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Marco Galeazzi From: antonio [[email protected]] Sent: mercoledì 27 novembre 2013 14.23 To: ANTONIO ESPOSITO Subject: PASSAPAROLA n. 3 novembre 2013 Attachments: torneo_winter_bano_2013_bis.pdf; 03 Da Hoyle al Whist.pdf; Forli Natale 2013 web.jpg; 01 Introduzione.pdf; 02 Gli attrezzi del mestiere.pdf Pagina 1 di 1 27/11/2013 A TUTTI GLI APPASSIONATI DI BRIDGE DELLE MARCHE Informazioni a cura di Antonio Esposito Vorrei predisporre una dispensa sulle origini del bridge nella citt à di Ancona , con testimonianze, foto, ecc.; chiunque volesse apportare il proprio contributo a questa pubblicazione può contattarmi al n. 3391280178 (Antonio) o inviare testi tramite email a [email protected] . Nel frattempo 1 ° invio sulla Storia del Bridge dal sito di Luca Marietti. Domenica 8 dicembre 2013 alle ore 16, 00 l ASD Senigallia organizza il 5 ° Torneo "Winter Bano 2013" , presso il Ristorante Da Bano di Senigallia. Nell’intervallo tra 1 e 2 manche spuntino in allegria. Per ulteriori dettagli vedi locandina allegata. Martedì 10 dicembre alle ore 21,00 “GRAN MITCHELL DI NATALE” organizzato dall ASD di Forl ì . Sede di gioco: Circolo Democratico Forlivese Via Maroncelli n° 7 – Forlì. E’ gradita la prenotazione. Per ulteriori dettagli vedi locandina allegata. Ciao Antonio

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Marco Galeazzi

From: antonio [[email protected]]

Sent: mercoledì 27 novembre 2013 14.23

To: ANTONIO ESPOSITO

Subject: PASSAPAROLA n. 3 novembre 2013

Attachments: torneo_winter_bano_2013_bis.pdf; 03 Da Hoyle al Whist.pdf; Forli Natale 2013 web.jpg;01 Introduzione.pdf; 02 Gli attrezzi del mestiere.pdf

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27/11/2013

A TUTTI GLI APPASSIONATI DI BRIDGE DELLE MARCHEInformazioni a cura di Antonio Esposito

Vorrei predisporre una dispensa sulle origini del bridge nella città di Ancona, contestimonianze, foto, ecc.; chiunque volesse apportare il proprio contributo a questapubblicazione può contattarmi al n. 3391280178 (Antonio) o inviare testi tramite emaila [email protected] .Nel frattempo 1° invio sulla Storia del Bridge dal sito di Luca Marietti.

Domenica 8 dicembre 2013 alle ore 16,00 l’ASD Senigallia organizza il 5° Torneo"Winter Bano 2013", presso il Ristorante Da Bano di Senigallia.Nell’intervallo tra 1 e 2 manche spuntino in allegria.Per ulteriori dettagli vedi locandina allegata.

Martedì 10 dicembre alle ore 21,00 “GRAN MITCHELL DI NATALE” organizzato dall’ASDdi Forlì.Sede di gioco: Circolo Democratico Forlivese Via Maroncelli n° 7 – Forlì.E’ gradita la prenotazione.Per ulteriori dettagli vedi locandina allegata.

CiaoAntonio

Associazione Bridge Senigallia Circolo “La Fenice”

Sede di gara: Ristorante BANO – Locali riscaldati

Programma e Regolamento: * Chiusura iscrizioni ore 15,45 * Inizio Torneo ore 16,00 * Coppie libere sistema Mitchell Montepremi * 70% dell’incasso al netto delle spese

Quota iscrizione: Euro 8,00 a giocatore Direzione Tecnica Arbitro Federale

NELL’INTERVALLO TRA LA 1ª E 2ª MANCHE

SPUNTINO IN ALLEGRIA

Ore 20,00 aperitivo e cena libera a prezzi di favore rispetto al listino

INFORMAZIONI Paola Troini Tel. 3391288276

SARÀ GRADITISSIMA LA PARTECIPAZIONE E LA PUNTUALITÀ DI TUTTI

5° TORNEO

WINTER BANO

PER UN PO' DI MARE ANCHE D’INVERNO una scorpacciata di bridge, e non solo ...

