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1 Parte prima: l’assicurazione. Premessa. L’incertezza su ciò che accadrà in futuro scaturisce sia dall’ignoranza, sia dalla libertà d’agire: ogni cosa che accade, infatti, è la conseguenza di qualche causa o delle scelte di qualcuno. Se avessimo complete e perfette conoscenze scientifiche nei campi della geologia, della meteorologia o della medicina sapremmo quando, dove e con che forza colpirà il terremoto, la grandine o il cancro; se le persone non avessero alcuna libertà (se ognuno potesse fare solo ciò che gli viene comandato da un’autorità superiore) allora tutte le azioni umane seguirebbero un copione già scritto e quindi, essendo prevedibili, non originerebbero rischi. Seppure da oltre un secolo nelle società occidentali gli spazi di libertà siano costantemente (salvo brevi periodi) in diminuzione, fortunatamente sono ancora abbastanza ampi; seppure dai tempi di Adamo ed Eva le conoscenze siano costantemente in aumento (e la loro derivata seconda sia positiva, cioè se hai compreso la matematica di quest’anno – la velocità con cui aumentano le conoscenze sia sempre più rapida), fortunatamente sono ancora ben lontane dall’essere complete (1) . Questo è il motivo per cui viviamo nell’incertezza, il motivo per cui il rischio è incancellabile dalla vita. La vita è cambiamento, e il cambiamento genera rischio e instabilità. L’uomo tende ad apprezzare e ricercare la sicurezza e la stabilità, ma essendo la vita per definizione cambiamento, l’uomo approderà alla stabilità e alla sicurezza solo con la morte; ciò non toglie che, finché vive e pur cercando di sfuggire alla morte, la maggioranza degli uomini (ma non Vasco Rossi e Steve McQueen) continui a gradire e ricercare la sicurezza. Questo tentativo di ridurre i rischi del vivere può essere perseguito seguendo, anche contemporaneamente, cinque strade: 1. Trasferire i propri rischi su chi volontariamente li accetta: e, se li accetta, lo fa in cambio di un compenso (il “premio” incassato dell’assicuratore); 2. Diversificare” le proprie attività (intese sia come valori patrimoniali sia come fonti di reddito), cioè non concentrarle ma, al contrario, distribuirle in varie tipologie i cui risultati non siano fra loro collegati (non investire tutti i risparmi in azioni ma anche in obbligazioni, immobili, oro ecc.; marito, moglie e figlio è meglio che non lavorino nella stessa azienda ma in aziende diverse, meglio se operanti in settori diversi); 3. Cautelarsi attraverso il risparmio (l’investimento) di risorse (la formica che d’estate lavora e accumula scorte per l’inverno, quando il rischio di non trovare più sufficiente cibo fuori dal formicaio è massimo); 4. Impegnarsi nella ricerca di maggiore conoscenza e informazioni, in modo da essere in grado di fare scelte migliori (se la formica sapesse che l’aspetta un inverno più lungo del solito si darebbe da fare per accumulare più scorte e non rischierebbe la fame); 5. Trasferire d’imperio i propri rischi su qualcun altro; (la cicala che, dopo essersi divertita tutta l’estate, d’inverno saccheggia le scorte della formica scaricandole addosso il proprio rischio di morire di fame ). (1) Tutto ciò che accade ha una causa, nulla è casuale (nel senso di dovuto al “caso”), il “caso”, infatti, non esiste: il “caso” è soltanto “il complesso di una moltitudine di cause i cui effetti individuali sono difficilmente valutabili, mentre è osservabile l’effetto complessivo risultante”. In questo senso si dice che è il “caso” a determinare la faccia che un dado mostrerà dopo che lo si è tirato. In realtà, se esce tre piuttosto che sei, è perché tantissime cause hanno provocato quell’evento: la forza impressa sull’oggetto, la direzione del tiro, la velocità e la direzione del vento, l’inclinazione e il tipo di superficie del piano su cui è caduto e così via. In un certo senso si può dire che il “caso” esiste solo dove c’è ignoranza. Tutti gli eventi sono dovuti a delle cause, e quando queste cause ci sono ignote o quando ci è ignota l’incidenza che esse hanno, allora – per semplificare – diciamo che quell’evento è dovuto al “caso”. Più sono ampie e approfondite le conoscenze e più è prevedibile il futuro. Per alcuni ( Laplace e per la scuola determinista), l’avanzare della scienza dovrebbe far progressivamente ed illimitatamente avvicinare alla conoscenza assoluta, e quindi restringere il campo di applicazione del calcolo delle probabilità (e con esso diminuirebbe anche il fatturato delle compagnie di assicurazione). A oltre un secolo di distanza da Laplace la fisica quantistica ha però dimostrato che mai sarà possibile un’assoluta previsione del futuro, in quanto non è totalmente conoscibile il presente, e questo per insuperabili ragioni di principio (principio di indeterminazione di Heisemberg): vi è una sorta di naturale ed insuperabile barriera alla conoscenza della realtà, riconducibile al fatto che l’atto dell’osservazione modifica l’evento osservato.

Parte prima: l’assicurazione - Carlo Massa scuolacarlomassa551821.altervista.org/blog/wp-content/uploads/... · 2014. 5. 12. · morte, la maggioranza degli uomini (ma non Vasco

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  • 1

    Parte prima: l’assicurazione.

    Premessa.

    L’incertezza su ciò che accadrà in futuro scaturisce sia dall’ignoranza, sia dalla libertà d’agire: ogni cosa che

    accade, infatti, è la conseguenza di qualche causa o delle scelte di qualcuno. Se avessimo complete e

    perfette conoscenze scientifiche nei campi della geologia, della meteorologia o della medicina sapremmo

    quando, dove e con che forza colpirà il terremoto, la grandine o il cancro; se le persone non avessero alcuna

    libertà (se ognuno potesse fare solo ciò che gli viene comandato da un’autorità superiore) allora tutte le azioni umane

    seguirebbero un copione già scritto e quindi, essendo prevedibili, non originerebbero rischi.

    Seppure da oltre un secolo nelle società occidentali gli spazi di libertà siano costantemente (salvo brevi periodi)

    in diminuzione, fortunatamente sono ancora abbastanza ampi; seppure dai tempi di Adamo ed Eva le

    conoscenze siano costantemente in aumento (e la loro derivata seconda sia positiva, cioè – se hai compreso la matematica

    di quest’anno – la velocità con cui aumentano le conoscenze sia sempre più rapida), fortunatamente sono ancora ben

    lontane dall’essere complete (1) . Questo è il motivo per cui viviamo nell’incertezza, il motivo per cui il

    rischio è incancellabile dalla vita.

    La vita è cambiamento, e il cambiamento genera rischio e instabilità. L’uomo tende ad apprezzare e

    ricercare la sicurezza e la stabilità, ma essendo la vita – per definizione – cambiamento, l’uomo approderà alla

    stabilità e alla sicurezza solo con la morte; ciò non toglie che, finché vive e pur cercando di sfuggire alla

    morte, la maggioranza degli uomini (ma non Vasco Rossi e Steve McQueen) continui a gradire e ricercare la

    sicurezza.

    Questo tentativo di ridurre i rischi del vivere può essere perseguito seguendo, anche contemporaneamente,

    cinque strade:

    1. Trasferire i propri rischi su chi volontariamente li accetta: e, se li accetta, lo fa in cambio di un

    compenso (il “premio” incassato dell’assicuratore);

    2. “Diversificare” le proprie attività (intese sia come valori patrimoniali sia come fonti di reddito), cioè non

    concentrarle ma, al contrario, distribuirle in varie tipologie i cui risultati non siano fra loro collegati (non investire tutti i risparmi in azioni ma anche in obbligazioni, immobili, oro ecc.; marito, moglie e figlio è meglio che non lavorino

    nella stessa azienda ma in aziende diverse, meglio se operanti in settori diversi);

    3. Cautelarsi attraverso il risparmio (l’investimento) di risorse (la formica che d’estate lavora e accumula

    scorte per l’inverno, quando il rischio di non trovare più sufficiente cibo fuori dal formicaio è massimo);

    4. Impegnarsi nella ricerca di maggiore conoscenza e informazioni, in modo da essere in grado di fare

    scelte migliori (se la formica sapesse che l’aspetta un inverno più lungo del solito si darebbe da fare per accumulare più scorte e

    non rischierebbe la fame);

    5. Trasferire d’imperio i propri rischi su qualcun altro; (la cicala che, dopo essersi divertita tutta l’estate,

    d’inverno saccheggia le scorte della formica scaricandole addosso il proprio rischio di morire di fame).

    (1) Tutto ciò che accade ha una causa, nulla è casuale (nel senso di dovuto al “caso”), il “caso”, infatti, non esiste: il “caso” è soltanto “il complesso di una moltitudine di cause i cui effetti individuali sono difficilmente valutabili, mentre è osservabile l’effetto

    complessivo risultante”. In questo senso si dice che è il “caso” a determinare la faccia che un dado mostrerà dopo che lo si è tirato. In realtà, se esce tre piuttosto che sei, è perché tantissime cause hanno provocato quell’evento: la forza impressa sull’oggetto, la direzione del tiro, la velocità e la direzione del vento, l’inclinazione e il tipo di superficie del piano su cui è caduto e così via. In un certo senso si può dire che il “caso” esiste solo dove c’è ignoranza. Tutti gli eventi sono dovuti a delle cause, e quando queste cause ci sono ignote o quando ci è ignota l’incidenza che esse hanno, allora – per semplificare – diciamo che quell’evento è dovuto al “caso”. Più sono ampie e approfondite le conoscenze e più è prevedibile il futuro. Per alcuni (Laplace e per la scuola determinista), l’avanzare della scienza dovrebbe far progressivamente ed illimitatamente avvicinare alla conoscenza assoluta, e quindi restringere il campo di applicazione del calcolo delle probabilità (e con esso diminuirebbe anche il fatturato delle compagnie di assicurazione). A oltre un secolo di distanza da Laplace la fisica quantistica ha però dimostrato che mai sarà possibile un’assoluta previsione del futuro, in quanto non è totalmente conoscibile il presente, e questo per insuperabili ragioni di principio (principio di indeterminazione di Heisemberg): vi è una sorta di naturale ed insuperabile barriera alla conoscenza della realtà, riconducibile al fatto che l’atto dell’osservazione modifica l’evento osservato.

  • 2

    A livello individuale e tra persone corrette il caso 5. è da escludersi, costituendo un delitto; pertanto a

    livello individuale il rischio diminuisce legittimamente solo attraverso un sacrificio, cioè il sostenimento di

    un costo (rispettivamente, da 1. a 4. : il “premio da pagare all’assicuratore, la scelta dell’attività ritenuta non ottimale, il rinvio

    di un possibile consumo per accumulare risparmio e il costo per ottenere informazioni), sacrificio che può essere ricondotto

    a due tipi: a) di tipo economico, costituito dall’astensione dal consumo per accumulare risorse (ad esempio: riduco i consumi per qualche anno e con i risparmi così accumulati faccio degli interventi sulla mia casa per renderla antisismica,

    così da correre meno rischi in caso di terremoto; oppure riduco i consumi per poter pagare il compenso – premio assicurativo – a

    chi si accolla il mio rischio), o b) d’altro tipo (l’impiego di parte del tempo libero per studiare, informarsi, aumentare le conoscenze e riflettere: in questo modo mi divertirò di meno ma saprò valutare più correttamente quali azioni intraprendere e

    commetterò meno idiozie).

