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Periodico dell'Ordine degli Ingegneri della provincia di Livorno

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SOMMARIO

Sicurezza

Cultura ed etica della sicurezza (N. Marotta) .......................................................... 2

L’importanza del lavoro di squadra (M. Ughi) .................................................... 22

A Rimini il 57° Congresso Nazionale (A. Novelli) ................................................... 28

L’ingresso ufficiale del Network Giovani (I. Sassetti) .............................................. 32

Da Roma (2007) a Rimini (2012), passando per Torino e Bari

(G. Pellerino, M. Volontè) .......................................................................................................... 33

Commissione Giovani. A Livorno una partenza tecnologica

(A. Scheveger, D. Artz) ................................................................................................................ 38

Il nuovo sito web dell’Ordine degli Ingegneri di Livorno

(Diana Artz, Gabriele Da Re) ................................................................................................. 42

La crisi come opportunità di cambiamento (Stefano Ughi)............................... 47

Livorno com’era

Novembre 1705, lavori al fiume Cecina, l’ing. Santini replica irritato

al Granduca (C. Errico - M. Montanelli) ................................................................... 51

Dal Balsamo Paolini alle Pastiglie Paneraj (F. Lenzi, I. Sassetti)................. 58

La Chiesa degli Olandesi verso la ristrutturazione

(Edoardo Marchetti) ................................................................................................................ 64

Pagina del diritto

Occupazione senza titolo e acquisizione sanante

(F. Dello Sbarba) ....................................................................................................................... 72

Attività dell’Ordine......................................................................................................................... 78

Le pagine di questo notiziario sono aperte a tutti coloro - ingegneri o non, iscritti o non iscritti all’albo - che vorranno collaborare con la redazione o inviare informazioni, idee, commenti, critiche, su argomenti riguardanti direttamente o indirettamente la professione.Gli articoli firmati riflettono unicamente le opinioni dell’autore

Direttore responsabileStefania Fraddanni

Hanno collaborato a questo numeroDiana ArtzFrancesca Dello SbarbaClara ErricoFilippo LenziNicola MarottaMichele MontanelliAlessandro NovelliIrene SassettiAlessandro SchevegerMassimo UghiStefano Ughi

RedazioneVia della Venezia 15Tel. 0586 898746 Fax 0586 89301557123 LivornoE-mail: [email protected]: www.ording.li.it

Consiglio dell’OrdinePresidenteGiovanni CiaponiVice presidenteMarco CanoniciSegretarioGiuseppe QuintavalleTesoriereAlessandro BaldiConsiglieriPaolo BarbieriPaolo Domenici Fabrizio MorelliGiampaolo MunafòMauro SassuBarbara SquarciniAlberto Ughi

Grafica e stampaDEBATTE Otello S.r.l.57122 Livorno Via delle Cateratte, 84Tel. 0586 896970 - Fax 0586 [email protected] - www.debatte.itChiuso in stampa nel mese di dicembre 2012

Autorizzazione del Tribunale di Livornon. 258 del 21/4/1972Associato all’UspiUnione stampa periodici italiani

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Cultura ed eticadella sicurezza

SICUREZZA

NICOLA MArOTTASpecialista in Sicurezzae Protezione Industriale

Incaricato di Tecnicae Sicurezza dei Cantieri

Facoltà di Ingegneria, Università di Pisa

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La sicurezza intesa come Safety ha oggi un’importanza fon-damentale riconosciuta dal nuovo quadro normativo che si è venuto a determinare in Italia in seguito all’attuazione delle linee essenziali tracciate dal diritto comunitario. Tuttavia i temi della sicurezza sono ormai da molti anni all’attenzione dell’ambiente scientifico e produttivo per la loro rilevanza pubblica nei confronti dei problemi della tutela della salute dei lavoratori e dell’ambiente, ma anche quale conseguenza indiretta della crescente chiamata in causa e responsabiliz-zazione delle aziende e di altri soggetti interessati.Prima però di affrontare l’argomento è doveroso premettere un’importante considerazione. Parlare di sicurezza significa parlare di qualcosa che non esiste, un costrutto mentale che l’uomo ha sentito la necessità di introdurre nel suo apparato conoscitivo per continuare a vivere e progredire. La sicurez-za assoluta (totale) che potrebbe essere assimilata a uno stato di quiete, di serenità, di pace, di assenza totale di pericoli per l’uomo e per l’ambiente, purtroppo non esiste né mai esisterà, può essere semplicemente considerata un limite cui tende asintoticamente il valore della sicurezza reale senza dunque mai poterlo raggiungere. Il concetto individua quindi una condizione utopistica, in pratica impossibile da trovare nel mondo lavorativo è più generalmente in natura. Al contrario esiste ed è molto più frequente la condizione opposta, ovvero l’insicurezza, che potremmo definire come “presenza di potenziali danni”. È questo il motivo per cui il termine “sicurezza” è sempre più assente nei documenti scientifici. Raccomando spesso di usare con parsimonia i termini sicu-rezza e sicuro anche nell’attività professionale, oppure non utilizzarli per niente e sostituirli, ogni volta che sia possibi-le, con qualcos’altro che indichi più correttamente ciò che vogliamo rendere meno insicuro: l’obiettivo, lo scopo, in altre parole il traguardo (target) che intendiamo raggiungere per rendere l’insicurezza accettabile.

L’incidente di Chernobyl occorso alla unità 4 avven-ne alle ore 1,24 del 26 aprile 1986 nel corso di una prova non autorizzata, che aveva come scopo la verifica della possibilità di alimentazio-ne, per un breve periodo, dei servizi essenziali della centrale, successivamente al distacco dalla rete. Se gli errori di manovra, le ripe-tute violazioni e la fretta di terminare l’esperimento furono la causa iniziatrice dell’incidente, lo sviluppar-si in maniera incontrollata di questo e le sue gravis-sime conseguenze sono da addebitarsi invece alle caratteristiche di “instabili-tà intrinseca” del reattore di derivazione militare del tipo RBMK 1000, modera-to a grafite e refrigerato ad acqua leggera bollen-te, privo di idoneo siste-ma di contenimento, le cui caratteristiche non trovano riscontro in altri paesi del mondo.

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Chernobyl

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Fatta questa doverosa premessa, voglio ora evidenziare che esistono diverse definizioni di sicurezza, che certa-mente non aiutano e rendono ancora più problematica la definizione univoca, se esiste, di questo complesso artefat-to. Potremo dire che ogni settore scientifico ha sentito la necessità di coniare una propria definizione di sicurezza. Esistono quindi almeno una trentina di definizioni di “sicu-rezza” che comprendono una pluralità di significati. Così le scienze fisiche, chimiche, biologiche, mediche, etc. hanno una loro definizione che si differenzia dalle altre per la necessità di mettere in risalto alcuni aspetti ritenuti utili nel proprio campo di azione. Anche nel campo dell’ingegneria della sicurezza che come noto comprende l’insieme delle metodologie multidisciplinari (impiantistiche, strutturali, chimiche, biologiche, mediche, etc.) concepite per assicura-re la sicurezza delle persone durante la loro vita quotidiana (sociale, lavorativa, privata, etc.) esistono diverse definizioni. Una delle più usate, anche se non l’unica, è contenuta nella norma ISO/IEC GUIDE 51:1999 (E) - Aspetti di sicurezza – Guidelines for Safety aspects, in cui la sicurezza è definita come: “libertà dai rischi inaccettabili”. Non sfugge in questo caso l’espediente del normatore che, per definire questo concetto, proprio a causa dell’evidenziata illusorietà, si

Il traguardodell’insicurezza accettabile

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trova costretto a doverne richiamare altri, peraltro non altret-tanto facilmente definibili.In primo luogo il concetto di libertà la cui origine è ricon-ducibile almeno in Occidente a quella dottrina del diritto naturale che possiamo far risalire a Cicerone, su cui non voglio dilungarmi, anche se va detto che il significato di tale termine che all’apparenza può sembrare facile e scontato, è stato in realtà oggetto di mille riflessioni dal medioevo ad oggi dando luogo a considerazioni contrastanti, per non dire violentemente contrapposte. Secondo la comune accezio-ne, potremo in questa sede, senza lederne il significato più ampio, assimilarla alla “possibilità di svolgere una determi-nata attività lavorativa senza alcuna costrizione”. Sul termine rischio dobbiamo invece soffermarci più a lungo causa delle diverse accezioni che vanno in qualche modo chiarite, sia per consentire una certa uniformità di linguaggio indispensabile per comunicare informazioni concettualmen-te definite, sia, soprattutto, per procedere a una valutazione corretta. Per questi chiarimenti è conveniente attingere alla storia, al passato che ci appartiene e ci condiziona, perché anche da esso è sempre possibile apprendere importanti insegnamenti.Partendo dal termine “Rhìza” parola greca che significa

Le applicazioni della Logi-ca fuzzy nel mondo sono ormai numerosissime e ne vengono realizzate di nuo-ve in numero sempre cre-scente.La prima vera applicazione industriale risale a metà degli anni Ottanta, quando la Hitachi progettò e realiz-zò un sistema di controllo fuzzy per la metropolita-na della città di Sendai: a differenza dei sistemi di controllo automatico tradi-zionali, il nuovo sistema di controllo in logica fuzzy tie-ne conto anche delle pen-denze del terreno e delle caratteristiche delle curve, oltre che della distanza del treno tra due stazioni contigue. Grazie a questo sistema di controllo fuzzy, le prestazioni della metro-politana sono migliorate garantendo più sicurezza e comfort ai passeggeri oltre che una riduzione del 10 % consumo energetico. Da allora l’impiego della logica fuzzy si è esteso a macchia d’olio in numerosi settori industriali per il controllo di processi o meccanismi (robotica, automazione, industriale, ecc.), in genere con risultati estremamente soddisfacenti.

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La Logica fuzzy

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“radice, pietra, scoglio”, usata nel gergo marinaro fin dal XII secolo durante la navigazione in acque insidiose, senza tuttavia un particolare significato negativo (Merkhofer, 1987), per indicare una difficoltà da evitare (scogli semi-sommersi e secche che avrebbero potuto comportare colli-sioni, urti, incaglio), questo termine si è poi trasformato in rizikò- rizikón usato per indicare la fortuna, il destino, la sorte, del quale in generale non era precisabile né il tipo, né l’entità, né il tempo, fino a trasformarsi in risicum nel medioevo, dove a partire dal XIV secolo nell’ambito della navigazione e del commercio, si registrano i primi contratti “ad risicum et fortuna” che prevedono il pagamento di una somma convenuta a titolo di risarcimento all’assicurato nel caso di perdita totale o parziale di una nave e del suo carico. Il contratto redatto a Pisa dal sensale Boninsegna di messer Rinuccio il 13 aprile 1379 viene considerato come autentica prima polizza assicurativa di cui si abbia cono-scenza (E. Bensa, 1887). In esso, in effetti, s’identificano per la prima volta in modo inequivocabile sia la figura

La libertà chiamata in causa dal normatore

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dell’assicurato sia quella dell’assicuratore1.In questo tipo di contratto, che possiamo considerare primo autentico esempio documentato di valutazione dei rischi, viene applicato il “principio di equità” e quantificato il rischio: equivalente del prezzo pagato per la perdita attesa attraverso l’equazione R= P x M, nel modo del tutto analogo alle valutazione moderne2. In queste polizze il concetto di rischio esclude, l’idea di un errore o di una responsabilità umana, ma prende in consi-derazione tutta una serie di eventi, come ad esempio una tempesta che avrebbe potuto comportare un naufragio o la perdita delle merci, un incendio che avrebbe portato alla distruzione parziale o totale della nave e del carico, o un’e-pidemia che avrebbe potuto comportare la quarantena delle

1 Cfr. Enrico Bensa, “Il contratto di assicurazioni nel Medio Evo”, Genova, 1884.

2 Cfr. N. Marotta “Introduzione alla Sicurezza Civile e Industriale, Maggioli Editore, 2011, pag. 43.

Anche il terminerischio ha le sue

diverse accezioni

Il disastro dello Space Shuttle Challen-ger avvenne la mattina del 28 genna-io 1986 alle ore 11:38 della costa Est (le 17.38 italiane), all’inizio della missione STS-51-L, la 25ª missione del programma shuttle STS e il 10º volo del Challenger. Dopo 73 secondi dal lancio, avvenne un’esplosione che avvolse completa-mente l’orbiter e il serbatoio esterno. Dopo l’incidente, il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan nominò una commissione con a capo l’ex segretario di stato William Rogers e l’ex astronauta Neil Armstrong, per far luce sulle cau-se dell’incidente e per sviluppare con-seguenti misure di sicurezza. Le cause del disastro furono attribuite al difetto di progettazione di un anello di guarni-zione (O-ring) del razzo a combustibile solido posto alla destra della navetta. La commissione concluse che le respon-sabilità erano da ricercarsi in quel tipo di guarnizione e nella decisione della NASA, che aveva autorizzato il lancio nonostante la preoccupazione manife-stata prima del decollo da alcuni inge-gneri.

Il disastro dello Space Shuttle Challenger

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merci e delle persone.

È proprio, in questi contratti, che lo “sforzo in termini di sicurezza” di quegli uomini raggiunge risultati eccelsi, con l’introduzione, “sofferta” di un “rischio emergente” scono-sciuto fino allora al commerciante marittimo medievale, capace però di destabilizzare non poco l’intera attività commerciale se non addirittura bloccarla completamente: la pirateria.Sembrerà strano a molti, ma è questo, a mio avviso, uno dei primi casi documentati di strategia di pianificazione del rischio modellata su una sorta di criterio soggettivo di probabilità che consente di concretizzare, in termini monetari, un rischio caratterizzato da un’estrema incertez-za (rischio ignoto), problema oggi molto dibattuto, lungi dall’essere risolto dal punto di vista tecnico, è affrontato a livello normativo con l’introduzione del “principio della precauzione e dell’azione preventiva” previsto dall’art. 174, co. 2°, TUE (oltre che dall’art. III-223 del progetto di Trattato istitutivo della Costituzione europea) che non è un metodo di ricerca né un principio scientifico, ma sem-plicemente uno strumento politico di gestione del rischio.Adottare una strategia fondata su una probabilità non basata sulla frequenza, ma fondata solo sulle informazioni e credenze disponibili, per far fronte a un livello estremo d’incertezza, può, a mio avviso, essere considerata come uno dei primissimi esempi di concezione soggettivista della probabilità e un caso precoce di strategia flessibile di controllo pianificato del rischio, capace di assegnare un grado di fiducia a un evento ignoto, che getta le basi e amplia le possibilità di scoprire nuove tecniche di preven-zione e protezione dello stesso. Nulla è mai totalmente nuovo e i precedenti storici e le lezioni che da essi pro-vengono possono concorrere a capire meglio i problemi e a identificare le giuste scelte attuabili anche in epoca moderna.Per capire l’entità dello sforzo praticato dal commerciante marittimo di quel periodo bisogna ricordare che quello della pirateria fu un fenomeno tipico delle coste toscane, protrattosi fino al ‘700, che destò non poche preoccu-pazioni per mare e per terra. Le scorrerie barbaresche non si limitavano ad abbordare le navi mercantili, ma si spingevano fin nella terraferma ove uccidevano depre-davano e rapivano giovani e fanciulle, terrorizzando la popolazione (soprattutto in prossimità della costa tra Vada e Antignano)3. Gli assalti dei pirati saraceni erano conti-nui al tempo di Cosimo I dei Medici tanto da indurlo a prendere, importanti misure per ridurre l’alea di rischio; la più importante di queste misure fu la costituzione di

3 Un ricco repertorio iconografico costituito da tavolette di ex-voto dedicati ai pericoli del mare e agli assalti dei pirati è esposto nel Santuario di Montenero sulle colline livornesi. Tra gli oggetti più curiosi, il corpetto d’oro e le babbucce della giovane rapita dai Turchi per l’harem del sultano di Costantinopoli che fu liberata dal fratello, ai primi dell’Ottocento. P

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Dal greco Rhiza(scoglio) al risicum et fortuna

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una specifica flotta militare destinata al controllo della costa, detta Marina Stefaniana a seguito dell’istituzione a Pisa nel 1561 del Sacro e Militare Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, con il compito di proteggere i traffici mer-cantili toscani con azioni difensive ed offensive perpetrate ai danni dei pirati barbareschi ed ottomani soprattutto nel mar Tirreno4. È solo nel XVI secolo in cui la parola risicum viene tradot-ta nel toscaneggiante risicare (verbo) e risico (sostantivo), dalle quali ebbero origine le successive forme italiane, rischiare e rischio. Del resto ancor oggi nella città di Livorno esiste il palio de’ risi’atori che rievoca le gesta dei giovani portuali dei primi decenni del XVII secolo che si guadagnavano da vivere risicando (rischiando) sul mare il pane quotidiano. Ci piace ipotizzare che il proverbio toscano chi non risi’a non rosi’a, ancora oggi molto diffuso nella città labronica, possa avere questa lontana origine e al contempo evidenziare come lo stesso proverbio colga perfettamente la definizione che nel linguaggio comune viene dato a questo termine, in cui un evento incerto non è solo visto come foriero di negatività, ma anche capace di generare un’opportunità positiva. Con questo approccio più ampio si è progressivamente esteso, e oggi con tale significato viene applicato nella vita quotidiana ad una grande varietà di situazioni e in molte discipline scientifiche. Il rischio in campo ingegneristico è invece inteso in modo radicalmente diverso da quello usato nel linguaggio comu-ne, da cui deve essere adeguatamente separato. I rischi che utilizziamo in questo settore si riallacciano unicamente al concetto filosofico di “aspetto negativo delle possibilità” e presentano solo la possibilità di una perdita o di un danno; distinguendoli in tal modo da tutti gli altri vengono, per questo motivo, denominati “puri”. È valida la seguente affermazione: se esiste la possibilità di un danno esiste dunque un rischio e l’obbligo di ridurlo a valori accettabili. Per rendere operativo tale obbligo occorre chiarire il concetto di accettabilità pre-sente nella definizione della ISO/IEC GUIDE 51citata e risalire nel tempo al 1967 quando F. R. Farmer, propone per la prima volta la curva che prenderà il suo nome5. La curva di Farmer elaborata per lo studio di un inci-dente che aveva colpito un reattore nucleare di potenza provocando il rilascio di radioattività (Iodio 131), è fondamentalmente intuitiva ed evidenzia che all’aumen-tare delle conseguenze, la probabilità del verificarsi di

4 Simbolo della città di Livorno è il gruppo bronzeo dei Quattro Mori (1623 - 1626) raffigurante quattro pirati in catene, commissionato per celebrare le gesta dei Cavalieri di Santo Stefano, che affrontarono l’impresa di difendere le coste dalla minaccia dei pirati saraceni.

