diversi23. Dall’altro essa si declina in competenza in senso stretto, come assegnazione ad un organo interno ad un ente di una parte delle attività di esercizio della funzione assegnate all’ente (di una parte dell’attribuzione), cioè di quelle attività di esercizio che per la loro qualità (per la capacità di prefigurare l’interesse pubblico e di consentirne la futura individuazione in concreto) sono assegnate ad un determinato ufficio24. Qui si può riprendere l’affermazione secondo la quale la funzione (scopo) è composta da una pluralità di attività (di esercizio). Si tratta di attività, come si è detto, di diversa natura e contenuto (attività di indirizzo e di gestione, attività di diritto pubblico e privato, attività conoscitive/istruttorie e decisionali, attività strumentali e finali, attività interne e attività a rilevanza esterna), non di diverse funzioni25. Se riferita agli uffici interni di un’amministrazione (ente pubblico) l’organizzazione consiste proprio nella distribuzione, tra gli uffici, delle diverse attività di esercizio della funzione. Poiché non tutte le attività contribuiscono nello stesso modo all’esercizio della funzione (al raggiungimento dei suoi scopi), solo ad alcune di esse le scelte organizzative attribuiscono rilevanza giuridica. Solo le attività degli uffici aventi rilevanza giuridica costituiscono le competenze. Per le altre si può parlare di meri compiti, di attività non solo serventi e strumentali (perché possono avere

23 Sulla necessità di procedere ad una razionalizzazione della distribuzione delle funzioni vedi F. BASSANINI e L. CASTELLI (a cura di), Semplificare l’Italia, Firenze, Passigli, 2008. 24 In tal modo si superano le teorie “quantitative” sulla competenza come quantità di atti che possono essere adottati da un ufficio. Su di esse vedi la ricostruzione critica di A. PIOGGIA in La competenza…, op. cit., pag. 190 e ss.. Si superano così anche talune incertezze di M.S. Giannini, allorché la competenza è definita come «misura dell’esercizio dell’attribuzione» (Diritto amministrativo, Milano Giuffré, 1970, pag. 221), mentre nella voce Organi, in Enc Dir., si nega che la competenza possa esser considerata misura dell’attribuzione. 25 M.S. GIANNINI, nella voce Organi…, op. cit., sottolinea correttamente che l’essenza stessa dell’organizzazione consiste in «una distribuzione delle funzioni tra vari elementi strutturali», ma poi dà di funzione una nozione troppo ampia, finendo, ad esempio, per considerare come funzioni delle tipologie di attività (il deliberare, il concludere contratti), ovvero gli scopi dell’amministrazione o addirittura le stesse competenze. Lo stesso limite sta nella nozione di funzione in S. CASSESE, Le basi del diritto…, op. cit..

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natura strumentale anche le competenze), ma tali da non meritare un’assegnazione ad un ufficio che abbia conseguenze giuridiche rilevanti26. La competenza costituisce, quindi, il momento dell’emersione dell’organizzazione dal giuridicamente irrilevante al rilevante, in funzione di garanzia del cittadino. Non tutta l’organizzazione assume rilevanza giuridica, ma solo quella parte che consiste nell’individuazione e nella distribuzione delle competenze, cioè di alcune delle attività di esercizio della funzione. Le attività (competenze) così distribuite non coincidono, quindi, affatto con le sole attività a rilevanza esterna, quelle che, nello svolgimento dell’azione, possono incidere sulle situazioni giuridiche dei destinatari; esse possono consistere anche in attività “interne”, ma determinanti ai fini della costituzione di centri di riferimento di interessi27. Le competenze vengono individuate (tra tutte le attività di esercizio della funzione) e distribuite tra gli uffici proprio in vista della garanzia che la loro emersione giuridica rappresenta per la cura imparziale dell’interesse pubblico. Attraverso i passaggi che qui abbiamo cercato di ricostruire, la dottrina italiana giunge alla conclusione di un significativo iter teorico: l’organizzazione non è più strumentale all’attività, ma è la predefinizione delle condizioni (risorse a disposizione, informazioni, qualità del personale) stesse di futuro svolgimento delle attività. La garanzia, per il cittadino, dell’imparzialità sta nell’attribuzione di una funzione ad un ente od organo individuabile (e dotato dei caratteri necessari per l’adeguata cura degli interessi connessi alla funzione) La rilevanza dell’organizzazione non è un più un fenomeno strumentale (alla valutazione della legittimità dell’atto), ma autonomo, in quanto processo di progressiva definizione della funzione (cioè dell’interesse pubblico da curare). 5. La competenza e l’organo - La nozione di competenza è strettamente legata a quella di organo, se per organo intendiamo l’ufficio che svolge le attività di esercizio della funzione che la disciplina dell’organizzazione ha individuato come giuridicamente rilevanti, cioè l’ufficio attributario di competenze.

26 Trattandosi di meri compiti, il fatto che siano svolti da uno o da un altro ufficio non configura il vizio di incompetenza, perché non sono in gioco interessi pubblici meritevoli di garanzia. 27 Vedi A. PIOGGIA, La competenza…, op. cit, pagg. 200 e ss.

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Non è questa la sede per ripercorrere le ricostruzioni della nozione di organo in teoria generale e della sua utilità ai fini della tutela del cittadino28. Ai nostri fini è invece utile sottolineare il carattere oggettivo e non soggettivo della nozione. Secondo la teoria della scindibilità tra organo e titolare dell’organo29, l’organo altro non è se non un ufficio. Un ufficio con caratteri oggettivi particolari: mentre tutti gli uffici si costituiscono intorno ad complessi di (predeterminate) attività (di esercizio della funzione) da svolgere, l’organo si costituisce intorno ad attività (le competenze) che si tradurranno (in sede di svolgimento concreto dell’azione) in atti direttamente imputati all’amministrazione30. L’organo si caratterizza quindi per il complesso delle sue competenze, il complesso delle attività, imputabili all’amministrazione, giuridicamente rilevanti. L’individuazione (predeterminata e stabile) dell’organo coincide con l’individuazione delle sue competenze.

28 A questo fine basta rileggere la voce Organi..., op. cit., di M.S. Giannini e lo scritto di G. MARONGIU, Funzionari e ufficio …, op. cit.. Entrambi sottolineano da un lato il carattere autoritario della teoria organica e dall’altro il valore positivo di una teoria che «ha consentito di superare l’istituto della rappresentanza e … ha consentito di ridurre entro sfere giuridiche precostituite autorità originariamente sovrane» (p. 255). Secondo Giannini, poi, «il concetto di organo fu una conquista civile: rese possibile perfezionare la tutela delle libertà e dei diritti dei cittadini nei confronti dei pubblici poteri» (pag. 41). 29 Ancora M.S.GIANNINI, Organi …, op. cit., pag. 49, che afferma la scindibilità tra i due elementi sul piano strutturale («assegnazione della funzione» e «assegnazione di prestazioni personali e reali») e sul piano dell’«esistere normazioni distinte sul modo in cui si costituiscono, modificano e sopprimono organi e uffici e sul modo con cui si conferisce la titolarità degli organi e degli uffici», mentre non è possibile scinderli sul piano «funzionale, nel senso che l’ufficio non può esistere senza titolare e che il titolare dell’ufficio non esiste senza l’ufficio». 30 S. CASSESE, Le basi del diritto…, op. cit. pag. 156 e ss., sottopone la teoria dell’organo ad una severa critica, negando l’esigenza di un’imputazione degli atti all’amministrazione. Nell’organizzazione vi sarebbero, quindi, solo uffici (in senso ampio) che corrispondono alle funzioni loro assegnate a loro volta distinti in meri uffici e “uffici entificati”. Il problema dell’attribuzione di attività predeterminate e poi dell’imputazione di atti concreti agli enti resta, soprattutto se lo si considera dal punto di vista delle garanzie della posizione dei cittadini. In questi limiti la nozione di organo, a distinguere l’area degli uffici dotati di competenze, mantiene la sua validità.

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Con ciò non si vuole affatto trascurare l’elemento soggettivo31, il cui concorso alla garanzia dell’imparzialità nell’individuazione dell’interesse pubblico è altrettanto importante della chiara distribuzione delle competenze. Si vuole solo richiamare l’attenzione sul fatto che nella nozione (oggettiva) di organo rientrano tutte le regole sui caratteri oggettivi e strutturali dell’ufficio: le sue competenze, la composizione e il funzionamento, le procedure attraverso le quali le competenze (le attività predeterminate di esercizio delle funzioni assegnate) saranno svolte. Vista come fenomeno oggettivo, l’organizzazione consiste nell’individuazione degli uffici e degli organi “giusti”, cioè di quelli più adatti allo svolgimento delle attività di esercizio della funzione (dei compiti e delle competenze) loro affidate, in rapporto alle caratteristiche oggettive di queste ultime. Rientrano, invece, nella nozione soggettiva, nella nozione di titolare dell’ufficio/organo, le regole relative ai caratteri della persona fisica preposta all’ufficio, ai requisiti per la preposizione, al rapporto giuridico che si stabilisce con l’amministrazione, ai doveri di comportamento che incombono sul titolare quando sia chiamato allo svolgimento, in concreto, dell’azione amministrativa. 6. La conoscibilità e controllabilità delle scelte organizzative - Se la competenza è il momento conclusivo, il precipitato finale del processo organizzativo, non ci si può accontentare del passaggio, pur importante, che dà rilevanza giuridica all’attribuzione di un potere ad un ufficio, cioè al momento finale del processo. La determinazione della competenza avviene spesso, come si è visto, attraverso una serie di atti che consentono di ricostruire il processo organizzativo.

