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Paesaggi commestibili nella campagna di Roma Il ruolo dell’agricoltura nelle aree peri-urbane, e più in generale nei vasti territori della diffusione insediativa, è ormai al centro di una crescente attenzione internazionale. L’agricoltura sembra intrattenere rapporti diretti e significativi con i mutamenti che investono lo spazio collettivo nella città contemporanea in seguito all’abbandono della prospettiva “industriale” (quantità di produzioni agricole da immettere sul mercato) a favore della gestione sostenibile dei territori urbanizzati. In merito ai nuovi rapporti che si vanno delineando tra pratiche agricole e insediamenti contemporanei il Comune di Roma è un caso molto interessante: è il più grande comune agricolo europeo non solo per la quantità di ettari coltivati (30.000 ha solo di seminativi) e per numero di aziende agricole presenti (1900 ), ma anche per gli elevatissimi indici di biodiversità presenti nel territorio (sono presenti 1300 specie vegetali su un totale di 3000 presenti nell’intero Lazio, e 115 specie di volatili). A questo si aggiunge una diversità altrettanto significativa di specie agrarie che, sperabilmente, saranno oggetto di specifica attenzione a partire dal recente dispositivo di legge nazionale sulla biodiversità agraria del 20-05-2010. Rispetto alle condizioni di emergenza ambientale che caratterizzano le grandi aree urbanizzate contemporanee la campagna romana appare un sistema dotato di una sua specifica resilienza, esito di molti differenti fattori: la presenza di considerevoli spazi non edificati (in larga parte tutelati come parchi e riserve naturali) che interrompono il continuum urbanizzato creando una molteplicità di ambienti locali dotati di specifiche capacità di funzionamento ecologico; la varietà geo-pedologico-climatica che garantisce una elevata biodiversità, rafforzata da alcuni corridoi di connessione tra l’entroterra e la costa (grandi aste e bacini fluviali), ma soprattutto la presenza di vaste aree ancora oggi coltivate, esito di processi caratterizzati da una forte continuità (aziendale, culturale ed ecologica). In questo contesto il boom dell’agricoltura multifunzionale (boom anche economico, capace cioè di garantire redditi accettabili ai conduttori delle aziende) e dell’agricoltura sociale è del tutto comprensibile 1 : 1 Il testo di riferimento per delineare la trasformazione dell’agricoltura contemporanea rimane a mio avviso il Regolamento CE n.1698/2005 ed il successivo Piano Strategico nazionale italiano, approvato dalla Commissione Europea nel gennaio 2007, nel quale sono indicate le priorità strategiche, gli obiettivi specifici e le risorse complessive di finanziamento. In questi documenti si afferma attraverso il linguaggio istituzionale e quello (molto concreto) delle misure di finanziamento il legame strutturale tra agricoltura, risorse primarie e paesaggio. Già la riforma che ha caratterizzato il periodo 2000-2006 (Agenda 2000) è stata segnata dalla comparsa di due “pilastri” della politica agricola comunitaria: politica di mercato e sviluppo rurale. La politica di sviluppo rurale viene sempre più associata al ruolo multifunzionale dell’azienda agricola e agli obiettivi ambientali collegati a tale attività. La riforma Fischer del 2003 segna un ulteriore accelerazione del processo di avvicinamento tra politica agricola e politica ambientale, a seguito del regime di pagamento unico sganciato dal tipo di produzione (disaccoppiamento) e soprattutto attraverso l’introduzione della “condizionalità”, e cioè un insieme di impegni ambientali che gli agricoltori devono obbligatoriamente rispettare per

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Paesaggi commestibili nella campagna di Roma

Il ruolo dell’agricoltura nelle aree peri-urbane, e più in generale nei vasti territori della diffusione

insediativa, è ormai al centro di una crescente attenzione internazionale.

L’agricoltura sembra intrattenere rapporti diretti e significativi con i mutamenti che investono lo spazio

collettivo nella città contemporanea in seguito all’abbandono della prospettiva “industriale” (quantità di

produzioni agricole da immettere sul mercato) a favore della gestione sostenibile dei territori urbanizzati.

