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PASTORI NELLE ALPI STORIA E TESTIMONIANZE CM 86732J ALPINET GHEEP è un progetto interregionale di sostegno e promozione dell’allevamento ovino e caprino nell’arco alpino ed è stato sviluppato da associazioni di allevatori, esperti di istituti di ricerca e funzionari delle amministrazioni regionali. La presenza di problemi comuni e l’esigenza di informazioni aggiornate e tempestive riguardanti le tecniche di allevamento, i problemi sanitari, la reperibilità di animali da riproduzione, la collocazione e la caratterizzazione dei prodotti, hanno favorito e stimolato l’incontro di varie idee e proposte che sono state infine tradotte in un progetto organico. Il progetto si propone la promozione e il rafforzamento del settore ovi-caprino nell’area alpina, al fine di mantenere un suo ruolo attivo nello sviluppo sostenibile delle comunità montane. Il patrimonio zootecnico di un territorio rappresenta un indice di vitalità e di conservazione del territorio stesso e costituisce un elemento di bellezza ed equilibrio del paesaggio, una delle principali risorse per il turismo; per questo ALPINET GHEEP mira a sviluppare strategie transnazionali integrate e strumenti per la promozione del settore attraverso varie attività. www.alpinetgheep.org Edizione fuori commercio PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Sono le prime ore della notte. Il pastore guarda le greggie pascolanti. Gialle e nere alla luna, le pecore assonnate vanno melanconicamente per la pianura cercando l’erba fredda sotto i cespugli, lungo le muricce coperte di musco; e i loro campanacci dondolano e suonano una strana musica, monotona come una cantilena, che va e viene e squilla e trema argentina col lento sbandarsi della greggia, animando e nello stesso tempo rendendo più intenso il silenzio della pianura. Il pastore guarda; e sogni selvaggi passano nei suoi occhi. Grazia Deledda, Il sogno del pastore PASTORI NELLE ALPI STORIA E TESTIMONIANZE

PASTORI NELLE ALPI - alpine-space.org · Agricoltura e Alimentazione della Provincia Autonoma di Trento INTRODUZIONE Il progetto Alpinet Gheep rappresenta un impegno concreto, frutto

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PASTORI NELLE ALPISTORIA E TESTIMONIANZE

CM 86732J

ALPINET GHEEP è un progetto interregionale di sostegno e promozione dell’allevamento ovino e caprino nell’arco alpino ed è stato sviluppato daassociazioni di allevatori, esperti di istituti di ricerca e funzionari delle amministrazioni regionali.La presenza di problemi comuni e l’esigenza di informazioni aggiornate e tempestive riguardanti le tecniche di allevamento, i problemi sanitari,la reperibilità di animali da riproduzione, lacollocazione e la caratterizzazione dei prodotti, hannofavorito e stimolato l’incontro di varie idee e proposteche sono state infine tradotte in un progetto organico.Il progetto si propone la promozione e il rafforzamentodel settore ovi-caprino nell’area alpina, al fine di mantenere un suo ruolo attivo nello svilupposostenibile delle comunità montane.Il patrimonio zootecnico di un territorio rappresenta unindice di vitalità e di conservazione del territorio stessoe costituisce un elemento di bellezza ed equilibrio delpaesaggio, una delle principali risorse per il turismo;per questo ALPINET GHEEP mira a sviluppare strategietransnazionali integrate e strumenti per la promozionedel settore attraverso varie attività.

www.alpinetgheep.org Edizione fuori commercio

PROVINCIA AUTONOMADI TRENTO

Sono le prime ore della notte. Il pastore guarda legreggie pascolanti. Gialle e nere alla luna, le pecoreassonnate vanno melanconicamente per la pianuracercando l’erba fredda sotto i cespugli, lungo le muriccecoperte di musco; e i loro campanacci dondolano esuonano una strana musica, monotona come unacantilena, che va e viene e squilla e trema argentina collento sbandarsi della greggia, animando e nello stessotempo rendendo più intenso il silenzio della pianura.Il pastore guarda; e sogni selvaggi passano nei suoi occhi.Grazia Deledda, Il sogno del pastore

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PASTORI NELLE ALPISTORIA E TESTIMONIANZE

PROVINCIA AUTONOMADI TRENTO

QUI PRESENTAZIONE DELL’ASSESSORE

Di questo reportage fotografico conservo la sensazione viva del non tempo e del non spazio: uomini ed animali chemigrano dalle Alpi alla pianura, lungo antichi pascoli nomadi. La forza del gregge, simbolo della resistenza di unmondo ormai quasi scomparso, di una realtà ancora vitale e certamente un diverso punto di vista. “La cura di tuttele cure è quella di cambiare punto di vista, di cambiare se stessi e con questa rivoluzione interiore dare il propriocontributo alla speranza in un mondo migliore (Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra).”L’autore delle immagini, Christian Cristoforetti

Tiziano MellariniAssessore all’Agricoltura, al Commercio e Turismo della Provincia Autonoma di Trento

La pastorizia tra passato e futuroSempre più ci si interroga sul futuro dell’agricoltura e dell’allevamento nell’ambiente montano e su quali sianole possibili soluzioni per consentire il proseguimento di queste importanti attività primarie in un ambitocaratterizzato da svantaggi naturali permanenti. Nonostante le produzioni tipiche dell’agricoltura di montagnasiano generalmente apprezzate e venga da più parti riconosciuta l’esistenza di un valore estrinsecopaesaggistico-culturale e ambientale nelle attività agricole e zootecniche, si riscontrano crescenti difficoltà nel garantire stabilità e continuità a tali attività, depositarie di antiche tradizioni e conoscenze.I programmi comunitari di cooperazione interregionale e transnazionale e i progetti come Alpinet Gheeppossono sicuramente contribuire all’elaborazione di strategie innovative per il settore, anche in sinergia con altri comparti produttivi come il turismo e l’artigianato, fornendo informazioni, esperienze, testimonianze e creando reti di collaborazione permanenti. Ritengo quindi prezioso il loro contributo, e a tal proposito la Provincia di Trento ha favorito e stimolato la partecipazione delle proprie strutture a simili iniziativeassumendosi anche, come in questo caso, il compito di capofila nell’iniziativa.Questa pubblicazione è frutto dell’attività del progetto Alpinet Gheep e riguarda un settore spesso dimenticatoe considerato, a torto, ai margini dell’economia e della società: i protagonisti sono i pastori, le loro pecore, la loro storia, passata e presente. Essa contiene importanti testimonianze della pastorizia trentina del passato,raccontate da studiosi della storia locale, e del presente, raccontate dai protagonisti di oggi. Gli storici ci conducono attraverso le varie epoche, dalla Preistoria, all’età romana, al Medioevo fino al periodo piùrecente, riportando notizie, testimonianze, eventi e consuetudini legati a questa importante attività che dasempre accompagna e favorisce lo sviluppo della società. Le affascinanti immagini ci portano entro un mondoche oggi sopravvive, fra mille difficoltà e incertezze, per la ferma volontà e passione di alcuni tenaci allevatori. Il libro consegna quindi al lettore alcune importanti e preziose testimonianze sul vero significato di questaattività, su come vivono i suoi protagonisti, sui problemi che devono affrontare e le prospettive future.A loro va un particolare ringraziamento e la nostra riconoscenza per avere consentito le interviste e la ripresa delle immagini, e per darci oggi l’opportunità di apprezzare un mondo poco conosciuto al nostro vivere quotidiano.