5 Prof. F. R. Farmer direttore dell’ UKAEA (United Kingdom Atomic Energy Autho-rity), l’Autorità del Regno Unito per l’energia atomica. P

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Nel 1379la prima polizza

assicurativa

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tali conseguenze diminuisce. Il rischio concernente una certa attività rischiosa è accettabile se la probabilità di una determinata conseguenza rimane al di sotto della curva proposta. Al contrario, la probabilità per valori al di sopra della curva, non sarebbe accettabile. Per ogni evento può essere disegnata quindi una curva di Farmer (Farmer Curve) che rappresenta la probabilità complementare cumulativa rispetto alla conseguenza di quell’evento. In tal modo si può pervenire a una valutazione quantitativa del rischio relativo a un determinato evento ogni volta che si fissa una scala di “Frequenza/Probabilità” e una della “Magnitudo” delle conseguenze di quell’evento. I valori possono essere calcolati per ogni livello di rischio. In questo modo è possi-bile un approccio probabilistico alla valutazione dei rischi, unica vera e propria “rivoluzione copernicana”, introdot-ta nella normativa statale di recepimento delle Direttive Europee. Stabilire se in riferimento ad un determinato

La curva di Farmer

Norma, tecnicacultura ed etica

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rischio siamo al di sotto o al di sopra della curva di Farmer che divide l’accettabilità dalla inaccettabilità, non è cosa semplice per tutta una serie di motivi, non ultimi quelli riconducibili alla percezione dei rischi e alle euristiche (tasti di scelta rapida) che, più o meno consciamente, ven-gono utilizzate dal nostro cervello per compiere in tempi rapidi delle scelte rischiose, ma che in determinate circo-stante falliscono perché calcolano la probabilità di morte in maniera diversa da come farebbe l’analista, essendo diverso l’obiettivo che intendono perseguire6. Il concetto di sicurezza fin qui descritto è tuttavia in senso assoluto un concetto astratto difficilmente traducibile nella vita reale; se riferito agli ambienti di lavoro può, in maniera semplificata, essere associato ad un insieme coordinato di attività che, avvalendosi della norma, della tecnica, della cultura e dell’etica, si pone come obiettivo l’assenza di potenziali eventi dannosi. La “norma” a cui si fa qui riferimento, sostanzialmente di tipo prescrittivo, relativamente facile da applicare, se da una parte ha avuto il vantaggio (non trascurabile) di aver dimezzato il fenomeno infortunistico dal dopoguerra ad oggi, non si è rivelata sufficientemente risolutiva negli anni successivi. L’approccio basato prevalentemente sulla punizione (modello accusatorio) si focalizza sugli errori e sulle mancanze degli individui, assumendo che le persone sbagliano perché disattendono a delle regole. Il contesto organizzativo è sullo sfondo: ne consegue che gli sforzi per rimediare sono diretti alle persone in prima linea con l’attribuzione della colpa. Se la persona è colpevole, questa va punita o sanzionata in quanto si tratta di una “persona che ha sbagliato”. Le soluzioni proposte e attuate sono principalmente disciplinari (punizione) e di rinforzo della norma (inasprimento della pena). Il problema è che questo approccio non produce quasi mai effetti positivi per il cam-

6 Cfr. Marco N. M. CARCASSI, Nicola MAROTTA, Percezione del rischio, euristiche e bias cognitivi, VGR 2012, Convegno Nazionale Valutazione e Gestione del Rischio negli Insediamenti Civili ed Industriali, Pisa, Ottobre 2012.

L’incidente di Flixborough (Inghilterra) si è verificato sabato 1 giugno 1974 alle ore 16,53 in un impianto chimico in funzione dal 1967, per la produzione di caprolattame da ossidazio-ne di cicloesano in ciclo-esanolo e cicloesanone e successivamente in acido adipico che è un monome-ro necessario per la produ-zione di fibre di nylon. La determinazione delle cau-se esatte dell’incidente fu affidata alla commissione di inchiesta sotto la pre-sidenza del Segretario di Stato Mr. Roger Parker, che iniziò le indagini il 2 luglio 1974 e la concluse dopo 70 giorni con l’audizione di 173 testimoni, l’esame dei rottami e la effettuazione di alcune prove. Presentò i propri risultati nell’aprile del 1975. La causa è stata attribuita ad una perdita in aria da un by-pass provvi-sorio di 30-50 t di cicloesa-no che formano una nube infiammabile. La nube, ve-nendo a contatto con una fonte di ignizione (proba-bilmente un forno nelle vicinanze di un impianto di produzione di idrogeno) si innesca provocando una esplosione non confinata (UVCE) nell’area dello sta-bilimento (28 morti, decine di feriti, 36 milioni di sterli-ne di danni materiali).

L’incidente di Flixborough

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biamento organizzativo, in quanto difficilmente cambia lo stato delle cose. Poiché guarda al passato, a ciò che è accaduto, tende a isolare gli errori dal loro contesto e non produce interventi di valore. La ricerca del colpevole crea un senso di paura di sanzioni e controversie legali e questo non favorisce il reporting degli errori e i ritorni d’esperienza da parte degli operatori. Poiché gli errori non sono riportati non possono essere corretti e l’organizzazione non è in grado di apprendere dagli errori commessi. In sintesi, l’ap-proccio accusatorio non consente quasi mai di eliminare le condizioni di rischio e non esclude la possibilità che uno stesso evento possa ripetersi con altri attori.Dico spesso ai giovani ingegneri di affrontare questa mate-ria con estremo rigore, serietà e prudenza, ma anche con una certa tranquillità, perché la sicurezza, per usare un termine mutuato dall’ingegneria strutturale è “robusta”, in quanto è intrinsecamente capace di mettere in campo tutte

La ricerca del colpevole,pauree inefficacia

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le proprie resistenze attraverso molteplici percorsi alter-nativi (ridondanti) previsti dalle stesse norme per evitare il danno, per cui alla fine non è così facile come si pensa arrivare a un incidente, anche se purtroppo ancora molti (troppi) sono gli infortuni che ogni anno si presentano in modo drammatico nel mondo lavorativo. Tuttavia la sicu-rezza presenta il proprio “tallone di Achille”, che a mio avviso è una delle cause di tali insuccessi, non tollera cioè che gli errori commessi nello svolgimento delle varie attivi-tà lavorative (che spesso sono ricorrenti e congeniti) siano nascosti, elusi, sottaciuti, occultati, molte volte per paura della sanzione prevista dalla stessa norma. In tal modo s’impedisce alla sicurezza di svolgere uno dei suoi compiti più importanti, che è quello di far emergere gli errori, le cose che non vanno, per poterle prima portare all’eviden-za e in seguito correggerle. Ritengo che l’introduzione in maniera risoluta dei sistemi premianti in ambito normati-

Utilità dei sistemi premianti

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vo sia la strada corretta per superare questo impasse. Premiare le persone (organizzazioni) che svolgono in sicurezza il proprio lavoro, è a mio avviso la strategia vincente per migliorare la situazione attuale7.Per quanto riguarda invece la “tecnica”, la capacità pratica, il saper fare, caratterizzata da un insieme di metodologie, regole e procedure, che definiscono i vari aspetti che riguardano l’expertise utile al raggiungimen-to di una corretta valutazione, vi è in primo luogo da dire che certamente l’analisi di rischio rimane in ogni caso uno strumento valido e insostituibile e con essa il calcolo probabilistico che riveste una particolare importanza, poiché ha il merito universalmente rico-nosciuto di calcolare il valore del rischio attraverso la probabilità di accadimento dell’evento e l’entità delle sue conseguenze. Tale analisi deve tuttavia esse-re aperta all’uso di modelli di stima della plausibilità di un evento che spinge l’analista a calcolare con le parole anziché con i numeri, riuscendo in tal modo a descrivere l’incertezza e la complessità di un sistema mediante valori intermedi, sfumati (fuzzy). Un concetto che è descritto molto efficacemente dalla logica fuzzy, o logica sfumata o logica sfocata, una forma speciale di logica multivalente estensione della logica booleana introdotta dall’ingegnere statunitense di origini persiane Lofti Zadeh negli anni ‘60, che tenta di generalizzare la logica classica avvicinandola il più possibile al modo di pensare umano. Il tema della misurazione della complessità e dell’incertezza viene a essere quindi al centro dell’interesse degli analisti e a generare nuove proposte teoriche e scientifiche, che lasciano intrave-dere interessanti prospettive in particolare per la valu-tazione dei rischi ignoti, quei rischi oggetto di analisi e valutazione che si impongono già adesso all’attenzione degli ingegneri e lo saranno maggiormente nei prossimi anni, di cui in pratica non conosciamo niente o pochis-simo e che possono contenere un effetto sorpresa: un effetto che in origine si ignora completamente e che si rivela solo successivamente con gravi conseguenze8. Vedo in questo più che un problema, una sfida per le nuove generazioni di ingegneri che sempre più fre-quentemente verranno chiamati a fornire giudizi esper-ti in condizione di incertezza, ignoranza e complessità. L’incertezza, l’ignoranza, e complessità non si escludo-no a vicenda, ma sono tre aspetti di minaccia generale; possono essere considerati come i “tre nemici della

7 Cfr. Giuseppe BELLANDI, Nicola MAROTTA, Utilizzo dei sistemi premianti basati su indicatori aziendali legati a salute e sicurezza nei luoghi di lavoro alla luce della riforma Brunetta. VGR 2012, Convegno Nazionale Valutazione e Gestione del Rischio negli Insediamenti Civili ed Industriali, Pisa, Ottobre 2012.

8 Cfr. N. Marotta, Introduzione alla Sicurezza Civile e Industriale, Maggioli Edi-tore, 2011, pag. 343. P

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sicurezza”, quando si presentano insieme nella valuta-zione dei rischi, delle strategie devono immancabilmente essere prese per poterli affrontare e governare. Ecco allo-ra la necessità di una modellizzazione matematica che tenga conto della natura, non precisa né ben definita di questi tre elementi.La mia generazione ha avuto la possibilità di poter usu-fruire di una straordinaria mole di ricerche sviluppate dal mondo scientifico negli anni 60 e 70. Una delle più importanti ricerche si ebbe nel 1975 per merito dell’autorità di controllo statunitense (NCR) che pub-blicò il Reactor Safety Study (WASH 1400), più noto come “Rapporto Rasmussen” (RSS), un documento di 21 volumi in cui era contenuta un’analisi dettagliata delle possibilità di incidente e delle conseguenze in reatto-ri di tipo LWR (Light Water Reactor, reattori ad acqua leggera) quali PWR (acqua bollente) e BWR (acqua in pressione). Si tratta di una pietra miliare, che racchiude gli studi sulla sicurezza svolti all’Istituto di Tecnologia del Massachussetts sotto la direzione del Professor Rasmussen, allo scopo di valutare i rischi da inciden-ti potenziali dei reattori nucleari di potenza. A questi studi contribuirono 60 tecnici e consulenti di varie parti del mondo, effettuando in un triennio (1972-1975) uno sforzo di circa 70 anni-uomo con un costo di circa 4 milioni di dollari. L’analisi in questione si pronuncia sulla probabilità che avvenga un incidente nucleare. Del 1978 è un altro importante studio fondamentale per l’ingegneria della sicurezza: il primo rapporto Canvey (area industriale situata alla foce del Tamigi) commis-sionato un anno dopo l’incidente di Flixborough (1974) dalla Health and Safety Commission (HSC) che incari-cò nel 1975 un nutrito gruppo di tecnici per affrontare (per la prima volta) il problema sicurezza di impianti non nucleari con metodologie affidabilistiche, a cui fece seguito un secondo rapporto nel 1981.Gran parte di quello che oggi sappiamo nel campo dell’in-gegneria della sicurezza e che troviamo scritto nei testi universitari si deve alle ricerche sviluppate da quei ricer-catori e studiosi in quegli anni. Successivamente la comu-nità scientifica, pur rimanendo presente nel settore della sicurezza, non ha più avuto la possibilità di produrre studi di quella portata. Pertanto nuove soluzioni, che aiutano a capire come valutare i rischi emergenti in un prossimo futuro, ancorché da verificare e validare, vanno accolte con interesse, in quanto non sono tanto importanti per assegnare un valore al rischio, compito questo attribuito alle metodologie tradizionali ormai consolidate (FMEA/FMECA, HAZOP, FTA, ETA, etc.), quanto per conoscere se il livello di complessità critica di un determinato siste-ma rappresentabile nell’iperspazio del pericolo è vicino o lontano nel tempo e, in base a questa conoscenza, stabilire quali decisioni prendere. La ricerca e lo studio di questi fattori rappresenta l’obiettivo di una nuova scienza nata in Francia nel 1987, ma che solo recentemente si è P

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sviluppata: la ”Cindyniques ou Sciences du danger”9.Alla Cindyniques si deve il merito di aver affrontato il pro-blema della sicurezza nella sua globalità, tenendo conto di tutte le sue “dimensioni”, siano esse tecniche come i modelli di calcolo e le statistiche, o gestionali e sistemici, come gli obiettivi, le regole e i valori, attraverso un modello codificato - e quindi scientifico - che lo rende applicabile a tutte le sue manifestazioni, qualunque sia il sistema all’interno del quale il rischio si produce e si osserva.È dunque fuori discussione ormai che tra gli analisti di rischio e tra coloro che devono decidere in materia, vi sia la consapevolezza che la sicurezza ingloba dimensioni sociali, culturali ed etiche, oltre che normative e tecniche ed è que-sta la direzione in cui devono essere impiegati gli sforzi per migliorare la situazione esistente.In questa situazione basilare vi è il concetto di cultura della sicurezza che viene portato alla conoscenza dell’umanità nel 1986 dopo il drammatico incidente di Chernobyl che ha messo in evidenza l’importanza della stessa cultura della sicurezza sui fattori organizzativi e umani che sono in grado di influire sulla determinazione degli avvenimenti. Infatti, in quel tragico incidente, che occorse all’unità quattro della centrale posta in vicinanza della cittadina di Pripyat in Ucraina, il più grave della storia del nucleare civile, che ha coinvolto gran parte del pianeta, è stata evidenziata a tutti i livelli, dalla progettazione del reattore, alla gestione dell’im-pianto, alla preparazione del personale ed alla conduzione dell’esperimento che in quel momento si stava cercando di attuare, la mancanza di una “cultura della sicurezza”, ovvero di quell’atteggiamento di base che sempre dovrebbe guidare le azioni di tutti coloro che sono coinvolti nella rea-lizzazione e gestione di sistemi complessi, potenzialmente rischiosi. Il termine “cultura della sicurezza” (safety culture) è stato quindi utilizzato per la prima volta dall’ International Nuclear Safety Advisory Group (INSAG),10 proprio in occa-

9 La Cindynique nacque nel 1987 a conclusione del convegno internazionale sul rischio organizzato a Parigi dall’U.N.E.S.C.O., che aveva riunito oltre 1500 spe-cialisti provenienti da tutto il mondo per discutere, dopo gli incidenti di Chernobyl in Russia e di Bhopal in India, il tema del controllo del rischio tecnologico. Il Pre-sidente Onorario dell’Associazione dei Quadri e Dirigenti di Industria e Professo-re alla Sorbona, George-Yves Kervern, propose di chiamare questa nuova scienza “Cindynique” (dal greco kινδυνος che vuol dire pericolo) o “Scienza del Rischio”. Alcuni fanno risalire le Cindyniques al terremoto di Lisbona, la scienza esordisce quando la fede viene meno. Il terremoto di Lisbona del 1755 fu l’occasione di una polemica ben conosciuta da Voltaire e Rousseau il cui risultato fu soprattutto il ri-fiuto dell’uomo di accettare la fatalità. In un certo senso, è la prima manifestazione pubblica di ciò che caratterizza fondamentalmente la gestione dei rischi; il rifiuto di subire passivamente e la volontà di agire attivamente sul proprio futuro contenendo al massimo l’aleatorietà, riducendo il dominio dell’incertezza.

10 L’International Nuclear Safety Advisory Group (INSAG) è un gruppo di esperti con elevata competenza professionale nel campo della sicurezza nucleare. INSAG is convened under the auspices of the International Atomic Energy Agency (IAEA) with the objective to provide authoritative advice and guidance on nuclear safety appro-aches, policies and principles. L’INSAG nasce sotto l’egida dell’International Atomic Energy Agency (IAEA) che ha sede in Vienna (Austria), con l’obiettivo di fornire pa-reri autorevoli e orientamenti sulle strategie di sicurezza nucleare.