31 Notevoli i contributi italiani alla teoria della spersonalizzazione del potere nell’organizzazione. Il primo e più rilevante è di G. BERTI, La pubblica amministrazione come…, op. cit. Si veda anche G. Di GASPARE, Organizzazione amministrativa, in Dig. Disc. pubbl. 1995 e G. MARONGIU, Funzionari e ufficio …, op. cit . Nell’organizzazione ciò che conta è l’ufficio e la sua competenza. Le attività attribuite all’ufficio saranno svolte secondo regole predefinite e indipendentemente dal soggetto che adotterà in concreto gli atti di esercizio. La stabilità e la continuità delle competenze è anch’essa garanzia per il cittadino. La spersonalizzazione nella distribuzione del potere non è contraddizione con l’attenzione alla posizione individuale e personale del titolare dell’ufficio/organo.

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Se la garanzia oggettiva (della generalità dei cittadini) e soggettiva (del cittadino interessato) sta non solo nel conoscere quale sia l’organo competente, ma anche nella legittima aspettativa di una relativa stabilità (o di una modificabilità che segue la stesse garanzie dell’attuale) di un’organizzazione che si è venuta precisando al fine di assicurare la corrispondenza tra ufficio e attività da svolgere, il cittadino (in quanto membro della collettività e in quanto portatore di interessi) e il giudice, su sua richiesta, devono poter ricostruire la catena, il processo che ha portato alla determinazione della competenza. Non basta conoscere l’organizzazione come risultato, ma occorre trovare nella scelta organizzativa la coerenza tra compiti e caratteri dell’ufficio (ente o organo). Nella determinazione chiara, comprensibile e sindacabile della competenza c’è una doppia garanzia: una garanzia oggettiva, generale, di un’organizzazione che permetta il migliore (più funzionale e più imparziale) perseguimento dell’interesse pubblico; la garanzia, soggettiva, del cittadino, di un’organizzazione che persegua l’interesse pubblico in modo imparziale, tale da non pregiudicare ingiustamente un suo interesse, o altri interessi privati e collettivi, coinvolti nella cura dell’interesse pubblico. L’interesse oggettivo ad una determinata qualità dell’organizzazione (come risultato delle scelte organizzative) è stato per lungo tempo affidato, alla riserva di legge, cioè ad un forte coinvolgimento delle assemblee elettive nell’effettuazione della quasi totalità delle fasi dell’organizzazione, dall’individuazione delle finalità, all’articolazione dei compiti all’attribuzione dei compiti agli uffici. L’intera articolazione della funzione in attività era disciplinata dalla legge, come strumento di delimitazione del potere dell’esecutivo e di stretta conoscenza dell’organizzazione al fine del miglior esercizio del controllo politico sull’amministrazione. Questa riserva è stata poi rivista32 come riserva relativa, in riserva di atto pubblicistico (sulla base della legge).

32 Esemplari le pagine di M. NIGRO, Studi sulla funzione…, op. cit.. Da un lato venivano esposte le ragioni dell’efficienza e della flessibilità che imponevano l’abbandono della rigida predeterminazione degli organi e delle loro competenze all’interno delle amministrazioni; dall’altro le esigenze di controllo e di tutela (dell’interesse generale, ma anche del cittadino) che continuavano ad imporre, per tutto il processo, fino alla determinazione delle

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Di qui la distinzione tra una funzione organizzatrice di indirizzo, “alta” che manteneva alla legge la definizione degli elementi di fondo dell’organizzazione (l’individuazione delle funzioni-scopo, delle finalità generali, la definizione, non più delle scelte, ma dei criteri per effettuare le scelte, quanto all’articolazione nel dettaglio dei compiti e all’attribuzione agli uffici) e una funzione organizzatrice più operativa, di dettaglio, lasciata agli esecutivi (cioè in gran parte alle stesse amministrazioni)33. La riserva di atto pubblicistico è in grado di dare anche un’efficace tutela alla posizione del cittadino titolare di un interesse coinvolto da un atto amministrativo. Mantiene e arricchisce di contenuti la facoltà di attivare, con il ricorso per incompetenza, il sindacato del giudice amministrativo sulla coerenza tra scelta organizzativa e interesse curato e, soprattutto, sul rispetto della scelta organizzativa. Anche sotto il profilo della tutela del cittadino, quindi, la riserva di atto pubblicistico assicura una relativa stabilità di quelle scelte organizzative che più incidono sui suoi interessi (la determinazione della competenza come atto finale del processo di articolazione della funzione) e consente una più agevole ricostruibilità del processo e della sua coerenza con gli interessi pubblici affidati agli uffici34.

competenze, atti organizzativi di natura pubblicistica, sindacabili anche sotto il profilo della coerenza con gli interessi pubblici affidati alla cura delle amministrazioni. 33 L’applicazione più importante di questa distinzione si trova nell’articolo 2 del dl lgs. n.

165 che riserva ad atti organizzativi delle pubbliche amministrazioni, «secondo principi

generali fissati da disposizioni di legge», la determinazione delle «linee fondamentali

dell’organizzazione degli uffici, la individuazione degli «uffici di maggiore rilevanza» e dei

«modi di conferimento della titolarità dei medesimi». Per un commento, rimasto fondamentale, di queste norme si veda A. ORSI BATTAGLINI, A. CORPACI, Commento all’articolo 2, in A. CORPACI, M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI (a cura di), La riforma dell’organizzazione, dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in Le nuove leggi

civili commentate, n. 5-6, 1999. In particolare, a proposito della locuzione «uffici di maggiore

rilevanza», si sostiene che con essa si intenda «quella parte dell’organizzazione che è rilevante […] sul piano del compimento di attività giuridica in senso proprio e di esercizio

formale delle capacità giuridiche dell’ente». Si tratta di una ricostruzione che corrisponde a quella, qui indicata, della riserva di regime pubblicistico come limitata alla determinazione degli organi e delle loro competenze. 34 La distribuzione tra fonti pubblicistiche (per la determinazione delle competenze) e privatistiche (per l’organizzazione interna agli organi) è oggetto di diverse contestazioni, di segno opposto. La prima riguarda la stessa privatizzazione del rapporto di lavoro, ma essa qui non ci si può occupare. Più rilevante è occuparsi delle proposte di revisione della

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7. Distribuzione di competenze e principio di distinzione - La distribuzione delle competenze diviene, quindi, il primo e fondamento strumento di garanzia organizzativa dell’esercizio imparziale delle funzioni. Ciò vale quale che sia il modello organizzativo che si adotta. L’organizzazione è garanzia del cittadino in ogni modello di distribuzione di competenze tra uffici.

disciplina vigente, a partire da quella che, una volta posta in discussione la configurazione privatistica del rapporto di lavoro la prima conseguenza è riportare tutte le scelte organizzative, anche quelle che abbiamo definito minori, nella disciplina pubblicistica. In tal modo l’intera organizzazione sarebbe da ricomprendersi nell’organizzazione degli uffici, nella determinazione delle competenze. Si direbbe una “emersione totale” della rilevanza giuridica delle scelte organizzative, tutte sottoposte a regole pubbliche, all’obbligo di conoscibilità e alla possibilità di un sindacato giurisdizionale. Sul piano costituzionale una scelta legittima, che, però, è assai poco produttiva sul piano della funzionalità dell’amministrazione, perché inutilmente rigida. Né si comprende quali vantaggi si avrebbero nella disciplina con fonte pubblicistica dell’organizzazione interna, del lavoro, della distribuzione dei compiti anche in termini di garanzie del cittadino. L’insofferenza alla coesistenza di fonti di disciplina diverse si manifesta, però, anche sul versante del tutto opposto. Vi sono, infatti, posizioni, affacciatesi soprattutto in dottrina, volte a risolvere la contraddizione con una totale privatizzazione non solo del rapporto di lavoro, ma anche di quella parte di organizzazione che consiste nella distribuzione delle competenze tra uffici. Si vedano i recenti, pur stimolanti, lavori di P. CERBO, Potere organizzativo e modello imprenditoriale nella pubblica amministrazione, CEDAM. Padova, 2007 e M SGROI, Dalla contrattualizzazione dell’impiego all’organizzazione privatistica dei pubblici uffici, Giappichelli, Torino, 2006. Si tratta di posizioni che appaiono più ispirate ad una ricerca di astratto equilibrio tra fonti che costituzionalmente fondate. Una totale privatizzazione dell’organizzazione degli uffici sarebbe non solo in contrasto con la lettera dell’art.97 Cost., ma anteporrebbe il principio del buon andamento (che diventerebbe l’unico canone per le scelte organizzative) rispetto all’imparzialità. Lo stesso si dica per la disciplina del rapporto di ufficio dei titolari degli uffici/organi (e dei loro collaboratori) nell’esercizio delle funzioni. Se si privatizza la distribuzione delle competenze perché mera organizzazione interna, non rilevante, allora si può privatizzare anche la disciplina del rapporto che lega il titolare allo svolgimento dei compiti pubblici. L’unico baluardo a garanzia dell’imparzialità sarebbe la disciplina dell’azione, del procedimento. L’organizzazione rientrerebbe così nel limbo dell’irrilevanza giuridica dal quale per decenni si è cercato, con successo, di sottrarla.

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Vediamo ora come essa si atteggi in rapporto ai due modelli organizzativi di fondo: da un lato quello che si può definire “a responsabilità ministeriale” e quello fondato sulla distinzione tra politica e amministrazione35. Nel modello a “responsabilità ministeriale”, l’organizzazione consiste nell’individuazione (e nella distribuzione tra loro delle competenze) di organi che sono, nella grande maggioranza dei casi, organi il cui titolare è un soggetto politico, scelto con procedure di tipo elettivo/rappresentativo. La garanzia della distribuzione sta, quindi, soprattutto nella corrispondenza tra competenze e caratteri degli organi politici. Solo marginalmente vengono individuati, quasi sempre per delega dell’organo politico o con riferimento a questioni considerate “minori” (per rilievo economico o territoriale), organi affidati a funzionari professionali. Nel modello a responsabilità ministeriale, poi, le ulteriori garanzie di imparzialità consistono nel fatto che il supporto (conoscitivo e valutativo/istruttorio) alla decisione finale dell’organo politico è fornito da uffici, che sono meri uffici e non organi (non hanno poteri decisionali e di imputazione di atti all’amministrazione), ma che per le loro caratteristiche contribuiscono ad una decisione imparziale. La garanzia sta quindi nei compiti affidati all’ufficio, e negli elementi soggettivi relativi al responsabile dell’ufficio. Si garantisce, per esempio attraverso il carattere continuativo e professionale del rapporto che lega in funzionario36 all’amministrazione, una posizione di (relativa) indipendenza soggettiva o di neutralità del funzionario rispetto all’indirizzo politico. Analoga garanzia si ottiene preponendo agli uffici funzionari aventi la necessaria competenza (tanto più rilevante per uffici destinati a svolgere compiti, sempre di supporto conoscitivo, ma ad elevato contenuto tecnico). Con la distinzione tra politica e amministrazione37 si opera un cambiamento radicale.