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greggi che ogni tanto capita di incontrare ai margini dellestrade in costante ricerca di aree su cui pascolare. Infatti,tale allevamento è realizzato soprattutto mediante lapratica della transumanza di lungo periodo verso le areedel Veneto, del Friuli e del Bresciano, dove gli animalisvernano utilizzando i pascoli presenti lungo i corsid’acqua. La transumanza sta però incontrando sempre piùdifficoltà per cause di ordine sanitario, urbanistico e anchecolturale. L’orientamento produttivo principale è quellodella produzione di carne mediante la macellazione degliagnelloni a un peso di circa 40/50 kg. Ultimamente questotipo di carne sta trovando un ottimo mercato nellecomunità di immigrati da paesi extracomunitari. Altroprodotto fornito dalle pecore è la lana, che è diventata neglianni purtroppo un grosso problema in quanto di difficilecollocazione. Le razze ovine allevate sono generalmenteappartenenti alla tipologia Alpino gigante (Bergamasca-Biellese-Tiroler bergschaf).Caratteristiche completamente diverse presenta invecel’allevamento caprino. La capra era considerata la “vaccadei poveri” e forniva latte, formaggi e carne. In quasi tuttii paesi il pascolo era la principale fonte alimentare dellecapre e il pastore (caorar, caorer…) ogni mattina radunavagli animali richiamandoli mediante il suono del corno. Lecapre uscivano dalle stalle, dopo essere state munte, e siunivano in gregge per proseguire nei territori destinati alpascolo, per poi farvi ritorno la sera. Più avanti nel tempo,la produzione di latte caprino è stata soppiantata da quelladi latte bovino, mentre è andata ad affermarsi unatipologia di allevamento per la produzione di carne, inparticolar modo del capretto leggero, destinato alle tavoledurante le festività pasquali. Ultimamente, nella nostraprovincia si sta assistendo a una nuova riscopertadell’allevamento caprino per la produzione di latte conrazze specializzate (Camosciata delle Alpi e Saanen). Sonocirca una decina gli allevamenti sorti in questi ultimi annie a condurli sono generalmente giovani imprenditori conuna grande passione e professionalità. Tre sono i caseificitrentini che da qualche anno ritirano e valorizzano il lattecaprino, trasformandolo in formaggi di vari tipi.Recentemente si è provveduto a produrre anche lattealimentare fresco (particolarmente ricercato in specialmodo per le sue caratteristiche dietetiche). La consistenzadel patrimonio caprino nella nostra provincia è in leggeroma costante aumento negli ultimi anni e conta circa6000 capi.Sono sicuro che questo libro susciterà l’interesse del lettoreper il mondo ovi-caprino e per i suoi prodotti, fornendo rareinformazioni e testimonianze, raggiungendo così lo scopoche l’iniziativa si prefigge.

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Mauro Fezzi

Dirigente generale del DipartimentoAgricoltura e Alimentazione dellaProvincia Autonoma di Trento

INTRODUZIONE

Il progetto Alpinet Gheep rappresenta un impegno concreto,frutto del costante lavoro di anni di relazioni e di scambi, perl’attuazione di un programma di attività nell’obiettivocomune di migliorare sempre più il settore ovi-caprino efarne conoscere le potenzialità all’intera società.La Provincia Autonoma di Trento è consapevole del valoreaggiunto che tali iniziative comunitarie apportano, non soloin termini finanziari ma anche e soprattutto in termini diconoscenza e capacità organizzativa. La definizione distrategie e programmi di sviluppo, la costituzione di alleanzee aggregazioni rivestono grande importanza per le areemontane come le nostre, caratterizzate da condizioniproduttive difficili, per mantenere vivo e competitivo ilnostro sistema agricolo, elemento fondamentale dellaqualità complessiva del territorio.La possibilità di mettere a confronto varie realtà, anchediverse, ha consentito di attuare nel progetto azionispecifiche di elevata qualità volte alla valorizzazione delsettore ovi-caprino. I partner del progetto, secondo leproprie conoscenze e specificità, hanno saputo affrontarecon competenza la caratterizzazione e la promozione deiprodotti ovi-caprini, carne, lana, latte e formaggi, hannoindividuato e studiato il patrimonio genetico esistentenell’arco alpino e valutato l’impatto dell’allevamento sulterritorio definendo le buone pratiche gestionali.L’attività ovi-caprina può contribuire adeguatamente a

mantenere il territorio montano e a conservarlo dafenomeni preoccupanti come l’abbandono e la sottrazionedi aree agricole a causa dell’avanzare del bosco,rinsaldando maggiormente il rapporto fra l’uomo e ilterritorio in cui esso vive. Tale aspetto riveste particolareimportanza in quanto è sempre più avvertita la necessitàdi coniugare gli interessi specifici produttivi con l’ambientee il territorio offrendo all’ospite delle nostre regioni unricco patrimonio culturale, paesaggistico e ricreativo.Il progetto promuove quindi il settore ovi-caprino, le sueproduzioni e le attività connesse attraverso lo sviluppo distrategie coordinate fra agricoltura, artigianato e turismocon l’obiettivo comune di promuovere e far comprenderealla società intera la sua importanza per la salvaguardiadell’ambiente, delle tradizioni locali e del reddito degliabitanti delle zone rurali e montane.Questo libro propone immagini e testimonianze, storiche eattuali, della pastorizia ovi-caprina trentina caratterizzata,sia a livello storico che evolutivo, da elementi simili ad altreregioni del versante meridionale delle Alpi. Pecore e capreerano un tempo parte integrante dell’economia familiaredegli abitanti delle valli trentine e il loro allevamento hatradizionalmente utilizzato le zone di pascolo più impervie emeno adatte ai bovini.L’allevamento ovino in Provincia di Trento conta circa25.000 capi, distribuiti principalmente in una quindicina di

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Federico Bigaran, Massimo Pirola

PRESENTAZIONE DEL PROGETTOALPINET GHEEPIl progetto denominato “Alpinet Gheep, rete alpina per lapromozione del settore ovi-caprino per uno sviluppo sostenibiledel territorio” è stato sviluppato nell’ambito del Programma diIniziativa Comunitaria INTERREG IIIB – SPAZIO ALPINO.Una rete composta da associazioni di allevatori, istituti diricerca e amministrazioni locali, provenienti da Italia,Austria, Baviera, Slovenia e coordinati dalla ProvinciaAutonoma di Trento, Lead Partner del progetto, ha propostola realizzazione di una serie di iniziative integrate volte asalvaguardare e promuovere l’allevamento ovi-caprino qualeattività fondamentale per lo sviluppo sostenibile delterritorio montano. La definizione del progetto è avvenuta aseguito di numerosi incontri preparatori nel corso dei qualile associazioni degli allevatori ovi-caprini hanno svolto findall’inizio un ruolo propositivo e dinamico individuandoattività, iniziative ed eventi.La quantità del patrimonio zootecnico presente in unterritorio rappresenta un indice di vitalità e diconservazione dell’ambiente, costituendo inoltre unelemento di attrattività ed equilibrio del paesaggio. Lapastorizia, consentendo l’utilizzo di aree marginali nonsfruttate per altri allevamenti o per coltivazioni,contribuisce alla valorizzazione del tradizionale paesaggiomontano e alla salvaguardia dell’equilibrio ambientale.Nel corso degli ultimi decenni purtroppo l’allevamentozootecnico nell’area alpina ha registrato nel complesso unaforte diminuzione sia come numero di capi allevati sia comenumero di aziende, in seguito all’orientamento degli operatoriverso attività più remunerative, in genere extra-agricole.Il progetto mira quindi a individuare, tramite lo scambio diesperienze e la realizzazione di studi specifici ed eventi, glielementi conoscitivi e innovativi per promuovere losviluppo del settore ovi-caprino e stabilire una retepermanente tra i partner.Le iniziative proposte intendono migliorare, aggiornare ediffondere le conoscenze esistenti, stimolare unrafforzamento economico del settore ovicaprino, favorire ilsuo coinvolgimento nel tessuto sociale delle comunitàmontane. Il progetto si propone inoltre di elaborarestrategie e buone pratiche per superare gli elementi didebolezza del settore, favorire interazioni positive con ilturismo, l’artigianato e le politiche territoriali, e consentire

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Franco Marzatico

Direttore del Castello del Buonconsiglio, monumenti e collezioni provinciali, Trento

