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7. Profili generali del bilancio dello Stato 55 PARTE TERZA Il bilancio dello Stato, delle Regioni, degli enti locali e dell’Unione europea 7. Profili generali del bilancio dello Stato Di cosa parleremo In questo capitolo descriveremo la composizione, il significato e la classificazione del bilancio dello Stato. Esporremo, infine, le principali teorie sulla politica di bilancio. Il bilancio dello Stato Classificazione Funzioni del bilancio I principi del bilancio Le politiche del bilancio 1) Il bilancio dello Stato: definizione e classificazioni Il bilancio dello Stato è un documento giuridico-contabile che elenca ordinatamente le entrate e le spese relative all’attività finanziaria dello Stato in un periodo di tempo determinato, che può essere un anno (bilancio annuale) o un periodo di più anni (bilancio pluriennale). Normalmente, per esigenze connesse alle funzioni di bilancio pubblico, l’attività dello Stato (e degli altri enti pubblici) viene suddivisa in periodi annuali, detti anni finanziari. In Italia, come nella maggior parte dei paesi, l’anno finanziario coincide con l’anno civile, va cioè dal 1° gennaio al 31 dicembre. L’insieme delle operazioni contabili effettuate in un certo anno finanziario si chiama esercizio finanziario. Il bilancio dello Stato può essere classificato in diversi modi. A seconda dell’esercizio finanziario cui si riferisce, cioè al momento in cui viene preparato e agli scopi a cui è diretto, si distingue tra: bilancio preventivo: riguarda le entrate e le spese che si prevede di ri- scuotere e di effettuare nell’esercizio successivo a quello in cui è compilato.

Parte terza Il bilancio dello Stato, delle Regioni, degli enti locali e ... · In questo capitolo descriveremo la composizione, il significato e la classificazione del bilancio dello

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Parte terzaIl bilancio dello Stato, delle Regioni,

degli enti locali e dell’Unione europea

7. Profili generali del bilancio dello Stato

Di cosa parleremo

In questo capitolo descriveremo la composizione, il significato e la classificazione del bilancio dello Stato. Esporremo, infine, le principali teorie sulla politica di bilancio.

Il bilancio dello Stato

Classificazione Funzioni del bilancio I principi del bilancio Le politiche del bilancio

1) Il bilancio dello Stato: definizione e classificazioni

Il bilancio dello Stato è un documento giuridico-contabile che elenca ordinatamente le entrate e le spese relative all’attività finanziaria dello Stato in un periodo di tempo determinato, che può essere un anno (bilancio annuale) o un periodo di più anni (bilancio pluriennale).

Normalmente, per esigenze connesse alle funzioni di bilancio pubblico, l’attività dello Stato (e degli altri enti pubblici) viene suddivisa in periodi annuali, detti anni finanziari. In Italia, come nella maggior parte dei paesi, l’anno finanziario coincide con l’anno civile, va cioè dal 1° gennaio al 31 dicembre. L’insieme delle operazioni contabili effettuate in un certo anno finanziario si chiama esercizio finanziario.

Il bilancio dello Stato può essere classificato in diversi modi.

A seconda dell’esercizio finanziario cui si riferisce, cioè al momento in cui viene preparato e agli scopi a cui è diretto, si distingue tra:

— bilancio preventivo: riguarda le entrate e le spese che si prevede di ri-scuotere e di effettuare nell’esercizio successivo a quello in cui è compilato.

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Occorre predisporlo prima dell’inizio dell’anno finanziario di riferimento, e costituisce il programma delle entrate e delle spese a cui il Governo si deve attenere nell’esercizio della sua attività finanziaria;

— bilancio consuntivo: si riferisce a un anno già trascorso, e dà conto delle entrate e delle spese già realizzate in tale esercizio. Esso consente quindi di conoscere a posteriori come si è svolta l’attività finanziaria dello Stato, e proprio per questo è detto anche rendiconto.

Rispetto al contenuto il bilancio può essere:

— di competenza: comprende le entrate che si ha diritto a riscuotere e le spese che si ha l’obbligo di pagare (entrate accertate e spese impegnate) nel corso dell’esercizio, indipendentemente dal momento in cui si realizzerà la riscossione o il pagamento;

— di cassa: riporta, invece, le entrate effettivamente riscosse e le uscite effetti-vamente pagate nel corso dell’esercizio finanziario, indipendentemente dal momento in cui è sorto il diritto a riscuotere l’entrata o l’obbligo a sostenere la spesa. Nel bilancio di competenza vengono quindi iscritti i fatti che com-portano entrate o spese che si manifestano nell’esercizio, anche se non si esauriscono nell’esercizio stesso, mentre nel bilancio di cassa si iscrivono soltanto quei fatti che hanno la loro materiale esecuzione nell’esercizio.

Il bilancio di cassa è un importante mezzo di conoscenza dei movimenti di moneta e dei conseguenti bisogni di tesoreria.