In merito ai nuovi rapporti che si vanno delineando tra pratiche agricole e insediamenti contemporanei il

Comune di Roma è un caso molto interessante: è il più grande comune agricolo europeo non solo per la

quantità di ettari coltivati (30.000 ha solo di seminativi) e per numero di aziende agricole presenti (1900 ),

ma anche per gli elevatissimi indici di biodiversità presenti nel territorio (sono presenti 1300 specie

vegetali su un totale di 3000 presenti nell’intero Lazio, e 115 specie di volatili). A questo si aggiunge una

diversità altrettanto significativa di specie agrarie che, sperabilmente, saranno oggetto di specifica

attenzione a partire dal recente dispositivo di legge nazionale sulla biodiversità agraria del 20-05-2010.

Rispetto alle condizioni di emergenza ambientale che caratterizzano le grandi aree urbanizzate

contemporanee la campagna romana appare un sistema dotato di una sua specifica resilienza, esito di

molti differenti fattori: la presenza di considerevoli spazi non edificati (in larga parte tutelati come parchi e

riserve naturali) che interrompono il continuum urbanizzato creando una molteplicità di ambienti locali

dotati di specifiche capacità di funzionamento ecologico; la varietà geo-pedologico-climatica che garantisce

una elevata biodiversità, rafforzata da alcuni corridoi di connessione tra l’entroterra e la costa (grandi aste

e bacini fluviali), ma soprattutto la presenza di vaste aree ancora oggi coltivate, esito di processi

caratterizzati da una forte continuità (aziendale, culturale ed ecologica).

In questo contesto il boom dell’agricoltura multifunzionale (boom anche economico, capace cioè di

garantire redditi accettabili ai conduttori delle aziende) e dell’agricoltura sociale è del tutto comprensibile1 :

1 Il testo di riferimento per delineare la trasformazione dell’agricoltura contemporanea rimane a mio avviso il

Regolamento CE n.1698/2005 ed il successivo Piano Strategico nazionale italiano, approvato dalla Commissione Europea nel gennaio 2007, nel quale sono indicate le priorità strategiche, gli obiettivi specifici e le risorse complessive di finanziamento. In questi documenti si afferma attraverso il linguaggio istituzionale e quello (molto concreto) delle misure di finanziamento il legame strutturale tra agricoltura, risorse primarie e paesaggio. Già la riforma che ha caratterizzato il periodo 2000-2006 (Agenda 2000) è stata segnata dalla comparsa di due “pilastri” della politica agricola comunitaria: politica di mercato e sviluppo rurale. La politica di sviluppo rurale viene sempre più associata al ruolo multifunzionale dell’azienda agricola e agli obiettivi ambientali collegati a tale attività. La riforma Fischer del 2003 segna un ulteriore accelerazione del processo di avvicinamento tra politica agricola e politica ambientale, a seguito del regime di pagamento unico sganciato dal tipo di produzione (disaccoppiamento) e soprattutto attraverso l’introduzione della “condizionalità”, e cioè un insieme di impegni ambientali che gli agricoltori devono obbligatoriamente rispettare per

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i significati di produttività sembrano aver perso definitivamente i caratteri quantitativi e monetari a favore

di quelli ambientali, sociali, turistico-economico-locali, come testimoniato dalla estrema diversificazione di

attività che si svolgono all’interno di aziende agricole pubbliche e private: attività agrituristiche; raccolta,

vendita e consumo in loco dei prodotti delle aziende; ristorazione; pratiche terapeutiche rivolte ai

diversamente abili; fattorie didattiche. 2

Un ulteriore elemento che sembra spingere l’inarrestabile ascesa dell’agricoltura urbana è la crisi

economica delle amministrazioni pubbliche che, nelle aree di recente urbanizzazione, non sembrano in

grado di soddisfare il soddisfacimento né degli standards urbanistici consolidati né dei nuovi standards di

carattere ambientale -energetico . Questo problema è del tutto evidente nell’ area romana dove appare del

tutto evidente la difficoltà da parte delle amministrazioni comunali ad acquisire ulteriori aree verdi

pubbliche -che andrebbero a carico della manutenzione pubblica- per mancanza di fondi.