PASTORIZIA E TRANSUMANZA NEL TRENTINO IN EPOCA PREROMANAIl lungo processo di domesticazione di piante e animali, chepermise all’Homo Sapiens Sapiens di produrre direttamenterisorse alimentari, rappresenta una delle tappefondamentali nella storia dell’umanità. L’uomo siemancipa dagli esiti incerti di un’economia predatoriabasata su caccia e raccolta, e comincia a sfruttare in modopianificato i frutti della terra e gli animali domestici, nonsolo per la carne, ma anche per il latte e i suoi derivati, perlavori di fatica o per realizzare prodotti artigianali.È lo sviluppo di una nuova epoca, la cosiddetta Rivoluzioneneolitica, che vede l’avvio di un processo di trasformazionenella vita dell’uomo. L’introduzione dell’agricoltura edell’allevamento infatti, oltre a implicare profondicambiamenti economici e nelle strategie di sussistenza,favorisce la sedentarietà e porta alla scoperta e alladiffusione della ceramica, fondamentale per la fabbricazionedi contenitori atti alla conservazione dei prodotti agricoli ederivati dall’allevamento, che precedentemente eranocostruiti in materiali deperibili come pelle e legno.È comunque importante sottolineare come tali mutamenti,che investono anche la sfera sociale, culturale e ideologica,

non si verifichino immediatamente e simultaneamente. Seinfatti l’attività agricola è documentata nel Vicino Oriente giànel IX-VIII millennio a.C., in quella zona chiamata Mezzalunafertile, le prime testimonianze in Europa sono datate dal VIImillennio a.C. e solo nei due millenni successivi le tecnicheagricole conoscono una diffusa affermazione.Le testimonianze archeologiche e i possibili raffrontietnografici ci restituiscono un complesso quadro storico incui sono nate e si sono sviluppate tante tipologie diagricoltura e pastorizia. Naturalmente la scelta dellecolture e del bestiame da allevare, così come le modalitàcon cui si coltiva o si curano gli animali, sono condizionateda diversi fattori che cambiano nel tempo e da luogo aluogo, e tengono conto delle caratteristiche dell’ambiente edell’affermarsi di tradizioni locali.Per quanto riguarda la pastorizia, è possibile ipotizzare comein epoca preromana il bestiame diventi sempre più un“bene”, divenendo cioè fonte oltre che di sussistenza anchedi ricchezza. Tale importanza è evidenziata successivamente,in ambiente romano, dal collegamento semantico esistentefra i termini latini pecus (pecora) e pecunia (denaro).

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la sostenibilità nel tempo delle iniziative di rete.Il progetto si è concretizzato nelle seguenti attività principali:- raccolta e condivisione dei dati riguardanti le razze tipichedell’area alpina per la salvaguardia del patrimoniogenetico esistente. In particolare è stato pubblicato unatlante delle razze ovine dell’arco alpino, sono stati raccolti,elaborati e commentati i dati riguardanti il censimento e laregistrazione dei capi e degli allevamenti ed è statarealizzata una indagine genetica su alcune razze ovine perindividuare la distanza genetica fra razze e popolazioni;- realizzazione di analisi sensoriali, organolettiche emerceologiche per la caratterizzazione dei prodotti ovi-caprini tipici, come carne, latte e formaggio; individuazionee promozione di alcuni prodotti innovativi, in particolarenel settore delle carni ovine, quali ad esempio il “cosciottod’agnello precotto”, il “prosciutto di pecora” e i wurstel abase di carne di pecora;- elaborazione di modelli gestionali, quantitativi equalitativi, per la migliore gestione dei pascoli e deglialpeggi da parte dei Comuni, delle Comunità montane edegli Usi Civici, prevedendo anche la restituzione su basecartografica delle aree adatte al pascolo secondo le varieclassificazioni;- realizzazione di indagini, studi e azioni promozionali perlo sviluppo di nuovi strumenti commerciali a supportodelle produzioni ovi-caprine e per il miglioramento dellerelazioni con il turismo e le attività artigianali, fornendo unpanorama completo delle produzioni ovi-caprine e dellericette su base regionale, elaborando uno specifico atlantedei prodotti tradizionali ovi-caprini consultabile tramiteuno specifico sito web;- realizzazione di attività promozionali, in collaborazionecon il settore dell’artigianato, per l’utilizzo della lana localenel settore dell’abbigliamento;- realizzazione di numerosi seminari, incontri, azioniinformative, rassegne di razze ovi-caprine, partecipazione afiere e convegni al fine di promuovere il settore e divulgarele attività e i risultati del progetto;

Il punto di forza del progetto sta nella capacità della rete diallevatori, governi locali e istituti di ricerca di scambiare econdividere esperienze e informazioni collaborando per ilraggiungimento di obiettivi comuni:- le associazioni degli allevatori: provvedono alla messa adisposizione di dati e informazioni riguardanti ilpatrimonio genetico esistente nell’arco alpino, concorronoalla elaborazione di strategie comuni di promozione e

vendita dei prodotti ovi-caprini, promuovonol’aggiornamento professionale dei propri associati,individuano le esigenze territoriali e programmatorie;- gli istituti di ricerca: valutano e caratterizzano ilpatrimonio genetico delle razze autoctone definendo lestrategie per la sua conservazione e miglioramento,elaborano studi sulle caratterizzazioni dei prodotti,analizzano sotto il profilo socio-economico il settore,valutandone l’impatto sulle aree dedicate alla pastorizia;- le amministrazioni locali: valutano gli impatti socio-economici delle azioni proposte, la trasferibilità delleiniziative, elaborano gli indirizzi programmatori per lapianificazione territoriale che tengano conto delle esigenzedel settore, individuano le azioni di informazione epromozione sociale a supporto al settore.

I partner del progetto sono i seguenti:ItaliaPROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO (PAT)ASSOCIAZIONE ALLEVATORI OVICAPRINI TRENTINI (APOC)ISTITUTO AGRARIO S. MICHELE ALL'ADIGE (IASMA)VERBAND DER SÜDTIROLER KLEINTIERZÜCHTER (VSK)AGENZIA REGIONALE PER LO SVILUPPO RURALE (ERSAFriuli Venezia Giulia)DIPARTIMENTO DI SCIENZE ANIMALI – UNIVERSITÀ DEGLISTUDI DI UDINE (UNIUD) ASSOCIAZIONE PROVINCIALE ALLEVATORI DI BESTIAME DIBERGAMO (APABG)ASSOCIAZIONE PROVINCIALE ALLEVATORI DI BELLUNO(APABL)GermaniaBAYERISCHE LANDESANSTALT FÜR LANDWIRTSCHAFT (LFL)BAYERISCHE HERDBUCHGESELLSCHAFT FÜR SCHAFZUCHT(BHG)WERDENFELSER LAND SCHAFWOLLPRODUKTE GbR (WLW)GESELLSCHAFT ZUR ERHALTUNG ALTER UNDGEFÀHRDETER HAUSTIERRASSEN IN DEUTSCHLAND (GEH)AustriaHÖHERE BUNDESLEHR- UND FORSCHUNGSANSTALTRAUMBERG-GUMPENSTEIN (HBLFA Raumberg-Gumpenstein) ÖSTERREICHISHER BUNDESVERBAND FÜR SCHAFE UNDZIEGEN (OEBSZ)SloveniaUNIVERSITY OF LJUBLJANA, BIOTECHNICAL FACULTY (UNIBFLJ)SHEEP AND GOATS BREEDERS ASSOCIATION OF SLOVENIA(ZDRDS)

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TRA PIANURA E MONTAGNA: GLI ARMENTI, I PASTORI, LA STORIA

L’unità e la commistione di terre coltivate e di incolti sonoun aspetto fondamentale del successo dell’economia ruraleantica, alla cui gestione hanno contribuito inedite figure dicontadini-allevatori formatisi nella piccola e mediaproprietà rurale romana. Entità capillari in pianura comelungo i fondovalle, in tutti i casi dove la morfologiaambientale lo ha permesso, controllate dalle élites urbaneparticolarmente interessate alla rendita fondiaria, come losono state anche per l’erbatico, essenziale per mantenerealto e redditizio il numero degli armenti posseduto, ovini esuini in particolare.Un fabbisogno per il quale l’incolto e il bosco sono stati erestano essenziali, costitutivi di un sistema che li unisceai campi, alle vigne, ai prati. Dalla semina alla stagione delraccolto sono queste, infatti, le zone in grado di fornire ilcibo necessario agli armenti, ma non solo. Esse assicuranoanche altre ampie risorse, altrettanto ricercate: legno,minerali, materie prime, selvaggina, pesci, prodottispontanei, vegetali e altro ancora.Se agli incolti, alle aree boschive e ai pascoli di montagna

guarda quindi chi vive e opera sulle terre di pianura e nellecittà, altrettanto verso queste ultime guardano le comunitàche vivono sulle montagne. Genti che la scarsa possibilità diproduzione porta ad aver bisogno delle aree contermini inposizione più favorita, instaurando e mantenendo con esserelazioni costanti al cui rafforzamento certamente hacontribuito anche la pratica dell’alpeggio.Alpeggio inteso non come elementare accesso stagionalein montibus da parte degli stessi alpigiani, ma come praticainterdipendente tra aree geografiche diverse attraverso latransumanza, ascendente e discendente. Una pratica di fattonaturalmente favorita da condizioni di stretta contiguità diaree geografiche pedologicamente diverse e da direttrici dicollegamento interne prive di soluzioni di continuitàincardinate su assi fluviali verticali, canale per spostamentidi varia natura: umani, armentari, commerciali.Plurime fonti indicano come, almeno fino al pieno Medioevo,a essere coinvolti nell’alpeggio siano gli ovini, mentre mancadi documenti probanti quello dei bovini, che mal sopportanogli spostamenti oltre ad avere necessità di pascoli più

