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L’Abruzzo, terra dei parchi , è chiamata anche Regione Verde d’Europa. In questa regione infatti troviamo tre Parchi Nazionali , un Parco Regionale e 38 tra oasi e riserve regionali e statali. In totale le aree protette in Abruzzo rappresentano circa il 30% dell’intero territorio regionale. Vi si alternano paesaggi naturali tra i più vari: dai vastissimi piani carsici del Gran Sasso agli Altopiani Maggiori; dai profondi canyon della Maiella alle estese foreste della Laga; dagli alti pascoli ai selvaggi ambienti rupestri; e ancora cascate grotte e persino un ghiacciaio, il Calderone, l’unico dell’Appennino e il più meridionale d’Europa.

Parco nazionale d'Abruzzo

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Parco nazionale d'Abruzzo

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Page 1: Parco nazionale d'Abruzzo

L’Abruzzo, terra dei parchi, è chiamata anche Regione Verde d’Europa. In questa regione infatti troviamo tre Parchi Nazionali, un Parco Regionale e 38 tra oasi e riserve regionali e statali. In totale le aree protette in Abruzzo rappresentano circa il 30% dell’intero territorio regionale. Vi si alternano paesaggi naturali tra i più vari: dai vastissimi piani carsici del Gran Sasso agli Altopiani Maggiori; dai profondi canyon della Maiella alle estese foreste della Laga; dagli alti pascoli ai selvaggi ambienti rupestri; e ancora cascate grotte e persino un ghiacciaio, il Calderone, l’unico dell’Appennino e il più meridionale d’Europa.

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Il territorio del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise è costituito

principalmente da un insieme di catene montuose di altitudine compresa tra i 900 e i 2.200 m s.l.m.

Le montagne del Parco presentano un paesaggio vario ed interessante in cui si alternano vette tondeggianti, tipiche dell'Appennino, a pendii dirupati dal tipico aspetto alpino. La zona centrale del Parco è percorsa dal fiume Sangro, al quale affluiscono vari torrenti; nella zona più esterna defluiscono, invece, le acque del fiume Giovenco, del Melfa, del Volturno e di altri fiumi.

A causa del fenomeno carsico, le acque scorrono spesso in letti sotterranei e formano risorgive a valle, talvolta anche fuori del territorio del Parco. All'interno del Parco esistono due bacini lacustri: il lago artificiale di Barrea alimentato dal fiume Sangro ed il lago Vivo di origine naturale. Quest'ultimo è situato in una depressione di origine tettonica posta a circa 1.600 m s.l.m. Essendo alimentato in parte da sorgenti proprie ed in parte dallo scioglimento delle nevi, le sue dimensioni seguono andamenti stagionali.

Il territorio del Parco è stato in passato modellato da fenomeni di giacialismo e carsismo, oggi testimoniati dalla presenza di circhi glaciali nella parte alta delle vallate, depositi morenici, rocce montonate lungo le valli, grotte, fenditure e doline. Le rocce del Parco sono per la maggior parte di natura calcarea. Nella zona della Camosciara è presente la dolomia, un tipo di roccia che, essendo impermeabile, permette all'acqua di scorrere in superficie dando luogo a pittoresche cascate e pozze d'acqua.

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Nei rilievi più importanti, come il Monte Marsicano, la Montagna Grande, la catena del Petroso e della Meta, il Monte Greco, sono scolpiti in forma visibile i segni dei grandi eventi della storia della Terra, che hanno condizionato la morfologia del territorio fino ai nostri giorni. Là dove 160 milioni di anni fa si ergevano possenti scogliere coralline immerse in caldi mari tropicali, oggi possiamo ammirare imponenti massicci. Le acque meteoriche, sciogliendo il calcare con cui è stata "costruita" la roccia, penetrano nelle viscere dei monti, si arricchiscono di preziosi minerali e vanno a formare grandi emergenze situate alla base delle catene montuose. Notevoli e suggestive sono le sorgenti del Volturno, nei pressi di Rocchetta al Volturno o quelle di Posta Fibreno nell'alta Ciociaria, che nel contesto formano habitat acquatici di raro valore naturalistico.

