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PROFESSIONEPR

Pagine di Moda: Maria Canella ed Elena Puccinelli, Centro MIC Università degli Studi di Milano

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Giornate di studio nell’ambito del progetto nazionale “Archivi della moda del Novecento”, Milano, 7 marzo 2013 " 'Archivi della moda del Novecento'. Gli archivi dell’editoria femminile e di moda", Maria Canella e Elena Puccinelli, Centro MIC Università degli Studi di Milano Info e programma: http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?news=convegno-pagine-di-moda Progetto Archivi della Moda: http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/ Videoregistrazione dell'intervento: https://vimeo.com/album/2307514/video/61964970 Album fotografico: https://picasaweb.google.com/117290793877692021380/ConvegnoPagineDiModaMilano2013?authuser=0&feat=directlink

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PROFESSIONEPR

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La collana MIC “Moda Immagine Consumi”è diretta da Maria Canella ed Emanuela Scarpellini

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PROFESSIONEPRimmagine e comunicazione nell’Archivio Vitti

Centro Interdipartimentale MIC“Moda Immagine Consumi”

Università degli Studi di Milano

a cura di Elena Puccinelli

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In copertinaGiorgio Armani, finale di sfilata 1985

Art directorMarcello Francone

Progetto graficoOrnella Marcolongo

RedazioneElena Isella

ImpaginazioneValentina Zanaboni

Ricerca iconograficaElena Puccinelliin collaborazione conNexo, Milano

Realizzazione editorialea cura diNexo, Milano

Nessuna parte di questo libro può essereriprodotta o trasmessa in qualsiasi formao con qualsiasi mezzo elettronico,meccanico o altro senza l’autorizzazionescritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

© 2011 MIC, Università degli Studi di Milano© 2011 Archivio Vitti© 2011 Skira editore, MilanoTutti i diritti riservati

Finito di stamparenel mese di dicembre 2011a cura di Skira, Ginevra-MilanoPrinted in Italy

www.skira.net

Il volume Professione PRè stato realizzato con il contributo diFondazione CariploCamera di Commercio Industria Artigianatoe Agricoltura di Milano

Si ringrazianoCristina BrigidiniMaria CanellaFrancesco DebiaggiBarbara Vitti

Paolo Panerai, Class Editori

Barbara Vitti dedica questo libroa sua madre Gemma e a sua figlia Emma

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Prefazioni

Una storia lombardaQuirino Conti

Comunicare la moda e comunicare con la modaSimona Segre Reinach

Moda e comunicazione a Milanonelle carte di Barbara VittiElena Puccinelli

Milano è di moda

Non solo moda.L’importanza di chiamarsi PR

Sommario

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Mario BoselliPresidente della Camera Nazionale della Moda

Il ruolo delle PR nella gestione delicata e complessa del sistema moda ita-liano è sempre stato importante fin dagli inizi, quando, con la nascita e losviluppo del prêt-à-porter degli stilisti, si dovette sviluppare un “mestiere”nuovo, una professionalità tutta da inventare, in un settore produttivo che daartigianale si andava trasformando in un’industria, in parallelo con il piùampio successo del “Made in Italy”. A questa fase iniziale, che oserei defi-nire eroica, è seguita un’evoluzione importante, che ha richiesto professio-nalità e strumenti più raffinati per gestire realtà più sofisticate e complesse.I rapporti fra gli studi di PR e la Camera Nazionale della Moda sono statimolto intensi e hanno consentito di gestire tematiche difficili con risultatipositivi, anche se con passaggi a volte “spigolosi”. In questo percorso, unaprotagonista e testimone privilegiata è stata ed è Barbara Vitti, che con stileed eleganza, non disgiunti da fermezza e serietà, ha gestito gli eventi piùsignificativi di questa stagione d’oro della moda italiana.La sua cifra professionale può essere riassunta nella famosa metafora“pugno di ferro in guanto di velluto”, ma si tratta di un guanto certamenteelegante, perché Barbara Vitti è la “signora delle PR e della moda”.

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Il volume Professione PR. Immagine e comunicazione nell’Archivio Vitti,curato da Elena Puccinelli, rappresenta un esempio prezioso di quell’operadi valorizzazione degli archivi che costituisce oggi una delle sfide più impor-tanti nella gestione dei beni documentali a livello locale e nazionale. Questepagine offrono infatti una riflessione critica, corredata da una ricca selezio-ne di immagini, sui documenti conservati nell’Archivio Vitti donatoall’Università degli Studi di Milano nell’ambito del progetto nazionale“Archivi della Moda del Novecento”, finalizzato a individuare, valorizzare erendere fruibile lo straordinario patrimonio archivistico, bibliografico, icono-grafico, audiovisivo relativo al sistema moda in Italia.Il progetto, presentato a Firenze nel 2009, nasce su iniziativa della DirezioneGenerale per gli Archivi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali edell’Associazione Nazionale Archivistica Italiana, in collaborazione con laDirezione Generale per i Beni Librari, gli Istituti Culturali e il Diritto d’Autoree la Direzione Generale per l’Organizzazione, gli Affari Generali, l’Inno-vazione, il Bilancio e il Personale dello stesso Ministero.Per la Lombardia, il progetto ha visto l’attiva partecipazione e il coordinamen-to tra varie istituzioni pubbliche e private: tra i primi obiettivi perseguiti vi èstato l’avvio di un censimento degli archivi di aziende, stilisti, case editricilegati al mondo della moda, condotto in collaborazione dalla SoprintendenzaArchivistica per la Lombardia e dall’Università degli Studi di Milano.Il censimento è stato propedeutico a una serie di altre iniziative, tra le qualiil volume che qui si presenta, coordinate in un vasto progetto dedicato agli“Archivi della Moda del Novecento in Lombardia” promosso dal CentroInterdipartimentale MIC “Moda Immagine Consumi” dell’Università degliStudi di Milano, in collaborazione con la Soprintendenza Archivistica per laLombardia, la Regione Lombardia, il Comune di Milano e le Civiche Rac-colte d’Arte Applicata ed Incisioni, l’Associazione Biblioteca Tremelloni delTessile e della Moda, l’Associazione Italiana Pellicceria, il Centro di studi perla storia dell’editoria e del giornalismo, la Fondazione Gianfranco Ferré. Ilprogetto è stato sostenuto dal contributo della Fondazione Cariplo e dellaCamera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Milano.

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Maurizio SavojaSoprintendente Archivistico per la Lombardia

L’obiettivo è quello di conoscere, tutelare e valorizzare gli archivi della moda:intendendo l’archivio non solo nel senso più tradizionale di carte accantona-te a scopo amministrativo, ma nel più ampio significato di insieme organicodi documenti, senza distinzione di tipologia o di supporto, formati, accumu-lati e usati da una determinata persona, famiglia o ente nello svolgimentodella propria attività, secondo una definizione ormai consolidata. E quindiarchivi amministrativi, certo, ma anche tutti gli altri materiali (disegni, schizzi,pubblicazioni, ritagli, oggetti, fotografie, audio-video) che l’agire nel mondo diun soggetto porta ad accumulare e conservare, perché funzionali all’attivitàcondotta o perché frutto dell’attività stessa: l’archivio del prodotto, concettoanch’esso ormai entrato nel linguaggio comune degli archivi d’impresa.In questo senso il progetto sugli archivi della moda, come altri avviati in que-sti ultimi anni relativamente agli archivi d’impresa, di architettura, della musi-ca, della letteratura e così via, costituisce la stimolante sfida dell’incontro trai più vivi settori della società e dell’economia attuale e le professioni dellamemoria e della documentazione: archivisti, storici (con le diverse specializ-zazioni), bibliotecari, istituzioni culturali, di ricerca e dedicate alla didattica,accomunati dalla volontà di contribuire alla creazione di nuovi modi per ope-rare, nel mondo presente e futuro, che si appoggino al meglio sul patrimo-nio del passato, nel contempo lavorando perché questo patrimonio nonvenga disperso, ma anzi si arricchisca con le testimonianze dell’oggi.Il volume curato da Elena Puccinelli è un esempio, uno degli esempi, di quan-to gli archivi possano restituire, al mondo di oggi, del patrimonio di conoscen-za di cui sono portatori; una conoscenza fatta delle tracce lasciate dall’opera-re nel tempo di individui e organizzazioni, che può essere fatta rivivere apatto, in primo luogo, che i documenti e gli oggetti che la racchiudono sianoattentamente accumulati e conservati e che vengano poi, attraverso unapproccio culturalmente rigoroso e rispettoso, studiati e riportati alla luce.

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Una storia lombarda

Quirino Conti

Cos’era Milano in quei primi anni settanta! Intanto che, volgendosi impruden-temente verso ciò che restava della morente alta moda romana, anche attor-no a nomi che erano stati alteri e reboanti, tutto, proprio tutto appariva comedestinato al disfacimento e alla rovina, dentro un tragico cono d’ombra e d’inu-tilità. In una noiosa, inesorabile impotenza fin-de-race senza scampo alcuno.Mentre lì, tra nuovi paesaggi, comportamenti nuovi e finanche nuove fisio-nomie, in un odore inconfondibile e totalmente inedito per chi frequentas-se d’abitudine atelier e sartorie – quello della fabbrica e di quanto smuove-va pulegge e ingranaggi (reali e metaforici), catene di montaggio e cicli pro-duttivi –, lì la vitalità del nuovo e dell’appena nato dava quel genere di eufo-ria che sempre causa la consapevolezza d’essere nel Tempo, nella Storia,nella propria contemporaneità, nel solo punto determinante: artefici di ciòche conta e appare ineludibile.Similmente a come si poteva ascoltare dagli estatici racconti dei superstititestimoni dei Ballets Russes e di quella irripetibile stagione. Un’eccitanteeuforia che avresti detto simile all’ebbrezza; in una interminabile primavera.Ora che, in volo verso quella città, sopra le nuvole, e dunque già con l’im-maginazione e il pensiero fuori dalle cose, al momento di atterrare ci sipoteva a ragione convincere di stare per scendere nel cuore stesso del pro-prio tempo, in quella ennesima, incomparabile, unica Modernità.Cosicché, voltandosi indietro appunto, c’era da correre il rischio di perdersie di restare di sale: come nel più classico dei miti.Lì, in quel piccolo mondo di stilisti – quale nome più azzeccato per giovanitalenti pronti a sconvolgere l’aspetto della Storia? – e di professioni nuove,appena inventate. Già, da un giorno all’altro, in una sede adeguata, con bel-l’indirizzo, senso del lavoro, degli affari, e professionalità.Lì incontrai Barbara Vitti.Ci fece conoscere un comune amico, compratore alla Rinascente (quanto devela Moda a quella fucina di creativi e stilomani!) che, in quell’appena nato mondo

Veduta di Milano con latorre Velasca e le gugliedel Duomo, 1958

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dello Stile, si muoveva con buone amicizie, disinvoltura e grande comunicativa.Ci presentò all’Hotel Palace per il mio esordio a Milano.Da allora non ci siamo più persi.Affermare che Barbara Vitti avesse molte relazioni è dare un limite al suoindirizzario di allora. Giacché i pochissimi che eventualmente non vi fosseroprevisti, se necessario, dopo un attimo, erano già dentro la sua festosacapacità di coinvolgere e includere.Da milanese autentica, come nessuno.Con il sentimento in mano – almeno così dicono loro –, chiacchiere lo stret-to necessario e appena sufficiente, e tantissimi fatti. Sobriamente, certo(venivo dalla pomposissima romanità), ma con intensità e determinazione.Mi ero appena laureato in architettura – ormai è quasi, anzi è sicuramente,un difetto, la laurea – e, in quegli anni, con Gianfranco Ferré già famoso earchitetto rodato, eravamo due autentiche rarità: eppure, senza troppi giri diparole o grilli per la testa. Giacché Milano allora era così, piena di occasionistraordinarie, possibilità e generosi slanci: per chiunque, anche se illettera-to, purché avesse talento e qualcosa da dire.Barbara Vitti si occupava allora del GFT e lì fummo a lungo insieme, dopoTrussardi e poi via via in occasioni di lavoro memorabili.Sapendo unire ciò che avevamo di diverso l’uno dall’altra assieme a quelloche, accomunandoci, ci dava energia e forza.Compresa una rara predisposizione per l’elaborazione di lettere; sì, di let-tere – fax o e-mail che fossero: pacificate, risentite o sentenziose aseconda del caso. Ovunque fossimo, se c’era un problema da risistema-re quella era la nostra tempestiva, irresistibile specialità. A qualunque ora.Perché in quegli anni la felicità consisteva, più che in qualsiasi altra cosa,nell’essere costantemente in un solo pensiero dominante: l’impagabileprivilegio, cioè, di esercitare la più moderna delle professioni e la più stra-ordinaria.Ma oltre alla determinazione, ciò che fin d’allora colpiva in lei era la passio-ne contagiosa con la quale svolgeva il suo lavoro. Passione che rendevaunica ai suoi occhi, e dunque anche ai suoi interlocutori, qualunque cosa lefosse stata affidata. Che si trattasse di una nuova impresa, una presenta-zione o una campagna pubblicitaria, ogni volta quell’incarico diveniva il suooggetto d’amore, il solo suo scopo. Per ogni dettaglio: anche solo doverscegliere una didascalia o un impaginato. Appassionatamente, sempre.Quali che fossero le difficoltà e gli impedimenti. Allora come oggi.

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E così lo Studio Vitti diveniva un’istituzione, e non soltanto in quel pugno digeniali elaboratori di stile e di immagini.E costantemente ai vertici di un sistema che a grandi passi si faceva sem-pre più esigente, mai che smarrisse l’unico modo che conosceva per affron-tarlo: dunque entusiasmo, volontà, metodo e illimitata disponibilità, oltreogni immaginazione.Ma soprattutto, passione: vorace e bruciante. Che le riempiva la vita. Perqualunque particolare di quel nuovo corso di storia professionale, come nonci fosse altro al mondo.Forte, tenace, rassicurante; per chi le era accanto, una sorta di muraglia pro-tettiva e invalicabile, di bastione armato.L’ho osservata con i miei occhi muoversi nel mondo al fianco dei più grandi nomidello Stile: ebbene, anche in quelle occasioni riuscendo a non tradire se stessa erimanendo ciò che era ed era stata in quei primi anni settanta, agli esordi di tutto.Identica: lombarda, milanese e con il sentimento a fior di pelle. Inflessibile,seppure, fortunatamente, con molti varchi di fragilità in quel suo tono alto esonoro – e una “r” inconfondibile – capace di tenere tutto in pugno.Cos’era Milano in quegli anni! Cos’erano quei giorni!E non perché, rievocando il passato, si rimpiange unicamente la giovinezzae dunque le sue ore preziose – giacché non di rado il passato e la giovinez-za possono anche essere stati tremendi e da dimenticare.Quelli, invece, erano davvero anni eroici per la Moda, e non certo per ragio-ni di età o generazionali.Poiché insieme vedemmo sorgere Titani, levarsi torri di luce, alzarsi magni-ficenza e perfezione, senza pari.E lei era ed è lì, custode di quei giorni e di tutti i loro segreti.Forte, tenace e piena d’amore per quel suo lavoro e per chiunque lo svol-ga, con identica fermezza, accanto a lei.“Tutto questo non dovrebbe poter durare; però durerà, sempre; il sempreumano, beninteso, un secolo, due secoli…; e dopo sarà diverso, ma peg-giore. Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno glisciacalletti, le iene; e tutti quanti, Gattopardi, sciacalli e pecore, continuere-mo a crederci il sale della terra.”Nulla è più vero.Anche se, c’è da giurarci, Barbara Vitti sarebbe stata capace di trasformareanche quel terribile Calogero Sedara in un autentico, vero stilomane. Senon in un Gattopardo.

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Comunicare la moda e comunicare con la moda

Simona Segre Reinach

Per gli studiosi degli anni sessanta e settanta la moda era un oggetto cheincuriosiva, in parte anche attraeva per il suo trasformarsi proprio in quel-l’epoca da pratica di distinzione sociale, la moda di classe, a pratica espres-siva e comunicativa, la moda “degli stili di vita”, ma che veniva aspramentecriticato in quanto uno dei fenomeni di neomania indotti dal capitalismo.Sulla scorta della Scuola di Francoforte, nella propensione ai consumi veni-va individuata una possibile deriva dall’impegno sociale. Gli studi recenti1,al contrario, si sono focalizzati principalmente sull’interpretazione dellavarietà di significati di ciò che va sotto il termine moda, cercando di liberar-la dalla connotazione effimera di cui ha sofferto a fasi alterne sin dai tempidella polemica settecentesca sul lusso. Già Jean Baudrillard2, seppureassai critico nei confronti della moda, che secondo la sua analisi prometteun’uguaglianza di fatto introvabile nelle società capitaliste, riteneva che lamoda offrisse il terreno per analizzare aspetti significativi delle nostresocietà. Il continuo rinnovamento di segni, la perenne produzione di senso,solo in apparenza arbitrario, nel mistero intatto dell’alternanza dei suoi cicli,sono l’espressione più efficace della nostra società contemporanea. Con iltramonto della moda come distinzione sociale e l’inizio dell’era della modaaperta3, nuovi significati si presentano pronti a essere veicolati dalla moda,emblema dei consumi culturali della società contemporanea. Nella societàtardo-capitalista dei consumi l’accresciuta importanza della moda in quan-to comunicazione è più che evidente. Non solo la forma moda influenza,ma plasma le modalità del desiderio e dell’immaginazione. Il desiderio di“muoversi con la moda”4 fa convergere in modo crescente le nozioni dellostile sul corpo vestito e la nostra attenzione si focalizza sull’insieme dellepratiche che definiscono l’identità. La moda è dunque attività antropoieticaper eccellenza, serve, cioè, a “fare umanità”5. Attraverso i suoi must lamoda fornisce indicazioni su cosa è giusto o non è giusto indossare e ciprepara per l’immediato futuro, facendoci assaporare le anticipazioni dei

Susy Porter e MikeNichols da Maxim’sa Parigi, 1962 (FotografiaRichard Avedon)

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gusti e delle tendenze. Scrive Ugo Volli: “Quando ci mettiamo un abitodiciamo quello che siamo, e gli altri lo capiscono. Vestirsi è scrivere la pro-pria identità sul corpo, comporre frasi relative secondo una grammaticapubblica e facilmente decifrabile (anche se mobile), tradursi e tradirsi informa di tessuto”6.Intendere la moda come comunicazione significa postulare l’esistenza di unsuo linguaggio specifico. L’abito è uno dei molti sistemi di comunicazionenon verbale, cioè di una comunicazione che non coinvolge il parlare o loscrivere, come i gesti, gli sguardi, la prossemica, ma che è altrettanto effi-cace. Proviamo a elencare somiglianze e differenze tra il linguaggio dellamoda e la lingua vera e propria. Diversamente dal linguaggio che si basa susegni e regole per la combinazione di essi in specifici messaggi, l’abbiglia-mento non possiede la medesima qualità generativa. La parola, inoltre, èpiù arbitraria e meno ambivalente. Il significato di alcune combinazioni diabiti o dell’enfasi su un certo stile varia infatti in base all’identità della per-sona che indossa quegli abiti, all’occasione, al luogo, alla compagnia e “per-sino a qualcosa di così vago e passeggero come lo stato d’animo di chiindossa e di chi osserva”7. Per alcuni autori è proprio la nozione di ambiva-lenza, nelle sue varie espressioni, di genere, tra il maschile e femminile, distatus tra le classi sociali e tra ricchezza e povertà, e della sessualità nelladicotomia erotico-casto, a costituire la materia stessa di cui la moda è fattae si nutre.Potremmo dire che in gran parte la nostra identità, il senso di chi e che cosasiamo prende forma nella misura in cui bilanciamo e tentiamo di risolverele ambivalenze che la nostra natura, il nostro tempo e la nostra cultura ci tra-smettono. E l’abbigliamento, pur avendo avuto come scopo iniziale quellodi proteggerci dagli elementi della natura, entra oggi a far parte della gestio-ne dell’ambivalenza al pari di altri mezzi, già di per sé fonti di comunicazio-ne, a nostra disposizione per la comunicazione del sé: la voce, il portamen-to e il movimento del corpo, le espressioni facciali e gli oggetti materiali dicui ci circondiamo8.Eppure la comunicazione della moda, pur nell’ambivalenza che la caratteriz-za, ha un suo valore specifico di cui siamo tutti consapevoli. È dall’ambiva-lenza della condizione umana messa in scena e spettacolarizzata, tuttaviaresa innocua nelle sue reali conseguenze, che deriva il fascino della moda,come fosse un “continuo palcoscenico della rappresentazione di noi stes-si”9. Moda e abbigliamento veicolano significati culturali obliqui che il lin-

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guaggio con la sua natura esplicita non potrebbe veicolare. Come la culturamateriale in genere, la moda può infatti parlare “sotto voce”10 e come lamusica possiede un valore altamente metaforico. Punto di incontro tracorpo, abito e cultura, la moda indica un fenomeno sociale dalle ampie impli-cazioni che soprattutto in epoca contemporanea si delinea dunque come unasorta di esperanto. Basti pensare ai marchi del cosiddetto lusso globale cheattraversano confini geografici ed economici mantenendo miracolosamenteintatto il loro potere comunicazionale. Precisamente per le sue caratteristi-che compositive e per la sua ambivalenza nonché per la sua duttilità, la modafunziona in un certo senso come il pensiero mitico11, cioè produce nuovisignificati servendosi di pezzi esistenti, come anche il caso del vintage illu-stra. Tra i primi a sostenere che la moda prenda vita attraverso i sistemicomunicativi che ne costituiscono il senso è Roland Barthes12 nel suo pio-nieristico saggio sul sistema della moda. Analizzando la “moda scritta”, inparticolare le didascalie delle riviste di moda, Barthes provocatoriamente nesottolinea gli aspetti più sottili (e perversi, in quanto rivelatori delle discrimi-nazioni che il capitalismo produce) di sistema di comunicazione. Il codicevestimentario proprio perché più instabile del linguaggio può anche precede-re il linguaggio nello svelare nuovi comportamenti e istanze sociali. È unmezzo per molti aspetti imperfetto, ma con un potere talmente forte da ren-derlo indispensabile nella trasmissione della cultura nella sua complessità. Ilconcetto di destino personale, di scelta e di responsabilità individuale legatoall’emergere delle società liquide13 ha nei rituali del guardaroba e nelle prati-che di cura del corpo i suoi esempi più notevoli. Come sostiene MichelMaffesoli14, mentre la politica era il tratto distintivo della modernità, l’esteti-ca è quello della nostra società definita di tarda-modernità. La ricerca esteti-ca che contraddistingue la nostra epoca trova nei meccanismi della moda illuogo dell’apprendimento più immediato. Non si tratta soltanto di un codicesemantico, scrive a questo proposito Lars Svendsen, quanto di un effettoestetico: “Dobbiamo optare per uno stile di vita che, in quanto stile, faràdella nostra preferenza una decisione estetica fondante. L’estetica pertantodiviene il centro della formazione dell’identità”15.La prevalenza degli stili di vita sulle classi sociali, che in termini sociologicisegna il passaggio dalla cultura della produzione alla cultura del consumo,si accentua dopo gli anni sessanta e soprattutto negli anni ottanta, quandola moda inizia a divenire un segno in grado di significare estetica, moderni-tà, democrazia, culto della giovinezza. L’Italia ha un ruolo fondamentale in

Nelle pagine successive:Il chi c’era nella SalaBianca di Palazzo Pitti,1954 (Disegno Brunetta)e Il pubblico di PalazzoPitti, 2001 (DisegnoPaolo Fiumi)

