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Nuova serie 32 Quaderni della Biblioteca Provinciale di Matera

Palazzi antichi di matera

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32 Nuova serie VOLPE F. P., Memorie storiche, pp. 15 e 24. 23 1 Idem, da “Gerusalemme Conquistata” di T. Tasso, p. 23. Idem, p. 43. 24 2 3 4 Lapide posta sulla chiesetta di S. Nicola in Castelvecchio 25 A.S.M., Nelli N. D., Cronologia, 1751, cap. I, par. 19. Idem, p. 206. 26 5 6 7 8 Da un documento nel “Quaderno degli appunti”, del dott. C. Passarelli. Idem, p. 216. 27 10 12 11 9 A.S.M., Catasto Ostiario 1732, f. 118, v. Catasto Ostiario, f. 1041. Idem, p. 306. 28 13 14 15 16

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Nuova serie

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Quaderni della Biblioteca Provinciale di Matera

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Palazzo di “Castro Vetere”

Subito dopo la vecchia chiesa di san Nicola, da tempo profanata, sita in contrada del Castiglione, sono i resti rimaneggiati dell’antichissimo Castello, chiamato dal Volpe Metellano, perchè ritenuto costruito dal console romano Cecilio Metello in epoca di Ottaviano Augusto. Esso è stato di norma la residenza di coloro che nel tempo hanno dominato la città di Matera e per conseguenza anche dei Nor-manni.1

1 VOLPE F. P., Memorie storiche, pp. 15 e 24.

Questi generosi guerrieri, giunsero in Italia Meridionale alla spicciolata. Gli ufficiali maggiori dei Normanni, entusiasti del valore di Guglielmo Braccio di Ferro, si unirono nel 1042 in Matera e lo elessero loro comandante con titolo effettivo di conte di Matera e con quello onorifico di conte di Puglia. Diverse le vicende che seguirono. Si affermò con i Loffredo la sovranità di dominio che tennero dal 1064 sino al 1133. Furono a capo della contea Ruggero e i suoi discendenti da Amico ad Alessandro, che, entrato in possesso della contea materana, la tenne con reale

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2 GATTINI G., Note storiche, p. 21.3 Idem, da “Gerusalemme Conquistata” di T. Tasso, p. 23.4 Idem, p. 43.

splendore e indipendenza; e “pur possedendo con la nobiltà del sangue il vero va-lore normanno, diede prove soventi insieme ai suoi figli Alessio e Roberto di buon governo e curò l’indipendenza dell’estesa e ricca contea materana pretendendo dai sudditi obbedienza e diritto alla successione”.

Il Gattini riporta la seguente frase di Alessandro Telesino: “Alexander vero comes dum ob periurium perpetratum Regem valde pertimesceret, relicto quondam munitissimo oppido nomine Matera filio suo, cui nomen erat Goffridus, ad comitem Ranulphum profugus advenit... Devicta itaque Matera rex super Armentum, muni-tissimum oppidum, quo Robertus frater praedicti Goffridi inerat, venit...”.2

Lo straordinario avvenimento che si verificò sotto il Loffredo dopo il famoso sermone pronunicato a Clermont dal grande pontefice Urbano II il 27 novembre 1095, nel quale invocò una spedizione in Terra Santa per liberare Gerusalemme dagli infedeli. Fra i gruppi della prima Crociata i Normanni guidati da Boemondo, figlio di Roberto il Guiscardo e da suo nipote Tancredi, richiamarono i Normanni esistenti in Puglia, fra cui il folto nucleo materano di Castel Vetere, partecipazione esaltata nei seguenti versi del Tasso:

“Ed altri abbandonò Melfi e Lucera,/ E ‘l culto pian, dove si sparge e miete, / di Troia e di Siponto, e di Matera / e di Foggia, ch’accende estiva sete”.3

Giuseppe Gattini, malgrado il suo vasto archivio ricco di interessanti docu-menti, non parla nè dell’origine nè di colui che costruì il vecchio castello sorto sull’altura occidentale della Civita. Leggendo attentamente la sua documentata storia su Matera si ha occasione di rilevare una sola citazione dell’esistenza di un munitissimo oppidum all’epoca del Conte Alessandro Loffredo.

Lo stesso storico, nel ricordare alcune porte e difese della vecchia città, fa una sommaria descrizione delle strutture che nel 1353 si riscontravano in Castel Vecchio: “Questo maggior propugnacolo aveva merli, balestrieri, spalti, torrioni, corridori coverti, segrete, alloggiamenti e magazzini”.4

Il complesso “si trovava in un grande spazio sul sito più elevato dell’abitato, ch’ancor oggi ha il nome di contrada di Castel Vecchio”. Nell’istrumento del 1353 rogato per man di Not. Luca de Roberto di Matera, esistente nell’archivio della Cattedrale, si conosce il nome del castellano di quei dì, “veggendosi sottoscritto per testimone Franciscus de Bardis Castellanus Castri Mathere”.

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Ingresso Palazzo Castro Vetere

Lapide posta sulla chiesetta di S. Nicola in Castelvecchio

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5 Idem, p. 206.6 A.S.M., Nelli N. D., Cronologia, 1751, cap. I, par. 18. 7 A.S.M., Nelli N. D., Cronologia, 1751, cap. I, par. 19.8 MORELLI M., Storia di Matera, p. 215.