Lungo i versanti e le valli del Parco si possono ammirare le impronte delle glaciazioni che hanno lasciato ai nostri giorni circhi glaciali, morene e massi erratici sui Monti della Meta, sul Marsicano e sul Greco. Ancora più emozionanti appaiono gli enormi fenomeni erosivi prodotti dalle acque piovane e dai fiumi che, fessurando la fragile roccia, forgiano profonde gole, come quella della Foce di Barrea, una forra spettacolare di 5 chilometri di lunghezza attraversata dal fiume Sangro che, dopo aver formato l'omonimo lago artificiale, fragorosamente raggiunge la pianura alluvionale tra Alfedena e Castel di Sangro, tra vertiginose pareti verticali

La morfologia del territorio è molto complessa ed elaborata, per cui nel contesto dei rilievi montuosi si aprono ampi altipiani come la distesa di Pescasseroli o suggestivi pianori carsici come quello delle

"Forme" in comune di Pizzone e quello di "Campitelli" in comune di Alfedena, incassati nella ripida cordigliera delle Mainarde.

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Le vallette in quota assumono aspetti unici quando, per lo scioglimento delle nevi, si formano laghetti, come il lago Vivo ubicato a circa 1600 metri di altitudine che riempie un'ampia dolina circondata dalle aspre pareti della catena, di oltre 2200 metri s.l.m., del Petroso e dei monti della Meta; o come il particolarissimo Lago Pantaniello posto nella

valle glaciale di Chiarano, a 1800 metri s.l.m in cui vivono e si sviluppano una flora ed una fauna rare e preziosissime.

Tuttavia, quando si arriva nel cuore del Parco grande è l'emozione provocata dall'impressionante anfiteatro naturale della Camosciara molto simile, nell'aspetto e nella struttura, alle montagne dolomitiche, che racchiude nel proprio contesto la zona di Riserva Integrale. Da qualche anno è stata abolita la strada provinciale che consentiva la penetrazione nell'area per circa 3 km al traffico motorizzato, con grande disturbo per la flora e la fauna selvatiche. Oggi, invece, partendo dall'area di sosta, situata a fianco della SS Marsicana, oltre la riva destra del Sangro, è possibile godere del grandioso scenario percorrendo un comodo itinerario a piedi, accompagnati dai suoni della natura e lontano dagli assordanti rumori delle auto, moto e pulman. La catena della Camosciara, insieme alle contigue Val di Rose e Valle Iannanghera rappresentano i luoghi del "culto" della natura protetta, dove si possono osservare con meraviglia a pochi metri di distanza e in ogni stagione, stupendi esemplari del Camoscio d'Abruzzo, che grazie all'opera dell'Ente Parco, ha raggiunto oggi una consistente popolazione.

Lungo i versanti, quasi sempre impervi, si dipartono innumerevoli e ripide vallate come la profonda incisione della Valle del Sagittario che dopo vari chilometri di ripide strettoie si apre nella conca di Sulmona; o come la profonda Val Canneto, nel versante laziale, dove la ricchezza delle acque e il clima particolarmente umido ne fanno una delle valloni più ricchi di vegetazione forestale.

Il versante nord-ovest del Parco si affaccia nell'immenso altopiano lacustre del Fucino, prosciugato dal principe Alessandro Torlonia nel 1877 e trasformato in una vasta pianura agricola, ma recentemente sfruttata eccessivamente e degradata con l'aggravante massiccio inquinamento da pesticidi.

In questo versante la natura del Parco assume forme altrettanto caratteristiche, anche se diversificate rispetto all'Alto Sangro, con la splendida Vallelonga dagli infiniti itinerari che si perdono nei tramonti incantevoli della vastità dei Prati d'Angro; la ridente Valle del Giovenco dai

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climi miti e favorevoli per la coltivazione di gustosi fruttiferi; la Cicerana con le sue belle faggete alternate ad ampie radure, abitualmente frequentata dell'Orso ma che negli anni'60 del secolo scorso, sull'onda di una malintesa valorizzazione turistica, è stata oggetto di speculazioni edilizie. La pregiata area è stata successivamente riscattata dall'Ente Parco, con la demolizione di quelle strutture estranee e deturpanti.

Le caratteristiche Geologiche

Coralli fossili (150 milioni di anni fa) di San Sebastiano di Bisegna (Aq).