    Anche a livello collettivo il rischio diminuisce attraverso i due tipi di sacrificio a) e b), e cioè con il

    sacrificio economico della popolazione (riducendo la quota del PIL destinata ai consumi per investire di più in

    infrastrutture, scorte, edifici pubblici antisismici, rafforzamento degli argini dei fiumi, prevenzione sanitaria ecc.) e l’impegno e

    l’investimento nella formazione scolastica (stimolando la concorrenza fra istituti e fra insegnanti, inducendo i giovani (ma

    non solo, anche i Walter) a studiare di più, destinando più risorse alla ricerca scientifica e all’istruzione tecnico-scientifica).

    A livello collettivo i due casi 1. e 5. si congiungono e danno vita allo “stato sociale” o, all’inglese,

    “welfare state”, che si concretizza in una (apparente) riduzione del rischio attraverso una (concreta) riduzione

    della libertà. In effetti tutte le garanzie pubbliche (la pensione a ripartizione, la sanità gratuita, l’indennità di

    disoccupazione ecc.) si possono leggere contemporaneamente in due modi: a) come la volontà della

    popolazione, espressa attraverso i suoi rappresentanti politici, di trasferire i costi dell’incertezza da chi ha

    meno “capacità contributiva” a chi ne ha più; oppure b) come la volontà di chi ha la forza del

    potere (e quindi, in democrazia, della maggioranza della popolazione) di imporre ad alcuni cittadini di accollarsi i costi

    dei rischi di altri.

    E’ evidente, però, che né col delitto (nel livello individuale) né con lo stato sociale (nel livello collettivo) i

    rischi complessivi si riducono: semplicemente si spostano, da un individuo all’altro o da un gruppo di

    cittadini (ad esempio gli anziani che non rischiano la povertà grazie a pensioni immeritate) a un altro gruppo (ad esempio i giovani che rischiano la povertà per permettere agli anziani di ricevere la pensione immeritata (e immeritata lo è sempre, se è stata

    calcolata col metodo retributivo). Per ridurre realmente – nel loro complesso – i rischi è quindi sempre necessario

    il sacrificio.

    L’anno scorso, parlando di lavoro ed enti previdenziali, ci occupammo delle assicurazioni collettive; ora

    parleremo di assicurazioni individuali.

    0) Introduzione.

    a) Il valore di un bene economico (per Teresa e altri: non nel senso di bene a basso prezzo, bensì di qualcosa che soddisfi

    un bisogno e che è disponibile in quantità inferiore ai desideri umani), dipendendo dal valore delle soddisfazioni che

    può fornire all’uomo (direttamente se è un bene di consumo, indirettamente se è di produzione) ed essendo la

    soddisfazione non misurabile oggettivamente (non esiste il feliciometro, alla faccia di Jeremy Benthan), è un dato

    soggettivo. Come dire che cercare il “giusto prezzo” di un certo bene è illusorio, ancor più della ricerca

    della pietra filosofale (e infatti filosofi del calibro di Aristotele, Tommaso d’Aquino, Marx ecc. non ci hanno cavato un ragno

    dal buco).

    b) Essendo il valore dei beni non oggettivo, ogni scambio, purché non imposto, aumenta la ricchezza

    complessiva disponibile per la collettività (ricorda l’esempio degli elettrodomestici vinti alla lotteria: tu ed io vinciamo a una lotteria i cui premi sono degli elettrodomestici. A te, che hai sempre caldo e mangi spesso fuori casa, capita una lavastoviglie; a me, che

    ho una casa fresca anche d’estate e non sopporto né i ristoranti né lavare i piatti, è toccato un climatizzatore. La conseguenza naturale sarà

    quella di scambiarci i beni, perché in questo modo entrambi avremo la possibilità di soddisfare esigenze per noi più importanti di quanto non

    potremmo fare se ci fosse impedito di scambiare. Sia tu che io, quindi, col solo scambiarci i premi vinti (lavastoviglie e climatizzatore) abbiamo

    migliorato la nostra situazione, ci siamo arricchiti entrambi senza danneggiare nessuno, e questo nonostante che i beni a disposizione siano gli

    stessi: i beni esistenti non si sono modificati ma la soddisfazione di esigenze – e quindi con essa la ricchezza – è aumentata.).

    c) Così come il valore della lavastoviglie è diverso in funzione del fatto che l’abbia tu o io, anche il valore

    del bene “sicurezza” è soggettivo ed è bene che sia possibile scambiarlo liberamente.

    d) Alla base dell’attività assicurativa sta proprio questo: la diversa (più elevata) valutazione che del bene

    sicurezza ha l’assicurato rispetto all’assicuratore.

  • 3

    1) Origine storica.

    Le prime forme di contratto in base al quale un soggetto si fa pagare (nell’ambito di una attività professionale

    specifica, ché altrimenti si trovano dei casi anche nell’antica Roma) per assumere su di sé un rischio altrui li troviamo in

    Toscana e in Liguria nella prima metà del XIV secolo (= 1300 - 1350). Si tratta, per lo più, di accordi in base ai

    quali un mercante si tutelava dal rischio che la propria merce non arrivasse a destinazione. Ancora una volta,

    e continuerà per tutto il tardo medioevo e il rinascimento, i mercanti e i banchieri (cioè i borghesi) italiani

    sono il faro della civiltà occidentale.

    2) Oggetto del contratto.

    L’assicurazione è il contratto con il quale:

    1) l’assicuratore si obbliga, in cambio di un prezzo, a risarcire l’assicurato, entro un limite prefissato, nel caso un determinato evento lo danneggi (assicurazione “ramo danni”); oppure,

    2) l’assicuratore si obbliga, in cambio di un prezzo, a pagare una somma di denaro (una volta o periodicamente) dopo il verificarsi di un evento attinente la vita dell’assicurato (assicurazione “ramo vita”).

    L’obbligo dell’assicuratore può consistere quindi nel:

    a) indennizzare un danno provocato al patrimonio dell’assicurato da un evento, detto “sinistro” (esempio assicurazione contro l’incendio, o il furto o la grandine ecc.);

    b) sollevare l’assicurato dalle conseguenze che dovrebbe subire in seguito a un danno provocato a terzi per sua colpa (ma non volutamente) (esempio assicurazione RC Auto, RC Professionale, RC

    dipendenti ecc.)

    c) indennizzare l’assicurato per la perdita economica causata da infortunio o malattia.

    d) pagare un capitale in una unica soluzione o una rendita periodica al verificarsi di un evento riguardante la vita umana, quale il raggiungimento di una certa età o la morte.

    L’art. 1882 del codice civile, con efficace stringatezza, recita: “l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto dal sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.”

    3) Soggetti del contratto (polizza).

    I soggetti del contratto di assicurazione (detto “polizza” dal latino pollicitatio, promessa) sono quattro, sebbene

    spesso i primi tre coincidano nella medesima persona:

    Il contraente è colui che stipula il contratto di assicurazione, che è tenuto a pagare il premio e che ha la

    facoltà di esercitare tutti i diritti relativi al contratto (ad esempio pretendere l’indennizzo, cambiare il

    beneficiario o chiedere prestiti sulla polizza nel caso di assicurazione vita).

    L’assicurato è la persona che in caso di sinistro avrà diritto ad ottenere l’indennizzo (nel caso di

    assicurazione “ramo danni”), oppure è la persona sulla cui vita è stipulato il contratto (e qui siamo nell’assicurazione “vita” in questo caso, se l’assicurato non coincide con il contraente, è necessaria – per ovvi motivi, e

    se non ti sono ovvi pensaci su – la sua autorizzazione).

    Il beneficiario nel caso di assicurazione “vita” è la persona designata dal contraente a ricevere le

    somme assicurate, mentre nell’assicurazione “danni”, salvo casi particolari, è l’assicurato.

    L’assicuratore è colui che vende la sicurezza, ad un prezzo che viene chiamato “premio”. In base alla

    legge italiana l’assicuratore deve avere forma giuridica di S.p.A. (società per azioni).

  • 4

    4) Il premio.

    Il premio è il prezzo pagato dal contraente per garantire a sé o ad altri la copertura assicurativa. Il

    premio (o premio lordo) è costituito dalla somma del premio netto (o premio puro), del caricamento, dei

    costi accessori e delle imposte.

    - Il premio puro è calcolato sulla base della probabilità che l’evento si verifichi, sulla base del valore

    assicurato e, soprattutto nel caso di assicurazione vita “a capitalizzazione”, in base a considerazioni

    finanziarie; se la probabilità è stata stimata correttamente e le ipotesi finanziarie fatte si realizzano, allora la

    somma dei premi puri incassati dall’assicuratore sarà pari alle prestazioni (che sono gli indennizzi, per le polizze

    danni, infortuni e R.C.; e i capitali o le rendite, per le polizze vita) che dovrà erogare; (queste righe saranno pienamente

    comprensibili solo dopo lo studio di alcune pagine successive).

    - il caricamento è una percentuale del premio puro stabilita dall’assicuratore per coprire tutti i suoi costi

    diversi dagli indennizzi (o dai pagamenti promessi nelle polizze vita) e per sperare di ottenere un utile.

    Nell’intento di rendere più trasparenti i contratti di assicurazione, alcuni anni fa una legge ha introdotto

    l’obbligo, per l’assicuratore, di indicare, ma solo su richiesta del contraente, la misura del caricamento nella

    proposta di polizza;

    - i costi accessori sono i costi di emissione del contratto e delle quietanze. Generalmente sono

    trascurabili (pochi euro);

    - le imposte sono assenti nelle assicurazioni vita, sono del 12,5% del premio lordo senza imposte nella

    assicurazione RC Auto e sono invece pari al 25% nelle altre, salvo eccezioni. L’IVA, invece, non c’è:

    infatti, come certamente ricordi, i servizi assicurativi rientrano fra le operazioni che l’articolo 10 della legge

    IVA considera “esenti”.

    5) Scommettere e assicurare.

    Se l’assicuratore promette, in cambio di 5.000 €, di indennizzarti con 100.000 € nel caso ti rubino da qui

    a un anno la tua Ferrari nuova, potremmo leggere questa sua azione come una scommessa: se non ti rubano

    l’auto l’assicuratore vince 5.000 €, se te la rubano ne perde 100.000 (o meglio: 95.000).

    In realtà, fra “scommettitore” e “assicuratore” c’è più o meno la stessa differenza esistente

    fra chi gioca alla roulette e il casinò: quando Costantino punta 100 € sul nove, spera che il

    suo numero fortunato gli faccia vincere 3.500 € (il banco paga, infatti, 35 volte la posta e il

    giocatore non perde i 100 €); quando, invece, il casinò promette ai giocatori di pagare 35 volte

    la puntata nel caso esca il numero da loro scelto, lo fa perché, essendo la ruota costituita da

    37 numeri (da 1 a 36 più lo zero, almeno nella roulette europea), sa che, nell’arco della giornata,

    dovrà pagare “solo” 36/37 delle tantissime somme complessivamente incassate.

    Il casinò rischierebbe di perdere solo nel caso che a “tentare la sorte” fossero solo

    Costantino o pochi altri giocatori, ma se i giocatori sono molti allora ha la “certezza

    statistica” di guadagnare una cifra comunque vicina a 1/37 (un trentasettesimo) delle somme

    puntate. Il rischio insito in ogni singola puntate dei giocatori, rischio che pure il casinò

    corre, scompare quando quelle singole azioni vengono considerate nel loro complesso.