Ma non fu l’unico, si ha notizia dell’esistenza dei seguenti castellani: Simone Nobile dal 1508 al 1529 per testamento presso il Notaio Sanità; Pirro Groia o Grue sempre per notaio Sanità; Staso Gattini dal 1534 al 1570, come si legge nel Verricelli; Ascanio Clemente dal 1570 al 1576; Santo Burges che lo ricevette da Ascanio Clemente secondo un protocollo del notaio Spinelli che scrive: “Constitutus honorabilis Sanctus Burges qui coram nobis dixit fuisse constitutus castellanus dicti Castri et recepit a nobili Ascanio Clemente ... dictum Castrum dicte Civitatis et claves numero viginti unius dicti Castri portarum eisdem, et par unum de zipponi et trabum unum positum in turri cum omnibus ferriatis, cum ponte et catena et sarto et molinello et aliis suis membris et ferraturis ...5

Ottenuto dalla regina Giovanna I il principato di Taranto e le contee di Lecce e di Matera, il principe Giannantonio Orsino optò per la residenza sia a Taranto che a Matera, dove ebbe subito due iniziative: ampliare le opere di difesa della Città specie nella parte nord-ovest e disfarsi delle strutture del vecchio Castello, ritenute sorpassate e fatiscenti e non più isolate ma accerchiate da nuove costruzioni. Mentre era al potere la regina Giovanna II nel regno si susseguirono continue guerre per il possesso di terre e città. In questi contrasti Giovanni Antonio Orsino del Balzo ebbe atteggiamenti tirannici. Per il Nelli in un primo tempo spogliò i materani dei loro beni6 riducendoli “in una grande povertà e miseria”. Ma una volta sconfitti i Sanseverino, l’Orsino recuperò il principato di Taranto e la contea di Matera che tenne fino al 1463, anno in cui morì.

Durante gli ultimi anni, di vita assunse un diverso atteggiamento nei riguardi dei materani; fu costretto a restituire i beni di cui si era appropriato e “concesse le pertinenze del vecchio Castello per farvi edificare case”; il re Ferdinando con-fermò la concessione “senza pagare censo alcuno”.7 Il Morelli conferma detta concessione8 e mette in evidenza la particolare esigenza della Città, che aveva bisogno di case in considerazione della crescita della popolazione dovuta sia alle migliorate condizioni economiche che all’immigrazione dai paesi vicini. Furono questi i motivi che indussero alcuni cittadini a rivolgersi all’Orsino per ottenere l’unico suolo edificatorio disponibile ed esistente nella cerchia antica, cioè nel Castelvecchio, ormai abbandonato e privo degli aggiornati requisiti; il principe

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9 Idem, p. 216.10A.S.M., NELLI N. D., ms 1751, cap. 2, par 19.11 Da un documento nel “Quaderno degli appunti”, del dott. C. Passarelli.12 GATTINI G., op. cit., p. 312.

accolse la richiesta e concesse tutte le pertinenze del vecchio maniero. “Fu un accorrere di materani e forestieri che se ne divisero stanze, atri e giardini dandosi subito a realizzare le costruzioni”. “Da una particola del privilegio si apprende che i primi concessionari furono più di 25”. Ma poichè la concessione era stata verbale, a evitare eventuali contestazioni, fu chiesto un documento scritto che fu concesso con decreto del 3 novembre 1448 spedito dal castello di Lecce; fu confermata e ratificata la concessione e il principe si disse lieto di “provvedere alla bellezza e ampliamento della città e al decoro e comodità dei cittadini”.9 Il Nelli è dell’avviso che la vendita sarebbe avvenuta nell’anno 1450.10

Le concessioni furono un dono gratuito per il ceto meno abbiente, mentre le torri che formavano la cerchia esterna del castello furono vendute.11

Con le concessioni delle pertinenze del vecchio maniero trassero beneficio le seguenti persone: Franciscus Jacobi de Donato; apprehendens, tenens, et possidens quamdam partem ipsius loci iuxta locum Angeli notarii Eustasii , iuxta murum dicte Civitatis et alios confines. Gli altri concessionari furono: Antonius de Pas-sarella, notarius Nicolai notarii Eustasius, Leus Nicolai de Leone, Angelus Luce de Matera, Augustinus de Cassano, Lillus Petri Cannarili, Antonellus Ganghonus de Latertia, Tommasus Jacobi de Casello, Jacobus Vulpis, Lucas Cicci Mathei Orfani, Costantia Jacobi de Bressia, Eustasius do.ni Jacobi Perilli, Gabriel Donati not. Eustasii, Antonius magistri Ursonis, Troylus comitis Carboni, Angelus not. Eustasii, Jacobus Antonii Bardarii,Blasius Georgii de Rospo, Antonius Donati de Cagniono, Nicolaus Neapolitanos de Altamura, Nucuus de Fogia, Orlandus de Tarento, Donatus Joannucii de Nella, Regna Joanni Malevindi.12

Oltre alla presenza dei “Castellani” che avevano il compito di vigilare sul complesso e le pertinenze del Castello non si conoscono altre vicende, relative al loro ruolo. Delle 1296 pergamene (1082-1794) costituenti il Codex Diplomaticus materanensis ritenuto dal Fortunato la più ricca, organica e completa raccolta pergamenacea della storia lucana, lo storico aveva in programma di trascrivere il testo delle pergamene, ma avendo trovato difficoltà, sono stati redatti solo i regesti che danno alcune indicazioni.