35 Per un’analisi comparata dei diversi sistemi vedi F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, Bologna, Il Mulino, 2006. 36 Ampia in questa direzione la ricostruzione di G. MARONGIU, Funzionari e ufficio …, op. cit. 37 Il principio è affermato in via generale, come è noto, dall’articolo 4 del d.lgs. n. 165 del 2001 e consiste da un lato nell’elencazione (esemplificativa, non tassativa) delle attività spettanti agli «organi di governo» e dall’altro nell’attribuzione, in via residuale, di tutte le altre attività e in particolare dell’«adozione di atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno» ai dirigenti, che «sono

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Al fine di garantire l’imparzialità dell’organizzazione si utilizza appieno il potere di distribuire le competenze tra organi (all’interno di un ente). Da un lato vi sono organi di carattere politico, gli «organi di governo», dall’altra organi, di carattere amministrativo, di gestione. La distinzione tra le attività attribuite all’una e all’altra categoria di organi è oggettiva (si basa sul contenuto delle attività di esercizio della funzione), ma è forte anche il profilo soggettivo: le attività di gestione, in realtà tutte le attività che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, sono riservate ad organi che

responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati» (Art. 4, comma 2). La distinzione viene rafforzata dalla previsione della necessità di una deroga espressa e ad opera di specifiche disposizioni legislative (Art. 4, comma 3, non sono consentite quindi interpretazioni diverse e la deroga può essere fatta solo con norma primaria, con esclusione tanto della fonte regolamentare quanto di atti amministrativi di organizzazione di natura non normativa) e da una clausola generale che, a partire da una data determinata, impone di intendere le «disposizioni che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione o di atti e provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti» (Art. 70, comma 6 del d.lgs. n. 165 del 2001). A rendere “invalicabile” il confine tra le due sfere di attività interviene poi l’art. 14 che stabilisce un’esplicita sottrazione di poteri di intromissione del Ministro nello svolgimento delle attività di competenza dei dirigenti (comma 3; il riferimento al Ministro è da leggersi in generale come «organo di Governo» visto il carattere generale della disciplina e la sua estensione, in virtù dell’articolo 27, a tutte le amministrazioni non statali dei principi del d.lgs., con particolare riferimento all’articolo 4). Vedi i commenti di F. MERLONI agli articoli 3 e 14 dell’allora d.lgs. n. 29 del 1993 e successive modificazioni, in A. CORPACI, M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI, La riforma dell’organizzazione…op. cit.. Per ultimo è intervenuta la legge Brunetta che si propone di «rafforzare il principio di distinzione». Vedi, in proposito, l’articolo 6, comma 1, della legge n. 15 del 2009, dove la delega in materia di disciplina della dirigenza pubblica viene prevista «al fine di rafforzare il pr5incipio di distinzione tra le funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza, nel rispetto della giurisprudenza costituzionale in materia, regolando il rapporto tra organi di vertice e dirigenti titolari di incarichi apicali in modo da garantire la piena e coerente attuazione dell’indirizzo politico degli organi di governo in ambito amministrativo», dove il riferimento alla giurisprudenza della Corte costituzionale deve intendersi alle richiamate sentenze in materia di spoils system. I decreti delegati dovranno, quindi, adottare il criterio che vuole l’applicazione dello spoils system alla sola area degli incarichi fiduciari, con esclusione di quelli dirigenziali. Dove c’è collaborazione all’indirizzo ci può essere spoils system, dove invece c‘è gestione questo è inapplicabile perché costituzionalmente illegittimo.

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devono avere una caratteristica specifica. Ad essi devono essere preposti dei “dirigenti”, cioè dei funzionari professionali. Il ribaltamento è completo: se nel modello della responsabilità ministeriale gli organi (nel senso ormai chiarito) sono quasi sempre a carattere politico, con i funzionari professionali confinati nel ruolo di supporto alla decisione, nel principio di distinzione vale la regola che fa degli uffici il cui titolare è (deve essere) un dirigente/funzionario gli unici cui possono essere affidate competenze di gestione/amministrazione attiva, cioè gli unici “veri” organi dell’amministrazione, con gli organi di governo posti in una collocazione che, se non può essere definita “servente”, è quantomeno prodromica rispetto ad una decisione finale, di individuazione concreta dell’interesse pubblico, che è loro sottratta. In realtà la legge continua a definire quelli politici come «organi» (di governo), perché, pur volendosi affermare con forza la riserva delle competenze di gestione ai dirigenti, resta il fatto che agli organi politici sono attribuite attività (competenze) che incidono in modo significativo sull’esercizio della funzione. Si tratta di attività che in qualche caso possono avere un’immediata rilevanza esterna (si pensi agli atti normativi e amministrativi generali che già contengono una regolazione degli interessi in gioco, che possono essere direttamente lesivi di situazioni giuridiche soggettive), ma, come si è visto, la rilevanza interna o esterna delle competenze non è un criterio accettabile per distinguere tra meri uffici e organi. Ciò che conta è che l’attività sia individuata e distribuita come attività giuridicamente rilevante e imputabile all’amministrazione. Se già le costruzioni teoriche sull’organizzazione avevano chiarito l’assunzione di progressiva rilevanza autonoma dell’organizzazione come distribuzione di competenze tra uffici/organi, oggi, con il principio di distinzione, questa autonoma rilevanza si rafforza. La distinzione non individua due diverse “funzioni” (“di governo” e “amministrativa”38), ma due diverse tipologie di attività (competenze) di esercizio delle medesime funzioni.

38 In questo senso non si può condividere l’opinione di F.G. SCOCA, Diritto amministrativo, pag. 19, che però risente molto della costruzione gianniniana (in particolare nella voce Organi) e delle sue incertezze sulla nozione di funzione (funzioni come tipologie di attività), mentre qui la funzione è la finalità complessiva da perseguire, articolata in diverse attività di esercizio. La distinzione tra funzioni porta poi l’A. alla conclusione, anch’essa non

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La distinzione riserva ad alcuni organi (amministrativi perché diretti da funzionari professionali) le competenze che hanno la maggiore rilevanza esterna, in particolare quelle che comportano l’adozione di atti «che impegnano l’amministrazione verso l’esterno». L’attuazione del principio, nel determinare le scelte organizzative, dovrà necessariamente passare attraverso l’individuazione di organi, cui sono preposti dei funzionari professionali, per lo svolgimento di attività di gestione e amministrazione attiva. Le competenze degli uffici dirigenziali non potranno più restare indeterminate, perché il loro ruolo non è di supporto alla decisione dell’organo politico, ma in sé decisionale, nell’attuazione dell’indirizzo politico. Si potrebbe arrivare a sostenere (se non vi fossero conseguenze negative su altri piani39) che gli organi amministrativi, sulla base dell’attribuzione delle competenze, sarebbero in grado di adottare gli atti di loro competenza anche in assenza dell’esercizio delle attività di indirizzo, mentre non vale l‘inverso: senza l’attività degli organi amministrativi l’amministrazione non è in grado di adottare atti legittimi, di curare l’interesse pubblico concreto. La distinzione non è tra attività discrezionali e vincolate. Le attività di indirizzo possono arrivare (è normale che ciò avvenga) a delimitare, fino a circoscrivere fortemente, la discrezionalità degli organi amministrativi. Quando le attività di esercizio della funzione sono discrezionali, gli atti degli organi amministrativi non possono che essere discrezionali (nei limiti fissati dalla legge e dagli atti di indirizzo). Se l’effetto dello svolgimento delle attività di indirizzo politico fosse, per definizione, la riduzione a vincolate delle attività degli organi amministrativi, la distinzione (riserva di competenze) non avrebbe senso, perché essi si ridurrebbero a meri esecutori di una volontà, di un’opera di individuazione dell’interesse pubblico anche nel caso concreto, che sarebbe svolta in proprio dagli organi politici, che è quello che la legge espressamente vuole evitare.

condivisibile, che alla «scelta degli obiettivi […] non può applicarsi il principio di imparzialità» (pag. 19). 39 Vedi gli effetti della mancata definizione degli obiettivi nell’attivazione della responsabilità dirigenziale.