    Il casinò, pur facendosi controparte degli scommettitori, non è uno scommettitore perché, scommettendo

    in quantità industriale, annulla il rischio e opera razionalmente in un ambiente di certezza statistica. Da

    scommettitore, il casinò diventa imprenditore.

    Lo stesso capita all’assicuratore. Se l’unica polizza da lui stipulata fosse quella relativa al furto della tua

    Ferrari, o se, oltre alle tua, ne avesse stipulate poche altre analoghe, allora l’assicuratore non si

    differenzierebbe dallo scommettitore. Ma dal momento che l’assicuratore ha “scommesso” con tanti (ad

    esempio 1.000) altri proprietari di auto di lusso e poiché sa, sulla base dei dati recenti sui furti d’auto di lusso

    nuove, che c’è una probabilità su 25 (il 4%) che una di queste venga rubata nel primo anno, allora

    l’assicuratore è razionalmente convinto che facendosi pagare da ognuno dei 1.000 assicurati un premio pari

    al 5% dell’eventuale indennizzo (100.000 x 5% = 5.000), riuscirà a pagare gli indennizzi per i 40 furti (4% di

    1.000 = 40) e ottenere un utile lordo di 1.000.000 di euro (5.000 x 1.000 di premi – 40 x 100.000 di indennizzi =

    1.000.000 di margine lordo).

  • 5

    6) Il "caso" e il calcolo delle probabilità.

    Il calcolo delle probabilità può essere definito come “lo studio delle regolarità statistiche che presentano i

    fenomeni attribuiti al caso”. Una definizione efficace di “caso” è “il complesso di una moltitudine di cause i cui

    effetti individuali sono difficilmente valutabili, mentre è osservabile l’effetto complessivo risultante”. In questo

    senso si dice che è il “caso” a determinare la faccia che una moneta o un dado mostreranno dopo che li si è

    tirati. In realtà, se esce testa piuttosto che croce, o tre piuttosto che sei, è perché tantissime cause hanno

    provocato quell’evento: la forza impressa sull’oggetto, la direzione del tiro, la velocità e la direzione del

    vento, l’inclinazione e il tipo di superficie del piano su cui è caduto e così via (è l’incontestabile “principio di causalità”, in base al quale ogni fenomeno ha una sua causa; principio – tra l’altro – che porta razionalmente a credere

    nell’esistenza di Dio: accettandone il mistero evitiamo l’assurdo dell’esistenza di cose finite che non avrebbero una causa). Una

    conoscenza più precisa di quelle cause e un calcolo minuzioso dei loro effetti diminuirebbero il margine

    d’incertezza dovuto al caso, al limite rendendo certo il verificarsi (o il non verificarsi) dell’evento (uscita di

    “croce” nel tiro di una moneta o del 3 nel dado).

    Così, volendo applicare queste considerazioni al campo assicurativo, si può dire che la conoscenza

    assoluta in campo meteorologico renderebbe certo che nel prossimo anno il meloneto nel podere di Ugo Iotti

    a Poviglio sarà (o non sarà) colpito dalla grandine.

    Fintanto però che le previsioni meteorologiche anche a lunghissimo termine non saranno assolutamente

    affidabili, Ugo Iotti non potrà fare nient’altro se non sperare nel clima oppure scaricare – a pagamento – il

    rischio grandine sulle spalle di qualcun altro (l’assicuratore).

    Supponete di essere chiamati ad indovinare se e quante volte uscirà “testa” lanciando due volte una

    moneta.

    I possibili risultati sono “0” volte, “1” volta e “2” volte e, se siete razionali, risponderete “1” in quanto

    questo è il risultato più probabile.

    Che sia il risultato più probabile lo si può verificare considerando che la serie di lanci (due) può concludersi soltanto in uno dei

    seguenti modi:

    - testa il primo lancio e testa il secondo (così che avremmo indovinato se avessimo previsto il risultato “2”); - testa il primo e croce il secondo (così che avremmo indovinato se avessimo previsto il risultato “1”); - croce il primo e testa il secondo (così che avremmo indovinato se avessimo previsto il risultato “1”); - croce il primo e croce il secondo (così che avremmo indovinato se avessimo previsto il risultato “0”).

    E’ evidente quindi che il risultato “1” è doppiamente più probabile – due possibilità su quattro, quindi probabilità 0,5 (perché 2/4 = 0,5)

    – degli altri (“2” e “0”) per ognuno dei quali invece le possibilità sono soltanto una su quattro, quindi probabilità 0,25 (1/4 = 0,25).

    Supponete quindi di dare, come risposta, “1”. Se anche questo è il risultato più probabile, la possibilità

    di sbagliare di molto la risposta è però elevata: infatti sia che “testa” esca due volte sia che non esca

    nemmeno una volta, sbagliereste completamente, in quanto nel primo caso la previsione sarebbe sbagliata

    del 100% (2 è del 100% maggiore di 1), oppure nel secondo dell’infinito % (1 è infinite volte più di 0).

    Supponete ora di dover indovinare quante volte uscirà “testa” se tutti voi (ipotizziamo che non ci siano

    assenti e quindi che siate in 25) tiraste una moneta 40 volte. I tiri in questo caso sarebbero 1.000 (25 x 40 =

    1.000), e quindi il risultato in teoria potrebbe essere un qualsiasi numero (intero) fra 0 e 1.000, estremi

    compresi. Se siete razionali risponderete “uscirà testa 500 volte”, essendo questo il risultato più probabile;

    i risultati meno probabili sono, anche intuitivamente, gli estremi 0 e 1.000: che su 1.000 tiri esca sempre –

    oppure mai – testa è veramente un caso incredibile, infatti vi è una probabilità su 21.000

    , che è un numero con

    più di 300 cifre (già la probabilità che venga sempre testa per 50 tiri di seguito è 1 / 250, cioè più piccola di 1 su un milione di

    miliardi, circa un milione di volte meno probabile di vincere al superenalotto puntando una sola combinazione di numeri).

    La dimostrazione che il risultato più probabile è “500 volte” fatta sulla falsariga della precedente la

    tralascio perché mi occorrerebbero molte migliaia di miliardi di anni per scriverla e, se è vero che sono

    immortale, è pure vero che ho di meglio da fare.

  • 6

    E’ evidente che la probabilità di indovinare esattamente il risultato è più piccola che nel caso

    precedente, è però anche che è molto meno probabile, è sostanzialmente impossibile, che la vostra

    previsione ( “500 volte” ) sia sbagliata di molto, come invece poteva essere prima. Infatti, ad esempio, sono

    piccolissime le probabilità che il risultato effettivo della serie di tiri si collochi oltre “550” o al di sotto di

    “450”, discostandosi cioè per più del 10% dalla nostra previsione, cosa che invece poteva facilmente

    accadere nel caso di pochi tiri.

    Possiamo dire che, rispetto al primo caso (due soli – o comunque pochi – tiri), abbiamo la possibilità di

    avvicinare notevolmente, in termini relativi, la nostra previsione a quello che sarà il risultato effettivo.

    Se poi ad effettuare 40 tiri di moneta fossero tutti gli spettatori dello stadio Giglio (12.500, per un totale

    quindi di 500.000 tiri) e prevedessimo l’uscita di 250.000 “testa”, se è vero che è ancor più difficile che la

    previsione centri con esattezza il risultato, è anche vero che sono elevatissime le probabilità che l’errore sia

    di pochi punti percentuali: sbagliare del 5% – o anche soltanto del 1% – la previsione sarebbe

    “statisticamente” impossibile.

    Quanto fin qui scritto è un’applicazione della c.d. “legge dei grandi numeri”, secondo la quale quando

    un evento è casuale (come l’uscita del 47 al lotto o della “testa” nel lancio della moneta) allora la frequenza con cui si

    manifesta tende a stabilizzarsi, al crescere delle prove effettuate, attorno ad un valore che si può considerare

    costante e che viene detto probabilità oggettiva dell’evento.

    Detto in altro modo, secondo la legge dei grandi numeri

    quando un evento è casuale e quindi imprevedibile, l’esito medio di molti eventi simili può essere previsto.

    Così, per fare un altro esempio, lanciando numerose volte un dado, notiamo che il 3 esce un numero di volte

    che, rispetto al numero dei tentativi, si avvicina sempre più al 16,666…% man mano che aumentano i tiri, e

    quindi si dice che la sua probabilità oggettiva è il 16,6667% (o 0,166667 o, più precisamente, 1/6).

    La probabilità oggettiva che un evento ha di realizzarsi può essere determinata in due modi:

    1) a priori, usando la logica e la matematica: quando un evento si può verificare in “x” modi

    diversi su “n” possibili e tutti gli n modi sono ugualmente possibili (nel senso che hanno tutti la medesima

    probabilità di verificarsi), allora la probabilità di questo evento è x/n. E’ il caso, ad esempio, della probabilità di

    fare almeno 5 (cioè di fare 5 o 6) lanciando un dado: la probabilità è 2/6 = 0,333…, oppure della probabilità che

    venga rosso alla roulette italiana (che ha solo uno zero) è 18/37 = 0,486486… .

    (A chi ha scarsa familiarità con i casinò faccio presente che i numeri vanno da 0 a 36 e quindi sono 37, e mentre lo 0 è verde o

    bianco, i numeri da 1 a 36 sono, alternativamente, neri e rossi);

    2) a posteriori, basandosi cioè sull’esperienza del passato: faccio finta, a scopo didattico, di non

    essere immortale e così mi chiedo quale è la probabilità che io, di 58 anni, campi almeno altri tre anni

    superando in questo modo i sessanta; non ho a disposizione alcun strumento logico-matematico per calcolare

    il dato. Posso quindi individuare la probabilità oggettiva unicamente basandomi sulla legge dei grandi

    numeri e osservando quanti maschi reggiani fra i 58 e i 60 anni sono morti e quanti no in tempi recenti.

    Per i curiosi (ma è un argomento della terza parte, alle pagine 16 – 18) suggerisco di usare la tavola di mortalità

    relativa ai maschi reggiani, da cui risulta una probabilità di oltre il 98% che avrei di farcela; per la precisione

    pari a 0,981435 (1.000 – ( 5,70648 + 6,26083 + 6,5973))/1.000.

    Lo stesso dato può essere espresso anche in questo modo: se fossi umano (e non divino), avrei un po’

    meno del 2% di probabilità di morire entro tre anni (per la precisione, il 18,56461 per mille).

    Il bravo giocatore d’azzardo prende le decisioni calcolando correttamente le probabilità nel primo modo,

    il bravo assicuratore non può che usare il secondo sistema, basandosi su dati statistici i più completi e

    corretti possibili.

    E’ quindi la legge dei grandi numeri che permette all’assicuratore di prevedere con sufficiente

    precisione, ad esempio, la probabilità che i 3 ettari coltivati a meloni da Ugo Iotti a Poviglio hanno di essere

    danneggiati dalla grandine il prossimo anno. La compagnia di assicurazione ha a disposizione un numero

    elevatissimo di dati storici che evidenziano la frequenza con cui la grandine colpisce la bassa reggiana.

    Basterà poi moltiplicare tale probabilità (pari ad esempio dell’1,5%) per il danno medio provocato dalla grandine

    sulle coltivazioni di quel tipo (ad esempio 3.000 € all’ettaro) per determinare in 90 € il “premio puro” da

    richiedere a Ugo Iotti per assicurare quel rischio (1,5% x 3.000 x 3) (x 3 perché gli ettari di meloneto sono tre)).