Il bilancio di competenza è, soprattutto, lo strumento politico che consente al Parlamento di decidere quali entrate e quali spese effettuare nell’eserci-zio preso in considerazione. Da questo punto di vista è uno strumento di controllo antecedente di merito sull’operato dell’organo amministrativo.

Le fasi delle entrate e delle spese. Per meglio capire le differenze fra il bi-lancio di competenza e il bilancio di cassa, conviene ricordare che le entrate e le spese vengono realizzate attraverso varie fasi. Per ciò che concerne le entrate, esse sono caratterizzate dalle seguenti fasi (oltre a quelle di previsione):

— accertamento, che consiste nell’individuazione, da parte dell’Amministra-zione competente, del debitore e delle ragioni di credito, dell’ammontare del credito (che viene iscritto nella contabilità come competenza dell’anno finanziario);

— riscossione, che riguarda l’introito dell’importo accertato da parte di agenti incaricati dallo Stato (ad esempio le tesorerie provinciali);

— versamento, costituito dall’incasso effettivo da parte dello Stato.

Le spese vengono effettuate attraverso le seguenti fasi:

— impegno, che si ha quando la pubblica amministrazione assume l’obbligo di effettuare un certo pagamento;

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— liquidazione, costituita dall’individuazione del creditore e dalla determi-nazione dell’ammontare preciso della somma da pagare;

— ordinazione, che consiste nell’emissione del titolo di spesa (mandato, ordine di pagamento) con cui gli uffici contabili ordinano il pagamento agli organi esecutivi;

— pagamento, che consiste nell’esborso materiale di denaro da parte dei cassieri dello Stato al creditore e nella conseguente estinzione dell’obbli-gazione.

Per realizzare sia le entrate che le spese, occorre un certo lasso di tempo, che può anche interessare diversi esercizi finanziari.

Il bilancio di competenza considera le entrate e le spese nelle fasi, rispet-tivamente, dell’accertamento e dell’impegno, mentre il bilancio di cassa considera le entrate e le spese nelle fasi della riscossione e del pagamento.

I residui attivi e passivi. Le entrate e le spese che, al termine dell’anno finanziario, risultano rispettivamente accertate ma non riscosse, e impegnate ma non pagate, danno luogo ai residui: i residui attivi sono entrate accertate ma non ancora riscosse, e costituiscono quindi crediti dello Stato verso terzi; i residui passivi sono spese impegnate ma non ancora pagate, e costituiscono debiti dello Stato nei confronti di terzi.

I residui vengono accertati al momento della chiusura dell’anno finanziario ed iscritti nel rendiconto generale.

Essi sono riportati nella contabilità dell’esercizio successivo, ma tenuti distinti dalle somme relative alla competenza del nuovo esercizio finanziario.

Si hanno cioè, due distinte gestioni finanziarie:

— una relativa alle somme previste per l’anno finanziario in corso (gestione di competenza);

— una concernente esclusivamente l’esazione ed il pagamento dei residui (gestione dei residui).

2) Le funzioni del bilancio

Oltre all’evidente e indiscutibile funzione contabile, il bilancio svolge le seguenti importantissime funzioni:

— politica, concernente il rapporto fiduciario tra il Parlamento ed il Governo;— giuridica, perché rappresenta una sorta di autorizzazione preventiva delle

spese, che il Parlamento concede all’organo cui spetta il compito di dare esecuzione al bilancio;

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— economica, perché determina il regolare andamento dei cicli economici ed il raggiungimento dei fini funzionali dell’attività finanziaria.

3) I principi del bilancio

Perché il bilancio possa assolvere le sue importanti funzioni, la teoria ha elaborato una serie di principi, accolti nei moderni ordinamenti giuridici. Tali principi sono:

— annualità: ogni anno le Camere devono approvare con apposita legge il bilancio preventivo e quello consuntivo presentati dal Governo (art. 81 Cost.). L’approvazione annuale si collega al ruolo del bilancio come strumento di controllo dell’attività finanziaria del Governo, consistente nell’autorizzazione a riscuotere le entrate e ad erogare le spese. Nei di-versi ordinamenti al bilancio annuale si affianca il bilancio pluriennale, strumento per la realizzazione della programmazione economica nell’arco di più esercizi finanziari;

— universalità: devono essere iscritte in bilancio tutte le entrate e tutte le spese della gestione finanziaria; non sono cioè ammesse le gestioni fuori bilancio, tranne che nei casi espressamente autorizzati da leggi speciali;

— integrità: tutte le entrate e tutte le spese devono essere registrate al lordo degli oneri connessi alla loro riscossione ed erogazione (ad esempio, il gettito di un’imposta deve essere iscritto a bilancio al lordo delle spese di accertamento e riscossione, che a volte possono essere alte). Non sono quindi ammesse compensazioni tra le voci, in modo da consentire un effettivo controllo sulla gestione del denaro pubblico;

— unità: il documento contabile del bilancio dello Stato è unico. In esso devono trovare rappresentazione tutte le entrate e tutte le spese riguardanti l’attività finanziaria dello Stato;