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13 FORTUNATO G., Badie feudi e baroni, p. 456-501.14 Idem, p. 306.15 A.S.M., Not. Sarcuni, 13.20.1706. 16 A.S.M., Catasto Ostiario 1732, f. 118, v. Catasto Ostiario, f. 1041.

Esaminando queste sintetiche notizie abbiamo potuto rilevare dodici atti ri-guardanti le numerose costruzioni esistenti nell’ambito di Castro Vetere. In essi si costituiscono benefici in favore dei monasteri di Santa Lucia e dell’Annunziata, della Cattedrale, del Seminario e del monastero di sant’Angelo di Montescaglioso.13

La casa palazziata sita al centro del maniero, che fu residenza anche dei conti Loffredo, risulta abitata dai Tanzi, famiglia di antica nobiltà.14 Fra gli esponenti di questa casata molti ebbero vita attiva in vari campi: si ricorda don Giambattista, arciprete della chiesa metropolitana di Matera, e altri citati in scritture private. Fra tutti però il più noto è padre Serafino Tanzi, al secolo Alessandro, dell’ordine Cassinese, per lungo tempo abate del monastero di sant’Angelo in Montescaglioso, eletto nel 1726 sotto Benedetto XIII Priore Generale dell’ordine benedettino. Merito di padre Serafino è stata la pubblicazione della “Historia cronologica Monasterii S. Michaelis Montis Caveosi”, dall’anno 1065 al 1484, edita in Napoli nel 1742.

Fu una ricerca apprezzata e stimata dai suoi contemporanei e il suo studio ha messo in evidenza l’importanza del cenobio avuta nei secoli di vita nell’ambito benedettino.

La casa di Castelvecchio, ristrutturata dalla famiglia Tanzi, per dotaggio passò ai Sinerchia col matrimonio di Brigida Sinerchia con Giacinto Tanzi come da istrumento di notar Sarcuni del 13 ottobre 1706.15

La casa soprana con “più e diverse comodità fu venduta al m.co Giuseppe Pe-cillo fu Andrea di Salerno”; di anni 30 era a Matera da 4 anni perchè Procuratore fiscale della R.U.; sposato con Anna Maria Giannatasio; coabitavano la madre di anni 50 e il fratello Saverio di anni 17 aggregati al Capitolo Maggiore.16

Nel Catasto Onciario del 1754 la famiglia Pecillo abitava nel palazzo confinante con le case degli eredi del fu d. Francesco Giacomo Sarcuni e le case dei fratelli De Angelis.

Da Andrea Pecillo la casa passò alla famiglia Dragone, che l’ha tenuta per oltre un secolo.

Della famiglia Dragone si hanno notizie dalla seconda metà del Settecento e si misero in evidenza Domenico, Francesco Paolo e Giovanni. Quest’ultimo, nato a Matera il 12.12.1782, frequentò a Pavia l’università laureandosi in medicina nel

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17 GATTINI G., op. cit., p. 470.18 A.S.M., Contribuzione fondiaria 1807, f. 55.19 GATTINI G., op. cit., p. 3.20 GATTINI G., op. cit., p. 168 e 170 - MORELLI M., Storia di Matera, p. 339; gli stessi ideali di

amor patrio furono condivisi da altri familiari che parteciparono alla vita pubblica: Domenico Dragone e Gregorio; Domenico, canonico della Cattedrale, fu eletto nel 1820 fra i quattro deputati della Giunta distrettuale; Gregorio nel 1848 fece parte del Collegio elettorale del Circondario di Matera che proponeva il ripristino di alcune franchigie abolite dal governo borbonico.

21 Da “Notizie” (inedite) della famiglia Dragone, raccolte dall’avv. Pasquale.

1806. Non esercitò la professione medica ma si dedicò all’amministrazione dei beni familiari. Diede alla stampa il suo studio: “ Metodo sul trattamento de le malattie”, ed. Raimondi, Napoli, 1806.17

All’epoca della laurea abitava di fronte alla chiesa di Santa Chiara,18 ma nel 1840 era di sua proprietà l’antico palazzo di recinto san Nicola a Castelvecchio e durante i lavori di ristrutturazione dell’abitazione venne alla luce una tomba con i resti di uno scheletro e diversi vasi fittili.19

Fu gran maestro della Carboneria e molto amico del Poerio. Perseguitato dal governo borbonico, fu costretto spesso ad andar via da Matera. Sposò Maria Nicola Giudicepietro, che, per curare una sua affezionata domestica ammalata di colera, contrasse il morbo e ne morì.