DOMENICA 8 DICEMBRE 2013 ore 16 – 19: Simultaneo Light a premi

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INTRODUZIONE

Il noto scrittore Jack Olsen ha così sentenziato: “Non c’è mai stata una schiavitù con maggior presa del bridge, salvo forse l’alcool, e tra le due quella per il bridge è probabilmente più forte. Si conoscono alcolisti guariti, ma chi mai ha conosciuto bridgisti guariti?”. E se Jack Olsen non vi è noto, proviamo con questa citazione: “La facoltà di risolvere è probabilmente molto rinforzata dallo studio delle matematiche e in particolare dall’altissimo ramo di questa scienza che è stata chiamata impropriamente analisi. Il calcolo non è in se stesso un’analisi. Il giocatore di scacchi, per esempio, ne fa l’uno senza perdersi con l’altra. Ne viene di conseguenza che, riguardo ai suoi effetti sul carattere mentale, il gioco degli scacchi è di solito sopravvalutato, e di molto… …L’analista penetra nell’animo del suo avversario, si identifica con esso, e non di rado scopre a colpo d’occhio l’unico metodo possibile, talvolta di un’assurda semplicità, per attirarlo in un tranello o farlo cadere in un calcolo sbagliato. Da tempo il gioco del whist è stato rammentato per la sua azione sulla facoltà del calcolo; si sa di uomini del più alto grado d’intelletto che vi prendono un piacere in apparenza incomprensibile mentre evitano come troppo frivoli gli scacchi. E, difatti, non vi è nulla che metta alla prova le facoltà dell’analisi, come questo gioco. Il miglior giocatore di scacchi della cristianità può essere poco di più che il miglior giocatore di scacchi; laddove essere forte nel gioco del whist significa possedere le capacità di riuscire in tutte quelle imprese ben altrimenti importanti nelle quali una mente si trovi a combattere con un’altra. E dicendo “essere forti” ho voluto alludere a quella perfezione nel gioco che implica l’intendimento di tutte quelle sorgenti dalle quali possono derivare vantaggi legittimi, i quali sono non solo diversi ma complessi e spesso si nascondono in recessi del pensiero assolutamente inaccessibili al ragionamento comune. Osservare attentamente vuol dire ricordarsi distintamente... …Così, aver buona memoria e procedere secondo le regole del manuale, è quanto di solito si considera bastevole a giocar bene. Ma ci son casi che non rientrano nei limiti delle regole comuni, e allora si manifesta l’abilità dell’analista. Questi fa, in silenzio, le sue numerose osservazioni e deduzioni, e lo stesso fanno forse i suoi compagni. La differenza sta nella qualità dell’osservazione. L’importante è sapere cosa osservare. Il nostro giocatore non conosce limiti, né, per quanto il gioco sia il suo oggetto, disprezza le deduzioni che provengono da cose estranee al gioco…

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… L’imbarazzo, l’esitazione, la prontezza, la trepidazione; tutto, insomma, per la sua capacità, in apparenza intuitiva, di percezione, tutto serve a denotare il vero stato delle cose. Così dopo i primi due o tre giri, egli è padrone del gioco di ognuno e butta ogni carta con perfetta cognizione di causa, proprio come se gli altri giocatori avessero scoperte le loro. La facoltà di analisi non deve essere confusa con la semplice ingegnosità; mentre l’analista è necessariamente ingegnoso, l’uomo ingegnoso è spesso refrattario all’analisi… … Fra l’ingegnosità e la capacità analitica vi è in realtà una differenza assai più grande che fra la fantasia e l’immaginazione, epperò di un carattere strettamente analogo; per cui si troverà che l’uomo ingegnoso è sempre ricco di fantasia, ma che l’uomo veramente d’immaginazione non può esser che un analista.” Non male, cosa ne dite? Siamo a metà circa dell’ottocento e l’autore è niente meno che Edgar Allan Poe, il quale utilizzò questa dissertazione come prologo al suo racconto “Gli assassinii di Rue Morge”. E pensate che il whist altro non era che una forma semplificata del gioco di cui siamo noi oggi appassionati; il bridge, magico e magnetico al contempo.

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GLI ATTREZZI DEL MESTIERE

E’ difficile collocare con precisione nella Storia la nascita delle carte da gioco; e, come spesso succede quando l’origine di qualcosa è remota o misteriosa, si tende ad attribuirla al Diavolo o alla lontana Asia. Nel nostro caso non bisogna forse scomodare il soprannaturale, ma è indubbio che se ancora oggi nell’era della tecnologia siamo tanto affascinati da questi rettangolini che sembrano ricambiare il nostro sguardo ogni volta che ne soppesiamo l’utilizzo, beh, qualcosa ci deve pur essere. JonsteinGaardner, l’autore filosofo norvegese del best seller Il mondo di Sofia, ha ipotizzato che il mazzo di carte sia stato creato col fine ultimo di regolare il procedere del nostro tempo. A ben pensarci la correlazione tra carte e calendario è quasi inquietante: cinquantadue come le settimane, e se 52 per 7 fa 364 il Jolly è il giorno 365. Certo nei mazzi troviamo di solito due Jolly, ma il secondo serve per l’anno bisestile che conta 366 giorni. Se non fosse poi per la comodità di contare quattro stagioni composte da un trimestre potremmo assegnare un mese ad ogni valore evitando di avere mesi di lunghezza diversa; il mese dell’ASSO, composto dalle quattro settimane dell’ASSO di CUORI, QUADRI, FIORI e PICCHE, il mese del 2 e così via. Avremmo tredici mesi di ventotto giorni con alla fine il giorno del Jolly che ci porta a 365. E se questi conti vi sembrano artificiosi o casuali provate a sommare il valore delle carte considerando uno per l’ASSO, due per il 2 e poi undici il FANTE, dodici la DAMA e tredici il RE; la somma delle cinquantadue carte, indovinate un po’, fa nient’altro che 364; e il Jolly chiude il cerchio. Forse allora non è poi così strano che coloro che si appassionano al più completo e appassionante tra i giochi di carte cambino in funzione di esso i ritmi della propria vita. Noi bridgisti siamo un mondo a parte di gente che vive in dipendenza della propria passione.