— specializzazione: le voci devono essere articolate con la maggior preci-sione possibile, per consentire al Parlamento un controllo analitico sulla gestione finanziaria;

— veridicità: le previsioni di bilancio devono rispecchiare valori veri, in modo da consentire una corretta valutazione della situazione reale;

— chiarezza: il bilancio deve essere trasparente, di facile comprensione e non dare luogo ad equivoci o dubbi interpretativi;

— pareggio: si riferisce alla necessità che sia rispettato l’equilibrio tra le entrate e le uscite. Come vedremo più avanti i Paesi dell’Unione europea che hanno adottato l’euro hanno dovuto inserire nella propria Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio;

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— pubblicità: il bilancio dello Stato, approvato con legge formale dal Par-lamento, deve essere portato a conoscenza di tutti i cittadini attraverso la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

4) Le teorie sulle funzioni del bilancio

Il bilancio dello Stato rispecchia la dimensione dell’intervento pubblico nell’economia e quindi è naturale che la sua importanza dipenda dalle dot-trine economiche prevalenti in un certo periodo storico. È questa la ragione che spiega il succedersi nel tempo di diverse teorie sulle funzioni del bilancio pubblico.

Teoria del bilancio in pareggio. La teoria del bilancio in pareggio è basata sul principio della finanza neutrale, secondo cui lo Stato deve ridurre al minimo il suo intervento nella vita economica e svolgere soltanto le attivi-tà cosiddette istituzionali, non convenienti per i privati, che consentono il funzionamento del mercato. Il bilancio deve essere in pareggio, dato che i disavanzi alterano l’equilibrio del sistema: le entrate correnti devono ugua-gliare le spese correnti. In caso di eventi straordinari (guerre, calamità naturali ecc.) le spese straordinarie devono essere finanziate con entrate straordinarie (imposta straordinaria). Il bilancio ha, quindi, esclusivamente una funzione di controllo contabile esercitato dagli organi rappresentativi sull’attività degli organi esecutivi.

Teoria del doppio bilancio. La teoria del doppio bilancio fu proposta da diversi studiosi scandinavi nel corso degli anni ’20 del secolo scorso. Secon-do questi autori il pareggio del bilancio deve realizzarsi fra entrate e spese correnti, mentre il bilancio in conto capitale può essere in deficit, in quanto comprende spese per investimenti pluriennali (porti, strade, trasporti pubblici ecc.), che aumentano la capacità produttiva del sistema, generando effetti positivi nell’arco di diversi anni.

Teoria del bilancio ciclico. Secondo questa teoria i bilanci devono compensare l’andamento del ciclo economico, con l’obiettivo di attenuare le fluttuazioni che compromettono l’equilibrio del sistema. Nelle fasi di depressione, il bilancio deve essere in deficit, perché ha l’importante funzione di finanziare gli investimenti necessari a garantire la ripresa. Nelle fasi espansive il bilancio deve realizzare avanzi, da utilizzare per ripianare il debito accumulato. Il pareggio va raggiunto alla fine del ciclo,

Ciclo economico: fluttuazione regolare e periodica dell’attività economica.

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dato che gli avanzi degli anni di espansione devono compensare i disavanzi degli anni di depressione.

Teoria del bilancio funzionale. Secondo questa teoria, proposta da J.M. Keynes negli anni della Grande depressione, il bilancio pubblico non deve

essere solo uno strumento contabile, ma deve es-sere usato come strumento per realizzare gli obiet-tivi di politica economica, costituiti principalmen-te dallo sviluppo del reddito in condizioni di stabi-lità e da una più equa distribuzione del reddito fra le classi sociali. La manovra delle entrate e delle spese pubbliche per raggiungere gli obiettivi di politica economica si chiama politica fiscale o politica di bilancio.

Il criterio del pareggio viene quindi abbandona-to, in quanto il bilancio viene utilizzato per regolare la domanda globale (formata dai consumi e dagli investimenti sia pubblici che privati).

Alla politica fiscale si è fatto ricorso ampiamente negli ultimi decenni nella maggior parte dei paesi industrializzati, e ciò ha consentito il riassorbimento della disoccupazione e un aumento del reddito nazionale attraverso il mecca-nismo del moltiplicatore. L’uso del deficit di bilancio in funzione di sostegno della domanda globale (deficit spending) ha però determinato in molti paesi l’accumulo di un rilevante debito pubblico (come è noto, il problema è par-ticolarmente grave per l’Italia).

Teorie neo-liberiste. Le teorie keynesiane sono state severamente critica-te dalle nuove correnti neo-liberiste, che si rifanno alla scuola monetarista (detta anche scuola di Chicago). Le teorie neoliberiste sostengono l’opportu-nità di ridurre al minimo l’intervento dello Stato nell’economia, che provoca un’incontrollata crescita del debito pubblico, con conseguente inflazione e disoccupazione.