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Prime testimonianze di pastorizia in TrentinoLe prime testimonianze archeologiche in Trentino dianimali domestici sono databili tra la seconda metà del VIe gli inizi del V millennio a.C., al Neolitico antico. Negliabitati di La Vela, Riparo Gaban e Romagnano pressoTrento sono stati portati alla luce resti ossei dicapra/pecora, bovino e probabilmente di maiale, mentre aRiparo Gaban la presenza di bovini e caprovini èipotizzabile in base al ritrovamento di escrementi fossili(coproliti) riconducibili a questi animali.A partire dalla seconda metà del IV millennio a.C., nell’areaalpina centro-orientale si rileva alle alte quote una diffusapresenza di cuspidi di freccia in selce, che se da un latotestimonia il perpetuarsi di interessi venatori (per quantola caccia rivesta un ruolo subordinato dal punto vistadell’economia di sussistenza), dall’altro lato puòricollegarsi, in base alla lettura di analisi polliniche, a unapresenza umana più intensa con fenomeni di transumanzaverticale (forme cioè di monticazione estiva o di alpeggio).A pratiche pastorali si riconduce la frequentazione fra ilNeolitico tardo e l’Età del Rame (III millennio a.C.) delriparo sotto roccia di monte Baone, presso Arco, utilizzatoprobabilmente per il ricovero di animali.Nella palafitta di Fiavé, agli inizi del II millennio a.C., lastabulazione, cioè l’allevamento di animali domestici inapposite stalle, è testimoniata dalla presenza di coproliti edalle analisi polliniche che indicano un’alta percentuale difieno, stoccato con ogni probabilità per fare fronte alperiodo invernale. Se durante l’estate capre e pecoredovevano pascolare sui versanti montuosi circostantil’abitato, in autunno potevano scendere a valle e cibarsidelle stoppie lasciate appositamente nei campi, che cosìvenivano utilizzate come foraggio per il bestiame. Lo studiodei coproliti ha inoltre permesso di riconoscere lastabulazione dei caprovini all’interno dell’abitatopalafitticolo fra l’inverno e la primavera: per alimentare glianimali oltre al fieno si ricorreva, come avverrà in epocastorica, a ramoscelli privi di foglie in inverno e con foglie inprimavera. La stabulazione e il pascolo presso gli abitati,attestati in ambito montano come in pianura, erano inoltrefunzionali alla concimazione dei campi e alla produzione diprodotti secondari. Anche se è opportuno sottolinearecome i dati sulla macellazione ricavati dallo studio dei restiossei di Fiavé sembrino indicare un’economia orientata allasussistenza piuttosto che all’incremento del bestiame.Oltre all’allevamento stanziale integrato dall’agricoltura, inarea alpina sono ipotizzabili anche pratiche di pascolo

transumante in senso orizzontale e verticale, fino alle altequote montane, malgrado la presenza di testimonianzeframmentarie che non permettono di definire lecaratteristiche socio-economiche della pastoriziatransumante attuata in zona.A partire dal Bronzo antico la presenza della speciePlantago Lanceolata, pianta che indica la presenza dipascoli, sembra indicare un maggiore impatto antropico inarea alpina dovuto a «pratiche pastorali con lafrequentazione sistematica dei pascoli in quota».Sono solo una decina i siti del Trentino Alto Adige/Sudtirol che,in termini di maggiore probabilità, vengono messi in relazionecon forme di sfruttamento pastorale degli alti versantimontuosi. La composizione dei resti faunistici del riparo diMandron de Camp sul monte Baldo sembra corrispondere aquella degli abitati coevi, e pertanto è stata ipotizzata unaperiodica “migrazione” in quota di piccole comunitàaccompagnate da tutti i loro animali, compresi i maiali.Per altri due siti trentini – Malga Vacil e Dosso Rotondo a1900 metri di quota – è stato prospettato un possibile«modello di sfruttamento dei territori montani non moltodissimile da quello attuale, con un sistema di piccole“malghe” situate a breve distanza l’una dall’altra». Siipotizza un utilizzo tipo “malga” anche per il sito diCorgnon di Lusiana (X-IX secolo a.C.), posto ai marginidell’Altipiano dei Sette Comuni in Veneto. Relativamente alfenomeno delle malghe, intese non solo come struttureeconomiche legate al pascolo, ma anche alla produzione dilatte e suoi derivati, non sembra tuttavia possibile tracciareuna linea di continuità dalla Preistoria a oggi. Bastipensare che in epoca romana non risultano in quotastrutture assimilabili a quelle delle malghe, mentre nelMedioevo è accertato come in area alpina centro-orientale«intorno al X secolo fosse gradualmente avviato il processodi bonifica e disboscamento già cominciato in tutta l’areacentroeuropea che consentì una lenta espansione degliinsediamenti nelle regioni montane, soprattutto nelle vallilaterali, nonché sui pendii e sugli altopiani».In epoca romana la pastorizia è peraltro accertata in ambitomontano sia dal punto di vista archeologico – sulla scortadel diffuso ritrovamento di campanelle per animali e dellasegnalazione di “alpeggi in quota” – sia su base epigrafica,come mostrano le importanti iscrizioni confinarie sulmonte Pérgol in Val Cadino, incise a oltre 2000 m di quota, esul monte Civetta a nord di Belluno, dove sono note piùiscrizioni realizzate fra i 1700 e i 2100 m.

Enrico Cavada

Soprintendenza per i Beni Archeologici della Provincia Autonoma di TrentoDocente di Archeologia Medievale Università degli Studi di TrentoDo

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tratti della via Opitergium-Tridentum, strada romanasegnalata nel III secolo e successivamente tra il centroveneto di Oderzo e Trento attraverso il Piave, Feltre, il Tesinoe la Valsugana.In età romana e ancor più nei secoli successivi gli incolti, ilbosco, le aree di pascolo mai sono “liberi”: appartengonosempre a qualcuno. Principalmente sono aree del pubblicodemanio (silva e pascua publica) e, quindi, del fisco regio chele concede in esclusivo godimento a gruppidi contadini-allevatori, che ne fanno uso comunitarioattraverso l’esercizio di un diritto (ius compascendi).L’uso poteva essere gestito però direttamente dallemunicipalità o dalle comunità autonome alpine attraverso lastipula di contratti e conseguente riscossione di canoni, indenaro oppure in natura con consegna di prodotti e animalivivi. Canoni che, con l’incremento delle carte scritte rimastenegli archivi, risultano sempre presenti e applicati, secondoconsuetudini da ritenere senz’altro precedenti. Interessante,da questa angolatura, è un’annotazione che il geografo grecoStrabone fa a proposito di coloro che vivono sulle montagnealpine. Da un lato, da posizioni etnocentriche, ne sottolineapovertà e primitività, dall’altro si stupisce per le quantità diformaggio di cui queste genti dispongono, al punto che è perloro forma di ricchezza e scambiato nei centri di pianura perottenere «cibo e tutto il resto» di cui necessitano.In un contesto tradizionalmente avaro di eccedenze, lecitoè interrogarsi se questo surplus caseario, così elevato esingolare da essere ricordato, derivi da una produzioneinterna oppure se diversamente provenga da canoni versatida pastori transumanti per permessi di transiti e possibilitàdi accesso alle aree di pascolo, di cui le valli alpineabbondano ben oltre lo stretto fabbisogno.