Dall’unione nacquero a Matera due figli: Benedetto e Vincenzo, i quali studiarono nel seminario lanfranchiano, quindi seguirono a Napoli il corso di giurisprudenza conseguendo la laurea. Vincenzo morì giovane. Benedetto, nato il 4-3-1810, seguì le orme paterne, fu ardente patriota e favorì l’insurrezione cospirando per l’indi-pendenza d’Italia. Fece parte della Milizia Nazionale e partecipò da Capitano alla repressione del brigantaggio, diffuso in Basilicata e in Puglia.20

Benedetto sposò nel 1841 Maria Giuseppa Cioffresa di Bitonto, dove visse e morì il 4-3-1894. Dei numerosi figli sopravvisse Vincenzo nato il 3-3-1856. Il 5-5-1878 sposò Maddalena d’Amely-Melodia di Altamura. Aveva seguito gli studi nel liceo-ginnasio di Bitonto, non frequentò l’Università ma, appassionato di studi storici, fece ricerche archeologiche raccogliendo vasi antichi e monete.21

Probabilmente in seguito a questo matrimonio tornò a vivere a Matera, dove ebbe 14 figli. Fu cavaliere del Regno d’Italia. Nel 1929 curò il restauro della chiesetta di San Nicola del rione Castelvecchio, annessa al suo palazzo. Il luogo di culto, sorto nel 1130, che “la furia devastatrice del tempo” aveva ridotto in pessime condizioni; riebbe con il restauro vita e funzionalità, la chiesa che ha continuato

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a dare il nome al recinto sul quale nel passato erano gli ingressi principali dei palazzi Troiano, Saraceno, Firrao, Tanzi-Pecillo poi Dragone, aveva un Beneficio costituito da diverse case e terreni e il sacerdote che ne beneficiava aveva l’obbligo di dire una messa al giorno, tenere la lampada accesa e spendere 4 ducati per la festa di san Nicolò.

Vincenzo Dragone, come già detto, ebbe 14 figli.22 Molti morirono in tenera età. La primogenita Giuseppina, nata il 1° marzo 1879, sposò Francesco Gattini di un ramo della nota famiglia materana, deceduto nel 1943. Fra gli altri sei figli di Vincenzo, l’avv. Pasquale Dragone nato a Bitonto il 15-5-1890,23 ritornato a Matera sposò nel 1927 la prof. Agata Catania.

Uomo di cultura, partecipò alla vita attiva della politica: fu Preside dell’Ammi-nistrazione Provinciale di Matera, fece parte dell’Amministrazione dell’Acquedotto Pugliese e Presidente della Federazione Provinciale degli Agricoltori; nel 1937, dopo aver donato la ricca biblioteca di famiglia all’Amministrazione Provinciale, ne divenne il primo direttore.

La Biblioteca è stata successivamente ampliata con le donazioni delle comunità religiose e di privati.24

Come si è detto all’inizio i fratelli del dottore fisico Giovanni erano Domenico e Francesco; quest’ultimo fu il capostipite di un altro ramo del casato Dragone, che a Matera abitava un palazzo, sito in vico Campanile, composto di molti ambienti sottani e soprani. Egli diede vita a generazioni che hanno ripetuto i nomi di Be-nedetto e Francesco Paolo fino ad Alessandro, nato il 2-7-1884, che sposò Maria Crocitto di Grumo mettendo al mondo sette figli. Questi vendettero il palazzo di vico Campanile a mons. Palombella, arcivescovo di Matera, con l’intento di de-molirlo per ampliare il Seminario costruito da mons. Rossi. Lo stesso fu utilizzato per alcuni anni come convitto dell’Istituto alberghiero.

22 I figli di Vincenzo, sopravvissuti furono: Giuseppina nata il 1-3-1879 sposò Francesco Gattini; Ottavia nata il 2-8-1880; Teresa nata il 18-3-1882 sposata all’avv. Vincenzo Pagano; Benedetto nato 24-9-1984; Ottavia nata a Binetto il 9-4-1886 sposata all’avv. Ferdinando Iannuzzi; Giovanni Battista avvocato nato il 3-3-1889; Pasquale nato il 15-5-1890 sposato con prof. Agata Catania, morto il 3-3-1972; Gabriele nato il 7-1-1892, sposato a Elena de Bellis; Domenico nato il 31-1-1893; Maria nata il 25.7.1895 sposata al rag. Giuseppe Cantaro; Giulia nata il 20-4-1898 sposata all’avv. Nicola Angelini; Laura nata il 5-2-1900 sposata a Giuseppe di Maio; Maria Carmela nata 15-10-1901 e morta a Matera il 1902.

23 Deceduto a Matera il 7 aprile 1972.24 GIAMPIETRO A., Personaggi della storia materana, Quaderni della Biblioteca, Edizioni Altri-

media Matera, 1999, p. 50.

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Per conseguenza la famiglia Dragone da Vico Campanile fu costretta a trasferirsi e trovare alloggio in alcuni ambienti dell’antico Palazzo di Castro Vetere, che nel frattempo gli eredi del cav. Vincenzo avevano venduto a diverse famiglie.

Uno dei tre corpi principali con ingresso monumentale25 fu acquistato (il 28 novembre 1951 con atto del not. Luigi Palese) dalla Superiora delle Ancelle del Suffragio, insegnante Rachele Mavillonio di Irsina, che aveva chiesto all’Arcive-scovo dell’epoca il riconoscimento del nuovo sodalizio. Poichè il riconoscimento non fu concesso, le monache decisero di andar via da Matera e vendere l’apparta-mento. Questo fu oggetto di interesse da parte del maresciallo Nicola Terrone, il quale avendo una casa in Roma, propose uno scambio.