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questo passaggio che trasforma la moda da industria produttiva a industriaprevalentemente culturale16. Con l’innovazione apportata dagli stilisti mila-nesi, cioè con il connubio tra stilisti e industria tipico del prêt-à-porter, siesce dal registro del lusso e si entra in quello della diffusione popolare. Inpochi anni, come noto, la moda diviene un bisogno sociale diffuso e loshopping di moda una delle attività preferite dal pubblico. Le proposte sidiversificano, lo stilista propone modelli di comportamento estetico cuirisponde un’accresciuta capacità di usare la moda come strumento espres-sivo e attivazione di consonanza con i propri simili. La moda, che possiamoanche definire come un universo immaginario di possibili scelte individualie sociali17, è divenuta dunque in epoca recente un mezzo di comunicazio-ne di massa che “si riproduce e diffonde secondo le sue proprie modalità eche, al tempo stesso, entra in relazione con altri sistemi massmediatici”18.Proprio perché la moda è comunicazione essa stessa, indiretta, ambivalen-te, ma estremamente puntuale ed efficace, può anche entrare in conflittocon i tradizionali metodi di comunicazione, in modo particolare con la pub-blicità. Per poter seguire, interpretare, promuovere, diffondere capillarmen-te le novità che la moda presenta, la pubblicità tradizionalmente intesa nonè mai stata sufficiente, come invece per la maggior parte degli altri prodot-ti. La capacità di intrecciare narrazioni è centrale nel processo di affermazio-ne del vocabolario della moda e dei suoi simboli. L’attività di PR, cioè le pub-bliche relazioni, è stata per questo parte integrante e fondamentale per tra-smettere ai consumatori degli anni ottanta, desiderosi, ma ancora incertidel loro gusto, quella sicurezza che si traduce nelle giuste coordinazioni sti-listiche. La moda richiede sempre l’ausilio di professionisti che siano porta-tori di quello che Joanne Entwistle19 definisce il “sapere estetico implicito”.Chi è dotato di conoscenza estetica implicita è caratterizzato da un approc-cio intuitivo alla realtà e dall’abilità di tradurre l’esperienza sensoriale delmondo dello stile in un discorso coerente e comprensibile, ma che lasciaintatta tutta la sua magia fatta di allusività e ambivalenze. Più diversificaterispetto agli anni ottanta, le cosiddette “pubbliche relazioni” restano oggi unelemento fondamentale della comunicazione della moda, in un mondo fattodi consumatori più consapevoli, ma sempre pronti a essere sedotti dallestorie e dagli eventi che la moda suscita, evoca. Agendo da intermediari cul-turali, da un lato la/il PR traduce, dall’altro diffonde, in entrambi i casi con-tribuisce a divulgare una cultura della moda. È come se le PR garantisserola comunicazione intesa come da etimo “messa in comune”, a differenza

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della pubblicità che fungerebbe in molti casi da mera informazione. Moda epubblicità in effetti sono due sistemi autonomi i cui relativi codici non pos-sono essere “prestati” l’uno all’altro, come ha dimostrato Grant DavidMcCracken, in quanto entrambi trasmettitori di valori culturali assai potenti.La saturazione di pubblicità, inoltre, porta alcuni analisti a sostenere che nelcampo della moda essa sia in declino a fronte di una crescita di importan-za delle PR: “Secondo i sostenitori di questa tesi, la provenienza dell’infor-mazione da una fonte percepita come neutrale contribuirebbe a dare credi-bilità al messaggio, diversamente da quanto avviene con l’informazionepubblicitaria”20.L’effetto “immedesimazione” che caratterizza la comunicazione dei fashionblog odierni, in cui il soggetto che comunica è anche l’oggetto che promuo-ve, è stato in un certo qual modo anticipato dalle PR della moda che hannosaputo per prime – si trattava in genere di donne – modificare quel vissutodi distanza che la moda aveva in passato. La moda è il risultato di una seriedi scelte fatte da molteplici attori in un percorso che trasforma i capi di abbi-gliamento in pezzi di cultura. Il valore della moda è definito dalle attività col-lettive e dalle pratiche degli operatori del settore proprio perché i mercatidella moda sono configurazioni metaforiche che mettono insieme aspetticulturali e aspetti economici21.Probabilmente perché culturalmente distanti, se non addirittura diffidenti,nei confronti dei metodi e degli strumenti tradizionali, come le agenzie dipubblicità e gli istituti di ricerca tarati sui beni di largo consumo, le aziendee i designer di moda hanno dunque generato sistemi inediti di comunica-zione. Benché diventata un bene di largo consumo essa stessa, la modaconserva infatti una sua peculiarità di prodotto che parla a individui che siriconoscono in particolari modi di vita, e non a moltitudini eterogenee.Poiché il prodotto abbigliamento, più di altri, è un prodotto “nudo”, vestitodalla comunicazione, alcuni ritengono un po’ provocatoriamente che lamoda si sia addirittura affermata senza ricorrere alle usuali strategie di mar-keting degli altri comparti di consumo, quasi per caso e come segno dellasua differenza qualitativa rispetto ad altri prodotti e servizi. Quello che ècerto è che il suo marketing mix è stato anomalo e molto innovativo. Leaziende della moda, spesso in modo inconsapevole e spontaneo nei primianni, molto più organizzato e razionalizzato in tempi recenti, hanno fattoricorso a un loro specifico marketing. Ecco perché ha caratterizzato il com-parto della moda un uso creativo del mix di marketing, cioè delle tradiziona-

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li “quattro P” descritte nei manuali di marketing – prodotto, prezzo, posto(distribuzione), pubblicità – trasformandole in una unica “grande C” in cuiogni elemento è comunicazione esso stesso22.Il gioco della comunicazione con la moda e della moda si allarga e restrin-ge in continui rimandi che non possono essere interamente razionalizzati,come una lucciola estiva che scompare nel momento stesso in cui credia-mo di afferrarla, né tuttavia ignorati come meccanismi specifici. Uno deiparadossi della moda, l’essere un fenomeno sociale e una pratica individua-le, che Georg Simmel23 per questo già definiva individualizzante e omoge-neizzante, ne ha determinato le peculiarità di diffusione e il successo nel-l’epoca contemporanea. Si può sostenere che il sistema della moda comu-nichi a ogni individuo e che ciascuno lo usi per comunicare alla propria cer-chia sociale in una circolarità che ne determina la fascinazione e la perennetrasformazione.

Maria Pezzi, abitidi Missoni, San Lorenzo,Roberta di Camerinoe Krizia, in supplementodi “Il Giorno”, 1975-1980

1 E. Wilson, Adorned in Dreams, Tauris,London 2003.2 J. Baudrillard, Il sogno della merce, Lupetti,Milano 1987.3 G. Lipovetsky, L’Impero dell’effimero,Garzanti, Milano 1989.4 K. Hansen Tranberg, The World in Dress:Anthropological Perspectives on Clothing,Fashion, and Culture, in “Annual Review ofAnthropology”, 2004, pp. 369-392.5 F. Remotti, Prima lezione di antropologia,Laterza, Roma-Bari 2000.6 U. Volli, Introduzione, in F. Davis, Moda,Baskerville, Bologna 1993.7 F. Davis, Moda, Baskerville, Bologna 1993, p. 8.8 F. Davis, op. cit., p. 25.9 E. Scarpellini, L’Italia dei consumi, Laterza,Roma-Bari 2008, p. 274.10 G.D. McCracken, Culture and Consumption.New Approaches to the Symbolic Characterof Consumer Goods and Activities, IndianaUniversity Press, Bloomington 1990, p. 69.11 C. Lévi Strauss, Il pensiero selvaggio, Il Sag-giatore, Milano 1964.

12 R. Barthes, Il sistema della moda, Einaudi,Torino 1970.13 Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza,Roma-Bari 2000.14 M. Maffesoli, Note sulla post-modernità,Lupetti, Milano 2005.15 L. Svendsen, Filosofia della moda, Guanda,Milano 2004, p. 157.16 S. Segre Reinach, Milan the city of Prêt àPorter, in D. Gilbert, C. Breward FashionWorld’sCities, Berg, Oxford 2006, pp. 110-123.17 Moda e mondanità, a cura di P. Calefato,Palomar, Bari 1992.18 P. Calefato, Mass moda, Costa e Nolan,Genova 1996, pp. 6-7.19 J. Entwistle, The Aesthetic Economy ofFashion, Palgrave Macmillan, London 2009.20 R. Cappellari, Il marketing della moda e dellusso, Carocci, Milano 2011, p. 93.21 J. Entwistle, op. cit.22 S. Segre Reinach, La moda. Un’intro-duzione, Laterza, Roma-Bari 2010.23 G. Simmel, La moda, Editori Riuniti, Roma1986.

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Moda e comunicazione a Milano nelle carte di Barbara Vitti

Elena Puccinelli

Il passaggio dal XX al XXI secolo richiede a tutti i sistemi manifatturieri eindustriali una svolta fondamentale sia in ambito produttivo che gestionale,una risposta adeguata alle sfide poste dalla globalizzazione così come dallarecente crisi finanziaria che ha colpito l’economia mondiale. Uno dei princi-pali settori produttivi in Italia è oggi quello della moda, sollecitato a continuiaggiornamenti per poter essere sempre competitivo rispetto alle nuoverealtà economiche emergenti come quella cinese e indiana.In questo senso un patrimonio inestimabile di idee, immagini, documen-ti e testimonianze dei protagonisti della sua storia nel Novecento dalquale attingere per immaginare il futuro è conservato negli archivi, il cuivalore è misurabile non solo in termini economici, ma anche in terminiculturali e persino artistici, un vero e proprio giacimento di conoscenzeche fino a oggi non è stato adeguatamente valorizzato sotto il profiloscientifico. Come spesso infatti accade per settori la cui importanza èriconosciuta dal punto di vista economico, ma relativamente recenti dalpunto di vista degli studi culturali, non sempre l’ambito della moda haconosciuto iniziative di alto livello che fossero avulse dall’aspetto pubbli-citario. Nonostante la sua centralità, lo studio e la ricerca in questo setto-re, dal punto di vista della storia aziendale, culturale e artistica, fino a oggisono stati appannaggio di studiosi e giornalisti che avevano una cono-scenza diretta degli eventi e dei personaggi, ma che raramente hannopotuto accedere in maniera sistematica alle preziose fonti documentariee visive che costituiscono gli archivi della moda. La situazione attuale civede dunque di fronte a una sostanziale sotto-utilizzazione dei materialipresenti negli archivi e nelle biblioteche e a una loro scarsa valorizzazio-ne, sia da parte di un largo pubblico potenzialmente interessato, sia daparte della comunità scientifica e accademica.È per dare una risposta a questa esigenza che il Ministero per i beni e leattività culturali ha promosso il progetto nazionale “Archivi della Moda del

Jole Veneziani, 1976(Fotografia Gian PaoloBarbieri)

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Novecento”, che è stato presentato a Firenze presso la Sala Bianca di palaz-zo Pitti il 12 gennaio 2009. Ne è conseguito l’avvio dei lavori nelle tre regio-ni pilota, Lazio, Toscana e Lombardia, particolarmente rappresentative per ilruolo svolto dalle città di Roma, Firenze e Milano nella storia della moda ita-liana. Successivamente vi hanno aderito, tra gli altri, il Veneto con il suodistretto produttivo del Brenta, il Piemonte con il Biellese, l’EmiliaRomagna, le Marche, la Campania. In Lombardia, l’Università degli studi diMilano in collaborazione con lo stesso Ministero e la Soprintendenza archi-vistica per la Lombardia, il Comune di Milano e le Civiche raccolte d’arteapplicata ed incisioni, l’Associazione biblioteca Tremelloni del tessile e dellamoda, l’Associazione italiana pellicceria, il Centro di studi per la storia del-l’editoria e del giornalismo, la Fondazione Gianfranco Ferré, con un finanzia-mento della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura diMilano hanno elaborato un progetto dedicato agli “Archivi della Moda delNovecento in Lombardia”. Il progetto ha ricevuto un contributo dellaFondazione Cariplo che ne ha riconosciuto il grande rilievo.L’obiettivo è quello di restituire al settore della moda, così centrale nell’im-magine pubblica di Milano e dell’Italia all’estero, la dignità culturale che glispetta e che finora è stata solo in parte riconosciuta, avvalendosi della col-laborazione tra le diverse istituzioni coinvolte, ognuna delle quali vi apportail proprio contributo. Il percorso che si intende compiere è quello di rende-re fruibile il grande patrimonio presente negli archivi dei principali operatori,per garantire una solida base di documentazione in grado di sostenere ricer-che presenti e future che abbiano come oggetto la moda italiana, per forma-re giovani stilisti, giornalisti, archivisti e personale delle aziende del compar-to produttivo e più in generale per creare gli strumenti per una reale valoriz-zazione culturale del patrimonio moda.Il campo di indagine è complesso. Vi sono gli archivi e le biblioteche prodot-ti dagli stilisti, quelli delle imprese del settore tessile, calzaturiero e degliaccessori di moda e quelli delle riviste specializzate nella moda, solo percitare i casi più frequenti. Tuttavia, non di minore interesse sono gli archividei professionisti che hanno operato o operano nel mondo della moda,siano essi esperti nella comunicazione, giornalisti e fotografi. Senza dimen-ticare la grande importanza del patrimonio di quegli enti e fondazioni che sisono posti come obiettivo quello della concentrazione e conservazione dellamemoria storica di aziende, stilisti o professionisti del settore. La sfida perl’archivista e per lo studioso è data anche dalla presenza in tali complessi di

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molteplici tipologie documentarie quali per esempio quelle che compongo-no l’archivio fotografico, l’archivio audio-video, l’archivio disegni, l’archivioufficio stampa, l’archivio del prodotto, l’archivio amministrativo e contabile,l’archivio personale e la biblioteca. Accanto al documento cartaceo vi puòessere dunque la stampa fotografica, la diapositiva, il video, il figurino, l’abi-to, la scarpa, il campione di tessuto e il bottone.Molti sono i possibili percorsi di ricerca e di intervento, tuttavia il primo pro-dotto che si è voluto realizzare è il censimento degli archivi, che inLombardia è attuato in collaborazione dall’Università degli studi di Milano edalla Soprintendenza archivistica, con l’obiettivo di fotografare la realtà delpatrimonio documentario esistente presso stilisti, aziende e case editrici, disensibilizzare i proprietari a conservare questi materiali, di segnalarne l’esi-stenza agli studiosi. Questa prima indagine è foriera di interessanti sviluppiquali per esempio i progetti di intervento sui singoli archivi, i saggi scienti-fici, le monografie, le mostre, la condivisione dei materiali in rete e ancoral’opportunità individuata da singoli proprietari di poter donare il proprioarchivio al Centro interdipartimentale Moda immagine e consumi, creatodall’Università degli studi di Milano per promuovere e coordinare gli studi ela didattica sulla storia della moda.Tra questi vi è l’archivio di Gemma e Barbara Vitti, madre e figlia, entrambeprotagoniste dell’epoca che ha visto nascere e affermarsi nel mondo lamoda italiana. Una vicenda che viene ricostruita in questo libro grazie aimateriali tratti dallo stesso archivio Vitti, interpretata dal particolare punto divista della professione delle pubbliche relazioni, che la stessa Barbara hacontribuito a definire.Gemma Vitti (1902-1992), disegnatrice per il negozio Galtrucco a Milano,diventa giornalista quando viene chiamata dal quotidiano milanese delpomeriggio “Corriere lombardo” per scrivere una rubrica sulle donne. Neglianni quaranta e cinquanta collabora anche con “Bellezza” e “Lei”.L’affermazione definitiva viene quando il settimanale “Alba” le affida tutte lepagine dedicate alla moda per le quali inventa un nuovo modo di presenta-re le sfilate, che definisce “a soggetto”: le modelle interpretano una tramada lei ideata, avvalendosi della collaborazione di scenografi e artisti.BarbaraVitti nasce a Milano nel 1939. Cresciuta nell’ambiente della moda chefrequenta fin dall’infanzia, negli anni sessanta è redattrice per i giornali delgruppo Del Duca, scriverà in seguito per “Grazia”, “Vetrine” e “Grand Hotel”.Nel 1965 è chiamata da Snia Viscosa per curare le pubbliche relazioni in occa-

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sione di un congresso a Londra per le fibre man made e di una sfilata spet-tacolo a Venezia nei giorni del Festival del cinema, alla presenza della stampainternazionale. È questa la vocazione di Barbara Vitti che nel 1971, quando sidelinea il grande successo del prêt-à-porter disegnato da stilisti italiani e laconseguente necessità di una nuova figura professionale, sconosciuta fino aquel momento se non negli Stati Uniti, il responsabile delle pubbliche relazio-ni, crea lo Studio Vitti, con sede in via Zamenhof, nel popolare quartiereTicinese a Milano. Sarà pioniera in questo settore insieme a BeppeModenese, Franco Savorelli di Lauriano, Nietta Veronesi e Grazia Gay.Negli anni che seguono è responsabile delle pubbliche relazioni, dell’ufficiostampa e della pubblicità per Hettemarks, azienda di confezione svedesecon sede a Bari. Con Sergio Levi per il Gruppo Finanziario Tessile di Torino,Achille Maramotti fondatore di Max Mara, Gianfranco Bussola per laMarzotto e Francesco Balduzzi per Ruggeri formano il noto “gruppo dei cin-que”, che si riunisce periodicamente a Milano per concordare le strategie dicomunicazione, i rapporti con le case editrici e le tendenze da introdurrenelle reciproche produzioni. Da queste riunioni nasce l’idea di lanciare su“Amica” la moda della giacca rossa: cinque diverse proposte, una per azien-da. La campagna promozionale è serrata, le vetrine appaiono come untrionfo di giacche rosse. Il capo diventa il cult dell’anno.A questa esperienza segue quella presso il Gruppo Finanziario Tessile doveconosce Quirino Conti, artista e scrittore, da Barbara definito uno dei lega-mi fondamentali della sua vita.Nel 1981, dopo aver unito alle molte consulenze anche quella perTrussardi, ini-zia la sua collaborazione con Giorgio Armani, sotto la direzione di SergioGaleotti, “un geniale maestro di vita e di lavoro, che seppe valorizzarmi e miaiutò generosamente a crescere” (“Shopping Italia”, settembre 1993). Molti isuccessi raggiunti insieme, culminati nella copertina che “Time” dedica allostilista nel 1982 sancendone il successo a livello internazionale. Lo Studio Vittisi trasferisce in una nuova sede nella centrale via Durini.Nel 1986 Barbara lascia Armani per Valentino, “l’uomo a cui si guarda nellamoda”. Diretta da Giancarlo Giammetti, è responsabile delle pubbliche rela-zioni, dell’ufficio stampa, degli eventi speciali e della pubblicità in Italia, perle trentaquattro linee firmate dallo stilista, dagli abiti agli occhiali, dallepenne alle piastrelle. Afferma in un’intervista di Andrea di Robilant: “DaValentino il sogno si unisce all’efficienza. Ho ritrovato l’azienda, la parte chemi piace” (“Il secolo XIX”, 11 novembre 1986).

Barbara Vitti nel suostudio di via Ciovassoa Milano, 2000

GemmaVitti, giornalistae disegnatrice di moda,1960

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Successivamente è consulente di Versace per gli eventi speciali e le mani-festazioni culturali e del gruppo Inghirami Textile Company.L’incontro con Carlo Fontana, sovrintendente del Teatro alla Scala, con ilquale collabora per sette anni come consulente per l’organizzazione dellaserata inaugurale della stagione opera e balletto, anticipa una svolta nellacarriera di Barbara Vitti, il cui Studio negli anni novanta si specializza nel-l’ideazione e realizzazione di eventi speciali e come ufficio stampa. La listadei clienti è importante. Vi sono aziende come Driade, Pirelli, il gruppo S.Pellegrino; editori come il gruppo Hearst, Rusconi e Rizzoli; istituti culturalitra i quali il già citato Teatro alla Scala e il Museo Bagatti Valsecchi o benefi-ci come l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc). Per quantoriguarda il mondo della moda, collabora con Pitti Immagine, Altagamma,con Convivio a favore dell’Associazione nazionale per la lotta contro l’Aids(Anlaids) e con la famiglia Versace in occasione di due eventi speciali: lamostra personale “Richard Avedon 1944-1994”, allestita a palazzo Reale trail 18 gennaio e il 5 marzo 1995, e la mostra “Gianni Versace. La reinvenzio-ne della materia”, curata da Chiara Buss e Richard Martin, allestita allaFondazione Ratti e a villa Olmo a Como, inaugurata il 18 giugno 1998.Nel 2004 BarbaraVitti realizza il primo dei due quaderni – il secondo uscirà l’an-no successivo – intitolati Milano è la moda. Inchiesta su un’unione di succes-so da 30 anni, editi da Class Editore con il patrocinio dell’assessorato Moda,eventi e turismo del Comune di Milano, utilizzando articoli, interviste e imma-gini tratti dal suo prezioso archivio e redigendo la maggior parte dei testi.Il 24 febbraio 2006 il sindaco di Milano Gabriele Albertini, l’assessoreGiovanni Bozzetti e il presidente della Camera della moda Mario Boselli insi-gniscono Barbara Vitti dell’Ambrogino d’oro per aver creato una figura pro-fessionale e un ruolo importante per la moda. Per essere stata preziosobraccio destro della prima generazione di stilisti meneghini quali Armani eVersace. Per aver accompagnato l’incredibile affermazione del “Made inItaly” in un passaggio decisivo a cavallo di due secoli e due millenni.Nel 2007 Barbara decide di mettere la sua grande esperienza professionale adisposizione dei giovani allievi dell’Istituto europeo di design di Milano dovetiene un corso di comunicazione, pubbliche relazioni e organizzazione di eventi.Attualmente la PR è impegnata nella redazione di articoli per la rubrica Moda:Save the Date del sito Chi è Chi (www.crisalidepress.it).Testimonianza concreta della straordinaria carriera di Barbara Vitti che si èrapidamente ripercorsa nelle righe che precedono e della conseguente atti-

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vità svolta dal suo Studio è oggi l’archivio che, come detto, la PR ha decisodi donare al Centro interdipartimentale Moda, immagine e consumidell’Università degli studi di Milano.L’archivio conserva materiale diverso, diviso sommariamente in serie cheriflettono l’attività svolta dallo Studio Vitti per i numerosi clienti. In attesa diun futuro riordino delle carte e della successiva inventariazione ne è stataredatta una lista di consistenza che permetta di valutare il contenuto dellecentinaia di buste presenti.La tipologia dei documenti è molto varia. Vi sono album e folder che raccol-gono provini, stampe fotografiche in bianco e nero e a colori, diapositive,fotocolor di sfilate, collezioni e personaggi. Raccoglitori che conservanobozzetti, cataloghi, campionari, materiale pubblicitario, rassegne stampa,per le collezioni dei diversi stilisti e aziende dei quali Barbara Vitti è stataconsulente. Buste e album di note, inviti, comunicati stampa, documenta-zione promozionale, rassegne stampa per l’organizzazione di eventi specia-li. Tutto questo materiale, come detto, è suddiviso in nuclei diversi relativi aiclienti che si sono succeduti nel tempo: Hettemarks, il Gruppo FinanziarioTessile, Armani, Valentino, Gianni Versace, il gruppo Inghirami, il Teatro allaScala, il Museo Bagatti Valsecchi, gli editori Hearst, Rusconi, Rizzoli, leaziende Driade, S. Pellegrino, Pirelli, l’associazione Airc, tra gli altri.Dodici folder di “bolle di reso” e venti di “cronologico” conservano la docu-mentazione relativa al lavoro svolto quotidianamente dallo Studio Vitti e isuoi rapporti con gli stilisti, le aziende, le istituzioni da esso rappresentati econ la stampa, suo interlocutore privilegiato.Una scatola custodisce documenti miscellanei relativi all’attività di BarbaraVitti quale giornalista per la rubrica Moda e Motori della rivista “GrandHotel”; un’altra conserva la documentazione prodotta in qualità di inse-gnante presso l’Istituto europeo di design.L’archivio conserva infine tre collezioni di riviste che riflettono il lavoro digiornalista di moda di Gemma Vitti: “Alba” (1958-1969); “Intimità” (1957-1962); “Confessioni” (1959-1960).Lo studio e la selezione dello straordinario patrimonio di documenti e imma-gini conservati nell’archivio di Gemma e Barbara Vitti portano oggi alla rea-lizzazione di questo volume che vuole indagare attraverso di essi la nascitae l’affermazione in Italia della figura professionale dell’addetto alle pubbli-che relazioni e all’ufficio stampa nel mondo della moda, di cui Barbara èstata “prima una pioniera e poi una sovrana” (“Corriere della Sera”, 4 otto-

