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La nuova ecologia / OTTOBRE 2012 60 PAESE IN CAMMINO La repubblica di El Salvador è stata messa in ginocchio da guerre, terremoti e alluvioni. Ora prova a rialzarsi soprattutto grazie ad uno straordinario senso di comunità. E alla tenacia delle sue donne camminatori del nulla. Nel viaggio in macchina dall’aeroporto all’hotel, San Salvador ci viene incontro con questa immagine. Padri, nonne, ragazzi e bambini in fila, nel mezzo del nulla, ai bordi di strade pericolose, corpi che non portano altro se non se stessi, ma senza tragedia. Come i salvadoregni, anche noi ci siamo messi a camminare. E camminando abbiamo cominciato a distinguere da quel corpo collettivo che avanza nel nulla i primi piani di uomini e donne, le donne soprattutto: le loro voci, il modo con cui dolcemente raccontano la loro vita spietata.Il volto antico di Esperanza Ramirez Viuda de Rivera è lo scrigno dentro cui sono riposti fin troppi segreti. Vive a Sonsonate, nella parte più “fragile” della città. I di Katia Ippaso reportage Oggi grazie all’intervento del- la cooperazione italiana, che con l’ong “Africa ‘70” sta rendendo “ac- cessibile” la vita di centinaia di persone dopo l’alluvione del 2011, Esperanza e i suoi figli e nipoti possono camminare su una strada vera, che potrà salvarli nel caso di un nuovo disastro. La donna ha avuto problemi agli occhi e si è dovuta operare, ma non racconta la malattia con dolore. Ha un fi-

Paese in cammino

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La repubblica di El Salvador è stata messa in ginocchio da guerre, terremoti e alluvioni. Ora prova a rialzarsi soprattutto grazie ad uno straordinario senso di comunità. E alla tenacia delle sue donne

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La nuova ecologia / ottobre 201260 ottobre 2012 / La nuova ecologia

paese in camminoLa repubblica di El Salvador è stata messa in ginocchio da guerre, terremoti e alluvioni. ora prova a rialzarsi soprattutto grazie ad uno straordinario senso di comunità. e alla tenacia delle sue donne

camminatori del nulla. Nel viaggio in macchina dall’aeroporto all’hotel, San Salvador ci viene incontro con questa immagine. Padri, nonne, ragazzi e bambini in fila, nel mezzo del nulla, ai bordi di strade pericolose, corpi che non portano altro se non se stessi, ma senza tragedia. Come i salvadoregni, anche noi ci siamo messi a camminare. E camminando abbiamo cominciato a distinguere da quel corpo collettivo che avanza

nel nulla i primi piani di uomini e donne, le donne soprattutto: le loro voci, il modo con cui dolcemente raccontano la loro vita spietata.Il volto antico di Esperanza Ramirez Viuda de Rivera è lo scrigno dentro cui sono riposti fin troppi segreti. Vive a Sonsonate, nella parte più “fragile” della città.

i di Katia Ippaso

reportage

Oggi grazie all’intervento del-la cooperazione italiana, che con l’ong “Africa ‘70” sta rendendo “ac-cessibile” la vita di centinaia di persone dopo l’alluvione del 2011, Esperanza e i suoi figli e nipoti possono camminare su una strada vera, che potrà salvarli nel caso di un nuovo disastro. La donna ha avuto problemi agli occhi e si è dovuta operare, ma non racconta la malattia con dolore. Ha un fi-

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‘Dove sono gli uomini, perchè se ne sono andati? ma non è di questo che si discute. È normale che i mariti vadano via’

a sinistra, esperanza Ramirez Viuda de Rivera con i suoi nipoti, fotografati nella zona più vulnerabile di sonsonate. sopra, sulla strada per izalco

fiume, le donne tengono in piedi El Salvador. Sono orgogliose e sanno lavorare. Se presti loro 150 dollari sono capaci di mandare il figlio all’università e inventarsi una piccola azienda di manufatti in terracotta: è ciò che è successo ad Avalina Garcia, che ha mol-tiplicato i denari usciti fuori dal programma per lo sviluppo socio-economico del dipartimento di Sonsonate.