Con il pieno Medioevo altri soggetti prevalenti si affaccianoe si affiancano a quelli antichi, attratti dalle possibilità disfruttamento dei pascoli alpini. Attraverso concessioni,acquisizioni e usurpazioni, monasteri, autoritàecclesiastiche, comunità montane neocostituite, centriurbani, signorie territoriali vengono così a modificare lageografia dello spazio “incolto”, generando altresì tensioni escontri comprovati sul duplice versante delladocumentazione scritta e dei testi narrativi.Pescando in maniera del tutto casuale nella documentazionetrentina del XII-XIII secolo si possono ricordare la rapina dellegreggi perpetrata dai Signori di Caldonazzo super montaneasvicentinas sul finire del Duecento oppure l’ordalia (pugna interduos pugnatores, deus iustus iudex) condotta nel 1155 di frontead autorevoli testimoni – il vescovo di Trento Eberardo ealioroum bonorum hominum – per risolvere il diritto dipossesso e usufrutto del monte Movlina, in Val d’Algone. Monteconteso tra gli uomini di Bleggio e di Rendeva, con giudiziorisolto a favore dei primi di cui tuttora permangono gli effetti.Leggermente più recente ma di non minore interesse unterzo caso che vede coinvolta l’aspra catena del Lagorai, trala Valle dell’Avisio e quella del Brenta/Tesino: territorio riccodi pascoli e boschi rimasti fortemente negli interessidi Feltre fino all’età moderna. Preme richiamarlo peri contenuti, ma soprattutto perché rappresenta unformidabile caso di continuità di sfruttamento delle crestemontane dall’antichità in poi.Siamo agli inizi del Trecento e il vescovo di Trento, nel 1314,emana un decreto che, recuperando gli antichi diritti diaccesso, uso e sfruttamento esercitati da più di duecento annidagli uomini di Fiemme conferma loro la piena disponibilitàe usufrutto collettivo dei monti che circondano la valle e fra

“comodi” e di ricovero e di apparati accessori stabili.Ovini quindi, fittamente diffusi nelle proprietà di tutte leregioni rurali dell’Italia settentrionale, nell’età romana comein quella medievale. Bestie a cui l’economia antica guardacon alto interesse per la facilità nel mantenimento e per laresa che esse offrono in termini di materie prime: la lananel caso specifico piuttosto che altri tipi di prodotti (latte,carne, pelli). Lana che, in assenza di altre fibre di ugualvalore, serve all’industria dei tessuti, di differente qualità edi vario genere. Tessuti e imprenditoria tessilereiteratamente ricordati dalle fonti e che già in epocaromana hanno reso fiorenti numerose città, quelle venete inmodo particolare.L’esame archeozoologico dei resti ossei recuperati nei sitiarcheologici attesta l’assoluta predominanza degli ovini che,in molti contesti produttivi, con caprini e suini rappresentanoil bestiame maggiormente allevato, con punte di oltre l’80%sul totale complessivo delle faune domestiche accertate. Imedesimi resti indicano animali di statura piccola e robusta,rustici e adatti a un allevamento brado e, pertanto, al pascolomobile, il che conferisce forza e peso al ruolo dei pastori nellesocietà del tempo.Pastori per i quali le fonti concordano nell’indicareun’estrazione servile, tuttavia sempre molto ricercati etutelati. Lo fanno le norme giuridiche longobarde che nesalvaguardano ruolo e lavoro. L’editto che Rotari promulgònel 643, contiene sanzioni molto severe e quote diindennizzo tra le più elevate a carico di chi feriva o uccidevaun pecorarius o un armentarius esperto. Disporre di ottimied esperti pastori è altresì strategico nella messa a buonfrutto dei patrimoni. Sempre in età longobarda ne èconsapevole il re Liutprado (712-744), che si preoccupa diaverli costantemente sulle proprie terre. AltrettantoDesiderio, suo successore, che nel 760 amplia le donazioni almonastero regio di Santa Giulia e concede coltivi e spaziincolti lungo i meandri del fiume Mella, assicurando allostesso gli strumenti umani per metterle in valore: quattroservi con le rispettive famiglie incaricati di pascolare i porci,le pecore e le vacche del monastero in quelle terre già note ericercate per il pascolo in età augustea, come ricorda Virglio.Che il monastero bresciano avesse necessità di pastori lo rivelail suo multiforme e redditizio patrimonio armentario, sparsonelle aziende dipendenti sia in montagna (Bradellas/PianCamuno, Sure/Sovere e Clusune/Clusone a nord del lago d’Idro)sia nella bassa pianura lombardo-bresciana (Alfiano/Alfianelloo Alfiano Vecchio alla confluenza tra Oglio e Mella). Aziendenelle quali complessivamente sul finire del IX secolostazionano più di 1000 ovini.Richiamare i dati del monastero bresciano longobardorisulta utile non solo per testimoniare l’entità delle rese, maanche per valutare la dislocazione in ambienti diversi e

complementari fra loro degli armenti, funzionale a unproficuo sistema di gestione. Altrettanto si può pensareabbiano fatto i proprietari terrieri romani per ricercare ilnecessario equilibrio fra attività agricole e allevamento.Questo infatti emerge da una ricerca multidirezionale e adampio spettro sulla pastorizia antica, condotta nell’ultimodecennio dalla Scuola archeologica patavina nell’areaveneta. Regione ricca e produttiva, nella quale sicompenetrano (e si integrano in un continuum privo disoluzioni) tre ampie fasce geografiche: quella costiera elagunare, caratterizzata da paludi e risorgive, poco utile allecoltivazioni e dove ampia è stata in passato la possibilità dipascolo invernale; la pianura interna e il pedemonte conterre vocate alla migliore pratica agricola e alle coltivazioniintensive più redditizie (cereali e viti in particolare), aperteagli armenti nel solo periodo di stasi del ciclo agricolo.Armenti richiesti dai coltivatori quale unica forma possibiledi concimazione prima di procedere a nuova semina.A queste due zone seguono gli altopiani e le montagne, dovel’erba fresca abbonda per molti mesi, offrendo ciò che lapianura da sola non è in grado di assicurare per l’interadurata dell’anno all’allevamento ovino.La complementarietà tra queste aree risulta chiara daplurime fonti documentarie, testimoni di un orizzonte disolida economia che fin dall’età romana è stata in grado dicorrispondere alle ambizioni di promozione e affermazionedi chi ne è stato partecipe. Un esempio lo offre C. FirmioRufino, singolare figura di aristocratico romano vissuto nellaFeltre romana del II secolo d.C. e coinvolto in diverse attivitàimprenditoriali nonché referente di alcune potenticorporazioni professionali che, nella città di residenza maanche a Belluno e ad Altino, univano i lavoranti della lanagrezza, del legno e dei metalli.Riferimenti interessanti questi, che pongono in evidenzarispettivamente il caposaldo e lo snodo interno dismistamento verso il comparto montano di quella cherisulta essere stata un’importantissima direttrice, la valledel Piave, ponte tra la laguna altoadriatica e le zone alpineoltreché nerbo di una rete di percorsi minori, strategici nellaramificazione stagionale dei movimenti armentari che siritiene l’abbiano percorsa.Gli stessi riferimenti in qualche maniera aiutano acomprendere le ragioni e i fondamenti di un secolarefenomeno di movimento transumante che, probabilmentegià nell’età antica e quindi durante tutto il Medioevo e oltreancora, ha portato le greggi e i pastori feltrini a scenderestagionalmente nella pianura veneta per andare a occuparele “poste” collocate in quella che è stata la campagnaaltinate romana e i suoi immediati margini, spinti fino aConcordia. Una pratica tramandata che di fatto viene aripercorrere nei due sensi di marcia, anno dopo anno, ampi

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di risalita, dal fondovalle verso la montagna. Itinerari chetalvolta hanno nel proprio raggio e in posizione intermediadei modesti centri abitati indigeni quale può essere stato,nel Tesino, il villaggio innalzato sul dosso di Sant’Ippolito incorrispondenza della secolare via di transito che da Feltreattraverso Lamon portava alla Valsugana, ma anche verso ilpasso del Brocon o il cuore del Lagorai. Altro esempio, quellodel doss Zelor nella bassa Val di Fiemme, sede abitata tra il Ie il VI secolo lungo la via di risalita obbligata dalla Vald’Adige verso il comparto dolomitico. Nell’uno e nell’altrocaso si tratta di insediamenti che vivono di ciò chel’altitudine e le scarse e magre terre che li circondanopossono loro offrire. Rese mai abbondanti, integratecertamente da importazioni: beni strumentali, utensili,monili, forse generi alimentari, mentre tra gli abitanticircola del denaro, oggetto anche di forme di tesaurizzazionee risparmio. Le modalità di afflusso di questi beni sono statecertamente molteplici, ma non è una novità prospettareanche nei pastori e nel transito stagionale di armenti unarealtà di intermediazione. Pastori a contatto con culture,realtà e ambiti economici diversi. Inoltre essi trasportano unbene materiale vitale per la sopravvivenza stessa di uominie animali: il sale, che ha come area privilegiata diapprovvigionamento le aree lagunari, dovetradizionalmente le greggi svernavano prima di riprendereil cammino verso le Alpi. Sale assente in montagna, di cuii pastori hanno bisogno per alimentare le bestie. Unanecessità ineludibile che meglio si comprende ricordandocome la scienza veterinaria e la testimonianza pratica dipastori moderni concordino nell’indicare un fabbisognogiornaliero minimo di circa 3-4 gr di sale per ciascun capoallevato, che rapportato a un gregge di medie dimensioni,