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bre 1998). L’addetto alle PR, che può essere un consulente come nel casodello Studio Vitti o un elemento interno, organizza e gestisce i rapporti dellagriffe e dell’azienda con l’esterno e con i media, costituisce gli elementi dibase del marketing relazionale, particolarmente significativo nel caso deibeni di lusso. La comunicazione è al centro di ogni attività.Di grande rilevanza il contesto storico che vede la professione delle pubblicherelazioni nascere e affermarsi parallelamente al percorso che porta la produ-zione italiana di abbigliamento dai successi dell’alta moda sartoriale dei primianni cinquanta alla consacrazione internazionale del “Made in Italy” con ilprêt-à-porter industriale degli anni settanta, per giungere, nel corso degli anniottanta, a quello che gli studiosi definiscono come un vero e proprio sistemamoda allargato. Primo attore mondiale del settore diventa la città di Milanodove nel 1972 con la sfilata di cinque griffe disegnate da Walter Albini neglispazi della Società del giardino si sposta l’asse della moda. La città, dove ope-rano molti stilisti e aziende del comparto produttivo e dove ha sede l’editoriaperiodica, diviene ribalta del prêt-à-porter: Missoni, Krizia, Ken Scott lascianola Sala Bianca di palazzo Pitti a Firenze e presentano le proprie collezioni allaPermanente, all’hotel Diana, al Principe di Savoia, al teatro Gerolamo, allapiscina Solari. Nel 1979, sotto la regia di Beppe Modenese, che convince laFiera di Milano ad allestire due passerelle, vengono promosse le prime sfila-te milanesi concentrate in un solo luogo, grazie a una strategica sinergia traaziende manifatturiere e stilisti. Nel mese di marzo i nomi che sfilano sonocinque, suddivisi in tre giorni: Ken Scott, Mario Valentino,Walter Albini, LauraBiagiotti, Claudio La Viola. Nell’edizione successiva, datata ottobre 1979, inomi sono già diventati diciannove. Nasce Milano Collezioni.Afferma la stessa Barbara Vitti in un’intervista pubblicata su “Leader” nelmarzo del 1988: il successo della moda italiana “è stato un boom di idee, diprofessionalità, di capacità industriali, di umiltà di capire che il talento, lacreatività andavano calibrati alle necessità imprenditoriali. Il vero personag-gio è stato il prodotto. A ruota sono venute le individualità e sarebbe statosciocco non sfruttarle per conquistare più spazi, più attenzione da parte deimass media.” La stampa ha avuto un ruolo essenziale nel decollo e nel“miracolo” della moda italiana, “non c’è mercato senza comunicazione,senza informazione. Io ho vissuto questa trasformazione, parallela alla cre-scita della moda, del prêt-à-porter, del Made in Italy. Alcuni anni fa, i giorna-li trattavano la moda come una cosetta per pochi, elitaria. Faceva poca noti-zia e non si capiva che era una grossa, importante industria, vitale nell’eco-

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nomia italiana. Soprattutto i quotidiani erano sordi. Adesso persino gli uomi-ni non fanno una piega se il direttore li manda a scrivere di una collezione.Qualche merito lo abbiamo avuto anche noi. Abbiamo aperto gli occhi deigiornali su un fenomeno che diventava di massa.”È a questa straordinaria vicenda che è dedicata la sezione del libro intitolataMilano è di moda. In essa sono stati raccolti brani tratti da alcuni tra i più impor-tanti articoli pubblicati nel già citato Milano è la moda. Inchiesta su un’unionedi successo da 30 anni, edito da Class e diviso in due parti secondo un idealefilo logico: storico, economico e culturale il primo quaderno, uscito nel 2004;artistico-fotografico, editoriale e professionale il secondo, uscito nel 2005.Diversi i temi indagati: Milano capitale della moda italiana, la nascita del prêt-à-porter, la moda maschile, lo stretto legame tra moda e disegno e tra modae fotografia, gli aspetti economici e commerciali del settore, le figure degli sti-listi e i loro più stretti collaboratori, mecenatismo e beneficenza, il ruolo gioca-to dalla stampa, dalla pubblicità e dagli esperti di comunicazione nell’afferma-zione del primato delle griffe italiane a livello internazionale.Quest’ultimo aspetto è ulteriormente approfondito nella sezione Non solomoda. L’importanza di chiamarsi PR dove, attraverso un racconto per imma-gini, tutte tratte dall’archivio Vitti, viene ricostruita la carriera di Barbara,esemplare per l’autorevolezza di cui gode nel mondo delle pubbliche rela-zioni e della realizzazioni di eventi.Vi trovano spazio i principali clienti, le campagne più originali e visionarie, glieventi che hanno goduto di grande successo. Cito tra le altre la campagnapubblicitaria …è un Hettemarks!, che per la prima volta vede un’azienda diconfezioni impiegare un grande fotografo come Marco Glaviano; la campagnapubblicitaria per Cori, linea del Gruppo Finanziario Tessile, in cui il messaggioviene affidato al volto di donne con forte personalità come Susanna Agnelli,Natalia Aspesi, Ottavia Piccolo; i murales voluti da Giorgio Armani per promuo-vere la linea Emporio, che cambiano il volto delle nostre città, celebre quello aMilano in via Broletto; la sfilata evento dell’11 settembre 1987 che riportaValentino a Voghera, sua città natale, dove viene accolto come una star.Seguono la collaborazione con il Teatro alla Scala per l’organizzazione della“prima”, quella conVersace per gli eventi speciali e le mostre, il contributo datoa Convivio a favore di Anlaids e ancora l’ideazione delle celebrazioni per i centoanni della S. Pellegrino, momenti esemplificativi di un percorso professionale,resi vivi ai nostri occhi grazie alle immagini d’archivio fino ad ora inedite e aipreziosi ricordi personali di Barbara Vitti.

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Milano è di moda

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“Milano è meglio di Parigi, che si sta identificando sempre più

come la capitale della haute couture e del superlusso. Milano

è meglio di Londra, perché dietro Londra c’è il deserto produt-

tivo. Milano è meglio di NewYork perché NewYork ha il domi-

nio incontrastato del casual e dello sportswear, ma non della

moda. Industria, stile, creatività, mondanità e arte. Dall’unione

di questi fattori è nata la moda milanese. E su questo continua

a crescere.”

Mario Boselli

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“Aprile 1967. A Firenze accade qualcosa che muterà per sempre il percorso dellamoda italiana. Ottavio e Rosita Missoni sono presenti per la prima volta alle sfilatedi Palazzo Pitti. All’ultimo momento, Rosita si accorge che le mannequins indossa-no biancheria intima inadatta a stare sotto gli abiti di leggerissimo lamé. L’effetto èdisastroso. Il tempo stringe: non resta che mandare le modelle in pedana senzaniente sotto. Sotto il vestito niente. La maglia però è così leggera che alla luce deiriflettori diventa trasparente. È scandalo. Piovono le rampogne dei dirigenti. E nono-stante gli applausi dei buyers, la stagione successiva i Missoni non vengono invita-ti a sfilare. La cosa da principio lascia la coppia interdetta, ma diventa anche l’occa-sione per presentare, a dicembre, la collezione estiva direttamente a Milano, allapiscina Solari, in una sfilata-happening memorabile con poltrone gonfiabili e mobiligalleggianti sull’acqua. A Milano si comincia a parlare di moda. Non più solo di com-mercio e industria.Negli anni settanta una nuova capacità imprenditoriale, più flessibile, va ad affian-carsi a quella tradizionale della grande industria milanese che risente della crisi inatto. La città inizia a cambiare volto e con lei cambia il profilo dei suoi protagoni-sti. All’exploit rivoluzionario dei Missoni segue quasi immediatamente WalterAlbini. Designer delle collezioni Effetiemme, debutta a Milano nel 1972 annullan-do definitivamente l’egemonia di Firenze. Per le linee unite e coordinate di Basile(uomo e donna-uomo) disegna collezioni dai nomi evocatori e che faranno epoca:Marinaretti – Wallis Simpson – Tacchi a Spillo. Nel contempo, disegna le collezio-ni Misterfox (donna-femmina), Sportfox (camiceria), Callaghan (jersey), Escargot(tricot), Diamond’s che, in una innovativa e clamorosa sfilata collettiva al Circolodel Giardino, confermano la sua genialità, ma anche il formidabile fiuto di treimprenditori: Aldo Ferrante, Gianni Tositti e Gigi Monti. È un debutto felice, checonvince altri ad abbandonare Palazzo Pitti e la Sala Bianca per presentare le lorocollezioni alla Permanente, all’Hotel Diana, al Grand Hotel et de Milan, al Principedi Savoia, al Teatro Gerolamo.Milano si sta avviando a diventare il cuore pulsante della moda italiana. Così, alla

MilanoLa città incontra la moda

Una trasparenza di troppo, una protesta e Firenze perde il primato.Addiopalazzo Pitti. La capitale dell’industria porta alla ribalta il prêt-à-porter

Anno 1967. Milanodiventa di moda, in“Milano è la moda”,n. 1, 2004

Le spose e le vedove,collezione Anagrafe perMisterfox, 1970 (DisegnoWalter Albini)

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fine del 1974 è la Camera Nazionale della Moda Italiana che si propone come enteorganizzatore. La scelta di una città come Milano non è casuale. La disponibilità delmondo della produzione a confrontarsi e ad accogliere, ma soprattutto a dialogare,con arte e creatività, è sempre stata elevata. Non è certo un caso che il Futurismo,fra i pochi ‘ismi’ che abbia sviluppato una sua moda (con i successivi, francesi,Surrealismo ed Esistenzialismo, ma per ispirazione) sia nato a Milano. Inoltre,Milano è città di grandi aperture verso l’Europa. Dispone di aeroporti continentali eintercontinentali, di grandi alberghi, di strutture adeguate. E gode di un retroterraeconomico industriale di grande impatto che sembra garantire lo sviluppo di questosettore. Dal 1975, data del primo calendario della Camera Nazionale, il successodella moda pronta a Milano si consolida ogni stagione, sino a prendere il posto diParigi nel cuore e nei pensieri dei buyers e della stampa internazionale.Già nell’ottobre 1977 il carnet di Maria Pezzi, la prima e più nota cronista di moda e costu-me per Il Giorno, è già stipato di tutti i nomi più importanti: ad Albini, Krizia, Missoni e aglialtri pionieri si sono via via aggiunti Giorgio Armani, dal 1975, quindi Gianni Versace perCallaghan, Genny e Complice, Fendi, Sportmax, Mario Valentino, Baila e Courlande dise-gnate da Gianfranco Ferré, Enrico Coveri, Mila Schön, Roberta di Camerino, Miguel Cruz,Geoffrey Beene, Laura Biagiotti. L’ingranaggio-Milano funziona ormai a tempo pieno.Scrive Pia Soli su Il Tempo del 26 marzo 1978: ‘I grandi giochi della moda si realiz-zano oggi solo a Milano: trasferendosi in questa città, in grande stile e con una ecce-zionale carica emotiva, la moda ha fatto un salto di qualità... Fosse rimasta a Romasi sarebbe addormentata, avesse resistito a Firenze avrebbe mantenuto un cachetsimpaticamente provinciale. Milano invece ha preso il via bene e le stelle che pro-mettevano sono diventate tutte di prima grandezza. Una collezione è più che unaprima alla Scala. È un business economico che fa girare le industrie. Si calcola chea Milano nei prossimi sei giorni ci saranno 30mila persone, 51 grandi collezioni nelcalendario ufficiale della Camera della Moda divise in sei giorni al ritmo di 10 e 11 algiorno a ogni ora disponibile, un discreto numero di collezioni fuori da questo calen-dario cui la stampa e i compratori non intenderanno certamente rinunciare e moltealtre collezioni presentate silenziosamente negli stand allestiti un po’ dappertutto. AMilanovendemoda sono ormai 400 i rappresentanti e i produttori che offrono oltre1.000 campionari agli operatori. Questi nell’ultima edizione sono stati oltre 7.000, deiquali 1.000 stranieri, e hanno girato affari per 15 miliardi di lire. C’è poi Modit conappena 50 firme, il primo passo di una manifestazione politica che sta cercando spa-zio e fisionomia. Mai come questa volta tanti inviti a Milano, mai tanti ospiti, tantiinteressi, tante speranze: numerosissimi i presidenti dei grandi magazzini statuni-tensi, inglesi, belgi, canadesi, tedeschi. Mai tanti francesi!’.

Nelle pagine successive:Missoni, abito pipistrello,1967 (Fotografia AlfaCastaldi) e Anno 1967.Milano diventa di moda,in “Milano è la moda”, n. 1,2004

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Una cronaca che descrive in modo molto efficace il momento magico che sta viven-do la moda a Milano in quegli anni. Dagli ottanta in poi, è storia di oggi. Alcuni nomihanno perso smalto nel tempo, alcuni sono scomparsi, la maggior parte si è fattapiù grande. Altri ancora sono nati e altri ne nasceranno.Milano resta comunque sempre una scelta privilegiata per chi ‘fa’ moda. Le ragio-ni? Spiega il presidente della Camera Nazionale della Moda, Mario Boselli: ‘Milanoè meglio di Parigi, che si sta identificando sempre più come la capitale della hautecouture e del superlusso. Milano è meglio di Londra, perché dietro Londra c’è ildeserto produttivo. Milano è meglio di New York perché New York ha il dominioincontrastato del casual e dello sportswear, ma non della moda. Industria, stile,creatività, mondanità e arte. Dall’unione di questi tre fattori è nata la moda milane-se. E su questo continua a crescere’.”

Dove si incontra lamoda, in “Milano èla moda”, n. 1, 2004

Luoghi storici o di nuova generazione sanciscono i trionfi e leniscono i tonfi.Gli itinerari fashion hanno questi indirizzi.Talvolta anche da vent’anni

“Anche a Milano, come a Roma e a Parigi, negli anni settanta si presentanole prime collezioni di prêt-à-porter, spesso affidate alla regia di Nando Miglio,nell’ambrata hall dello storico Grand Hotel et de Milan in via Manzoni, tra idecori imperiali dell’Hotel Gallia in piazza Duca d’Aosta, al Palace in piazzadella Repubblica, al Diana in viale Piave con il suo giardino interno o al Principedi Savoia dove, tra gli altri, nel 1978, debutta anche Gianfranco Ferré. È in que-sti stessi alberghi che, con i primi buyers stranieri, scendevano le temutegrandi firme delle testate internazionali e approdavano i giovani stilisti, men-tre le modelle frequentavano residence più abbordabili, come il PrincipessaClotilde. Il popolo della moda, come verrà chiamato da allora in poi, nascecosì; per quella tendenza a fare gruppo e a spostarsi in gruppo più di altri set-tori professionali: stessi indirizzi, stesso modo di vestire, identico modo diparlare. Giornalisti, stilisti, come amanti. È lo stesso gruppo che, affamato estremato dalle corse tra una passerella e l’altra durante le Settimane dellamoda, si ritrova tuttora in fila per un tavolo, nei piccoli ristoranti di Brera, comela Locanda Solferino, il Giallo, il Rigolo, prediletto dai giornalisti del vicinoCorriere della Sera, e laTorre di Pisa, trent’anni fa come oggi in massima augeanche grazie a una scelta strategica che Silvio Berlusconi, a quei tempi picco-lo immobiliarista, avrebbe adottato come tecnica di vendita per la sua

Sfilata in via della Spiga,1969 (FotografiaToniNicolini)

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Nella Favalli,È l’abito che fa l’uomo,in “Milano è la moda”,n. 1, 2004

È il 1978. La moda maschile sfila per la prima volta a Milano.E diventa subito un business enorme, pari a quello femminile

Publitalia 80, ovvero il cartello ‘tutto esaurito’ esposto perennemente sullaporta di ingresso. Per le cene ufficiali o la consacrazione di un successo si pre-ferivano i velluti amaranto e i cristalli del Savini in Galleria. Quando agli indiriz-zi classici si aggiunse, in quella che era stata la residenza ufficiale delFeldmaresciallo Radetzky ma aveva ospitato un convento di suore nelQuattrocento, l’Hotel Four Seasons in via Gesù, inaugurato nell’aprile del1993 da Margaret Thatcher, i mega-buyers, i temutissimi direttori, gli stilisti ele top models si trasferirono in blocco nelle guest rooms e nelle nuove suitesarredate da Richard Davidson e Pamela Babey-Mouton (Brioni ha creato unasuite per i suoi ospiti da pochi mesi). Stilisti e architetti, giornalisti e modelle:storie che si intrecciano negli anni e nei luoghi. Gli anni settanta e ottantasono gli anni in cui vengono consacrate le cene dalla Bice, al Girarrosto, dalSaint Andrews (ora trasferito in via Senato) al Bagutta, al Paper Moon, oppu-re nelle sale voltate del Toulà, sotto i portici della Scala (indirizzo purtropposcomparso), o da Giacomo in via Cellini tra i décors pompier ricreati da RenzoMongiardino. Con il ristorante dell’Hotel Bulgari, le domeniche sera daBebel’s e le Langhe sono gli stessi indirizzi di oggi.”

“Scompare l’uomo in grigio, anche se nel suo guardaroba l’abito grigioresiste. Una tendenza chiara, indiscutibile è l’assoluta libertà. La modamaschile entra nel gran circo della creatività globale. E punta in alto: creareil ‘terzo uomo’. Un uomo che non rinnega la propria virilità ma si concedefrivolezze femminili.Nel settembre 1978, l’avanguardia della moda pronta maschile lasciaFirenze e decide di sfilare a Milano. La spingono le stesse ragioni cheavevano ispirato la moda femminile a lasciare definitivamente la Sala Biancanel 1974. I nomi sono quelli di Giorgio Armani, Walter Albini, Caumont, GianniVersace, Basile, Fragile ai quali, nel febbraio 1979, se ne aggiungono altri.Firenze-Milano è un asse storico e strategico, perché se nella città toscana,con Pitti Immagine, aziende e marchi internazionali offrono un puntod’osservazione per tutto quello che riguarda i prodotti, le tecnologieapplicate all’abbigliamento maschile, le strategie di mercato e le tecniche di

Gianfranco Ferré,collezione uomoprimavera-estate 2005

Brunello Cucinelli, 2000

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vendita, a Milano, tra sfilate degli stilisti, show e presentazioni, sicostruiscono in anticipo le atmosfere e le tendenze delle stagioni cheverranno. E si consumano i riti che accompagnano le collezioni donna.Per Milano la moda maschile è stata forse ancora più importante di quellafemminile, perché da subito più significativa di quella di Parigi: il debutto diGiorgio Armani, che reinventò il classico maschile, le performance diMoschino o il puro show, le bellissime collezioni di Ferré.C’era una grandissima energia. Anche con l’uomo, infatti, Milano si rivelasubito città di grandi risorse e dall’insospettabile anima godereccia: nellaSettimana di Milano Collezioni Uomo il fermento è soprattutto notturno,con rave party e serate fiume nelle discoteche. E sulla scia di questientusiasmi l’industria dell’abbigliamento maschile diventa negli anni unbusiness enorme.Conferma il sociologo Ugo Volli, uno dei promotori dei Master di Moda alloIulm di Milano: ‘Nel mondo della moda maschile c’è stata effettivamenteun’accelerazione notevole, non tanto nella grammatica estetica, quantonell’organizzazione e nella presentazione dei prodotti di moda maschile, chehanno seguito riti e ritmi ben sperimentati dai modelli femminili’. Il nuovoavanza anche per l’uomo. Con un tocco eccentrico, narcisista, esibizionistae sexy. Che sia questa la nuova grammatica estetica del vestire maschile?Gianfranco Ferré conferma, ma fa dei distinguo: ‘Sono da sempre convintoche ciò che più inflaziona il pianeta moda è il nuovo a tutti i costi, che subitoappare vecchio e superato. I valori classici dell’abbigliamento maschile sonopunti imprescindibili di una formazione culturale non costretta in dogmi ocategorie. Evoluzione nella continuità è una definizione che mi piace nellamia storia del fare cose per uomini ’.Sulle tendenze maschili, anche psicologi e sociologi trovano un campofertilissimo dove confrontarsi. Il sociologo Francesco Morace, direttore diFuture Concept Lab (Istituto di ricerca su progetti e prodotti del futuro),teorizza l’avvento del ‘terzo uomo’, che ricalca le caratteristiche della‘troisième femme’, di cui parla il sociologo francese Gilles Lipovetsky. ‘Unafigura maschile che non è più quella tradizionale e patriarcale, ma che nonè neppure l’uomo che adotta modelli di comportamento femminili. È unmaschio positivo e propositivo che ha scoperto la paternità ed è pacificatocon la donna’. E su queste premesse conclude: ‘La moda diventerà pianpiano intersex’.”

Vittorio Solbiati, 1985

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La moda e il disegnoIl segno diventa il mezzo per trasformare l’idea in un vestito

La realizzazione di un abito o uno stile è un fatto di mestieree artigianalità. Nel mezzo c’è solo lui, il segno che ferma l’intuizione.Quella linea sottile che è già arte

Nella Favalli, I trattidel genio, in “Milanoè la moda”, n. 2, 2005

“La creatività, come ha detto Valentino, ‘è difficile da spiegare, è come unaforza interna, un entusiasmo che non si spegne mai e che mi trasmette laforza di lavorare sempre in modo nuovo. Guardando le cose, le persone perstrada, la fantasia cammina e l’idea prende corpo attraverso la matita’. Lamatita. Un accessorio fondamentale per chi crea moda (che sia lo stilistatitolare o chi lo aiuta senza apparire). Perché se l’idea di un vestito nascenella mente di uno stilista e segue percorsi che solo la sua fantasia riescea riconoscere, il segno diventa il mezzo per trasformare in qualcosa di tan-gibile un’emozione. ‘Disegnare e fotografare la moda’, scrive Quirino Contiin Mai il mondo saprà – Conversazioni sulla moda (Feltrinelli), ‘equivale ainterpretare, significare, esprimere e ricomporre le sue trame e le sueragioni... È con l’umore del segno che l’illustratore perlustra e ispeziona,entrandovi dentro, le soluzioni simboliche di quelle costruzioni morbide,amplificandone e sostenendone le intenzionalità fino a renderle la sostanzaimprescindibile di uno stile’. Infatti, disegno e fotografia a volte lavorano inperfetta sinergia. Basti pensare a quel genio dell’obiettivo, Cecil Beaton,che è stato non solo fotografo, ma anche diarista, scenografo, costumistae disegnatore di moda di grandissimo talento. Oppure a Karl Lagerfeld chegli abiti non solo li disegna, ma se li fotografa. Disegnatori straordinari ve nesono stati e ve ne sono nel mondo della moda. Come dimenticare il trattosicuro e ironico di Franco Moschino (avrebbe voluto fare il pittore, se lamoda non lo avesse catturato) o quello vitale e colorato di Enrico Coveri? Oquello straordinario di Gianfranco Ferré così affine al design e alla progetta-zione architettonica? Diversi gli stili quanto le loro creazioni. Le donne diValentino, così sottili, proiettate verso l’alto, fanno pensare alle sculture diAlberto Giacometti. Mentre quelle di Alberto Lattuada raccontano di elegan-ze senza tempo, di signore sempre in viaggio tra Biarritz e la Costa Azzurra.Così come ancora diversi sono i disegni di Walter Albini che sapeva tradur-re in moda i propri innamoramenti culturali o di Chino Bert di rara grazia e

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pulizia. Ma il tratto non è solo un fatto creativo. C’è un fenomeno che è statosoprattutto femminile di croniste armate di taccuino e matita, da MariaPezzi, che usava il disegno come completamento dei suoi articoli, aBrunetta e Maddalena Sisto che hanno interpretato tic e tabù femminili congrazia e humour.Non è azzardato avvicinare il disegno di moda all’arte. Illustratori famosil’hanno interpretata in modo personale. Così come già accaduto nel pas-sato. Fra i maestri del movimento futurista, Fortunato Depero e GiacomoBalla hanno nutrito interesse per l’abbigliamento, disegnando e realizzan-do abiti, cravatte, panciotti, borsette, cappelli in colori vivaci e contrastan-ti. Salvador Dalí per il quale ‘gli abiti rappresentano la personalità, la dupli-cazione dell’Io, dei suoi sogni e dei suoi desideri’, disegnò abiti e gioiellimetafisici e surreali per Elsa Schiaparelli. Dal futurismo all’astrattismo,fino alle incursioni nella visual art, tutti si sono fatti incantare... La moda èuna sirena alla quale è difficile resistere.

Walter Albini (1941-1983). Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte disegno emoda di Torino, a 17 anni inizia a collaborare a giornali e riviste, con schizzidalle sfilate d’alta moda da Roma e Parigi. Lui che vive (e disegna) come unpersonaggio di Francis Scott Fitzgerald, nel 1973 disegna una collezione chechiama Grande Gatsby e che avrà un ruolo significativo nel futuro dellamoda italiana. Disegnatore eccellente, si spegne appena quarantaduenne,lasciando un’indimenticabile lezione di stile. Senza aver mai ceduto all’ap-prossimazione, alla mediocrità, ai compromessi, alle costrizioni dettate dalleleggi di mercato.

Giorgio Armani (1934). È protagonista assoluto nella straordinaria fiorituradell’alta moda pronta da Milano nel mondo. II suo successo riconosce un’in-venzione che ha captato desideri, conciliato bisogni opposti e ridisegnato inmodo geniale un archetipo del vestiario sia maschile sia femminile, la giac-ca. Medico mancato, presenta nel 1974 la sua prima collezione maschile.Seguita nel 1975 da quella femminile. Un successo.

Chino Bert (1932). Pseudonimo di Franco Bertolotti. Stilista e illustratore,ha lavorato per tutte le più importanti griffe e testate giornalistiche dalla finedegli anni cinquanta agli anni settanta. Dopo un viaggio a Hollywood, scom-pare: si è saputo poi del suo ritiro nel monastero benedettino di Santa

Collezione Mani, 1983(Disegno Giorgio Armani)

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Scolastica. Diventa don Franco. Oggi dipinge per beneficenza. Pur dedican-dosi alla cura delle anime, don Franco si occupa ancora di arte e moda peraiutare e sostenere giovani talenti.