Cindyniques ou Sciences du danger

Il problema affrontato nella sua globalitàe scientificamente

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sione del resoconto successivo all’incidente di Chernobyl, nel quale la cultura della sicurezza è stata definita come: “L’insieme delle caratteristiche e degli atteggiamenti indivi-duali e di gruppo che stabilisce, come assolutamente priori-tario, che i problemi della sicurezza di una centrale nucleare debbano ricevere la giusta attenzione che meritano a causa della loro importanza”11. In seguito all’incidente di Chernobyl, in letteratura, si sono succedute numerose definizioni della cultura della sicurez-za, e nonostante che negli anni 80 vi sia stata una grande quantità di ricerche condotte in questa direzione, il con-cetto resta ancora sostanzialmente lo stesso, e anche se con alcune importanti differenziazioni e diversificazioni è applicabile a qualsiasi sistema complesso. Con l’evoluzione degli strumenti capaci di misurarla si è poi giunti a definirla come un “prodotto” che può essere monitorato. Tra questi strumenti rivestono estrema importanza i Sistemi di Gestione della Sicurezza (SGSL) previsti anche all’art. 30 del Decreto Legislativo 81/2008, obbligatori solo per le industrie (RIR) a rischio di incidente rilevante, ma che, a mio avviso, dovreb-bero essere implementati in ogni sistema complesso12. Per ultimo dobbiamo parlare di etica. Il fine dell’etica della sicurezza che viene utilizzata per promuovere la cultura della sicurezza, prevenire comportamenti a rischio e per far assumere la responsabilità della propria e altrui incolumità si evince da questa definizione: misura qualitativa conven-zionalmente accettata del comportamento di ogni singolo lavoratore che si basa su regole comportamentali, non neces-sariamente derivanti da obblighi di legge, indispensabili per promuovere la cultura della sicurezza, prevenire situazioni di rischio e per far assumere la responsabilità della propria e altrui incolumità13. L’interesse per l’etica in campo ingegneristico è oggi dovuto alla necessità di istituire un giusto ordine di valori, un siste-ma di motivazioni e di dissuasione, che consenta di operare in certi settori a elevato rischio infortunistico e in un’eco-nomia di mercato sempre più concorrenziale, in condizioni di sicurezza e in conformità con la legislazione vigente. Tradizionalmente l’etica (dal greco ethikos ovvero “abitua-le”, derivante a sua volta da ethos “costume”, “condotta”, “carattere”, “consuetudine”) viene trattata dai filosofi o dai teologi, come quella parte della filosofia che studia i fonda-menti oggettivi e razionali che permettono di distinguere i

11 C.fr International Nuclear Safety Advisory Group (INSAG): (Safety Series No 75- INSAG-3), Basic Safety Principles for Nuclear Power Plants, Evaluation of CHER-NOBYL DISASTER, International Atomic Energy Agency, Vienna, 1988; (Safety Series No 75- INSAG-4), SAFETY CULTURE, A report by the International Nuclear Safety Advisory Group, International Atomic Energy Agency, Vienna, 1991.

12 Cfr. Massimo MAMMINI , Alessandro INNOCENTI, Fulvio MARANDOLA, Nicola MAROTTA, Implementazione di un SGSL secondo le UNI-INAIL, le OHSAS18001 ed il modello organizzativo coerente con il D.Lgs.231/01 per la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. VGR 2012, Convegno Nazionale Valutazione e Gestione Del Ri-schio negli Insediamenti Civili ed Industriali Pisa, Ottobre 2012.

13 Cfr. N. Marotta, Introduzione alla Sicurezza Civile e Industriale, Maggioli Editore, 2011, pag. 470.

La lezione di Chernobyl

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comportamenti umani in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi, sbagliati o moral-mente inappropriati e che indica i criteri per la loro valuta-zione. L’etica della sicurezza affonda le sue radici nel disa-stro del Quebec Bridge del 1907. Un collasso progressivo, dovuto a un cedimento iniziale per instabilità flessotorsiona-

le dell’asta A9L della briglia inferiore com-pressa (guasto struttu-rale), riconducibile al comportamento non eticamente corretto dell’ingegnere proget-tista e responsabile del montaggio dell’opera Theodore Cooper. Per questo motivo, oltre ad essere commemo-rato ogni anno il 29 agosto con due ceri-monie distinte, una in Canada e l’altra presso la comunità Mohawk che pagò in un solo giorno il tributo di ben 33 ironworkers (leggendari funambo-li dell’acciaio), viene ricordato e studiato

Il collasso del ponte Que-bec sul fiume S. Loren-zo (Canada) è avvenuto il pomeriggio del 29 agosto 1907 alle 17,37, dopo quat-tro anni di lavori, in soli 15 secondi. Il Quebec Bridge doveva essere il più grande ponte a sbalzo al mondo del tipo cantilever, desti-nato a stabilire un record per la presenza di un arco centrale di acciaio a sbalzo di 1800 piedi (548,6 metri), quasi 46 metri sopra il pelo dell’acqua, per consentire il passaggio di navi di lun-go corso. Un grave errore commesso dal progettista Theodore Cooper fu quel-lo di aver assunto nel cal-colo tensioni ammissibili a compressione, successiva-mente definite “inusuali”, ben oltre i limiti accettati dalla pratica ingegneristica corrente, senza che fosse stata fatta alcuna prelimina-re prova sperimentale sui materiali e sulle strutture.

Il ponte Quebec

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anche nelle facoltà di ingegneria di molte università canade-si e americane, ove viene praticato il The Ritual of the Calling of an Engineer, un rituale che prevede la consegna di un anello di ferro (Iron Ring) che la tradizione vuole sia forgiato (e i primi forse lo erano veramente) con i rottami del Quebec Bridge indossato dai neolaureati ingegneri canadesi al dito mignolo della mano da lavoro per ricordare loro, sempre, oltre agli impegni presi nei confronti della società, che la vita e la salute di molte persone risiede nelle proprie mani. È tuttavia solo nel 1986 (annus horribilis) che l’etica s’impo-ne prepotentemente nel campo ingegneristico a seguito della relazione Rogers sul disastro dello Space Shuttle Challenger causato dal difetto di una guarnizione, detta O-ring, nel seg-mento inferiore del razzo destro a propellente solido (Solid-fuel Rocket Booster, SRB), prodotta dalla Morton Thiokol, riportando violentemente in primo piano questo principio. L’incidente fu un esempio, purtroppo emblematico, di come la complessità della condotta etica presupponga che da una parte vi sia un “informatore” con forte moralità che abbia la forza di denunciare “soffiando il fischietto” e da qualche parte ci sia “un’autorità competente” che sappia apprezzarla e che possa prendere dei provvedimenti.È a seguito di questo disastro che nasce negli Stati Uniti e in Gran Bretagna il “whistleblowing”, strumento legale previsto per agevolare l’informazione tempestiva di eventuali tipo-logie di rischio: pericoli sul luogo di lavoro e minacce alla salute; principio sconosciuto al nostro ordinamento giuridi-co, ma essenziale in presenza di conflitto di interesse. La discussione sull’etica della sicurezza, pur potendo sem-brare a prima vista quasi un esercizio teorico, risulta essere, invece, di cogente attualità (lo testimoniamo i numerosi codici etici di cui le società oggi si dotano), in quanto solo una riflessione seria sulle regole poste alla base del  funzio-namento del sistema, può portare a dei processi di miglio-ramento delle condizioni di sicurezza. L’etica è di supporto alla sicurezza quando rivendica l’azione buona, la prassi, l’applicazione e lo stile di vita aziendale. Il ruolo delle rego-le, e ancora prima dell’esempio, rappresentano l’applicazio-ne pratica del rispetto della vita umana che debitamente sal-vaguardata, concorre attraverso il lavoro al benessere e alla crescita sociale. Etica della sicurezza è dunque quella disci-plina volta a comprendere i valori morali che dovrebbero guidare la pratica ingegneristica verso maggiori condizioni di sicurezza per le persone. Non un’etica teorica ma pratica, che si manifesta in comportamenti tangibili, visibili, “misura-bili”. Quando l’organizzazione segue una precisa condotta etica, la sicurezza risultante cresce e diventa maggiore di quella prodotta dalla somma dei singoli sforzi impiegati per ottenerla, si ottiene cioè quello che è chiamato un guadagno di sicurezza. Solo ricorrendo all’etica è possibile “guadagna-re sicurezza”, ottenere cioè più di quanto si è speso. Parlando di etica della sicurezza non parliamo di leggi, ma di comportamenti dell’uomo, del dovere di fare la cosa giu-sta, quale ad esempio quello di creare maggiore sicurezza promuovendo comportamenti responsabili, eliminando i pericoli, riducendo i rischi, prevenendo i danni, stimolando

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la partecipazione e il coinvolgimento dei lavoratori. Azioni che spostano l’etica dal piano teorico delle definizioni generali e dei principi etici di base (basic ethical principles) verso un impegno connesso con gli aspetti più concreti della sicurezza e del vivere civile riguardanti gli innumerevoli problemi pratici attuali dell’uomo inerenti la prevenzione dei comportamenti a rischio, compresi quelli relativi agli ambienti di lavoro. In definitiva, anche se da molti ridut-tivamente considerata la disciplina dei limiti e dei divieti, l’etica della sicurezza in campo ingegneristico recupera il suo più profondo significato nella misura in cui si rivela in grado di condurre il singolo a porre il significato e il valore del proprio agire costantemente in rapporto con l’eventuale incidenza negativa delle proprie azioni. Per il lettore che ha avuto la pazienza di seguire il ragio-namento fino a questo punto, rimane l’ultimo sforzo da compiere. Ho cercato fino ad ora di illustrare quello che, a mio avviso, dovrebbe essere la sicurezza, adesso cercherò di esprimere il mio punto di vista su com’è in realtà oggi la sicurezza. Volendo quindi illustrarla in modo ironico e del tutto personale, lo faccio avvalendomi della seguente vignetta che ha almeno il pregio di sintetizzare, più delle parole, la situazione attuale.

Delle quattro colonne che sorreg-gono il frontone greco, preso a simbolo della “SICUREZZA”, è visi-bile quella relativa alla “normativa”, rappresentata con qualche difetto per ricordare quelle criticità descrit-te in precedenza. La colonna della “tecnica” vistosamente lesionata, presenta una robusta cerchiatura che ne evidenza l’inadeguatezza e la necessità di un “rinforzo” che tenga conto di nuove metodologie di valutazione da affiancare a quelle esistenti. Le colonne della cultura e dell’etica sono invece crollate e al loro posto sono stati disposti, da qualche volenteroso, dei puntelli provvisori. Ecco il nostro sforzo che, come ingeneri, in questo momento, siamo chiamati a compiere è quello di ripri-stinare la “statica della sicurezza”, ricostruire cioè quelle colonne dete-riorate o distrutte che consentono a

questo “costrutto mentale” di rimane-re in piedi. Quando la normativa si sforzerà di superare il limite imposto dalla “blame culture”, la tecnica di fornire gli strumenti per valutare tutti i rischi compresi quegli ignoti, e quando

la cultura e l’etica della sicurezza diver-ranno dei veri e propri pilastri, più semplice

La consegna dell’anello di ferro (iron ring) avviene, in molte università canadesi, a seguito di una solenne ce-rimonia (Iron Ring Ceremo-ny). Questa cerimonia è evi-dentemente un insieme di tradizione e folclore, ma re-sta il fatto che ha il pregio di far riflettere sull’importanza della professione di inge-gnere soprattutto quando si ha a che fare con la salute e la sicurezza delle persone. L’anello è indossato sul dito mignolo della mano da lavo-ro in modo che si possa tra-scinare attraverso qualsiasi superficie sulla quale l’inge-gnere scrive o disegna, for-nendo un costante richiamo al giuramento prestato. La prima cerimonia è stata te-nuta il 25 aprile 1925 all’uni-versità di Montreal.

Iron ring

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sarà il lavoro dei futuri ingegneri che si occuperanno di que-sta delicata materia.Nessun dubbio, quindi, che, senza cultura ed etica della sicurezza, con tutta probabilità, nuove norme di tipo prescrit-tivo, nuovi obblighi, nuove e più gravi sanzioni, difficilmente saranno in grado, da sole, di ridurre in maniera drastica gli infortuni, costringendo le nuove generazioni di ingegneri ad affrontare questo fenomeno con una frustrazione e impoten-za maggiore di quella che oggi contraddistingue il nostro operato. È dunque lo sforzo, in questa sede più volte evo-cato e invocato, che arricchisce la definizione di sicurezza, intesa come “libertà dai rischi inaccettabili” di un corollario a mio avviso indispensabile, che accresce questo concetto di spessore e contenuto e che lo valorizza per mezzo di un parametro definibile e quantificabile nella: “misura dello sforzo necessario per attuarla”; parametro importante non solo perché quantitativo, ma soprattutto perché significativo del livello culturale presente in un determinato contesto lavorativo. Uno sforzo che, tutti noi, in diversa misura, nel corso della nostra attività professionale, siamo eticamente chiamati a compiere, per “guadagnare” quella prospettata libertà, senza la quale non sarebbe in alcun modo possibile parlare di sicurezza o meglio di ciò che abbiamo in questo articolo definito: insicurezza accettabile.

Ripristino della “Statica della Sicurezza”

Il traguardo dell’insicurezza

accettabile

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SICUREZZA

Mentre giornali e televisioni pubblicano costantemente necrologi economici, assistiamo quasi impotenti ad un per-sistente declino sociale. Raramente è possibile leggere ed ascoltare, da politici e esperti, idee convincenti che inco-raggino almeno sperare in una via d’uscita non totalmente lasciata al caso.Spesso - ai più fortunati come il sottoscritto - resta la sen-sazione di essere naufraghi del progresso, aggrappati alla zattera del proprio lavoro, nella disperata speranza di rag-giungere la terraferma, con il pensiero rivolto ai tanti che già sono caduti nel mare della disoccupazione.

Ing. MASSIMO UGHI

L’importanzadel lavoro di squadra

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L’importanzadel lavoro di squadra

In un dvd di Usl e Confindustria

In tema di igiene e sicurezza sul lavoro, evidentemente, le sofferenze conseguenti la crisi economico-finanziaria si sono amplificate e, anche sotto questo aspetto, le idee latitano.Partecipando ai convegni in materia, difficilmente assistiamo alla convincente e “disinteressata” proposizione di soluzioni tecniche economicamente costose, a meno che esse stesse non siano foriere, oltre che di benefici in termini di salute e sicurezza dei lavoratori, anche e principalmente di conve-nienze in termini di produttività.Nei seminari viene spesso enfatizzato quel costante ritor-nello secondo il quale all’interno dei luoghi di lavoro scar-

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seggia la non ben identificata “cultura della sicurezza” e, altro leitmotiv, che il Legislatore, in tema di formazione ed informazione, abbia puntato troppo sull’ampliamento degli obblighi.In realtà, chi passa gran parte del suo tempo lavorativo “sul campo” a contatto con le persone, quale che sia il ruolo che esse ricoprano, si rende conto che i corsi di formazione spesso generano noia. E i discenti, specie nelle grandi realtà lavorative, vengono frequentemente sommersi da concetti destinati ad essere dimenticati appena usciti dall’aula.Con questo non voglio dire che la formazione è inutile. Penso piuttosto che sia sterile l’interpretazione che ne è stata data dai recenti accordi Stato-Regioni. La pubblicazione di tali accorgimenti legislativi, ha imposto alle aziende degli obblighi comunque pesanti, che nella maggior parte dei casi vengono ottemperati mediante lezioni frontali, oppure mediante metodologia FAD (estendendo impropriamente il concetto di e-learning); così facendo, l’adempimento assu-me un valore quasi esclusivamente formale che non permet-te l’avanzamento culturale all’interno dei luoghi di lavoro come, probabilmente, era nelle più genuine intenzioni del Legislatore.

Corsi di formazione,sì, ma come?

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Se da un lato è di indubbia difficoltà imporre per legge un modello formativo in cui possano essere ben identificabili ed oggettivabili in termini di risultati attesi ed ottenuti i tre prin-cipi cardine di un processo educativo, ovvero le conoscenze (il sapere scientifico), le capacità (il saper fare, le abilità professionali) e le qualità (il saper essere cioè quell’insieme di doti personali necessarie all’orientamento verso compor-tamenti corretti), dall’altro è pur vero che il Legislatore si è in gran parte affidato alle società formative accreditate; così facendo si è tentato di colmare un vuoto normativo effetti-vamente difficile da riempire, affidandosi alla professionalità ed esperienza di aziende che fondano parzialmente o total-mente il loro core business su attività formative.L’obiettivo, però, non è stato ancora centrato perché anche i percorsi formativi studiati e realizzati da enti accreditati, se spesso incidono sulle conoscenze e talvolta riescono a interferire con le capacità (comunque generalmente imple-

mentate da addestramento aziendale), raramente riescono ad incidere sull’ultimo e forse più importante dei tre principi: il saper essere, da cui discende anche la capacità di stare e di lavorare in team.E, forse, è proprio quest’ultima qualità che necessita di essere enfatizzata. Soprattutto per noi italiani che spesso facciamo dell’individualismo una bandiera, contraddicendo i tantissimi esempi di cui è costellata la nostra stessa Storia che, in maniera più o meno esplicita, dimostrano come l’u-nione faccia la forza. In virtù di questo concetto, alcuni enti pubblici, quali l’azienda USL6 di Livorno e Confindustria Livorno, avviarono nel periodo Novembre/Dicembre 2009

Conoscenza, capacità

e qualità:i princìpi

del processoeducativo

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un progetto comunicativo per realizzare un filmato inerente la sicurezza sul lavoro da distribuire gratuitamente ad azien-de e lavoratori mediante DVD. Scopo del video era quello di esaltare il concetto di “squadra” sul lavoro e di essere fruibile sia da datori di lavoro e lavoratori, sia da categorie diverse quali quelle studentesche.