Oltre alla mancanza di spazi pubblici la “crisi di socialità” delle famiglie nel territorio di Roma è accentuata

dalle difficoltà connesse allo spostamento, che investe soprattutto i nuovi insediamenti oltre GRA. In

questo quadro è evidente come, almeno per le attività connesse al tempo libero, la domanda di uso degli

spazi verdi “intorno a casa” sia in continuo aumento, e una grande parte dei nuovi quartieri sono circondati

da spazi agricoli3.

C’è un altro fattore infine che alimenta il successo dell’agricoltura di Roma: una lunga consuetudine storica,

mai interrotta, nel rapporto diretto produttori-consumatori.

Nella campagna romana l’incontro tra cittadini e contadini è stato costitutivo e vitale, per es. nel legame

tra Roma e i territori agricoli dei Castelli romani, o nei punti di connessione rappresentati dai mercati

rionali a cui, di nuovo oggi, frutta, verdura e latticini della campagna romana tornano ad approdare con un

nuovo nome: km.0 (non senza conflitti con le produzioni, ormai globalizzate, che provengono dai “mercati

generali”).

Immagini collettive e spazi emergenti

ricevere il premio comunitario. Si giunge per questa via alle riforme 2005-2009 caratterizzate da un’ulteriore rafforzamento della politica di sviluppo rurale. 2 Il Piano Strategico nazionale italiano 2007-2013, cap.1, dedica una attenzione specifica ai cosiddetti Poli urbani,

delineandone un primo interessante ritratto nazionale: ricadono in questa tipologia 1.034 Comuni con una densità media molto elevata (circa 1.049 ab/kmq). (…) Rappresentano il 43% della popolazione italiana e si caratterizzano per una forte presenza del terziario e un discreto livello di attività manifatturiere; l’agricoltura svolge una funzione produttiva limitata (il 12% del valore aggiunto nazionale) e copre territori di corona intorno ai grandi centri urbani. Gli occupati agricoli in queste aree sono circa 200.000, mentre quelli dei settori extra-agricoli sono oltre 6,8 milioni. In alcune aree, immediatamente a ridosso del tessuto urbano, si concentrano attività industriali agroalimentari, che rappresentano il 30% degli addetti del settore agroalimentare del paese. (…). I poli urbani sono caratterizzati anche dall’elevata redditività della terra (5.000 euro di VA per ha di SAU) e la forte competizione nell’uso del suolo, testimoniata dalle rilevanti diminuzioni di superficie agricola totale e di SAU a favore dell’espansione urbana. (…) Dal punto di vista ambientale le zone vulnerabili ai nitrati rappresentano circa il 19% di quelle individuate al livello nazionale, con un incidenza sulla superficie totale pari circa al 6%. In queste aree sono presenti tuttavia anche territori ad alto valore naturale all’interno della rete Natura 2000 (SIC e ZPS); tali aree rappresentano solo il 4,9, incidendo però sulla superficie totale per circa il 9%. 3 Le considerazioni nascono dalla ricerca DIAP (Dipartimento Architettura e Progetto, Fac. Architettura, Roma La

Sapienza), Roma oltre GRA, coord. Lucina Caravaggi, in corso di pubblicazione.

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L’agricoltura multifunzionale si configura come un mosaico diversificato che assume in ogni contesto

caratteri specifici e irripetibili. Ma nello stesso tempo testimonia un andamento diffuso, una tendenza

collettiva per molti versi simile in contesti tanto diversi e lontani tra loro.