Le montagne del Parco si sono formate tra 170 e 30 milioni di anni fa, vale a dire nel periodo tra il Mesozoico ed il Terziario antico. Un tempo, le attuali dorsali della Marsica, della Meta- Mainarde del Genzana-Greco erano occupate dal mare: il calcare si è infatti originato da depositi marini tipici delle zone lagunari e di scogliera ed in particolare da alghe, coralli, molluschi bivalvi e gasteropodi. La caratteristica geologica principale del Parco risiede nel fatto che sono presenti vari tipi di sedimentazione: anzitutto una zona di piattaforma, originata da un mare povero di ossigeno, poco profondo e melmoso ed abitato in prevalenza da alghe, calcaree e da animali specializzati a vivere in ambienti fangosi e poco ossigenati; ad oriente una zona di soglia, dove era presente un mare aperto e profondo il cui moto ondoso delle acque arricchiva il mare d'ossigeno, permettendo la vita a molti animali specializzati, i cui resti costituiscono interessanti strati di fossili; infine una zona di transizione, una vera e propria scarpata, che univa la piattaforma al fondale marino. Lungo questa zona si possono osservare i detriti dei fossili della scarpata insieme ai depositi delle zone più profonde. Se volete fare un viaggio virtuale lungo duecento milioni di anni potete trovare la vostra astronave-sommergibile che vi permetterà di volare ed immergerti, passeggiando tranquillamente lungo i sentieri del Parco. I fondali di antichi mari sono oggi dorsali e valli accattivanti che in un susseguirsi di quinte parallele scoprono angoli e ambienti meravigliosi. La varietà di paesaggi passati e di forme attuali (ghiacciai, grotte, doline, forre) vi mostrerà le pagine di un libro geologico che narra la storia in continua evoluzione delle montagne del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise.

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365 Giorni nella Natura

Il Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise è visitabile nel corso delle quattro stagioni per scoprire colori, profumi, paesaggi, ambienti, animali e piante che variano con il trascorrere dei giorni e dei mesi.

La flora del Parco

"Nella meravigliosa oasi verde che oggi costituisce il Parco Nazionale d'Abruzzo, il visitatore trova estasiato e felice u na grande ricchezza di piante, un superbo rigoglio di vegetazione".

Con queste parole l'illustre botanico Romualdo Pirotta celebrava all'inizio del secolo scorso il valore della flora delle montagne del Parco.

La flora del Parco, è così ricca ed interessante, da essere stata, da sempre, oggetto di studio Complessivamente è possibile elencare circa 2.000 specie di piante superiori senza cioè considerare i muschi, i licheni, le alghe ed i funghi.

Tra le peculiarità floristiche, spicca il giaggiolo (Iris marsica) un endemismo del parco, che cresce solo in alcune località e che fiorisce tra maggio e giugno. Sono presenti inoltre numerose e variopinte orchidee, delle quali la più bella, grande e rara è senz'altro rappresentata dalla scarpetta di Venere o pianella della Madonna (Cypripedium calceolus), che fiorisce negli angoli più nascosti, tra maggio e giugno.

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Un'altra rarità è senz'altro rappresentata dal pino nero di Villetta Barrea(Pinus nigra), una specie relitta risalente probabilmente al Terziario; si tratta di una varietà esclusiva del Parco, localizzata in alcune zone della Camosciara e della Val Fondillo. Tra le conifere spontanee, troviamo, inoltre, il pino mugo (Pinus mugo), un relitto glaciale che occupa la fascia vegetazionale tra la faggeta e la prateria di altitudine anch'esso localizzato prevalentemente nella zona della Camosciara.

Altra peculiarità del parco è rappresentata da una piccola stazione di betulle (Betula pendula), localizzata a Barrea in una località chiamata Coppo Oscuro. Si tratta di una specie relitta, tipica delle epoche glaciali quaternarie, che testimonia la vegetazione fredda un tempo predominante sull'Appennino.

Ma il paesaggio vegetale predominante del Parco è costituito dalle foreste di faggio:

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il nome scientifico di questa specie, Fagus syIvatica, ricorda l'origine spontanea di questa specie sulle montagne dell'Italia appenninica, dove la presenza dei faggi risale a decine di secoli fa. Il faggio è infatti l'albero più comune del Parco e generalmente cresce tra 900 e 1.800 metri di altitudine.