  • 7

    6bis) La quantificazione del premio: il premio puro come speranza matematica.

    Come già si è detto a fine pagina 1, la misura del premio, almeno in termini di pura teoria, è il prodotto

    fra l’importo che l’assicuratore si impegna a pagare all’assicurato nel caso si realizzi l’evento a rischio e la

    probabilità che l’evento ha di verificarsi. Questo sia che si tratti dell’indennizzo di un “sinistro” e quindi nel

    caso di ramo danni, sia che si tratti di un capitale in caso di morte o di sopravvivenza e quindi si sia nel ramo

    vita.

    L’evento è sempre incerto, nel senso che non si sa se si verificherà nel periodo di tempo previsto dal

    contratto, ed è tale incertezza che crea il rischio. Tuttavia dell’evento si conosce la probabilità, ed è

    moltiplicando tale probabilità per l’indennizzo che si ottiene la “speranza matematica”, cioè il premio puro.

    Un danno di 1.000.000 di euro con probabilità 0,003 (probabilità del 3 per mille) origina un premio puro di

    3.000 euro. Dal punto di vista sia dell’equità che della razionalità, è perfettamente indifferente la somma di

    1.000.000 di euro con probabilità 0,003 o la somma di 3.000 euro con certezza (probabilità = 1). Ma dal

    punto di vista dell’utilità soggettiva non è la stessa cosa, e questo per effetto del diverso atteggiamento verso

    il rischio: chi ama il rischio preferisce la somma incerta, chi non ama il rischio (cioè chi si assicura)

    preferisce la somma certa.

    Nella realtà, e anche questo lo si è già scritto, il prezzo che viene pagato per il servizio è maggiore del

    premio puro (o netto), in quanto al premio puro si aggiunge il caricamento. Il caricamento è un importo

    (calcolato solitamente come percentuale del premio puro) con il quale l’assicuratore cerca di coprire le spese di

    gestione della sua impresa (in pratica tutte le spese ad eccezione degli indennizzi, ché questi sono coperti dal premio puro) e

    di ottenere un guadagno.

    Di solito l’assicuratore non accetta rischi che siano di troppa difficile previsione, rischi di cui le

    probabilità siano sconosciute. Non solo: egli vorrà un giro d’affari sufficientemente ampio da consentirgli

    un buon bilanciamento fra casi fortunati e sfortunati. Continuando nell’esempio di prima del sinistro con

    probabilità 3 per mille (cioè 0,3%) di verificarsi, e supponendo che tanto il premio quanto la probabilità

    abbiano una base annua, se l’assicuratore avesse un unico cliente, già al primo anno potrebbe essere costretto

    a sborsare 1.000.000 di euro in cambio di un premio di soli 3.000 €, e il fallimento sarebbe certo; ma se i

    suoi clienti sono 10.000, diviene statisticamente impossibile (per ciò che si è già detto sulla "legge dei grandi numeri")

    che si verifichi la necessità di indennizzarne un numero significativamente più elevato di 30 (10.000 x 0,3%)

    all’anno, purché i loro rischi siano indipendenti.

    L’indipendenza tra i casi assicurati è fondamentale: l’assicuratore non assicura, in genere, una

    moltitudine di casi i cui rischi sono collegati. E’ questo il motivo, ad esempio, per cui le compagnie spesso

    non coprono, nelle assicurazioni vita, la morte a causa di una guerra; ed è anche il motivo per cui

    preferiscono assicurare contro l’incendio 1.000 case singole piuttosto che 1.000 appartamenti tutti in uno

    stesso grattacielo: in entrambi questi casi (morti in guerra e incendio abitazioni) i rischi non sarebbero

    indipendenti, in quanto un unico evento (guerra o incendio) potrebbe coinvolgere moltissimi assicurati.

    Se poi l’assicuratore ritiene di non avere dimensioni sufficienti per una certa assicurazione, si cautela

    con la riassicurazione, cioè cedendo una parte del rischio ad altre imprese di assicurazione (in pratica

    l’assicuratore diventa cliente di un’altra compagnia di assicurazione). Oppure con la co-assicurazione, cioè alleandosi

    con altre compagnie di assicurazione con le quali ripartisce il premio complessivo richiesto all’assicurato.

  • 8

    3.722 3.265

    2.910 2.769

    2.136 1.812

    117

    Premi per abitante anno 2011 (€)

    7) Caricamento e considerazioni finanziarie

    Il premio effettivo differisce dal premio puro, oltre che per effetto del caricamento (vedi pag. 2), anche in

    virtù di considerazioni finanziarie. Infatti, essendo il premio sempre pagato anticipatamente rispetto al

    periodo in cui è possibile che l’assicuratore debba pagare l’indennizzo, occorre, per rendere confrontabili il

    valore del servizio e quello del suo corrispettivo (= prezzo), attualizzare l’indennizzo in base ad opportuni

    calcoli di matematica finanziaria (e qui sarebbe il caso che vi sforzaste di comprendere le basi di matematica finanziaria che

    tentai di fornirvi l’anno scorso).

    Cosicché se il premio puro fosse 100 euro, l’assicuratore potrebbe accontentarsi di un premio effettivo

    di 98 (più il caricamento), se ritenesse, sulla base di sue considerazioni finanziarie, che 98 euro

    immediatamente disponibili equivalgono a 100 euro utilizzabili al presumibile momento della liquidazione

    del sinistro (potrebbe essere il caso di un assicuratore che sa di pagare gli indennizzi mediamente un anno dopo aver incassato i

    premi e che riesce a far fruttare la liquidità a sua disposizione ad un tasso d’interesse di circa il 2%).

    Nel caso del ramo danni il problema finanziario è scarsamente significativo, in quanto il periodo

    assicurato è normalmente breve e il pagamento del premio risulta in genere anticipato soltanto di circa un

    anno rispetto all’eventuale prestazione dell’assicuratore.

    Nel ramo vita, invece, il pagamento dei premi dall’assicurato all’assicuratore avviene, nelle

    assicurazioni “in caso di vita”, con un anticipo anche di decine di anni rispetto al momento in cui

    l’assicuratore effettua le sue prestazioni. Ed allora nelle polizze caso vita i problemi di attualizzazione

    diventano rilevanti, ed impongono, nel calcolo del premio, l’uso del tasso d’interesse in aggiunta al tasso di

    probabilità.

    8) Il mercato complessivo La raccolta premi complessiva mondiale,

    nell’anno 2011, è stata pari a circa 3.300 miliardi

    di €, cioè circa 500 € per abitante del pianeta. La

    suddivisione per paese la vedete qui a fianco

    (Fonte: Swiss Re, Sigma n° 3/2012);

    Nel grafici più sotto potete leggere il rapporto fra

    premi e P.I.L. nei primi sette paesi più importanti

    dal punto di vista del mercato assicurativo (per i paesi europei i dati si riferiscono al 2012 e la fonte è Insurance Europe ed Eurostat; per gli extraUE è sempre

    Swiss Re), e i premi pro capite valutati in euro

    (Dati 2011 e fonte sempre Swiss Re, Sigma n° 3/2012)

    U.S.A.; 26,2%

    Giappone; 14,3%

    Gran Bretagna;

    7,0% Francia;

    5,9%

    Germania; 5,3%

    Cina; 4,8% Italia; 3,5%

    Resto del mondo; 33,0%

    Distribuzione dei premi mondiali, anno 2011

    12,9%

    11,0%

    8,9% 8,1%

    6,9% 6,8%

    3,0%

    Premi su Prodotto Interno Lordo

  • 9

    Parte seconda: le assicurazioni ramo danni.

    Questo tipo di assicurazioni trasferiscono dall’assicurato all’assicuratore il rischio di subire danni

    economici, derivanti da eventi naturali o dall’azione umana, che possono riguardare beni (§ 8), oppure persone (assicurazione infortuni) (§ 9).

    Oltre alle assicurazioni contro i danni ai beni e quelle contro gli infortuni, le assicurazioni ramo

    danni comprendono anche le assicurazioni contro la responsabilità civile (§ 10).

    Qui sotto vi riporto alcuni dati (fonte: ANIA: l’assicurazione italiana in cifre, luglio 2013) relativi al mercato

    italiano delle polizze danni.

    La suddivisione dei premi fra i vari sotto-rami è, nel mercato italiano e per l’anno 2012, questa :

    Rami danni (anno 2012)

    Premi

    (€ mld)

    Quota di

    mercato

    %

    Premi

    Pro capite

    (€)

    Variazione

    2012/2011

    %

    Responsabilità Civile Auto e natanti (aerei e treni in trasporti) 17,6 49,6 300 - 1,2 Infortuni e malattie 5,1 14,4 85 - 0,6

    Property (incendio, furto e altri danni ai beni) 4,9 13,9 80 - 1,5

    Trasporti (terrestri, ferroviari, marittimi e aerei) 3,2 9,0 55 - 9,0

    Responsabilità civile generale 2,9 8,3 50 + 0,2

    Credito e cauzione 0,5 1,3 10 - 8,4

    Altri rami (tutela e assistenza legale, perdite pecunierie) 1,2 3,4 20 - 1,6

    Totale 35,4 100,0 600 - 1,9

    Dai grafici si nota sia la staticità del mercato italiano negli ultimi anni (circa + 0,5% all’anno di incremento),

    sia la sua perdurante arretratezza, ad eccezione dell’R.C.Auto, rispetto ai dati dei principali paesi europei .

    ramo auto0,00

    10,00

    20,00

    30,00

    40,00

    2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

    20,70 21,25 21,35 21,60 21,50 20,85 20,10 19,90 17,80 17,60

    34,20 35,40 36,30 37,20 37,65 37,45 36,70 35,60 36,10 35,40

    Premi annui ramo danni (mercato italiano, miliardi di euro)

    ramo auto rami non auto totale

    0

    500

    1000

    1500

    Italia Germania Francia Spagna Portogallo

    305 250 280 260 180

    300

    950

    640 360

    220

    605

    1200 920

    620 400

    Premi pro capite ramo danni anno 2011

    R. C. Auto Altri premi danni Tot. premi non vita

  • 10

    8) Assicurazioni danni ai beni.

    Come la Yomo offre ai golosi yogurt che soddisfano i gusti più diversi, così la compagnia di

    assicurazione offre ai prudenti una vasta gamma di prodotti che coprono i rischi più diversi.

    Oltre alle tradizionali polizze specifiche, quali la polizza incendio, la polizza furto, la polizza grandine

    ecc., sono sempre più diffusi i prodotti “multirischio”, cioè un’unica polizza con la quale si protegge il bene

    (ad esempio la casa di abitazione) da varie situazioni impreviste (furto, incendio, allagamento da rottura di

    tubazioni, danni da fulmini, ecc.), offrendo un servizio potenzialmente completo.

    Spetta al contraente verificare quale sia il prodotto a lui più adatto, possibilmente dedicandovi un po’

    più di tempo di quanto impiega nella scelta di un paio di scarpe.

    Nel ramo danni ai beni, qualunque sia il tipo di rischio assicurato, è possibile distinguere tre tipologie di

    polizze: a) l’assicurazione “a valore intero”, b) l’assicurazione “a primo rischio” e c) l’assicurazione

    “con stima accettata”.

    8a) L’assicurazione a valore intero.