Enrico Coveri (1952-1990). Segni particolari: i colori e il luccicare delle pail-lettes. E una moda che vuole trasmettere allegria, ottimismo, che è poi lasua stessa filosofia di vita. Sfila per la prima volta al Carré du Louvre a Pariginel 1978. Un successo enorme. The Herald Tribune scrive: ‘C’è ironia esenso del colore, in una delle più belle collezioni presentate a Parigi’.Mentre ‘le paillettes’, commenta Le Figaro, ‘stanno a Coveri come le cate-ne a Chanel’. Enrico Coveri muore a 38 anni.

Gianfranco Ferré (1944-2004). Architetto della moda, così lo hanno chiama-to – e lo è, non solo in senso accademico – per aver elaborato uno stile cosìaffine al design e alla progettazione industriale ‘sempre cercando di noncadere nella trappola del troppo costruito o della semplificazione astratta’.La sua prima collezione, dopo aver disegnato e prodotto bellissimi accesso-ri, è del 1978. Un successo internazionale e l’inizio di una folgorante carrie-ra. Disegnatore straordinario, per le sue collezioni attinge emozioni dalloscambio di culture differenti e lontane in una magica gamma di interventi edi alchimie sulla materia.

Krizia (1935). Nome d’arte di Mariuccia Mandelli. Sfila per la prima voltaa Palazzo Pitti nel 1964 una collezione con la quale conquista il premioCritica della Moda. Dopo oltre 40 anni, ancora alla ricerca di un erede, lastilista continua a essere fedele al suo credo: fare un lavoro che l’appas-siona con caparbia dedizione e volontà di ferro. Si cimenta nell’uso dimateriali innovativi e tecnologici che elabora in forme di draghi, libellule,conchiglie.

Karl Lagerfeld (1938). È soprannominato il Kaiser, l’imperatore della moda,per le sue origini: una famiglia di ricchi industriali di Amburgo. Sin da ragaz-zo, rivela una grande passione e predisposizione per le arti, il gusto innatoper il futile e la sua perizia nel disegno lo predestinano alla moda. Collaboracon diverse maison, ma il suo spirito libero e inquieto lo porta a diventarestilista indipendente. Nel 1965 inizia la collaborazione con le sorelle Fendiper le quali disegna pellicce rivoluzionarie e una linea di abbigliamento.

Prêt-à-porter donnaautunno-inverno1992-1993 (DisegnoGianfranco Ferré)

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Seguono Chanel e la linea che porta il suo nome, oltre all’edizione di libri, lafotografia, l’antiquariato.

Alberto Lattuada (1926). Illustratore e creatore di moda, si autodefinisceun buon dilettante in bilico fra le due professioni. È conosciuto per il suo spi-rito ironico e le battute corrosive, ma si dichiara fondamentalmente timido.Dai primi anni cinquanta, i suoi disegni appaiono su tutti i più importanti gior-nali femminili italiani e stranieri da Novità, Annabella, Grazia, Linea Italianaa Marie Claire e Women’sWear Daily. Dal 1973 al 1990 studia i colori e illu-stra gli Album di Pitti Filati. Ha creato collezioni per molti marchi importan-ti. E sempre fedele al suo personaggio e al suo stile, crea ancora collezionie insegna al Polimoda di Firenze.

Franco Moschino (1950-1994). Moschino, che ha studiato Belle Artiall’Accademia di Brera, avrebbe voluto essere pittore, se gli inizi come illu-stratore per Gianni Versace non lo avessero istradato sulla via della moda.Nel 1983 debutta con la sua griffe, esplosivo mix di paradossi, contestazio-ne ed eleganza che denuncia, irride e sorride sugli eccessi del fashionsystem e la parossistica società dell’immagine degli anni ottanta. Un verotalento nel ‘fare moda’ che ha saputo sopravvivere alla sua morte dopo diecianni di successi.

Valentino (1933). All’anagrafe, Valentino Garavani. Ha 17 anni quando lasciaVoghera per imparare la moda a Parigi. La velocità nello schizzare figurini glivale subito l’assunzione da Dessès. Torna in Italia nel 1957. Il suo debuttoavviene a Roma, in sordina. È un fiasco. Nel 1962 Valentino sfila per ultimoa Palazzo Pitti a Firenze. Un trionfo. ‘Gli americani impazziscono per questoitaliano diventato re della moda in poco tempo’, scrive nel 1968 Women’sWear Daily.”

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Il primo disegno di Brunetta fu un branco di galline con borsettae cappello: erano le signore d’Ivrea, sua città natale, a passeggio

Minnie Gastel, In puntadi lapis, in “Milano è lamoda”, n. 2, 2005

“Sarebbe stata la prima vera giornalista-illustratrice della storia italiana, maalla moda Brunetta si avvicinò quasi per caso, illustrando in quel suo modostravagante nel 1925 dei modelli di Paul Poiret che le diedero notorietàinternazionale, tanto che Diana Vreeland l’avrebbe voluta a Vogue Usa. Pertutti, Brunetta resterà la matita fulminante che commentò con i suoi schiz-zi, dal ’56 al ’76, Il lato debole de L’Espresso, la celebre rubrica in cuiCamilla Cederna metteva alla berlina le smanie arrivistiche dei nuovi snob.Maddalena Sisto aveva una grazia indimenticabile: nel porsi, nel disegnarei suoi appunti di moda e costume, figurine femminili ironiche e surreali alleprese con l’ultima tirannia trendy. ‘Mi piace sorprendere i difetti, le imper-fezioni, i gesti che sfuggono all’aplomb controllatissimo delle mie simili’,diceva. Per questo aveva sempre con sé un quadernino dove fissava sullacarta velocemente le donne che incontrava per strada, alle inaugurazioni,

Tartan, 2003 (DisegnoAlberto Lattuada)

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agli eventi mondani. Interpretò tic e tabù degli anni ottanta per molti gior-nali, tra cui Sette (ora Magazine del Corriere della Sera) dove illustrava larubrica di Lina Sotis. Sempre con humour, mai con cattiveria. Per MariaPezzi il disegno è stato, invece, un completamento dei suoi articoli per fis-sare linee, proporzioni, dettagli: niente di tecnico, ma schizzi di alta qualità;figurini sulle tendenze di moda che tessutai e ditte di confezioni si conten-devano ben prima che Maria Pezzi entrasse nel mondo della carta stampa-ta. Poi, apparvero sulla Domenica del Corriere, dove fu chiamata da DinoBuzzati, e sul Corriere d’Informazione di Gaetano Afeltra, a margine deisuoi articoli, spediti magari all’una di notte da Parigi, dopo una giornata aidéfilés. I suoi disegni li ha conservati alla rinfusa, senza dar loro troppaimportanza, sottotono come è sempre stato anche il suo stile di vita.

Brunetta (1904-1988). Disegnatrice, illustratrice, pittrice. Brunetta Mateldi,nata a Ivrea, ha studiato Belle Arti all’Accademia di Torino e Bologna per tra-sferirsi poi a Milano. Pierre Cardin la stimava al punto da organizzarle unamostra a Parigi al suo Espace: ‘Non è solo un’interprete della moda, la ricrealetteralmente’, ha detto. E aveva ragione perché i suoi schizzi inchiodano ine-sorabilmente tutti i corsi e i ricorsi, le mutazioni, i furti in fatto di moda ditutti questi anni. Aveva quel che si dice ‘un caratterino’.

Maria Pezzi (1908-2006). Un monumento della moda italiana, la si potreb-be definire. Se monumento non risultasse una parola troppo greve per unacome lei, aperta a considerare con estrema lievità, grazia, acume e compe-tenza tutte le novità del secolo che ha attraversato, dal punto di vista dellamoda e dello stile. Cronista si è sempre definita lei stessa con modestia,raccontando con parole e schizzi un mestiere cominciato per caso a Parigi,incoraggiata dall’illustratore René Gruau che di Maria ne apprezza la facilitàe l’efficacia nel disegno. Sempre in prima fila armata di taccuino e del suostraordinario intuito.

Maddalena Sisto (1951-2000). Architetto, viaggiatrice, illustratrice, osser-vatrice appassionata del suo tempo. Catalogava, con ricercato e maliziosodisordine i mille travestimenti femminili. Raccontando con i suoi disegnitrent’anni di moda, design, costume e un mondo femminile che cambiavarestando sempre lo stesso. Con un tratto sottile e delicato come la sua figu-ra. Del fatto che Maddalena disegnasse anche si stupivano tutti quelli che la

Le metamorfosi, 1968(Disegno Brunetta)

I pois fanno allegria,1984 (DisegnoMaddalena Sisto)

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conoscevano come giornalista all’inizio. Come se il fatto di scrivere – e bene– escludesse a priori il saper disegnare. Se ne è andata durante un fine set-timana, discreta e gentile come sempre.

Ma il loro talento sta proprio in quell’attitudine a tradurre in immagini con-taminate (da Pop art, suggestioni surrealiste, fumetti, street style) di gran-de impatto il loro tempo. Il più noto è stato Antonio Lopez, in arte sempli-cemente Antonio, venuto da Portorico, studi a New York e Parigi sotto ilpatronage di Karl Lagerfeld e poi a Milano. Riempì del suo inconfondibilesegno tutti i giornali e le riviste del mondo, dal New York Times a Elle, aVogue. Anna Piaggi, che condivise con lui una famosa rubrica su Vanity,ricorda così l’integrazione di Antonio con il mood europeo: ‘Il sandwich chene risultava era strepitoso. Uno strato di Antonio, hot e piccante, uno stra-to di Karl Lagerfeld, previsionale e mitteleuropeo, un pizzico di AndyWarhol, indispensabile fissatore chimico del periodo, una dose di CaféFlore e Hotel Crystal...’. Più schivo fu Werner (vero nome WernerBernskotter) che aveva un atelier di pittore a Parigi. Timido, discreto, raffi-nato, Werner fu la mano pittorica di Gianni Versace, colui che traduceva inimmagini sontuose gli schizzi dello stilista: interpretava le collezioni donnae i suoi costumi per opere e balletti, dalla Salomé e Doctor Faustus messiin scena da Bob Wilson alla Scala, a Pyramide a Souvenir de Leningrade,con le coreografie di Maurice Béjart. I suoi limpidi acquerelli sono raccoltiin libri e alcuni fanno parte della collezione di quadri di Gianni Versace.Oggi, c’è RubenToledo, la matita impertinente che accompagna, con la suavignetta New York diary, la rubrica di Lina Sotis su Magazine del Corrieredella Sera. Il suo tratto è essenziale e incisivo, la sua visione del mondo sur-reale: eleganti i suoi acquerelli per le City guides di Louis Vuitton, appuntidi moda e lifestyle.

Antonio (1943-1986). Nome d’arte di Antonio Lopez. Disegnatore e illu-stratore considerato tra i più grandi del Novecento. Al suo debutto, sulNewYork Times, su Women’sWear Daily, su Vogue, per merito suo si rico-

Gli illustratori di moda, quasi tutti, si sono sempre rimproveratidi essere dei commercial artists e non pittori veri...

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minciò a usare il disegno per documentare la moda, scelta che sembravadefinitivamente archiviata dalla fotografia. Portoricano, si trasferisce a NewYork nel 1961 per studiare alla High School of Industrial Design e al FashionInstitute of Technology. Inizia a lavorare nella stagione della Pop Art che loinfluenzerà nel segno, nella composizione delle tavole.

RubenToledo (1961). ‘Mia madre racconta che sono nato con la matita inmano. Sapevo disegnare prima ancora di saper parlare’, dice di sé Toledo.Pittore, illustratore, scultore, stilista, in perfetta sintonia con la moglieIsabel, nota stilista, che si definisce una sarta perché, dice, la moda biso-gna conoscerla dall’interno. Nato a Cuba, ha studiato alla School of VisualArts di New York, città dove oggi vive. Ha collaborato e collabora con lemaggiori riviste d’immagine del mondo da Town & Country a Details, daInterview a Uomo Vogue. Da Paper a Visionnaire.

Werner. Si firmava così, ma il suo nome completo era Werner Bernskotter.Fu la mano pittorica di Gianni Versace, colui che interpretava e traduceva inimmagini sontuose gli schizzi dello stilista. Discreto e raffinato, aveva unatelier di pittura a Parigi. Famosi sono i suoi bozzetti che riguardavano nonsolo le collezioni donna, ma anche e soprattutto l’attività teatrale di Versaceper opere e balletti, messi in scena da grandi registi come Bob Wilson allaScala o da famosi coreografi come Maurice Béjart.”

Missoni, collezioneautunno-inverno 1983-1984(Disegno Antonio Lopez)

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“Eppure all’inizio la fotografia di moda era considerata un’arte minore, comese il termine ‘foto di moda’ ponesse dei limiti. ‘Personalmente è una defini-zione che non mi piace, che la banalizza’, spiega Grazia Neri, presidente edexhibition director dell’agenzia fotogiornalistica che porta il suo nome. ‘Perme, nata come reportage, la fotografia di moda, per istinto e mestiere, hauna magia particolare e valenze straordinarie. La guardo e vedo qualcosa chemi serve per sognare. Mi fa sentire un po’ come Madame Bovary... Ma nonsolo, la foto di moda rappresenta la contemporaneità dell’essere: vi sonoimmagini indelebili nella mia memoria realizzate da fotografi come RichardAvedon, Hiro, Irving Penn, John Rawlings (poco conosciuto, ma un verogenio), Bert Stern, che con il vestito, la modella, lo stile hanno saputo rac-contare in un’immagine la storia, il costume, lo spirito di un’epoca’. Con l’an-dare degli anni, la foto di moda si è trasformata in una raffinata e comples-sa operazione in cui sono entrate arte, talento, psicologia e capacità di anda-re oltre la realtà per arrivare al sogno. Ogni fotografo con la sua storia, la suasensibilità, il suo modo di essere e di operare.‘Una volta a Los Angeles’, ricorda Grazia Neri ‘mi trovavo al ChateauMarmont, un hotel dove scendevano tutti i più grandi fotografi, gli attori, lemodelle. Helmut Newton e Annie Leibovitz stavano realizzando un serviziofotografico. La troupe di Helmut Newton era composta da tre persone.Mentre Annie Leibovitz aveva al suo seguito un numero infinito di assisten-ti, tecnici, stylist...’ Due modi certamente molto diversi di lavorare, un unicofine: catturare la magia di un momento, fermandolo per sempre con unclick. Se si volesse dare una data alla nascita della fotografia di moda, sidovrebbe risalire alle prime decadi del Novecento quando, con laRepubblica di Weimar, Berlino diventò il centro di una ricca produzione dimoda destinata ai mercati internazionali e, dunque, di una stampa all’altez-za delle esigenze industriali per impatto e immagine.Ma è sicuramente alla rivista di moda Vogue Usa fondata nel 1892 – che ini-

Moda e fotografiaClick-à-porter

Niente riesce a parlare, a raccontare, ad alludere come una fotodi moda: fantasmi e comportamenti, provocazione e gusto, stile,sesso, costume. Più di un vestito, più di una sfilata

Nella Favalli,Click-à-porter, in “Milanoè la moda”, n. 2, 2005

Dovima con gli elefanti,Cirque d’hiver di Parigi,1955, abito Christian Dior(Fotografia RichardAvedon)

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Versace, collezioneprimavera-estate 1995,(Fotografia GraziellaVigo)

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OlivieroToscani riprendese stesso e le modellecon abiti di Valentino inun servizio per il mensile“Moda”, 1985 (FotografiaOlivieroToscani)

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zialmente utilizzava i disegni di Christian Bérard e George Lapade – che va ilmerito di avere lanciato la foto di moda con le immagini del barone Adolphede Meyer nei primi anni del secolo. E successivamente quelle di fotografi chediverranno un mito come Cecil Beaton o George Hoyningen-Huene e HorstP. Horst. ‘La macchina fotografica è uno strumento ideale per imporre nuovicanoni estetici’ sostiene lo storico James Laver nel suo libro Women’s Dresson the Jazz Age. Una cosa che Horst apprende, insieme con l’arte del com-portamento mondano e i piaceri amorosi, proprio dal barone Hoyningen-Huene. Dall’incontro con questo maestro e con i mostri sacri della cultura delNovecento, da Jean Cocteau a Salvador Dalí a Man Ray, è derivato quel suostile abbagliante e astratto che lo ha accompagnato per oltre sessant’anni.Solo negli anni cinquanta e sessanta, però, la foto di moda inizia a diventa-re un vero e proprio fenomeno di culto. Nelle immagini di Irving Penn, lafotografia di moda perde colonne, ornati, capitelli, saloni aulici e decori perprivilegiare la geometria armonica della composizione, semplicissima per-ché essenziale. Basta rivedere la campagna che realizza per Gianni Versacenegli anni novanta con Christy Turlington splendente di ricami, per capireche questo suo tocco magico, trent’anni dopo non si era esaurito.La stessa inesauribile vitalità ha animato Richard Avedon, che era già ungrande nel secondo dopoguerra, quando realizza i reportages sulle collezio-ni di Parigi in un’atmosfera alla Ernst Lubitsch. ‘Se passa un giorno in cui nonho fatto qualcosa legato alla fotografia, è come se avessi trascurato qualco-sa di essenziale. È come se mi fossi dimenticato di svegliarmi’, dicevaAvedon. È morto nel 2004 a 81 anni mentre lavorava a un reportage (altrasua grande passione) per il settimanale The NewYorker dedicato alle elezio-ni presidenziali e intitolato On Democracy. È con questo maestro della foto-grafia dagli occhi scuri e penetranti, che le belle addormentate della moda,le modelle, prendono vita, corrono, saltano, i capelli gonfi di vento. Con luila foto di moda perde staticità per acquistare dinamicità. Uno stile che trove-rà in Gran Bretagna terreno fertile dove svilupparsi. Nella libertà gioiosa deiSixties, ‘quando il successo era a portata di mano perfino per proletari comenoi’, dice David Bailey che è stato protagonista conTerence Donovan e BrianDuffy di quel periodo generoso e stravagante. ‘Popcrazia’ fu definito inInghilterra, dove la rigidità delle classi e le differenze sociali frenavano ognitentativo di cambiamento e chi veniva dall’East End, la parte sbagliata diLondra, poteva sperare di emergere soltanto tirando pugni o, nella miglioredelle ipotesi, suonando in una band. Questi fotografi non erano particolar-

Entomologia, abitoThierry Mugler,in “Vogue Italia”, 1991(Fotografia Alfa Castaldi)

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mente interessati a quanto una modella rendesse elegante l’abito che indos-sava, ma piuttosto quanto l’abito rendesse seducente la modella. Il moodlondinese di quegli anni era: divertirsi, fare sesso, fare soldi, avere ambizio-ni. Come magistralmente rappresentato in Blow Up, film cult diMichelangelo Antonioni. Una rivoluzione nel pensiero come nel look che lan-cia un glamour fresco, libero, senza distinzioni di classe.Da quel momento l’immagine della donna non sarà mai più la stessa. Alla finedegli anni sessanta un’ex modella francese, che si fa chiamare Sarah Moon eviene considerata la capostipite del genere ‘impressionista’, inizia a pubblica-re immagini di una dolcezza rarefatta di donne-bambine evanescenti dagliocchi cerchiati di nero, dai volti sbiancati. Citazioni surreali rese ancora piùsuggestive da un incredibile modo di stampare le foto, che venivano deterio-rate, maltrattate, sfumate perché, affermava l’artista, ‘mi piace che risultinoprecarie come gli attimi’. In netta contrapposizione allo stile di HelmutNewton, che della donna interpretava l’erotismo crudo, la voluttà incline alsadismo, l’istinto di sopraffazione, o alle immagini di sofisticatissima sempli-cità di Bruce Weber, che va in cerca di gente normale, facendola risplenderenei suoi ritratti come star di Hollywood. Registrando con l’obiettivo momentidi intima realtà, trasformando la quotidianità in qualcosa di assolutamentespeciale. Senza ‘costruire le foto’, ma ‘cercandole’ per trovare quella vita che,hanno sempre sostenuto tutti, ‘è il contrario della moda’.Anche in Italia, con l’esplosione dell’editoria femminile e della moda,nascono e si affermano molti talenti. Tra i fotografi che hanno contribuito afare la storia della moda, la rivista tedesca Stern nel 1978 cita Gian PaoloBarbieri che, come ebbe a dire di lui Giorgio Armani, ‘è tutta interpretazio-ne, è poesia fotografica: davanti a un abito da tradurre in immagine, è ilFellini della situazione’.Indimenticabili sono alcune immagini di grande suggestione di Ugo Mulaso di Alfa Castaldi che praticano la fotografia con precisione scientifica, fattadi approfondimento e di curiosità, accomunati dalla stessa passione per l’ar-te e dalle frequentazioni degli amici del Bar Giamaica a Brera, luogo di cultoe di incontro dell’intellighenzia milanese dell’epoca. ‘C’è stata una grandetrasformazione nella fotografia: ormai il gioco della moda è accessibile a tut-ti’, spiega Grazia Neri. ‘La foto di moda oggi deve integrarsi tra pubblicità earticoli. Un compito arduo per il fotografo, che deve rispondere al mercato,senza tuttavia rinunciare al desiderio estetico che ha in sé. Alcuni ce lafanno, altri non ce la faranno mai’.

Krizia, collezioneautunno-inverno1987-1988 (FotografiaGiovanni Gastel)

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Un compito difficile e un pericolo. Una campagna pubblicitaria per un branddi moda non rischia di limitare la creatività? Per Giovanni Gastel, che lavorautilizzando macchine del passato come vecchie Polaroid a soffietto, abbina-te a tecnologie del presente se non addirittura del futuro, ‘la bravura sta pro-prio nel trovare un linguaggio adatto a ogni stilista, differenziando lo stile eusando metodologie diverse per ognuno. Anche questa è libertà artistica’.Opinione condivisa da Bob Krieger, che alla sua attività di fotografo di modaabbina sempre più quella di ritrattista e che in una recente intervista hadichiarato: ‘Se fai il fotografo di moda, devi interpretare la moda, non fare lamoda. Il compito è quello di esaltare ciò che lo stilista crea. Lo stilista nonfa fotografie (se si esclude Karl Lagerfeld, ndr), non fa immagini, ma creaabiti. È questa la funzione del fotografo che, per un certo verso, è un po’truffatore perché fa sembrare tutto straordinariamente bello’.Innumerevoli sono gli stili che hanno caratterizzato la foto di moda di que-ste ultime decadi. Se gli anni ottanta sono stati una celebrazione dell’edo-nismo e del materialismo, gli anni novanta hanno rappresentato quellidello stile minimalista, anoressico, trasandato per il quale negli Stati Unitiè stato addirittura coniato il termine ‘eroin chic’ perché voleva modelle pal-lide e stralunate, con gli occhi segnati, per vero o per finta, da vizi e tra-sgressioni e location al limite dello squallore totale.Oggi la produzione di foto di moda è troppo vasta per tentare di farne una sin-tesi per immagini. Tende a seguire strade diverse: più commerciali o più arti-stiche, espandendo i propri confini tra moda, pubblicità e arte, estendendo laricerca al digitale e allaVisual Art sino ad arrivare a raccontare realtà che di voltain volta sono viaggi nella memoria e nella cultura sino a calarsi in situazionicrude, persino drammatiche, del quotidiano.Quella della foto di moda è una storia che si sta ancora scrivendo. Nomi comePatrick Demarchelier, Peter Lindbergh, Mario Testino, Arthur Elgort, MichelComte, Steven Meisel, Paolo Roversi, Jürgen Teller, Aldo Fallai, Maria VittoriaBackhaus,ToniThorimbert, senza ovviamente dimenticare OlivieroToscani cheha sperimentato strade diverse, applicando a tutte il suo stile inimitabile (e ilsuo carattere ombroso pure... Perfino Anna Wintour, direttore di Vogue Usa,ricorda di quando la fece piangere non parlandole mai sul set. Secoli fa natu-ralmente), e molti altri ancora, continueranno a raccontarla attraverso i loroobiettivi, che non si limitano a fissare solo immagini. Nei loro scatti, c’è provo-cazione, stile, sesso, costume. E la sintesi di tutte le donne sognate dagliuomini. Ma anche il vestito. Che non esisterebbe se non fosse fotografato.”