Le faggete occupano più del 60% dell'intera superficie del Parco e concorrono a creare un paesaggio ricco di colori che variano al trascorrere delle stagioni. La forma e la grandezza dei faggi varia in base all'altitudine, all'età e alle condizioni di fertilità del suolo. L'abbondante lettiera presente in faggeta svolge un'importante azione termoregolatrice: durante l'estate mantiene umido il suolo impedendone l'essiccamento, mentre d'inverno lo protegge dal gelo. Inoltre, decomponendosi grazie all'azione di insetti e microrganismi, contribuisce ad arricchire il terreno di humus. Dai rami dei faggi pendono inoltre, abbondanti ciuffi di "barba di bosco" (Usnea florida), un lichene tipico di questo ambiente dell'Appennino. Il faggio manifesta una molteplicità di aspetti: da esemplari tozzi e plurisecolari, con chioma a forma di candelabro ad alberi dal fusto alto e diritti come ceri. Questi alberi, se potessero parlare, racconterebbero storie lunghe e complesse, fatte di pesanti interventi da parte dell'uomo, con tagli e disboscamenti irrazionali avvenuti sin dalle epoche più remote. Ma il periodo più difficile per questi boschi fu quello del cosiddetto 'miracolo economico', in cui ebbero il sopravvento i tagli di tipo industriale. Grazie l'impiego di mezzi e tecnologie più moderne, le foreste subirono una pericolosa distruzione che non andò a vantaggio delle popolazioni locali e della cultura forestale.

Nel Parco, tra il 1957 e il 1967, furono tagliate oltre 650.000 piante d'alto fusto. Dal 1969, con la riorganizzazione dell'Ente, sono stati vietati tutti i tagli a uso

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industriale, stroncando cosi una vera e propria speculazione boschiva. Dopo anni di sfruttamento indiscriminato, le foreste dei Parco ora vengono conservate accuratamente al fine di riportarle, ove possibile, alla loro struttura originale, favorendo così sia la fauna - che cosi può riavere il suo ambiente naturale - sia l'uomo, cui consentono il godimento di spettacolari bellezze. Oltre il limite delle foreste si incontrano il ginepro nano (Juniperus communis nana), di forma prostrata, e relitti della brughiera nordica come il mirtillo (Vaccinium myrtillus) e l'uva ursina (ArctostaphyIos uva-ursl), che rivelano la presenza, in tempi passati, di uno strato superiore di vegetazione a conifere. Le praterie di altitudine - che insieme a prati e radure ricoprono oltre il 30% della superficie complessiva del Parco - sono tipiche della parte alta delle montagne e. occupano creste e sommità intorno ai 1.900-2.000 metri di quota. Qui la vegetazione è composta prevalentemente da diverse specie di Graminacee e Ciperacee cui si accompagnano nella bella stagione la gialla genziana maggiore e tantissime altre specie: genziane, genzianelle, primule, ciclamini, viole, anemoni, scilie, gigli, orchidee, sassifraghe, ranuncoli, asperule, dentarie, ofridi, ellebori, epatiche. Particolarmente vistosi sono il giglio rosso (Lilium bulbiferum croceum), proprio di pendii assolati e asciutti, il giglio martagone (Lilium martagon), che cresce nelle faggete meno fitte, l'aquilegia (Aquilegia ottonis), abbondante nei pascoli e nei terreni incolti, la genziana appenninica (Gentiana dinarica), di un azzurro intenso, e la già citata Iris marsica. Il fiore più famoso dei Parco è senza dubbio la scarpetta di Venere, o pianella della Madonna (Cypripedium calceolus), un'orchidea gialla e nera localizzata nel cuore della riserva integrale e relitto di epoche lontane. Questa pianta, che cresce anche in località alpine, rischia l'estinzione a causa della vandalica quanto inutile raccolta da parte di turisti non educati; occorre quindi proteggerla adeguatamente.

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Fauna

La fauna dei Parco offre esempi di eccezionale valo re, con specie che da sole potrebbero giustificare l'esistenza dell'ar ea protetta.