Il percorso per la realizzazione del progetto è stato lungo e faticoso ma alla fine, nel Gennaio 2012, è stato prodotto un film dal titolo “Sicurezza, un impegno di tutti!”, della durata di circa 10 minuti, in cui si dimostra non tanto la responsabi-lità che attiene ad ruolo aziendale (datore di lavoro, preposto e lavoratore), quanto l’importanza che il comportamento del singolo, ad ogni livello gerarchico funzionale, possa essere importante nello spostare il “destino” di una persona.Il paragone tra i singoli ruoli nell’organizzazione del lavoro ed i movimenti di una biglia sui piani forati del gioco “il tra-bocchetto” ha reso più esplicito il concetto di “insieme” e, soprattutto, l'importanza che ciascuno assume sul lavoro per ridurre il rischio di infortunio proprio e dei colleghi.Il video ha ottenuto avuto un apprezzabile riconoscimento in tutte le occasioni in cui è stato presentato: nella sede europea dell’OSHA a Bilbao, all convegno nazionale INAIL “Seminaria” e alla biennale di Modena dove è stato inse-

Sicurezza, un impegno di tutti!

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rito nel Catalogo 2012 della Rassegna-Concorso “Inform@zione”.

Una delle prime sfide da vincere, quindi, potrebbe essere quella di alimentare con costanza e determinazione il con-cetto di squadra: l’azienda, qualsiasi azienda, è composta da persone ed è necessario che ognuna sia consapevole di quanto il proprio modo di porsi possa influire sulla propria sicurezza e su quella altrui. Questa tesi, chiaramente, non è una novità. Già con la “vecchia” 626 veniva imposta ad ognuno l’adozione di comportamenti corretti, al fine di pre-servare la salute e sicurezza propria ed altrui; nel contesto attuale, in cui le risorse tecniche, finanziarie ed umane sono ridotte all’osso, il precetto appena espresso, però, diventa ancor più di vitale importanza. La collaborazione, la coo-perazione, la comunicazione reciproca e l’assunzione con-creta delle proprie responsabilità non possono che essere gli elementi fondanti di una gestione del lavoro che, comunque, fatichiamo a definire “nuova”.Da molti anni ormai i concetti di lavoratore – totale credi-tore di sicurezza - e datore di lavoro – totale debitore di sicurezza - hanno la necessità di essere superati in nome del tanto decantato ma ancora non ben compreso “sistema sicurezza”.Oggi invece viviamo ancora delle guerre intestine aziendali tra rappresentanze dei lavoratori e rappresentanze dei quadri dirigenziali, basate spesso su accuse reciproche e mancate o parziali comunicazioni. Come due coniugi orgogliosi che pur di non fare il primo passo vanno verso il divorzio consa-pevoli di sbagliare grossolanamente, nelle aziende lavoratori e dirigenza evitano di esporsi l'uno verso l'altro rinunciando a tutti i possibili vantaggi di un miglioramento “microclima-tico” pur di non rischiare di darne uno in più a quella che è concepita come “controparte”.In questo modo, chiaramente, non solo non vi sono vantag-gi per nessuno ma vi è una accelerazione dell'avvitamento delle nostre imprese verso la crisi economica e culturale che attraversa in maniera sempre più capillare il nostro tessuto produttivo.Un signore, circa settecento anni fa, concludeva una storia descrivendo un gruppo di naviganti anziani che sulla loro barca ripensavano alle loro eroiche avventure vissute e si avviavano verso quella che ormai erano convinti fosse la fine della loro esistenza. Il loro comandante però, non sentendosi vinto, li esortò verso un ulteriore sforzo alla ricerca di un nuovo atto eroico e di una “nuova” vita; se immaginiamo le nostre spesso litigiose aziende come quella barca che in balia della crisi economica e di idee si avvia verso quello che sembra un ineluttabile destino, forse le parole che quel signore disse per interposta persona possono scuotere anche noi come scosse quel gruppo di anziani eroi: “Considerate la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza" (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno canto XXVI, 116-120).

La collaborazione indispensabile

tra lavoratori e datori di lavoro

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“NOI CI SIAMO. Ingegneria: Tutela e Sviluppo” è stato il tema del 57° Congresso Nazionale degli Ordini degli Ingegneri d’Italia che si è tenuto dal 12 al 14 settembre 2012 presso il nuovo Palazzo dei Congressi di Rimini.L’edizione ha visto la partecipazione di una platea di oltre 1200 intervenuti in rappresentanza di tutti i 106 Ordini provinciali italiani della categoria con liberi professionisti, dipendenti di enti pubblici, docenti universitari provenienti da tutta Italia per discutere dei temi cruciali per lo sviluppo della professione e della capacità di incidere, attraverso l’at-tività svolta, sulla società migliorando le condizioni di vita e la sicurezza dei cittadini.

Dopo il saluto all’assemblea del sindaco di Rimini Andrea Gnassi, si sono aperti i lavori con le attese relazioni di Marco Manfroni, Presidente Ordine Ingegneri della Provincia di Rimini, Antonio Marzano, Presidente C.N.E.L. (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), Armando Zambrano, Presidente C.N.I. (Consiglio Nazionale degli Ingegneri). Al centro del dibattito è stata posta la figura dell’ingegnere, da considerare come risorsa per invertire l’andamento negativo della produttività e dell’occupazione (che determinano il tasso di sviluppo reale del Paese) e per favorire soluzioni e proposte sostenibili, grazie al suo contributo in termini di conoscenze e capacità. Si è poi sottolineata l’esigenza che l’unità e la solidarietà nei

A Rimini il 57° Congresso

Nazionale degli Ordini degli Ingegneri d’Italia

ALESSANDrO NOVELLI

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confronti dei giovani diventino ideali condivisi, e l’auspicio di giungere ad una stagione di investimenti eliminando i lacci burocratici che li ingessano.

Durante il Congresso è stata presentata la ricerca dal titolo Ingegneria: tutela, sviluppo e occupazione al 2020 da cui si è partiti per affrontare insieme a prestigiosi relatori temi riguardanti la prevenzione ambientale e sismica, le energie rinnovabili, il sostegno ai giovani professionisti che si affac-ciano nel mondo del lavoro, offrendo uno scenario previsio-nale per gli Ingegneri in Italia riferito al periodo 2012 – 2020.All’interno dello studio sono emersi i connotati di una realtà in cui il peso dell’evoluzione tecnologica sarà sempre più marcato, contrassegnato dall’interconnessione degli oggetti o “Internet delle cose”, e l’utilizzo di nuovi materiali nei tre settori: civile, industriale ed elettronico. La tecnologia sarà determinante anche nella messa in sicurezza dei territori e nella tutela dell’Ambiente. A tal proposito si è sottolineata una mancanza della cultura della prevenzione che, con una corretta pianificazione urba-nistica, potrebbe ridurre notevolmente il rischio di alluvioni, frane ed erosioni della costa.A livello economico avranno sempre più rilevanza il settore energetico (tecnologie, infrastrutture, politiche), la manuten-zione territoriale e la riqualificazione ambientale, in un’otti-ca di uso sostenibile del territorio.Secondo la direttiva europea del 2009, entro il 2020 il 20% (poi ridotto al 17%) dell’uso dell’energia dovrà provenire da fonti rinnovabili, ma al momento tale percentuale oscil-

Ingegneria: tutela,

sviluppo e occupazione

al 2020

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la ancora in Italia tra il 6% e il 7% rendendo sempre più urgente la promozione di cambiamenti strutturali ma anche culturali che conducano a un più consistente risparmio ener-getico a livello nazionale.Dagli studi condotti emerge anche la tendenza alla continua crescita di lavori per l’adeguamento delle costruzioni rispet-to a quelli relativi alle nuove edificazioni.Analizzando la figura professionale emersa con questo studio previsionale, si nota come l’ingegnere che verrà for-mato dovrà sempre più essere “dual thinker” per risultare competitivo nell’ambito lavorativo, ossia un professionista in cui competenze tecnologiche e competenze manageriali coesistono, e mentre la specializzazione sarà una prerogati-va richiesta nel breve periodo, per i futuri laureati si auspica una competenza di carattere generale, che permetta loro di affrontare riconversioni lavorative richieste dai repentini cambiamenti dello scenario economico.Più in generale, si sono modificati gli ambiti di specializza-zione: storicamente gli ingegneri si ripartivamo principal-mente per competenze nel settore edile, meccanico, chimi-co ed elettrotecnico. Ora si affacciano diverse nuove specia-lizzazioni: gestionale, informatica, industriale, ambientale, biomedicale…

Oltre che per i citati ambiti di discussione di grande spesso-re, il 57° Congresso si è contraddistinto per la significativa rappresentanza di giovani professionisti under 35, per la prima volta invitati come congressisti ufficiali; un segnale positivo e incoraggiante che il Consiglio Nazionale degli Ingegneri e l’Ordine degli Ingegneri di Rimini hanno voluto dare ai giovani ingegneri. Si è trattato di un’importante ed innovativa decisione che, in questo delicato momento di congiuntura economica, testimonia l’impegno e la sensibi-lità degli Ordini verso le problematiche dei giovani colleghi che rappresentano un segmento della categoria sempre più significativo, da sostenere e tutelare. Si registra in media, infatti, un numero di nuove iscrizioni agli Ordini superiore rispetto a quello degli ingegneri che ne escono, e cresce

Professionistidual thinker

Under 35,per la prima volta congressisti ufficiali

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anche il numero di ingegneri donne.Al Congresso di Rimini era perciò presente anche il Network dei Giovani Ingegneri, un progetto promosso dal CNI per coinvolgere le nuove generazioni di professionisti, raccor-dando le esperienze di tutte le realtà provinciali, affinché i singoli possano trarre benefici per la propria crescita profes-sionale ma possano anche incidere nelle decisioni dell’Or-ganizzazione di categoria.“Le commissioni provinciali che formano il Network – spie-ga l’ing. Matteo De Angeli, della Commissione Giovani dell’Ordine Ingegneri Provincia di Rimini – nascono dal fatto che tutti i giovani professionisti sono accomunati dalle stesse situazioni e problematiche, legate all’evoluzione di una professione che non è più quella degli anni Sessanta o Settanta, quando gli studi di ingegneria erano molto meno degli attuali. Sono diversi i giovani iscritti agli Ordine ma sono anche tanti quelli che non ne fanno parte, non veden-done il vantaggio immediato. E invece il vantaggio c’è, soprattutto adesso che il nuovo CNI si è dimostrato molto più ricettivo verso i giovani colleghi e che gli stessi hanno la possibilità di incidere all’interno dell’Ordine. Tra i temi cen-trali di questo Congresso, infatti, sono stati affrontati quello della regolazione del lavoro dei giovani ingegneri presso gli Studi professionali e quello di una formazione permanente che venga svolta da soggetti riconosciuti dal CNI o da iscritti ai singoli ordini provinciali”.

Il 57° Congresso ha provato dunque a fornire una risposta all’esigenza di coniugare lo sviluppo del Paese ad una fase di così grave instabilità finanziaria ed economica, in un contesto caratterizzato da risorse limitate e criticità ambien-tali sempre più stringenti, in cui si dovrà cogliere la sfida dell’innovazione tecnologica che pervaderà i tre settori ingegneristici per eccellenza – quello edile, industriale ed elettronico - in un mercato del lavoro bloccato, di fatto, “chiuso” alle nuove generazioni che maggiormente, invece, possono apportare una ventata di cambiamento.

La sfida dell’innovazione

per andare incontroal cambiamento

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L’ingressoufficialedel NetworkGiovani

Al 57° Congresso Nazionale degli Ordini degli Ingegneri di Italia a Rimini, per la prima volta, ogni Ordine Provinciale ha potuto far partecipare ai lavori, con i propri congressisti, rappresentanti delle Commissioni giovani. La collaborazione ed il confronto tra generazioni diverse ha contribuito a migliorare i dibattiti, le iniziative, i progetti presentati nei tre giorni di Congresso. Il Congresso è stata l’occasione, anche per la Commissione Giovani dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Livorno, di costruire rapporti con i rappresentanti di altri Ordini per individuare il ruolo delle Commissioni Giovani nello sviluppo di interessi comuni. A questo scopo è stato costituito e presentato al Congresso il Network nazionale Giovani Ingegneri, il “motore “ tra tutte le Commissioni. La proficua sinergia tra le Commissioni giovani a livello nazionale è stata attivata presso l’Ordine di Livorno il 7 dicembre scorso, quando si è svolta una riunione in telecon-ferenza con le Commissioni Giovani dell’Ordine di Napoli e di Siracusa. Nell’occasione, partendo dalle rispettive espe-rienze vissute a Rimini, è iniziato un confronto propositivo. Della nascita del Network, del ruolo che questo organismo vorrà assumere e dei programmi che intenderà attuare per favorire una moderna ed efficace collaborazione tra Ordini, parleranno i rappresentanti delle Commissioni Giovani di Brescia (sede del prossimo Congresso Nazionale).

Irene Sassetti Referente Commissione Giovani Ordine di Livorno

IrENE SASSETTI

GABrIELE PELLEGrINO

MAUrO VOLONTè

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Il Network Giovani è un organo di confronto e di coordi-namento nazionale tra i Rappresentanti delle Commissioni Giovani attivate presso gli Ordini degli Ingegneri delle Province Italiane. È nato il 18 maggio 2007 a Roma, durante il terzo di una serie di incontri organizzati dal CNI e presieduti dal consi-gliere del CNI - delegato alle politiche giovanili, allo scopo di portare in evidenza i problemi legati ai giovani ingegneri in ambito lavorativo e professionale.In quella occasione è stato costituito un “gruppo di studio”, con l’obiettivo di occuparsi concretamente delle tematiche inerenti i giovani ingegneri. L’assemblea, composta da circa 22 Ordini provenienti da tutta Italia, avanzò l’esigenza che il “gruppo di studio” fosse espressione dell’intero territorio nazionale in modo che potessero emergere più efficacemen-te le problematiche dei giovani laureati.Per tale motivo, all’Atto della costituzione del Network Giovani, anche per rendere le attività più snelle ed il Coordinamento più efficace rispetto a quello nazionale, è stato deciso di dividere il territorio per Macro Aree territoriali.Sono così state individuate la Macro Area Nord, la Macro Area Centro e la Macro Area Sud. Nel corso della stessa riu-nione del neonato Network a Roma sono stati eletti a mag-gioranza i “Coordinatori” per ognuna delle tre Macro Aree, scelti fra i Rappresentanti delle Commissioni lì convenuti.L’idea era quella di consentire ai Responsabili delle Commissioni Giovani appartenenti alla propria Macro Area di interfacciarsi più frequentemente attraverso riunioni locali con lo scopo di avanzare proposte o evidenziare le proble-matiche dei Giovani Ingegneri. Il coordinamento nazionale sarebbe poi stato assicurato da riunioni periodiche del Network, presieduto dal Referente del CNI, con la partecipazione dei “Coordinatori” della Macro Aree ovvero direttamente dei Responsabili delle Commissioni Giovani dei diversi Ordini, con lo scopo di riportare al CNI le proposte, tematiche emerse durante gli incontri (di Macro Area e/o nazionali).Il primo risultato dell’attività svolta dal Network è stato la formulazione di un questionario, inviato, previa autorizza-zione del CNI, a tutti gli Ordini d’Italia, dal quale emerse in modo evidente che il numero degli ingegneri sotto i quarant’anni iscritti agli Ordini provinciali poteva attestarsi intorno al 40% (questa percentuale ad oggi è sicuramente

La divisionein tre macro aree

territoriali

Da Roma (2007)a Rimini (2012), passando per Torino e Bari

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aumentata) e che molti Ordini non avevano ancora attivato la commissione giovani al loro interno.Sulla scorta dei risultati dell’indagine, il CNI ha successiva-mente esortato tutti gli Ordini Provinciali ad attivare presso la propria sede una Commissione Giovani che si occupasse di tematiche giovanili.In assenza di indicazioni chiare sia a livello nazionale che provinciale, l’organizzazione interna delle Commissioni Giovani è sorta in sostanza spontaneamente, prendendo a modello le esperienze delle Commissioni che per prime si sono costituite all’interno degli Ordini Provinciali e la cui presenza negli anni si è dimostrata importante e significativa per tutti gli iscritti. Ciascun Ordine, nell’esercizio del proprio operato, ha poi provveduto autonomamente a definire età di riferimento per i membri della Commissione e modalità con cui la stessa avrebbe dovuto interfacciarsi con il Consiglio Direttivo.In maniera analoga anche le attività del Network Giovani e delle Macro Aree si sono sviluppate come organi nuovi in modo sostanzialmente autonomo, a partire dall’iniziativa dei presenti.Nel corso dell’ultimo biennio il numero degli Ordini parte-cipanti alle riunioni nazionali è incrementato notevolmente, come è stato possibile riscontrare in occasione delle recenti riunioni convocate a Roma.