Moschino Couture!, 1988(Fotografia Fabrizio Ferri)

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Servizio di moda, 1970(Fotografia OlivieroToscani)

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Moda e businessL’impatto economico, commerciale e fieristico

Tutelare, coordinare, diffondere, controllare e potenziare l’immaginedello stile italiano in patria e all’estero. Non sono cambiati di molto,a quarant’anni dalla costituzione, gli obiettivi dell’associazione.Come non sono cambiate le pressioni per accedervi

Nella Favalli, La Cameranazionale della moda:il potere della lobby,in “Milano è la moda”,n. 1, 2004

“L’11 giugno del 1958 a Roma, presso il Grand Hotel, viene costituita laCamera Sindacale della Moda Italiana, antesignana di quella che in seguitodiventerà la Camera Nazionale della Moda Italiana. Un’associazione senzascopo di lucro nata allo scopo di coordinare, tutelare, disciplinare e incenti-vare l’immagine e lo sviluppo della moda italiana, sia nei confronti delle isti-tuzioni, sia in quelle delle altre associazioni nazionali ed estere, con partico-lare riferimento alle manifestazioni di moda individuali e collettive che ave-vano luogo in Italia e all’estero. Lo statuto originario è composto di 35 arti-coli, che regolamentano l’Associazione e i suoi organi: l’Assemblea, ilConsiglio Direttivo, il Comitato Esecutivo, la Presidenza e il Collegio deiRevisori. Il primo presidente è Giovanni Battista Giorgini.Ricorda Amos Ciabattoni, primo segretario generale della Camera Nazionaledella Moda e suo fondatore: ‘A Giovanni Battista Giorgini e alla Sala Bianca diPalazzo Pitti va riconosciuto il merito di aver dato un inizio prestigioso allanascente moda italiana e al Centro Moda di Roma il merito di averle dato l’as-setto organizzativo sul quale tuttora poggia il settore’. Nel corso di pochi annila Camera Nazionale della Moda Italiana raggiunge traguardi significativi: l’ac-cordo alta moda-industria tessile, che porta risorse finanziarie pubbliche e pri-vate nei bilanci delle aziende; le iniziative promozionali all’estero del ministe-ro del Commercio estero e dell’Ice; l’organizzazione di un calendario naziona-le delle manifestazioni di moda in Italia, per mettere fine alle guerre tra Roma,Firenze, Torino e Milano, ma anche l’accordo per la suddivisione tra le stessecittà delle manifestazioni promozionali e mercantili dei diversi comparti: aRoma l’alta moda; a Firenze la moda pronta (poi sostituita con la modamaschile); a Milano il prêt-à-porter e il tessile; a Torino l’abbigliamento indu-striale; a Bologna la calzatura e la cosmetica; a Napoli (Capri) la moda mare.Diventa subito chiaro che la forza della Camera proviene soprattutto daMilano, subito assurta a città ideale per le fortune della moda italiana, Mario Boselli, 2010

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soprattutto per il suo retroterra industriale, unico e di grande impatto eco-nomico, commerciale e fieristico. Inoltre, a Milano hanno già sede, inquegli anni, le maggiori agenzie pubblicitarie e gli editori dei periodici piùinteressati all’evoluzione del settore: Milano lega da subito la moda conaffari, turismo, commercio, mondanità, finanza e con le sedi delle piùimportanti società commerciali del momento. E infatti è la Snia Viscosa,con il suo supporto, a consentire al primo presidente della CameraNazionale della Moda Italiana, Paolo Faina, di avere i mezzi necessari persostenere l’organizzazione. Nel frattempo, si va sviluppando il giornalismodi moda, con professionisti che collegano subito con articoli di cronaca einchieste la moda italiana con i suoi aspetti culturali, artistici e commer-ciali. Il meccanismo si è messo in moto. Non si fermerà più. E con il gior-nalismo e l’editoria, oltre all’industria naturalmente, a Milano cresconomolte altre professioni strettamente legate alle attività della moda: pierre,registi dedicati, fotografi, agenzie specializzate in location, agenzie dimodelle... La Camera Nazionale della Moda Italiana e Milano furono,come lo sono tuttora, reciprocamente tributarie.‘Non si deve dimenticare che la città rappresenta il baricentro dell’industriatessile. Questo, al di là delle loro indiscutibili capacità, ha facilitato molto illavoro degli stilisti’, spiega Mario Boselli, attuale presidente della CameraNazionale della Moda Italiana. ‘Inoltre, nel corso di questi ultimi anni, lanostra istituzione è cresciuta in termini di credibilità internazionale: non c’ècambiamento che riguardi le Fashion Week nel mondo che oggi non avven-ga in accordo con noi’. Il Protocollo d’Intesa italo-francese firmato a Parigi il26 giugno 2000 rappresenta la precisa volontà della Camera della ModaItaliana e della Fédération Française de la Couture di condurre una politicacomune volta allo sviluppo e alla diffusione dei prodotti del lusso nelle areeextra-europee. ‘Un cambiamento iniziato qualche anno fa con Santo Versacepresidente, che ha dato inizio alla trasformazione della Camera della Modain una istituzione molto aperta e trasparente con personalità giuridica’, tienea sottolineare Boselli. Attualmente la Camera Nazionale della Moda organiz-za quattro manifestazioni l’anno dedicate al prêt-à-porter: Milano CollezioniDonna (febbraio-marzo e settembre-ottobre), e Milano Collezioni Uomo (gen-naio e giugno-luglio). Due manifestazioni a Roma a gennaio e a luglio sonoinvece dedicate all’alta moda. E in questo ambito accordi e calendario avven-gono sotto la giurisdizione di Altaroma, guidata da Stefano Dominella. Cheperò, e naturalmente, è consigliere della Camera.”

Gianfranco Ferré,prêt-à-porter donnaautunno-inverno1982-1983

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Michele Ciavarella,L’industria sposa lo stile,in “Milano è la moda”,n. 1, 2004

Con la nascita del prêt-à-porter, la moda si avvicina alla strada.La grande confezione decide di affidarsi ai designer creando un’alleanzache diventerà sempre più forte. Lo scopo è offrire alle donne lapossibilità di vestire con capi chic e di tendenza, a prezzi accessibili.Sono le basi da cui nasce quel mix di business e allure che porteràla moda italiana a raggiungere fama internazionale e prestigio

“A Parigi, nel 1962 lo chiamano già prêt-à-porter; per cui, quando arriva in Italiatra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta, non si può che confermar-gli il nome. L’espressione francese si riferisce a un abbigliamento (gonne, giac-che, camicette, cappotti e quant’altro) fabbricato in serie nelle industrie conforme ridotte al necessario, cioè senza troppi fronzoli e rifiniture, ma con lineeche corrispondono a uno stile. Questi modelli, che sembrano i parenti ‘poverima belli’ delle favolose creazioni della haute couture, in realtà rispondono aun’esigenza tutta da scoprire: indossare abiti alla moda a prezzi accessibili. Maal di là delle apparenze, quelle gonne e quelle camicette semplificate rappre-sentano in realtà una rivoluzione epocale: l’incontro della moda con l’industria.Negli anni sessanta in Italia si copiano ancora i cartamodelli o, solo in alcune

Biki con il genero AlainReynaud nel suo atelierin via Sant’Andreaa Milano, 1965

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città, si possono comprare gli abiti con le etichette Mammi, Sprint o Linea 4che la famiglia svedese Hettemarks produce nello stabilimento di Bari. In que-sto comparto, che gli addetti ai lavori chiamano ‘Confezione’, aTorino il GruppoFinanziario Tessile della famiglia Rivetti segna una svolta lanciando il primovero marchio di prêt-à-porter, in un certo senso la prima griffe: nasce Cori(‘L’eleganza sulle ali di una farfalla’, recita la pubblicità), disegnata dalla mila-nese Biki con la collaborazione del genero, il francese Alain Reynaud.In pochi anni il fenomeno diventa così importante da costringere gli stessifrancesi prima a rivedere le loro strategie, poi a riconoscere la supremaziadel sistema italiano. In tutta la penisola, infatti, le aziende produttrici di abitisi trasformano in aziende produttrici di moda.La storia acquista un’accelerazione inarrestabile: l’industria della moda italia-na, a questo punto legata a doppio filo con lo stilismo (la parola stessa nascein questi anni), diventa il polo d’attrazione dei creativi di moda internazionale.I giovani francesi come Claude Montana vengono prodotti in Italia e in Italiadisegnano collezioni per le industrie italiane, mentre il calendario segna lanascita degli anni ottanta e con loro la supremazia economico-industriale – equindi di mercato – dell’Italia sulla Francia. Nel 1984, l’inviata di la RepubblicaSilvia Giacomoni scrive L’Italia della Moda (ed. Mazzotta): il libro resta a tut-t’oggi l’unica fotografia di quel periodo di esperimenti e di pianificazioni. Inuna delle sue pagine, Marco Rivetti, giovane amministratore delegato delGFT, riassume: ‘In azienda è cambiata in parte anche l’organizzazione del lavo-ro. Abbiamo imparato a usare più fantasia. Con Armani abbiamo reimparatoa fare la giacca. E, istintivamente, l’operaia che ha lavorato a una giaccaArmani userà lo stesso procedimento anche per le nostre altre giacche com-merciali. Da quando facciamo le camicie di Valentino, sono diventate più belleanche tutte le altre. I modellisti che passano dallo schizzo di ognuno dei nostribravissimi consulenti creativi al cartone, finiscono per usare le stesse regole,tecniche, particolari, finiture. Si risveglia l’ambiente, migliora la manodopera.Gli stilisti, all’inizio, avevano il terrore di essere copiati. Adesso hanno capitoche, se copiassimo le loro linee l’anno stesso del lancio, non venderemmoniente. La gente impiega un anno almeno ad abituarsi alle nuove proposte’.Così, spiegato semplicemente, il ‘miracolo’ diventa prassi, metodo, addirittu-ra modello da imitare. E, passati gli ottanta, la storia diventa la cronaca di unsuccesso annunciato: l’Italia è la prima produttrice mondiale di un prêt-à-por-ter che si è talmente raffinato che oggi viene sempre più spesso indicatocome il killer della haute couture.”

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“Tra i primi grandi obiettivi raggiunti c’è il trasferimento di Milanovendemoda– collaudata mostra-mercato promossa nel 1969 dall’Associazione degli agen-ti e dei rappresentanti commerciali del settore abbigliamento consociati inAssomoda – nei padiglioni della Fiera di Milano. Un’iniziativa che dà un colpodi spugna sulle sedi alberghiere che ormai scoppiano per le enormi presenzedi stampa e compratori che arrivano da tutte le parti del mondo.Nel marzo 1978, in contemporanea con il varo del Centro Sfilate di MilanoCollezioni, nasce Modit, per scelta e investimento delle Associazioni Industrialidell’Abbigliamento (presidente Fabio Inghirami, direttore Armando Branchini), edella Maglieria (presidente Giorgio Malerba, direttore Alfredo Ciampini), con laconsulenza di Beppe Modenese e il patrocinio della Federtessile. Un saloneparallelo alle sfilate e campo magnetico per quelle aziende che mostrano le lorocollezioni su stand nelle suites dei vari alberghi. Nei programmi dell’Ente MilanoAlta Moda Pronta c’è l’intenzione di coinvolgere la città nella Settimana dellamoda milanese con spettacoli, eventi e mostre. Si realizzano anche film spetta-colo e film-documentario sulle sfilate, strettamente tecnici, da spedire sottoforma di videocassetta agli uffici Ice e agli uffici commerciali delle ambasciateitaliane all’estero. La moda segue molte strade e anticipa quello che verrà.

“C’erano una volta i rappresentanti. Gente di gavetta, valigia in mano e viaandare, per città, regioni e spesso per tutto lo Stivale, a vendere biancheria,maglieria, calzetteria. E poi, con furgone e indossatrice, le prime collezionid’abbigliamento confezionato. Persone sveglie, disposte a macinare chilo-

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Moda e commercioTrait d’union tra produzione e distribuzione

Nel 1977 si costituisce – fra gli enti locali e la Camera nazionaledella moda – l’Ente Milano alta moda pronta con il compito di fissarele date delle sfilate e un budget comune per gestire la promotiondi tutte le manifestazioni parallele

Anno 1967. Milanodiventa di moda, in“Milano è la moda”,n. 1, 2004

Lucia Serlenga,Imprenditori conla valigia, in “Milano èla moda”, n. 2, 2005

Indispensabili trait d’union tra produzione e distribuzione,i rappresentanti hanno creato un’associazione di categoria, fin dal 1969,e una fiera, la Milanovendemoda. Ma non si sono fermati agli showroom.Negli anni, con il loro fiuto da talent scout, si sono trasformati in verie propri industriali

Showroom diWalterAlbini in via Pietro Cossaa Milano, 1973

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metri per far soldi. Consapevoli d’essere l’indispensabile trait d’union fra pro-duzione e distribuzione. I più bravi riuscivano a trasferire la filosofia del pro-dotto al negoziante, non sempre veloce nel cogliere i cambiamenti. Quelli dieccezionali capacità professionali hanno scritto pagine fondamentali nel suc-cesso del made in Italy. Non a caso è stato un gruppo di professionisti gui-dati da Roberto Manoelli a fondare a Milano, alla fine del 1969, la prima asso-ciazione italiana di agenti e rappresentanti del settore moda e a tenere a bat-tesimo Milanovendemoda, manifestazione fieristica che si preoccupava diproporre ai negozianti le neonate collezioni di prêt-à-porter, molto diverse daquelle dell’alta moda di Roma e dell’alta moda pronta di Firenze. D’altrocanto, i tempi stanno cambiando velocemente e sull’onda del generale entu-siasmo per una moda fresca, accattivante, spesso di matrice francese, i rap-presentanti italiani si organizzano in nuove strutture, dilatando ruoli e compe-tenze. Sempre più spesso mettono lo zampino sulla creazione – scegliendoaddirittura gli stilisti – e assumono un crescente potere decisionale all’inter-no delle aziende.Taluni si trasformano in capitani d’industria. È il caso di AldoFerrante, Giovanni BattistaTositti e Gigi Monti della Ftm, società che nel 1967rileva la Basile, azienda nata negli anni cinquanta come sartoria, per trasfor-marla in una delle più belle realtà industriali dell’epoca. È disegnata da WalterAlbini e da Versace, da Muriel Grateau e da Luciano Soprani e s’impone peruno stile raffinato e speciale. I tre della Ftm cambiano anche le regole delgioco della rappresentanza tout court, invertendo il flusso: non sono più i rap-presentanti a girare per negozi, ma i dettaglianti a visitare la loro eleganteshowroom di via della Spiga a Milano, per visionare le collezioni di Missonipiuttosto che di Caumont e di Cerruti, di Callaghan e di alcune griffe france-si. Sulla strada della ricerca di nuove formule, Ferrante, Tositti e Monti pen-sano addirittura di affidare alle capacità creative di Walter Albini alcune colle-zioni da loro gestite, per esempio Basile, Misterfox, Callaghan, Escargot, efarle sfilare organizzando un evento collettivo che per l’epoca, è il 1970, è adir poco clamoroso. Intanto la moda italiana muove passi da gigante, i gran-di nomi abbandonano la Sala Bianca di Firenze per venire a sfilare a Milanoe si affidano volentieri al fiuto di quei rappresentanti che meglio di tutti cono-scono le regole del mercato. ‘Non tutti erano capaci’, racconta GorettaBadalin, che nel ’79 è nello studio Manca, organizzazione dove approda ungiovane Romeo Gigli, lo stilista che avrebbe cambiato i connotati allo stileaggressivo degli anni ottanta proponendo la sua donna angelicata. ‘Per alcu-ni l’intraprendenza s’è trasformata in un bagno di sangue. Per altri, ci sono

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state esperienze esaltanti’, ricorda la professionista che, innamorata dellostile Gigli, fonda con lui una società e si preoccupa di organizzare la distribu-zione della collezione nei più bei negozi, fino all’arrivo di Carla Sozzani e fami-glia. Badalin, dopo Gigli, continua a sostenere giovani stilisti, come la france-se Martine Sitbon. Altri rappresentanti si preoccupano di portare il meglio delMade in Italy all’estero. Franco Bruccoleri, per esempio, verso la metà deglianni settanta, è l’artefice della conquista del mercato tedesco. A lui si devo-no non soltanto l’arrivo in Germania di gruppi come Benetton, GFT,Zamasport ma quello di firme come Armani, Valentino, Fendi, Krizia, Prada,che negli anni si sono conquistati il cuore dei consumatori teutonici conver-tendoli a un’eleganza tutta italiana. Da imprenditore, Bruccoleri è stato pro-tagonista di molte iniziative, tra le ultime, il lancio dello stilista giapponeseKoji Tatsuno, incaricato del restyling della collezione della maison Grès aParigi, e la fondazione della Capucci Corporate, società che dal 2003 si èoccupata di esprimere, con un linguaggio più semplice e quotidiano, le cifrestilistiche del maestro dell’alta moda. Diversa, eppure molto significativa del-l’evoluzione di una professione cui la moda deve molto, è la strada seguitada Sanzio Zappieri che, da commerciante, fonda negli anni cinquanta unapropria struttura aTorino per approdare, negli anni settanta, con la prima sho-wroom, in via della Spiga, a Milano. I nomi rappresentati sono altisonanti, daThierry Mugler, al suo debutto, a Valentino; da Moschino, che viene lanciatoin tutto il mondo, a Krizia, Blumarine, alcune linee di Dior e Donna KaranSignature, solo per citarne alcuni. Sanzio Zappieri crea varie società affiliateper gestire, in modo autonomo, realtà diverse. La moda pronta del marchiofrancese Kookai, un flagshipstore chiamato Zap, mille metri quadrati di pro-poste di ricerca in galleria Passarella a Milano, un franchising per rappresen-tanti, varie showroom in Italia e all’estero. Innovativi sono stati pure RiccardoGrassi e Mauro Galligari, due giovani che nel 1985 fondano a Firenze loStudio Zeta, struttura che pochi anni dopo giunge a Milano con la sua formu-la vincente: proporre nomi sconosciuti ed esordienti a negozi famosi, fun-gendo da trampolino di lancio per futuri talenti ma anche da fucina di fre-schezza e stimoli per molte boutique italiane e straniere. E forse in pochiricordano che l’antenato italiano di quelli che saranno i moderni outlet, ossiaun grande spazio dove acquistare abiti firmati a prezzi scontati, è frutto del-l’idea di Massimo Albini, fratello del celebre Walter, rappresentante di mar-chi affermati, che apre con un socio, negli anni ottanta a Milano, il famosoSalvagente. Verso la fine dello stesso decennio muoveva i primi passi un out-

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sider, pronto a divenire protagonista di primo piano della distribuzione e, suc-cessivamente, anche della produzione. Partendo dal Sud dell’Italia, SaverioMoschillo, un talento naturale per la gestione dei rapporti con i punti vendi-ta, non solo si occupa di far arrivare nei migliori negozi del Meridione le lineerappresentate, da Iceberg a Marc Jacobs e Anna Sui, da Versus a Exté, daD&G e Dolce & Gabbana Jeans a Givenchy Couture, da Genny a Byblos emolte altre, ma scala la penisola aprendo prestigiose showroom a Bari,Napoli, Roma e, verso la metà degli anni ottanta, a Milano. Naturale che poiarrivino, in sequenza, Parigi, Düsseldorf, Monaco di Baviera e, nel ’98, NewYork. Tutte le location sono di altissimo prestigio e rappresentano in modoesemplare la forza di un nome che è sinonimo di distribuzione, di scoperte,di produzione d’ottima qualità. ‘Negli anni settanta e ottanta le aziende dellamoda hanno capitalizzato un’enorme fortuna’, ricorda Moschillo, ‘che nonsempre è stata, però, frutto d’autentica bravura. Allora tutto accadeva velo-cemente, tutto si vendeva con altrettanta facilità’. Con la prima selezione,però, gli industriali avvertono la necessità di coinvolgere nel processo produt-tivo anche la distribuzione. Da qui la tendenza a organizzare una propria forzavendita, una strada che non sempre si è rivelata vincente. ‘Molte aziendehanno perso di vista la propria mission’, continua Moschillo, ‘che era quelladi fare ricerca, di tenere salda la qualità, di programmare la produzione neitempi giusti’.È stato proprio in questo momento che Moschillo, pur rispettando la suaimpresa di distribuzione, s’è lanciato nella ricerca di nuovi creativi, diventan-do a sua volta industriale. Così l’incontro con lo stilista inglese JohnRichmond si è tradotto in una partnership che lo coinvolge come socio. Laproduzione è stata affidata alla Falber di Forlì guidata proprio dal vulcanicoimprenditore d’origini irpine che può vantare molte scommesse vinte e un’in-tensa attività di scouting. Recente è la scoperta di una giovane designer cana-dese, Maria Intscher, di cui Moschillo è divenuto socio, produttore e distribu-tore. ‘Da industriale sono riuscito a chiudere il cerchio del percorso che staalla base della progettazione, della produzione, della vendita del prodotto. E,da attento conoscitore delle esigenze di negozianti e consumatori, sono ingrado di interagire in tempo reale con un mercato che deve fare i conti conla necessità di garantire efficacia in tutto il processo’, sostiene Moschillo,anima di un gruppo che conta 23 showroom, 9mila clienti nel mondo, affariper oltre 300 milioni di euro, qualche centinaio di collaboratori. Non poco perun rappresentante divenuto imprenditore della moda a tutto tondo.”

Vetrina di Fiorucci,1980

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“Non solo manager, uomo di comunicazione, geniale inventore di generi,ma anche personalità umana ricca e generosa. Conobbi Sergio Galeotti inoccasione dell’accordo Giorgio Armani-Gruppo Finanziario Tessile (1980),azienda per la quale svolgevo allora una consulenza di pierre e ufficio stam-pa per tutte le loro linee. Galeotti, grande stratega nel saper trasformare lacreatività di Giorgio Armani in vero e proprio business, chiese a MarcoRivetti, allora direttore del prodotto donna, che mi occupassi della lineaMani disegnata da Armani e prodotta dal Gruppo Finanziario Tessile. Èstato il primo a iniziare la consuetudine di invitare alle sfilate i protagonistidello spettacolo. Nel 1981, in occasione della sfilata maschile, invitò aMilano l’attore John Travolta, diventato un idolo con il film La febbre delsabato sera. I più grandi quotidiani nazionali, solitamente laconici nelrecensire i fatti di moda (anche se in quegli anni il business dell’abbiglia-mento rappresentava in Italia la seconda voce nella bilancia dei pagamen-ti) diedero all’avvenimento un rilievo inaspettato. Si parlò di Travolta, ma siparlò inevitabilmente anche di Armani. Questo segnò l’inizio, per Armani,di una nuova strada, che portava l’attenzione ai suoi prodotti attraversoavvenimenti. ‘I mille cuscini di raso’, festa di Natale (1981) offerta daArmani e Galeotti a giornalisti, direttori e personaggi della cultura milane-se, furono il tema di una cronaca di costume apparsa in prima pagina sulCorriere della Sera. Un primo esempio di ‘festa mirata’, che ha dato il via auna nuova comunicazione. Allo stesso modo, le scelte pubblicitarie diSergio Galeotti calamitavano l’inconscio collettivo, anticipando il gusto perun’immagine che, una volta proposta, veniva immediatamente riconosciu-ta e adottata. È stato lui il primo a ideare una campagna stampa in biancoe nero, iniziativa prontamente ripresa da numerose case di moda.Propagatore di nuove idee, coraggioso nelle scelte più rivoluzionarie di cuisi assumeva ogni responsabilità, ponderato nella scelta di decisioni chenon rinnegava mai, fiducioso nei propri collaboratori, che coinvolgeva tra-

Non solo managerFigure e protagonisti in un gioco di squadra

Storie di famiglia o di amicizia, di effervescenza creativa e lucidotalento manageriale. In una storia di moda e di successo non brillamai una sola stella. Ce ne vogliono almeno due

Barbara Vitti, SergioGaleotti, l’inventore,in “Milano è la moda”,n. 1, 2004

Sergio Galeotti, 1980

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sferendo in ciascuno una passione incondizionata per l’azienda, SergioGaleotti mi ha insegnato più di qualsiasi altro, legando a filo doppio profes-sionalità e amicizia. Mi sto abbandonando forse a troppe lodi, ma ritengogiusto farlo quando al talento imprenditoriale si affianca un cuore autenti-co e generoso. Si deve ancora a Galeotti l’idea di pubblicizzare un prodot-to con un grande murale in via dell’Orso (1984). Questo segnò un nuovomodo di fare e di leggere l’immagine di una griffe. I murales voluti daSergio Galeotti tracciavano una suggestione più che indicare un prodotto,suggerivano un’atmosfera più che imporre una scelta. Curiosamente, que-sta forma di pubblicità rendeva la città più elegante, là dove di solito lecomuni affissioni di poster sembravano ‘inquinare’ i colori del paesaggio.Galeotti fu anche tra i primi a comprendere che il pubblico corrispondeva afasce d’età e di gusti differenti, e nel 1982 affidò (pioniere anche in questo)una ricerca al sociologo Giampaolo Fabris. Da questa indagine, a Galeottivenne l’idea di creare gli Empori Armani, accompagnandoli con il logo del-l’aquilotto. Sergio e Giorgio godevano di una straordinaria intesa, comeraramente capita tra due soci, e questo in parte aiutò il loro successo. Il 14agosto 1985 Sergio è mancato. Con lui ho perso il mio migliore amico.”