Dopo anni di intolleranza e persecuzioni, essa è oggi difesa nella sua totalità, grazie all'opera, sia educativa che di tutela, svolta dall'Ente Parco negli ultimi anni. Per i visitatori non è facile avvistare gli animali, perché questi sono per lo più sfuggenti, elusivi e circospetti, forse a ricordo della negativa esperienza con l'uomo. Tuttavia in alcune stagioni dell'anno e in particolari circostanze (tranquillità, silenzio e rispetto dell'ambiente), è possibile osservare anche gli animali più spettacolari e rappresentativi del Parco, come il camoscio d'Abruzzo, l'orso bruno marsicano, il lupo, il cervo e l'aquila reale. Oggi il Parco ospita una grande varietà di animali che un tempo occupavano un areale assai più esteso nell'Appennino: 60 specie di mammiferi, 300 di uccelli, 40 di rettili, anfibi e pesci, e moltissime specie di insetti, comprendenti importanti endemismi.

I mestieri del Parco

La cultura di un popolo si manifesta in ciò che realizza, in quello che produce e nel modo in cui si rapporta con il luogo d'origine. Fin da epoche lontane, il territorio del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise è stato abitato e utilizzato da uomini e donne che hanno dato vita a tradizioni e mestieri percepibili nei vicoli e nelle botteghe artigiane ancora esistenti. È nella memoria popolare che sopravvivono gli echi dei canti dei mietitori e dei contadini, il belare delle pecore, il martellare del falegname e del fabbro, le voci allegre delle lavandaie. Esistono ancora in alcuni luoghi costumi e tradizioni della civiltà agro-silvo-pastorale legata ad un'economia di semplice sussistenza.

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Le attività legate alla transumanza, oltre ai pastori, vedevano impegnati i tosatori, i cardatori, i tintori e i tessitori per la lavorazione della lana, il massaro e il caciaro per la mungitura e la lavorazione del formaggio, i bassettieri per la concia e la vendita delle pelli, i butteri per l'approvvigionamento dell'acqua e della legna e per la costruzione delle recinzioni per il ricovero degli animali. Oltre alla pastorizia anche l'agricoltura aveva un certo sviluppo, grazie a piccoli campi coltivati sulle pendici esposte a sud e nei fondovalle dove erano coltivati grano, granturco, legumi e gli ortaggi che servivano per il fabbisogno quotidiano delle famiglie. Quello del contadino è uno dei mestieri più antichi del mondo e i raccolti dei campi, dei frutteti, delle vigne e degli orti erano i prodotti per cibarsi e in parte per rifornire i mercati e le botteghe con la prospettiva di ricavarne del denaro. Diffusa in questi territori era la mezzadria ovvero il contratto agrario che prevedeva di conferire metà del prodotto al proprietario terriero e di tenerne per sé la restante parte.

Il calendario del contadino era ricco di impegni: la vendemmia e la preparazione del terreno con la semina di alcuni prodotti e la raccolta delle olive in autunno, l'uccisione dei maiali e la lavorazione della carne in inverno, la semina primaverile del granturco, dei fagioli e delle patate, la mietitura e trebbiatura del grano e la raccolta della maggior parte dei prodotti in estate.

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L'attività artigianale, che ha tradizioni antichissime, è legata soprattutto ad oggetti fabbricati per soddisfare i bisogni immediati: i bastoni dei pastori, le ciotole, gli sgabelli per mungere il bestiame, i recipienti per i formaggi, gli utensili da cucina, e gli arredi domestici. Il materiale preferito era il legno abbondante nella zona. Lo scalpellino lavorava, decorava e collocava blocchi di pietra utilizzata per abitazioni, sentieri e marciapiedi e per gli oggetti ornamentali come fontane, colonne, architravi. Ispezionava il luogo dove le pietre dovevano essere inserite le tagliava e le sbozzava dando loro la forma voluta. Così, semplici decorazioni suggerite dalla natura si sono trasformate in vere e proprie forme d'arte che impreziosiscono ancora oggi i centri storici. Il fabbro era un artigiano che in passato godeva di molta considerazione perché i paesi a vocazione agricola non potevano fare a meno di questo professionista che forgiava i metalli. Con l'incudine, le pinze e le tenaglie, i martelli e le mazze, il fabbro modellava le barre di ferro incandescenti che cedevano sotto i suoi colpi vigorosi diventando zappe, vanghe, mannaie, accette, falci, picconi, roncole e ferri di cavallo.