IL BIG BANG, OVVERO L’ORIGINE

L’edizione del 1914 dell’American Enciclopedia asserisce che già nell’antico Egitto erano in uso carte da gioco in papiro. Alcuni testi asseriscono che esse furono un evoluzione di giochi quali gli scacchi o il Mah Jongh, altri che vennero introdotte dai Crociati di ritorno dalle scorribande contro gli infedeli e altri ancora affermano che le carte da gioco siano state inventate intorno all’anno 1120 dai cinesi e vennero poi introdotte in Europa verso il 1300. E’ difficile trovare il bandolo che ci può condurre alla verità in quanto non esistono e non potrebbero esistere tracce concrete; eventuali reperti si sarebbero già dissolti nei secoli.

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Una delle teorie più interessanti riconducono alla Persia; da qui lo sviluppo del commercio diffuse le carte da gioco verso oriente fino alla Cina e verso occidente in Egitto prima e da lì in Europa. Proprio dall’Egitto sono state tramandate immagini che riconducono alle prime carte da gioco. Intorno al quattordicesimo secolo ai vertici del potere vi erano i Mammalucchi, popolo di guerrieri importati nei secoli precedenti come schiavi; le loro grandi doti in battaglia servirono a porli in posizioni sempre più importanti nei ranghi militari, fino a che raggiunsero appunto i vertici nelle gerarchie dello stato. Le prime carte recavano come simboli le Spade, i Bastoni, le Coppe e i Denari. I bastoni, disegnati con un’estremità ricurva, altro non erano che le mazze da polo, attività molto in voga tra i Mammalucchi. In Europa il simbolismo dei semi è di influenza francese: le PICCHE sono la nobiltà, le QUADRI i mercanti, le FIORI i contadini e le CUORI il clero.

ASSO di COPPE spagnolo ASSO di DENARI SPAGNOLO

Risale al 1937 la proposta di introdurre un nuovo quinto seme, le AQUILE; l’esperimento era probabilmente nato con l’ambizione di vendere qualche mazzo di carte in più, ma fallì miseramente nel volgere di qualche mese. Comunque sia, le prime documentazioni concrete per l’Europa risalgono alla seconda metà del quattordicesimo secolo. Un cronista italiano di nome Covelluzzo scrisse intorno al 1450 che i giochi di carte comparvero per la prima volta a Viterbo nel 1379. Vero o falso che sia tale riferimento la moda dilaga in Italia come in Europa, avversata da Chiesa e moralisti; corre l’anno 1423 quando San Bernardo da Siena, frate francescano, asserisce in un suo famoso sermone che le carte da gioco sono appunto un’invenzione del Maligno.

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Manco a dirlo un editto di tal fatta contribuì in un baleno ad accrescere la loro popolarità; più calavano anatemi e più la gente giocava a carte.

I TAROCCHI…

Si tratta delle prime carte da gioco diffuse in Europa; presero il nome di Tarocchinio Tarocchi o Carte Italiane. Il mazzo originale, prodotto in Lombardia, era composto da 78 carte; quattro semi, COPPE, SPADE, DENARI e BASTONI, ognuno dei quali aveva quattro carte vestite, il RE, la REGINA, il CAVALIERE e il VALLETTO, più dieci carte numerate. Fin qui siamo a 56, e ad esse si sommavano le atout, nome che non ci è nuovo, che in italiano suonavano come atutti; rappresentavano differenti immagini, dall’Imperatore al Mondo, dagli Amanti alla Ruota della Fortuna, dal Papa al Diavolo, dal Sole alla Luna.

L’UOMO PENDENTE

I quattro semi sembra rappresentassero quattro ceti sociali medioevali: gli Ecclesiastici, i Militari, i Commercianti ed Industriali, e per finire i Lavoratori. Il difetto pratico di un tale tipo di carte era che la rappresentazione su di esse non risultava visivamente comoda; nove SPADE o nove BASTONI disegnati su una piccola carta andavano a confondere un po’ la vista.

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Carte italiane del 15° secolo

… E LA LORO EVOLUZIONE

Gli spagnoli semplificarono il disegno delle carte, soprattutto a livello di quelle numerate, e così fecero anche i tedeschi, sin dalla fine del 1300, tanto esportare nella nostra penisola gran parte della produzione già prima della fine del 15° secolo.

SPADE e BASTONI spagnoli

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Ma il grande passo avanti arrivò dalla Francia, che seppe schematizzare simboli ed immagini a vantaggio dei costi di produzione e dell’approccio visivo.

RE e REGINE francesi

I COEUR, i PIQUE, i CARREAU e i TREFLE, ovvero i CUORI, PICCHE, QUADRI e FIORI alla francese sono ancora oggi pressappoco equivalenti alle carte che maltrattiamo tutti i santi giorni.

E le figure rappresentate, RE, DAME e FANTI, erano così come lo sono ancora oggi, diverse da un seme all’altro per il fatto che raffiguravano ognuna un personaggio differente, un po’ come i Tarocchi caratterizzati da tante differenti immagini. Per esempio il RE di CUORI, barbuto e con tanto di spada in mano, era chiamato nelle carte inglesi Charles, che stava ad indicare niente meno che il monarca assoluto per quei tempi, ovvero Carlo Magno; Il RE di CUORI era allora la carta di maggiore importanza, essendo le CUORI in cima alla scala che era formata appunto da CUORI, QUADRI, FIORI e PICCHE.