    L’assicurazione "a valore intero", riguarda la totalità delle cose assicurate considerate nel loro

    valore complessivo. Se è fatta per un valore inferiore rispetto a quello effettivo del bene, l'assicurato, in

    caso di sinistro, sopporta una parte proporzionale dei danni; di conseguenza verrà risarcito dei danni soltanto

    nella proporzione in cui la somma assicurata sta all'effettivo valore delle cose assicurate.

    Con l’assicurazione a valore intero l’assicuratore si impegna quindi a pagare un indennizzo pari al

    danno subìto moltiplicato per il rapporto fra il valore dei beni dichiarato all’atto della stipula della polizza e

    il valore effettivo che i beni assicurati avevano al momento del sinistro.

    Meglio fare un esempio:

    a) assicuro contro il furto il contenuto della mia abitazione e dichiaro un valore complessivo dei beni di

    400.000 €; b) l’assicuratore, applicando un tasso dello 0,3%, determina il premio in 1.200 €; c) due

    comunitari entrano a casa mia e rubano oggetti per un valore di 70.000 €; d) il perito constata che, al

    momento del furto, avevo in casa oggetti dal valore complessivo di 1.000.000 €:

    se queste sono le ipotesi, allora l’indennizzo è: 70.000 x 400.000 ÷ 1.000.000 = 28.000 € (salvo eventuali

    franchigie di cui si parlerà nel § 11 fra qualche pagina).

    Questo modo di determinare l’indennizzo è assolutamente ragionevole, dal momento che l’assicuratore

    pretese solo 1.200 € convinto di correre un rischio massimo di 400.000 €: se avesse saputo che il rischio era

    in realtà più che doppio (2,5 volte: 1.000.000 / 400.000) avrebbe ragionevolmente preteso un premio più che

    doppio (cioè di 3.000 €: 1.200 x 2,5 volte).

    Valori assicurati inferiori al valore effettivo sono frequenti (per errore di stima, per risparmiare sul premio o

    perché il valore dei beni è aumentato nel tempo e il contraente non si è ricordato di adeguare il valore assicurato), ma,

    qualunque sia il motivo che ha portato alla “sottoassicurazione”, questo sistema di calcolo dell’indennizzo si applica comunque. Le compagnie, tuttavia, seguono questa regola con una certa elasticità e, se il valore

    intero reale differisce di non molto da quello dichiarato (non oltre una percentuale che, nella maggior parte delle

    polizze, è del 10 – 15%), non applicano la regola proporzionale.

    La regola indennizzo = danno subito x valore assicurato / valore effettivo dei beni in rischio non vale, ovviamente, nel caso in cui il valore assicurato sia maggiore del valore a rischio, e ciò in base alla

    regola generale secondo la quale l’indennizzo non può mai essere superiore al danno subito.

    L’assicurato che intenzionalmente dichiari un valore dei beni maggiore al reale allo scopo di truffare

    l’assicurazione (sovra-assicurazione dolosa) commette un reato, e il contratto è nullo. Una sopra-assicurazione involontaria, invece, non pregiudica la validità del contratto ma provoca semplicemente un

    inutile aggravio del premio.

  • 11

    8b) L’assicurazione a primo rischio.

    L’assicurazione a "primo rischio" (nei due tipi: “assoluto” e “relativo”) differisce da quella a "valore

    intero" in quanto l'assicurazione, pur riguardando la totalità delle cose assicurate, non è prestata per

    una somma corrispondente all'intero loro valore, ma per una somma individuata sulla base

    dell'ammontare del massimo danno che l'assicurato ritiene di poter subire in caso di sinistro.

    Questo tipo di polizza è quindi particolarmente adatto per i casi in cui un evento dannoso è

    estremamente improbabile che possa colpire per intero tutto il valore dei beni assicurati.

    Ad esempio:

    a) assicuro contro l’incendio la mia abitazione il cui valore, compreso il contenuto, è di 800.000 €; b) abito

    di fronte alla caserma dei pompieri, perciò sono convinto che un incendio non potrà mai distruggere tutti i

    beni assicurati ma solo alcuni, sebbene non possa sapere quali; c) assicuro quindi a primo rischio contro il

    rischio di incendio tutti i beni, cioè l’abitazione e il suo contenuto, per 100.000 €, perché penso che la

    prossimità ai VVFF renda impossibile un danno maggiore; d) il criceto di casa, prendendo improvvisamente

    coscienza dell’inutilità della sua esistenza passata a far girare una ruota, tenta il suicidio cospargendosi di

    alcol e dandosi fuoco, provocando così un incendio che, prontamente domato dal tempestivo intervento dei

    vicini pompieri, causa danni per 30.000 €:

    se queste sono le ipotesi, vediamo come funziona l’assicurazione a primo rischio, nelle sue due versioni,

    cominciando da quella più simile all’assicurazione a valore intero:

    8b1) L’assicurazione a primo rischio relativo.

    In questa tipologia di polizza è necessario definire sia il valore dei beni in rischio che si intendono

    assicurare (cioè, nell’esempio, 800.000 €), sia il valore massimo dell’indennizzo (il “valore assicurato”, nell’esempio

    100.000 €). In caso di sinistro, l’indennizzo seguirà la solita regola proporzionale, e cioè (rimanendo sempre

    all’esempio):

    - se il valore dei beni assicurati (edificio più contenuto) non è superiore agli 800.000 € da me dichiarati in

    polizza, l’indennizzo sarà completo (30.000 €, l’intero danno subito), se invece il valore dell’immobile e degli

    arredi risulta superiore (ad esempio 1.200.000 €) l’indennizzo sarà proporzionalmente ridotto, nell’esempio a

    20.000 € (30.000 x 800.000 / 1.200.000 = 20.000);

    - se poi, per sfiga, i pompieri accorsi erano dei fanatici naturalisti iscritti al WWF e hanno perso tempo nel

    tentativo di salvare la vita al criceto ritardando così l’opera di spegnimento delle fiamme in modo che i danni

    subiti sono saliti a 150.000 €, allora l’indennizzo diventa di 66.667 €, applicandosi la regola proporzionale

    alla somma assicurata, (100.000 x 800.000 / 1.200.000 = 66.667).

    8b2) L’assicurazione a primo rischio assoluto.

    L’assicurazione a primo rischio assoluto è probabilmente più frequente e ha il pregio di una maggiore

    semplicità, in quanto a nulla rileva il valore complessivo dei beni in rischio che, infatti, non viene nemmeno

    indicato in polizza. In questo tipo di contratto, quindi, non viene applicata la regola proporzionale.

    Utilizzando l’esempio precedente, l’indennizzo che mi spetta è, semplicemente, 30.000 € (salvo, come sempre,

    eventuali franchigie di cui si parla al § 11). Nel caso sfortunato dei pompieri animalisti e danni per 150.000 €,

    allora l’indennizzo diventerebbe di 100.000 €, nei limiti cioè della somma assicurata.

    8c) L’assicurazione con stima accettata.

    Questo tipo di contratto, utilizzato soprattutto per assicurare beni di valore unitario elevato come

    oggetti di antiquariato, opere d’arte , il violino di Uto Ughi, la capigliatura di Giovanni Allevi (notoriamente

    l’unica cosa di valore del soggetto) ecc., prevede l’intervento del perito già al momento della stipula della

    polizza: si procede, infatti, alla valutazione dei beni da assicurare e ci si accorda fin da subito sul valore che

    verrà preso in considerazione in caso di sinistro. E’ lo stesso codice civile, all’art. 1908, che prevede questa

    modalità: “Il valore delle cose assicurate può essere tuttavia stabilito al tempo della conclusione del contratto, mediante stima accettata per iscritto dalle parti.”

  • 12

    9) Assicurazione infortuni.

    Nelle polizze l’infortunio è generalmente definito come un “evento dovuto a causa fortuita e violenta (compreso l’avvelenamento acuto) che produce lesioni constatabili”.

    Con una assicurazione infortuni, ad esempio, verreste quindi indennizzati per la perdita del 50% delle

    capacità uditive causata dal frastuono di una campana precipitata a pochi metri da voi dall’alto di un

    campanile; non ricevereste, invece, alcun indennizzo per la sordità gradualmente acquisita negli anni di

    scuola per l’abitudine di sentire la musica a volume troppo alto con gli auricolari durante le lezioni.

    Il premio dovuto per garantirsi la copertura dal rischio economico conseguente a un infortunio è

    proporzionale alla somma assicurata e varia in funzione di alcuni parametri, fra i quali vi sono,

    principalmente, l’attività professionale, l’attività sportiva a livello dilettantistico, il sesso e l’età.

    Gli infortuni derivanti da alcune particolari attività sportive (usualmente il pugilato, il rugby, il paracadutismo, il

    bob, lo sci acrobatico o estremo, l’alpinismo con scalate oltre il 3° grado, il free climbing, la canoa fluviale oltre il 3° grado ecc.),

    anche se praticate a livello dilettantistico, sono poi spesso esclusi dall’indennizzo. Lo sportivo professionista

    o l’amante di uno sport estremo che vuole assicurarsi contro gli infortuni lo può fare attraverso una polizza

    specifica, ma non con un prodotto (la polizza infortuni classica) che si rivolge a chi ha abitudini “ordinarie”.

    L’entità dell’indennizzo è pari (franchigia a parte, vedi sempre § 11) al prodotto fra la somma assicurata, che è

    a discrezione del contraente, e la percentuale di invalidità permanente accertata. Se l’invalidità è

    temporanea, l’indennizzo è spesso calcolato in base al numero di giorni di inabilità al lavoro e/o di ricovero

    ospedaliero moltiplicato per la “diaria” prevista in polizza.

    La percentuale di invalidità è spesso stabilita, nei casi di perdita totale anatomica o funzionale, sulla

    base della tabella INAIL di cui vi offro qui sotto un estratto.

    Quando l’esito dell’infortunio non è evidente e indiscutibile (come invece lo è, ad esempio, nel caso di perdita di

    un arto, ma come non lo è, al contrario, nel caso della campana assordante che diminuisce la capacità uditive), per determinare

    la gravità del sinistro ci si basa su delle perizie medico-legali. Nel caso le parti non arrivino a un accordo,

    comincerà, sulla base di perizie contrapposte, una controversia che, perdurando il disaccordo, viene in

    genere risolta con un “arbitrato irrituale”, vale a dire con una procedura che evita di ricorrere al giudice

    ordinario e che consiste nell’accettazione di quanto verrà deciso da un collegio di tre periti medici, nominati

    uno per parte e il terzo di comune accordo (o, in caso di mancanza di accordo sul nominativo, dall’Ordine dei Medici).

    Perdita totale, anatomica o funzionale

    Percentuale di invalidità permanente

    Entrambi gli occhi 100

    Entrambi i piedi 100

    Un braccio 70

    Un avambraccio o una mano 60

    Una gamba, al di sopra del ginocchio 60

    Una gamba, al di sotto del ginocchio 50

    Un piede 40

    Sordità completa di entrambi gli orecchi 40

    Perdita totale della voce 30

    Un occhio 25

    Sordità completa di un orecchio 10

    Un pollice 18

    Un indice 14

    Un mignolo 12

    Un medio o un anulare 8

    Un alluce 5

    Una falange del pollice 9

    Una falange di altre dita della mano Un terzo del dito corrispondente

    Un rene 15

    Esiti di frattura scomposta di una costa 1

    1) 1) Se la lesione comporta una minorazione anziché la perdita totale anatomica o funzionale di organi o arti, le percentuali riportate vengono moltiplicandole per la percentuale di funzionalità perduta.