Figura tipica era anche quella del carbonaio che restava in montagna per mesi interi, portandosi dietro solo il mulo. I carbonai provvedevano al taglio degli alberi che venivano quindi sramati e depezzati. Successivamente la legna veniva trasportata con i muli nella piazzola dove era sistemata per bruciare. La carbonaia aveva forma conica e una volta appiccato il fuoco veniva coperta con del terriccio, si praticavano dei buchi laterali per far uscire il fumo ed ottenere una combustione lenta senza che la legna incenerisse completamente. Anche di notte, a turno, si sorvegliava la carbonaia per evitare ogni pericolo. I carbonai dormivano in capanni di legno, che una volta terminato il lavoro venivano smontati e trasferiti altrove. Come mezzo di trasporto della legna usavano soprattutto i muli, resistenti e adatti a muoversi nelle zone montuose della regione.

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Una tradizione tipicamente femminile era la filatura della lana che veniva praticata con la rocca e il fuso. La lana un tempo veniva cardata facendola passare e ripassare tra due assi di legno contrapposti dai quali fuoriuscivano lunghi chiodi. In seguito furono utilizzate apposite macchine a pedale, nelle quali il fuso era sostituito dalla spola. La lana filata era poi raccolta in matasse, lavata in acqua calda e usata per fare calze, maglioni, maglie, scialli ecc.

Alle vecchie attività di un tempo oggi si sono sostituite quelle nuove, legate prevalentemente al turismo. Vi è però la consapevolezza di dover conservare il patrimonio ambientale e culturale del territorio, per garantire benefici non solo economici, convogliando gli interessi e gli sforzi verso un nuovo modo di

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progettare e investire, tenendo conto di un nuovo importante settore di occupazione, rappresentato dalla "qualità della vita".

La storia

Prima proposta del Parco Nazionale d'Abruzzo fatta nel 1917 dalla Federazione Pro-Montibus

Fu nel comune di Opi, uno dei più suggestivi del Parco, che il 2 ottobre 1921 la Federazione Pro Montibus et Silvis di Bologna, guidata dall'illustre zoologo professor Alessandro Ghigi e dal botanico professor Romualdo Pirotta, volle istituire la prima area protetta d'Italia affittando dal comune stesso 500 ettari della Costa Camosciara, nucleo iniziale del Parco, situato nell'alta Val Fondillo, divenuta successivamente una delle valli più famose e frequentate.

E' proprio in questo impervio territorio, difficilmente accessibile, dell'Alto Sangro che trovarono rifugio l'Orso bruno marsicano, il Camoscio d'Abruzzo, il Lupo appenninico ed altre specie non meno importanti.

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Il 25 novembre 1921 ci fu la cerimonia inaugurale e per acclamazione fu costituito l'Ente Autonomo Parco Nazionale d'Abruzzo. L'11 settembre del 1922, per iniziativa di un Direttorio Provvisorio presieduto dall'onorevole Erminio Sipari, parlamentare locale e autorevole fondatore del Parco, un'area di 12.000 ettari ricadente nei comuni di Opi, Bisegna, Civitella Alfedena, Gioia de' Marsi, Lecce dei Marsi, Pescasseroli e Villavallelonga, insieme a una zona marginale di 40.000 ettari di Protezione Esterna, divenne Parco Nazionale alla presenza di tutte le autorità, presso la Fontana di S.

Rocco a Pescasseroli, dove resta una lapide corrosa dal tempo a ricordo del famoso evento. Poco più tardi lo Stato italiano, con Decreto Legge dell'11 gennaio 1923, ne riconosceva ufficialmente l'istituzione. Qualche decennio prima, il Re Vittorio Emanuele

volle istituire in quest'area una riserva di caccia, per evitare lo sterminio incombente e l'estinzione di importanti ed uniche specie selvatiche. D'altronde sia l'Orso Marsicano che il Lupo e il Camoscio avevano abitato un'area molto più vasta comprendente quasi l'intero Appennino, ma il degrado degli habitat, procurato dall'eccessivo disboscamento e dalla diffusa antropizzazione, nonchè la caccia indiscriminata, li aveva relegati nei luoghi più remoti e selvaggi.

Proprio grazie al Parco questi luoghi conservano ancor oggi quei valori naturali e culturali della montagna tanto da ispirare altri territori a seguirne l'esempio.

L'uomo moderno, completamente coinvolto dalla società super-tecnologica, può ritrovare nel Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise un pezzo della propria storia e della propria evoluzione, una storia scritta su un libro ancora

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aperto fatta di vicissitudini geologiche, di affascinanti selve e di una cultura socio-economica sobria, parsimoniosa e creativa.