Tra i temi affrontati:tariffe, università, tirocinio e previdenza

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Anche i temi trattati nelle riunioni del Network Giovani, sia a livello nazionale sia di Macro Area, sono diventati più specifici, seguendo in questo i cambiamenti che la categoria sta mostrando negli ultimi anni: dall’abolizione delle tariffe professionali alla crescita del numero degli iscritti, dalle riforme degli ordinamenti universitari, dalle nuove figure professionali che ne discendono, al tirocinio obbligatorio, alle forme di collaborazione che hanno seguito la riforma Biagi e al riordino degli istituti previdenziali.Un altro passo in direzione dei giovani ingegneri è rappresen-tato, ad esempio, dalla Prima e Seconda Raccomandazione del Documento Conclusivo del Congresso Nazionale di Torino nel settembre 2010, in cui è stato proposto di istituire un Tavolo Permanente sulle tematiche giovanili, con la pre-senza di un’adeguata componente giovani, ed un’indagine del Centro Studi sulle modalità di collaborazione tra datore di lavoro e “professionista economicamente dipendente”.Lo spirito delle riunioni delle Macro Aree è sempre stato quello di garantire la massima partecipazione e trasparenza nella condivisione di problematiche comuni e nell’avanza-mento di proposte ed iniziative.All’interno della Macro Area Nord, dopo il congresso di Torino, i singoli componenti hanno lavorato su due fronti: • Monitorare lecommissionigiovaniprovincialiattivenel

Tavolo Permanentee un’indagine delCentro Studi

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Nord Italia.•Analizzare la bozza di riforma delle

professioni, evidenziando criticità e proposte dei giovani ingegneri appartenenti alle singoli com-missioni provinciali del Nord Italia;

Per quanto riguarda il primo punto, è stata favorita l’atti-vazione delle Commissioni giovani mediante la sinergia tra gli Ordini. L’obiettivo è stato quasi raggiunto, poiché in molte regioni si sono attivate le commissioni giovani e in partico-lare all’interno della regione Lombardia è presente in tutti gli Ordini provinciali la commissione giovani.Per quanto riguarda il secondo punto sono stati affrontati i seguenti argomenti:• Tirocinioprofessionale;• FormazioneContinuaPermanente;• Temadelprecariatosubitodaigiovaniliberiprofessionisti;• Disciplinared’Incarico.I temi sono stati trattati durante riunioni che hanno portato all’elaborazione di un documento condiviso da proporre al Network Nazionale.Durante il 56° Congresso Nazionale degli Ordini Ingegneri tenu-tosi a Bari nel settembre 2011, il Network Commissioni Giovani è intervenuto nel dibattito esponendo temi a “sostegno dei gio-vani ingegneri”. I punti emersi dal Congresso sono stati:1 Istituire presso il CNI un Osservatorio Nazionale Giovani

Ingegneri per un adeguato monitoraggio delle dinami-che occupazionali dei giovani e per il rispetto delle pari opportunità e della libera concorrenza, con particolare attenzione all’individuazione ed eliminazione di barriere all’ingresso;

2 Prevedere agevolazioni economiche sul costo della formazione continua permanente obbligatoria per tutti i giovani (fino 40 anni), almeno per i primi tre anni di iscrizione;

3 Il tirocinio obbligatorio dovrà avere una durata massima di un anno con possibilità di svolgere parte di esso duran-te il percorso universitario. Formalizzare un disciplinare o altro tipo di contratto che evidenzi i contenuti dell’attività da svolgere, l’orario e la remunerazione che dovrà essere stabilita secondo parametri nazionali. Si rende necessa-rio un reale e costante monitoraggio delle attività svolte durante il tirocinio;

4 Introduzione obbligatoria del disciplinare d’incarico;5 Prevedere in merito all’assicurazione professionale obbli-

gatoria, delle agevolazioni economiche per i giovani, attraverso opportune convenzioni nazionali tra CNI e compagnie di assicurazione.

Nella mozione congressuale, approvata al termine dei lavo-ri, è stato inserito questo contributo prevedendo quindi il

Le Commissioni si diffondono in tutto il Paese

Abbatterele barriere d’ingresso

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coinvolgimento del Network ai lavori di riforma della pro-fessione.Con il rinnovo del CNI si è svolto un primo incontro tra la Macro Area Nord e alcuni consiglieri del CNI, in particolare con il vice presidente Gianni Massa, delegato dal CNI per il Network, al fine di intraprendere insieme un percorso pro-positivo.Successivamente si sono svolti due incontri a Roma per discutere e condividere collegialmente il lavoro iniziato dalla Macro Area Nord sulla riforma delle professioni e defi-nire una posizione unanime da avanzare al CNI e portare al Congresso Nazionale Ingegneri. Ma è stato il 57° Congresso Nazionale Ingegneri di Rimini che ha visto un reale cambiamento per il Network Giovani.Infatti grazie all’iniziativa di coinvolgimento dei giovani, promossa dal CNI e dall’Ordine di Rimini, per la prima volta i rappresentanti delle Commissioni Giovani sono stati invitati come congressisti ufficiali e sono stati protagonisti insieme agli altri colleghi, con la possibilità di intervenire sia nei lavori congressuali, sia nella discussione finale prima della mozione.Un Congresso  dove non si è parlato di Giovani, ma dove hanno parlato i Giovani Ingegneri!Per la prima volta all’interno di un Congresso Nazionale i referenti delle commissioni Giovani Ingegneri d’Italia sono intervenuti dando il loro contributo sul tema della “Tutela, Sviluppo e Occupazione” , con proposte per il futuro dei giovani e più in generale della categoria.Si sono svolte tre tavole rotonde parallele sulla tutela e svi-luppo nei tre settori dell’ingegneria: Civile e Ambientale, Industriale, Informazione.In ognuno di esse ha partecipato, un esperto di settore, un consigliere del CNI e due giovani ingegneri appartenenti al Network.La rappresentanza di giovani professionisti under 35, uno per ogni ordine provinciale italiano, ha permesso a nuove commissioni giovani appena istituite o in fase di definizione all’interno del proprio Ordine provinciale di conoscere il Network giovani.Al termine del Congresso Nazionale, il Network è cresciuto oltre le aspettative.All’interno di 65 Ordini provinciali, in tutte le regioni ad eccezione del Molise, è presente la commissione giovani o un referente che sta definendo l’attivazione della stessa.È indispensabile che il Network prosegua questo cammino, supportando e favorendo l’attivazione delle commissioni giovani in tutto il territorio nazionale allo scopo di condi-videre le idee e proposte e favorire la sinergia tra le stesse.Solo così potrà proseguire questo cammino intrapreso nel 2007 e grazie alle future generazione dare sempre più mag-giore prestigio al Network.

Gabriele Pellerino Referente Commissione Giovani Ordine di Brescia

Mauro VolontèReferente Commissione Giovani Ordine di Como

Tutela, sviluppo e occupazione:

parlano i giovani ingegneri

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Siamo finalmente giunti alla conclusione del primo anno di vita della Commissione Giovani Ingegneri dell’Ordine di Livorno ed è tempo di fare le dovute valutazioni su ciò che è stato e ciò che sarà.Di seguito si riassumono gli argomenti trattati durante la riu-nione del 4 Dicembre scorso per tutti coloro che purtroppo non sono potuti intervenire e allo stesso tempo per informare su alcuni dettagli magari non emersi durante l’incontro.Prima di proseguire ci sentiamo in dovere di sottolineare che presumibilmente ci sono state difficoltà sotto il profilo organiz-zativo perché nessuno di noi conosceva la struttura burocratica del nostro Ordine e di conseguenza non sapevamo che qualsiasi attività o proposta, da noi ideata e organizzata, dovesse superare un iter abbastanza lungo per l’eventuale approvazione.Vi basti pensare soltanto che ogni proposta deve essere giu-stamente e chiaramente vagliata dal Consiglio che si riunisce mediamente una volta al mese. Detto questo è plausibile che il consiglio richieda approfondimenti dei temi prima di vali-darli e quindi le decisioni, affermative o negative che siano, hanno tempi abbastanza lunghi.Si è palesata un’immediata euforia e voglia di fare per lavorare su idee e programmi. In quest’anno ci sono stati momenti di difficoltà dovuti alla presa di coscienza del fatto che non era possibile ottenere subito i risultati del lavoro, ma era necessario seminare nel breve tempo per vedere i frutti nel medio-lungo periodo.

Commissione Giovani A Livorno una partenza tecnologica

ING. ALESSANDrO SCHEVEGEr

ING. DIANA ArTZ

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Si concludeil primo anno

di attività

Dopo il primo incontro conoscitivo il 18 Gennaio (vedere Pantheon n. 149, ndr), al quale molti di voi hanno parte-cipato e che è servito da banco di prova generale per tutti, abbiamo cercato di capire quanti iscritti avevano intenzione di crescere professionalmente confrontandosi con gli altri iscritti ed abbiamo cominciato a prendere coscienza delle energie sulle quali potevamo contare.In quell’occasione abbiamo avviato alcune proposte di lavo-ro e raccolto qualche idea su cosa i giovani iscritti pensava-no fosse giusto fare per migliorare il nostro Ordine.L’incontro aveva messo in moto l’organizzazione di una riu-nione/dibattito organizzata per l’11 Maggio sul tema della fiscalità per gli Ingegneri; un incontro a cui hanno aderito a fare da moderatori alcuni commercialisti livornesi specializ-zati sugli argomenti trattati e facenti parte della commissione giovani commercialisti.Il filo conduttore dell’incontro è stato quello di far prendere coscienza a tutti i liberi professionisti di quali potessero esse-re e in quale entità, le spese che un tecnico deve affrontare per poter offrire un servizio eticamente professionale e quin-di valutare di conseguenza le proprie notule in proporzione.Un workshop apprezzatissimo che ha avvicinato circa un centinaio di professionisti tra architetti e ingegneri e che ci ha fatto riflettere sulla possibilità di riproporlo, su tematiche affini, anche nel 2013.Da questo incontro siamo approdati direttamente a quello

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citato del 4 Dicembre. Chi non è a contatto con noi potrà pensare che c’è stato un “rilassamento” da parte nostra; in verità il tempo dedicato per l’Ordine è aumentato, proprio in virtù del successo riscontrato nei precedenti incontri. Questo periodo di tempo ci è servito per conoscere meglio il consiglio, capire quali potessero essere le esigenze conci-liabili, in che cosa il nostro apporto potesse essere realmente utile visto il momento storico, conoscere le altre commis-sioni giovani a livello nazionale (grazie alla partecipazione al 57° congresso dell’ordine a livelli nazionale) e cercare di capire se fosse percorribile una strada comune a livello regionale e nazionaleCome già accennato all’inizio, quando si devono avanzare proposte più articolate di un semplice incontro, le difficoltà aumentano e quindi i tempi di realizzazione subiscono una conseguente dilatazione.Nell’incontro di Gennaio, si è subito palesata la necessità di realizzare un efficiente sito internet. Ritenevamo indispen-sabile che l’Ordine potesse contare su un luogo di incontro telematico più al passo con i tempi e, se possibile, precur-sore di nuove sfide.Se il 4 Dicembre siamo riusciti a far vedere qualcosa del nuovo sito in costruzione è grazie all’impegno della com-missione giovani che ha fatto l’impossibile per farlo appro-vare dal Consiglio.Il nuovo sito dell’ordine, realizzato da un giovane gruppo di ingegneri e tecnici di Livorno, renderà il lavoro del consiglio e delle varie commissioni ancora più efficiente è ci consenti-rà di essere visibili e visitabili a livello di network nazionale.La commissione avrà finalmente una propria mail dove presumibilmente potrete inviare le vostre richieste/proposte e dove noi invieremo le nostre comunicazioni dirette (sarà importante, qualora non lo aveste già fatto, che forniate all’Ordine i vostri indirizzi mail). Ad oggi, infatti, le nostre comunicazioni vengono proposte all’Ordine ed eventual-mente diffuse con una aggravio di burocrazia e tempistiche.Il sito internet, che a noi piace chiamare “portale”, sarà quindi un modo rapido e veloce per poter comunicare effi-cacemente tra tutti gli iscritti e permetterà una crescita espo-nenziale delle potenzialità dell’Ordine non solo nell’ambito cittadino e provinciale, ma anche a livello Nazionale.Ci permettiamo una piccola parentesi sul Congresso Nazionale che si è svolto in Settembre e che è stata l’occa-sione per scoprire l’esistenza di altre “commissioni giovani” già in molte province della Toscana e d’Italia; alcune di esse già esistono da alcuni anni e sono ben organizzate, altre invece stanno nascendo adesso – come la nostra - ed hanno, come noi, molta voglia di confrontarsi.La scoperta dell’ambito nazionale ci ha permesso di prende-re coscienza che non siamo soli e che possiamo confrontarci con altre realtà per portare attività sempre nuove e crescere molto più velocemente.Proprio in virtù di questo confronto del 4 Dicembre, abbia-mo voluto simbolicamente palesare questa volontà di con-fronto avviando una videoconferenza in diretta con l’Ordi-ne degli Ingegneri di Napoli e la loro commissione giovani

Videoconferenzain direttacon Napoli

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e indire un breve dibattito con loro sui temi trattati.Di seguito una piccola disamina di alcuni appuntamenti previsti per l’inizio dell’anno che verrà:Nei primi due mesi del 2013 saranno organizzati un ciclo di incontri (ad oggi ne sono previsti quattro, ndr) sul tema della sicurezza, tenuti da alcuni tecnici di spicco, ognuno per un settore diverso (controllori, controllati, altro) che si chiuderanno con un workshop dove parteciperanno tutti professionisti coinvolti dando vita ad un dibattito denso di spunti di riflessione;È in fase di definizione il corso di Public Speaking, ovvero un appuntamento importante per tutti coloro che sentono la necessità di approfondire il modo di parlare in pubblico, affrontare un colloquio di lavoro o fare magari da relatore per un convegno;Oltre quelli illustrati, ci prefiguriamo di attivare ogni corso o dar voce ad ogni idea emersa nell’incontro del 4 dicembre.Ricordiamo inoltre che, trasversalmente alle attività della commissione giovani, esiste il gruppo della redazione di Pantheon che, come la Commissione Giovani, necessita di idee e novità!Il nostro augurio è quello di vedere la partecipazione di sem-pre più persone, giovani e meno giovani, all’interno dello staff redazionale di Pantheon; è un’occasione per poterci incontrare al di fuori degli incontri ufficiali e di poterci conoscere per poter dibattere e confrontarci sul futuro di tutti noi consentendo alla nostra Stefania Fraddanni di avere un supporto sempre nuovo e fresco su cui contare.Per chi fosse interessato ricordiamo di inviare una mail all’Ordine degli Ingeneri di Livorno con la richiesta di esse-re inserito all’interno della lista per le comunicazioni degli incontri redazionali.

I responsabili della Commissione GiovaniIng. Alessandro Scheveger

Ing. Diana Artz

Workshop sulla sicurezza

e corso di Public Speaking

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ordi

ngli.

it.

Nel settembre 2012, il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Livorno, ha deliberato la realizzazione del nuovo porta-le web, dopo aver affidato la gara a tre società differenti e scegliendo l’offerta qualitativamente e quantitativamente più vantaggiosa.Il progetto del nuovo portale web dell’Ordine degli Ingeneri di Livorno nasce dall’esigenza di un adeguamento tecnolo-gico e di contenuti.Inizialmente partito come idea di restyling per adeguarsi anche nell’aspetto ai siti di altri ordini, il progetto si è evo-luto nel tempo fino a configurarsi come un vero e proprio portale il cui scopo è quello di migliorare la fruibilità dei contenuti attraverso l’uso di nuove tecnologie informatiche. Responsabile del sito sarà l’ing. Gabriele Da Re che con Trigo Design ha formulato la proposta vincitrice della gara per la realizzazione del progetto.Il portale convoglierà tutte le informazioni, le news, gli eventi, le offerte di lavoro, le comunicazioni e quant’altro riguarda il mondo dell’ordine. L’operatività del portale sarà garantita dalla semplicità di inserimento dei contenuti e dalla possibilità di effettuare tale operazione in totale autonomia. Il portale si prefigge come scopo quello di creare un punto di riferimento per gli iscritti così da facilitarne l’interazione sia con gli altri iscritti che con gli organi dell’ordine stesso, affiancandosi ed integrando l’attuale sistema di comunica-

Il nuovo sito webdell’Ordinedegli Ingegneridi Livorno

ING. DIANA ArTZ

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www.ordingli.it.Il nuovo sito webdell’Ordinedegli Ingegneridi Livorno

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ordi

ngli.

it. zione che si avvale prevalentemente dell’uso delle email.Il nuovo portale web dell’Ordine si prefigura come lo strumento necessario per l’efficienza dell’Ordine stesso. Sulla base delle esigenze degli iscritti e della struttura del consiglio dell’Ordine, oltre per dare voce alla nuova spina propulsiva della Commissione Giovani Ingegneri, il capito-lato ha richiesto che venisse redatto un portale in grado di gestire le seguenti informazioni ed aree:

• Segreteriadell’Ordine(orari,sede,contattitelefonomaile pec etc....)

• Contattiutili

• Dovesiamo(indirizzipostali,numeriditelofax,indi-rizzi e-mail, eventuale mappa)

• Il Consiglio dell’Ordine(presidente, vicepresidente,segretario, tesoriere, consiglieri)

• Lecommissionidell’Ordine(giovani,sicurezza,ambien-te, sismica, ecc.)

• L’albodegliiscrittidell’OrdinedegliIngegneridiLivorno(elenco degli iscritti a disposizione di tutti)

• IlCodicedeontologicodelCNI

• Calendario eventi e news (calendario con elencati gliappuntamenti di interesse dell’ordine: consigli, riunione pantheon, ordine del giorno etc....)

• LinkeDownloads(tuttiifilescaricabiliutilipergliinge-gneri)

• ArchiviodeititolidisponibilidellaBibliotecadell’Ordi-ne

• Pannellodicontrollo(areaadusoesclusivodegliaddettiper aggiornare e gestire le apposite aree dinamiche del sito)

• Pubblicità(banneretc...)