“Giammetti, un bell’uomo dai modi squisiti, cela dietro uno sguardo dolcee allo stesso tempo ironico, una volontà di ferro, una cura ossessiva per ilparticolare, una padronanza assoluta dei suoi collaboratori, dai quali preten-de l’ambizione della perfezione, dal taglio al tessuto, al bottone... È in giocoil nome della maison Valentino, la cosa che gli sta più a cuore. Il primo annodella nostra collaborazione si rivelò difficile e molto impegnativo. Dovevoimparare a conoscere il mondo e la moda di Valentino. La mia gratitudine vaallo stesso Valentino, che mi fece assistere alle prove delle sue collezioni.Iniziai a uscire dalla mia milanesità rigorista saggiando nuovi modi di comu-nicare che mi introducevano in un’atmosfera dove il savoir-faire aveva un’im-portanza imprescindibile. La mia alter ego a Roma era Daniela Giardina,intelligente e preparata più di chiunque altro (in Valentino da vent’anni). Mi

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Barbara Vitti, GiancarloGiammetti, l’intuitivo,in “Milano è la moda”,n. 1, 2004

Nel favoleggiato “mondo di Valentino”, il mio primo incontro non fucon il maestroValentino Garavani, ma con Giancarlo Giammetti, suosocio e amico da sempre

Giancarlo Giammetti,1990

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offrì disponibilità e amicizia, comprendendo che i nostri ruoli non si sovrap-ponevano ma coprivano tutte le esigenze di un servizio di pierre, pubblicitàe ufficio stampa. Era il 1986 e il nome Valentino era una realtà di successoin tutto il mondo.Tra le sue clienti vantava moltissime first ladies: JacquelineKennedy, Farah Diba, Marella Agnelli, Hélène de Rothschild, Nancy Reagan.Giammetti, da sensibile imprenditore, intuiva che il mondo stava cambian-do: si doveva mettere a punto una nuova comunicazione, capace di rende-re il prodotto Valentino meno elitario. Pur mantenendo lo stesso alone dipreziosità e raffinatezza, occorreva un’immagine più in sintonia con la con-temporaneità. Nell’ambito di questa strategia di marketing, nasce la lineajeans che permise a milioni di ragazzi di possedere un capo firmatoValentino. Qualche stagione dopo si aggiunse la collezione Oliver Uomo,accolta con grande successo perché proponeva un prodotto creativo, con-tenuto nel prezzo.Il dinamismo di Giammetti diede un’ulteriore svolta all’immagine e allapubblicità di Valentino Boutique: indimenticabili le foto realizzate daOliviero Toscani con una modella dai capelli cortissimi e platinati (che nes-suno si sarebbe aspettato da Valentino) per poi tornare negli ultimi anni auna donna sensuale raffinata e ironica. Nel 1987, intuì che, nonostante ilsuccesso incalzante, il personaggio avrebbe avuto bisogno di un bagno difolla che rendesse il mito più reale. Organizzammo il ritorno a Voghera,sua città natale, con una grande sfilata in piazza a cui parteciparono 14milapersone. Era la prima volta che Valentino, il più francese di indole e il piùinternazionale di fama, tra tutti i nomi della moda italiana, ritornava allapropria ‘italianità’. Nello stesso anno, Yves Saint Laurent fece una sfilataal Festival del Partito comunista di Parigi, a dimostrazione che anche igrandi nomi, a tempo debito, hanno bisogno di una comunicazione dimassa. Ma Giammetti vanta altre qualità. Ciascun progetto parte sempreda lui, anche se poi si avvale dei migliori consulenti del settore. L’eventopiù clamoroso fu la mostra del 1991 Valentino: trent’anni di magia.L’organizzazione iniziò dal 1989. Per l’occasione più di 150 persone, datutto il mondo, lavorarono alla raccolta dei materiali grazie ai quali è statapresentata a Roma la più grande retrospettiva sul lavoro di Valentino, cor-redata da un volume monografico.”

Inviti alle sfilatedi Valentino, collezioni1988-1995

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“L’Italia è, in percentuale ai suoi abitanti, la nazione con il maggior numerodi magazine di stile e stili di vita. E il maggior numero di giornali femminili.Magari non in termini numerici, ma di sicuro di cadenza: l’Italia, per esem-pio, è l’unico mercato in cui i settimanali femminili hanno tuttora un signifi-cativo riscontro, nonostante quello spartiacque editoriale che è stato, nel1996, la nascita di Io Donna e di D - la Repubblica delle Donne, i due maga-zine femminili del Corriere della Sera e di la Repubblica, rispettivamente. ‘Ilgiornale di moda ha una sua genealogia segreta, ricca di elementi e appor-ti impensati, dai quali trasse, in definitiva, le caratteristiche che ancora con-serva. Come in un quadro di De Pisis, ove gli oggetti lontani e diversi traloro armonizzano per parentele, accostamenti e finalità sotterranee, in que-sto rintracciare attraverso il tempo la nascita di un mezzo informativo edocumentario qual è il giornale di mode, occorre colmare le pause, avvici-nare i contrasti, seguire il filo nascosto che lega espressioni d’arte e d’atti-vità all’attuale rivista d’eleganza. Il valore sociale della moda, la sua impor-tanza artigianale e industriale sono documentati da un’infinità di scritti, libri,stampe, che nel loro lontano passato diffusero le molteplici fogge del vesti-re. Attraverso quest’attività secolare venne a formarsi il giornale di mode:agile, divertente o cerebrale, che reca comunque il segno del nostro gustoe lo stile del nostro tempo’. Così, sulle pagine de La Lettura, la rivista men-sile del Corriere della Sera, si affrontava il tema dell’editoria di moda nel set-tembre del 1942, quando la moda assunse dapprima a Milano e poi in tuttoil resto dell’Italia, il rilievo di una battaglia di regime. Una battaglia che, allo-ra come oggi, si continua a combattere: non più sul fronte di un’identità ita-liana, ma su quello più concreto del rapporto con la pubblicità.Certo, la società è cambiata. Ci sono stati sia l’affermarsi di nuove testate, siaun radicale cambiamento della messa in scena del fashion system, così comearticoli e servizi sono stati liberati – come le loro lettrici – dai reggipetti e dalle

Moda ed editoriaLe riviste di moda hanno insegnato alle donne il gusto e lo stile

Non soltanto belle immagini. Dai primi del Novecento, ma soprattuttodal 1968 in poi, i periodici femminili hanno insegnato alle donneil gusto, lo stile. Hanno condotto grandi battaglie civili. E hanno fattoda apripista a un genere ora praticato anche dai quotidiani

Antonio Mancinelli,Donne di carta, in“Milano è la moda”,n. 2, 2005

Stand di “Grazia”allaMostra del cinema diVenezia, a sinistra EmiliaKuster Rosselli, al centroElsa Haerter, a destraAnna Vanner, 1956

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In alto: Adriana Mulassano, Suzy Menkes, Rachele Enriquez e Natalia Aspesi, Vera Montanari;al centro: Brunetta, Elena Melik, Camilla Cederna, Ida Fenili;in basso: Bruna Rossi, Mariella Milani, Cristina Brigidini e Carla Vanni

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In alto: Silvana Giacobini, Daniela Fedi, Daniela Giussani, Ariela Goggi e Franca Sozzani;al centro: Renata Rimini e Silvia Martinenghi, Paola Pollo, Flavio Lucchini e Gisella Borioli, Kicca Menoni;in basso: Fabrizio Pasquero, Elisabetta Falciola, Cipriana Dall’Orto,Titti Matteoni

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costrizioni in cui si trovava prigioniero il giornalismo femminile fino agli annisettanta. Però c’è chi prospetta, per l’editoria femminile, un futuro poco roseose non darà nuove scosse al panorama attuale: ‘Milano e l’editoria di modasono cambiate poco, ammettiamolo’, considera Ernesto Mauri, oggi ammini-stratore delegato di Cairo Editore. Nei primi anni novanta ricopriva la stessaposizione in Mondadori, con il merito di avere portato a un numero vertigino-so di vendite Donna Moderna, diretto oggi, dopo il debutto con EdvigeBernasconi, da Patrizia Avoledo e Cipriana Dall’Orto.‘La moda ha assicurato finora un grande fatturato pubblicitario – circa 300milioni di euro – e forse fa ancora un po’ dormire sugli allori molte testate cheprocedono sulla stessa strada. Quando il fatturato pubblicitario ha cominciatoa scendere, i giornali non hanno trovato di meglio che rendersi simili l’uno all’al-tro: ecco l’invasione di gadget, di vendite a pacchetto, di cut price. Iniziativeche sembrano ottimiste, ma che testimoniano una disaffezione di lettori e let-trici che ormai scelgono volta per volta quale rivista comprare’. Sarà il riflessodella crisi globale? ‘Proprio per niente, anzi. Quando c’è crisi, a maggior ragio-ne il mercato seleziona i suoi mezzi e premia chi ha delle buone idee’.Eppure la ‘genealogia segreta’ delle attuali pubblicazioni può contare su unpedigree creativo che vanta pietre miliari servite da esempio anche per molteriviste straniere. È recente il varo dell’edizione inglese di Grazia, settimanaleedito da Mondadori, nato nel 1938 dalle ceneri di Sovrana, giornale per la signo-ra dell’Italietta fascista. La svolta per Grazia data 1978, quando la direzioneviene assunta da Carla Vanni, che già vi lavorava dalla fine degli anni cinquantae che la dirige tuttora, un record. Con lei cresce l’attenzione, da un lato, al madein Italy allo stato nascente. Dall’altro, c’è una maggiore coscienza che l’univer-so femminile non è più rinchiuso nel dorato recinto delle case eleganti o delleboutique ma si è aperto a temi sociali. Direttore editoriale dell’area femminileMondadori dal 1987, Carla Vanni si dedica con impegno a seguire anche le altretestate della casa: l’ultima è Easy Shop, che segna un ritorno alla rivista di ser-vizio semplice: comprare, oggi. Con i suoi riti, i suoi miti e i suoi costi: la crisicui accennava Mauri invece affrontata con levità ma anche estremo realismo.Certo, molta strada è stata percorsa dagli anni ottanta, quando la perfetta coin-cidenza con il boom della moda italiana scatenò sulle pagine dei periodici unacontinua e pervicace indagine su quali potessero essere non solo le mutevolievoluzioni del linguaggio del vestire, ma anche le relazioni tra rappresentazio-ne della moda e la moda stessa. ‘Per capire la moda’ è, per l’appunto, lo slo-gan con cui nel 1980 nasce una pietra miliare del giornalismo di moda, Donna.

Giusi Ferré, 2001(Disegno Paolo Fiumi)

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Lo fondano Flavio Lucchini e Gisella Borioli, che a lungo ricoprono la carica dieditore e direttore. La sua caratteristica è quella di interpretare la moda comeun fenomeno culturale che nulla ha da invidiare al design o al mondo delleespressioni artistiche: una rivoluzione copernicana, non solo nel comunicare lamoda (abiti ritratti come architetture tessili, senza alcuna concessione a ele-menti che possano distrarre la lettrice), ma anche nell’allearsi al debuttantefashion system. Promuove nuovi nomi – primi tra tutti, i giapponesi, gli inglesie, in Italia, Dolce & Gabbana – e informa le nuove protagoniste del ‘NuovoRinascimento italiano’, come lo definisce all’epoca Francesco Alberoni (tra inomi di punta della rivista) con notizie di tono internazionale, legate ai nuovistili di vita che si vanno via via attestando. Purtroppo la testata, dopo esserestata ceduta ad Hachette Rusconi, ha chiuso lo scorso marzo. Ricorda GisellaBorioli: ‘Per me il periodo eroico dei fashion è chiuso già da tempo. Ricordocome, molti anni prima di Donna, facevo realizzare, in Condé Nast, servizi dimoda con modelli e modelle non professionisti, fotografati nelle vie della cittàda nuovi autori che allora erano poco conosciuti o addirittura neofiti: FabrizioFerri, Giovanni Gastel, Oliviero Toscani. In questo senso, mi spiace dirlo, trovoche oggi la città sia molto più avanti dei giornali di moda che produce’. Può indi-care una testata o un periodo in cui Milano procedeva di pari passo con unamoda giornalisticamente moderna? ‘Sono molto affezionata al periodo in cuidirigevo Lei, un mensile per giovani. Era il ’77, un periodo rivoluzionario in tuttii sensi e in tutti i campi. Oggi, non essendoci più alcuna bandiera di contesta-zione da sventolare, le riviste devono avere qualcosa in più: le trovo tutte ugua-li. Tutte ben fatte, per carità, ma terribilmente uniformi. Manca il sogno, maanche la provocazione’.Oggi Gisella Borioli quando guarda a un possibile futuro per l’editoria, parla ingenerale di una sola cosa: free press. Lucchini, cui vanno ascritte le creazionidi testate divenute pietre miliari nel giornalismo di moda (da Novità negli annisessanta, destinato poi a diventare Vogue Italia, a Donna, Amica, L’UomoVogue,Mondo Uomo,Moda e King tra le altre) ha dichiarato che ‘oggi la modasi è adagiata sull’omologazione, e con lei la maggior parte delle riviste’.Una soluzione interessante è quella adottata da Condé Nast, ma non solo sua,che si è rifugiata nel mondo dell’arte. L’arte è un plus che nobilita la moda. Chiporta un abito che ha il profumo dell’arte ha addosso qualcosa di diverso datutto il resto.Quello di Amica è un caso del tutto particolare. Nata nel 1962 all’interno delGruppo Editoriale Corriere della Sera, si rivela, con la direzione di Antonio Alberti

Lina Sotis, 2001(Disegno Paolo Fiumi)

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In alto: Laura Dubini, Paola Ciana, Cristiana Schieppati, Cristina Lucchini, Edgarda Ferri;al centro: Aldo Premoli, Carla Sozzani, Laura Asnaghi, Lucia Raffaelli;in basso: Nella Favalli, Carlo Ducci, Michela Gattermayer, Daniela Cattaneo e Marco Reati

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In alto: Mariella Gardella, Paola Cacianti, Raffaela Carretta, Luisa Ciuni;al centro: Pucci Gabrielli, Daniela Hamaui, Fiorenza Vallino, Eva Desiderio;in basso: Gianni Bertasso, Roberto Alessi, Giuliana Parabiago, Marina Fausti

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e successivamente con quella di Mario Oriani, una testata di rottura applicandoun nuovo modo di fare giornalismo per donne: inchieste dal piglio aggressivo,pagine dedicate all’attualità, rubriche che trattano di argomenti a sfondo socialeche cominciava timidamente a interessarsi a temi scottanti: il sesso, la paritàcon l’uomo, il diritto di famiglia, il problema di conciliare le proprie aspirazioniprofessionali con il ruolo canonico di regina del focolare. Confermandosi nel girodi pochi anni testata leader, sebbene ultima arrivata, sul mercato dei settimana-li femminili di tradizione: Annabella (ora A), Grazia e Gioia.Un prestigio e una posizione che dalla metà degli anni settanta sino agli anniottanta andò pian piano appannandosi. Nel 1981, con l’arrivo di Pietroni, il gior-nale assume le sembianze di un prontuario per una donna che ama il lusso, laricchezza, l’opulenza, i personaggi vincenti: gli articoli sono sostituiti da lungheinterviste con i neo-divi dell’estetica internazionale: i designer di moda, allorapiù semplicemente stylist. Come titolo degli articoli, solo i nomi dei protagoni-sti. Ma quel settimanale avrà un impatto fortissimo anche nell’evoluzione delrapporto tra informazione e pubblicità, una scelta che a lungo andare si rivele-rà quasi fatale: nascono i ‘redazionali’, definizione in gergo dei servizi di modache strizzano l’occhio anche a un solo stilista. Ci vorrà l’ultimo colpo di reni diFabrizio Sclavi, fra il 1998 e il 2002, per riportare la storica testata al prestigioeditoriale prima della sua trasformazione in mensile a causa del passaggio diElle ad Hachette e alla sua totale trasformazione, sotto la direzione di MariaLaura Rodotà, in un giornale più colloquiale e scanzonato, da papotage, da par-lottio fra donne. La lady disinibita se ne è andata, con la sua epoca.Altra storia, Vogue Italia. 1988: ‘Il nuovo stile’ era Io strillo di copertina diVogue Italia. Era il numero di esordio come direttore di Franca Sozzani, chealla stretta relazione tra moda e arte non solo ha sempre creduto, ma haaddirittura coinvolto artisti. ‘Il giornale non è altro che lo specchio degliumori e dei gusti della società: due elementi estremamente variabili. Primosegnale di cambiamento, le immagini. Quelle dei primi numeri erano esa-sperate, forse rappresentavano più una dimensione onirica che non ilmondo reale. Il linguaggio era difficile, spezzettato, quasi incomprensibile.Oggi quel linguaggio è di tutti. Allora criticato, ora sulle copertine dei men-sili e settimanali femminili’.Oggi, si può dire che la mutazione più appariscente dell’editoria di moda piùrecente è stata la definitiva consapevolezza che non esistono più giornaliper sole donne o per soli uomini: la coscienza che la moda sia dappertutto,nella politica come nell’economia, ha paradossalmente (ma non tanto) con-

Anna Piaggi, 2001(Disegno Paolo Fiumi)

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dotto a trattare sulle riviste di moda argomenti di politica e di economia.Specialmente dopo la tanto decantata femminilizzazione di quotidiani togatie autorevoli che, oggi, mettono in prima pagina editoriali profondi e gossipd’alto bordo, reportage dagli esteri e cronache mondane.Esemplare di questa tendenza èMFFashion, diretto da Fabiana Giacomotti, cheguida anche LUNA, il mensile femminile del Gruppo Class. Nato nel 1997 comeinserto di moda allegato al quotidiano MF/Milano Finanza, fondato e diretto daPaolo Panerai: oggi rappresenta l’unico quotidiano italiano che guarda la modadall’osservatorio dell’economia, ma anche da quello del costume, con frequen-ti incursioni in uno stile brillante e ironico, grazie a rubriche divertite e puntute.Altro caso ancora, due settimanali che hanno davvero rivoluzionato il mercatodell’editoria di moda: D - la Repubblica delle Donne diretto da Kicca Menoni(dal 21 maggio 1996) e Io Donna diretto da Fiorenza Vallino, fortemente volu-to da Paolo Mieli, alla sua prima tornata da direttore del Corriere della Sera,esce il 23 marzo del 1996 il primo numero. ‘La grande innovazione di questogiornale’, ha dichiarato Fiorenza Vallino, ‘è stato l’essere venduto insieme a unquotidiano, che di per sé è molto maschile. Abbiamo dovuto rompere gli sche-mi, cercando di catturare un pubblico unisex’. E infatti il nuovo restyling, pro-mosso in occasione di un’edizione spagnola di Io Donna allegata a El Mundo,sembra voler procedere sempre più verso un magazine che non distingua piùtra lettore e lettrice ma trovi, in un’informazione vivace, una sirena che possaaffascinare coloro che lo acquistano.Per una storia, ancora tutta da scrivere, del giornalismo italiano di moda in formadi città, la prima immagine vedrebbe sovrapporsi quella di Milano con quella del-l’andamento dell’editoria di moda. E immediatamente balzerebbe alla mentecome, analogamente a questa commistione di generi e di notizie sulle riviste,anche Milano abbia fatto progressivamente cadere barriere tra zone chic e quar-tieri periferici in nome di un tessuto urbano che sposa la contrapposizione archi-tettonica, e non delega più al ruolo di salotto buono della città solo il Duomo, laGalleria Vittorio Emanuele, piazza San Babila o via Montenapoleone.Oggi, la metropoli lombarda conosce non un solo centro, ma più luoghi ele-vati d’aggregazione – dal Teatro degli Arcimboldi alla Bicocca fino al nuovopolo fieristico di Pero – che un tempo sarebbero stati degni di collocazionecontenuta al massimo dentro la cerchia dei Navigli. Parallelamente, alcunedelle più note ‘direttore’ di periodici che un tempo si sarebbero definiti fem-minili, oggi affermano un po’ risentite: ‘Non siamo giornaliste specializzate,siamo giornaliste e basta’. Peccato: il futuro, è la specializzazione.”

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Elena Melik la signoradella bellezza, in“Milano è la moda”,n. 2, 2005

La professione di beauty editor nasce con lei, la mitica “dispensatricedi bellezza”, come viene citata in Elena, un omaggio a lei dedicatodalla casa editrice Mondadori in occasione dei suoi ottant’anni

“Chiedersi quanti anni abbia oggi è del tutto superfluo. Elena Melik è ElenaMelik. Punto e basta. Una vera e propria autorità nel campo della moda e dellabellezza alla quale lettrici di tutta Italia continuano a scrivere chiedendo consi-gli, come a un medico o a un confessore, e persino foto con dedica come auna diva. Perché Elena Melik è una donna che conosce alla perfezione tutte leregole del savoir faire e altrettanto bene quelle del savoir vivre che sono requi-siti senza i quali perfino un genio conquista con fatica il successo.La sua carriera inizia nel 1942 in Mondadori, come stenodattilografa allasegreteria della presidenza, per arrivare passo dopo passo, alla redazione diGrazia nel 1951 (l’attuale direttore, Carla Vanni, vi approda pochi anni dopo,nel 1959), il settimanale femminile che non lascerà mai più.La storia di Elena inizia quando la madre Alessandra Melik-Babakhanian,una signora russa di origine armena, decide di lasciare Pietroburgo nell’im-mediato dopoguerra per approdare a Milano dove la sua bambina avrebbepotuto crescere in un clima più sereno. Un’opportunità che porta fortunaall’intraprendente Elena e le permette di crescere in un clima un po’ follee molto creativo.Vive il teatro ‘da dentro’: la madre era amica di Tatiana Pavlova ed Elenaaveva libero accesso ai camerini dove, racconta, ‘potevo osservare le balle-rine e le attrici che si truccavano quando ancora i truccatori erano una raritàe suscitavano fremiti di orrore nella gente dabbene. Ricordo il periodo del-l’autarchia, dal 1936 in avanti quando non si poteva importare nulla dallaFrancia o dagli Stati Uniti, eppure la creatività italiana riuscì a dare ai profu-mi nomi indimenticabili: Veleno, Tutto tuo, Giacinto innamorato... e la pub-blicità era fatta di cartoline romantiche, manifesti liberty, ma soprattutto dipassaparola: erano le donne che decretavano il successo di una fragranza,non le leggi di mercato’. La nascita di un profumo, ieri come oggi, è sem-pre un avvenimento importante. Gli abiti fanno sognare, ma sono poi sem-pre le licenze come quelle dei profumi che fanno quadrare i conti. ‘Ma visono fragranze che prevalgono su tutto: nel ’46, per esempio, nacque MissDior, nel ’56 Diorissimo: il mughetto e il gelsomino fecero letteralmenteimpazzire le donne. Una magia imprigionata in un flacone prezioso che con-tinua, per me, ancora oggi’.”

Coccolarsi, 2008(Disegno RubenToledo)

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Backstage dellaMercedes-Benz fashionweek, Berlino 2010(Fotografie ClaudiusHolzmann)

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“Veniva chiamato ‘il gruppo dei cinque’ il pool di aziende leaders del mercatoper la confezione industriale che, con Barbara Vitti per la Hettemarks Italianacon sede a Bari, Sergio Levi per il Gruppo FinanziarioTessile della famiglia tori-nese Rivetti, Gianfranco Bussola per la Marzotto, il gruppo tessile e di abbi-gliamento con sede a Valdagno, Achille Maramotti, fondatore della emilianaMax Mara, e Francesco Balduzzi per la milanese Ruggeri, si riuniva periodica-mente a Milano per concordare le strategie di comunicazione, i rapporti conle case editrici e le tendenze da introdurre nelle reciproche produzioni. Daqueste riunioni nacque l’idea straordinaria di lanciare su Amica la tendenzadella ‘giacca rossa’: cinque diverse proposte, una per azienda. Era il 1967.Partì una serrata campagna promozionale sulla testata con servizi di moda adhoc, le vetrine erano tutte un trionfo di giacche rosse. Migliaia e migliaia lerichieste. Vendite superiori alle previsioni: la produzione non riusciva a stare alpasso. La giacca rossa divenne il capo cult dell’anno.”