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J. J. Rousseau Pudore e Libertà di Matrimonio

La DAMA di CUORI era per i francesi Judic o Judith, la consorte di un Re Carlo I, oppure in altri mazzi Sant’Elena o anche solo Elena ad indicare Elena di Troia.

Carlo Magno Judith Elena

Un altro personaggio famoso che ebbe l’onore di essere immortalato su una carta da gioco fu Etienne de Vignolles, famoso comandante delle truppe francesi durante la Guerra dei Cent’Anni (1337-1453) tra Francia e Inghilterra. Il suo soprannome era La Hire, a causa del temperamento brutale e violento e fino al tardo settecento fu il FANTE di CUORI nelle carte francesi.

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La Hire

Nell’800 compaiono le figure ritratte simmetricamente in modo da non avere più un verso alto e uno basso.

Prime carte bifronti

LE FERREE LEGGI INGLESI

A cavallo tra il 14° e il 15° secolo le carte da gioco iniziarono ad essere importate in Inghilterra, soprattutto dalla Francia, ma la loro diffusione venne contrastata dalle rigide regole puritane. A dire la verità nobili, ricchi e in generale la classe dirigente aveva per così dire libera licenza di svago, il divieto era rivolto al popolo lavoratore. Per i primi spiragli legali alla diffusione del gioco dobbiamo arrivare fino al 1541, anno in cui venne pubblicato il cosiddetto Editto di Natale. In pratica il gioco veniva vietato a tutti gli appartenenti alle corporazioni lavoratrici, dagli artigiani ai minatori, con l’eccezione del periodo natalizio, in cui ogni scommessa e gioco d’azzardo erano consentiti.

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Il fine era quello di non distrarre la manodopera dal dovere nei periodi di grande impegno, ovvero quasi sempre. In verità tale divieto non ebbe un grande effetto moralizzatore; nobili, commercianti, giovani e le loro mamme ne erano esenti, e il popolo in generale trasse se possibile un ulteriore impulso al gioco dovuto al fatto che fosse in prima istanza vietato e per di più demonizzato. Nel 1576 John Northbrooke, allora noto compositore di Bristol, pubblicò un trattato dal titolo “A TreatiseAgainstDicing, Dancing, Plays, and Interludes” ove le sue ire appunto si scagliavano contro i dadi, i giochi in generale, danze e rappresentazioni. Tanto per andare sul leggero egli paragona “i Dadi alla madre e le Carte alla figlia, entrambe dedite a portare l’uomo verso malanni, blasfemia, falsità, miseria, infamia, vergogna, povertà e confusione.” E tanto per non essere frainteso specifica che “le carte sono un’invenzione del Diavolo, in quanto via più diretta per portare l’idolatria tra gli uomini tramite le immagini su di esse rappresentate.”. Gli Scacchi invece erano, bontà sua, un gioco sano e da filosofi in quanto privi di inganno o sotterfugi. Insomma, la gente giocava in barba alle reprimende, ma chi veniva sorpreso rischiava addirittura di finire sotto processo. E così, col passare degli anni, i giochi di carte entrarono a far parte degli svaghi comuni a livello di ogni ceto sociale, tanto da portare ad una notevole rilevanza economica le compagnie che le producevano ed esportavano.

LA PRODUZIONE DI CARTE DA GIOCO IN FRANCIA

I francesi ebbero a partire dal sedicesimo secolo fino al diciottesimo il predominio assoluto nella manifattura delle carte, nonostante le tasse estremamente onerose cui erano sottoposti tutti i prodotti del paese. Addirittura, nel 1583 il sovrano Enrico III impose un balzello addizionale su ogni mazzo di carte fabbricato in Francia, unitamente all’obbligo di distruggere periodicamente le matrici utilizzate per la stampa; questo in nome di una doverosa vessazione nei confronti di un prodotto foriero di blasfemia, omicidi, vessazioni, rovina delle famiglie e così via. Per fortuna, si fa così per dire, in quel periodo la Francia era alle prese con sommosse e disordini tra cattolici ed ugonotti, e l’applicazione di tale editto non andò sempre a buon fine. Passarono gli anni e ogni sovrano inventò qualche nuova tassa da applicare alla produzione delle carte da gioco, con la scusa di un balzello morale, ma con il risultato di spremere a beneficio dello stato un’industria molto redditizia. E arriviamo al 1661, quando Luigi XIV ebbe l’illuminata idea di devolvere la tassazione sulle carte da gioco ad un buon fine, ovvero la sovvenzione dell’Ospedale Generale di Parigi.

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Nel 1791, con la Rivoluzione, la tassa sulle carte da gioco venne abolita in quanto vessatoria delle libertà dei cittadini e al contempo fu vietata l’importazione delle stesse dall’estero. Questi provvedimenti ridussero drasticamente i prezzi con l’effetto parallelo di un enorme incremento per la passione del gioco. Quando una decina di anni dopo le tasse vennero reintrodotte le carte erano ormai entrate nella vita di tutti i francesi.

