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I CRITERI DI RISOLUZIONE DELLE ANTINOMIE TRA FONTIPROF.SSA BARBARA GUASTAFERRO

P BB GG - video.unipegaso.itvideo.unipegaso.it/LMG-01/aa2011-2012/DirittoPubblico_Guastaferro/... · 2 R. Bin, G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, p. 13. 3 Ivi, p. 12. Università

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Università Telematica Pegaso I criteri di risoluzione delle antinomie tra fonti

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1. COERENZA E COMPLETEZZA DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO --------------------------------------- 3

2. DEFINIZIONE DI ANTINOMIA ------------------------------------------------------------------------------------------- 4

3. IL CRITERIO CRONOLOGICO------------------------------------------------------------------------------------------- 5

4. IL CRITERIO GERARCHICO --------------------------------------------------------------------------------------------- 7

5. IL CRITERIO DELLA SPECIALITÀ ------------------------------------------------------------------------------------- 9

6. IL CRITERIO DELLA COMPETENZA--------------------------------------------------------------------------------- 10

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE -------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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1. Coerenza e completezza dell’ordinamento giuridico

La generalità e l’astrattezza delle norme fa in modo che queste possano essere applicate ad

innumerevoli casi. E’ solo attraverso l’interpretazione e l’applicazione del diritto che si delinea la

regola giuridica a applicare al singolo caso concreto. E’ compito dunque del giudice garantire le

principali caratteristiche dell’ordinamento giuridico: la “coerenza”, ossia l’assenza di norme tra esse

incompatibili, e la “completezza”, ossi al’assenza di lacune normative all’interno dell’ordinamento.

Come è stato osservato, “per l’interprete…che l’ordinamento giuridico sia un “sistema”

coerente e completo è …la condizione per ottemperare ad una vera e propria regola deontologica

che gli prescrive di trarre, da un materiale incoerente e spesso contraddittorio, la soluzione univoca

del “caso” che si trova di fronte. In presenza, di un insieme di testi non riducibili ad unità di senso,

l’interprete si arma degli strumenti con cui selezionare la norma da applicare. Insomma, la coerenza

e la completezza sono per l’interprete il risultato dell’opera di interpretazione e applicazione del

diritto”. 1

1 R. Bin, G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, Giappichelli 2012, pp. 6-7.

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2. Definizione di antinomia

Si rinviene un’antinomia quando i testi normativi in vigore producono “norme”

incompatibili. E’ compito del giudice scegliere quale norma applicare al caso concreto, attraverso

percorsi argomentativi volti a risolvere le cosiddette antinomie. I principali criteri di risoluzione

delle antinomie tra fonti sono: il criterio gerarchico, il criterio cronologico, il criterio della specialità

ed il criterio della competenza. Essi saranno esaminati separatamente di seguito.

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3. Il criterio cronologico

Il criterio, espresso dal brocardo lex posterior derogat priori, implica che la norma più

recente possa abrogare quella meno recente, facendo così in modo che la produzione del diritto

possa seguire ed assecondare i mutamenti della società. Affinché possa applicarsi il criterio

cronologico le fonti in contrasto devono essere sullo stesso piano nella scala gerarchica.

L’effetto dell’applicazione del criterio cronologico è dunque l’abrogazione, in seguito alla

quale la norma giuridica precedente non è più idonea a produrre effetti giuridici. L’abrogazione

opera soltanto per il futuro, e dunque ex nunc in ossequio al principio di irretroattività delle leggi

sancito dall’art. 11 delle Preleggi (“La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto

retroattivo”).

Già nell’articolo 15 delle Preleggi (le Disposizioni sulla legge in generale che precedono il

Codice civile) si trova un riferimento al criterio cronologico quale strumento di composizione delle

antinomie tra fonti. Lo stesso articolo contempla tre diverse ipotesi di abrogazione:

1. l’abrogazione espressa, avvenendo “per dichiarazione espressa del legislatore”, ha efficacia

erga omnes, nei confronti di tutti i consociati.