    2) La perdita anatomica o funzionale di più organi o arti comporta l’applicazione di una percentuale di invalidità pari alla somma delle gole singole percentuali riconosciute per ciascuna lesione, con il massimo del 100%.

  • 13

    La nota 2) significa che nel caso l’infortunato abbia subito più di una perdita anatomica o funzionale (durante un tranquillo weekend in amazzonia i pirana gli hanno divorato l’occhio destro, il pollice sinistro, una falange di quello destro, un

    indice, un mignolo e i due alluci) allora l’indennizzo sarà calcolato sulla base della somma delle singole

    percentuali (nell’esempio: 25 + 18 + 9 + 14 + 12 + 2 x 5 = 88%). Se poi, a causa dello spavento, ha anche

    perso la voce, allora, pur pesando questa menomazione 30 punti di invalidità, il suo bottino non arriverà al

    118% (88 + 30) ma si fermerà al 100% (cosicché, in pratica, si è fatto mangiare il pollice per niente).

    10) Assicurazione responsabilità civile.

    Le assicurazioni di questo tipo proteggono dalle conseguenze economiche derivanti, per

    responsabilità civile, da danni involontariamente causati a terzi.

    Nell’articolo 2043 del codice civile si legge: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

    Se il mio agire ti provoca un danno ingiusto, io ti devo rimborsare comunque, anche nel caso il

    danneggiamento sia stato del tutto involontario.

    La protezione che posso ottenere dall’assicurazione è inevitabilmente limitata al solo aspetto civilistico,

    in quanto le eventuali responsabilità penali non sono, ovviamente, cedibili: se per distrazione piallo con

    l’auto un pedone prolifico sulle strisce, se sono adeguatamente assicurato (se in polizza ho scelto un “massimale”

    elevato, ad esempio 15 milioni di euro) non rischio il mio patrimonio in quanto la vedova e i 12 orfani saranno

    indennizzati dal mio assicuratore; ciò non evita, comunque, che io sia condannato in sede penale a qualche

    mese di prigione per omicidio colposo.

    Oltre all’R.C. Auto, di cui già tanto sapete per patenti (= chiari) motivi ma che ugualmente vale la pena

    trattare più sotto, le forme di assicurazione responsabilità civile più diffuse sono:

    - R.C. Professionale, con la quale i professionisti (medici, ingegneri, geometri, commercialisti ecc.) si tutelano dal rischio di dover indennizzare i clienti per i danni eventualmente loro causati da errori professionali (il chirurgo che si scorda le pinze nell’addome del paziente, il geometra che si scorda l’armatura nel cemento della trave, il commercialista che

    si scorda gli ammortamenti nel bilancio dell’azienda ecc.);

    - R.C. Prodotti, che consente alle imprese di proteggersi da richieste di risarcimento per danneggiamenti a cose di terzi o lesioni personali a terzi conseguenti a un difetto dei prodotti fabbricati (la casalinga di Voghera già

    conosciuta in altri appunti e sfregiata dal frullatore impazzito);

    - R.C. Fabbricati, che protegge dalle conseguenze economiche derivanti da danni causati a terzi in relazione alla proprietà di immobili (il cornicione della nostra casa a Siena che, cadendo, sfracella il cranio al turista (mi auguro francese)

    con la passione del Palio);

    - R.C. della Famiglia, con la quale ci si tutela dalle conseguenze economiche derivanti da danni causati a terzi nell’ambito della vita privata dai membri del nucleo familiare (i nostri ospiti a cena avvelenati dalla crema al

    botulino, o l’anziana signora in visita alla nonna a cui, per scherzo, il nipote Pierino fa esplodere un petardo nella borsetta).

    Cosa sia l’assicurazione R.C. auto lo sapete, per cui qui non mi resta che tediarvi con alcune

    considerazioni e qualche dato statistico utili per consolidare la comprensione dell’attività assicurativa.

    Per determinare il premio R.C.Auto le compagnie osservano con attenzione l’andamento di due

    fenomeni: la frequenza dei sinistri (numero di sinistri / numero di veicoli) e il costo medio dei sinistri (indennizzi

    complessivi / numero sinistri). Questi due fenomeni presentano andamenti diversi nel tempo: più stabile il primo

    (e con una recente tendenza alla diminuzione dovuta soprattutto alla crisi economica che ha ridotto il traffico ma anche, sebbene in

    minor misura, a comportamenti più prudenti sembra stimolati da maggiori controlli e dall’introduzione della patente a punti), in

    forte crescita il secondo (sia a causa sia dei costi di riparazione in rapido aumento, sia di recenti decisioni giurisprudenziali in merito al danno biologico ma anche, e questa è soprattutto una mia personale convinzione, a causa dell’aumento del tasso

    di disonestà dell’italiano medio che si concretizza anche nel sempre maggiore diffondersi di truffe da parte dei danneggiati; a

    questo proposito mi va di perdere qualche riga per una considerazione di carattere socio-politico: la crescita continua di piccole

    truffe – tipo il classico “collarino” e conseguente richiesta di invalidità permanente per dolori (inesistenti) a una vertebra cerebrale – è un indicatore del

    declino dell’onestà nel nostro paese assai più preoccupante delle allegre abitudini finanziarie di tanti consiglieri regionali, o delle

    case monegasche a prezzo stracciato abitate da cognati di presidenti della Camera, o dei fasulli rimborsi spese americane di sindaci

    romani o delle case romane pagate da sconosciuti all’insaputa dei ministri acquirenti o – last but not least – dei soldi viaggianti in

    scatole da scarpe passate tra le mani pulite di magistrati poi divenuti politici di italico valore).

  • 14

    Per lavorare con informazioni più attendibili, le compagnie non si basano solo sui loro dati, ma

    ricorrono a statistiche di mercato che raggruppano i dati di più imprese, attingendo anche dalla “Banca dati

    statistica Ania” (vedi www.ania.it/studi_statistiche/stat_attuariali/documentazione; l’ANIA è l’associazione nazionale italiana imprese

    assicuratrici, come dire che è la cugina meno nota dell’ABI, l’associazione bancaria italiana conosciuta in altri appunti).

    Per quanto riguarda il mercato italiano, il curioso potrà leggere, ad esempio, questi dati (da me approssimati

    con una certa brutalità) relativi alla circolazione di tutti i veicoli (che sono circa 50 milioni: l’Italia detiene il record

    mondiale di autoveicoli per abitante): incidenti complessivi: circa 3 milioni, con 250.000 feriti e 3.500 morti.

    Relativamente alle sole autovetture si può trovare che ogni anno, in Italia, circa il 6% delle auto fa un

    incidente; il record negativo spetta alla Campania, quello positivo al Friuli.

    Per quanto riguarda poi il costo medio per sinistro, per l’anno 2012 e sempre approssimando, troviamo

    che è circa 4.800 €. Volendo determinare il premio puro (al netto cioè di caricamento e imposte) medio annuo

    per il 2012 si otterrebbe, per l’Italia: 6% x 4.800 = 290 €, e se non capisci perché è grave.

    Buona parte dei dati li ho tratti da http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Notizie/2013/07/Report-Ania.pdf

    Da una ricerca (Confronto sul mercato R.C.A. in Europa svolta nel 2014 da The Boston Consulting Group:

    http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Correlati/Documenti/Notizie/2014/03/RCA-in-Europa.pdf?uuid=AB87fY4)

    risulta che il premio lordo medio RCA è, in Italia, di circa 500 €, circa il 70% in più della media degli

    altri principali paesi europei (dove la media è circa 300 €). Tale marcata differenza è principalmente causata

    da:

    - elevata incidenza dei contenziosi (i sinistri in causa – cioè quelli per il cui indennizzo non si è arrivati a un accordo amichevole – sono il triplo che negli altri paesi, il 45% contro il 15%; notare che l’80% delle cause si concentra in Campania (51%), Puglia (16%) e Calabria (13%));

    - alti risarcimenti in caso di morti (mediamente il quadruplo: 650.000 € contro 140.000 €); - alto livello di danno non patrimoniale, cioè biologico e morale (55.000 € contro i 35.000 € della media degli altri paesi); - rischiosità nella circolazione (6,2 morti ogni miliardo di km percorsi contro 4,4 degli altri paesi) a sua volta causata anche da

    comportamenti pericolosi (uso delle cinture posteriori solo nel 10% dei casi contro il 90% degli altri paesi, uso del cellulare alla guida 5 volte più frequente ecc.);

    - incidenza dei veicoli non assicurati (il 7,5% contro il 3% degli altri paesi) e dei casi di “pirateria stradale”; (*) - elevata incidenza, almeno il doppio, delle frodi non rilevate; - diffusa presenza del colpo di frusta (almeno fino all’introduzione della legge Monti che, dal 2013, ha ridotto l’incidenza di questo

    fattore che può essere assimilato a una truffa); (**)

    - basso tasso di riparazioni in reti convenzionate (circa 40 punti percentuali in meno rispetto agli altri paesi); - maggiore incidenza delle imposte (oltre il 25% del premio contro una media del 17% degli altri paesi);

    Visto l’elenco qui sopra, boccio chiunque sostenga (come i tanti ignoranti abituati a parlare di cose che non

    conoscono) che la colpa dei premi RCAuto troppo cari sia delle compagnie d’assicurazione: è di noi italiani.

    L’assicuratore, ovviamente, non può limitarsi ad applicare a tutti gli assicurati in maniera omogenea e

    indiscriminata il premio medio, ciò in quanto la probabilità di provocare sinistri da parte dei singoli

    assicurati è fortemente differenziata. L’impresa di assicurazione deve pertanto tenere conto di questa diversa

    probabilità, differenziando il premio in modo proporzionato all’effettività del rischio. Così, sempre

    ricorrendo alle osservazioni statistiche del comportamento degli assicurati, le compagnie costruiscono gruppi

    di automobilisti con caratteristiche omogenee sulla base di variabili che incidono sulla probabilità di causare

    sinistri.

    Le principali variabili oggettive, cioè riguardanti il veicolo, sono, in ordine di importanza:

    la potenza del veicolo, la provincia di immatricolazione, l’alimentazione del veicolo (diesel, gas o benzina), la

    presenza dispositivi di sicurezza per la guida e la presenza di un congruo numero di air-bag.

    Le principali variabili soggettive, cioè riferite alla persona, sono: l’età dell’assicurato, il sesso, l’anzianità

    di patente, la situazione familiare (si è rilevato, ad esempio, che le persone coniugate e con figli piccoli provocano meno

    incidenti), la modalità di uso dell’auto (per lavoro o altro) e l’essere o no il conducente unico o abituale;

    (*) Il “fondo vittime pirati della strada” è un ente pubblico che risarcisce i danni subiti da persone coinvolte in incidenti stradali per colpa altrui e causati da veicoli che restano ignoti o che non sono assicurati o sono assicurati da compagnie in stato fallimentare. Questo ente si finanzia attraverso un prelievo, attualmente del 2,5%, dei premi RCA incassati da ogni compagnia.

    (**) Il diritto al risarcimento del danno è ora condizionato a un riscontro oggettivamente apprezzabile dell’esistenza della lesione, non potendo essere sufficiente la mera sintomatologia dichiarata dal danneggiato furbetto.

    http://www.ania.it/studi_statistiche/stat_attuariali/documentazionehttp://www.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Notizie/2013/07/Report-Ania.pdfhttp://www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Correlati/Documenti/Notizie/2014/03/RCA-in-Europa.pdf?uuid=AB87fY4

  • 15

    La forma più rilevante di personalizzazione del rischio è, comunque, il Bonus/Malus. Con questo

    sistema si tiene conto del reale comportamento manifestato, nel passato, dall’assicurato.