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La distinzione, costruita come riserva di competenze, produce l’annullabilità per incompetenza degli atti adottati in violazione della riserva, attivabile direttamente dal cittadino, a tutela di suoi interessi coinvolti40. 8. L’elemento personale come tratto fondamentale dell’organizzazione - L’organizzazione di cui ci siamo occupati fin qui è quella che abbiamo definito “oggettiva”, consistente nel processo di progressiva definizione di funzioni e di competenze e nella loro distribuzione tra uffici (tra enti e organi). Le regole oggettive mirano a costituire l’ufficio “giusto” (coerenza della distribuzione delle competenze e coerenza tra competenze assegnate e caratteri dell’ufficio), a predeterminare regole oggettive sulle attività di esercizio della funzione da svolgere, rendendo in qualche modo le attività fungibili, indifferenti, alle persone che nel concreto si occuperanno di trasformare quelle attività in azione amministrativa. Le regole soggettive si preoccupano di preporre le persone “giuste” ai diversi uffici (in rapporto ai caratteri di questi ultimi) e di assicurare che queste persone si comportino in modo “giusto” e cioè, nella prospettiva qui accolta, soprattutto imparziale41. L’”elemento personale degli uffici”42, va considerato come elemento dell’organizzazione altrettanto fondamentale della distribuzione delle

40 Il vizio di incompetenza ha corso il rischio di un declassamento laddove fosse stata accolta una sua lettura “povera”, come mero vizio del procedimento o della forma, così come previsto in una prima stesura del ddl che ha poi dato luogo alla legge n. 15 del 2005. La formulazione definitiva dell’art. 21-octies distingue nettamente tra vizio di incompetenza (di cui al primo comma) e vizi di forma di cui al secondo comma. La giurisprudenza amministrativa resta, però, ancora oscillante: non mancano decisioni che configurano l’incompetenza, anche sotto il profilo del mancato rispetto della distinzione tra competenze degli organi politici e amministrativi, come mero vizio di forma, sanabile nei modi di cui al secondo comma. 41 Qualche esempio: se le attività (le competenze) dell’organo sono di carattere prevalentemente tecnico (e in qualche caso implicanti specifiche conoscenze tecniche) il titolare dell’organo dovrà avere la necessaria competenza professionale. Se le competenze attribuite all’ufficio riguardano soprattutto la definizione di atti di indirizzo politico (nella catena di precisazione dell’indirizzo, l’organo si vede attribuire una funzione ancora prevalentemente di indirizzo) le caratteristiche personali dei titolari dell’organo dovranno essere di tipo politico. E così via. 42 Secondo la definizione di M. NIGRO, Studi sulla funzione…, op. cit., pag. 128.

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competenze. Questo tema è qui affrontato ponendo in luce come cambia il rapporto tra l’ufficio/organo e il suo titolare con il passaggio dal modello della responsabilità ministeriale a quello della distinzione tra politica e amministrazione, nel quadro delle ricostruzioni di carattere generale già ricordate:

a) l’organo (con le sue competenze) è prefigurato nell’organizzazione, corrisponde al complesso delle attività di esercizio della funzione che gli sono assegnate;

b) senza le persone fisiche che ne assumono la titolarità l’organo non è in grado di passare dalla pre-determinazione organizzativa dell’attività (competenza) all’azione.

9. Il titolare dell’ufficio/organo nel modello della responsabilità ministeriale - La posizione del titolare dell’ufficio/organo è nettamente differenziata tra i sistemi amministrativi “a responsabilità ministeriale” e quelli, come l’italiano, fondati sulla netta distinzione tra competenze di indirizzo e di gestione. Nel modello a responsabilità ministeriale gli organi sono in generale organi a carattere politico (i titolari degli organi sono scelti e preposti agli uffici con procedure di tipo politico). Solo marginale è il caso di organi affidati a dipendenti pubblici, legati da un rapporto di tipo professionale. Eppure colpisce la ricorrente costruzione del rapporto che lega il titolare all’ufficio/organo avendo come riferimento la figura del pubblico dipendente o del funzionario43. Mentre è chiara la corrispondenza tra funzionario ed esercizio della funzione, secondo la quale in realtà sono funzionari tutti coloro che partecipano all’esercizio della funzione e quindi sia gli organi (prevalentemente politici) che adottano atti imputati all’amministrazione sia i

43 S. TERRANOVA, Funzionario (dir. pubbl.) in Enc. Dir., sottolinea l’uso discontinuo e spesso impreciso del termine funzionario, in qualche caso distinto da quello di dipendente pubblico. Dal canto suo M.S. GIANNINI, Corso di diritto amministrativo, Milano Giuffré, 1970, evita di usare il termine «anche perché il nostro sistema non conosce nel campo dell’impiego pubblico, la distinzione tra dirigenti e impiegati come distinzione giuridicamente rilevante». L’affermazione è sicuramente datata, in quanto antecedente all’istituzione della figura del dirigente (con il d.p.r. 748 del 1972), ma coglie la difficoltà di distinguere tra impiegati, il cui lavoro può concorrere all’esercizio della funzione e funzionari di grado più elevato, e dirigenti, il cui concorso all’esercizio della funzione è sicuramente più intenso (quando non diretto, per preposizione all’organo).

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soggetti (dipendenti o altro) che concorrono con le loro attività di supporto alla decisione44, la tendenza di fondo è di identificare la figura del funzionario con il funzionario professionale45. Ciò è coerente con la costruzione teorica legata alla spersonalizzazione dell’organizzazione e con la ricostruzione del rapporto che lega il dipendente/funzionario all’amministrazione: un rapporto di assoggettamento, di subordinazione piena, di fedeltà. Il dipendente pubblico reclutato per concorso e legato da un rapporto continuativo e professionale con l’amministrazione garantisce al massimo la necessaria “neutralità” dell’amministrazione rispetto alla politica. L’oggettività del lavoro professionale, la superiorità tecnica del modello di organizzazione per funzioni/uffici,46 è rafforzata dalla neutralità del funzionario. Questo resta, però, collocato in una posizione di subordinazione, anche gerarchica, all’organo (politico), che riduce il suo contributo alla imparzialità dell’amministrazione ad una mera opera di “contenimento” degli eventuali comportamenti e atti “parziali” degli organi politici. Il funzionario professionale, pur in questi limiti, diviene così lo schema di ricostruzione di base per definire il rapporto che lega il titolare dell’organo all’amministrazione: rapporto di servizio (prestazione lavorativa continuativa professionale, dietro retribuzione) distinto dal rapporto di ufficio (esercizio della funzione); immedesimazione organica, secondo cui l’attività dell’organo è imputata globalmente47 all’amministrazione. Si comprende perché, nonostante la preminenza dell’organo politico nell’organizzazione a responsabilità ministeriale, la posizione di quest’ultimo

44 Vedi S. TERRANOVA, Funzionario…, op. cit., secondo il quale sono funzionari «tutti coloro che fanno parte di un ufficio e che sono investiti di pubbliche funzioni», chiarendo più avanti che «in tal modo non si deve comprendere qualsiasi attività nell’ambito del pubblico ufficio». 45 Qui è indispensabile il rinvio alle pagine di G. MARONGIU, Funzionari e ufficio …, op. cit.: «l’oggettività del lavoro professionale custodisce e sviluppa l’oggettività che è nell’attività d’ufficio» (pag. 276). 46 Di nuovo G. MARONGIU, Funzionari e ufficio …, op. cit., sulla scia di M.S. Giannini, sottolinea come quello dell’organizzazione oggettiva in uffici (con le loro competenze) non è tratto tipico delle sole organizzazioni pubbliche, ma anche di quelle private (pag. 273). 47 M.S. GIANNINI, Corso di Diritto amministrativo, pag. 275: «si imputano all’ente gli stati mentali e intenzionali del titolare dell’ufficio (organo), gli stati di coscienza e le qualificazioni della condotta, ma sempre nella loro massima estensione».

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rispetto all’organizzazione viene ricostruita sulla falsariga, quasi ad imitazione, di quella del funzionario professionale, con la costruzione della figura del “funzionario onorario”48, come la persona fisica titolare di un organo, legata da un rapporto di ufficio relativamente all’esercizio della funzione per il periodo (breve) di titolarità e non da un rapporto (continuativo) di servizio. Proprio perché il titolare dell’organo politico non dà le garanzie di imparzialità offerte, per il funzionario professionale, dalla continuità e professionalità del rapporto, la disciplina relativa alla preposizione agli organi politici è attenta a regolare alcune materie, delle quali, invece, poco ci si occupa per il funzionario professionale: i limiti preventivi all’assunzione della carica per potenziale conflitto di interessi (ineleggibilità, incompatibilità, incandidabilità); la risoluzione, nell’azione, del conflitto di interessi comunque insorto (dovere di astensione, pubblicità degli interessi); i doveri di comportamento49. Tendenzialmente dettagliate le norme nella prima materia, anche se con evidenti lacune, tra le quali la maggiore l’affidare agli stessi organi collegiali politici la decisione finale sull’esistenza di cause di ineleggibilità o incompatibilità50. Piuttosto generiche, e lasciate all’interpretazione giurisdizionale, le norme sul dovere di astensione. Quasi del tutto assenti i doveri di comportamento e l’applicazione di sanzioni di carattere “disciplinare”, sempre motivate dall’assenza di un continuativo rapporto. Inutile è apparso al legislatore, in quella fase storica, “attardarsi” nella configurazione dei doveri di imparzialità del dipendente, nella garanzia della

48 Ancora S. TERRANOVA, Funzionario…, op. cit. e G. FERRARI, Funzionario onorario., in Enc. Dir.. Quest’ultimo ricorda come la giurisprudenza si sia occupata di questa figura di fronte a ripetute richieste di equiparare la posizione del funzionario onorario a quella del funzionario professionale, sulla base dello svolgimento di un’attività di prestazione, e conseguentemente, di retribuirla. 49 In questa sede non si esaminano nel dettaglio le discipline relative alla posizione del titolare dell’organo politico, né si esprimono valutazioni quanto alla loro congruità con le finalità di garanzia dell’imparzialità. Ci si limita a sottolineare l’attenzione che il legislatore pone al problema. 50 La normativa sulla cosiddetta “giurisdizione domestica” delle assemblee parlamentari, già di difficile applicazione per organi collegiali formati con sistemi elettorali proporzionali (per l’instaurarsi di vincoli di solidarietà), oggi quasi del tutto inapplicabile in sistemi elettorali maggioritari, soprattutto con riferimento ai leader dei partiti e delle coalizioni.

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sua “neutralità” rispetto all’indirizzo politico che è chiamato ad attuare; meglio occuparsi con più attenzione della posizione del titolare dell’organo politico51. 10. Il titolare dell’ufficio/organo nel modello di distinzione tra politica e amministrazione - La distinzione tra rapporto di servizio e rapporto d’ufficio, che ha consentito di considerare in modo unitario la figura del funzionario, applicata a tutti coloro che partecipano all’esercizio della funzione, acquista un significato ancora maggiore nel modello della distinzione tra competenze degli organi politici e amministrativi. In un modello che vede nel dirigente amministrativo il «privato datore di lavoro», interessato, come “controparte” dei dipendenti assegnati al suo ufficio, ad ottenere, contro retribuzione, la loro massima collaborazione lavorativa, è stato reso possibile sottoporre a due regimi di disciplina completamente diversi i due elementi: la prestazione lavorativa, che passa ad essere regolata da contratti di diritto privato, l’esercizio della funzione che resta sottoposta a regole di diritto pubblico52.