Anche a partire dalla campagna di Roma è possibile evidenziare assonanze e specificità, sottolineando il

legame tra immagini collettive e spazi emergenti.

a-nuove sovrapposizioni città-campagna

C’è un intenso duplice movimento generato dall’espansione della vendita diretta: i produttori vengono a

vendere i loro prodotti in città, nelle decine di farmers markets e mercatini del weekend, e nascono

rapporti di affezione con i compratori, basati sulla convenienza e sulla qualità; i produttori escono

dall’isolamento settoriale in cui per anni erano stati chiusi per effetto dell’industrializzazione agricola,

dialogano con i compratori, parlando delle loro aziende, delle loro difficoltà e dei loro successi. I

consumatori fanno domande tese a garantirsi circa i modi di produzione e di lavorazione, i produttori

cominciano a portarsi dietro le foto delle loro aziende e a mostrale con una certa fierezza, i consumatori

chiedono se è possibile andare sul posto a fare una gita, i produttori si attrezzano per garantire la vendita

diretta anche all’interno delle loro aziende, dopo un po’ di tempo aprono un piccolo punto ristoro, che con

il tempo si trasforma in ristorante, con annessa area giochi, parcheggi e pergole. Intanto anche intorno ai

farmers markets nascono spazi per sedersi, all’ombra d’estate e al sole d’inverno, spazi dove poter

assaggiare le focacce e le arance appena acquistati e scambiare pareri e informazioni con altri compratori.

Dopo qualche tempo molte persone si conoscono, e si danno appuntamento.

Lo spazio urbano comincia ad essere uno spazio abituale per i venditori, mentre lo spazio delle aziende

diventa uno spazio familiare per i compratori. Gli stessi riti (dialoghi all’aria aperta, assaggi, passeggiate)

portano lentamente a sovrapporre lo spazio della città con quello della campagna, allentando le rigide

separazioni tradizionali tra spazi della produzione e spazi della vendita. Città e campagna scoprono di avere

un ulteriore confine mobile, che assume la forma della vendita diretta, del km.0, del consumo “in loco”.

Se un prodotto è terminato “fate un salto in azienda a prenderlo appena raccolto, e rimanete a pranzo da

noi”, suggerisce il produttore dei Castelli; poi prende la sua bandiera giallorossa e si dirige verso l’Olimpico,

sfatando un’ ulteriore leggenda: i contadini della provincia di Roma non sono tutti laziali.

b-la campagna è l’ambiente, e l’ambiente è la campagna

L’agricoltura multifunzionale assume le sembianze di una pratica ecologica attiva e vitale soprattutto in

prossimità degli spazi urbanizzati. Roma è una città che, nonostante tutto, conserva grandi serbatoi di

naturalità al suo interno, coincidenti per lo più con parchi e riserve naturali, spazi tutelati cioè in virtù del

loro ruolo ecologico. Ma l’immagine dominante di queste grandi aree non è quella di boschi secolari, né di

impenetrabili foreste ripariali: l’ambiente “tutelato” si mostra, a piccoli e grandi che lo percorrono nei

weekend, con le sembianze della “campagna”: grandi prati aperti con alberi isolati dove ogni tanti

pascolano le pecore e nei quali, ad un’osservazione ravvicinata, la molteplicità erbacea trionfa anno dopo

anno con un tripudio crescente di diversità (foglie, colori, fiori, odori, sapori); coltivazioni orticole intorno ai

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casali ancora utilizzati dalle aziende (ritmi stagionali scanditi da fave e carciofi; pomodori, peperoni;

broccoli, broccoletti e puntarelle, tutti riconducibili all’aggettivo “romanesco” ); ci sono ancora brani di

oliveti, e frutteti abbandonati che generano un ambiente di transizione molto amato dagli abitatori

pennuti.

La biodiversità abita qui, magicamente salvaguardata all’interno dell’ambiente urbano, al riparo dai

pesticidi e dai concimi dell’agricoltura industriale, vitalità di aree lasciate in pace ma non abbandonate,

pulite ma non contraffatte, coltivate ma non sfruttate. Aree che si rafforzano con l’innesto di nuove specie

continuando a metabolizzare il cambiamento, selezionando e rifiutando, aggiungendo e eliminando,

all’interno di una storia evolutiva che va avanti, e ci racconta quello che è accaduto in passato.