2. l’abrogazione tacita, operando “per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le

precedenti”, non promana da un’esplicita volontà del legislatore ma deve essere rilevata

dall’interprete, che sceglie, in caso di contrasto tra norme, di applicare quella successiva. Per

questo motivo l’abrogazione tacita vale so,lo nel singolo giudizio (inter partes) senza essere

vincolante per gli altri giudici.

3. l’abrogazione implicita, che avviene “perché la nuova legge regola l’intera materia già

regolata dalla legge anteriore”. Anche questa opera soltanto inter partes.

Come osservato in dottrina, l’abrogazione semplicemente “delimita l’ambito temporale

dell’efficacia di una norma”2 e dunque “non impedisce affatto che la norma abrogata continui ad

essere applicata ai rapporti sorti prima della nuova legge”.3 Come stabilito dalla sentenza della

Corte Costituzionale n. 49 del 1970, “l’abrogazione non tanto estingue le norme, quanto piuttosto

2 R. Bin, G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, p. 13.

3 Ivi, p. 12.

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ne delimita la sfera materiale di efficacia e quindi l’applicabilità, ai fatti verificatisi sino ad un certo

momento del tempo”.4

Ma se l’abrogazione non estingue la norma, può accadere che l’abrogazione della legge

abrogante faccia “rivivere” la vecchia disciplina? La giurisprudenza ha espresso diverse posizioni

sulla questione della “riviviscenza” delle norme. Secondo il Consiglio di Stato e la Cassazione, se il

legislatore vuole far rivivere una disposizione abrogata, deve necessariamente disporre la sua

reviviscenza in modo espresso e non equivoco” mentre la Corte costituzionale ha espresso dubbi

sull’ammissibilità della reviviscenza di norme abrogate da disposizioni dichiarate

costituzionalmente illegittime ed ha escluso la reviviscenza a seguito di referendum abrogativo della

legge abrogatrice.5 (sentenze 13 e 62/2012).

4 Cit. in Bin pitruzzella, p. 12.

5 Bin Pitruzzella, p.13

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4. Il criterio gerarchico

Il criterio gerarchico, espresso dal brocardo lex superior derogat legi inferiori, implica che

in caso di contrasto tra due norme debba prevalere quella che ha il posto più elevato all’interno

della gerarchia delle fonti.

Se l’effetto dell’applicazione del criterio cronologico è l’abrogazione, l’effetto

dell’applicazione del criterio gerarchico è l’annullamento, che scaturisce da una dichiarazione di

illegittimità che il giudice pronuncia nei confronti di una disposizione o di una norma che perdono

pertanto validità. Dovendo l’atto invalido essere espunto dall’ordinamento, l’annullamento ha sia

effetti generali (opera erga omnes) che retroattivi (opera ex tunc). Tuttavia, la retroattività della

dichiarazione di illegittimità di un atto, che si reputa “viziato vale solo per i rapporti giuridici

ancora pendente, anche se sorti in precedenza all’annullamento.

Già nell’articolo 1 delle Preleggi si delinea una gerarchia tra le fonti, in particolare tra la

legge ed il regolamento, e poi tra questi e la consuetudine. In realtà è però la Costituzione

repubblicana a sublimare il criterio gerarchico come criterio risolutore delle antinomie tra fonti.

Essa in primo luogo si colloca al vertice della scala gerarchica. In secondo luogo disciplina le “fonti

primarie”, ossia la legge formale e gli atti aventi forza di legge (quali ad esempio il decreto legge ed

il decreto legislativo, a mò di “sistema chiuso di atti tipici, non modificabile se non con revisione

costituzionale”.6 In terzo luogo, istituendo la Corte costituzionale come organo in grado di giudicare

sulla legittimità costituzionale (e dunque sulla conformità a Costituzione) delle leggi e degli atti

aventi forza di legge, implicitamente colloca queste fonti al di sotto della Costituzione. Sono poi le

fonti primarie a disciplinare i regolamenti amministrativi e le fonti subordinate, la cui disciplina non

spetta alla Costituzione, ma alle fonti primarie ad essi superiori.