La parola che sentiamo ripe-tere più spesso è “vulnerabilità”. Ne parliamo con Ketty Tedeschi, responsabile della cooperazio-ne italiana in El Salvador: «La prima volta che sono venuta, nel febbraio 2001, ho visto gli effetti del terremoto che aveva messo in ginocchio il paese. Poi sono tornata con questo nuovo incarico due anni fa. L’ultima alluvione, quella di ot-tobre 2011, ha causato danni per il 4% del Pil: il doppio del budget che ha a disposizione il ministero dell’Educazione. Parliamo di cata-strofi che incidono sullo sviluppo del paese. Accanto alla vulnerabi-lità ambientale, ce n’è una sociale, quella che determina le disugua-glianze. La divaricazione fra estre-mamente ricchi ed estremamen-te poveri è una costante di tutta l’America Latina, in particolare di questa zona». Accanto a vulnera-bilità, c’è una seconda parola che

ci fa da guida: comunità. Senza il senso della comunità che contrad-distingue le forme di vita nel pae-se, anche i progetti di sviluppo non avrebbero avuto lo stesso effetto. Un esempio: Irma NohemiMenen-dez de Lemus vive nella campagna di Chalchuapa. Il marito lavora di notte in uno stabilimento che fab-brica zucchero, di giorno dorme, lei è sempre sola. Prima che arrivasse la cooperazione italiana a finanzia-re l’allargamento dell’ospedale di Chalchuapa e la creazione di unità mediche di base (Ecosf), Irma pas-sava le giornate a cucinare. Ora ha messo una parte della sua abita-zione a disposizione di medici e in-fermieri, che stanno raggiungendo tutte le famiglie della zona perché la comunità si abitui a pensare che prevenire e guarire è possibile, che non c’è niente di cui aver paura, che si può vivere invece di lasciarsi infettare e morire. «È bello vedere tutta questa gente venire a curarsi nella mia casa» dice Irma, che ha poco più che niente ma in quel più ha trovato la direzione da dare alla sua vita.

Il progetto è stato realizza-to in accordo col ministero della Sanità, guidato da una donna di

glio disabile. Anche questo lo dice senza rabbia. Non dà la colpa a nessuno: non al marito che non c’è più, non al governo, né alla cattiva sorte. È un dato di fatto. «Devo lavare le cose per il ragazzo, non posso andare molto lontano da qui, anche se mi offrissero una casa. E poi non posso pagare né luce né elettricità». Esperanza, 71 anni, lava i panni con l’acqua inquinata del fiume. Per lei questa casa fatta di stracci e latta, ma anche di frutta fresca e bambini, è il suo posto nel mondo, non si sposterà.

Al volto di Esperanza si so-vrappone quello luminoso di So-nia Esperanza Aguilar e di sua sorella Blanca. Anche qui non c’è ombra di padri e mariti. Dove sono gli uomini, perché se ne sono andati? Ma non è di questo che si discute con le donne. È norma-le che i mariti vadano via. Sonia ha 50 anni e 13 figli. Vive in una casa sul fiume senza servizi igie-nici né acqua e ha un ruolo nella comunità: fare da tramite con le istituzioni. Da dove prende la forza Sonia Esperanza? Quanta speranza nei loro nomi e nelle loro facce, che assumono con fierezza la propria storia. In un paese dove tutto è stato azzerato, dove le trac-ce di un’ancestrale cultura sono state inquinate come l’acqua del

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reportagepaese in cammino

88 anni, Maria Isabel Rodriguez. Questa donna ha realizzato la più avanguardistica delle riforme sa-nitarie, ispirata da un principio di giustizia sociale. L’abbiamo incontrata nella sede del suo di-castero, assieme a Ketty Tedeschi e all’ambasciatore Tosca Barucco. La ministra ci racconta come tutto è cominciato, tanti anni fa. Prima studentessa a varcare la facoltà di Medicina, le consigliavano di lasciar perdere: «Non è un me-stiere da donne, mi dissero, e per mettermi in difficoltà all’esame di Anatomia mi chiesero di fare un discorso scientifico su un modello di pene maschile. A quel tempo le aule erano affollate di studenti che volevano assistere agli esa-mi. Non mi scomposi e parlai con competenza di quel preciso or-gano del corpo, che trattai come qualsiasi altra parte anatomica». Molti anni dopo, Rodriguez sa-rebbe diventata il primo rettore donna di quella stessa università, teatro dell’imbarazzante scena a cui la società degli uomini l’aveva costretta.