“Nonostante l’emancipazione delle donne, l’emergere delle questioni femmini-li, e una crisi dei consumi in corso, la pubblicità sembra non tenere conto di que-ste trasformazioni: rimane ferma, statica, chiusa nei suoi canoni. I primi ad accor-gersene furono le aziende che producevano abbigliamento. Un caso emblema-tico, quello del Gruppo FinanziarioTessile che decise di sospendere per due annila campagna pubblicitaria Cori, una linea femminile di grandi numeri, proprio perlo stato di disagio in cui si trovava nel perpetuare schemi di comunicazione nonpiù in linea con i tempi. Alla fine fu scelta una strada di totale rottura degli sche-mi sino allora adottati. Lo scopo era sgombrare il campo da condizionamenti cul-

Pubblicità e promozioneCampagne promozionali, pubblicità e vetrine

Il successo e la produzione di una linea di moda si accompagnanoa strategie pubblicitarie e a una comunicazione sempre più mirataal pubblico femminile e alla realtà del momento

Michele Ciavarella,L’industria sposa lo stile,in “Milano è la moda”,n. 1, 2004

Né strega né madonna:il caso Cori, in “Milanoè la moda”, n. 1, 2004

Gli anni della rivoluzione segnano anche l’imprinting della comunicazioneche non sembra più aderire alla realtà del momento

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tural-sociali come ‘devi piacere, devi tenere al laccio il marito...’, dogmi ritenutiormai superatissimi. La nuova campagna, nata negli anni sessanta con la consu-lenza di Biki, che disegnava la collezione, non si rivolgeva soltanto alle donne, maanche agli uomini troppe volte protagonisti visibili o meno di messaggi intimida-tori: ‘Un uomo ti osserva. Fra otto minuti qualcuno ti guarderà le gambe ecc.’,responsabili spesso inconsapevoli dei condizionamenti femminili. La strategiapubblicitaria adottava slogan con la forza espressiva della contestazione giovani-le, e affidava il messaggio a volti noti e meno noti di donne dalla forte personali-tà come Susanna Agnelli, Adriana Mulassano, Bianca Maria Piccinino, NataliaAspesi, Ottavia Piccolo, Irene Papas, Stefania Casini, Valeria Moriconi, MonicaGuerritore, Stefania Sandrelli... Una campagna che fece epoca ma che soprattut-to contribuì a dare ‘libertà e dignità’ alle donne.”

Campagna pubblicitariaSolo Donna di Cori,1970 circa

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“Ma c’è soprattutto l’arte nel cuore degli stilisti. Miuccia Prada è la stilista che hafatto le cose più in grande, nel campo dell’arte contemporanea. Anche lei sull’on-da di una passione vera, da collezionista e amica di tanti artisti. Nel 1993 dà vitaa PradaMilanoArte, con il proposito di ricevere e di trasmettere a Milano e al pub-blico internazionale ‘le più profonde provocazioni mentali’ dell’arte del nostrotempo. Due anni dopo, il progetto si trasforma nella Fondazione Prada, la cuisede è il nuovo, grandissimo spazio ricavato da una ex fabbrica in via Fogazzaro:il debutto è con una grande personale di Anish Kapoor, poi seguiranno, tra lealtre, mostre su Louise Bourgeois, Dan Flavin, Walter de Maria, più avanti gliinquietanti calchi bianchi di Marc Quinn e i lavori sul recupero delle subcultureurbane di Barry McGee, i templi virtuali di Mariko Mori e le foto scioccanti di SamTaylor-Wood, fino ai ricami a piccolo punto di Francesco Vezzoli e ai filmati distur-banti di Steve McQueen. Ma ci sono stati anche un convegno multidisciplinaresul tema de La sfida, cui partecipava anche la Casa circondariale di San Vittore,le performance visivo-sonore di Laurie Anderson, il Tribeca Film Festival, impor-tato direttamente da New York insieme con il suo promotore, Robert De Niro.Tutte testimonianze forti e critiche della contemporaneità, nelle quali si ritrova lospirito anticonformista della stilista milanese.L’arte contemporanea è una passione anche per Beatrice Trussardi, laureata aNewYork, che sulle orme del padre Nicola, amico e collezionista di artisti comeRenato Guttuso e Arnaldo Pomodoro, ha preso le redini della fondazione difamiglia, nata nel 1996. Due anni fa, ha affidato la direzione artistica della fon-dazione a un giovane critico di grido, Massimiliano Gioni, e insieme hanno deci-so di produrre opere di artisti internazionali poco conosciuti e di creare esposi-zioni temporanee d’arte contemporanea negli spazi storici di Milano. L’ultima èstata la contestatissima installazione di Maurizio Cattelan che, in piazza XXIVMaggio, riproduceva con iperrealismo e grandezza naturale tre bambini impic-cati a un albero (rimossa dopo qualche giorno, per le proteste dei cittadini).Il fermento artistico della moda ha il suo fulcro a Milano, ma non si ferma ai

Meno male che c’è la moda...La moda si dedica ai problemi sociali ma c’è soprattutto l’artenel cuore degli stilisti

Nuovi spazi ristrutturati, fondazioni a favore dell’arte contemporanea,esposizioni e performance. I mecenati dello stile a Milano

Minnie Gastel, Mecenatidi stile, in “Milano è lamoda”, n. 2, 2005

Tadao Ando,teatro Armani in viaBergognone a Milano,2001

Spazio Prada in viaFogazzaro a Milano, 1993

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confini della città meneghina, come succede anche per il suo core business.A Reggio Emilia, per esempio, si trova uno dei colossi del prêt-à-porter italia-no, il gruppo Max Mara, fondato da Achille Maramotti alla fine degli anni cin-quanta. E proprio il patriarca, da poco scomparso, dell’azienda è stato uno deipiù grandi collezionisti d’arte moderna e contemporanea. Si spiega così la col-laborazione del gruppo con i Musei Civici di Reggio Emilia all’iniziativa intito-lata Invito a; partita nel 2004, si concluderà l’anno prossimo: ClaudioParmiggiani ha invitato cinque grandi artisti internazionali a creare altrettanteopere permanenti per la città. Ha cominciato Sol Lewitt affrescando la sala dilettura della Biblioteca Panizzi, seguito poi da Robert Morris, sua la sculturaraffigurante un uomo ripiegato su se stesso nel cimitero dei Chiostri di SanDomenico. E in programma ci sono poi Luciano Fabro, Eliseo Mattiacci eRichard Serra, che concluderà il ciclo ridisegnando un’ex area industriale.Mecenate nel senso più classico è stato anche Gianfranco Ferré, che nel 1983 siè fatto carico del restauro di un gioiello seicentesco, la cupola del Duomo diPiacenza affrescata dal Guercino e, più di recente, ha sponsorizzato la mostraEleganze della moda tra ’700 e ’800, abiti della collezione storica di Palazzo Pitti,esposti al Castello di Masino restaurato dal Fai (Fondo ambiente italiano). LauraBiagiotti, nella sua città eterna, riporta agli antichi splendori la Cordonata delCampidoglio, lo scalone di Michelangelo, e dona il nuovo sipario al Teatro LaFenice diVenezia. E sulla stessa linea si muove anche MarioValentino, sovvenzio-nando il restauro della chiesa di Santa Chiara di Napoli, dove si sarebbe poi spo-sata sua figlia. A spazi meno mistici ma altrettanto prestigiosi si dedicano invecele sorelle Fendi che, una decina d’anni fa, partecipano al restauro della sededell’Istituto dei ciechi di Milano in via Vivaio, le cui splendide sale sono state poiutilizzate come location per le sfilate.L’architettura contemporanea, invece, è da sempre la grande passione di GiorgioArmani, che nel 2001 fa ristrutturare un grande spazio in via Bergognone – polodel mondo dell’immagine milanese, con loft di fotografi e showroom di moda rica-vati in ex fabbriche – dall’architetto giapponese Tadao Ando, ricavandone un tea-tro destinato alla presentazione delle sue collezioni, ma anche a mostre e rasse-gne cinematografiche. Altro spazio in disuso restituito a Milano dagli stilisti saràquello dell’ex Metropol che Domenico Dolce e Stefano Gabbana stanno ristruttu-rando con Ferruccio Laviani, l’autore di tutti i loro interni. L’ex sala cinematograficadiventerà uno spazio polifunzionale. L’inaugurazione è prevista a settembre 2005,con sfilata e grande festa per i vent’anni di attività del duo, ma resterà poi a dispo-sizione della città. E meno male che c’è la moda...”

Restauro del saloneBarozzi all’Istituto deiciechi di Milano, 2010

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1992. La ricerca scientifica chiede aiuto alla moda per combatterel’Aids. Nasce così Convivio, grande rete di solidarietà tra fashionsystem, musica, spettacolo, scienze e cultura. Il più grande mercatodel lusso a prezzi scontati

Barbara Vitti,Charity team, in“Milano è la moda”,n. 2, 2005

“Un evento che oggi, a più di dieci anni di distanza dalla prima edizione, èdiventato un fiore all’occhiello per la città di Milano. Anzi, un nastrino rossoannodato, dal significato inequivocabile.Fiore Crespi è stata una delle più belle indossatrici italiane degli anni ses-santa. Ma la moda le stava un poco stretta. La sua natura generosa infattil’ha portata, una volta sposata, a lasciare le passerelle e i set fotografici perdedicarsi ai problemi sociali. Diventa presidente dell’Anlaids Lombardia, unadelle prime associazioni di volontariato nata nel 1989 che si occupa dellalotta contro l’Aids, a favore delle persone sieropositive e delle loro famiglie.Il coinvolgimento è totale, ma i fondi non sono mai sufficienti. Le sue ami-cizie nel mondo della moda sono tante. Perché allora non cercare di coinvol-gere anche i grandi nomi dello stilismo in questa battaglia? Si rivolge aGianni Versace che accetta con entusiasmo. Insieme con Giorgio Armani,Valentino Garavani, Gianfranco Ferré, Franco Moschino e Dolce & Gabbanadiventano ‘tutti insieme’ il gruppo promotore di un’iniziativa che riesce aunire le grandi griffe, le aziende di moda italiane e straniere, i produttori diprofumi, le firme dell’orologeria, della gioielleria, della biancheria per la casa,fino a creare Convivio, il più grande e prestigioso mercato del lusso apertoal pubblico con prezzi scontati del 50%. Un enorme successo anche d’in-cassi: la prima edizione raccoglie quasi 2 miliardi di lire. Tutte le più impor-tanti testate giornalistiche partecipano all’iniziativa pubblicando gratuita-mente una pagina di pubblicità. Ma è anche grazie a molte direttrici comeFranca Sozzani, Carla Vanni, Vera Montanari, Daniela Giussani, oltre all’estrocreativo di Carla Sozzani, di Giorgio Pulici, di Anna Riva e al contributo di tuttii PR, alla segreteria organizzativa dello Studio Magister, diretta da MirkoAchilli e Giuseppe Cubuzio, e all’ufficio stampa Sevenpromotion di MaxiMacalli e degli 800 volontari, che gratuitamente s’impegnano a lavorare per15 giorni, che questo evento, che si ripete ogni due anni, è diventato unatradizione ormai consolidata per Milano. Oggi il presidente dell’Anlaidssezione Lombardia è il professor Mauro Moroni che, grazie a Convivio,sostiene la ricerca, l’informazione, i bisogni delle persone sieropositive.”

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Gianni Versace,Valentino, GiorgioArmani e GianfrancoFerré, 1994 circa(Fotografia GraziellaVigo)

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Beppe Modenese,2005

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“Pubbliche relazioni, relazioni pubbliche o pierre. Il fatto che tuttora l’Italia non abbiadato una forma linguistica e morfologica a questa professione lascia capire comenon ne abbia tuttora compreso appieno il valore. Negli Stati Uniti le pubbliche rela-zioni erano un fattore fondamentale per il successo di attori, cantanti e grandi socie-tà da decenni, quando i primi pionieri le importarono in Italia, e nella moda, con ilcompito preciso e complesso di far conoscere all’esterno, oltre allo stilista, anche lasua azienda e i suoi modelli. A fare da apripista furono Franco Savorelli di Lauriano,Beppe Modenese e Nietta Veronese, seguiti da Grazia Gay, Barbara Vitti, RitaAiraghi, Carla Nani Mocenigo, Dodi Lemos, Emanuela Schmeidler, Fiora Frisia,Laura Fanfani, Laura Fraboschi, Emenda Marinelli, Nando Miglio, Doretta Palazzi,Wilma Sarchi, Rossella Mauri, Andreina Longhi D’Amico, Carla Buzzi, PatriziaGrassini, Daniela Zari, Franca Soncini. Tra le nuove generazioni, Emma Averna,Antonio Gallo e Karla Otto, impegnati su fronti sempre più internazionali; Gallo, poi,in un ideale ricongiungimento con gli albori della professione, attivo anche sul fron-te della gestione stilistica e commerciale. Una professione emotivamente moltocoinvolgente: ‘un lavoro che un giorno ho odiato e un giorno ho amato!’, sottolineaVitti. Alla base del mestiere c’è, nella migliore delle ipotesi, la competenza di unmanager, il buon gusto di uno stilista e l’istinto di un talent scout. Diversamente,anche agli inizi della professione, sarebbe stato difficile capire le ragioni del primo,faticato a intrattenere rapporti con il secondo e rischiato di vedersi bruciare le possi-bilità dal terzo. Cercare di immedesimarsi nei propri interlocutori, capirne le aspira-zioni, le loro ragioni e necessità, è fondamentale per un pierre. Dagli anni novanta lacomunicazione lascia spazio agli eventi, la cui ispirazione nasce nel mondo dei cam-pioni dello sport, delle rockstar, dello spettacolo. La moda chiede la partecipazioneimmediata del grande pubblico: bisogna stupire, colpire, aggredire. Un compito chesi presenta sempre più difficile per i pierre che devono confrontarsi con una realtàche si è fatta più complessa. La conferma arriva daWilma Sarchi, che si occupa dellacomunicazione istituzionale di LouisVuitton, Céline e Givenchy, tutte griffe del colos-so LVMH. ‘Il nostro è un lavoro fantastico, ma anche duro, spietato che non ti lasciatempo per altro. Puoi farlo solo se lo ami.’”

Questione di relazioni. Pubbliche

Public relations. I PR.Vengono definiti ancora così, anche seagli esordi, in Italia l’acronimo veniva sviluppato ironicamentein “pranzi e ricevimenti”. In realtà i PR si occupano di comunicazionedi azienda, prodotto, media, strategie di marketing

Questioni di relazioni.Pubbliche, in “Milanoè la moda”, n. 1, 2004

Franco Savorellidi Lauriano e RitaAiraghi, 1990

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Non solo modal’importanza di chiamarsi PR

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“Certamente l’onda lunga che ha accompagnato questo mestie-

re negli anni settanta e ottanta è alle nostre spalle,ma questo non

significa che le PR siano morte. Semmai è morta una certa foga

celebrativa, che esagerava non tanto la portata del fenomeno,

quanto il suo valore effettivo. Le pubbliche relazioni nella moda

hanno avuto grandi evoluzioni. Basti pensare che negli anni ses-

santa questomestiere era basato sostanzialmente sull’organizza-

zione di pranzi e ricevimenti. Poi negli ultimi vent’anni è cresciu-

to, si è ampliato con una serie di specializzazioni: socialmondana,

relazioni esterne, ufficio stampa, assistenza alle promozioni e

all’ufficio pubblicità. Questo succedeva negli anni d’oro e adesso

che l’economia impone di tirare la cinghia si dovrà ridurre tutto a

un solo responsabile, dotato di grandi capacità organizzative. Il

mestiere della PR è fatto di un venti per cento di creatività e tutto

il resto, l’ottanta per cento, si basa sulla programmazione di una

campagna e la scelta dei mezzi e dei tempi con cui comunicare

una determinata iniziativa. È un lavoro duro,ma se fatto con rigo-

re e professionalità ha ottime prospettive.”

BarbaraVitti

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“‘Il più simpatico? Gianni Versace. Valentino? Il più signore. E GiorgioArmani è il più grande disegnatore’. Ha un aggettivo e un ricordo per tuttiBarbara Vitti, la giornalista di moda nonché PR e braccio destro dei maggio-ri stilisti italiani negli anni dell’apice della moda nel Bel Paese. Ora segueancora la moda (una delle sue migliori amiche è Natalia Aspesi, ‘ma hoanche amiche ai giardinetti pubblici’ dice sorridendo), tiene una rubrica suinternet, ma la sua giornata si divide tra il nipote Nicolò e il cane. Barbaranasce come giornalista, figlia di una giornalista, cresciuta a pane e giornali.Poi si è inventata un mestiere: quello delle pubbliche relazioni.

È così?C’era già qualche PR quando ho cominciato io, penso a Beppe Modenese e aGrazia Gay, ma quel mestiere stava prendendo piede allora. Ho però comincia-to nel 1971 con lo Studio Vitti, ho organizzato eventi a palazzo Grassi a Venezia,poi per tre anni ho curato le relazioni per la San Pellegrino e ho lavorato per ilGruppo Finanziario Tessile. Principalmente però mi occupavo di confezioni, piùche di grandi nomi della moda. Poi il socio di Giorgio Armani, Sergio Galeotti, miha conosciuto e mi ha chiesto di seguire lo stilista. Di Galeotti conserverò sem-pre un ottimo ricordo, era una persona speciale, alla quale sono molto grata.

Così hai cominciato a lavorare per Armani.Sì, dal 1981 al 1986, ma mai da dentro l’azienda. Ho sempre mantenuto ilmio studio; il mio motto era: prima mi telefoni, poi vieni a suonare al cam-panello del mio studio e parliamo di lavoro.

Insomma, avevi fatto colpo sul socio di Armani.Probabilmente gli andavo a genio perché avevo quell’aria da giovane signo-ra di famiglia, in più avevo esperienza, e soprattutto i contatti giusti, che inun mestiere come quello delle pubbliche relazioni è fondamentale. E non

Barbara VittiIl lavoro di PR

La PR degli stilisti.Inventò imaxi cartelloni per lanciare i creativi

Alessandro Armuzzi,Armani e Valentinofinendo con Versacequando vita e lavoro silegano alla moda,in “DNews”,25 marzo 2008

Emma Averna e BarbaraVitti, 1987 (FotografiaBob Krieger)

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mi mancava il coraggio. Ricordo che una volta vidi uno spazio in tv dedica-to a Valentino e pensai: voglio la stessa cosa per Armani. Così una mattinaandai a Roma a parlare con Umberto Andalini, il direttore del RadioCorriereper capire come si potesse fare. Immaginavo che costasse tanto compari-re in televisione in quegli anni; ma forse occorreva anche altro. Così senzapensarci su due volte gli ho chiesto: bisogna essere iscritti a qualche parti-to per avere uno spazio in tv? Lui si mise a ridere e il giorno dopo mi chia-mò dicendo che il 16 marzo Armani avrebbe avuto una sfilata in diretta.

In questo mestiere quindi bisogna buttarsi...Certo, avere coraggio e non vergognarsi, perché non si ha nulla da perdere.E poi bisogna essere curiosi. Per lanciare Emporio Armani fui la prima a inven-tarmi i cartelloni giganti affissi in tutte le grandi città. Vidi queste gigantogra-fie dei detersivi e pensai: perché non fare la stessa cosa con la moda? Dinuovo andai giù a Roma e seguii a Cinecittà tutta la lavorazione di questi maxiposter, che costavano, all’epoca, qualcosa come mezzo miliardo di lire.

Anche la rubrica di moda che tieni on line, dopo la posta che hai cura-to per 20 anni su Grad Hotel, ti dà delle soddisfazioni.Diciamo che a volte me le prendo anche le soddisfazioni. In un’occasione hotirato le orecchie a Dolce e Gabbana, perché non mi erano piaciute certe lorodichiarazioni sulla moglie di Napolitano e non le ho mandate a dire nemmenoa Vittorio Feltri, che in un articolo se la prendeva con le giornaliste di moda.

Poi tu vieni ricordata anche per essere stata la prima ad aver fatto lapubblicità di uno stilista, Armani appunto, su L’Unità.Ne parlò tutto il mondo. È quella che si chiama ‘opportunity to see’, l’opportu-nità di avere visibilità anche in canali che non siano quelli esclusivi della moda.

Ora corri di meno, hai deciso di allentare la presa.Beh in parte è perché arrivati a un’età bisogna anche girar pagina, e adessomi dedico al sostegno per la ricerca sul cancro. Tre anni fa ho organizzatoun evento dal titolo Il design sostiene la ricerca. Ho scritto due quaderni sucome è nata la moda a Milano, e ho ricevuto l’Ambrogino d’oro...

Insomma, altro che pensionata...Mi sono divertita, per questo sarò sempre grata alla moda.”

Daniela Giardina,Emanuela Schmeidler,Karla Otto

Alessandra Scotti,Barbara Vitti l’exgiornalista regnanelle PR, 1982

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INAUGURAZIONE DELLO STUDIOVITTI INVIA DURINI, 10 MARZO 1982

“Alla fine degli anni sessanta Milano diventa la capitale mondiale della moda, grazie

anche alla sobrietà e alla concretezza di una città che sa accogliere e mettere in valo-

re il talento e che per questo è divenuta la piattaforma ideale per l’esplosione della

felice stagione del Made in Italy. Emergono allora figure professionali senza prece-

denti: stilisti, designer, art director, fotografi, make up artist, hair stylist, fashion edi-

tor, public relation.

A Milano arrivano buyer da ogni parte del mondo, ma anche celebrità come non si

erano mai viste prima. Rock star e teste coronate si siedono in prima fila per assiste-

re alla sfilata-evento di turno, pittori, scultori, architetti di prima grandezza sono con-

tesi e si contendono gli stilisti di maggior successo, persino i palazzi della politica

romana si attivano per partecipare alla ‘festa’.

In questo nuovo scenario Barbara Vitti inventa il mestiere di PR e lo esercita con dedi-

zione e con gioia; è una presenza certa dove è necessario, ma mai sovraesposta.

Barbara ha avuto la ventura (e il talento) di poter lavorare con tutti i grandi nomi della

moda di quegli anni, senza perdere se stessa e la sua indipendenza: chi conosce que-

sto mondo sa che è una cosa rarissima.

Ma la sua esperienza professionale è in un certo senso irripetibile. Si è ritirata dalle

scene della moda con un tempismo perfetto, concedendosi il lusso di dedicare la sua

esperienza solo a fondazioni scientifiche di grande valore o a cause che ritiene di par-

ticolare utilità collettiva.

Oggi, in un’epoca di gruppi del lusso quotati in borsa, di marchi planetari e di brand

contraffatti, la sua vicenda appare davvero irripetibile, come irripetibile è stata quella

stagione trionfale per il Made in Italy, per Milano, per il paese e per l’intero sistema

della moda.”

Aldo Premoli, 2011

In alto: Enrico Coveri, Bob Krieger, Carlo Rivetti, Nando Miglio;al centro: Lucia Mari, Graziella Vigo, Silvana Bernasconi,Willy Molco;in basso: Barbara Vitti, Sergio Galeotti, Giorgio Armani, Anna Riva, Cristina Brigidinie Anna Riva, Emma Averna, LorenzoTricoli, Barbara Vitti

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HETTEMARKS 1971-1976

Nel 1971 Barbara Vitti è responsabile delle pubbliche

relazioni, dell’ufficio stampa e della pubblicità per

Hettemarks.

Con Sergio Levi per il Gruppo FinanziarioTessile della

famiglia Rivetti, Gianfranco Bussola per la Marzotto,

Achille Maramotti fondatore di Max Mara e

Francesco Balduzzi per Ruggeri, Barbara Vitti forma il

“gruppo dei cinque”, concordando le nuove tenden-

ze, le strategie di comunicazione e i rapporti con la

stampa, ponendo le basi per l’attività di quella nuova

figura nel mondo della moda italiana, che è il respon-

sabile delle pubbliche relazioni.

Donna tweed perHettemarks, 1974(Disegno AlbertoLattuada)

Hettemarks, collezioneautunno-inverno 1975-1976

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L’espressione prêt-à-porter, nata a Parigi all’inizio degli anni sessanta, si riferisce a un abbi-

gliamento dalle forme semplificate rispetto alle creazioni di alta moda, prodotto in serie,

le cui linee corrispondono a uno stile. Sono gli anni della rivoluzione giovanile, dell’eman-

cipazione femminile nella sfera privata, professionale e sul piano giuridico, delle lotte sin-

dacali e della crisi economica dopo gli anni del “miracolo”. L’alta moda ne risente, tanto

che molte case sono costrette alla chiusura, l’industria della confezione si adegua ai cam-

biamenti in atto nella società, della quale diventa il riflesso. È l’incontro della moda con

l’industria. Sul mercato italiano è pioniera la famiglia svedese Hettemarks che produce

nello stabilimento di Bari abiti con le etichette Mammi, Sprint e Linea 4.

Nasce una nuova figura professionale che supera quella del sarto: lo stilista. Questi

prende consapevolezza del proprio ruolo e se in origine collabora con l’industria come

consulente senza alcun potere decisionale, con il tempo dirige l’attività sin dalla fase di

progettazione e trasforma il suo nome in etichetta di un prodotto realizzato in serie.