di 700-1000 capi ad esempio quali ne possedeva un riccoproprietario romano o medievale, porta a un quantitativoannuo di almeno 30/40 quintali. Questo senza contare cheil sale serviva anche per numerosi altri scopi: farmaceuticiper curare ferite e per lavare gli animali dopo la tosatura,conservativi per trattare e lavorare il formaggio e altriprodotti animali derivati (pelli e carne).Un’altra relazione antica lega armenti, transumanza, pastori,sale, commercio: il culto di Ercole, attestato in manierapiuttosto ricorrente in corrispondenza di tratturi e viearmentarie, come anche in centri di smistamento, sianell’Italia peninsulare sia nel territorio alpino. Ambito nelquale non fa difetto la regione trentina, dove il culto di Ercolerisulta attestato da numerose testimonianze. Molto spesso sitratta di piccole raffigurazioni in bronzo, che ritraggono l’eroedivinizzato combattente e in posizione d’assalto a rimarcare lacapacità di sicura protezione contro qualsiasi forza naturale.Alcuni esempi provengono dalla Valsugana e dalla Val di Non.Altri casi sono espressi da epigrafi votive poste su piccolimonumenti e altari pubblicamente offerti per “graziaricevuta”. Se ne conoscono nelle Giudicarie e, ancora unavolta, in Val di Non, dove merita di essere ricordato il pezzorecuperato a Sanzeno e dedicato a Ercole da un devotolocale, che “firma” il proprio nome con il gentilizio Silvinus.Può essere solo suggestione, ma questo termine legato a unafamiglia del luogo indubbiamente richiama un ambito eun’attività che hanno a che fare con la selva, nonnecessariamente qui intesa solo come bosco e incolto,quanto piuttosto come “contenitore” di molto altro, fino acomprendere campi, pascoli, prati e perfino villaggi comeben ha illustrato Chris Wickham parlando dell’Italia ruraleal tramonto dell’età antica.

essi quelli di Cadino, Cadinello, Campolongo, Valmoena,Lagorai ecc., tutti ubicati «ultra Avisii apud episcopatumFeltrensem et Bellunensem» e rivendicati nel rispetto di unademarcazione molto più antica, come – scrive l’autorità –«ci consta da parecchie persone nobili e non nobili, degne difede, le quali asserirono davanti a noi, con loro giuramento,dopo aver toccato le Scritture sui sacri Vangeli di Dio, che tuttii singoli monti sopraelencati erano sempre stati degli stessiuomini della detta nostra Valle di Fiemme [...] della nostradiocesi tridentina».Sul fronte del Lagorai, consapevolmente o meno, questoatto altro non ribadiva che un limite di demarcazioneimmemorabile, che oggi pienamente può essere confermatodalla riscoperta di un antico termine posto inter Tridentinos etFeltrinos più di tredici secoli prima. Un testo chiaro nei propricaratteri monumentali incisi al centro di una tabella ricavatasulla parete nord del monte Pergol, attorno ai 2000 m dialtitudine. Poco importa in questa sede quando esattamentetale iscrizione è stata posta, ovvero se in coincidenzadell’assegnazione delle aree pubbliche ai neocostituitimunicipia romani di Trento e di Feltre oppure se più tardi, nelcorso della prima metà del I secolo d.C., a soluzione di unaquestione de iure territori nel frattempo intervenuta.Ciò che importa è invece osservare quali siano i referentidestinatari del testo che – vista la sua particolaredislocazione – possono soltanto essere coloro che “permestiere” venivano fin qui a inerpicarsi; non di certo deicacciatori o dei viaggiatori, ma a ragion veduta i conductoresdelle greggi, i soli ad avere di fatto interesse a raggiungere ipascoli del Lagorai, fino alle quote più elevate e impervie.Questo peraltro non è un esempio isolato nel comprensorioalpino. Altre iscrizioni confinarie del tutto simili performulario, collocazione e datazione sono infatti presentianche nelle Alpi bellunesi e ulteriori testimonianzepotrebbero esistere altrove. Caso questo dello straordinariopatrimonio di segni e graffiti presenti lungo i sentieri delmonte Cornon in Val di Fiemme e in altri siti dellemontagne limitrofe, in coincidenza con aree di pascolo e dicui in questo stesso volume si occupa Marta Bazzanella, lacui documentazione critica potrebbe fornire interessantielementi di novità.Più arduo è individuare i segni materiali diretti lasciatidall’alpeggio e dalla pastorizia antica sulle Alpi. Né questodeve stupire considerato come tali attività e l’esercizio diquelle connesse, per loro stessa natura, sono state semprea bassissimo impatto sull’ambiente, tanto più quando aessere coinvolto è il bestiame minuto, difficilmente legatoa fissità di strutture e di sedi.Per il periodo romano le testimonianze concordano nelriferire di pastori dotati di attrezzature e ricoveri mobili,trasportati con animali da soma aggregati agli armenti, che

seguivano i loro spostamenti sui pascoli. Per avere i primisicuri riferimenti circa la presenza di costruzioni nelle areedi malga si deve attendere il basso e tardo Medioevo e,soprattutto, si deve attendere il cambiamento delpatrimonio zootecnico portato sull’alpe, quello bovino,che è quello che più necessita di strutture ospitali, come hamodo di evidenziare Emanuela Renzetti nel suo saggio.La presenza o meno di ricoveri, di altri apprestamenti e direcinzioni strutturate nelle aree di pascolo sfruttate in etàpremedievale attende comunque maggiori approfondimentie soprattutto più mirate capacità di rilievo e diinterpretazione, sul modello di quanto è stato fatto adesempio nelle Alpi francesi, dove i risultati archeologici nonmancano con differenze anche notevoli rispetto a quanto siè portati a ritenere sulla base di documenti posseduti.Certamente i pastori, che Varrone – autore nel I secolo a.C.di un noto trattato sull’agricoltura e l’allevamento –raccomanda essere robusti per sopportare i disagi del pascoloin montagna, sono stati capaci di servirsi al meglio di ciò chei luoghi attraversati offrivano loro, nelle più diversecondizioni e situazioni, adattando e provvedendodirettamente alla realizzazione di elementari strutture perle proprie necessità. Apprestamenti per i quali il medesimoautore usa il significativo quanto eloquente termine di«casae repentinae».Il recupero di frammenti di antiche stoviglie in ceramicanella zona di passo Giau e in Val di Crepa, a monte di Mazzinin Val di Fassa conferma l’uso a ricovero temporaneo di riparisottoroccia, sicuramente in età tardoromana e altomedievale.Altro diretto riferimento circa la frequentazione di questestesse zone lo forniscono delle cuspidi in ferro per armi dagetto rinvenute in Val di Stava, in Val Ciamin sull’altopiano diTires/Siusi, nella zona di Mandra di Vael e a passo Lusia inVal di Fassa, sui pascoli di Col del Moro in Val Badia.Manufatti perduti tra la protostoria e il primo Medioevo che,più per tradizione che altro, si è portati a ritenere legatiall’esercizio della caccia, anche se nel contesto culturale edeconomico cui ci riferiamo essa ha caratteri ormai del tuttooccasionali. Ne consegue quindi anche per questi manufatti,se non tutti almeno una parte, la possibile relazione conl’alpeggio, trovando questa lettura sostegno in un ulterioreappunto di Varrone, allorché raccomanda di provvedere che ipastori siano muniti di armi dovendo difendersi e difenderegli animali loro affidati «a bestiis ac praedonibus», da bestiepredatrici e da ladri.Un’ultima considerazione può essere ancora fatta per questireperti, ai quali si possono aggiungere delle monete romaneimperiali e altri piccoli manufatti d’uso personale o diabbigliamento ritrovati nelle medesime condizioni. Si trattasempre di oggetti di natura mobile, isolati e privi di contestospecifico, ma a ben vedere distribuiti lungo possibili itinerari