Queste cose ci insegnano que-ste donne. E una cosa sopra tutte: come l’entusiasmo accompagnato all’azione possa diventare uno strumento infallibile di conoscen-za e di propagazione della cono-scenza stessa.

Anche l’opera quotidiana di Le-tizia Escobar de Vazquez, in que-sto senso, è esemplare. Letizia ci mostra il laboratorio che coordina presso il museo di antropologia di San Salvador, sede del “progetto di formazione per il restauro, la con-servazione e la promozione del pa-trimonio culturale in El Salvador”, e anche i libri che sono stati creati in questi mesi di formazione. «Li metterò in rete, è giusto che tutto il mondo conosca queste tecniche».

Il nostro camminamento ci porta anche a Izalco, dove si stan-no restaurando alcuni elementi del gruppo scultoreo in legno del-la chiesa di Santa Cruz. Carmen Beatriz Castillo ci mostra il lavoro che sta facendo su una statua. C’è

‘Vedere questa povertà ti mette freddo, ma non tutto si riduce nel puro sopravvivere’

Una donna salvadoregna in un villaggio nel sud del paese, dove la cooperazione italiana ha realizzato un progetto di aiuto alimentare e bonifica del territorio

scritto “Santa Lucia”, ma come può essere? L’iconografia vuole che tenga un occhio in mano, lei invece tiene stretto a sè un piccolo libro. Chi è allora questa donna a cui Carmen sta facendo brillare il blu e il rosso delle vesti? Piccolo mistero che ci porta dentro il di-scorso sulla religione e i suoi riti. Carmen ci mostra le foto che ha scattato a Izalco la settimana di Pasqua, dove il giovedì si fa la pro-cessione del silenzio e il venerdì il Nazareno indio dorme nella casa di una famiglia del paese. Perché Cristo appartiene alla comunità, è quindi giusto che passi la notte e si svegli accanto alle persone che lo amano.

L’entusiasmo per la propria “missione” si propaga di volto in volto. Maria Teresa Delgado de Mejìa come rappresentante Unicef coordina il progetto di protezione dei minori contro l’abuso sessuale e le nuove schiavitù. Con lei an-

diamo nel palazzo di Giustizia a conoscere psicologi, avvocati e re-sponsabili di varie sezioni penali che ci mostrano il funzionamento della camera Gesell: da una stanza con vetri, giudice, pm e in qualche caso anche l’accusato assistono al colloquio che si svolge nell’altra stanza. Non sapendo dell’esistenza di spettatori, il bambino incontra uno psicologo che, con una cuffia all’orecchio, può ripetere anche le domande che arrivano dall’altro spazio. L’intento non è processare il bambino, che non deve sentirsi violentato per la seconda volta. Per questo sono importanti i colori pa-stello della stanza, la luce soffusa, i giochi. In certi momenti, quando non capisci se sei tu che hai fatto del male a qualcuno o qualcuno ne ha fatto a te, tutti dovrebbero sta-re in una stanza così. Con questo pensiero lasciamo San Salvador.

In macchina verso l’aeroporto incontriamo di nuovo i cammi-natori del nulla: la loro vita ora sembra meno nuda. La povertà del paese è un dato che ti fa sentire freddo in piena estate, ma non tutto si deposita nel puro soprav-vivere. Ripensiamo adEsperanza, Sonia, Carmen, Letizia, Maria Teresa che, nei rispettivi ruoli e classi sociali diverse, portano fie-ramente i volti di chi non si ras-segna e combatte, non solo per la propria esistenza ma anche per quella di chi vive accanto. Perché la vita non è più nuda se capisci che non sei solo. n

la reporter

Katia ippaso è giornalista, scrittrice e drammaturga. Lavora per il settimanale “Gli altri” ed è capo redattore del trimestrale “outlet”. per “La nuova ecologia” cura la rubrica “Visioni”. i suoi reportage dal cile - “Le voci di santiago” - e dalla palestina - “amleto e Gerusalemme” - sono stati pubblicati da “editoria & spettacolo”