51 Non è questa la sede per valutare se a questa attenzione abbia corrisposto una buona qualità delle regole sull’imparzialità dell’organo politico. Basti solo sottolineare che in Italia non si è voluta dedicare un’uguale attenzione al funzionario professionale, che, in questo modo ha finito per restare nel cono d’ombra della politica, se non per politicizzarsi esso stesso. 52 Sul punto la letteratura di commento alla c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego è sconfinata, così come sono variegate le posizioni sulla sua utilità e legittimità costituzionale. Da M.S. GIANNINI, che evidenzia (in Organi…, op, cit. e in Impiego pubblico, in Enc. Dir., p. 293 e ss.) la diversa sostanza e il diverso contenuto dei due rapporti, restando in un sistema che disciplina entrambe i rapporti con norme pubblicistiche, si giunge alla costruzione di A. ORSI BATTAGLINI, Fonti normative e regime giuridico del rapporto di impiego con enti pubblici, in. Dir. lav. rel. Ind., 1993, pag. 46 e, ss., che porta la distinzione alle sue logiche conseguenze: la prestazione lavorativa del dipendente pubblico non si differenzia in sé da quella del lavoratore privato e può essere oggetto di una disciplina dialetticamente formata sulla base della contrattazione privatistica, collettiva e individuale. Qui ci si deve limitare ad esaminare i profili che più attengono alla garanzia dell’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche. La privatizzazione, intanto, non sembra pregiudicare gli effetti di “indipendenza/neutralità” che derivano al dipendente/funzionario pubblico in virtù del suo rapporto continuativo e professionale. Questo elemento resta anche nel quadro della disciplina privatistica del rapporto, rafforzato dal mantenimento del principio di accesso per concorso (che la legge n. 15 del 2009 in più punti si propone di rafforzare; si vedano: l’articolo 2, comma 1, lettera g): l’articolo 5, comma 1, lettera f): l’articolo 6, comma

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La distinzione tra disciplina (privatistica) del rapporto di lavoro e disciplina (pubblicistica) dell’esercizio della funzione, sembra richiedere, però, che il confine tracciato sia netto e non oggetto di incursioni da una parte o dall’altra53. Al fine di garantire l’esercizio “giusto”, cioè imparziale, della funzione, la disciplina pubblicistica del rapporto di ufficio non può più fondarsi solo sulla distinzione tra funzionari legati da un rapporto continuativo con l’amministrazione (professionali) e funzionari pro-tempore54 (politici, soggetti fiduciari), ma sul diverso contenuto delle attività da svolgere.

1, lettera). Il concorso non è solo il rispetto del dovere delle amministrazioni di reclutare senza favoritismi e discriminazioni (concorso come “evidenza pubblica”), ma è anche garanzia del futuro svolgimento imparziale delle attività di esercizio della funzione. Il rapporto di lavoro continuativo e professionale, rafforzato dal reclutamento mediante concorso, è di per sé una garanzia di imparzialità. La disciplina privatistica del rapporto, poi, non impedisce che resti una disciplina pubblicistica della funzione: disciplina pubblicistica che non consiste solo negli elementi oggettivi dell’organizzazione o nella fissazione di regole (procedimento, ma non solo) dell’azione amministrativa, ma nella disciplina della condizione soggettiva del funzionario (cioè del soggetto che, indipendentemente dalla sua provenienza, è preposto all’esercizio della funzione). La stessa privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti non pregiudica, di per sé, l’imparzialità dell’amministrazione. La negoziazione del dirigente con l’amministrazione (con gli organi politici o con i soggetti con incarico fiduciario) quanto alle sue prestazioni (gli obiettivi da raggiungere con la sua attività dirigenziale, le relative retribuzioni) non intaccano, se il dirigente si vede garantita una posizione di effettiva indipendenza quanto alla proposizione all’ufficio/organo e allo svolgimento dell’azione, la sua imparzialità nell’esercizio della funzione. Così come sono coerenti con lo svolgimento imparziale dell’azione la contrattazione con i dipendenti, l’attribuzione di premi per il raggiungimento di risultati con la loro prestazione lavorativa, il potere di micro-organizzazione. 53 Del problema sembra consapevole la recente legge Brunetta, che si preoccupa di meglio definire le rispettive aree di intervento, evitando sconfinamenti indebiti. Vedi in proposito l’articolo 3, comma 2, lettera a), che tra i principi e criteri per la nuova disciplina della contrattazione collettiva fissa il seguente: «precisare […] gli ambiti della disciplina del rapporto di lavoro pubblico riservati rispettivamente alla contrattazione collettiva e alla legge, fermo restando che è riservata la contrattazione collettiva la determinazione dei diritti e delle obbligazioni direttamente pertinenti al rapporto di lavoro». Qui i termini rapporti di lavoro sono correttamente usati nel secondo caso e non nel primo nel quale in realtà si comprendono sia il rapporto di lavoro (in senso proprio, cioè stretto) sia il rapporto di ufficio (per la disciplina del quale vi è riserva di legge). 54 E’ stato sostenuto che anche per i titolari degli organi di governo delle amministrazioni pubbliche si dovrebbe parlare di una “carriera”, dal momento che in generale l’appartenenza

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E’ in rapporto al questo diverso contenuto che vanno articolate le discipline, pubblicistiche, del rapporto di ufficio, di cui fin qui si è rilevato il contenuto composito (norme sui requisiti soggettivi per la preposizione agli uffici/organi; norme sulle procedure e sulla durata della preposizione agli uffici/organi; norme sui conflitti di interesse e norme relative ai doveri di comportamento nell’esercizio delle funzioni affidate agli uffici/organi). Per ciascuna categoria di “funzionari”, in rapporto alle funzioni attribuite va rivista la disciplina dello “status” complessivo del funzionario. Lo status non è più carattere che si lega ad un sottostante rapporto di lavoro, ma che trova applicazione in ogni occasione di esercizio di una funzione. Lo status diviene elemento comune a tutti i funzionari pubblici, ma si differenzia e si funzionalizza55 in rapporto alle diverse esigenze di imparzialità.

11. La rilettura dei principi costituzionali sui pubblici funzionari - La stretta connessione tra principio di imparzialità e distinzione tra politica e amministrazione stabilito dalla giurisprudenza costituzionale permette una rilettura organica, che qui ci si limita ad accennare, delle diverse norme costituzionali relative alle persone, variamente denominate («funzionari», «dipendenti dello Stato e degli enti pubblici», «pubblici impiegati», «impieghi nelle pubbliche amministrazioni»), che partecipano all’esercizio delle funzioni amministrative. Nel modello della responsabilità ministeriale, il punto di partenza poteva essere assunto nell’art. 95 Cost., nel quale si è a lungo ritenuto fosse sancita la responsabilità, anche amministrativa, del ministro per gli atti del suo

ad un partito politico e la fedeltà al medesimo garantisce la possibilità di ricoprire cariche politiche per più mandati e comunque in diverse amministrazioni. Il rilievo non ha sostanza giuridica perché si tratta, dal punto di vista dell’amministrazione per la quale il titolare svolge la sua carica, di un rapporto che si instaura limitatamente alla durata del mandato politico. In ogni caso l’eventuale esistenza di una carriera della persona titolare dell’organo nulla aggiunge quanto alle garanzie di imparzialità nello svolgimento delle relative attività. 55 La ricordata sentenza n. 103 del 2007 della Corte costituzionale sembra svalutare, anche per i funzionari professionali, gli elementi di status a favore di una disciplina, come quella

vigente, definita come «funzionale» (considerato in diritto n. 8). Per una critica di questa svalutazione si veda F. MERLONI, Lo spoils system è inapplicabile… op. cit., pag. 846. Le considerazioni qui esposte fanno semmai propendere per un’estensione della nozione di status, funzionalmente differenziato in rapporto alle funzioni svolte, a tutti i funzionari pubblici.

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dicastero, con esclusione della possibilità di leggere nell’art. 97, comma 2, alcuna “riserva di competenze” ai funzionari professionali, alcuna delimitazione di un’area di attività di esercizio delle funzioni sottratta alla decisione degli organi politici56. I «funzionari» di cui devono essere «determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie» potevano allora essere individuati in tutti coloro che svolgevano (o partecipavano allo svolgimento di) pubbliche funzioni: funzionari professionali e onorari57. La distribuzione delle competenze sarebbe stata solo un criterio di chiara distinzione, ai fini dell’applicazione dei principi di cui al comma 1, imparzialità e buon andamento, non di distinzione a favore di una categoria rispetto all’altra. Quanto all’articolo 28 Cost., poi, si è affermato che, ai fini dell’individuazione delle responsabilità «per gli atti compiuti in violazione di diritti», i «funzionari» sarebbero cosa diversa dai «dipendenti» e coinciderebbero con i funzionari onorari, altrimenti sottratti ad ogni responsabilità giuridica. Le disposizioni dell’articolo 97, terzo comma (accesso per concorso), e 98, primo comma (servizio esclusivo della Nazione) erano da riferirsi solo ai funzionari professionali, per motivi letterali e sistematici: l’accesso per concorso non può che riguardare gli impieghi che consistono nella instaurazione di un sottostante rapporto di lavoro continuativo e professionale. Il servizio esclusivo della Nazione era principio inserito in un articolo per intero dedicato alla protezione del funzionario dalla politica. Esso poteva essere, meno enfaticamente, letto come servizio dell’interesse generale, in contrapposizione agli interessi “particolari” della politica58. Quanto, infine, all’art. 54, comma 2, largamente comune un’interpretazione estensiva della norma. Questa, anche se inserita nel titolo relativo ai rapporti politici e quindi scritta avendo riferimento allo svolgimento di cariche politico/elettive, è formulata in modo così ampio da comprendere tutte le

56 Per una ricostruzione dell’evoluzione nella lettura dei rapporti tra art. 95 e art. 97 Cost si veda F. MERLONI, Dirigenza pubblica…, op. cit., pagg. 208 e ss. 57 In questa direzione vedi S. TERRANOVA, Funzionario… op. cit. 58 G. MARONGIU, Funzionari e ufficio …, op. cit., ricorda la derivazione della norma dalla Costituzione di Weimar volta a “proteggere” proprio i dipendenti pubblici, i funzionari professionali, da un’eccessiva sottomissione alla politica, volendo «escludere influenze politico-partitiche indebite» (pag. 281).