La proposta fu accolta dalla Mavillonio e in data 30 novembre 1961 il not. Pasquale Lo Nigro eseguì l’atto di permuta. Da detta data la famiglia Terrone abita l’appartamento che dall’alto domina uno straordinario panorama che abbraccia il Sasso Caveoso fino alla Murgia punteggiata dalle famose grotte preistoriche.

In un secondo lotto vive dal 1977 la famiglia del dott. Nicola Pentasuglia, mentre un terzo lotto è stato acquistato nel 1965.

L’antico Palazzo di Castro Vetere, malgrado i diversi passaggi di proprietà, conserva alcune mirabili strutture rilevanti la sua vetustà e inoltre vogliamo sot-tolineare la presenza sulle scale di accesso di uno stemma molto vicino a quello della famiglia Palmieri (la palma centrale con i leoni rampanti e affrontati), che ha tenuto il Vescovado di Matera continuamente dal 1483 con Vincenzo, poi con Andrea dal 1518 fino a Francesco dal 1528 al 1530.

Lo stemma presente nel Palazzo di Castrovetere si differenzia solo per la pre-senza in alto di due piccole teste.

25 Sul portone d’ingresso sono due stemmi: uno si riferisce alla famiglia Dragone e rappresenta un drago, mentre quello sulla chiave dell’arco, molto più antico, raffigura una palma con ai lati due leoni rampanti.

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Palazzo Venusio

Era il più bel palazzo di via san Potito. La casata Venusio ha origini molto antiche ed era annoverata fra le più nobili

della Città, potendo godere di tutti i privilegi riservati alla nobiltà.

1 Francesco Gattini è il nonno omonimo di quello ucciso l’8 agosto 1860 (DE RUGGIERI N., I moti popolari di Matera del 1860).

2 Lettera del conte F. Gattini del 1755 al fratello Giammaria.

Quando il conte Francesco Gattini1 sposò Candida Venusio si diffuse la voce che aveva impalmato una giovane non appartenente al rango dello sposo. D. Francesco si risentì molto di questa diceria, che partiva proprio e principalmente da alcuni suoi familiari. Tanto fu toccato da tale falsità che con pazienza fece profonde ricerche e il 14 giugno 1766 spediva una lunga lettera2 chiarificatice all’amatis-simo fratello don Giammaria, Capitano del Reggimento Nazionale di Basilicata in Trapani. In essa rilevava l’antichissimo splendore della famiglia Venusio, sin

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Famiglia VenusioAlbero genealogico

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3 Idem.4 MORELLI M., Storia di Matera , p. 199.

dall’anno 1197, “a tempo del regnante Federico Imperatore, in persona di Roberto Venusio per l’importante carica di Cesareo Giustiziero, che egli sosteneva nella provincia di Basilicata, facendo sua residenza in Venosa, ch’allora n’era la Capi-tale”. E Carlo Borrello nel suo libro “Vindex Neapolitanae Nobilitatis” scriveva che fra quei baroni napoletani “sotto gli auspici del Re Guglielmo intrapresero la spedizione per lo acquisto di Terra Santa”, vi annovera Guido Venusio, il quale “in Casamassima tenea in capit ... trium militum et cum augumento obtulit milites septem et servientes otto”.3

Con altri documenti conferma quanto antica sia stata la famiglia Venusio che ha avuto illustri personaggi vissuti nei secoli XII, XIII, XIV e XV. Durante la guerra, per la liberazione della città di Otranto occupata dai Turchi, diede notevole con-tributo il materano Nicola Venusio. Dopo la cacciata degli infedeli avvenuta il 10 settembre 1481, agli elogi del pontefice Leone X e di Carlo V, il re Ferdinando in una sua lettera del 10 settembre 1486 esaltò il valore del nobile ed egregio Nicola Venusio, dottore in legge di Matera, che “in occasione della invasione della città salentina da parte dei Turchi, per espellere i quali prontamente accorse con una compagnia di molti soldati arruolati a sue spese, e valorosamente combattendo, anche con pericolo di vita, e sostenendo la parte della Santa Sede e nostra, molto contribuì alla liberazione di Otranto, per cui lo stimiamo benemerito e degno di ogni nostro favore e grazia”.4 Dallo stesso Nicolò Venusio, che “è il tronco e stipite da cui per retta via da padre in figlio”, proviene donna Candida sposa del conte Gattini.

La famiglia originaria di Amalfi si sarebbe trasferita a Matera verso l’anno 1455. Nella lunga lettera di ben 44 pagine il Gattini descrive minutamente le vicende dei discendenti di Nicola Venusio, di Gianpaolo da cui proviene don Ottavio, barone di Turi, e di don Bartolomeo, dal quale discenderà la consorte del Gattini. La prosperità economica di alcune famiglie materane, già invidiabile, era destinata a migliorare nel secolo XVIII.