5) Le politiche di bilancio

Per gli economisti classici il mercato è in grado di assicurare (salvo brevi e modesti squilibri) la pie-na occupazione dei fattori produttivi e lo sviluppo massimo del reddito nazionale. Il bilancio pubblico deve essere ridotto al minimo e limitarsi ad assi-curare le condizioni ambientali che permettano al

Politica economica: branca della scienza economica che studia l’intervento dello Stato nel sistema economico e gli strumenti da porre in essere affinché siano raggiunti alcuni obietti vi considerati social-mente desiderabili.Politica fiscale: politica il cui obiettivo principa le è quello di influenza re il livello della doman da globale attraverso variazioni della spesa pubblica e della pressio ne fiscale.

Classici: esponenti di quella corrente di pen siero economi-co che si è sviluppata verso la fine del XVIII secolo e i primi anni del XIX e a cui fan no capo autori come Smith, Ricardo, Malthus, Mill e Marx.

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mercato di funzionare. La conseguenza è quindi il pareggio del bilancio, in stretta analogia con l’economia familiare, perché un disavanzo comporta un debito nei confronti del mercato e l’onere degli interessi passivi da pagare, un avanzo significa sottrarre risorse al mercato, che è in grado di impiegarle in modo più produttivo rispetto allo Stato.

La Grande crisi del 1929-32 — il cui atto di nascita si fa risalire al crollo della borsa di New York — dimostra che il mercato non è in grado di evitare crisi globali, con massiccia disoccupazione e fallimenti a catena. Il sistema non può autoregolarsi, perché si possono verificare equilibri di sottoccupazione.

Si impone, quindi, all’attenzione degli economisti una visione della realtà economica assai differente da quella analizzata dai primi teorici liberisti. Secon-do gli studiosi di questa teoria (finanza congiunturale) il pareggio di bilancio non deve essere annuale, ma si deve realizzare nell’arco del ciclo economico.

Il semplice grafico che proponiamo indica gli effetti della politica di bilancio impiegata per attenuare le fluttuazioni cicliche. In assenza di una politica di bilancio, il PNL ha l’andamento rappresentato dalla sinusoide PNL

0; se si attua

una politica fiscale restrittiva nella fase ascendente del ciclo, e una politica fiscale espansiva nella fase discendente del ciclo, le onde cicliche risultano smorzate, come evidenzia l’andamento della sinusoide PNL

1.

PNL

tempo

PNL

PNL

trend

1

0

Fig. 1 - Gli effetti della politica fiscale sul ciclo economico

Secondo Keynes, invece, lo Stato deve intervenire per raggiungere obiettivi economici e sociali come la piena occupazione e una più equa distribuzione delle risorse. Dato che le forze spontanee del mercato non sono in grado di

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assicurare la piena occupazione delle risorse produttive, si deve usare il bilancio pubblico perché l’equilibrio fra domanda e offerta globale avvenga al livello di piena occupazione. In particolare, in una situazione di disoccupazione il bilancio va utilizzato per sostenere la domanda globale attraverso l’aumento della spesa pubblica e/o la riduzione delle entrate, anche se ciò provoca un disavanzo di bilancio (deficit spending). La spesa pubblica, infatti, agisce come un acceleratore, perché fornisce potere di acquisto addizionale, mentre le entrate tributarie costituiscono un freno; manovrandole opportunamente si assicura uno sviluppo equilibrato del sistema economico.

Secondo Keynes la politica di bilancio ha i seguenti compiti fondamentali:

— garantire un elevato livello di occupazione dei fattori produttivi e quindi lo sviluppo del reddito nazionale;

— difendere la stabilità della moneta e del cambio;— attenuare le fluttuazioni cicliche del sistema.

6) Il moltiplicatore della spesa pubblica

L’equilibrio del sistema economico, secondo l’equazione fondamentale di Keynes, si può rappresentare come segue:

Y = C + I + G

dove Y indica il reddito aggregato, C i consumi, I gli investimenti, G la spesa pubblica. Il primo membro dell’identità rappresenta l’offerta globale, mentre il secondo membro rappresenta le componenti della domanda globale. Na-turalmente, in situazione di equilibrio la domanda è uguale all’offerta. Se il sistema economico è in equilibrio di sottoccupazione, il reddito effettivo risulta inferiore al reddito potenziale. Per aumentare il reddito effettivo, sì può far ricorso al bilancio pubblico in uno dei seguenti modi:

— aumento delle spese in misura maggiore rispetto alle entrate (manovra quantitativa);

— modificazione della struttura delle spese e delle entrate, lasciandone inal-terato il livello (manovra qualitativa);

— variazione delle spese e delle entrate per lo stesso ammontare, aumentan-do il livello del bilancio, fermo restando il risultato differenziale (teoria di Haavelmo).

Vediamo, ora, come si presentano le diverse situazioni.

Aumento della spesa pubblica. Se il sistema economico è in equilibrio di sottoccupazione esiste, cioè, un livello salariale che rende uguali domanda

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e offerta, ma non è quello di pieno impiego. Allora, un aumento della spesa pubblica finanziata in deficit (deficit spending) determinerà un aumento della domanda aggregata sino ad ottenere un equilibrio di piena occupazione.