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vescovo di Trento poco dopo il Mille; era denominato“magnifica comunità” e aveva un governo popolare,il che spiega i pascoli comuni in montagna e purtroppoanche le liti.Il paesaggio agrario montano, infatti, era caratterizzato untempo – e non solo nella zona della leggenda – da nucleiinsediativi nel fondovalle, le ville, circondati da campi e ortirecintati; sui versanti, con il trascorrere dei secoli, le fasceboschive sempre più erose da appezzamenti coltivatilasciavano spazio in quota ai prati destinati al pascoloestivo. Questi, come i boschi, erano beni comunali e la lorodifesa, il riconoscimento e il mantenimento dei loro confinivenivano vissuti come un diritto e un dovere di ognicomune e affidati alla sorveglianza della regola secondo leconsuetudini e le esigenze espresse dai suoi membri.Le pecore, in Val di Ledro consegnate alla toponomastica,hanno costituito una risorsa preziosa per le popolazionimontane per l’utile del latte, delle lane, della carne e dellapelle, per la contenuta incidenza dell’investimento cherichiedevano, per la grande resistenza alle malattie chedimostravano e non ultimo perché sapevano adattarsianche a pascoli molto alti, scomodi e difficili, oltre che aspostamenti davvero interminabili. Forse, proprio le virtùdi questi erbivori che ne fecero aumentare il numero inmaniera esponenziale, nel tempo, si ritorsero in un certosenso contro la specie facendole perdere la primazia.L’adattabilità e la resistenza la sospinsero sempre più inalto e verso la transumanza; la lana rustica venne svalutataa confronto di quella fine e morbida di esemplari esotici, ilconsumo della sua carne ridimensionato e il latte lavoratodi frequente con quello della più “grossa” antagonista.Uno scrittore arguto e attento osservatore qual èMichelangelo Mariani verso la fine del XVII secolo,ricercando l’etimologia del termine Ledro, fornisce alla vallecitata per la pastorizia una nuova fisionomia: «Il nome diLeder proviene dall’alemanno, che vuol dir di cuoio; e ciò,attesta la grande quantità di pelli bovine e altre che vi sifabbricano, stante il gran numero di bestiami che in essavalle vengono allevati».

Lo sfruttamento dei pascoli e le liti tra famiglieNella parte orientale della regione, sul tratto montuoso cheverrà poi definito dolomitico, si sono conservati documenti,questa volta dunque notizie datate, che sembrerebbero darconto delle prime scaramucce tra pecore e mucche. Nelterritorio di Primiero, ma anche questo è un datostrutturale dell’assetto montano, le proprietà erano quasitutte piccole. La differenza in termini di benessere epovertà tra famiglie, determinata dalla disposizione deipossessi e dalla conseguente produttività o dalle attivitàartigianali e commerciali integrative, si ripercuoteva sulla

presenza e il numero del bestiame. Nella seconda metà delXV secolo si accende un’animata questione tra proprietarie non proprietari di pecore circa lo sfruttamento dei pascolicomuni, che anche qui hanno una notevole estensione.I non proprietari di pecore lamentavano il fatto che ibenestanti sfruttassero i monti in maniera considerevole,più di quanto sette o dieci di loro non facessero, gravandolicon il proprio bestiame minuto e grosso, senza pagare perquesto un censo maggiore. Naturalmente gli accusati siappellavano al rispetto dell’uso antico e difendevano latradizione del godimento dei communia. Poiché eranecessario giungere a una soluzione e dato che laquestione si riproponeva periodicamente e rischiava dipeggiorare, l’arbitrato stabilì che a ciascun capofamigliafosse concesso di condurre al pascolo fino a duecentopecore nella regola in cui risiedeva senza dover pagarealcun censo. Chi avesse superato il numero stabilitoavrebbe pagato l’affitto del pascolo per ciascun capo in più.Inoltre, il tema della pezzatura del bestiame fu compostostabilendo che ogni anno sarebbe stato destinato unpascolo esclusivamente alle “armente” sul quale pernessuna ragione potevano essere condotte pecore,considerate serio impedimento al pascolo dei bovini.Circa due secoli dopo, la stessa Valle di Primiero offre unpanorama notevolmente mutato: altre fonti attestanoinfatti la decisione di riservare un pascolo ai soli manzi evitelli, le “armente” giovani, e di limitare l’accesso dei capial monte. In queste notizie si avverte sia la crescentepressione del bestiame grosso, sia la preoccupazione di nondepauperare i prati, sia il progressivo spostamento dellezone di pastura per le pecore. Alla fine del Settecentorisulterà esplicito dove debbano pascolare gli ovini: «aquesti sono destinati i pascoli alpestri secchi e magri»sui quali godranno della compagnia dei cavalli.La supremazia territoriale bovina che va progressivamenteaffermandosi è del resto confermata anche per altre valli.Ancora Mariani scrive a proposito della Valle di Fiemme: «Ipascoli delle cime dei monti riescono così copiosi e pinguiche ogn’anno servono per gli armenti di lungo l’Adige daBolgiano fin’all’Avisio; e di qui si cava grande emolumentodi butirro e formaggio. In oltre (astraendo dal bisogno deiproprij bestiami di valle) servono le più alte cime dellemontagne, per molte migliaia di pecore che ogn’anno vivengono d’Italia». Nell’enfatizzare la ricchezza dei foraggi,la descrizione dà conto, forse con contorni un po’ tropponetti, di una transumanza e di un allevamento ovino chesembrano del tutto estranei al tessuto locale; vale arettificare questa idea quanto accadeva a Mezzolombardoall’inizio del Cinquecento.Una vertenza sorge in quel periodo tra cittadini di Trento euomini del comune. Da più di un secolo costoro erano soliti

Emanuela Renzetti

Docente di Antropologia Culturale e Storia delle Tradizioni PopolariFacoltà di SociologiaUniversità degli Studi di Trento

PRATI E PASCOLIDI IERI E OGGIL’importante cambiamento del patrimonio zootecnicoregistratosi nell’arco alpino che ha visto sostituirsiall’allevamento ovino quello bovino è fenomeno noto, maciò che è ancora argomento di discussione è il periodo incui si è verificato, con quale andamento e per quali ragioni.C’è chi sostiene che le vacche abbiano cominciato ascacciare le pecore dai pascoli dal Medioevo, e c’è chitende piuttosto a retrodatare l’inizio dell’incrementodi buoi e mucche all’alto Medioevo, ridimensionandol’importanza del fenomeno e accordandogli minor peso.Alcuni lo considerano in rapporto all’aumento dipopolazione sull’intera catena montuosa: in tal caso lovedono o in funzione di un’accresciuta capacità di caricodi lavoro necessario all’allevamento in stalle durantel’inverno, oppure legato all’esigenza di acquisire nuoviappezzamenti coltivabili razionalizzando lo sfruttamentodel suolo secondo l’idoneità ambientale e altimetrica.Altri invece lo interpretano come risultato di specifichespecializzazioni produttive, di richieste dei mercati, didecadenze o gusti.In ogni modo, poiché l’area di volta in volta indagata sembraporre vincoli o facilitazioni peculiari, si è convenuto diconsiderare questo mutamento dell’allevamento come unfenomeno differenziatosi regionalmente, talvolta con vererivoluzioni, talaltra con lentezze; oppure, guardando all’interospazio alpino, la tendenza alla trasformazione del patrimoniozootecnico è stata prudentemente classificata di lungo termine.

La leggenda del Prato delle pecoreAnche per il territorio dell’arco orientale delle Alpi,come per altri in cui gli approfondimenti non sono statiparticolarmente numerosi, è difficile stabilire momenti dipassaggio certi; tanto vale quindi avviare la riflessionepartendo da un argomento che gode di una particolareincertezza cronologica: una leggenda. Le leggende, infatti,spesso legate ai luoghi, cercando di spiegarne l’origine odandogli nome, attestano una qualche propria storicità e,insieme, quella degli usi o delle consuetudini che narrano.Si racconta a proposito del Prato delle pecore, sul monteTombea, tra la Val di Ledro e la Valvestino, che greggi dipecore e pastori siano stati ridotti a cadaveri da un terribiletemporale scatenatosi d’improvviso quasi a punirli giacchépascolavano su quel monte contro ogni diritto. I massi chevi si vedono coperti dai detriti e dall’erba sono appuntoquei miseri corpi insepolti. Altrove, per le montagne delTrentino, la leggenda si ripropone con piccole differenze: imassi sono bianchi proprio come le pecore, i fulmini hannopietrificato i corpi e la causa del nubifragio è l’invocazionedella parte lesa nella controversia per il pascolo. Laleggenda narra tuttavia con chiarezza alcuni fatti dipastori, di ovini e di diritti sui prati. All’alpeggio, già dal XIIIsecolo, sono condotti prevalentemente greggi di ovini: glianimali di cui si ha notizia sono pecore. Il territorio dellaValle di Ledro, colonizzato in epoca assai remota, è statosempre libero da domini feudali fin da quando fu donato al