Tipico è l’incremento fondiario dei Venusio. I Moles, titolari del feudo di Turi in Terra di Bari, erano debitori di Ottavio Venusio, dal quale avevano ottenuto un prestito di 39.000 ducati. Poichè dopo decenni non avevano soddisfatto il debito nè versato gli interessi maturati, i Venusio, a seguito di una intricata azione giudi-ziaria, si fecero cedere dai Moles il loro feudo a prezzo vantaggiosissimo. L’atto

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5 RICCARDI R., La famiglia Pomarici nella società materana, p. 38. GIURA LONGO R., Studi sulla vita economica della Basilicata.

di vendita fu ratificato il 1752 e da quella data i Venusio entrarono in possesso del titolo nobiliare di barone, che Ferdinando I cambiò con quello di marchese e di un patrimonio, il cui valore ascendeva a ben 94.000 ducati.5

Ma nella lunga e interessante lettera non viene fatta parola del palazzo di via san Potito, che per la sua struttura e imponenza meritava di essere se non descritto almeno citato.

È noto che il marchese Ottavio Venusio da Matera spesso inviava ai familiari di Napoli notevoli quantità di prodotti; e per assicurare l’arrivo dei rifornimenti a destinazione era costretto, per superare l’indiscusso pedaggio di Bovino, a far partire due “traini” carichi di vettovaglie, in maniera che un carro aveva libero il transito mentre l’altro veniva trattenuto come pagamento del pedaggio.

Il Palazzo Venusio, è un esempio di costruzione a corte tipica di molti palazzi nobiliari della Città.

La sistemazione dell’edificio rispecchiava la tradizione locale: i piani ipogei erano adibiti a depositi e cantine; il piano terra, dalle volte a botte, per i dipendenti e a magazzini e stalle; il piano superiore, archivoltato mediante sistema a padiglione a volte scomposte, era utilizzato come residenza della famiglia.

Da “Palazzo Venusio” di C. Pentasuglia (tav. n. 3)

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6 L’altro mercato di Matera nel passato, noto col nome di “Fondaco di Mezzo” era presso la porta grande o della Bruna sita presso il monastero di san Domenico. Cfr. PADULA M. - MOTTA C. Piazza Vittorio Veneto. La Storia, p. 100-105. COPETI A., Notizie della Città, p. 40.

7 PENTASUGLIA Carmelo, Palazzo Venusio, Lettura storica e proposta di restauro - Vecchio Catasto Urbano di Matera, sez. fabbricati, partita 108466, regist. 1° sett. 1950 al n. 90.

8 PENTASUGLIA C., idem, pp. 54-63.9 PENTASUGLIA C., op. cit., p. 55, A.S.M., Atti notarili, Not. F. A. Recco, 4.12.1670, coll. 132,

f. 213.

Il Palazzo ha subìto nel tempo modifiche e ampliamenti; esso non fu concepito come tale ma è il risultato di vari accorpamenti. Stando a quanto scrive il Copeti6 l’antica piazza (della Civita) era dov’è l’atrio dell’edificio del barone. I Venusio acquistarono dagli Orsini un’abitazione con orto, intorno al 1500; cio costituirà il precedente per l’acquisto di altri terreni limitrofi e, successivamente, per l’edifi-cazione e il completamento dell’intero palazzo. La prima testimonianza di questi acquisti, scrive l’architetto Carmelo Pentasuglia7 è rilevabile da un atto del Not. F. A. Recco in data 4 dicembre 1670, col quale viene stipulato un contratto di compravendita di un terreno fra don Ottavio Venusio, sen., e Marco A. Bia; tale bene era nella Civita in via san Potito, vicino alle case del canonico Bia, lungo la via pubblica da un lato e vicino all’area dei fratelli Alessandro e Francesco de Jacovo dall’altro; consisteva in un’area con sottano che prima era appartenuta a Pietro Verricelli, poi a Giovanni de Basato e ancora ai coniugi Paulicelli. Don Ottavio Venusio acquistò l’area con l’obbligo di costruire, con la partecipazione del Bia, una chiesa entro tre anni dalla data del contratto. Questo accordo, scrive il Pentasuglia, costringerà in seguito i fratelli de Jacovo, che avevano un pezzo di terra fra le loro proprietà, a vendere il proprio terreno alla famiglia Venusio.

Per prima fu costruita l’ala est, e ciò si rileva dalla controversia sorta fra i Ve-nusio e i Guida loro vicini.8 Nell’atto rogato il 29 giugno 1725 dal Not. T. Sarcuni, si legge “... volendo essi signori Venusio sfabricare un muro antico attaccato alla chiesa delli medesimi sotto il titolo della Beatissima Vergine dei Sette Dolori, vicino al giardinetto di Vincenzo Guida e di lui case dirimpetto, si oppose il medesimo avendone ricorso al Tribunale di questa regia Udienza di Basilicata...”.9 Il Guida sosteneva che il muro citato fosse di comune proprietà, e che quindi i Venusio non potevano edificare nè tantomeno aprire finestre con l’affaccio sulle sue case. A ciò i Venusio replicavano che “... detto muro non era divisorio ma parte di un lamione comprato dai de Jacovo, il quale aveva un finestrone dirimpetto alle case del detto Vincenzo Guida che prima furono del signor abate don Marco A. Bia, che sopra

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10 Idem, p. 57. A.S.M., Atti notarili. Not. T. Sarcuni, 3.1.1722, coll. 220 f. 18.11 PENTASUGLIA C., op. cit., p. 59 s. A.S.M., Atti notarili, Not. C. Villani, 9.12.1738, coll. 316,

f. 326.

detto lamione vi era uno scoperto, che essendo negli anni passati caduto, detto muro era stato riedificato a spese della defunta signora Antonia Paulicelli. Questa controversia si concluse con un accordo che permetteva ai Venusio di continuare l’incominciata fabbrica con il porre il primo appartamento di basso, che doveva avere nella parte superiore due finestre poste in linea trasversale e sopra l’appartamento un secondo con superficie pari all’estensione dell’atrio e del cortile del palazzo; nell’accordo si stabiliva altresì di potere aprire due altre finestre prospicienti il giardinetto e le case di Vincenzo Guida e infine che il terzo appartamento potesse essere dotato di altre finestre di prospetto nella stessa maniera del secondo.