    In Italia, a causa di una legge in tanti punti idiota (la Legge n. 40/2007, il c.d. “Decreto Bersani”), diversamente

    dagli altri paesi europei le compagnie non riescono a differenziare efficacemente i premi in funzione della

    rischiosità personale del conducente, cosicché devono far gravare sulle spalle degli automobilisti “virtuosi”

    anche una parte dei costi che, invece, dovrebbero e vorrebbero far pagare ai conducenti più “rischiosi”.

    Dalla tabella (la fonte è sempre la

    stessa) si nota che in Italia le

    politiche di differenziazione

    dei premi sono simili a quelle

    degli altri paesi europei per

    quanto concerne l’età e la

    residenza dell’automobilista (circa la residenza sono la Francia e

    la Germania a essere “fuori media”,

    probabilmente per una omogeneità

    territoriale particolarmente elevata),

    e invece l’anomalia è evidente nella differenziazione per classe di Bonus Malus.

    Il sistema Bonus/Malus permette all’assicurato che ha provocato l’incidente di rimborsare alla

    compagnia l’indennizzo da questa pagato, evitando così che il premio aumenti. L’assicurato dovrebbe

    approfittare di tale possibilità ogni volta che l’importo non è elevato (da pochi euro e fino a una cifra, grosso modo,

    di 1.000 – 1.500 €) in modo da non essere costretto, per moltissimi anni a venire, a pagare premi più elevati.

    Questa possibilità, sempre offerta dalle compagnie, è in genere scioccamente non colta dagli assicurati.

    11) Le franchigie.

    Qualunque sia il tipo, la polizza può prevedere una clausola particolare detta franchigia. La franchigia

    è un importo che non viene risarcito, ed è espresso o in valore assoluto (cioè un tot. di €) o in termini

    percentuali del danno subito.

    Se, nel caso di un sinistro di 30.000 € e valore assicurato capiente, fosse stata inserita una franchigia di

    1.000 €, allora l’indennizzo anziché di 30.000 € sarebbe stato di 29.000 €; con una franchigia del 5%

    l’indennizzo sarebbe diventato (30.000 – 5% x 30.000) = 28.500

    La franchigia può essere “relativa” o “assoluta”. Con la franchigia “relativa” (che, in verità, non ho mai

    visto inserita in alcuna polizza) il danno o non viene indennizzato per nulla (e questo capita se è di importo minore della

    franchigia), o viene indennizzato totalmente (se è di importo superiore alla franchigia). Visto il funzionamento, non

    stupisce che il suo uso sia poco frequente: la tentazione degli assicurati di aggravare dolosamente i piccoli

    danni al fine di superare il limite della franchigia ed essere così indennizzati completamente, la rende poco

    appetibile per la compagnia, soprattutto in un’Italia, ahimè, sempre più patria dei “furbi”.

    La franchigia ha due scopi:

    1) evita che la compagnia venga coinvolta in richieste di risarcimento di importo molto limitato, il cui costo

    di gestione amministrativa sarebbe sproporzionato rispetto all’indennizzo: l’assicurato che subisce un danno

    di qualche centinaia di euro, consapevole dell’esistenza di una franchigia di 1.000 €, non denuncia nemmeno

    il sinistro.

    2) stimola l’assicurato ad adottare comportamenti più prudenti, riducendo così la frequenza dei sinistri:

    l’assicurato, consapevole che comunque una parte del danno derivante da fuoriuscita di acqua dalle tubazioni

    rimarrà a suo carico, si farà parte diligente di chiudere la valvola dell’acqua quando si assenta dall’abitazione

    per recarsi in vacanza alle Maldive.

    ITALIA GERMANIA U.K. francia

    Età

    Min 460 280 445 195

    Max 1.275 750 2.630 661

    Max / Min 2,8 2,7 5,9 3,4

    Geo - grafia

    Min 370 210 280 175

    Max 1.220 300 1.150 215

    Max / Min 3,3 1,4 4,1 1,2

    Classe B/M

    Min 470 172 480 165

    Max 880 1.000 1.580 683

    Max / Min 1,9 5,8 3,3 4,1

  • 16

    Parte terza: le assicurazioni ramo vita.

    Fonte: ISVAP

    Fonte Elaborazione ANIA su dati ISVAP e ISTAT

    I grafici qui sopra evidenziano il rapido e costante sviluppo del ramo vita in Italia fino al 2005: da una

    raccolta praticamente nulla fino agli anni ’80 (meno di mezzo miliardo di euro di premi raccolti nel 1980, pari a un

    misero 0,2% del P.I.L.), si arrivò a raccolte appena significative, e ancora molto al di sotto della media dei paesi

    sviluppati, all’inizio degli anni ’90. Successivamente, con una rapida galoppata, (dai circa 15 miliardi di euro e 1,5% del P.I.L. di premi raccolti nel 1996 (dato fuori scala) si arrivò in cinque anni (2000) a 40 miliardi, equivalenti al 3,3% del

    P.I.L..con un incremento quinquennale di oltre il 150%, pari a una media di circa il 20% annuo). Nei successivi cinque

    anni, dal 2001 al 2005, i premi del ramo vita hanno continuato a crescere rapidamente, seppure con ritmi

    meno impetuosi, e sono arrivati a circa 73,5 miliardi e al 5% del P.I.L. Un altro + 85% che, in cinque anni,

    significa un aumento medio annuo di circa il 13%.

    Nel 2006, 2007 e 2008 (in coincidenza con il boom borsistico e immobiliare) vi è stata, invece,

    un’inversione di tendenza: la raccolta premi del ramo vita è diminuita in tre anni del 26%, scendendo a 54,6

    miliardi e a poco più del 3,5% del P.I.L.: i risparmiatori italiani privilegiarono investimenti potenzialmente

    più remunerativi e, quindi, anche più rischiosi.

    Il 2009 e il 2010, infine, hanno fatto registrare una fortissima crescita dei premi vita (rispettivamente +

    48,7% e + 11%), capace di portare la percentuale sul P.I.L. al 5,8%. A questo risultato ha certamente

    contribuito la crisi finanziaria, con il suo corredo di perdite subite dai risparmiatori (su investimenti in azioni,

    fondi comuni, obbligazioni ecc.) e di insicurezza, che hanno indotto molti di loro a spostarsi su una forma di

    risparmio (le polizze “caso vita”) tradizionalmente più tranquilla che in molti casi garantisce un rendimento

    comunque positivo, seppure molto basso.

    0

    20000

    40000

    60000

    80000

    100000

    1998 1999

    2000 2001

    2002 2003

    2004 2005

    2006 2007

    2008 2009

    2010 2011

    2012 2013

    26480 35600 39780

    46330 55290

    62700 65630 73470 69380

    61440 54560

    81140 90100

    73870 69710

    85090

    Premi ramo vita mercato italiano, milioni di euro

    0

    500

    1000

    1500

    1998 '99 '00 '01 '02 '03 '04 '05 '06 '07 '08 '09 '10 '11 '12 2013

    460 620 690

    810 970

    1090 1130 1260 1180

    1040 920

    1350 1500

    1230 1160

    1420

    Premi ramo vita per abitante (da 1998 a 2012)

    0,0%

    2,0%

    4,0%

    6,0%

    1980 1983 1986 1989 1992 1995 1998 2001 2004 2007 2009 2011 2012 2013

    0,2% 0,3% 0,4% 0,6% 0,8% 1,3%

    2,5%

    3,8% 4,1% 4,0%

    5,3% 4,6% 4,4%

    5,40%

    Anni

    Premi vita in percentuale del P.I.L.

  • 17

    Le assicurazioni vita si possono suddividere in tre principali categorie:

    - le assicurazioni in caso di morte (12), nelle quali l’assicuratore si impegna a corrispondere al beneficiario

    (o ai beneficiari) un certo capitale o una certa rendita nel caso l’assicurato muoia;

    - le assicurazioni in caso di vita (13), nelle quali la compagnia si impegna a corrispondere un certo capitale o

    una certa rendita vitalizia (in pratica una pensione privata) all’assicurato se questi sarà ancora in vita a una

    certa data;

    - le assicurazioni miste (14), nelle quali la compagnia assicuratrice si assume entrambi gli impegni: se

    l’assicurato alla data prestabilita è ancora vivo, allora la compagnia gli erogherà il vitalizio; se l’assicurato

    muore prima di quella data la compagnia pagherà un certo capitale al (o ai) beneficiari.

    12) L’assicurazione temporanea in caso di morte. Con questo tipo di polizza l’assicuratore paga un certo capitale ai beneficiari indicati dall’assicurato

    nel caso questi muoia entro un lasso (= periodo) di tempo stabilito. Quando il periodo di tempo è ultra

    annuale (= più lungo di un anno) allora il pagamento del premio avviene generalmente in rate annue costanti.

    L’importo del premio è determinato in base all’età e allo stato di salute dell’assicurato, nonché alle attività

    lavorative e sportive da lui svolte. Per tutta la durata del contratto l’assicurazione copre il caso di morte

    dell’assicurato dovuta a qualsiasi causa, sia infortunio sia malattia, ad eccezione di alcune espressamente

    elencate.

    Per determinare il premio annuo la compagnia deve valutare la probabilità che l’assicurato ha di morire entro

    un anno, e per far ciò parte dalle “tavole di mortalità” dell’ISTAT (di cui già vi ho dato su carta un esempio,

    tratto da http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_MORTALITA1 con i dati relativi alla provincia

    di Reggio Emilia, suddiviso fra maschi e femmine) e poi applica varie sue considerazioni per tenere conto di

    alcune condizioni particolari del singolo cliente, ad esempio il suo stato di salute, se è un fumatore o no, la

    attività lavorativa che svolge, eventuali attività sportive dilettantistiche ecc.

    Dal confronto fra i sessi appare evidente la maggior probabilità delle donne di vincere una pensione di

    reversibilità, cioè di seppellire i mariti (rigorosissime ricerche medico-scientifiche hanno dimostrato al di là di ogni dubbio

    che le femmine vivono più dei maschi perché, nella vita di coppia, loro hanno a che fare coi maschi e i maschi, invece, con loro).

    Quando il capitale assicurato non è particolarmente alto è sufficiente che l’assicurato compili un questionario

    relativo alle sue condizioni di salute, e non è quindi necessario che si sottoponga a una visita medica. In

    questo caso, però, la garanzia per il caso di morte in seguito a una malattia diversa da alcune patologie

    (espressamente previste e in genere rare e a rapido decorso, vedi a pag. 20 il punto a) dell’art. 15 “limitazioni”) è sospesa per

    un primo periodo (in genere di 6 mesi) detto “periodo di carenza”. Il periodo di carenza è esteso a parecchi

    anni (nell’esempio che vi ho riportato a pag. 20 è esteso a 7 anni, vedi fine punto b) art. 15) per il caso di patologie

    riconducibili all’aids.

    Le dichiarazioni rese dall’assicurato devono essere veritiere e complete, per evitare in seguito le

    contestazioni dell’assicuratore che, non avendo potuto valutare correttamente il rischio, potrebbe

    legittimamente rifiutare, in tutto o in parte, di corrispondere il capitale assicurato.