DURA LEX

In Francia la giustizia era molto severa con coloro che cercavano di frodare le tasse sulla vendita delle carte da gioco. Nel 1771 Firmin Saint Paul, uno dei più importanti produttori di Parigi, dichiarò bancarotta, chiuse le sue fabbriche e iniziò fabbricare e vendere di frodo le sue carte. Quando venne acciuffato la prima volta se la cavò con una grossa multa e il marchio a fuoco sulle due spalle che lo indicava come truffatore. Nel 1777 tornò a Parigi per riprendere l’attività sotterranea, ma a breve fu smascherato e condotto in carcere a vita in quanto ritenuto incorreggibile. In Inghilterra le leggi non erano da meno. Il governo permetteva ai privati di produrre solo 51 delle 52 carte da gioco; quella mancante era l’ASSO di PICCHE, la cui produzione era riservata allo Stato e che veniva distribuita a titolo di pagamento della tassa. In sostanza il fabbricante pagava un tot per ogni ASSO, che veniva consegnato con sù stampato il marchio reale. Nel 1562 Richard Harding venne appunto condannato a morte per aver falsificato l’ASSO di PICCHE nel tentativo di frodare la legge. E, tanto per citare la lotta alla contraffazione, uno statuto elisabettiano prevedeva per i falsari pene estremamente severe: si andava dal taglio delle orecchie e il marchio a fuoco delle narici fino al carcere a vita oltre alla confisca di tutti i beni. E i bari? Eccovi un esempio edificante: nel 1777 un commerciante di Norfolk, sorpreso a barare, venne condannato a sei mesi di prigione seguiti da 20 £ di multa, cifra a quei tempi non da poco. Al termine della detenzione al poveretto venne offerta l’opportunità di scampare alla pena pecuniaria; l’alternativa, non particolarmente appetibile, fu quella di soggiacere ad un’ora di gogna con le orecchie inchiodate alla stessa. Ecco fornito alla Giustizia Sportiva un ottimo incentivo per promuovere la lealtà al tavolo da gioco. Chiesa e moralisti contro e una legge severa a regolare produzione e commercio delle carte; una combinazione stuzzicante per lo spirito umano, da sempre attratto da ciò che viene demonizzato.

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Il risultato fu che il fascino per il gioco si diffuse a tutti i livelli sociali, tanto che col tempo caddero una ad una tutte le riserve su uno degli svaghi più popolari al mondo.

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DA HOYLE AL WHIST

Per scovare le prime tracce di quello che sarebbe evoluto all’alba del ‘900 nell’attuale Contract Bridge dobbiamo viaggiare nel tempo fino a circa metà del seicento, per la precisione nel 1674, quando tale Cotton diede il nome appunto di Whist al capostipite del Whist vero e proprio. Sembrerà strano ma questa prima versione veniva giocata con solo 48 carte, dal momento che dal mazzo venivano tolti i 2; solo più tardi, al tempo in cui Hoyle e Semyour pubblicarono i primi classici testi sui giochi di carte, si giunse all’utilizzo del mazzo completo. Riguardo dell’etimologia del termine Trump, ovvero l’atout, esso deriva dall’italianissimo gioco del Trionfo, che risale addirittura a prima del quindicesimo secolo. L’ordine dei semi era quello classico, ovvero CUORI, QUADRI, FIORI e PICCHE, da cui la frase Come Quando Fuori Piove per ricordare appunto tale gerarchia. Ed ecco spiegato, per chi se lo fosse mai chiesto, perché il 2 di PICCHE è considerato simbolo del minimo assoluto. E andiamo alla storia; è l’inverno del 1736 quando un gruppo di gentiluomini inglesi, tra cui Edmond Hoyle e Lord Folkstone, si riuniscono abitualmente al Crown Coffee House. Appassionati di carte, decidono di abbandonare il gioco del Picchetto per studiare e dedicarsi al Whist. Le regole che si impongono sono le seguenti: -Far giocare la mano più forte -Studiare la mano del compagno così come la propria (non poco semplice, dal momento che non esisteva la figura del morto) -Non forzare la mano del compagno senza una stretta necessità Hoyle va poi ben oltre e nel 1742 pubblica quello che sarebbe divenuto il padre di tutti i trattati sull’antenato del bridge, ovvero “A Short Treatise on the Game of Whist”.

Edmond Hoyle

L’impatto del testo è tale che nel volgere di pochi anni il Whist è il gioco di carte più in voga in tutta l’Inghilterra.