Nel grafico, il reddito effettivo (BC) raggiunge il livello del reddito poten-ziale (OB = BD), grazie alla spesa pubblica aggiuntiva (DC).

C+I+G

Y45ϒ

C+I+G2

C+I+G1

0 B

C

D

Fig. 2 - Gli effetti della variazione della spesa pubblica sul sistema economico

Come è noto, la spesa pubblica produce un effetto amplificativo sul reddito globale, secondo la formula del moltiplicatore keynesiano:

ΔY =

1

1− c× ΔG

dove: ΔY è l’incremento del reddito, ΔG l’incremento della spesa pubblica, c la propensione al consumo.

Se, ad esempio, in un sistema economico la propensione al consumo è pari a 0,75 e quindi il moltiplicatore è uguale a 4, un incremento della spesa pubblica di 10.000.000 provoca un incremento del reddito nazionale pari a 40.000.000 . Come si vede dalla formula, più alta è la propensione al consumo, maggiore è l’effetto moltiplicativo della spesa pubblica. Una manovra economica finanziata in deficit produce un incremento della do-manda globale, che a sua volta genera un aumento di reddito.

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Il reddito nazionale cresce anche nel caso in cui lo Stato non aumenta la spesa, ma diminuisce le entrate pubbliche riducendo le imposte. Supponiamo una riduzione di imposte di 10 milioni di euro, che aumenta il reddito dispo-nibile dei consumatori di un pari importo. Nell’ipotesi di una propensione al consumo di 0,75, si avrà un aumento dei consumi pari a 7.500.000 . Inizierà un processo espansivo, che sarà minore rispetto a quello che si ha quando lo Stato decide di aumentare la spesa pubblica. Infatti, il moltiplicatore delle

imposte è pari a

c

c −1 ovvero:

ΔY = −

1

1− cΔT

dove ΔT è l’incremento delle imposte.Analoghi effetti si verificano quando lo Stato opera trasferimenti a favore

di categorie sociali ad alta propensione al consumo, come nel caso in cui trasferisca sussidi ai disoccupati.

Modificazioni della struttura delle spese e delle entrate. I componenti della collettività presentano una diversa propensione al consumo. Di conseguenza, ad esempio, se si riducono le imposte a carico dei gruppi che presentano una maggiore propensione al consumo, si ottiene un effetto espansivo maggiore: la stessa riduzione a favore di classi che hanno una più bassa propensione al consumo non produce il medesimo effetto.

Variazione uguale delle spese e delle entrate. La spesa pubblica ha effet-ti espansivi sull’economia anche quando è finanziata da un maggior prelievo tributario di uguale ammontare, in modo che resti immutato il risultato differenziale. Ciò è stato dimostrato dall’economista norvegese Trygve Haavelmo (premio Nobel per l’economia nel 1989) con il suo teorema del bilancio in pareggio.

Il bilancio in pareggio si basa sul maggiore effetto espansivo della spesa pubblica rispetto a quello dell’entrata: la spesa pubblica addizionale fa, infatti, aumentare il reddito nazionale secondo il meccanismo del moltiplicatore, mentre le imposte addizionali diminuiscono la capacità di spesa dei soggetti, e quindi il reddito nazionale, ma solo per quella parte di reddito che sarebbe stata altrimenti spesa per il consumo (si ricordi che la restante parte sarebbe stata risparmiata, restando perciò improduttiva):

ΔY = ΔG ×

1

1− c− ΔT ×

c

1− c

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Si comprende facilmente il teorema di Haavelmo se si applica un semplice esempio numerico alla formula del moltiplicatore. Ipotiz-zando una propensione al consumo pari a 0,75 e quindi un moltipli-

catore pari a 4

infatti: 1

1− c=

1

0,25= 4

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟, ma quello delle imposte è 3

infatti:

c

1− c=

0,75

0,25= 3

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟; quindi ponendo ΔG = ΔT = 10.000.000 , la

formula diventa

ΔY = 10.000.000 · 4 – 10.000.000 · 3 = 10.000.000

Dall’esempio deduciamo una regola che ha valore generale: il moltiplicatore del bilancio in pareggio è 1.L’aumento delle imposte annulla l’effetto moltiplicativo della spesa pub-blica, che rimane comunque positivo; cioè, per ogni euro in più di spesa pubblica, il reddito aumenta solo di un euro, non di 4 come accadrebbe se non venissero aumentate le imposte.

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14. Le fonti del diritto tributario

Di cosa parleremo

Le scelte del legislatore tributario sono condizionate dalle norme costituzionali che dettano i principi cui deve necessariamente attenersi il legislatore fiscale nell’ema-nare le norme tributarie.In questo capitolo esamineremo tali principi e distingueremo tra fonti principali e secondarie. Nell’ottica di un più trasparente rapporto tra cittadini e fisco rivestono grande importanza le norme contenute nello Statuto del contribuente e l’istituto dell’interpello.