Questa campagna è un grande testo di biodiversità, e sembra attendere con pazienza nuove letture,

interpretazioni più attente. Questa biodiversità è un grande testo agricolo, che ci racconta delle

trasformazioni di uso dei suoli, dei limiti rispettati e di quelli forzati fino alla distruzione del testo biologico

stesso.

Nei molti centri che svolgono attività di servizio a carattere sociale presenti nella campagna di Roma,

attività spesso rivolte ai meno fortunati, ho trovato le interpretazioni più interessanti del testo ambientale

come manufatto agricolo, e dell’agricoltura come pratica ambientale: per “spiegare qualcosa” intorno alla

vita di specie animali e vegetali si ricorre direttamente alla coltivazione, alla manutenzione e

all’osservazione (di un piccolo orto, di un prato spontaneo, o di un arbusteto). E’ quello forse il modo più

giusto per leggere e interpretare la biodiversità a cui abbiamo ancora la fortuna di partecipare.

c-la nuova socialità dello spazio agricolo

Parchi e giardini tradizionali sembrano aver perso una parte dei loro significati acquisiti, soprattutto nelle

aree di recente urbanizzazione. Sarà per la scarsità di manutenzione (che genera sensazioni di insicurezza

legate all’abbandono e alla marginalità), sarà per una progettazione standardizzata fino al parossismo, e

per le realizzazioni improntate ad un risparmio eccessivo, sarà perché gli orari, i ritmi e le abitudini delle

famiglie sono profondamente mutati rispetto al passato, e anche per l’emergere di nuovi modi di vivere

all’aria aperta (il diffondersi delle pratiche sportive spontanee, il legame con l’osservazione ambientale, il

bisogno di spazi da “esplorare”, nei quali compiere ricognizioni e scoperte) certo è che mentre la domanda

di verde è in continuo aumento l’indice di gradimento di parchi e giardini pubblici scende

progressivamente.

Ci sono molti indizi che indicano nello spazio agricolo uno dei possibili sostituti del verde pubblico

tradizionalmente inteso, soprattutto avendo in mente le nuove forme di città che stiamo sperimentando

negli ultimi anni (per es. Roma oltre GRA).

A cominciare dallo spazio degli orti, i quali, pur rappresentando già oggi uno spazio della socialità urbana

(ma limitato ai soli “ortisti”) potrebbero assumere significati collettivi più ampi attraverso una qualche

forma di controllo pubblico in grado di garantirne il ruolo di presidi ( gli orti si trovano spesso all’interno di

aree marginali e insicure) assicurando cioè percorsi di bordo aperti a tutti, spazi di sosta, regole minime di

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realizzazione e gestione mirate all’ igiene, al rapporto consapevole con il contesto ambientale e a pratiche

collettive virtuose (risparmio idrico, compostaggio, convivenza con gli animali che abitano lo spazio

coltivato, ecc.); che assicurino infine la possibilità di una “visione trasparente”, simbolo della possibilità di

una fruizione collettiva (eliminazione di barriere visive, recinzioni impenetrabili, siepi di bordo, ecc.).

In secondo luogo meriterebbero maggiore attenzione le molteplici e variegate forme attraverso cui

l’agricoltura incrocia i servizi sociali. Che lo svolgimento di attività mirate ai più piccoli e ai più anziani, ai

meno fortunati e alle persone che affrontano terapie riabilitative tragga vantaggi evidenti dal rapporto con

gli spazi verdi è noto da molto tempo. Più recenti sono invece le acquisizioni relative ai benefici legati alle

pratiche di coltivazione e alla cura di animali.

Lo spazio agricolo ospita, ed è il protagonista, di un nuovo modo di intendere queste attività: non più spazio

separato-specializzato-ospedilazzato, ma spazio di relazione che può avvicinare bambini e genitori

(agriasili), nonni e nipoti, assistenti e assistiti, terapeuti, pazienti, familiari dei pazienti e… dei terapeuti!