• Mappadelsito

• InformazionisuiBandieconcorsieserviziresidall’Or-dine o da Società/Enti affiliati

• Area“Offrolavoro”

• RivistaPantheononline

• commissionepantheon

• ultimonumero(scaricabiledalsitoinpdfesfogliabileinanteprima, storico dei vecchi numeri)

Inoltre sono state richieste:

• ideazioneesviluppolayoutgrafico

• CMSperlagestionedeicontenutidelportale

• areagestionalecondiversilivellidiaccesso(utenteregi-strato, pubblicista e amministratore per esempio)

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www.ordingli.it.

• areadownloadegestionedeifile

La proposta di layout che era stata fornita dal consiglio e dalla commissione giovani, par-tiva da un layout molto semplice ma efficacie:

I numeri rappresentavano le varie aree da dedicare al sito, in ordine di importanza e gran-dezza.Attraverso vari incontri con la società scelta, sono state propo-ste alcune soluzioni per la parte estetica del sito, tra cui le due seguenti versioni successive:1 logo+scritta

2 menù orizzontale

3 menù verticale

4 novità dell’Ordine – Pantheon

5 codice deontologico

6 pubblicità

7 contatti-mail-telefono-sede legale

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La prima bozza di layout stesa fu la seguente:

L’ulteriore bozza di layout, dopo varie analisi e correzioni, è stata quella riportata di seguito:

Infine, dopo ulteriori incontri, si è deciso di approdare ad una soluzione come quella visionabile sul sito dell’Ordine: www.ordingli.it.ww

w.or

ding

li.it.

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In questo ultimo periodo il nostro paese si trova in una crisi finanziaria tra le peggiori dal dopoguerra.Le Aziende utilizzano in maniera massiccia la cassa integra-zione, rischiano di chiudere o chiudono.Molte persone rimangono senza un lavoro e pochissime real-tà stanno assumendo del personale.La situazione risulta simile anche negli altri paesi ad esclu-sione dei BIC per cui non si ravvisano a breve segnali di ripresa.Nell’attesa che il Governo proponga e metta in atto degli strumenti per rilanciare il potere di acquisto delle famiglie e la competitività delle imprese magari agendo sul cuneo fiscale, sul costo dell’energia e riattivando il volano del credito innescando quindi una spirale di rilancio degli inve-stimenti e ripresa dell’occupazione, le Aziende dovranno intanto agire in maniera autonoma per migliorare la propria competitività con strumenti rapidi ed efficaci.Una situazione analoga è già accaduta in passato per Aziende oggi molto blasonate; Toyota nel 1959, Porsche nel 1994 e Ducati nel 1996 sono finite in bufere finanziarie e tutte e tre rischiavano di chiudere ma tutte e tre sono uscite vincenti. Come hanno fatto? Hanno cambiato il loro modo di vivere l’Azienda e di gestire le rispettive organizzazioni.

La crisi come opportunitàdi cambiamento

“L’esperienza giapponese è basata sulla diversità di metodi e strumenti e non su insormontabili diffe-renze di mentalità”

Giovanni Agnelli

Ing. STEFANO UGHI

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Un settore fortemente competitivo come quello automobi-listico ha sviluppato una strategia operativa chiamata lean thinking. Questo approccio “filosofico” è stato poi esportato in molti settori industriali e terziari.Sviluppare dei processi lean permette di rendere snella l’Azienda migliorando le performance operative attraverso un sistematico miglioramento delle funzioni, una riduzio-ne degli sprechi con un aumento del valore percepito dal Cliente.Molte organizzazioni lavorano finalizzate alla massimiz-zazione delle efficienza degli impianti ma in questo modo rischiano di incrementare le scorte di magazzino in maniera indefinita perché perdono di vista la richiesta del Cliente.Il cambio di visione epocale riguarda lo sviluppo di processi orientati al Cliente, io produco cosa vuole il Cliente, quando vuole il Cliente nella quantità e con la qualità richiesta.Con questo approccio viene a modificarsi anche la defi-nizione stessa di qualità; una Azienda lavora in qualità quando fornisce un prodotto/servizio nei tempi richiesti dal Cliente, ad un costo competitivo e conforme alle specifi-che. Nel Mondo attuale non c’è più posto per Aziende che producono componenti o servizi ineccepibili ma con tempi diversi dal concordato oppure a costi fuori dal mercato.Toyota ha iniziato questo processo da molto tempo, è stato stimato che ogni anno vengono analizzate, implementate e documentate nel gruppo circa un milione di piccole azioni di miglioramento che in 60 anni fanno 60 milioni di attivi-tà!! Non miglioramenti di grande entità ma piccoli migliora-menti che affinano i processi rendendoli più semplici, meno faticosi, più sicuri.La cultura dell’Azienda dovrà evolversi verso un atteggia-mento propositivo nel risolvere i problemi e non nel nascon-derli, l’obiettivo deve essere quello di affrontarli in maniera congiunta con tutte le persone coinvolte ricercando una causa origine e non una responsabilità, un atteggiamento dei “5Chi?” dovrà essere sostituito dai “5 perché?” per sco-prire le vere cause origine dei problemi.L’esistenza di ogni Azienda si giustifica solamente con la creazione di un prodotto/servizio appetibile verso i propri clienti che sono disposti ad offrire un prezzo per ottenere il prodotto/servizio.Attraverso i cinque principi lean si permette di riorganiz-zare l’Azienda in modo da generare “valore” intendendo con valore tutto ciò che viene riconosciuto dal Cliente, dai dipendenti, dagli azionisti e dalla collettività.Dalle linee di produzione è stato quindi un passaggio natu-rale applicare le tecniche lean anche ai processi comple-mentari e quindi a tutti gli uffici.In una Azienda produttiva viene stimato che i processi che si identificano nella infrastruttura aziendale “pesano” tra il 25% ed il 60% in funzione del decentramento e della ester-nalizzazione della attività produttive.Nel mondo degli uffici talvolta si trovano delle difficoltà nel tradurre in termini quantitativi gli elementi organizzativi che tradizionalmente vengono considerati qualitativi.Il fine è quello di ottenere uno o più flussi a seconda delle

I cInque prIncIpIdeL Lean thInkIng

1. VaLue: ripensare al va-lore dal punto di vista del cliente

2. Map: disegnare il flusso del valore ed individua-re attività non a valore aggiunto

3. FLOW: eliminare le bar-riere interfunzionali e organizzarsi per pro-cessi

4. puLL: il cliente richiede il servizio (non servono le previsioni!)

5. perFectIOn: non c’è fine al processo di mi-glioramento continuo.

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tipologie di prodotto/servizio fluidi e continui, pulsanti con la stessa frequenza delle pulsazioni del mercato.Tipicamente le attività non a valore aggiunto e quindi fonte di spreco possono essere individuate nei controlli, nelle veri-fiche, nelle archiviazioni, nelle firme, nelle autorizzazioni.Durante l’analisi dei nostri flussi dobbiamo chiederci se sia necessario stampare un certo documento, se non sia possibi-le un’archiviazione elettronica, se il “giro” di firme autoriz-zative sia tutto necessario.Nella elaborazione della MAP andremo a tracciare tutti i tempi spesi per la lavorazione ed i tempi di attesa tra una fase e l’altra del processo, questi tempi influenzano diret-tamente il tempo di attraversamento (lead time) e quindi generano una perdita.In giapponese il concetto di spreco si traduce con MUDA, in quella società lo spreco è molto più di un inconveniente ma è qualcosa di intrinsecamente negativo che impatta anche in un risvolto sociale e che quindi deve essere combattuto.Nella letteratura vengono individuati sette tipi di Muda:1. Difetti nei prodotti2. Sovrapproduzione non necessaria di beni/servizi3. Magazzini di beni in attesa di ulteriori lavorazioni o di

utilizzazione4. Lavorazioni non necessarie5. Spostamenti non necessari (di persone)6. Spostamenti non necessari (di beni)7 Attese dei dipendenti che aspettano che si concludano le

attività a monteL’identificazione dei MUDA e delle MAP viene spesso generata attraverso dei cantieri KAIZEN. Si tratta di team di lavoro interfunzionali composti da personale eterogeno ma comunque coinvolto nel flusso in analisi (operatori, esperti consulenti) che in funzione di obiettivi chiari, definiti, quan-tificabili e condivisi, creano anche con l’aiuto della tecnica del fresh eyes review un documento che definisce ed individua potenzia-li aree di intervento.In generale le regole per realizzare il cambiamento sono:1. Tentare nuove azioni piuttosto

che perdersi in discussioni2. Agire subito3. Provare e riprovare anche in pre-

senza di errori (sempre rimanen-do nel ragionevole!)

4. Prediligere interventi “rozzi e rapidi” piuttosto che “eleganti e lenti”.

Per mantenere nel tempo l’orien-tamento agli obiettivi proprio del cantiere Kaizen si ritiene necessa-rio utilizzare la tecnica del “visual management”.La gestione a vista permette tramite delle semplici bacheche il mante-nimento sotto controllo dei flussi di

I sette sprechI per un Lean OFFIce:

1. sOVra-LaVOrazIOne: aggiunge maggior valore ad un servizio di quanto siano disposti a pagarlo i clienti;

2. traspOrtO: movimen-ti non necessari di mate-riali o informazioni;

3. MOtO: movimento inu-tile di persone o docu-menti;

4. scOrte: qualsiasi cosa in corso di lavorazione che è in eccesso rispetto a quanto è richiesto dai clienti;

5. teMpO di attesa: qual-siasi tempo che passa tra quando un’attività di processo finisce e una successiva attività inizia;

6. dIFettO: qualsiasi aspet-to del servizio che non corrisponde al bisogno del cliente;

7. sOVra-prOduzIOne: produzione di output di utilizzo oltre il necessa-rio per l’uso immediato.

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lavorazione. Nelle bacheche devono trovare il loro posto le informazioni sullo stato di avanzamento del lavoro, le istruzioni di lavoro, deve essere predisposta per condividere in modo istantaneo le informazioni tra i vari attori del pro-cesso. Non devono inoltre mancare i KPI (indicatori chiave del processo), questi indicatori saranno il “termometro” del vostro processo e vi permetteranno di capire se siete in con-trollo.In generale quindi l’approccio prevede una misurazione della situazione esistente, il principio per il quale si può migliorare solo ciò che si conosce e si misura per la lean production è un diktat. Riuscire a trasformare in costo ogni singolo spreco individuato. Deve quindi essere individuato il Value stream e quindi le attività a valore aggiunto e non a valore aggiunto. Pianificare delle attività di riduzione. Deve quindi essere imbastito un sistema di gestione dei nuovi pro-cessi finalizzato al miglioramento continuo.L’estensione della filosofia Lean anche ai processi intellet-tuali richiede un impegno costante da parte delle risorse interessate alla trasformazione. Il vero motore rimane infatti sempre la persona, che deve essere consapevole del cam-biamento necessario e possibile. Non basta riformulare i processi in ottica Lean; occorre modificare azioni consolida-te, modi di fare e di lavorare. Si devono definire nuovi com-portamenti lean oriented per ottenere, nel modo migliore, gli obiettivi prefissati.Per affrontare con successo un progetto Lean, è necessa-

rio coinvolgere tutti i dipendenti in un disegno complessivo e coerente. Questo richiede notevoli capacità di leadership da parte dei responsabili per riuscire a far apprendere ogni aspetto del cambiamento, diffonden-do nell’organizzazione un messaggio forte e chiaro: ciascuno, ognuno per il suo ruolo, è una parte importante del movimento complessivo e tutti devono garantire un contributo e impegnarsi a guidarlo verso l’eccel-lenza.Torniamo adesso alle nostre tre aziende dell’esempio: tutte e tre si sono buttate sulla strada del lean thinking. Hanno cambiato la loro struttura organizzativa e gestionale. Hanno cambiato i propri standard. Hanno mutato il modo in cui sono gestite e formate le persone. Hanno cambiato il modo di vivere l’azienda. E tutte e tre sono uscite più forti dalla crisi, diventando leader mondiali nei rispettivi settori...Non vedete in questo articolo qual-che spunto importante anche VOI?

“più materiale c’è a magaz-zino, meno probabilità c’è che si trovi ciò di cui si ha bisogno”

Taijchi Ohno(Artefice del Sistema Toyota)

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CLArA ErrICO E MICHELE MONTANELLI

LIVORNOCOM’ERA

Per la Ferriera di Cecina, già attiva nel secolo XVI, fu pro-gettato agli inizi del ‘700 un intervento articolato di regima-zione delle acque del fiume omonimo, tese a regolarne il deflusso al fine di sfruttarne al meglio la forza motrice che serviva per far muovere i mantici dei forni ed i magli per battere e lavorare il ferro, e al contempo impedire al fiume di esondare con le sue improvvise e violente piene e dan-neggiare le fabbriche dell’opificio. L’incarico fu dato al tecnico Giuseppe Santini, stimato inge-gnere al servizio del governo mediceo, il quale stese nel novembre del 1705, una relazione intitolata: Osservazioni fatte dall’ing. Capitan Giuseppe Santini sopra le acque del fiume Cecina, e sopra la steccaia e gora che conduce l’ac-qua alla ferriera. Sono annessi a queste osservazioni come parte di esse il disegno della steccaia del fiume Cecina ed altro disegno in Pianta regolare di una parte del corso delle acque del fiume Cecina. In un primo tempo Santini, aveva pensato di far riparare la steccaia sul fiume, togliendo però la possibilità di rifornire per mezzo della successiva gora la ruota della fabbrica del ferro e danneggiando la produzione, ma preso atto che al momento non era la stagione propizia sia per l’eccessiva portata del fiume che per la mancanza di materiali da costruzione, decideva di rimandare l’operazio-

Novembre 1705,lavori al fiume Cecinal’ing. Santini replica irritato al Granduca

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ne. Nel frattempo però, studiava il modo di impedire che le future piene del Cecina potessero portare attraverso la gora troppa acqua alla Ferriera, e inondarla con grave danno per il forno e il maglio. Anche se con una vena di malcelata polemica, Santini ricordava di aver levato la pianta della steccaia frettolosamente e senza poter prendere le misure, perché gli era stato proibito per scritto di alloggiare nella casa della Magona, costringendolo a ridurre all’osso la gita di lavoro; non di meno era riuscito a studiare una soluzione al problema che esponeva con dovizia di particolari tecnici e con una chiara pianta. (img.1)La steccaia, a suo tempo progettata e disegnata dal colon-nello ed ingegnere Annibale Cecchi, con l’ausilio del capo mastro Neri, e con lui stesso come assistente del colonnello, mostrò fin dall’inizio in più punti una certa debolezza strut-turale, che Santini indicava con la lettera A, tanto che in fase di costruzione fu rinforzata con un’opera lignea B, e con l’erezione del muro C per proteggere dalle piene il canale sotterraneo dell’aldio D. Al momento la corrente del fiume aveva scalzato e scavato sotto la steccaia nei punti indicati con la lettera E, e Santini che aveva visto cosa stava facendo il capo mastro incaricato di ripararla (una piccola carsinata nel punto F) lo avvertiva che così facendo non avrebbe risol-to il problema ma anzi lo peggiorava. Solo intervenendo con un: battisoglio per di sotto la steccaia, lungo tutto il suo

img.1

Come impedire alle piene di inondare la Ferriera

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fronte e sotto il livello dell’acqua, come aveva delineato con tratteggio G nella pianta, si poteva sopperire al danno e evitare in futuro la rovina della steccaia. Il capo mastro accoglieva il suggerimento dell’ingegnere, così come il Depositario Quaratesi che doveva provvedere i materiali da costruzione. Restava comunque l’altro problema della gora, che secondo Santini non funzionava come avrebbe dovuto. Fatta in canale lungo circa tre miglia, delle quali le prima 320 pertiche (circa m.930) viaggiavano in galleria, la gora aveva alcuni pozzi di ispezione per poterla periodicamente pulire dalla molletta e altre materie depositate dall’acqua, ma al momento risultava in parte intasata e ripiena, per la cattiva gestione che era stata fatta alla presa H e alla cateratta che doveva regolamentare l’afflusso dell’acqua. L’ostile ottu-sità delle maestranze addette alla pulitura del canale della gora, impedivano a Santini di intervenire efficacemente per risolvere il problema, che si ripercuoteva sulla portata utile di acqua e quindi sull’efficienza della macchina del maglio e delle ruote della ferriera. Basta dire che l’addetto alla gestio-ne della cateratta, seraficamente confessava a Santini che, essendo questa ormai fatiscente, ogni volta che si doveva togliere l’acqua alla Ferriera, lui faceva una tura di terra e fascine all’imboccatura della gora, e quando doveva ridare l’acqua si limitava a rompere la tura, con il risultato di far penetrare la materia nel canale ostruendolo progressivamen-te. Inoltre, calatosi con l’ausilio di una catena in un pozzo d’ispezione, l’ingegnere poteva direttamente verificare che la materia che lo riempiva era tale che evidentemente l’opera di coloro che dovevano tenerlo sgombro dai detriti era stata quantomeno insufficiente se non colpevolmente lacunosa, e inoltre poteva verificare che dal fiume, attraverso rotture e crepe del muro C, penetrava abbondante acqua nella galle-ria a tutto discapito della sua gestione.