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La prima edizione venne stampata a Londra in poche copie, quasi a livello personale, da John Watts. Da esse vennero poi prodotte innumerevoli versioni copiate; uno pei primi casi di pirataggio in grande stile, tanto che l’autore e l’editore pubblicarono le edizioni successive vergandole con le proprie firme. Oggi gli originali sono quasi introvabili e una di esse è esposta alla Bodleian Library ad Oxford. Nella sua opera Hoyle non spiega le regole di base del gioco ma cerca di approfondire le strategie da seguire, si tratta più di più un manuale per esperti che di un corso base. Riguardo all’autore si sa poco, di certo sembra che abbandonò gli studi di legge per quelli dei giochi, e di lui si occuparono anche alcuni quotidiani benpensanti di Londra. In uno si essi compare il seguente trafiletto al riguardo: “Tra le famiglie più importanti del Regno è comparsa recentemente una nuova figura del Tutor, la cui funzione è quella di completare l’educazione delle giovani Dame; alla stregua di un maestro di danza egli passa le ore al istruire le fanciulle ai piaceri mondani dei giochi di carte. Per quanto assurdo possa sembrare, un numero sempre maggiore di genitori sembra richiedere questo tipo di servigio per le proprie figlie.”. D'altronde, conclude benevolmente l’articolo, “sembra appurato che il gioco delle carte coltivi la socialità ed educhi la gentilezza.”; altri tempi, cari miei. O forse no; disdicevole e diabolico per la plebe e tutto il contrario per i ceti elevati. Hoyle diviene il più ricercato istruttore di Londra non solo per le giovani damigelle, ma anche per i loro cavalieri e per i genitori, e tutti comprano per una ghinea a copia il suo manuale. La sua autorità era tale da vedere coniata un’espressione comune, “according to Hoyle”, che fino a circa metà del ‘900 indicava in generale per i giochi di carte il concetto di giocare alla regola, seguendo le regole dei testi. Agli articoli adulatori che come sempre accompagnano l’uomo di successo del momento si unisce un libercolo satirico che fa il verso al nume del gioco. Hoyle ha la caricatura del Professor Whiston, che dà lezioni a Sir Calculation Puzzle. Quest’ultimo è in un certo senso l’antenato dell’Esperto Sfortunato di Simon nel suo famosissimo “Perché perdete a Bridge”; applica alla lettera, o crede di applicare, tutti gli insegnamenti del maestro, ma non riesce mai a indovinare un colpo, e il Professor Whiston ha il suo bel daffare a spiegare perché teoria e pratica non vanno d’accordo. Tornando a Hoyle in persona, forte del successo che lo accompagnava egli pubblicò successivamente “The Gamesters’ Companion”, “The Polite Gamester”, e infine “Hoyle’s Games” considerato ancora oggi il più importante trattato di sempre sui giochi di carte, che spazia dal Whist al Picchetto così come dagli Scacchi al Backgammon. Lord Byron scrisse testualmente che “Troia deve ad Omero quello che il Whist deve a Hoyle”. Il grande merito di Hoyle fu che la diffusione del gioco varcò i confini dell’aristocrazia a cui era precedentemente confinato, divenendo popolare a livello di ogni ceto sociale.

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Un giornale dell’epoca arrivò ad asserire che nel gioco del Whist ”oggi come oggi ogni ragazzino dagli otto anni in su se la cava più che bene.”. Più che nelle case il gioco era diffuso in tutte le Coffee House di Londra e pian piano entrò nei più esclusivi club privati, dove i Lord così come gli alti prelati avevano la passione del gioco radicata ai massimi livelli. Tanto per raccontarne una, all’entrata dei Circoli c’era un Libro delle Scommesse, su cui i soci firmavano gli impegni reciproci; nel novembre 1754 venne riportato che “Lord Mountfort scommette cento ghinee con Sir John Bland che Mr. Nash sopravviverà a Mr. Cibber”. Qualche mese dopo l’esito riportato è che “sia Lord M. che Sir B. sono trapassati prima che la scommessa si fosse conclusa.”. Terreno fertile per un gioco d’azzardo quale il Whist. La prima edizione Americana di “Hoyle’s Games” venne pubblicata a Philadelphia nel 1790.

SALE LA FEBBRE PER IL GIOCO

Il primo codice delle regole del gioco venne pubblicato presso la Caffetteria White and Sander’s nel 1760 e nel 1851 fu la volta del più famoso regolamento del Portland Club, redatto da Caelebs. Benjamin Franklin, in una lettera spedita alla moglie durante un viaggio in Inghilterra, racconta che “il Cribbage è ormai fuori moda e ormai, da Parigi a Londra, tutti giocano a Whist.”. (il Cribbage è uno dei primissimi giochi di carte, inventato si dice da un soldato inglese all’inizio del ‘600). Charles Maurice de Talleyrand-Périgord fu un aristocratico francese che ancora oggi viene considerato come il più influente diplomatico della storia europea.