Fonti

• Legalità • Capacità contributiva

Pincipi costituzionali • Progressività

• Riserva di legge

Fonti primarie Fonti secondarie

• Legge formale• Decreto legge Regolamenti• Decreto legislativo• Fonti comunitarie • Regolamenti • Governativi

• Direttive • Ministeriali

• Interministeriali

• Locali

Interpretazione • Autentica • Giurisprudenziale • Dottrinale

1) La Costituzione: principi in materia tributaria

La Costituzione fonte primaria del diritto tributario. Nell’ordinamento italiano la prima fonte del diritto tributario è senza dubbio la Costituzione.

Legalità (art. 23)

Capacità contributiva (art. 53)

Principi costituzionali Progressività (art. 53)

Divieto di referendum abrogativo di leggi tributarie (art. 75)

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Gli articoli fondamentali, in materia di imposte, sono: l’art. 23, che san-cisce la riserva di legge in materia tributaria accogliendo il principio della legalità delle imposte, e l’art. 53, che contiene i due principi fondamentali dell’universalità dell’imposta e della progressività del sistema tributario.

La riserva di legge. In base all’art. 23 della Costituzione, nessuna presta-zione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Tale riserva di legge deve essere intesa come relativa e non assoluta: da ciò deriva che la legge può non regolare integralmente il rapporto tributario ma deve demandare ad un regolamento od altra fonte subordinata la disciplina specifica degli elementi fissati in generale dalla legge.

Generalità ed uguaglianza del tributo

Tale principio implica che tutti coloro che risiedono nello Stato, e quindi beneficiano dei suoi servizi, sono tenuti al pagamento delle imposte (art. 53 Cost.).

La disposizione si riferisce anche agli apolidi ed agli stranieri che risiedano in Italia e che quivi siano proprietari di beni o svolgano attività lavorative, mentre ne restano esclusi i cittadini italiani residenti all’estero e non aventi alcun reddito in Italia.

Il legislatore può tuttavia derogare al principio dell’universalità dell’imposta esentando quei cittadini che si trovino in determinate condizioni. Queste dero-ghe possono avere natura temporanea o permanente, in relazione a particolari ragioni di giustizia sociale o di politica economica. Di particolare rilevanza sono le deroghe permanenti, deroghe accordate ai contribuenti titolari di red-diti minimi. In questo caso, infatti, rispetto al principio suddetto, prevalgono motivazioni di giustizia sociale, in quanto il reddito di tali contribuenti è già di per sé tanto basso da non tollerare il prelevamento dell’imposta.

Il principio di capacità contributiva

L’art. 53 della Costituzione stabilisce che «tutti sono tenuti alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva».

L’obbligo contributivo è correlato alla capacità economica del soggetto che si manifesta solo attraverso fatti suscettibili di valutazione economica. Il legisla-tore può considerare espressivi di capacità contributiva solo fatti economici quali il reddito, il patrimonio o gli incrementi di valore del patrimonio (indici diretti di capacità contributiva) ovvero il consumo, i trasferimenti e gli affari (indici indiretti). Ciò significa che lo Stato non può imporre tributi

Apolide: individuo che, per una qualsiasi causa, ha perso la propria cittadinanza originaria e non ha i requisiti per acqui-sire quella di un altro Stato.

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ad esempio a soggetti di sesso maschile e non femminile o viceversa, oppure agli extracomunitari e non agli europei.

La capacità contributiva riferibile al soggetto deve inoltre essere effettiva ed attuale. Ciò significa che la ricchezza (capacità economica) deve concretamente esistere e non può essere inferiore al minimo necessario per la sopravvivenza dell’individuo. E deve essere attuale, ossia non deve essere relativa ad un periodo passato o futuro.

Progressività del sistema tributario

Tale principio comporta che sul reddito totale di ogni individuo l’aliquota fiscale sia crescente, nel senso che il totale delle imposte pagate da ciascuno deve aumentare più che proporzionalmente rispetto al reddito dell’individuo.

La progressività trova fondamento nelle esigenze: di limitare il divario economico tra le classi sociali; di perseguire il massimo utile con il minimo sacrificio di ciascuno; di operare una redistribuzione dei redditi a favore delle categorie meno abbienti.

La progressività dell’imposta (per la cui analisi si rimanda al capitolo 4) può essere attuata tecnicamente con diverse modalità:

— si ha progressività per detrazione quando si colpisce con un’aliquota costante la base imponibile, dopo aver detratto da questa un ammontare fisso;

— si ha progressività per classi quando ad ogni classe di imponibile corrisponde un’aliquota costante, che cresce passando da una classe più bassa ad una più alta;

— si ha progressività per scaglioni quando per ogni classe di imponibile è prevista un’aliquota che si applica soltanto allo scaglione (di imponibile) compreso in quella classe.

Altri principi costituzionali

Altri principi in materia tributaria sono conte-nuti negli artt. 75 e 119 della Costituzione.

L’art. 75 afferma che non è ammesso il referen-dum abrogativo per le leggi tributarie: ciò perché il nostro ordinamento non può correre il rischio di vedere abrogate tutte le imposte.