img.2

Cattiva gestione,ostruzioni

e allagamenti

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Anche l’ispezione che faceva a tutto il corso della gora, ne evidenziava la cattiva gestione e il rischio che la terra della sua escavazione, ammassata troppo vicina, potesse caderci dentro con le piogge ostruendola in più punti. La soluzio-ne al problema Santini la vedeva nell’abbassare gli argini della gora lungo tutto il suo percorso, nell’addirizzarlo dove possibile, e nel far cavare il canale sotterraneo una volta per tutte, cambiando il modo di serrarlo, ovvero tornando all’originale uso della cateratta di legname che si alzava e si abbassava regolarmente. Passato poi a visitare la stessa fabbrica della Ferriera, l’inge-gnere vedeva le ture e i tavolati che i fornaciai avevano messo alla bocca del maglio e alla porta dell’edificio del forno, per impedire all’acque dell’ultima piena del Cecina di penetrarvi, distruggendo tutto. Il fiume stava anche erodendo in modo massiccio le ripe nei pressi della Ferriera, minacciandone la stabilità, così come stava facendo anche all’altra vecchia fer-riera, posta a valle del Palazzo di Cecina. (img.2)Ad accompagnare Santini nell’ispezione al fiume, era il

img.3

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sig. Romanelli, che gli chiedeva una soluzione al problema delle piene del fiume. Per spiegare il suo progetto, Santini delineava un’altra pianta, (img.3) nella quale segnava con la lettera A la fabbrica della Ferriera, con B una parte del corso del Cecina, con la C i punti dove le acque corrodevano le ripe e si avvicinavano alla fabbrica. Con D segnava i punti dove il fiume corrodeva la gora dell’altra ferriera vecchia, qui nominata: rovinata, e con la E dove corrodeva le ripe e s’avvicinava alla ferriera F; quindi segnava con CC, DD e EE i luoghi dove pensava di porre un riparo alle corrosioni del fiume facendovi fare delle sassaie e rivestire le ripe di sassi come si faceva solitamente al fiume Arno nel pisano, e por-tava a suo vantaggio l’esempio della sassaia che aveva fatto fare oltre venticinque anni prima in località San Polinaio a Barbaricina, a valle di Pisa, che tuttora reggeva e proteggeva le ripe dalla furia del fiume in piena. Anche se le sassaie erano un discreto riparo, era pur vero che lo sarebbero state ancor di più se le piene del fiume avessero avuto una minore altezza, quindi l’ingegnere proponeva di rettificarne il corso con un canale rettilineo che agevolasse lo scorrimento del fiume. Già precedentemente Santini aveva fatto iniziare lo scavo di un canale, che indicava in pianta con la lettera G, che facesse da scolmatore al Cecina, unendo due anse del fiume in linea retta. Ma le maestranze locali comandate allo scavo, avevano abbandonato notte tempo il cantiere sia per-ché il terreno a un certo punto era diventato tanto duro da non riuscire a tagliarlo con le marre, e poi, essendo tempo di mietitura, per andare a segare il grano nei loro campi. Nonostante fosse incompiuto, il canale aveva altresì assolto egregiamente al suo scopo scemando in parte una grossa piena del Cecina e confortando Santini nella convinzione che il suo completamento sarebbe stata, se non la soluzione di tutti i problemi della Ferriera, un grosso aiuto per metterla in sicurezza. D’altronde, il deflusso delle acque nel canale incompiuto, aveva anche sortito l’effetto di far mutare a monte il corso del Cecina, come evidenziava nella pianta con le lettere LL, attraverso un nuovo e più breve alveo, mentre le lettere HB-IB stavano a indicare il vecchio corso abbandonato e ormai ripieno di sabbia e terra. La definitiva apertura del canale e il suo affondamento tanto da favorire il deflusso di gran parte del fiume, avrebbe permesso inoltre di intervenire per mettere in sicurezza la vecchia ferriera, prima di riattivarla, difendendo la sua gora e aldio con un nuovo argine protetto da una sassaia. Un primo intervento, sollecitato dallo stesso granduca, doveva attuarsi nell’ottobre 1705, ma, essendo tempo di vendemmia, non c’erano sufficienti uomini disposti a lavo-rare al cantiere, quindi si rimandava tutto a dopo i Morti (2 novembre). Il 5 novembre, fatta provvisione di vino, gli uomini comandati venivano spediti alla volta di Cecina, per iniziare i lavori, come risulta da una lettera del ministro della Magona Silvani del 6 novembre, ma una lettera da Firenze del giorno dopo gli intimava di sospendere tutto perché non avendo fatto l’intervento a settembre ormai la stagione era troppo avanti per aprire un qualsiasi cantiere. Gli uomini però erano già arrivati alla Cecina e Santini non capiva

Mietitura e vendemmia

allontananole maestranze

dal cantiere

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questo cambiamento di programma, almeno fino a quando riceveva il 12 novembre una nuova lettera, nella quale gli si intimava di fermare i lavori accusandolo di arbitrio nelle decisioni e dispregio degli ordini di S.A. I ministri della Magona non dovevano dare da mangiare agli uomini ne pagarli, e addirittura Santini avrebbe dovuto accollarsi tutte le eventuali spese fatte fino a quel momento dalla contestata spedizione. Offeso e irritato da quanto gli stava capitan-do, Santini in un moto d’orgoglio professionale, replicava seccato alle accuse che gli erano mosse, ribadendo che gli ordini ricevuti erano inequivocabile e che il lavoro al canale si doveva fare a novembre e non prima, non solo perché i comandati avevano altro da fare nei loro campi e orti, ma soprattutto perché il terreno, notoriamente duro e difficile da scavare, dopo le piogge di ottobre era diventato più morbido e gli uomini l’avrebbero potuto facilmente scavare con le vanghe a tutto vantaggio del costo finale. Santini, inoltre, lamentava una sua caduta accidentale nel canale che gli aveva procurato una ferita ad una gamba, e di conseguenza la sua indisposizione temporanea aveva influito sulla durata del cantiere. Infine, doveva controbattere anche alle insi-nuazioni che dalla gestione della Ferriera della Cecina si facevano sul costo complessivo del canale, che assommava nel preventivo a oltre 2000 scudi. Cifre alla mano, confer-

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mate dal ministro della Magona di Pisa Giuliano Antonio Prini, l’ingegnere ribatteva che la spesa effettiva era stata di soli 1387 sc. in circa, con un risparmio di quasi 600 sc., il che doveva dimostrare come il granduca non era stato ne defraudato ne tanto meno ingannato dal suo fedele servito-re, che domandava una verifica del suo operato da parte di: persona pratica nell’escavazione di fossi e maneggio di terreni e che gli sia mostrato dove si è tagliato il terreno con gli zapponi, acciò si possino riscontrare le misure e stimare detto lavoro, e riscontare le misure del mandato del pagamento di detto lavoro per riconoscere se vi è errore e fraude. La lunga relazione terminava con l’invito al sovrano a far visitare e stimare da persone qualificate il suo scavo al canale e poi anche quell’altro scavo che un ministro della Magona, che non nominava, aveva fatto fare in zona, per valutarne pacatamente i rispettivi difetti e pregi.Del secondo disegno in pianta qui descritto, esiste una copia, o per meglio dire, una brutta copia, fatta probabilmente sul campo, intitolata: original bozza del Corso dell’acqua di una parte del fiume Cecina con altri canali delle Ferriere, (img.4) nella quale è evidente il reticolo di linee tracciato dall’inge-gnere per inquadrare la pianta, i diversi abbozzi del corso del Cecina, le due ipotesi del canale scolmatore e le nota-zioni a lapis di misure e distanze.

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LIVORNOCOM’ERA

La Camera di Commercio di Livorno, attingendo al suo pre-zioso archivio storico, ha allestito una mostra originale: i marchi registrati e depositati dalle imprese livornesi tra fine Ottocento e inizi Novecento, testimonianza grafica e pitto-rica di quella vitalità, ingegno e capacità che hanno fatto la storia della nostra economia. La mostra è stata curata dal Dott. Filippo Lenzi, bibliotecario dell’ente camerale, che ha effettuato una selezione precisa e scrupolosa della vasta documentazione presente in archivio. Si intitola Dal Balsamo Paolini alle Pastiglie Paneraj - Marchi d’impresa livornesi a cavallo tra due secoli (1880-1930) ed è stata inaugurata ufficialmente la mattina di sabato 10 novembre. L’inaugurazione è stata anticipata da una tavola rotonda di esperti di grande competenza, che hanno messo

Mostra sui marchi d’impresa livornesi a cavallo tra due secoli (1880-1930)

Dal Balsamo Paolini alle Pastiglie Paneraj

IrENE SASSETTI

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a disposizione le loro conoscenze per offrire al pubblico coordinate utili a godersi la mostra: Vittorio Marchis, profes-sore del Politecnico di Torino, personaggio vivace ed ecletti-co, autore di molte pubblicazioni tra cui l’ultima, “150 (anni) di invenzioni italiane”; Francesco Bosetti, che alla docenza di Diritto privato unisce una profonda cultura storica ed arti-stica; Alessandro Tosi, professore di Storia dell’arte moderna all’Università di Pisa. Durante l’inaugurazione ciò che ha sorpreso maggiormente il pubblico è stata la scoperta della straordinaria varietà di imprese presenti sul nostro territorio. Un pezzo di storia in larga parte dimenticata: Livorno a cavallo dei due secoli era una delle città più ricche e produttive dell’Italia cen-trale, con un porto considerato uno dei più importanti del Mediterraneo. Una realtà produttiva che purtroppo fu grave-mente danneggiata dai bombardamenti del ’43.La Mostra propone una selezione degli esemplari presenti nell’archivio storico camerale, secondo un criterio che per-mette di coglierne la suggestione iconografica e i significati simbolici sottesi, e di osservare al contempo le attività pro-duttive tipiche dell’economia locale nel periodo storico di riferimento (sia quelle più rilevanti, sia quelle più curiose e meno note). I marchi sono disposti in ordine cronologico secondo la data di presentazione della domanda di registra-zione. Livorno, città portuale e cosmopolita con una grande varietà di imprese nel settore alimentare, in quello chimico e metal-meccanico (oltre ad attività legate alla lavorazione di vetro, corallo, stracci, a tipografie e litografie...), era all’epoca il capoluogo di una provincia che fino al 1925 comprende-

Alla Cameradi Commercio

di Livornofino al 31 dicembre

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va solo l’isola d’ Elba, con le sue preziose miniere, e le isole di Gorgona, Pianosa e Montecristo.Una caratteristica comune a molti dei Marchi esposti è l’utilizzo sim-bolico degli elementi più rappre-sentativi di questo territorio e del mare che lo bagna, di cui spesso rivendicano l’appartenenza come garanzia di qualità ed elemento di identificazione: il fanale del porto, ad esempio, illumina il consuma-tore sull’eccellenza della lisciva per bucato di Luigi Fedi e sulla bontà della frutta candita di Oreste del Buono; Ercole Labrone ada-giato sugli scogli è scelto dai F.lli Canessa per il loro surrogato di caffè, mentre un piroscafo fuman-te traghetta al pubblico la biacca sopraffina di Antonio Leoni.Alcune ditte, per esaltare le virtù

dei loro prodotti, ricorrono ad animali che nell’immaginario collettivo evocano sensazioni positive, come l’invincibile aquila o il nobile leone; altre si appellano ai miracoli dei

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Santi; altre ancora si affidano alle stelle, simbolo di perfezio-ne: è questo il caso dei saponi Conti, e della pasta che nel 1901 i F.lli Buitoni di Sansepolcro producevano a Livorno, in un pastificio di Torretta.Il periodo scelto è quello tra Otto e Novecento: una cinquan-tina di anni cruciali per lo sviluppo di questo nuovo modo di affermarsi sul mercato. Se infatti il marchio rappresenta la volontà dell’imprenditore di far riconoscere immediata-mente il suo prodotto abbinandolo al concetto di qualità, è proprio a fine Ottocento, nella nascente società industriale “di massa” che si affaccia l’esigenza di personalizzare il prodotto e di salvarlo quindi dall’anonimato che rischia nella produzione su larga scala.

Colpisce in questa mostra molto curata nei particolari l’in-sieme di attività in alcuni casi assai curiose. In Piazza C. Alberto n. 9 (oggi Piazza della Repubblica), ad esempio, nel 1898 aveva sede la Motor Henderson & C., il cui scopo era produrre e commerciare mattonelle di carbone fossile ingle-se, in Livorno o altrove in Italia : la polvere d’antracite veniva compattata con appositi apparecchi di combustione in mat-tonelle di carbone, dette panelle, sulle quali veniva impresso il Marchio di fabbrica Motor, e la cui produzione era assor-bita quasi interamente dalle ferrovie, per il funzionamento delle locomotive a vapore. In P.zza XI Maggio, la Società anonima materiali refrattari, costituita nel 1892, fabbricava

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materiali refrattari tra cui terrecotte e mattoni crudi e cotti, per forni a calce e forni di vetrerie; in Via dell’Indipendenza n. 8 aveva sede la O. Coppini & C., che produceva lubrifi-canti per auto e motori a scoppio in genere, il cui marchio Victor Oil, depositato nel 1927, “vuole rappresentare nel suo insieme i colori della bandiera nazionale”.

La storia dei marchi d’impresa è tutt’altro che consegnata al passato: oggi prodotti e marchi sono oggetto di acquisizione di fette consistenti di mercato. Nuovi marchi si stanno affer-mando e in alcuni casi subentrano ad altri già celebri, frutto

Il marchiosinonimo di qualità

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della volontà imprenditoriale di affermazione sui mercati nazio-nali ed internazionali.

Porre l’accento sui marchi signifi-ca richiamare l’attenzione su un aspetto particolarmente signifi-cativo del fare impresa: identifi-care un prodotto con un marchio rappresenta infatti la volontà e l’orgoglio dell’imprenditore di riconoscersi in esso, e soddisfa-re il desiderio insopprimibile di realizzare e vedere riconosciuto il suo operato. In una società che tende a spersonalizzare oggetti e rapporti, il marchio - pubblici-tà istantanea di un prodotto - è elemento distintivo che diventa sinonimo di qualità.

La mostra, a ingresso gratuito, è stata inaugurata lo scorso 10 Novembre e potrà essere visitata anche nel mese di Dicembre, su appuntamento telefonico (0586 231247 o 231254).

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La seconda metà dell’anno 2012 ha visto a Livorno una-rinnovata attenzione per il patrimonio artistico della città catalizzato dall’annuale Censimento dei Luoghi del Cuore promosso dal FAI, Fondo Ambiente Italiano.L’attenzione, dopo molti anni di sordina, si è riversata su un bene assai visibile della città, centrale e scenografico, ma da anni in completo stato di abbandono e decadenza: il Tempio della Congregazione Olandese Alemanna o, più semplice-mente, la Chiesa degli Olandesi.La Chiesa, raro esempio di neogotico nella città labronica, sorge su un’area particolarmente interessante dal punto di vista artistico per la compresenza, a pochi metri di distanza, del Mercato Centrale e delle Scuole Benci di fine Ottocento progettate da Angiolo Badaloni e del Teatro Politeama, costruito anch’esso alla fine dell’Ottocento e sopravvissu-to ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ma demolito nel dopoguerra per costruire volumetrie private.Lo sviluppo di questo quadrilatero architettonicamente importante si rese possibile in seguito alla rettifica del Fosso Reale compiuta a metà dell’Ottocento da parte di Luigi Bettarini: gli antichi bastioni di fortificazione furono sman-tellati e il fosso e gli spalti rettificati creando dei terrapieni artificiali sul lato meridionale del vecchio nucleo cittadino su cui sorse appunto la Chiesa degli Olandesi.La Chiesa nasce in un contesto di forte sviluppo commer-

LIVORNOCOM’ERA

EDOArDO MArCHETTI

La Chiesa degli Olandesiverso la ristrutturazione

Raro esempiodi neogotico

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ciale e mercantile della città, favorito dallo status di Porto Franco che permetteva alle varie nazioni di convivere, costi-tuendo liberamente le proprie comunità, portando le proprie tradizioni, la propria cultura, le diverse religioni di apparte-nenza e dando luogo ad una sorta di gara di rappresentanza tra le varie borghesie nazionali.Il progetto della Chiesa, ideato da Dario Giacomelli vide finalmente la completa realizzazione nel 1864 con un’o-pera in stile neogotico a navata unica, con tre rosoni ornati su una facciata sormontata da tre pinnacoli e caratterizzata lateralmente da grandi aperture vetrate a sesto acuto che conferiscono all’interno una grande naturale illuminazione. L’interno, con la presenza dell’organo posto sopra l’ingresso, presentava un controsoffitto in canniccio con arco a sesto ribassato che conferiva, secondo i racconti dell’epoca, una acustica eccellente, tanto che nel secondo dopoguerra la Chiesa fu utilizzata anche come auditorium.Il declino purtroppo iniziò pochi anni dopo la sua inau-gurazione, quando Livorno perse lo status di Porto Franco e conseguentemente perse i traffici commerciali e la ric-chezza delle varie nazioni presenti. Contemporaneamente al declino commerciale della città anche la presenza degli appartenenti alla Congregazione Olandese Alemanna iniziò a declinare rendendo con il tempo insostenibile il manteni-mento del Tempio e delle varie proprietà sparse nella città tra le quali il Cimitero di Via Mastacchi.La Chiesa è stata risparmiata dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ma la macanza di fondi per il