Talleyrand-Périgord

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Lavorò anche in qualità di Primo Ministro sotto il Regno di Luigi XVI e poi sotto Napoleone, e a lui viene attribuita la seguente sentenza: “E così, povero giovane, non giochi a Whist? Quale triste età avanzata stai preparando per te stesso!”. Il più grande giocatore dell’epoca fu un altro francese, Deschapelles, il cui nome è noto ancora oggi per un colpo che prende il suo nome. E anche in Italia il Whist godeva di molta popolarità. Sembra che a Firenze, nei palchi dell’opera, sul finire del ‘700 gli appassionati giocassero sulle note delle loro arie preferite. A Londra nel 1793 nacque la rivista “Sporting Magazine”, in cui una regolare rubrica era dedicata al Whist. Per rimanere in Inghilterra c’è da notare che il gioco era particolarmente diffuso tra i militari, molti dei quali pubblicarono volumi al riguardo. Un buon esempio di quanto il Whist venisse giudicato una valida palestra per affinare il senso tattico ce lo può fornire la dedica che il Generale Scott dedica al Duca di Wellington nella prefazione del suo “Easy rules of Whist”: “My Lord, nessun libro potrebbe essere più indicato del presente per venir dedicato a Vostra Signoria. Sebbene nel gioco del Whist molto dipende dalla fortuna, la massima parte è determinata dall’intelligenza del giocatore. Le vostre vittorie in guerra sono state ottenute grazie alla vostra abilità in quello che mi permetto di chiamare Il Gran Gioco Militare. Per Vostro merito il mondo ora è in pace e potrete dunque dedicarVi a sconfiggere i nemici immaginari al tavolo di Whist seguendo gli stessi principi logici che tanta fama Vi hanno portato.”. Una bella sviolinata, non c’è che dire, ma non so se il Duca avesse apprezzato, dal momento che dedicare un libro intitolato “Le facili regole del Whist” è come dire che il destinatario queste regole è meglio che se le rilegga. Dal codice di Portland prese spunto la neonata American Whist League quando nel 1891 codificò e modificò alcune regole, tra cui quella che il premio partita si otteneva al raggiungimento di sette e non cinque prese. Il più grande impulso allo sviluppo del Whist venne dall’avvento del Duplicato, che di fatto diede il via all’attività agonistica. Protagonista di tale innovazione fu un personaggio che sarebbe diventato uno dei grandi Immortali del Bridge, Milton C. Work. A questo proposito vale la pena di soffermarci su questo grande personaggio. Credo che a molti bridgisti il suo nome non suoni nuovo: il conteggio dei punti così come ancora oggi tutti noi lo utilizziamo, quattro l’ASSO, tre il RE e così via, ha il nome appunto di Punti Milton C. Work, con tanto di nome, cognome e secondo nome puntato. Un’invenzione che prese piede universalmente solo parecchio tempo dopo la morte dell’autore, avvenuta nel lontano ’34. Fino agli anni cinquanta l’influenza degli insegnamenti di ElyCulbertson fece sì che la massima parte dei bridgisti utilizzasse il suo metodo di valutazione della mano, basato sulle vincenti.

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Ma non è questo che volevo raccontarvi, bensì la storia di un’intuizione che di fatto diede vita al bridge di competizione così come oggi lo concepiamo. La nascita e lo sviluppo del bridge a partire dal suo predecessore, il whist, senza dichiarazione e senza morto, furono in massima parte basate sulla partita libera, in cui sul breve termine l’influenza della sorte determinava spesso le fortune dei contendenti. Ai nostri tempi la partita è stata quasi completamente soppiantata dal bridge di gara, a squadre o a coppie che sia, in cui il fine è quello di confrontarsi sullo stesso terreno, ovvero giocando le medesime smazzate. E sembra a tutti noi banale il concetto dei boards che passano da un tavolo all’altro. Ma, come per quasi tutte le invenzioni, finché non ci si pensa il concetto è tutt’altro che intuitivo. Andiamo allora alla storia. L’anno è circa il 1880 e Milton C. Work è un giovane studente dell’Università della Pennsylvania che ha ereditato dal padre la passione per il whist. A quei tempi gli unici testi sull’argomento erano a firma di tale Henry Jones, un inglese che scriveva sotto lo pseudonimo di Cavendish. Il nostro Milton leggeva con avidità tutte le sue pubblicazioni sull’argomento, fino al giorno in cui gli capitò sott’occhio un capitolo dedicato al tentativo di eliminare il fattore fortuna dal tavolo da gioco. Mr. Jones raccontava di avere radunato otto amici dividendoli in due squadre di quattro; aveva selezionato nella prima coloro che a suo parere erano più ferrati e nell’altra i meno esperti. Alla fine, avendo fatto giocare un certo numero di smazzate uguali nelle due sale, la compagine favorita aveva vinto con facilità. A parere dell’autore l’esperimento aveva favorito i più bravi diminuendo l’effetto della sorte. Milton decise di dare un seguito alla storia; radunò i suoi amici appassionati di carte fondando con loro il Club del Whist dell’Università della Pennsylvania e dando loro da leggere i pochi testi in circolazione. Forti di un minimo di preparazione comune di base lanciarono allora la sfida a un gruppo di preminenti uomini di affari che erano riuniti sotto il titolo di Saturday Night Whist Club, il club del whist del sabato sera. Questi erano in teoria i migliori giocatori di Philadelphia che a cadenza settimanale si riunivano a casa di uno dei membri a rotazione per interminabili partite il cui fine era di radunare abbastanza soldi da organizzare a fine stagione un gran banchetto a spese dei perdenti. Non avevano mai sentito parlare di testi tecnici e tanto meno di duplicato ma erano senza dubbio tutti giocatori di esperienza. Incuriositi dalla proposta e desiderosi di dare una lezione ai giovani rampanti, accettarono il confronto. La sede di gara fu la residenza di uno dei membri del Saturday Night, il Capitano John P. Green, vice presidente delle Ferrovie della Pennsylvanya.