Inizialmente la partnership riguarda stilisti e piccole aziende, in un secondo momento

entra in gioco la grande industria della confezione.

Lo sviluppo del prêt-à-porter coinvolge l’intero sistema moda, rinnovandolo profonda-

mente: nuovi stimoli giungono all’intera filiera tessile; si diffonde il sistema della sub-

fornitura; cresce la distribuzione, prolificano le boutique e si sviluppa la cultura del

punto vendita; la stampa si fa portavoce del “Made in Italy”, espressione di valori e di

gusto, elementi che si assommano in uno stile di vita.

Laboratori Hettemarks,1975 circa (FotografieMimmo Castellano)

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La campagna ...è un Hettemarks! è rivoluzionaria per il mondo della confezione, che per

la prima volta si rivolge a un grande fotografo, Marco Glaviano, e a modelle di livello

internazionale. Racconta Barbara Vitti: “Mi piaceva l’idea che la modella che presentava

il capo fosse vista da una donna che indossava lo stesso abito. La modella non doveva

essere solo un’immagine, ma anche una donna colta nella sua quotidianità.”

Hettemarks, collezioneautunno-inverno 1975-1976(Fotografie Marco Glaviano)

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GRUPPO FINANZIARIOTESSILE 1978-1983

Il Gruppo FinanziarioTessile della famiglia Rivetti

diTorino lancia nel 1960 il primomarchio di prêt-

à-porter: nasce Cori disegnata da Biki, con la

collaborazione del genero Alain Reynaud.

L’azienda realizza un sistema imprenditoriale,

industriale internazionale. Produce diverse linee

nei settori femminile, maschile e sportswear le

cui collezioni nascono dalla collaborazione

con i più prestigiosi stilisti: Solo Donna di

Cori, Coriandoli, Facis e Mani, disegnata da

Giorgio Armani. Tra gli altri collaboratori del

GFT vi sono MarcThilby che disegna per Cori

e Luciano Soprani e Quirino Conti che dise-

gnano per Solo Donna di Cori.

Collezione Cori autunno-inverno 1978-1979(Disegni Brunetta)

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Luciano Soprani e AnnaRiva, 1981

Quirino Conti al terminedi una sfilata, 1977

MarcThilby, collezioneCori, primavera-estate1978

Quirino Conti per SoloDonna di Cori, 1978

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Susanna Agnelliper la campagnapubblicitaria di Corinegli anni settanta

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Campagna pubblicitariadi Cori del GruppoFinanziarioTessile neglianni settanta

Negli anni sessanta si assiste in Italia a uno scollamento tra il processo di emancipa-

zione e affermazione delle donne, la crisi dei consumi e il mondo della comunicazio-

ne e della pubblicità, fermo, statico, lontano dalle istanze più contemporanee. Tra i

primi a scegliere una strategia di rottura con il passato è il Gruppo Finanziario Tessile,

che per Cori lancia una campagna pubblicitaria che si rivolge a donne e uomini con

slogan che si ispirano alla forza espressiva della contestazione giovanile e affida il suo

messaggio al volto di donne dalla forte personalità come Susanna Agnelli, Adriana

Mulassano, Bianca Maria Piccinino, Natalia Aspesi, Ottavia Piccolo e tante altre.

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ROCCO BAROCCO 1980-1981

All’inizio degli anni ottanta lo StudioVitti ha tra i suoi clienti Rocco Barocco

per il quale organizza due volte l’anno la sfilata, curando i rapporti con la

stampa e i fotografi. BarbaraVitti è conquistata dal mondo dell’alta moda,

così diverso da quello della confezione, per il quale tutto deve essere

determinato a priori. “Sono rimasta affascinata da questo modo di fare i

vestiti, uno a uno, dove le cose potevano essere cambiate all’ultimo

momento.”

Rocco Barocco,collezioni autunno-inverno 1980-1981e 1982-1983

Rocco Barocco,collezione primavera-estate 1980

Rocco Barocco altermine di una sfilata,1980

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TRUSSARDI 1980-1982

BarbaraVitti dal 1980 è responsabile delle pubbli-

che relazioni, dell’ufficio stampa e della pubblici-

tà per Nicola Trussardi.

“Ricordo una coppia molto affiatata, lei si occu-

pava più del prodotto, lui degli aspetti commer-

ciali” (Barbara Vitti).

Quirino Conti disegna la collezione del 1981, che

viene presentata su manichini.

Luisa e NicolaTrussardi, 1980

Trussardi, collezioneprimavera-estate 1981disegnata da QuirinoConti

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GIORGIO ARMANI 1980-1986

Il 5 aprile 1982 il celebre settimanale “Time” dedica

la copertina a Giorgio Armani consacrandone il suc-

cesso a livello internazionale.

Barbara Vitti, responsabile dell’ufficio stampa, delle

pubbliche relazioni e della pubblicità per lo stilista,

descrive quegli anni che la vedono protagonista nel-

l’affermazione dell’immagine pubblica del gruppo

come uno dei periodi più entusiasmanti della sua vita.

Nel 1984 Barbara Vitti nota che gli unici prodotti pub-

blicizzati con i murales sono i detersivi e suggerisce

a Sergio Galeotti come questo possa essere un

modo interessante per presentare l’apertura dei

numerosi negozi Emporio Armani in tutta Italia.

Nasce così il grande manifesto in via dell’Orso a

Milano, innovativo anche nel contenuto; un’immagi-

ne che traccia una suggestione più che indicare un

prodotto, suggerisce un’atmosfera senza imporre

una scelta.

Rassegna stampa perGiorgio Armani, 1983

Giorgio Armani, in“Time”, 5 aprile 1982

10 Jahre Armani, insupplemento “In VogueDeutsch”, 1985

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Collezione autunno-inverno 1984-1985(Disegno GiorgioArmani)

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Racconta Barbara Vitti: “Ho un ricordo speciale di Giorgio Armani. Eravamo in vacanza,

quando una mattina mentre io ero stesa su un divano e leggevo un libro, lui si è seduto

accanto a un tavolino con dei fogli A4 e dei pezzettini di tessuto. Mentre leggevo, lo

guardavo sussurrare tra sé e sé, parlando di lunghezze e larghezze. Nel giro di poche ore

creò una collezione completa. Non avevo mai visto nessuno lavorare con tanta concen-

trazione e abilità.”

Collezioni autunno-inverno 1984-1985 eprimavera-estate 1985(Disegni Giorgio Armani)

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Collezione autunno-inverno 1984-1985(Disegno GiorgioArmani)

Emporio Armani,collezione primavera-estate 1985

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Serena Brivio, Sarà lei aportare i pantaloni, in“La Provincia di Como”,1988

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Valentino, Barbara Vitti,Maria Vittoria Carloni,Emma Averna, OrlandoGentili e Quirino Contialla presentazione diOliver (FotografiaGraziella Vigo)

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Invito Valentino Couturee Oliver, primavera-estate 1995

Oliver (FotografiaOlivieroToscani)

VALENTINO 1986-1991

“Quello che mi ha sempre colpito di Valentino era la sua estrema

gentilezza. Quando lasciai Armani e andai a lavorare da Valentino lui

capì perfettamente che avevo avuto un’altra scuola. Per farmi apprez-

zare il suo lavoro mi tenne al suo fianco per una settimana in modo

che io potessi vedere tutto: dalle prove degli abiti, al taglio, alle rifini-

ture e capissi l’importanza di un abito di alta moda.”

“Aveva indubbiamente un’arte speciale nel controllare le misure degli

abiti. A occhio, si rendeva conto immediatamente se un vestito era

più lungo dietro che davanti, anche solo di mezzo centimetro.”

“Ricordando gli anni in cui lavorai per Valentino non posso dimentica-

re Daniela Giardina, direttore della comunicazione all’interno della mai-

son, che per me fu un prezioso punto di riferimento” (Barbara Vitti).

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La sfilata di Valentinoa Voghera, 1987

Nel 1987 sull’onda del successo sempre crescente, Valentino è un personaggio del

mito. Barbara Vitti pensa per lui a un bagno di folla che lo avvicini al pubblico e

immagina un suo ritorno a Voghera, sua città natale per una sfilata in piazza. “Una

mattina salii in macchina e raggiunsi Voghera, dove ricevetti una festosa accoglien-

za da parte del sindaco. Chiamai quindi direttamente Valentino, superando per una

volta Giancarlo Giammetti, e lui fu entusiasta del progetto.” Lo stilista viene accol-

to da una città in festa, addobbata da striscioni che riportano la scritta “bentorna-

to Valentino”. In piazza ci sono 14.000 persone. Ricorda ancora Barbara Vitti:

“Organizzare questa iniziativa è stato molto impegnativo. Ho passato tutto il mese

di agosto in contatto con un meteorologo, poiché temevo che l’11 settembre, data

fissata per l’iniziativa, potesse piovere. Andò tutto bene. Questo evento colpì tanto

il mondo della moda che dopo qualche mese Yves Saint Laurent sfilò in occasione

della festa organizzata dal partito comunista francese.”

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In occasione dei mondiali di calcio ospitati in Italia, “Italia ’90”, a Milano viene orga-

nizzata una sfilata evento a San Siro, durante la quale alcuni famosi stilisti presen-

tano abiti da loro realizzati ispirandosi a un continente. Valentino sceglie le

Americhe e sui suoi meravigliosi abiti rossi appoggia il tipico copricapo fatto di

piume dei pellerossa, il cappello dei cowboy, la corona della statua della libertà.

Con Valentino sfilano, con le loro creazioni, Giorgio Armani, Gianfranco Ferré, Mila

Schön e Gianni Versace. L’evento ha grande successo.

Le Americhe, 1990(Disegno Valentino)

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La mostra “Valentino: trent’anni di magia”, inaugurata a

Roma presso l’Accademia Valentino l’8 giugno 1991, cele-

bra i tre decenni di attività dello stilista.

Ricorda Barbara Vitti: “Fu un grande evento, per organizzar-

lo ci vollero più di sei mesi. Per recuperare i vestiti che

Valentino non possedeva più, abbiamo pubblicato delle

inserzioni sui quotidiani chiedendo a chi avesse dei model-

li del passato di portarceli, in cambio noi gli avremmo dato

un capo nuovo. Molte furono le clienti che aderirono all’ini-

ziativa.

Per l’inaugurazione pensammo a una grande festa, alla

quale partecipò anche Elizabeth Taylor, grande amica di

Valentino.”

Manifesto e disegno perla mostra “Valentino:trent’anni di magia”, 1991

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Rassegna stampadella mostra “Valentino:trent’anni di magia”, 1991

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Inghirami, collezioneprimavera-estate 1994disegnata da QuirinoConti

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INGHIRAMI 1992-1995

Dal 1992 Barbara Vitti è responsabile dell’immagine, delle relazioni esterne, degli

eventi speciali, della pubblicità per Inghirami Textile Company. Il gruppo controlla

trentadue aziende che Fabio Inghirami ha acquisito a partire dal 1978, salvandole

dallo stato di crisi in cui versavano, con l’obiettivo lungimirante di valorizzarne il know

how, le lavorazioni sofisticate e uniche che ne caratterizzano la produzione.

Inghirami, collezioniprimavera-estate 1993e autunno-inverno1993-1994 disegnateda Quirino Conti

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“LA PRIMA DELLA SCALA” 1994-2003

Nel 1994 Barbara Vitti incontra il sovrintendente del Teatro alla Scala Carlo Fontana,

del quale diviene consulente per l’organizzazione della serata del 7 dicembre, che

inaugura la stagione dell’opera e balletto, e di tanti altri eventi che vengono ospitati

presso la prestigiosa sede. Nel 1996 si celebra il cinquantesimo anniversario dal con-

In alto: Franca Sozzanie Gianfranco Ferré;in basso: Anna Zegna,Franco Zeffirelli e RaulGardini

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In alto: Aldo Pinto,Mariuccia Mandelli, MariaLuisa Agnese e FrancescoPodrini, Elsa Martinellie Roberto Capucci;al centro: PlacidoDomingo e Riccardo Muti;in basso: Anna Molinari,UmbertoVeronesi

certo dell’11 maggio 1946 di ArturoToscanini, che inaugurava il teatro ricostruito dopo

i bombardamenti subiti durante il secondo conflitto mondiale. Barbara Vitti realizza

con Etro un foulard con la firma di Riccardo Muti e la locandina con palchi e poltrone

esauriti, come quello che nel 1946 – disegnato da Piero Fornasetti e firmato da Arturo

Toscanini – era stato donato a tutte le signore presenti.

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In alto: Federico Zeri, EmilioTadini, Valentina Cortese;al centro: Gerolamo Etro, Gianfranco Ferré, Carlo Fontana, Maria Pezzi;in basso: Carlo Castellaneta, Arnaldo Pomodoro, IsaTutino Vercelloni

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“INAUGURAZIONE DI PALAZZO BAGATTI VALSECCHI” 1994

Nel novembre del 1994 viene inaugurato a Milano tra via Santo Spirito e via Gesù il

Museo Bagatti Valsecchi, nella dimora ispirata alle abitazioni signorili del Cinquecento

lombardo costruita nel 1883 dai fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi e arreda-

ta con oggetti d’arte rinascimentale. Lo Studio Vitti organizza la conferenza stampa di

presentazione, così come tutti gli eventi della settimana inaugurale.

Santo, Donatellae Gianni Versacesponsor dell’eventodi inaugurazione, 1994(Fotografia Lord AnthonySnowdon)

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“RICHARD AVEDON 1944-1994” 1995

Il 18 gennaio 1995 inaugura presso la sala delle Cariatidi di palazzo Reale a Milano

la mostra “Richard Avedon 1944-1994”, che celebra i cinquant’anni di attività del

maestro che ha fotografato molti protagonisti del nostro tempo, da Charlie Chaplin

a Karen Blixen, da Marcel Duchamp a Michelangelo Antonioni in posa “di fronte

all’eternità”. I suoi modelli sono attori di scenari inusuali, incoraggiati a muoversi

liberamente per ottenere immagini di grande naturalezza.

Lo Studio Vitti, con Emanuela Schmeidler della Gianni Versace, è responsabile del-

l’organizzazione della conferenza stampa di presentazione, del coordinamento della

serata inaugurale e dell’ufficio stampa della mostra.

Twiggy, 1968 (FotografiaRichard Avedon)

Richard Avedon, 1994(Fotografia PatrickDemarchelier)

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Invito alla mostra “VogueViaggi Versace VietnamWeber”, 1996

“VOGUEVIAGGIVERSACEVIETNAMWEBER” 1996

Il 1° luglio 1996 si inaugura a palazzo Reale la mostra

“Vogue Viaggi Versace VietnamWeber. I viaggi di Versace,

il Vietnam de ‘L’Uomo Vogue‘ una mostra fotografica di

Bruce Weber”. L’importante esposizione, realizzata con la

collaborazione di Gianni Versace e di “L’Uomo Vogue”, è

dedicata alle immagini di moda per le quali il fotografo è

universalmente conosciuto, così come a un reportage sul

Vietnam contemporaneo, un diario di viaggio delicato e

poetico, chiaro esempio dell’acuta sensibilità che caratte-

rizza il lavoro di questo artista.

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Invito alla presentazionedella collezione uomoprimavera-estate 1987di Versace

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“GIANNIVERSACE. LA REINVENZIONE DELLA MATERIA” 1998

Il 16 giugno 1998 viene inaugurata la mostra “Gianni Versace. La reinvenzione della

materia” presso la Fondazione Ratti e villa Olmo a Como, una rilettura per temi del-

l’intera opera dello stilista scomparso. Lo Studio Vitti, con Emanuela Schmeidler, è

responsabile dell’organizzazione della conferenza stampa che si tiene presso la

Triennale a Milano, del coordinamento della serata di gala per l’inaugurazione e del-

l’ufficio stampa della mostra.

Abito esposto allamostra e manifestodell’evento, 1998

Claudio Costa, Versaceil mito continua, 1998

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Gillo Dorfles, 1995

Enrico e AdelaideAstori, 1995 (FotografiaGraziella Vigo)

Fulvio Irace, Driadebook.Un quarto di secolo inprogetto, Skira 1995

“DRIADEBOOK. UN QUARTO DI SECOLO

IN PROGETTO” 1995

Nell’aprile del 1995, al Salone del mobile, Driade presen-

ta il libro Driadebook. Un quarto di secolo in progetto.

Lo Studio Vitti cura l’organizzazione della conferenza

stampa presso il Circolo Filologico alla presenza di

alcuni tra i più importanti designer internazionali e col-

labora alla realizzazione della serata di gala nei cortili di

palazzo Gallarati Scotti, decorato con duemila rose che

pendendo dall’alto creano una straordinaria architettu-

ra effimera.

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“CALENDARIO PIRELLI 1964-1997”

La Pirelli celebra i centoventicinque anni di storia dell’azienda con la mostra

“Calendario Pirelli 1964-1997” allestita a Venezia a palazzo Grassi e inaugurata il 1°

febbraio 1997. Protagoniste sono le fotografie di “The Cal”. L’allestimento è curato da

Gae Aulenti, Guido Vergani firma il catalogo.

Barbara Vitti è responsabile con Linda Cena dell’ufficio stampa e della conferenza

stampa di presentazione, alla quale partecipano, tra gli altri, Gina Lollobrigida e

Richard Avedon.

Mese di Settembre,Calendario Pirelli, 1997(Fotografia RichardAvedon)

In alto: Gae Aulenti eGiovanni Agnelli, LucaCordero di Montezemolo,MarcoTronchetti Proverae Monica Bellucci; inbasso: Piero Chiambrettie Gina Lollobrigida eGuido Vergani

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In alto: Silvia Fendi, Rossella Giardini;al centro: Stefania Rocca, Anna Molinari, Massimo Ghini, Nancy Brilli e Luca Manfredi;in basso: Alberta Ferretti, Alviero Martini, Sibilla della Gherardesca, Roberto Cavalli

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“CONVIVIO” 1996

“Versace aveva inventato Convivio, manifestazione a favore di Anlaids, e aveva coin-

volto nell’iniziativa Valentino, Armani e Ferré. Io entrai a far parte del comitato orga-

nizzativo, presieduto dal professore Mauro Moroni.

In occasione dell’edizione 1996, ho collaborato con lo studio di Mirko Achilli per l’or-

ganizzazione dell’evento. Coinvolsi sei direttrici di riviste di moda grazie alle quali riu-

scimmo a raccogliere migliaia di abiti e accessori il cui ricavato veniva devoluto a

favore di Anlaids. Le principali testate giornalistiche donarono una pagina pubblicita-

ria e ogni stilista trovò diversi testimonial per l’evento. Il primo anno Convivio fu ospi-

tato nelle sale del Castello Sforzesco, poi si spostò alla Fiera campionaria” (BarbaraVitti).

Fiore Crespi e GianniBulgari, Raffaella Curiel,Riccardo Muti e MartaMarzotto

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Immagine vincitricedel concorso peril centenario dellaS. Pellegrino (FotografiaLaura Miller)

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“CENTENARIO S. PELLEGRINO 1899-1999”

Nel 1999 la S. Pellegrino festeggia i suoi cento anni di storia e lo Studio Vitti collabora

all’organizzazione delle celebrazioni del centenario.

“Nell’ambito del Club S. Pellegrino aperto al Four Seasons Hotel durante la settima-

na della moda, venne celebrato il matrimonio tra la S. Pellegrino e l’Acqua Panna.

Paggetti: Sanbitter. Ospiti d’onore: Aranciata, Chinò, Water Soda S. Pellegrino e tutti

gli amici degli sposi” (Barbara Vitti).

Tra gli eventi viene indetto da “Harper’s Bazaar” negli Stati Uniti un concorso fotogra-

fico al termine del quale viene organizzata una mostra con le immagini vincitrici.Centenario S. Pellegrino,cartella stampa, 1999

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ALTAGAMMA 2001-2003

Nata nel 1992 per volere di Michele Alessi (Alessi), Mario e Paolo Bandiera (Les

Copains), Marina Deserti (Baratti & Milano), Ferruccio Ferragamo, Carlo Guglielmi

(Fontana Arte), Maurizio Gucci, Gianfranco Ferré e Franco Mattioli, Angelo Zegna e

Santo Versace, con il supporto di Armando Branchini, la Fondazione Altagamma,

Associazione Imprese Italiane Alta Gamma, ha l’obbiettivo di rafforzare la presenza a

livello internazionale delle aziende associate e di supportarne lo sviluppo, di promuo-

vere l’industria italiana di eccellenza e la cultura che la sostiene.

Lo Studio Vitti è consulente di Altagamma per l’organizzazione di eventi, tra questi vi

è l’inaugurazione della sede in via Carducci 36 a Milano nel 2001.

“L’esperienzadell’eccellenza”,palazzo Besanapiazza Belgioioso,2002

in alto: Armando Branchini, SantoVersace, Claudio Dematté, FrancescoTrapani, GuidoCorbetta, Leonardo Ferragamo, Carlo Guglielmi; i relatori durante l’inaugurazione;al centro: Claudio Dematté e Santo Versace, Diego Della Valle; in basso: CarloGuglielmi; Roberto Gavazzi, Giulio Cappellini, Claudio Luti, Leonardo Ferragamo

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Marco Rivetti primopresidente di PittiImmagine, Sibilla dellaGherardesca, GaetanoMarzotto, RaffaelloNapoleone

Dizionario della Moda,a cura di GuidoVergani, Pitti Immagine- Baldini & Castoldi1999

Guido Vergani, La SalaBianca. Nascita dellaModa Italiana, a curadi Giannino Malossi,Electa 1992

“50 ANNI DI PITTI E DI MODA ITALIANA” 2001

Gaetano Marzotto, Raffaello Napoleone, Sibilla della Gherardesca e Cristina Brigidini

organizzano a Firenze nel 2001 una grande manifestazione per celebrare i cinquan-

t’anni di Pitti e della moda italiana.

Ricorda Barbara Vitti: “Mi chiesero poi di aiutarli a realizzare a Milano una presenta-

zione dell’evento fiorentino al Four Seasons, dove venivano intervistati dai più impor-

tanti giornalisti e ritratti da Paolo Fiumi.” Risultato dell’iniziativa è il libretto di disegni

Personaggi & interpreti. Fashion sketchbook di Paolo Fiumi, edito da Pitti Immagine.

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André LeonTalley,AnnaWintour, MichaelRoberts, 2001 (DisegnoPaolo Fiumi)

Pitti Immagine Clubal Four Seasons, 2001(Disegno Paolo Fiumi)

Menu per il PittiImmagine Club, 2001

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Il clan Missoni, 2001(Disegno Paolo Fiumi)

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Carla e Anna Fendi, 2001(Disegno Paolo Fiumi)

Miuccia Prada, 2001(Disegno Paolo Fiumi)

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Archivio Biki: p. 68Archivio Alfa Castaldi: pp. 38, 59Archivio Marisa Curti: p. 71Archivio Elio Fiorucci: p. 75Richard Avedon: pp. 14, 55, 152, 160Silvano Bazzigaluppi: p. 150 (terza in basso)Nelly Bellati: p. 110 (al centro)Biasion Studio: p. 43Fabio Caggi: p. 162 (terza al centro)Mimmo Castellano: pp. 116, 117Franco Cavassi: p. 167 (terza in basso)Gianmarco Chieregato: p. 162 (seconda in alto)Patrick Demarchelier: p. 153Fabrizio Ferri: p. 63Fondazione Bano/Archivio Jole Veneziani/Gian Paolo Barbieri: p. 24Fondazione Gianfranco Ferré: pp. 47, 67Francodiara photographer: p. 166Giovanni Gastel: p. 60

Giancolombo: p. 80Marco Glaviano: pp. 118, 119Stefano Guindani: pp. 162 (in basso),167 (prima in alto, seconda al centro,seconda in basso)Claudius Holzmann: pp. 92, 93Bob Krieger: pp. 108, 131Giorgio e Valerio Lari: p. 76Armin Linke: p. 148 (prima in alto,seconda in basso)Massimo Listri: p. 157 (a sinistra)Laura Miller: p. 164Toni Nicolini: p. 40Stefano Pandini: p. 162 (terza in alto)Publifoto/Olycom: p. 10Lord Anthony Snowdon: p. 151Oliviero Toscani: pp. 57, 64, 139 (a destra)Graziella Vigo: pp. 56, 101, 138, 150, 158, 162(seconda al centro)

Crediti delle immagini

Per le illustrazioni:Paolo Fiumi: pp. 18, 19, 84, 85, 88, 170, 171, 172, 173 (da Personaggi & interpreti. Fashion sketchbook diPaolo Fiumi, Pitti Immagine 2002).

Tutte le immagini appartengono all’Archivio Vitti, salvo ove diversamente specificato.