Le strutture che ospitano queste attività sono ancora per lo più i vecchi casali e le attrezzature di servizio

circostanti (pergole, fienili, stalle, ecc.). Strutture che dovranno reggere all’impatto di parcheggi,

ristrutturazioni interne, realizzazione di zone attrezzate all’esterno. Varrebbe la pena di pensarci con un po’

di anticipo, sempre che si riconosca a queste attività, e agli spazi dove si svolgono, un qualche significato

collettivo.

Infine ci sono le aziende, in cui la multifunzionalità significa apertura al mondo “esterno”, ingresso non solo

di “clienti” ma di persone che possono seguire le coltivazioni e partecipare alla raccolta di frutta e ortaggi,

osservare gli animali e intervenire nella loro cura, passeggiare semplicemente, o mangiare e bere

all’interno di spazi un tempo dedicate esclusivamente alla “produzione”.

Le aziende “ aperte” guidano alla scoperta dei paesaggi variegati della campagna di Roma e delle province

laziali (ma anche di quelle umbre e abruzzesi, meta di gite giornaliere e di weekend). La loro collocazione le

radica in contesti storici, climatici, vegetazionali ben definiti, e le trasforma in segnali della differenza locale,

emblemi della possibilità di difendere la diversità come patrimonio collettivo ( e se il “tipico” diventa il logo

di questa diversità benvenuto sia il tipico, a patto che non si trasformi nell’ennesimo strumento di

omologazione di gusti e domande collettive).

L’appartenenza consapevole ad un contesto può trasformare le aziende in spazi di interesse collettivo e

scongiurare le tentazioni da “parco dei divertimenti”, i rischi di nuove omologazioni in buona fede. Quella

che era una caratteristica genetica dell’agricoltura- rapporto obbligatoriamente commisurato con le risorse

ambientali primarie come condizione per il perseguimento dell’agricoltura stessa- a lungo negata per

effetto delle produzioni standardizzate e della chimica, torna timidamente ad affacciarsi sulla scena

collettiva. Gli spazi interni delle aziende permettono di familiarizzare con i contesti -morfologie di colli o

pianure, tradizioni costruttive improntate al risparmio energetico, forme dei campi e ruolo degli alberi,

acque da addurre e acque da smaltire, ingressi, annessi e spazi di lavoro- sia dove questo rapporto si è

magicamente “preservato” per effetto di una continuità spesso casuale, sia dove è stato interrotto e si

stanno lentamente ricostituendo i legami spezzati (anche con forme nuove rispetto al passato).

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Le immagini presentate in questo testo sono relative ad una tesi di laurea del corso Urbanistica e sistemi

informativi territoriali (studente Petro Pedercini, relatore Prof. Cristina Imbroglini). L’ipotesi sviluppata

tende a dimostrare il miglioramento possibile delle prestazioni di alcuni spazi, in chiave sia funzionale e

ambientale, muovendo dai processi di autorganizzazione in atto. L’inserimento di dispositivi ispirati all’

urban design tende non solo a facilitare lo svolgimento delle attività ma a dare un segnale evidente dei

valori collettivi che si vanno ad inserire nello spazio agricolo urbanizzato.

Le immagini si riferiscono al progetto di attrezzature multifunzionali per gli orti urbani e per i centri definiti

“social-green”.

1. Orti fluviali lungo l’Aniene- inserimento di attrezzature di recinzione con funzione di raccolta acqua e di servizio.

2. Centro social-green nel parco dell’Aniene- inserimento di attrezzature per lo svolgimento del mercatino settimanale e a supporto delle manifestazioni pubbliche.

Le immagini sui dati dell’agricoltura e sull’evoluzione storica sono tratte dalla tesi di laurea magistrale in

Pianificazione della città, del territorio e dell’ambiente (studente Luca Corino, relatore Prof. Lucina

Caravaggi).

3. trasformazione del territorio tra XIV e XIX secolo (tenute nobiliari ed ecclesiastiche) e tra il XIX e XX secolo (bonifiche idrauliche e agrarie)

4. progressiva erosione delle unità agricole di Capanna Murata, Tor Bella Monaca e Selvotta (1949 – 2001)

5. superfici, aziende e addetti nel settore agricolo (Roma, ISTAT 2001)

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