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funzioni pubbliche, non solo quelle amministrative, ma anche quelle legislative e giurisdizionali. Per le funzioni amministrative, tutte le attività di esercizio delle funzioni. Se i funzionari di cui all’art. 97, comma 2, sono tutti i funzionari, professionali e onorari, la disposizione sul dovere di adempiere le funzioni con disciplina e onore si applica ad una categoria estesa di funzionari59. Nel nuovo modello fondato sulla distinzione tra politica e amministrazione la norma-chiave, il riferimento di rango superiore, il valore cui devono essere informate tutte le discipline, oggettive e soggettive, sull’organizzazione, è l’imparzialità dell’amministrazione del primo comma dell’articolo 97 Cost.. Ciò consente di rileggere alcune norme, in qualche caso in senso ancora restrittivo, in altri in senso estensivo. In senso restrittivo: se il secondo comma dell’articolo 97 Cost. deve essere interpretato come vera riserva di competenza, questa non può che operare a favore di funzionari che sono, in effetti, solo i funzionari professionali, cui si applicano in via esclusiva le disposizioni del terzo comma (concorso) e del primo comma dell’art.98 (protezione dalle 60ingerenze della politica.61). In senso estensivo: se la funzione è il complesso delle attività di esercizio volte al raggiungimento delle finalità, tutti coloro che svolgono le attività di esercizio della funzione, tutti i titolari degli organi (sia politici, fiduciari, amministrativi) sono, in egual modo, “funzionari”; esso sono, quindi, necessariamente oggetto di una disciplina pubblicistica del rapporto di ufficio (del loro “status”) nel rispetto dei principi costituzionali sulla responsabilità di cui

59 Nella pratica, però, come si è visto, mentre il dovere della “disciplina e onore” si è tradotto in norme di comportamento per i pubblici dipendenti (e quindi per i funzionari professionali), il mancato instaurarsi di un continuativo rapporto di ufficio con l’amministrazione ha impedito una anche minima articolazione dei doveri di comportamento del titolare dell’organo politico nell’esercizio della funzione. 60 Così come sono funzionari i loro collaboratori (sempre che il concorso all’esercizio della funzione sia importante e non si limiti al compimento di mere attività serventi). 61 Pur nella salvaguardia della lettura storica, confermata di recente dalla Corte costituzionale nella più volte richiamata sentenza n. 103 («l’amministrazione, […] nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzioni di parti politiche e dunque al «servizio esclusivo della Nazione» (art. 98)» (considerato in diritto n. 9.2), si potrebbe anche avanzare una lettura che estende anche agli organi politici il dovere di esercizio imparziale, al servizio dell’interesse generale, delle attività loro attribuite.

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all’art. 28, dove l’espressione «funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti

pubblici» è un’endiadi volta ad estendere a tutti la (diversa) responsabilità per gli atti compiuti e sul dovere di cui all’art. 54, comma 2, di «adempiere le funzioni pubbliche» loro «affidate» (oggi diremmo: di svolgere le attività di esercizio delle funzioni assegnate al loro ufficio).

12. La disciplina dello status dei titolari degli organi che svolgono (o concorrono allo svolgimento delle) attività di indirizzo - Una volta stabilito il carattere necessariamente pubblico della disciplina del rapporto d’ufficio (in quanto disciplina dell’esercizio della funzione), qualche rapida considerazione sui suoi contenuti, attuali e nella prospettiva di adeguamento dello status delle diverse categorie di funzionari alle nuove esigenze di imparzialità62. A) I titolari degli organi di governo63 Ricordato che l’obbligo di imparzialità grava anche sui titolari degli organi politici64, la disciplina vigente del loro rapporto di ufficio non mostra alcuna traccia di un’opera di ripensamento o anche di semplice aggiornamento. Continua a mancare una considerazione d’insieme della disciplina dei titolari

62 Alla rilettura della disciplina del rapporto di ufficio dei “funzionari pubblici” è dedicata la letteratura in materia di “etica pubblica” o di lotta alla corruzione e alla “maladministration”. Si veda, tra le opere giuridiche, S. CASSESE, Maladministration e rimedi, in Foro. It. 1992, V, pagg. 247 w ss. e B. G. MATTARELLA, Le regole dell’onestà, Bologna, Il Mulino, 2007. Per un approccio politologico/sociologico vedi D. DELLA PORTA, A. VANNUCCI, Mani impunite, Bari, Laterza, 2007. L’autore di queste note è coordinatore nazionale di una ricerca PRIN (2006) su «Etica pubblica e interessi. Regole, controlli e responsabilità», i cui risultati sono in corso di pubblicazione presso Franco Angeli. 63 Per una recente rivisitazione della materia si veda G. SIRIANNI, Etica della politica, rappresentanza, interessi, Napoli, ESI, 2008. 64 Secondo alcuni dopo la distinzione non vi sarebbero più problemi di imparzialità per gli organi politici. In questo senso possono essere lette le posizioni che, distinguendo le due funzioni (vedi F. G. SCOCA, Diritto amministrativo, op. cit.), rendono quella politica quasi svincolata da doveri di imparzialità. In realtà la garanzia di imparzialità deve essere data anche rispetto a scelte di indirizzo che regolano interessi, spesso notevoli. Si pensi alle grandi scelte economiche e fiscali; sono le regolazioni, per legge o per atto normativo o amministrativo generale, a dislocare gli interessi più rilevanti. I rapporti dei titolari degli organi politici con gli interessi economici pongono problemi non risolti quanto alla garanzia di imparzialità.

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degli organi nelle pubbliche amministrazioni, in rapporto alle attività loro conferite dalla legge65. Manca, come si è detto, una disciplina puntuale dei doveri di comportamento del titolare dell’organo politico nell’esercizio delle sue funzioni. Ciò è dovuto, come sappiamo, alla configurazione del suo rapporto di ufficio come rapporto temporaneo e quindi diverso da quello del funzionario professionale, per il quale invece i doveri di comportamento sono fissati. Manca anche una tradizione alla fissazione di doveri di comportamento di carattere “etico” di cui è invece ricca l’esperienza comparata, soprattutto nei paesi anglosassoni66. B) I soggetti con incarico fiduciario Nella categoria sono comprese figure anche molto diverse, tutte legate dal carattere fiduciario dell’incarico: nomina con un atto di un organo di governo, con la previsione di poteri di revoca/rimozione dall’incarico (che possono essere motivati da solo venir meno del rapporto di fiducia) o di decadenza automatica (spoils system) allo scadere del mandato dell’organo politico che ha conferito l’incarico. Questa categoria può essere suddivisa in gruppi omogenei. Una prima distinzione è relativa all’instaurarsi o meno di un rapporto di dipendenza (di durata pari a quella dell’incarico) con l’amministrazione di riferimento. Una seconda classificazione, in buona misura coincidente con la prima, è effettuata in rapporto alla natura intrinseca della fiduciarietà. Un gruppo è costituito dai soggetti a piena fiduciarietà politica, revocabili per il solo venir meno di una fiducia politica, la cui disciplina può essere molto simile a quella degli organi politici. I soggetti sono scelti e nominati perché l’organo politico conta sulla loro attività per la definizione e per l’attuazione dell’indirizzo politico. L’organo politico non sempre conosce le regole di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione, ha (dovrebbe avere)

65 Anche la recente legge “Brunetta” non segna un’inversione di tendenza. Essa si occupa di organizzazione pubblica e di dirigenza, ma non della posizione degli organi politici nell’amministrazione. 66 Vedi l’esperienza dei codici di condotta dei ministri nel Regno Unito e la grande attenzione che viene posta al tema dell’etica pubblica negli USA.

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di fronte dirigenti con competenze riservate e nei cui confronti non ha poteri di intromissione. Per l’organo di governo la qualità degli atti di indirizzo (di verifica della loro attuazione) è decisiva per il raggiungimento degli obiettivi. A questo fine deve poter contare su figure che gli diano piena garanzia di omogeneità politica67. Per questi soggetti fiduciari possono essere estese le regole che abbiamo già visto per i titolari degli organi di governo. Attenzione alle condizioni di accesso agli incarichi, attenzione ai conflitti di interessi (in via preventiva e durante lo svolgimento degli incarichi), attenzione ai doveri di comportamento. Quanto all’appartenenza esplicita di questi soggetti alla politica (a partiti politici) in linea di principio valgono le stesse regole fissate per gli organi di governo (l’appartenenza è pienamente legittima)68. Un secondo gruppo è costituito dai soggetti a fiduciarietà professionale/manageriale, revocabili per il mancato raggiungimento di risultati o per il venir meno dell’affidamento sulle capacità manageriali, con una posizione assai vicina a quella della dirigenza amministrativa. Per questi soggetti il rapporto di fiducia è solo in parte “politico” (capacità di realizzare