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Il Philadelphia Team

Ed ecco come tecnicamente si svolse quello che di fatto fu il primo duplicato interclub. Due stanze in cui i membri di una squadra sedevano NORD-SUD in una ed EST-OVEST nell’altra. Su ogni tavolo un mazzo di carte e tredici fiches. Durante il gioco ognuno teneva le proprie carte accanto a sé e la linea che si faceva la presa prendeva una fiche; non era ancora venuto in mente di tenere la carta coperta orizzontale o verticale a seconda di chi se l’aggiudica. A fine mano le tredici carte di ognuno venivano mescolate per non indicare la sequenza del gioco, il risultato veniva annotato e i quattro di una sala andavano a giocare la mano conclusa nell’altra. Così via fino alla fine, nessun board e due soli mazzi di carte. I giovani fecero valere la preparazione di gruppo vincendo agevolmente e i senior accettarono di buon grado la lezione formando poco tempo dopo con loro l’Hamilton Club di Philadelphia, che iniziò a occuparsi di Whist competitivo. Il risultato fu poco tempo dopo la nascita della Lega Americana di Whist. Sempre in quegli anni John T. Mitchell, forse il cognome vi dice qualcosa, introdusse il primo board da duplicato, rendendo di fatto semplice ed attuabile il whist di gara. Milton C. Work divenne negli anni a venire un preminente personaggio nel giovane mondo del bridge, senza per questo lasciare da parte la sua principale attività, che era quella di docente di lettere presso l’Università della Pennsylvanya. E non solo. Tra le sue mansioni per così dire alternative c’era quella di allenatore della squadra universitaria di baseball; di giorno allenava i suoi ragazzi e di sera li conduceva dalla passione del poker a quella prima del whist e poi del bridge.

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Ricordate che a quei tempi si scatenò una tale passione per il nostro amato gioco che tutti, dall’industriale fino all’operaio che immaginiamo sospeso alle travi nella costruzione dei grattacieli di New York, dal banchiere all’impiegato, tutti dicevo approfittavano di ogni momento di svago per una partita con amici o colleghi. In molti treni per i pendolari c’erano apposite carrozze attrezzate con tavoli da gioco. Si giocava persino in piscina.

Un torneo in piscina

Ma ora, a proposito di treni, rientriamo nei binari del nostro filo conduttore. Sempre nel 1891 venne sperimentato il metodo Howell per i movimenti dei tornei; era più o meno lo stesso che ancora oggi sfruttiamo quando il numero di coppie è troppo limitato per un normale Mitchell. Vi ricordo che all’epoca parliamo di Whist e non ancora di Bridge. Il primo testo in cui si parla di Bridge risale a qualche anno prima, il 1886, e si intitola Birritch, or Russian Bridge. Già, il nome Bridge non indica il ponte immaginari che si instaura tra i due compagni di gioco ma sembra essere semplicemente l’inglesizzazione di un termine russo. La differenza tra il Whist e il suo giovane successore era che il seme di atout non veniva sorteggiato ma scelto di mano in mano dal mazziere o dal suo compagno nel caso il primo non avesse preferenze. Nei primi anni del ‘900 capitò che alcuni giocatori, trovandosi solo in tre, provarono a giocare lasciando esposte le carte del quarto. Leggenda racconta che furono tre soldati in trincea a sperimentare per primi tale novità. L’introduzione del morto rese di fatto molto più divertente il gioco e poco per volta il concetto prese piede anche per i tavoli da quattro giocatori. Il nuovo gioco, chiamato Auction Bridge, venne sperimentato nei circoli di Londra. Il rango dei semi divenne quello attuale, con le PICCHE in cima e le FIORI in fondo. L’Auction divenne Plafond e il Plafond piano piano fu soppiantato dal nuovo arrivato, il Contract, in cui la grossa novità era data dalla licita e dai premi per i contratti di slam, ideati da Harold Vanderbild, che incontrarono subito grande successo.

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Il battesimo di tale innovazione avvenne per la precisione nell’ottobre 1925, a bordo della nave da crociera Finland in partenza da San Francisco. Essa riscosse molto successo e durante l’inverno successivo gli appassionati vacanzieri contagiarono col loro entusiasmo i compagni di gioco dei rispettivi circoli. E nel 1927 anche l’Auction Bridge Bulletin prese atto del nuovo arrivato che rischiava di soppiantare le precedenti forme di bridge; in un lungo articolo intitolato “C’è un futuro in America per il ContractAuction?” la conclusione fu la seguente: “Fino ad ora il Bollettino non ha fatto cenno sulle proprie pagine al Contract, ritenendo che questa nuova formula non avrebbe preso piede e che nemmeno ci fossero abbastanza giocatori interessati ad essa. Ma allo stato attuale il Contract ha raggiunto una posizione tale da non potere essere da noi ignorata nel rispetto dei nostri lettori. Il concetto di vulnerabilità (essere in prima o in zona) e i premi di partita e slam aggiungono indubbiamente interesse e tensione al gioco. Ma, come per tutte le novità, solo il tempo potrà dire se il pubblico ne decreterà un successo duraturo.”. Un paio di numeri dopo la stessa rivista prova a dar addosso al Contract con le seguenti considerazioni: “Le ragioni a favore di coloro che rifiutano di adottare il Contract è che esso privilegia l’approccio speculativo a quello scientifico; va bene per i super giocatori e se dovesse prendere piede la maggior parte degli appassionati smetterebbe di giocare. Lo spirito di un gioco deve essere quello di essere semplice e il fatto di dover dichiarare la partita per avere il premio così come il concetto dei CONTRO sono innovazioni troppo complicate e tutto sommato inutili.”. E così via. Il vecchio osteggiava il nuovo dando contro proprio al sale che rende il bridge tanto appassionante; l’asta licitativa, i premi di manche e slam e le punizioni da affliggere con i CONTRO.