La supremazia della legge all’interno della formale gerarchia delle fonti è un retaggio del

sistema legislativo parlamentare ottocentesco in cui la legge è sovrana proprio in quanto

promanante dal Parlamento, organo democratico per antonomasia. Vi è dunque una corrispondenza

tra gerarchia di atti, gerarchia di procedimenti di produzione normativa e gerarchia di organi dotati

di poteri normativi.7 La Costituzione repubblicana, nonostante ricalchi la relazione di dipendenza

6 Bin Pitruzzella, p. 116

7 R. Bin, G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, p. 17. Come osserva l’Autore, la legge è all’apice della struttura piramidale

perché “è il prodotto del consenso delle Camere e del Capo dello Stato; essa prevale sul regolamento governativo

perché “il Re in Parlamento” prevale sul “suo” Governo.

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del Governo dal Parlamento attraverso la disciplina del rapporto di fiducia, ha in qualche modo

incrinato la supremazia che la legge assume all’interno della piramide gerarchica, in quanto

espressione della volonté generale e del principio di sovranità popolare. La dottrina osserva al

riguardo che è la Costituzione stessa a “rompere” l’unitarietà della legge quale fonte normativa per

antonomasia.8 Nonostante infatti l’art. 70 attribuisca la “funzione legislativa” alle Camere,

direttamente elette dal popolo, altri articolo delineano altri atti, dotati della stessa forzai della legge,

che concorrono alla funzione legislativa (il referendum abrogativo di cui all’art. 75, il decreto

delegato di cui all’art. 76, e il decreto legge di cui all’art. 77, gli atti emanati dal Governo in caso di

guerra (art. 78). Nonostante tra atti aventi la stessa forza dovrebbe applicarsi il criterio cronologico

il loro concorrerre alla disciplina drella legge “non è totale perché la Costituzione introduce un

meccanismo che la limita e la regola: la riserva di legge.”9

8 P. 18

9 P. 18.

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5. Il criterio della specialità

Il criterio della specialità, espresso dal brocardo lex specialis derogat legi generali, è anche

esso un citerio risolutore delle antinomie tra fonti che suggerisce all’interprete di preferire la norma

speciale a quella generale. Ciò anche se la legge generale è successiva: in deroga al criterio

cronologico, dunque, si ritiene che lex posterior generalis non derogat legi priori speciali. Questo

perché si ritiene che la disciplina generale dettata dal legislatore non ha intenzione di modificare la

disciplina speciale precedente (a meno che questo non sia espressamente richiesto dal legislatore),

che spesso è tale proprio perché riguarda settori specifici risponde a peculiari esigenze che non

potebbero essere disciplinati dalla norma generale.

In merito agli effetti dell’applicazione del criterio della specialità, la dottrina osserva che “la

preferenza per la norma speciale non si esprime né con riferimento all’efficacia della norma (come

per l’abrogazione) né con riferimento alla sua validità (come per l’annullamento) ma guardando

all’ambito di applicazione delle norme. Le norme in conflitto rimangono entrambe efficaci e valide:

l’interprete opera solamente una scelta circa la norma da applicare (l’altra norma semplicemente

“non è applicata”, come nell’impiego del criterio della competenza ), dando la prevalenza alla

norma speciale che di conseguenza deroga quella generale”.10

Dunque la norma derogata (quella

generale) resta in vigore, pronta a riespandere il proprio ambito di applicazione se la norma speciale

venisse abrogata.

10

R. Bin, G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, p. 23.

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6. Il criterio della competenza

Secondo la dottrina, il criterio della competenza “non è un criterio prescrittivo, ma svolge

funzioni essenzialmente esplicative: serve cioè a descrivere come è organizzato attualmente il

sistema delle fonti, ma non a indicare all’interprete come risolvere le antinomie. Ci spiega che la

gerarchia delle fonti non basta più a darci il quadro esatto del sistema, perché all’interno dello

stesso grado gerarchico, cioè tra atti che hanno la stessa posizione gerarchica, la stessa “forza”, vi

sono suddivisioni basate sull’assegnazione di ambiti di “competenza” diversi. Le fonti di livello

legislativo non “concorrono” liberamente tra loro, perché la Costituzione crea steccati di

competenza più o meno rigidi”.11

Il criterio della competenza non è un criterio ordinatore efficace se applicato al rapporto tra

legislazione statale e legislazione regionale, nonostante la riforma del titolo V parte II abbia provato

ad elencare tassativamente le materie esclusive dello Stato (art. 117.2) e quelle residuali delle