    Nel caso in cui il rischio si aggravi per il sopraggiungere di una patologia nel corso del contratto, il premio

    stabilito inizialmente non può variare e l’assicuratore non può in nessun caso risolvere il contratto. E’ questo

    il motivo per cui è consigliabile stipulare contratti di almeno 10 anni: il premio, che in genere è pagato

    annualmente, rimane costante per tutta la durata del contratto e l’assicuratore deve continuare a offrire la

    copertura anche se viene a conoscenza che all’assicurato è stato diagnosticato un tumore letale. Alla

    compagnia non resta che sperare che il cliente campi fino alla scadenza del contratto. A quel punto potrà

    rifiutarsi di stipulare un nuovo contratto. Se però l’assicurato cambia attività (e da insegnante di economia con

    l’hobby della pittura diventa pilota di formula 1 con la passione degli 8.000 in solitaria) allora è tenuto a darne notizia

    all’assicuratore che può scegliere fra recedere dal contratto, aumentare il premio o diminuire la prestazione

    (vedi art. 7). Nel caso l’assicurato faccia il furbo e non avverta l’assicuratore (e questi dopo la morte dell’assicurato

    scopra la cosa) il pagamento del capitale può essere rifiutato, in tutto o in parte.

    http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_MORTALITA

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    Il contraente può sempre e in un qualsiasi momento recedere dal contratto. Se non recede ma semplicemente

    sospende i pagamenti (ad esempio dopo i primi tre anni di una polizza decennale smette di pagare il premio) l’effetto è,

    nella pratica, lo stesso: perde la copertura assicurativa.

    Femmina – non fumatrice – capitale assicurato 100.000 € http://catalogo.gruppofondiariasai.it/wps/wcm/connect/b48de08040a10eed98e19db78a66dbbd/8F8NF_Fondiaria.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=b48de08040a10eed98e19db78a66dbbd

    Età (anni) Durata anni della polizza (anni)

    5 10 15 20

    30 78 € 86 € 97 € 111 €

    35 96 € 109 € 126 € 149 €

    40 125 € 147 € 174 € 209 €

    45 174 € 208 € 251 € 299 €

    50 250 € 304 € 361 € 445 €

    Maschio – non fumatore – capitale assicurato 100.000 € Età (anni) Durata anni della polizza (anni) (fra parentesi la differenza % rispetto alla donna non fumatrice)

    5 10 15 20

    30 122 € (+ 56,4%) 129 € 140 € 158 € (+ 42,3%)

    35 137 € (+ 42,7%) 152 € 175 € 208 € (+ 39,6%)

    40 170 € (+ 36,0%) 201 € 243 € 302 € (+ 44,5%)

    45 238 € (+ 36,8%) 292 € 368 € 466 € (+ 55,9%)

    50 360 € (+ 44,0%) 457 € 581 € 748 € (+ 68,1%)

    Maschio – fumatore – capitale assicurato 100.000 € Età (anni) Durata anni della polizza (anni) (fra parentesi la differenza % rispetto al maschio non fumatore)

    5 10 15 20

    30 147 € (+ 20,5%) 162 € 184 € 218 € (+ 38,0%)

    35 180 € (+ 31,4%) 209 € 252 € 314 € (+ 51,0%)

    40 244 € (+ 43,5%) 301 € 381 € 491 € (+ 62,6%)

    45 371 € (+ 55,9%) 474 € 614 € 792 € (+ 70,0%)

    50 601 € (+ 66,9%) 782 € 1.007 € 1.293 € (+ 72,9%)

    Le tabelle che vi ho appena riportato sono tratte dal fascicolo informativo dell’assicurazione temporanea

    in caso di morte a capitale e a premio annuo costante della compagnia “Fondiaria-SAI”, Tariffa (in campo assicurativo il termine “tariffa” ha, più o meno, il significato di “prodotto”: la “tariffa 8 Non Fumatori” sta alla Fondiaria-Sai come il “modello 500 cabrio” sta alla Fiat) 8F/8NF. Per altri dettagli vai in http://catalogo.gruppofondiariasai.it/wps/wcm/connect/Internet/Internet/Gruppo+Fondiaria+Sai/Fondiaria+Sai/Divisione+Fondiaria/Vita/Famiglie/Sicurezza/DEDICATA

    Qui sotto vi riporto le principali condizioni contrattuali che regolano questo prodotto.

    I) OGGETTO DEL CONTRATTO Art. 1 Prestazioni assicurate Con la presente assicurazione la Società si impegna a corrispondere ai Beneficiari designati il capitale assicurato, al momento in cui il decesso dell’Assicurato si verifichi prima della scadenza del contratto. (...) In caso di sopravvivenza, alla scadenza contrattuale l’assicurazione si risolve ed i premi pagati restano acquisiti dalla Società in corrispettivo del rischio corso. (…) L’ammontare del capitale assicurato, indicato nella scheda contrattuale, si mantiene costante per tutta la durata del contratto, salvo l’eventuale riduzione dovuta all’aggravamento del rischio conseguente alla perdita dello stato di Non Fumatore, di cui all’art. 6, o al cambiamento di professione o di attività dell’Assicurato, di cui all’art. 7. La garanzia per il caso di morte è operante senza limiti territoriali, qualunque sia la causa del decesso fatte salve le esclusioni e le limitazioni descritte nella successiva sezione V. (...)

    Art. 2 Premio

    Il premio annuo è dovuto dal Contraente alla decorrenza dell’assicurazione e ad ogni suo anniversario precedente la scadenza

    contrattuale, e deve essere corrisposto - insieme ai diritti - in via anticipata nella rateazione pattuita, ma comunque non oltre la

    morte dell’Assicurato. Il premio annuo, indicato nella scheda contrattuale, è di ammontare costante. (…)

    II) CONCLUSIONE DEL CONTRATTO E DIRITTO DI RECESSO Art. 3 Conclusione del contratto, entrata in vigore e scadenza dell’assicurazione Il contratto si intende concluso nel giorno in cui: • la polizza, firmata dalla Società, viene sottoscritta dal Contraente e dall’Assicurato, oppure, • il Contraente, a seguito della sottoscrizione della proposta, riceve dalla Società la polizza debitamente firmata o altra comunicazione scritta attestante l’assenso della Società stessa.

    http://catalogo.gruppofondiariasai.it/

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    Le garanzie entrano in vigore alle ore 24 della data di decorrenza (decorrenza) indicata nella scheda contrattuale, a condizione che a tale data il contratto sia stato concluso e sia stata versata la prima rata di premio. Nel caso in cui la conclusione del contratto e/o il versamento della prima rata di premio siano avvenuti successivamente alla decorrenza indicata nella scheda contrattuale, le garanzie entrano in vigore alle ore 24 del giorno del versamento o, se successivo, del giorno di conclusione del contratto. In ogni caso sono fatti salvi i periodi di carenza delle garanzie esplicitamente previsti. L’assicurazione termina alle ore 24 della data di scadenza (scadenza) indicata nella scheda contrattuale.

    Art. 4 Dichiarazioni relative alle circostanze del rischio Le dichiarazioni del Contraente e dell'Assicurato devono essere esatte e complete. In caso di dichiarazioni inesatte o di reticenze relative a circostanze tali che la Società, se avesse conosciuto il vero stato delle cose, non avrebbe dato il proprio consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni, la Società stessa si riserva: • di impugnare il contratto e quindi, in caso di sinistro, di rifiutare il pagamento della prestazione, ai sensi dell'art. 1892 c.c., quando esiste malafede o colpa grave; • di recedere dal contratto o, in caso di sinistro, di ridurre la somma da pagare, ai sensi dell'art. 1893 c.c., quando non esiste malafede o colpa grave. Trascorsi 180 giorni dall'entrata in vigore delle garanzie o dalla loro eventuale riattivazione accordata dalla Società, la stessa può agire, come previsto al precedente comma, esclusivamente quando esiste malafede o colpa grave, oppure quando le dichiarazioni inesatte o le reticenze riguardano il comportamento dell’Assicurato relativamente al fumo o la professione o l’attività dell’Assicurato, oppure l’aggravamento del rischio di cui agli art. 6 e 7. (…)

    Art. 5 Diritto di recesso Il Contraente può recedere dal contratto entro 30 giorni dalla sua conclusione, dandone comunicazione alla Società con lettera raccomandata o telefax contenente gli elementi identificativi del contratto, compresa la Divisione a cui la polizza fa riferimento, da inviare a: FONDIARIA-SAI S.p.A. Direzione Vita Via Lorenzo il Magnifico n. 1, 50129 FIRENZE Il recesso libera entrambe le parti da ogni obbligazione derivante dal contratto, a decorrere dalle ore 24 del giorno di invio della comunicazione di recesso, quale risulta dal timbro postale della relativa raccomandata o dalla data del telefax. Entro 30 giorni dal ricevimento da parte della Società della comunicazione di recesso, dietro consegna dell’originale della polizza e delle eventuali appendici, la Società rimborsa al Contraente il premio versato, diminuito di Euro 50,00 a fronte delle spese sostenute, nonché diminuito di una quota dello stesso in proporzione al periodo nel quale le garanzie sono state in vigore.

    III) REGOLAMENTAZIONE NEL CORSO DELLA DURATA CONTRATTUALE Art. 6 Aggravamento del rischio per perdita dello stato di Non Fumatore Se l’Assicurato, dichiaratosi Non Fumatore al momento della conclusione del contratto, inizia o ricomincia a fumare, anche sporadicamente, il medesimo ed il Contraente sono tenuti a darne comunicazione alla Società entro 30 giorni mediante raccomandata o telefax. Dalla data della comunicazione, quale risulta dal timbro postale della raccomandata o dalla data del telefax, il capitale assicurato si riduce all’importo indicato nella scheda contrattuale sotto la denominazione “Capitale ridotto in caso di perdita dello stato di Non Fumatore”. In caso di dichiarazioni inesatte o di reticenze riguardanti il comportamento dell’Assicurato relativamente al fumo, la Società si riserva di applicare quanto previsto dagli articoli 1892 e 1893 c.c.

    Art. 7 Aggravamento del rischio per cambiamento di professione o di attività dell’Assicurato L’Assicurato e il Contraente sono tenuti a comunicare tempestivamente alla Società – mediante raccomandata o telefax - ogni cambiamento di professione o di attività dell’Assicurato stesso. Qualora il cambiamento di professione o di attività comporti un aggravamento del rischio tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito alla conclusione del contratto, la Società non avrebbe dato il proprio consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni, la Società stessa si riserva di applicare quanto previsto dall’art. 1926 c.c. In caso di dichiarazioni inesatte o di reticenze riguardanti la professione o l’attività dell’Assicurato, oppure il suo eventuale cambiamento, la Società si riserva di applicare quanto previsto dagli artt. 1892 e 1893 c.c.

    Art. 8 Mancato pagamento dei premi: sospensione delle garanzie e risoluzione del contratto Il mancato pagamento anche di una sola rata di premio, trascorsi 30 giorni dalla relativa data di scadenza, comporta - a partire dalle ore 24 di quest’ultima data – la sospensione delle garanzie e, se queste non vengono riattivate ai sensi dell’art. 9, il contratto si risolve ed i premi già pagati restano acquisiti dalla Società in corrispettivo del rischio corso. Salvo quanto stabilito per l’entrata in vigore delle garanzie, se il decesso dell’Assicurato si verifica entro 30 giorni dalla data di scadenza della prima rata di premio rimasta insoluta, la somma dovuta dalla Società viene diminuita dell’importo della rata da recuperare. A giustificazione del mancato pagamento dei premi, il Contraente non può, in nessun caso, opporre che la Società non gli abbia invia