L’art. 119 demanda agli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni) una autono-mia finanziaria, ultimamente estesa — per effetto delle modifiche apportate all’articolo citato —, dalla legge costituzionale n. 3 del 18-10-2001.

Referendum abrogativo: l’art. 75 della Costituzione afferma che, quando lo richiedono 500.000 elettori o cinque Con-sigli regionali, una legge può essere sottoposta a referen-dum: la legge è abrogata se la maggioranza dei cittadini si esprime in tal senso. Non è però possibile sottoporre a referendum le leggi:— tributarie e di bilancio;— di amnistia e di indulto;— di autorizzazione alla ratifi-

ca di trattati internazionali.

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2) Altre fonti del diritto tributario

1. Leggi ordinarie

2. Decreti legge

3. Decreti legislativi

4. Regolamenti

5. Trattati internazionali

Oltre a quelle costituzionali, le altre fonti del diritto tributario sono: le leggi ordinarie, le leggi regionali, i decreti legislativi, i decreti legge, i regolamenti (decreti ministeriali, decreti dirigenziali e provvedimenti) e i trattati internazionali.

Anche le Regioni godono di potestà impositiva.Queste, infatti, godono di competenza normati-

va tributaria, limitata ai tributi cosiddetti propri, in virtù dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 in base al quale le Regioni «stabiliscono ed applicano tributi ed entrate proprie, in armonia con la legisla-zione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica del sistema tributario».

Non lo sono, invece, gli usi e le consuetudini.Le circolari, atti amministrativi e quindi con

efficacia esclusivamente interna, sono molto im-portanti nel settore tributario in quanto contengo-no l’interpretazione ministeriale o le modalità di applicazione di una legge. Tale interpretazione è vincolante per gli uffici e gli organi dell’Amministra-zione, ma non ha valore cogente né per i terzi né tantomeno per i giudici amministrativi od ordinari.

Lo Statuto del contribuente. Nel tentativo di mutare radicalmente il quadro dei rapporti tra cittadino e fisco, imputandoli a principi di collaborazione e buona fede, è stato approvato, con L. 27-7-2000, n. 212, lo Statuto dei diritti del contribuente.

Obiettivi primari di tale normativa sono:

— da un lato, stabilire regole precise che vincolino il legislatore fiscale, ri-ducendo il caotico e disordinato flusso di disposizioni tributarie per dare maggiore stabilità e chiarezza alle norme tributarie;

Decreto legislativo: atto con ef-ficacia di legge formale emana-to dal Governo in base ad una delega legislativa (e nei limiti di questa) del Parlamento.La delega del Parlamento è conferita con legge formale ordinaria.Destinatario della delegazione legislativa può essere soltanto il Governo: più precisamente è l’organo collegiale o Consiglio dei Ministri. La delega legisla-tiva è normalmente conferita dal Parlamento nei casi di particolare complessità della materia sulla quale legiferare.La delega deve essere, inoltre, esercitata in un termine prefis-sato e nel rispetto di principi e criteri direttivi indicati nella legge. Accanto a tali limiti, fissati dalla Costituzione, la legge di delega può introdurne altri, ad esempio imponendo al Governo di ascoltare il parere di commissioni parlamentari.

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— dall’altro, tutelare il contribuente contro disposizioni inique, vessatorie e predisposte unicamente a vantaggio dello Stato-persona, senza tener conto dei diritti dello Stato-comunità che riflettono più da vicino i diritti dei cittadini soprattutto in relazione alla chiarezza dei testi normativi (art. 2), all’irretroattività delle norme fiscali (art. 3), al divieto di istituire nuovi tributi.

In base all’articolo 10 i rapporti tra contribuente e fisco si devono basare su due principi fondamentali: la buona fede e il legittimo affidamento.

La buona fede riguarda numerose norme di comportamento cui è tenuta l’Amministrazione improntate a principi di correttezza quali ad esempio:

— correggere errori macroscopici in cui è incorso il contribuente;— ritirare atti ritenuti illegittimi.

Per cui l’Amministrazione è tenuta a:

— informare correttamente i contribuenti di ogni atto o fatto da cui possa derivare il mancato riconoscimento di un credito;

— fornire i modelli di dichiarazione e le relative istruzioni;— motivare i propri atti;— garantire al contribuente l’effettiva conoscenza degli atti a lui destinati.

Con la Statuto si è inteso tutelare, inoltre, il contribuente che, comportandosi in buona fede, faccia affidamento sulle indicazioni fornite dall’amministrazione tramite ad es. le circolari.

Ciò significa, pertanto, che se il contribuente si è comportato in un certo modo affidandosi ad una data interpretazione ministeriale e in seguito questa è mutata «in peggio», il nuovo orientamento non può valere per il passato.