67 In questa prospettiva l’esplicita previsione, negli atti pubblicistici di organizzazione, di uffici di coordinamento, di diretta collaborazione, cioè di un’area di fiduciarietà, è del tutto compatibile con il principio della distinzione. Il problema riguarda semmai, l’estensione di quest’area e i compiti effettivamente attribuiti agli uffici retti da soggetti fiduciari. Un’eccessiva estensione, cioè un eccessivo numero di uffici e di persone con incarico fiduciario costruirebbe un forte peso sull’organizzazione complessiva e farebbe dubitare sul rispetto della distinzione. D’altro canto, l’attribuzione di compiti che possano configurare in capo ai soggetti con incarico fiduciario quei poteri di intromissione che la legge ha escluso per gli organi politici costituirebbe un illegittimo aggiramento del principio di distinzione. 68 Qualche problema si pone, invece, nei casi, assai frequenti, in cui il soggetto con incarico fiduciario provenga dalla carriera dei funzionari professionali e debba, una volta terminato l’incarico fiduciario, rientrare nella carriera, per assumere incarichi di gestione, che presuppongono una maggiore indipendenza dalla politica. Il fenomeno può avere rilevanza anche di per sé, sul piano meramente quantitativo. Si pensi ai casi, non infrequenti nei paesi che fanno largo uso di poteri di rimozione o che prevedono lo spoils system, in cui un numero rilevante di funzionari debba rientrare nei ranghi, provocando uno spostamento a catena degli incarichi dirigenziali. L’aver partecipato, eventualmente con una forte esposizione politica, alle attività di indirizzo potrebbe pregiudicare la loro imparzialità o, quantomeno il loro apparire come imparziali. Potrebbe essere utile prevedere una sorta di “raffreddamento” dell’esposizione politica, con l’attribuzione di un incarico dirigenziale, con poteri di gestione, solo dopo il trascorrere di un tempo determinato.

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l’indirizzo definito dall’organo di governo) e in larga parte fondato sulle competenze professionali e manageriali. La distinzione fondata sulle caratteristiche delle attività svolte non produce, oggi, alcuna conseguenza giuridica rilevante, che invece viene fatta discendere solo dalla creazione o meno di un sottostante rapporto di lavoro: nel caso positivo si estendono ad essi le (poche) regole sulle limitazioni all’accesso e sui doveri di comportamento dei dipendenti pubblici; nel caso negativo (di funzionari onorari, come per i politici) nessun dovere, nessuna responsabilità disciplinare, solo limitazioni all’accesso all’incarico. C) Una disciplina lacunosa e inefficace Per tutti i titolari di uffici e organi qui considerati in mancato approccio funzionale69 della disciplina ha finora impedito di regolare il rapporto d’ufficio in modo adeguato e proporzionato alle attività (competenze) loro affidate). 13. La disciplina dello status dei titolari degli organi che svolgono attività di gestione - Quanto alla posizione del dirigente funzionario professionale70 la disciplina del rapporto di ufficio deve essere riguardata sotto due profili: da un lato quanto alla posizione che l’ordinamento gli riconosce rispetto all’organo politico; dall’altro quanto ai rapporti con interessi privati (suoi personali o di altri) che possano condizionare impropriamente l’esercizio della funzione. A) Il dirigente funzionario professionale e la politica

Sotto il primo profilo abbiamo visto come la prima garanzia di imparzialità risieda proprio nel carattere professionale del rapporto, tutelato soprattutto

69 Nel senso già detto, di disciplina di status definita in rapporto al contenuto della funzione (delle attività da svolgere). 70 La posizione da garantire al dirigente non consiste più nella vecchia “neutralità”, ma diviene vera e propria indipendenza, nel senso già indicato (vedi ancora B. PONTI, La nozione di indipendenza…, op. cit., che paragona l’indipendenza dei magistrati con quella dei funzionari professionali con poteri autonomi di decisione). L’indipendenza è garantita non solo riservando competenze (di gestione), ma disciplinando elementi di status (quanto ai limiti soggetti di accesso agli incarichi e quanto ai doveri di comportamento nel loro svolgimento).

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dal reclutamento e dalla progressione di carriera per concorso. La seconda garanzia sta nella determinazione di una durata dell’incarico dirigenziale tale da ridurre al minimo i rischi di condizionamento71. La terza nella definizione di procedure di conferimento e revoca dell’incarico di massima garanzia: non solo dell’interesse personale del dirigente al mantenimento dell’incarico, ma dell’interesse generale all’imparzialità del funzionario. Procedure che possono essere affidate ad organi diversi da quelli di governo72, ovvero lasciate agli stessi organi di governo (per meglio legare la valutazione agli obiettivi fissati in sede di indirizzo), ma con la necessaria predeterminazione di regole e criteri73. La quarta garanzia sta nella disciplina dei regimi di conferibilità degli incarichi74, delle incompatibilità75 e dei doveri di comportamento76.

71 Vedi la sentenza n. 103 del 2007 della Corte costituzionale, allorché, pur senza occuparsi, per inammissibilità del quesito, della disciplina della durata degli incarichi dirigenziali, afferma che: «la stessa inesistenza di un termine minimo di durata dell’incarico dirigenziale, ancorché la relativa disposizione – sotto questo aspetto – non formi oggetto dell’odierno scrutinio di costituzionalità per le ragioni precedentemente esposte, è indice di una possibile precarizzazione della funzione dirigenziale, che si presenta (quando il termine sia eccessivamente breve) difficilmente compatibile con un adeguato sistema di garanzie per il dirigente che sia idoneo ad assicurare un imparziale, efficiente ed efficace svolgimento dell’azione amministrativa» (considerato in diritto 9.2). 72 Si pensi all’attribuzione dei poteri di nomina (o di proposte di rose di candidati) agli organi amministrativi di vertice. Se questi ultimi, però, sono di nomina fiduciaria il condizionamento politico potrebbe restare rilevante. 73 Come sappiamo questa è l’orientamento di fondo del legislatore, fin dal d lgs. n. 29 del 1993. La relativa disciplina (quantomeno sofferta e oggetto di continue modificazioni) ricerca criteri oggettivi e non prevede alcun limite procedurale (quale ad esempio, l’apertura di procedure aperte, selettive con presentazione di curricoli, istruttoria e proposta da parte di soggetti diversi dai titolari degli organi di governo). Nella stessa direzione sembra andare anche la legge Brunetta, che insiste molto sul mancato raggiungimento dei risultati come causa per l’esclusione dalla conferma dell’incarico e sulla trasparenza e pubblicità sui «criteri di conferimento, mutamento e revoca degli incarichi» (articolo 6, comma 1, lettera h)). 74 Nella disciplina vigente rivestire una carica in un partito politico o avere ricoperto cariche in organi di governo nelle pubbliche amministrazioni non costituisce motivo per escludere un funzionario dal conferimento di un incarico dirigenziale. Questa soluzione, se comprensibile nel sistema a responsabilità ministeriale, non sembra di per sé accettabile nel nuovo, se si tratta di assicurare che il funzionario sia (e appaia) indipendente rispetto gli organi politici. 75 Il regime vigente delle incompatibilità raramente prevede incompatibilità tra cariche di partito e cariche politiche (in altre amministrazioni) e la titolarità di organi amministrativi.

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B) Il dirigente funzionario professionale e gli interessi privati

La disciplina vigente si sofferma molto sulla responsabilità dirigenziale, cioè sulla valutazione delle prestazioni in rapporto al raggiungimento degli obiettivi e sulle sue conseguenze, sul rapporto di lavoro (in termini di retribuzione accessoria, ma anche di possibile licenziamento) e sul rapporto di ufficio (in termini di revoca dell’incarico per mancato raggiungimento degli obiettivi fissati). La stessa disciplina, con la nuova distribuzione delle competenze (riserva di competenze gestionali) fa del dirigente il responsabile, in proprio, della legittimità degli atti (soprattutto sotto il profilo della loro imparzialità). Se, nel sistema della responsabilità ministeriale, i profili di possibile compromissione del funzionario professionale erano considerati come minori (la decisione finale era dell’organo di governo), oggi occorre garantire la personale posizione di indipendenza del funzionario rispetto agli interessi privati che con le sue decisioni amministrative andrà a valutare, contemperare, regolare. I tradizionali conflitti di interessi (tra interessi propri, già coltivati e conosciuti, del funzionario e gli interessi pubblici che deve curare), tendono ad assumere connotazioni nuove e più ampie. Si pensi al caso del funzionario indotto a privilegiare determinati interessi in vista di vantaggi solo futuri, quali l’assunzione, alla fine (magari anticipata) del suo rapporto di lavoro pubblico, di una carica in un’impresa sottoposta a poteri di regolazione da parte del suo ufficio77. Ma si considerino anche i casi in cui il funzionario, pur non coltivando interessi propri, contribuisca a dare

Una dimostrazione di attenzione al punto si può trovare nella legge Brunetta che all’articolo 6, comma 1, lettera m), nel fissare principi e criteri per la disciplina delegata in materia di dirigenza pubblica, prevede: «rivedere la disciplina delle incompatibilità per i dirigenti pubblici e rafforzarne l’autonomia rispetto alle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e all’autorità politica». 76 Anche in questa materia praticamente non vi sono doveri volti a limitare, se non l’appartenenza, almeno l’ostentazione della propria appartenenza politica. Sul punto si vedano invece le ricche discipline francese e, soprattutto, tedesca. 77 E’ il fenomeno che con espressione francese si definisce del pantouflage, cui si cerca di porre rimedio con incompatibilità successive al termine del rapporto di lavoro del funzionario.

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l’impressione esterna di una eccessiva subordinazione ad determinati interessi privati. Anche sotto il profilo dei rapporti con gli interessi privati la garanzia dell’imparzialità sta imponendo la revisione della disciplina dei regimi di conferibilità degli incarichi78 delle incompatibilità79 e dei doveri di comportamento. 14. Il carattere indiretto delle garanzie sull’imparzialità dei titolari di uffici/organi e il controllo democratico dei cittadini - L’organizzazione, nei suoi due elementi, oggettivo e soggettivo, offre garanzie diverse al cittadino. Mentre l’organizzazione oggettiva coincidente largamente con la distribuzione delle funzioni (fra enti) e delle competenze (tra organi) è definita in vista dell’eventuale impugnazione dell’atto per incompetenza, la violazione delle regole organizzative che garantiscono la posizione dei titolari degli uffici/organi e la loro imparzialità soggettiva non è direttamente attivabile dal cittadino80.