Nel 1722,10 sempre secondo il Pentasuglia, la costruzione dell’ala est era già iniziata. Al Guida veniva concesso la possibilità di edificare per la lunghezza di 39 palmi lungo il muro della chiesa senza però ostacolare l’apertura di un “lume ingrediente”. La controversia fra le due famiglie non si risolse con la transazione nell’atto appena citato; dopo tre anni, con un nuovo atto, si stabiliscono ulteriori punti di accordo fra le parti e che forniscono indicazioni più precise sull’andamento nella costruzione del palazzo.

Durante i lavori di costruzione dell’ala est, i Venusio fecero riedificare e moder-nare l’antica chiesa sotto il titolo di Maria SS. dei Sette Dolori, unita al Palazzo. In questo stesso periodo il Pentasuglia ipotizza che sia stato costruito il vestibolo della chiesetta che permette l’ingresso della stessa da via san Potito.

Nel Catasto Ostiario del 1732, nella parte relativa ai beni posseduti dalla fami-glia, si legge che Ottavio Venusio, figlio di Domenico e Anna Paulicelli, possedeva in comune con i suoi zii “un palazzo non ancora compiuto ... consistente in due parti superiori e inferiori, due cortili con stalle, molti magazzini, due giardinetti, cantine e ogni altra comodità in contrada la Civita”. La costruzione riprenderà dal vestibolo per risalire lungo la via san Potito e dar luogo alla facciata.

Contemporaneamente alla facciata, secondo il Pentasuglia, è stato costruito l’androne con a destra lo scalone di accesso ai piani superiori e poi ancora la parte sud-ovest del palazzo; ciò si deduce sia dalle notizie storiche che dai rilievi eseguiti e dalla lettura delle strutture murarie. Differenze sono state notate dalle volte, dall’altezza e dalla distribuzione dei vani. Da un atto notarile del 173811 si apprende l’avvenuta formazione di un atrio antistante il portone d’ingresso; questo

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12 PENTASUGLIA C., op. cit., p. 55.13 PENTASUGLIA C., op. cit., p. 59.

fu creato, mediante l’abbattimento di alcune case di proprietà dell’istesso Venusio, operazione fatta per rendere più facile l’accesso dei carri e delle carrozze della famiglia.12 Da questo momento il Palazzo prende l’aspetto di un edificio a corte innalzando il lato nord, probabilmente è stato costruito per ultimo, chiudendo in questo modo la corte.

“Che il lato nord sia successivo a quello sud-sud-ovest l’architetto Pentasuglia lo deduce dalla evidente differenza di stile delle strutture: le volte, per esempio, sono complesse e scaricate sui pilastri anzichè sui muri come nelle volte a padiglione del resto del Palazzo”. Inoltre le aperture dell’affaccio nel lato nord presentano l’aggiunta di un timpano che manca nelle altre finestre.13

I Venusio avevano acquistato dagli Orsini, come già detto, un’abitazione con orto, intorno al 1500, e nel 1672 decisero di comprare un suolo a esso limitrofo e subito dopo un altro locale confinante, composto da un lamione con giardino soprastante, murato, con cisterna.

Acquistata l’intera area, fu iniziata l’edificazione dello stabile, per il quale, in previsione della notevole mole, fu comprata una cava di tufo per l’approvvigio-namento del materiale, “così come gli parerà e piacerà”.

La costruzione avrà varie interruzioni e condizionamenti dovuti a controversie legali con i confinanti, tali che, nel 1722, risultava terminata solo l’ala est e nel 1732 venne ritenuto nel Catasto come “palazzo non ancora compiuto...”.

Le demolizioni operate nel 1738 furono il primo intervento in grado di dare un iniziale e apprezzato assetto al Palazzo che con la costruzione del lato nord, nel 1770, acquisterà l’aspetto del tipico edificio a corte.

Il Palazzo Venusio è un esempio che mette in evidenza la maniera edilizia di molte case palazziate della Civita, “costruite cioè più per successive annessioni che come frutto di progettazioni unitarie”.

La famiglia Venusio aveva un sepolcro e un altare nella Cattedrale, e un sepolcro e un altare nella chiesa di san Rocco; l’altare della Cattedrale era stato eretto da quel Nicola che tanto si distinse nella guerra contro i Turchi, l’altro altare sotto il titolo di san Michele era curato dal marchese di Turi don Giuseppe e quindi da don Ottavio.