Regioni. Infatti, accade che la legge statale, anche quando è chiamata a dettare soltanto i “principi”

nel disciplinare una determinata materia, spesso incide anche sui dettagli della stessa. Come

osservato dalla dottrina, è stata la stessa corte costituzionale, con la sentenza 214/1985 a legittimare

l’esorbitare, da parte della legislazione statale, sulla legislazione regionale. “E’ inevitabile che la

legge statale disciplini anche il dettaglio, perché così si può imporre sulla precedente legislazione

regionale contrastante, abrogandola; in seguito spetterà alla Regione, se lo vorrà, emanare proprie

leggi di dettaglio…che a loro volta sostituiro le norme statali contrastanti. E’ insomma il criterio

cronologico l’asse attorno al quale il sistema si ricompone”.12

In contrasto, il criterio della competenza è molto utile nel distinguere, ad esempio, tra norme

dell’ordinamento interno e norme derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, e la nostra Corte

costituzionale ha ormai consolidato questo orientamento. Se infatti inizialmente la Corte

costituzionale applicava il criterio cronologico per regolare le antinomie tra fonte interna e fonte

comunitaria, e poi quello gerarchico, con la sentenza Granital la Corte costituzionale ha stabilito

che l’antinomia vada risolta in base al criterio della competenza, secondo il quale la scelta di

applicare una determinata norma non comporta né l’abrogazione né l’annullamento dell’altra

norma, ma la semplice “non applicazione”.

11

R. Bin, G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, p. 23-24 12

R. Bin, G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, p. 24-25.

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La sentenza è molto importante in quanto fa salva l’impostazione tipicamente dualista delle

relazioni tra ordinamento interno e ordinamento internazionale, secondo la quale l’ordinamento

nazionale non dovrebbe essere “permeabile” rispetto agli ordinamenti esterni in base al principio di

sovranità e di esclusività. Quest’ultimo attribuisce soltanto alla Stato il potere esclusivo di

riconoscere le fonti che possono produrre diritto all’interno dell’ordinamento (per cui le norme

degli altri ordinamenti non producono effetti giuridici all’interno dell’ordinamento statale a meno

che specifiche disposizioni di questo non lo consentano).

L’applicazione del criterio della competenza, dunque, guarda all’ordinamento interno e

all’ordinamento dell’Unione come due sistemi separati, che operano secondo una ripartizione di

competenza sancita dai Trattati europei. E’ dunque compito del giudice italiano accertare se nella

materia rilevante sia competente l’ordinamento dell’Unione o quello domestico ed applicare di

conseguenza la norma dell’ordinamento competente.

La sentenza è anche importante in quanto con essa la Corte costituzionale è venuta incontro

alle richieste della Corte di giustizia in merito al primato del diritto dell’Unione sul diritto interno.

Primato che la nostra Corte costituzionale ha deciso di far valere non sul campo della validità ma

sul campo dell’applicazione.

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Bibliografia essenziale

Bin, R. e G. Pitruzzella, Diritto Pubblico, Torino, Giappichelli, 2009.

R. Bin, G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, Giappichelli 2012.

F. Modugno, E’ ancora possibile parlare di un sistema delle fonti?, relazione al convegno Il

pluralismo delle fonti previste in Costituzione e gli strumenti per la loro composizione,

Università degli Studi di Roma tre 27- 28 novembre 2008, in corso di pubblicazione

S. Nicolai, Delegificazione e principio di competenza, Padova 2001

Parisi, S., La gerarchia delle fonti- Ascesa, declino, mutazioni, Jovene, Napoli 2012, pp. 353