78 Fin qui si è ritenuto che il carattere continuativo del rapporto di lavoro impedisca che il funzionario sia portatore di interessi privati che precludono il conferimento dell’incarico. Poiché, come si è visto, ciò non pone del tutto il funzionario al riparo dal condizionamento degli interessi, anche il rapporto di lavoro continuativo ed esclusivo deve essere accompagnato da norme sulle incompatibilità, all’atto dell’assunzione dell’incarico, durante il suo svolgimento e dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Diverso problema si pone, invece, quando si conferiscono incarichi dirigenziali a persone esterne alla pubblica amministrazione. La disciplina vigente si limita a fissare dei limiti massimi quantitativi senza stabilire né criteri che garantiscano sull’effettiva necessità del ricorso alla dirigenza esterna, né criteri soggettivi diversi dai requisiti di carattere professionale. Non diversa la previsione della legge Brunetta (art. 6, comma 1, lettera h) che prevede «comunque la riduzione, rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente, delle quote percentuali di dotazione organica entro cui è possibile il conferimento degli incarichi medesimi». 79 Per un’analisi critica della disciplina vigente sulle incompatibilità dei dirigenti si vedano F. MERLONI, Dirigenza pubblica … e, ancora, il capitolo L’Etica della dirigenza pubblica, in G. D’ALESSIO (a cura di), L’amministrazione come…, cit, pagg. 201-208. Quanto alle prospettive future vi è la delega, già richiamata, della legge Brunetta, per «rivedere la disciplina delle incompatibilità per i dirigenti pubblici» (articolo 6, comma 1, lettera m), che, pur contenendo solo criteri sulla compatibilità con cariche sindacali e politiche e nulla sulla compatibilità con interessi economici, non impedisce certamente di occuparsi di queste ultime. 80 La garanzia per il cittadino resterebbe affidata, per esempio, alla sola attivazione di controlli sull’operato dei titolari degli uffici/organi e delle relative responsabilità. Per

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La garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione può, invece, essere potenziata con il ricorso alla trasparenza come strumento di controllo democratico, diffuso, sull’organizzazione. Se il cittadino è in grado di conoscere e controllare le scelte organizzative e i loro risultati non solo il buon andamento ma la stessa imparzialità dell’amministrazione dovrebbe risultarne maggiormente garantita. La trasparenza81, a lungo fatta coincidere con il solo diritto di accesso, appare oggi fondarsi soprattutto sulla pubblicità, in particolare sull’imposizione, per legge, di obblighi minimi per determinate categorie di atti e di informazioni. Riguardati sotto il profilo delle informazioni da fornire ai cittadini sull’organizzazione va segnalato un crescendo di previsioni, soprattutto negli ultimi anni82, che rafforzano progressivamente il controllo pubblico, diffuso,

un’ipotesi di legittimazione diretta, fondata su una innovativa lettura dell’articolo 54 della

Costituzione, secondo la quale gli obblighi di «disciplina ed onore» sono direttamente applicabili anche senza l’intermediazione di specifiche disposizioni normative, si veda R. CAVALLO PERIN, L’etica pubblica come contenuto di un diritto degli amministrati alla correttezza dei funzionari, in corso di pubblicazione nel volume relativo ai risultati della Ricerca PRIN sull’etica pubblica, già ricordata. Da verificare in base alla disciplina definitiva del decreto delegato, la previsione nella legge Brunetta (articolo 4, comma 2, lettera l)) di una class action per «violazione di standard qualitativi ed economici o degli obblighi contenuti nelle Carte dei servizi»; per « omesso esercizio di poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori»; per violazione dei termini»; per «mancata emanazione di atti amministrativi generali», da cui «derivi la lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori». In prima applicazione l’intero capitolo è stato stralciato. 81 Vedi il volume di F. MERLONI (a cura di) La trasparenza amministrativa, Milano Giuffré, 2008. 82 Dapprima la legge modificativa della legge sul procedimento amministrativo (l. n.15 del 2005), all’articolo 26, che impone di pubblicare «le direttive, i programmi, le istruzioni, le circolari e ogni atto che dispone in generale sull’organizzazione, sulle funzioni…». Da segnalare che la legge, nel delimitare ulteriormente (ai soli interessati) il diritto di accesso, compensa questa restrizione con un maggior ricorso alla pubblicità. E’ seguìto, poi, il codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82 del 2005), all’articolo 54, che impone, come contenuti minimi dei siti informatici delle pubbliche amministrazioni, i dati relativi a «l’organigramma, l’articolazione degli uffici, le attribuzioni e l’organizzazione di ciascun ufficio anche di livello dirigenziale non generale, non ché il settore dell’ordinamento giuridico riferibile alle attività da essi svolta, corredati dai documenti anche normativi di riferimento» (comma 1, lettera a)). Infine la legge Brunetta, che presenta novità non irrilevanti. In primo luogo l’individuazione della trasparenza come «livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a norma dell’articolo 117, comma 2,

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dei cittadini sull’organizzazione delle pubbliche amministrazioni e sul loro funzionamento. 15. La dimensione organizzativa della garanzia dell’imparzialità - Lo scopo, si spera raggiunto, di queste note era dimostrare come l’organizzazione costituisca in proprio, autonomamente, una notevole garanzia per il cittadino sull’esercizio imparziale delle funzioni assegnate alle pubbliche amministrazioni. La garanzia sta nella predeterminazione di funzioni (scopo), nell’articolazione delle funzioni in attività di esercizio e nella loro distribuzione tra uffici costruiti in modo tale da assicurare lo svolgimento adeguato dell’azione amministrativa.

lettera m) della Costituzione» Vedi l’articolo 4, comma 6. Si estendono al più generale principio di trasparenza, che comprende anche la pubblicità, le previsioni in materia di accesso dell’articolo 22, comma 2, della legge 241 (come modificata dalla legge n. 15 del 2005). Il riferimento ai livelli essenziali rafforza, sia per l’accesso che per la pubblicità, la configurazione della situazione giuridica del cittadino come vero diritto. In questo senso vedi C. MARZUOLI, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in F. MERLONI (a cura di), La trasparenza…, op. cit., pag. 60. In secondo luogo una definizione innovativa e aperta del contenuto della trasparenza Articolo 4, comma 7: «la trasparenza è intesa come accessibilità totale (corsivo nostro), anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni (corsivo nostro), degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta in proposito dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità». In terzo luogo l’applicazione concreta del principio, da un lato relativamente ai «sistemi di valutazione delle amministrazioni pubbliche» (articolo 4, comma 2, lettera a)). e dall’altro relativamente all’«obbligo per le pubbliche amministrazioni di predisporre, in via preventiva, gli obiettivi (articolo 4, comma 2, lettera b)), assistita dalla creazione di un apposito organismo indipendente per la verifica dell’attuazione dei nuovi principi nelle pubbliche amministrazioni (articolo 4, comma 2, lettera f)). Nel passaggio dalla previsione di legge delega al primo testo del decreto delegato, questo organismo sembra aver perso parte della propria indipendenza, quanto a poteri e denominazione (non è più definita come «Autorità indipendente», ma come «Commissione», cui è comunque riconosciuta «indipendenza di giudizio e di valutazione» e «piena autonomia»).

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L’organizzazione fornisce una garanzia anticipata rispetto allo svolgimento dell’azione, ma deve essere da questa tenuta concettualmente ben distinta. Funzione, competenza, organo sono nozioni proprie dell’organizzazione amministrativa. Nell’organizzazione oggettiva degli uffici la predeterminazione delle competenze degli organi è riservata ad una disciplina pubblicistica sulla base della legge, che garantisce stabilità, conoscibilità e sindacabilità delle scelte organizzative che riguardano l’individuazione dei poteri di incidere sulle situazioni giuridiche soggettive dei destinatari, mentre altre minori (interne) scelte organizzative possono essere lasciate a discipline privatistiche che valorizzino i poteri dei dirigenti come privati datori di lavoro. Poiché, però, l’organizzazione non sta solo nella predeterminazione delle competenze degli organi, ma nella configurazione delle caratteristiche personali dei loro titolari, la disciplina del rapporto che lega questi ultimi alle pubbliche amministrazioni è essa stessa una garanzia di imparzialità. Dove esistono funzioni (attività di esercizio delle funzioni), lì vi sono funzionari, la cui disciplina deve essere differenziata in rapporto alle diverse attività (d’indirizzo, di supporto all’indirizzo, di gestione) di esercizio loro affidate. Tale disciplina è volta a far corrispondere le caratteristiche soggettive del titolare dell’ufficio/organo (il funzionario) al contenuto sostanziale delle attività attribuite all’ufficio (la funzione). Tutti i funzionari, «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore» (art. 54 Cost), cioè nell’interesse pubblico, perseguito in modo imparziale. Il rapporto di ufficio (l’esercizio delle attività di una funzione da parte del titolare dell’organo), contrariamente a quanto avviene per la prestazione lavorativa (il rapporto di lavoro in senso stretto), è riservato a disciplina pubblicistica, sulla base della legge. Tale disciplina, nel regolare le condizioni per il conferimento della titolarità degli organi, la posizione dei titolari rispetto ad altri, la loro condizione, i loro doveri di comportamento (il loro status) , attua i principi costituzionali sull’imparzialità dell’amministrazione. L’organizzazione, oggettiva e soggettiva, costituisce direttamente, come predeterminazione pubblica, tendenzialmente stabile e conoscibile, delle competenze e dei soggetti chiamati a svolgerle, un forte strumento di garanzia dell’imparzialità. La progressiva estensione del principio di trasparenza, applicata all’organizzazione amministrativa, come conoscibilità e come controllo

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diffuso sulle scelte organizzative e sui loro risultati, contribuisce in modo sostanziale alla garanzia organizzativa dell’imparzialità.