Il patrimonio dei Venusio in parte si è dissolto nel giro di pochi decenni. Una buona fetta dei beni di questa famiglia, pari a oltre 641 ettari (la partita 5918), fu

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venduta (con decreto del 31 dicembre 1928 registrata dalla Corte dei Conti) all’Opera Nazionale per i Combattenti; le quote furono assegnate agli ex-combattenti della Guerra 1915-18 e per ogni quota fu costruito un alloggio. Nei pressi della stazione Ferrovie Calabro Lucane è tuttora un villino-masseria che, non più abitato e curato, ha subito un grave degrado.

Con la legge n. 619 del 1952 per il risanamento e lo sfollamento dei Sassi, è sorto il villaggio Venusio che, a differenza delle case per i combattenti, è stato sùbito abitato: è stata costruita la chiesa parrocchiale intitolata a san Giovanni da Matera e sono attive le scuole elementari; in piena attività è un ristorante e da poco è sorto un ipermercato.

Dell’antica famiglia, venduti i beni che esistevano nella località Venusio, non è rimasto che il nome della frazione che è stato altresì attribuito alle strutture commerciali sorte negli ultimi anni.

Il Palazzo fu messo in vendita e fu acquistato dal dott. Giuseppe Lamacchia, specialista in ostretricia. Dal vecchio Catasto urbano dei fabbricati di Matera risulta che il giorno 12 agosto 1950 il Palazzo fu venduto dai fratelli Giuseppe, Giovanni e Isabella Venusio.

L’acquirente, avendo un suo programma, modificò il vecchio impianto demolen-do le volte del piano nobile e la pregevole balaustra dello scalone e sopraelevò un piano con attico. I lavori intrapresi non furono portati a termine, per cui il Palazzo, disabitato, ha subìto un particolare e grave degrado. Furono eseguiti diversi lavori ma dopo aver speso una discreta somma non si conseguì alcun risultato. È rimasto abbandonato per diversi anni. Si pensava a una rivalutazione ma anche questa non ha avuto un buon risultato.

La Camera di Commercio di Matera, per dar vita alla propria azienda speciale, denominata MO.SA, congetturò un progetto per il riutilizzo economico sociale e strutturale dei Sassi, per il quale era necessario un supporto di ricerca non solo orientato a obiettivi tecnologici ed economci ma anche a questioni più ampie e fondamentali di tipo culturale. Bisognava tener presente l’esistenza di un vuoto di studi, di ricerche e di riflessioni utili connessi agli interventi di salvaguardia, tutela e recupero degli antichi rioni, che rappresentano millenni di esistenza senza soluzione di continuità. Per realizzare un saggio riutilizzo si prese in esame di fare agire la MO.SA su un comparto dei Sassi si scelsero i palazzi e le case di via san Potito partendo dal Palazzo Venusio. Per la realizzazione del progetto fu dato l’incarico a Renzo Piano che si avvalse della collaborazione dell’arch. Tonio Acito. Il progetto prevedeva un’ingente somma e tutto finì nel nulla.

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Il Palazzo Venusio è stato nuovamente messo in vendita ed è stato acquistato da una ditta che ha buoni propositi per ridare nuova vita alla vecchia struttura.

I compratori sono stati la dott. Margherita Arena e il prof. Giovanni Viceconte, i quali, nell’ambito del “Primo Programma Biennale” di attuazione della legge 771/86, prevedono di realizzare un intervento di recupero per la creazione di un “polo di formazione, controllo e governo delle attività di tipo terziario, culturale, legate ai valori storici, morfologici, ambientali, architettonici, urbanistici, costituenti lo specifico dei rioni Sassi. Il progetto prevede una riconversione funzionale che consenta di insediare nel Palazzo Venusio una serie di iniziative che vanno dalle attività congressuali alle manifestazioni di tipo espositivo”.

Un altro contributo utile per la conoscenza delle varie fasi dello sviluppo e ristrutturazioni del Palazzo Venusio è stato dato dall’ing. Saverio Riccardi,14 il quale ritiene e conferma che l’evoluzione del Palazzo lungo via san Potito e lungo il recinto Campanile non sia avvenuta in maniera unitaria. “Infatti l’ala sud-ovest aveva un accesso indipendente lungo vico Campanile, che consentiva, attraverso un vano scala con volta strombata, di immettersi direttamente negli ambienti supe-riori del piano nobile, connettendo in modo poco funzionale sia il corpo originario cinquecentesco che l’ala sud-ovest”.

Sempre secondo il tecnico, è evidente l’ipotesi che l’ala sud-ovest sia stata edificata prima dell’ala sud, tenuto conto che i vani, le porte e le finestre hanno una diversa tipologia rispetto a quanto si nota nell’ala sud. “Inoltre la presenza di uno stacco netto tra le murature delle due ali, la diversa inclinazione, sul prospetto principale, delle stesse e la diversa impostazione delle volte fanno ritenere che l’ala sud del Palazzo sia completamento fra l’ala est e l’ala sud-ovest”.15

14 RICCARDI Saverio, “Recupero funzionale architettonico e ambientale; spazi espositivi-ricettivi: Palazzo Venusio, il Centro congressi nei Sassi” in “Informazione tecnica” (Notiziario dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia), n. 6/1998, pagg. 18-36.

15 RICCARDI S., op. cit., p. 21.