MATTEO GIUNTI

STEFANO CECCArINI

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mantenimento e lo sviluppo della città intorno ad essa hanno minato nel tempo l’integrità strutturale dell’edificio.Uno tra gli interventi più importanti che hanno mutato la statica dell’edificio è senza dubbio la costruzione di un palazzo residenziale sul retro della chiesa, completamente attaccato e saldato alle sue mura e costruito con tecniche completamente diverse e che ha modificato le risposte alle azioni e probabilmente provocato delle spinte orizzontali sulla struttura. La motorizzazione di massa degli anni 60 ha inoltre incre-mentato il traffico veicolare sugli scali prospicenti la chiesa, provocando un aumento delle vibrazioni impresse al ter-reno circostante e andando presumibilmente a creare un maggiore compattamento della terra di riporto trasferita su quell’area in seguito alla rettifica del Fosso Reale. Durante i giorni della terribile alluvione del 1991 che distrusse i Tre Ponti sul Rio Ardenza, anche il contenimento di mattoni del Fosso Reale cedette, proprio nella parte immediatamente prospicente alla chiesa, rendendo necessaria la chiusura degli Scali al traffico veicolare di scorrimento e un antieste-tico rifacimento, provvisorio, in cemento armato a vista (dal 1994 il paramento di calcestruzzo non è mai stato ricoperto dai mattoni originali, tutti recuperati e ancora conservati).Il crollo degli Scali fu imputato in primo luogo alle vibrazio-ni causate dal traffico veicolare ma in seguito si è fatta strada l’ipotesi che abbiano avuto un’importanza decisiva proprio le spinte orizzontali causate dalla costruzione in aderenza del palazzo posto dietro l’abside.Oggi la Chiesa versa in un pessimo stato di conservazione. A parte il tetto rifatto nella metà degli anni ‘90, presenta nume-rose lesioni, anche passanti che in alcuni casi incidono la struttura dalla copertura fino alla fondazione, come stabilito

Segnalata nell’annualeCensimento dei Luoghi del Cuorepromosso dal FAI

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da un saggio sulle medesime fatto in anni recenti. Il controsoffitto è quasi completamente crollato rovinando le panche ancora presenti all’interno della navata e danneggiando il pul-pito. Gli ambienti accessori sono in larga parte pericolanti e alcuni man-cano completamente della copertura, situazione che aggrava ulteriormente la progressione del degrado. Gli ester-ni e le decorazioni sono fortemente danneggiate: i pinnacoli sommitali furono rimossi negli anni passati ma il degrado della facciata continua come si evince dai rosoni spezzati, dai pin-nacoli caduti, e dal ponteggio fisso presente sul marciapiede antistante l’ingresso a protezione delle periodi-che cadute di materiale lapideo.La rinascita dell’attenzione per la Chiesa degli Olandesi parte dall’atti-vismo di alcuni cittadini livornesi che negli anni hanno creato una rete di interesse intorno al progetto ed hanno formato un “Comitato per il Restauro del Tempio della Congregazione Olandese Alemanna” del quale fanno parte anche alcuni membri del Lions Club Livorno Host e dell’Associazione Livorno delle Nazioni. Tra loro i due principali amministratori del gruppo Facebook “Salviamo la Chiesa degli Olandesi”, Matteo Giunti e Stefano Ceccarini, che tengono a precisare due questioni, inerenti lo stato di tutela e la proprietà della Chiesa, sulle quali si è mobilitato il Comitato.In primo luogo Giunti e Ceccarini ricordano che “la Chiesa non era tutelata dalla Sovrintendenza e solo grazie all’intervento del Comitato si è avviato un percorso per richiedere l’inserimento dell’edificio nella lista dei beni da tutelare: a giugno i rappre-sentanti della Sovrintendenza hanno fatto un sopralluogo ed hanno avviato un iter procedurale che prevede l’ap-posizione del vincolo entro fine anno o entro i primi mesi del 2013”. Un altro passo importante è stata la lettera di intenti siglata da Comitato e rappresentanti della Congregazione Olandese Alemanna, proprietaria dell’edificio, con la quale la congregazione si impegna a cedere al pubblico la Chiesa dopo l’avvenuta ristrutturazione o messa in sicurezza e il Comitato viene delegato a trovare le risorse e i progetti per il recupero del Tempio.I due passaggi sopra descritti sono particolarmente rilevanti

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poiché permettono da un lato di ottenere maggiori tutele e attenzione da parte della Sovrintendenza, incluse le relative professionalità, per studiare un accurato recupero, e dall’al-tro il passaggio della proprietà al pubblico consente alle amministrazioni coinvolte di poter utilizzare fondi propri e non per il recupero, provvedimenti impossibili se l’edificio fosse di proprietà privata.Il forte impegno del Comitato si è sviluppato anche nel coin-volgimento della sezione locale del FAI che si è prestata per concorrere e cercare di vincere il Censimento dei Luoghi del Cuore promosso annualmente. L’attenzione verso il monumento è fortemente aumentata negli ultimi mesi anche grazie all’attività del gruppo Facebook e dei numerosi inter-venti di sensibilizzazione promossi dal quotidiano locale Il Tirreno.La raccolta delle firme è avvenuta sia indirizzando gli utenti di internet a votare online sul sito del FAI (www.iluoghidel-cuore.it), sia attraverso la continua presenza di banchetti nei punti più affollati del centro cittadino e durante le manife-stazioni culturali organizzate a Livorno, in particolare con la presenza di un apposito stand durante l’ultima edizione di Effetto Venezia. Altre raccolte di firme sono state promosse con il contributo dell’Assessore alla Cultura Mario Tredici e dell’Assessore all’Istruzione Carla Roncaglia che hanno favorito il coinvolgimento degli oltre 70 istituti di ogni ordine e grado presenti a Livorno e di numerosi commercianti del centro cittadino.La raccolta delle firme si è conclusa il 30 Novembre e il risultato del Censimento si potrà avere soltanto all’inizio del nuovo anno quando sarà possibile aggiungere ai voti online, i voti cartacei (generalmente molto più numerosi di quelli

Nasce il Comitato per il Restaurodel Tempio

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online e pertanto di più lunga elaborazione).Indipendentemente dall’esito del Censimento del FAI, le idee per il recupero dell’edificio non mancano e da parte di Matteo Giunti e Stefano Ceccarini giungono numerose proposte per un più ampio coinvolgimento sia dei cittadini che delle istituzioni che dei professionisti.L’idea del Comitato è evidentemente quella di mantenere la peculiarità culturale dell’edificio in modo da poter garantire l’accesso alla struttura sia ai livornesi che non l’hanno mai vista sia ai turisti che sempre più numerosi scoprono ogni anno la nostra città. Per questo la proposta che viene fatta è quella di rendere fruibile la strut-tura da parte della cittadinanza con funzioni di auditorium, visto che questa era la sua recente funzione favorita dall’ottima acustica, ma anche di corredarla di un museo sulla storia della Chiesa stessa e della Congregazione, che possa sfruttare i locali esterni al volume principale, e in cui la Congregazione possa riservarsi periodicamente un piccolo spazio per le funzioni religiose. Giunti e Ceccarini hanno comunque manifesta-to la volontà di coinvolgere le professioni per promuovere un concorso di idee che possa indi-viduare ancor meglio la funzione da assegnare alla chiesa (fermo restando la finalità culturale) e che possa proporre soluzione architettoniche di restauro fermamente conservativo insieme a soluzioni avanguardistiche per esaltare la sugge-stione del luogo (sulla scia di quanto fatto per il Convento do Carmo a Lisbona).Un’ulteriore proposta di studio è quella di pro-muovere, attraverso i membri dell’Ordine degli Ingegneri livornesi che esercitano anche attività accademiche presso l’Università di Pisa, tesi di ricerca finalizzate a comprendere la statica dell’e-dificio attraverso un’analisi sismica ed a ipotizza-re gli eventuali interventi atti a garantire la sicu-rezza della struttura, sia nella normalità che nei casi di eventi eccezionali. Per questo la speranza espressa è che anche le preposte Commissioni dell’Ordine possano collaborare con il Comitato per accedere e fare delle rilevazioni in situ, per raccogliere dati, eseguire analisi o indirizzare eventuali ricerche. L’unico neo emerso da questo incontro (oltre al dispiacere di vedere un monu-mento cittadino in rovina) è quello della rumorosa assenza di un impegno sostanziale, un certo mecenatismo, da parte di quei singoli, famiglie e imprenditori che comun-que da Livorno traggono la maggior parte dei loro profitti e che si spera che questo rinnovata interesse verso la Chiesa possa far uscire dal torpore nel quale sembrano sprofondate le moderne dinastie mercantili e imprenditoriali, un poco più appannate rispetto a quelle che, invece, finanziarono l’e-dificazione della Chiesa. Potrebbero prendere d’esempio il

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Colosseo ed il restauro promosso dal patron di Tod’s, Diego della Valle, ma in questo caso il contributo sarebbe molto inferiore pur con il medesimo ritorno di immagine nei con-fronti di una cittadinanza volenterosa ma economicamente impotente.Per ottenere ulteriori informazioni in merito alla Chiesa degli Olandesi il consiglio è quello di visitare il blog curato da Matteo Giunti “Associazione Culturale - Livorno delle Nazioni” (livornodellenazioni.wordpress.com) che contiene moltissime informazioni relative alla Chiesa Alemanna e in generale a quella città turbinante e multiculturale che era la Livorno di un tempo.L’iniziativa di sensibilizzazione via web è certamente eser-citata dal Gruppo Facebook “Salviamo la Chiesa degli Olandesi” gestito da Stefano Ceccarini entro il quale sono pubblicati gli aggiornamenti sullo stato della Chiesa e sulle iniziative per recuperarla nonché uno splendido e al con-tempo terrificante video girato all’interno della Chiesa da Claudio Ceccarini, che mostra il totale sfacelo e abbandono in cui versa il Tempio.L’invito finale è dunque quello di continuare a mantenere alta l’attenzione su questo monumento cittadino, che ci ricorda le nostre origini, le nostre ricchezze, la nostra multi-culturalità e la cui rovina segnerebbe la perdità di un punto di riferimento verso il quale dobbiamo sempre tendere.

Il battage del gruppo

Facebook e del quotidiano

Il Tirreno

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Occupazione senza titolo

e acquisizione sanante

PAGINADEL DIRITTO

Avv. FrANCESCA DELLO SBArBA

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Può accadere che un’Amministrazione pubblica si immetta nel possesso di un terreno di proprietà privata e vi edifichi un’opera pubblica mutandone così irreversibilmente la con-formazione, il tutto senza aver mai adottato alcun provvedi-mento ablativo nei confronti del soggetto proprietario.Il tutto, cioè, senza aver mai adottato né la dichiarazione di pubblica utilità, né un titolo legittimante l’immissione in possesso, né un definitivo decreto di esproprio.Quanto sopra configura un’ipotesi di occupazione sine titulo e usurpativa.Una giurisprudenza ormai superata distingueva tra occu-pazione usurpativa e occupazione acquisitiva: mentre nel secondo caso l’Amministrazione occupava il fondo del pri-vato sulla scorta di una dichiarazione di pubblica utilità ma poi non portava a compimento il procedimento espropriativo (poiché non adottava tempestivamente il decreto d’espro-prio), nella prima ipotesi l’occupazione del fondo avveniva nella radicale mancanza di un titolo legittimante.Con il passare degli anni, entrambe le fattispecie sono state ricondotte nell’alveo di un’unica e più generale figura di atto illecito dalle caratteristiche comuni, consistente nell’occu-pazione senza titolo di un suolo di proprietà privata, seguita dalla sua irreversibile trasformazione per effetto della realiz-zazione di un’opera pubblica.In tali casi, prima che la Corte Europea dei Diritti dell’Uo-mo si pronunciasse con la sentenza del 30 maggio 2000, l’ordinamento interno faceva conseguire all’occupazione illegittima del suolo privato, l’acquisto della proprietà dello stesso da parte dell’Amministrazione occupante (cosiddetta accessione invertita) ed un mero diritto al risarcimento del danno subito in capo al soggetto sostanzialmente (ma illegit-timamente) espropriato.La Corte europea ha, tuttavia, sostenuto, nella citata decisione, che l’acquisto di un diritto non può mai derivare da un com-portamento illecito e illegittimo: l’Amministrazione pubblica, cioè, non può acquistare il diritto di proprietà sul terreno appartenente ad un soggetto privato esclusivamente in base alla mera apprensione materiale del terreno stesso e, dunque, in base ad un comportamento manifestamente illecito.L’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, introdotto dall’art. 34 del D.L. n. 98 del 6 luglio 2011, avente ad oggetto l’”Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, con riferimento ai casi quale quello di specie, ha previsto che l’autorità che utilizzi un bene immobile per scopi di interesse pubblico, avendolo modificato in assen-za di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o comunque dichiarativo di pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamete, al suo patrimonio indisponibile. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pub-blica utilità dell’opera o il decreto di esproprio.Il provvedimento di acquisizione può essere, altresì, adottato anche durante la pendenza di un giudizio avente ad oggetto l’annullamento degli atti sopra citati.

Quando una pubblica

amministrazionecostruisce

su un terreno privato

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Al proprietario spetta in questo caso un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale subito, che dovrà essere determina-to in misura corrispondente al valore venale del bene utiliz-zato per scopi di pubblica utilità, oltre all’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale, il quale dovrà essere calcolato nella misura del 10% del valore venale del bene.Oltre a quanto sopra, il proprietario ha diritto al risarcimento del danno relativamente al periodo in cui il terreno è stato occupato senza titolo; tale risarcimento dovrà essere compu-tato nella misura corrispondente all’interesse del 5% annuo sul valore venale dell’area, a meno che dagli atti del proce-dimento non risulti una diversa entità del danno.Il provvedimento di acquisizione deve recare l’indicazione delle circostanze che hanno indotto l’Amministrazione ad utilizzare indebitamente l’area di proprietà privata, la data a decorrere dalla quale tale indebita utilizzazione ha avuto inizio, nonché la specifica motivazione delle ragioni che giustificano l’adozione del provvedimento di acquisizione, valutate in contrapposizione comparativa rispetto agli inte-ressi del privato proprietario.Il provvedimento di acquisizione deve altresì contenere la liquidazione dell’indennizzo spettante al privato, come sopra calcolato, e la previsione del relativo pagamento entro il termine di trenta giorni.Tale atto, soggetto a trascrizione, deve essere notificato all’interessato e l’effetto traslativo del diritto di proprietà sarà sottoposto alla condizione sospensiva dell’avvenuto paga-mento delle somme allo stesso dovute o, in alternativa, al loro deposito ai sensi dellart. 20, comma 14, D.P.R. n. 327 del 2001.

Tutti i tipi di indennizzo spettantial proprietario

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Tali disposizioni trovano applicazione anche nei casi che si siano verificati anteriormente all’entrata in vigore del citato art. 42 bis, previa valutazione, da parte dell’Ammi-nistrazione procedente, dell’attualità e della prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione del bene. Quella sopra descritta è la disciplina dei casi di occu-pazione usurpativa intervenuta nel nostro ordinamento dopo che, con sentenza n. 293 dell’8 ottobre 2010, la Corte costituzionale aveva dichiarato non conforme a Costituzione, per eccesso di delega, l’art. 43 del Testo Unico espropri che aveva introdotto l’istituto dell’acquisi-zione sanante.Il citato art. 43 aveva cercato di rendere legittimo il mecca-nismo dell’occupazione senza titolo, collegando l’effetto acquisitivo del diritto di proprietà da parte dell’Ammini-strazione pubblica all’emanazione di un formale atto di acquisizione avente lo scopo e l’effetto di sanare la situa-zione di occupazione illegittima.Il previgente istituto dell’accessione invertita, fortemente criticato dalla Corte di Giustizia europea, veniva, quindi, sostituito dall’espressa subordinazione dell’effetto acqui-sitivo all’emanazione di un provvedimento (impugnabile) da parte della P.A.L’acquisto del bene non poteva più, pertanto, avvenire in maniera automatica e la realizzazione dell’opera pubblica non sarebbe più stata sufficiente ad impedire la restituzio-ne del bene al privato illegittimamente espropriato.Il privato avrebbe, dunque, potuto ottenere tanto la tutela risarcitoria per equivalente, quanto quella restitutoria, a meno che l’Amministrazione pubblica non avesse deciso di adottare il provvedimento di acquisizione sanante che

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avrebbe determinato il passaggio del diritto di proprietà sul bene dal soggetto privato al soggetto pubblico.D’altro canto, già nel 2006, il Consiglio di Stato, recependo l’ormai consolidato orientamento europeo, aveva afferma-to che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non avrebbe potuto far venir meno l’obbligo dell’Amministrazio-ne occupante di restituire al privato il bene illegittimamente appreso.L’art. 42 bis, D.P.R. n. 327/2001, ha dunque riproposto il citato istituto dell’acquisizione sanante, diversamente for-mulandone la disciplina, cercando di ovviare alle problema-ticità palesate dalla precedente regolamentazione.La modifiche di maggiore rilievo sono state introdotte nella parte in cui la nuova disposizione statuisce espressamente che il bene di proprietà del soggetto privato viene acquisito “non retroattivamente” al patrimonio dell’Amministrazione, e nella parte in cui, nella nuova previsione, è contenuto il riferimento all’ “indennizzo” spettante al privato, in luogo del “risarcimento”.Nella recente sentenza n. 5844 del 2 novembre 2011, il Consiglio di Stato ha ribadito che la distinzione tra occupa-zione usurpativa e occupazione acquisitiva non ha più alcu-na rilevanza giuridica ai fini dell’acquisizione del diritto di proprietà da parte dell’Amministrazione pubblica, in quanto la sola via percorribile risulta ad oggi, in entrambi i casi, quella di cui all’art. 42 bis del T.U. espropri. L’unica differenza che residua è quella che attiene all’indi-viduazione del momento che deve intendersi come data di inizio dell’illecito (ciò, soprattutto, ai fini della decorrenza del termine prescrizionale): mentre nel caso dell’occupazio-ne usurpativa esso viene fatto coincidere con il momento dell’immissione in possesso da parte della P.A., nell’ipotesi dell’occupazione acquisitiva, tale momento corrisponde a quello della scadenza dell’occupazione legittima del terreno.

Occupazioneusurpativa e occupazione acquisitiva

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