Importante anche la disciplina dei diritti e delle garanzie del contribuente che viene sottoposto a verifiche fiscali: il principio generale è che ogni attività di verifica (accessi, ispezioni) va effettuata sulla base delle effettive esigenze di indagine e in modo da non recare danno o turbativa all’attività del contribuente sottoposto a verifica (art. 12).

Viene istituita la figura del Garante del con-tribuente, organo collegiale con sede presso ogni Direzione regionale dell’Agenzia delle entrate ma dotato di assoluta autonomia di azione, a cui vanno segnalate le disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi anomale o irragionevoli nel funzionamento dell’amministrazione finanziaria che possono minare il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria (art. 13). Per lo svolgimento della sua attività il Garante può richiedere documenti e chiarimenti agli uffici. Non ha però poteri autoritativi.

Verifiche fiscali: particolari controlli effettuati dall’ammini-strazione finanziaria per rileva-re e reprimere le infrazioni alle norme tributarie. In materia di IVA e di imposte dirette sono dettate disposizioni del tutto similari.

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3) L’elusione e l’interpello

Per l’applicazione della legge e dei regolamenti amministrativi gli operatori del diritto (giudici, professionisti, dipendenti e funzionari dell’amministrazione finanziaria ecc.) devono ricorre all’interpretazione (comprensione) delle norme in essi contemplate. Per raggiungere questo scopo in alcuni casi il legislatore emana altre leggi interpretative (interpretazione autentica); altre volte si chiede l’intervento dei giudici (interpretazione giurisprudenziale), altre ancora degli studiosi della materia (interpretazione dottrinale).

In taluni casi, quando si teme che una determinata operazione economi-ca possa essere considerata elusiva — ossia posta in essere al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale realizzabile, aggirando la norma di legge senza violarla — è possibile ricorrere alla procedura dell’interpello.

Tale istituto consente di interpellare l’Amministrazione finanziaria e di ottenere preventivamente un parere sugli effetti che potrebbero derivare dall’operazione che si intende realizzare.

Questo tipo di interpello viene definito speciale: esso è infatti applicabile solo a fattispecie espressamente previste dal legislatore. Con l’approvazione dello Statuto dei diritti del Contribuente è stato ampliato l’ambito di applica-zione dell’istituto: accanto all’interpello speciale, il legislatore ha introdotto il c.d. interpello ordinario, attivabile dal contribuente al fine di ottenere un parere vincolante dall’Amministrazione Finanziaria su qualunque argomento concreto che presenti obiettive incertezze applicative.

A questo fine il contribuente presenta un’istanza nella quale prospetta una possibile valutazione dell’operazione che, qualora l’Amministrazione Finan-ziaria non risponde nel termine di 120 giorni, si deve intendere come accolta.

In materia antielusiva si ricorda, inoltre, l’art. 37bis del D.P.R. 600/73 in base al quale «sono inopponibili all’amministrazione finanziaria tutti quegli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere soluzioni di imposte o rim-borsi altrimenti indebiti».

Con la delega fiscale L. 23/2014 è stata prevista un’apposita regolamenta-zione dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale.

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4) Efficacia della norma tributaria nel tempo e nello spazio

Efficacia nel tempo. Per quanto riguarda il termine iniziale dell’entrata in vigore delle norme tributarie non esistono difformità dai principi del diritto in generale.

Per le norme sanzionatorie è venuto meno il principio di ultrattività previsto dalla L. 4/29. Sia per le sanzioni amministrative che penali, vale il pricipio di legalità in base al quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in base ad una legge in vigore prima della commissione della violazione e per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Tale principio è tuttavia mitigato da quello del favor rei in base al quale si applica la legge più favorevole al contribuente nell’ipotesi in cui la violazione nel corso del tempo sia stata punita con sanzioni di diversa entità, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo.

Per quanto attiene alla cessazione d’efficacia delle leggi tributarie la mate-ria trova disciplina nell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale. Sono perciò possibili sia l’abrogazione espressa che quella tacita.

Efficacia nello spazio. La legge tributaria ha carattere strettamente terri-toriale. Essa, cioè, esplica i suoi effetti solo nel territorio dello Stato, ma il legislatore può configurare, come presupposto di un’imposta da applicare in Italia, un fatto che è avvenuto all’estero.

Ciò crea un problema nei rapporti fra gli Stati ri-spetto all’imposizione fiscale poiché, non esistendo il principio del ne bis in idem in campo internaziona-le, si creano conflitti di norme ed il medesimo fatto può venir colpito da diverse leggi fiscali emanate in Paesi differenti.

Di solito la questione viene risolta con convenzioni bilaterali o plurilaterali.

Principio di ultrattività: l’ar-ticolo 20 della Legge n. 4 del 7-1-1929, stabiliva che «le disposizioni penali delle leggi finanziarie e quelle che preve-dono ogni altra violazione di dette leggi si applicano ai fatti commessi quando tali disposi-zioni erano in vigore ancorché le disposizioni medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione».

Ne bis in idem (Non due volte sullo stesso argomento): prin-cipio giuridico che impedisce che si giudichi contempora-neamente la stessa vicenda in più processi.