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presa su di loro che sembravano del tutto incapaci diridurre le loro voci alla tonalità delle regioni nelle quali lapopolazione è meno sparpagliata». Tale la memoria chene conserva Freshfield, singolarmente contrastante conil pacato silenzio da testimonianza finale che Segantiniconferisce alla documentazione di vita dei pastori.Costoro che, come chiunque migri stagionalmente, eranodivenuti agenti di collegamento e di cambiamento tra terree culture diverse, a volte per molte generazioni, sarebberostati presto costretti a cambiar mestiere. A Folgaria adesempio, i pastori dell’Oltresommo in primavera andavanoin Val di Non; d’autunno, scaricate le malghe, facevanoritorno all’altopiano giusto in tempo per veder arrivarel’inverno. Ripartivano infatti subito per la bassa mantovana.La frequenza abituale della zona e l’interazione con gliautoctoni aveva condizionato lingua e costumi. Il dialettotedesco era diventato un nuovo dialetto, il Gai, una linguatutta loro, e la conoscenza dell’Italia aveva contaminato leloro idee e li aveva resi partecipi di uno spirito nazionalistache diffusero nel proprio paese. Dalla pianura avevanoanche riportato una particolare venerazione: quella per laMadonna di Ostiglia che era apparsa tra le fronde di unalbero a una giovane pastora muta poi miracolosamenteguarita. In quattro paesi dell’Oltresommo c’è ancora oggiquella immagine di devozione fatta dipingere nel 1861 datransumanti che non esistono più.

A cavallo tra Ottocento e Novecento il numero degli ovinifarà registrare un crollo improvviso, la grande crisieconomica, l’emigrazione e le malattie ridurrannodrasticamente il patrimonio, ma a favore del decrementogiocheranno anche i confini politici e le leggi sanitarieapplicate secondo alcuni con poco criterio. Insieme alnumero dei bovini, che pur fluttuando è ovunque inrafforzamento, cresce anche quello delle capre.Tradizionalmente considerata la vacca dei poveri la capra,ancor più rustica e resistente della pecora, è pronta adarrampicarsi su pascoli impossibili e disposta adalimentarsi con gli scarti degli altri erbivori. Emblema dipovertà e insieme vero sostentamento, forniva latte allafamiglia e ai piccoli. Chi non possedeva nemmeno unacapra era considerato davvero miserrimo. Allevatageneralmente con altro bestiame, ora diventa unico gregge.Entra in questa forma nella mitologia popolare quasidovesse riscattare la propria umiltà nel gruppo. È ungregge di capre, come vuole la tradizione popolare, cheabbeverandosi e producendo più latte fa scoprire a Rabbi lasorgente terapeutica, e ancora un gregge è quello da cuiviene sottratto il più bel caprín della Pastora protagonistadi uno dei primi e più celebri canti dei cori alpini. Lei, lanuova custode delle greggi, nell’erba fresca e bella dellamontagna, non somiglia davvero in nulla ai suoipredecessori rudi e selvatici.

affittare ai fiemmesi e ad altri forestieri che scendevano inpianura con le greggi una parte dei terreni comunali incoltiincamerandone la rendita. Ora i trentini rivendicavanodiritti di erbatico su quel suolo e pretendevano di nonpagare durante i propri spostamenti. Dalla questione, chesi protrasse vari anni e coinvolse molti testimoni, emergonole differenti provenienze dei pastori e delle pecore chetransitavano da e per Bassano, da e per il Tesino e fuori edentro le Giudicarie. La Valle Rendena, pure questa citatacome luogo di origine di alcuni pastori che avevano affittatoe correttamente usato i terreni incolti di Mezzolombardo,compare nelle zone particolarmente vocate all’allevamentoindividuate da Mariani. «Li fieni che si tagliano due, e sin trevolte l’anno, tutti si consumano in paese per gli armenti. Ilatticini che si fanno in non ordinaria quantità, oltre quelliche occorrono per uso proprio, vanno ogni settimana aTrento et altre città vicine, come anche le carni; a grannumero ascendono i vitelli, agnelli e capretti, che sispacciano in tutto l’anno […]. Oltre poi gli armenti e capi dibestiame che si allevano del paese, capita ogn’anno dalbresciano quantità di pecore per le quali servono le cime de’monti che avanzano a’ paesani e s’affittano buona sommadi fiorini». Risulterebbe dunque che le greggi appartenganotanto a locali quanto a forestieri, che si spingono su itineraridiversi che talvolta mettono in relazione la gente dimontagna con la pianura Padana e veneta.Le forme di pastorizia sembrerebbero organizzate indifferenti modi e potrebbero corrispondere non solo allamaggiore o minore abbondanza di pascoli, ma ancheall’esigenza di garantirsi una rendita, o di disporre di piùtempo di lavoro, o ancora alla necessità di stabilire facilicontatti con le regioni di destinazione della transumanzainvernale. Sarebbe questa una soluzione che vedrebbe ilgregge locale aggiungersi a quello condotto da un pastoreforestiero verso i pascoli montani per poi discendere, almenoin certe zone, verso i pascoli di pianura. I rapporti sarebberoin tal caso regolati da patti di compartecipazione sulprodotto di malga e lo sgravio lavorativo, oltre al vantaggioeconomico e al minor consumo di fieno durante la cattivastagione costituirebbero validi incentivi alla scelta.Accanto a questa, l’altra possibilità di allevare bestiameminuto a livello domestico prevederebbe l’assunzione di unpastore locale per l’alpeggio estivo e l’eventuale aggiuntaalle proprie greggi di quelle provenienti da altri territori,fino al completo carico degli appezzamenti in quota. In talcaso la relazione con i forestieri avrebbe potuto garantire losmercio del formaggio e della lana. Durante l’inverno,invece, per preservare i propri pascoli e garantirne lariproducibilità e per evitare di consumare nell’ovile fienonecessario al bestiame grosso, le pecore avrebbero dovutoessere spostate sul fondovalle dei fiumi che garantivanopastura in zone paludose. Diritti di pascolo di tal tipo, ad

esempio lungo l’Adige, nelle anse di Egna, Termeno,Caldano e Bronzolo, erano esercitati dai vicini di Fiemmeche li mantennero fino al Settecento. Intorno alla metà diquesto secolo si sostiene che «il bestiame è uno di quelliarticoli che più interessano il Principato e per la necessitàdi quello nell’agricoltura, e pel vantaggio delle sue lane, eper la fecondazione de’ sterili nostri terreni e finalmenteper esser divenuto un oggetto ancora di esterno attivocommercio». Studiosi e notabili locali ritengono che sel’allevamento fosse incoraggiato e protetto da saggiprovvedimenti potrebbe correggere la costante perdita chesi registra sul fronte dell’importazione necessaria «alcontinuo consumo de’ nostri pubblici macelli». Varrà lapena ricordare che in un’inchiesta del 1791 il bestiame dacarne per il fabbisogno interno veniva stimato intorno ai2640 capi bovini e che la sola città di Trento ne consumava1500 insieme a 10.000 castrati. Eppure, proprio a questoperiodo, risalgono interventi esattamente contrari aquanto si auspica. Le operazioni di bonifica operate e laconseguente messa a coltura delle terre privano il pascolodi preziose quote di superficie, ad esempio, i vicini diFiemme perdono i loro diritti lungo il corso dell’Adige.Più in quota l’espansione del mais, altrove lo sviluppodella gelsicoltura e della viticoltura limitano ulteriormenteil prato e il pascolo. Le pecore perdono terreno, possonospostarsi meno anche verso la pianura, i coltivatoricominciano a restringere sempre più gli spazi checoncedono perché il loro sistema produttivo è divenutopiù equilibrato. Nonostante le difficoltà, la crisi non èimmediata. La carne viene ancora richiesta e così purei latticini e il pellame, persino la lana trova ancoracollocazione anche se con minori profitti, ma il destino èsegnato. Per tutto l’Ottocento il decremento è costante:le restrittive leggi forestali e l’orientamento più favorevolealla zootecnia bovina non possono certo arginarlo.

Tra Otto e Novecento: un paesaggio che cambiaGli escursionisti e gli alpinisti che viaggiano verso l’Italia ecominciano ad accostarsi alle Dolomiti vedono ancora eammirano stupiti le baite e le distese erbose cosparse digreggi. «Raggiunta Madonna di Campiglio decido diaffrontare il monte Spinale. A mezza costa della montagnatrovo tre malghe con capi bovini e conto trecento fra pecoree capre», scrive Kaspar Maria von Sternberg nel 1803.I racconti delle impressioni vissute sostando erisvegliandosi davanti a pareti rocciose stagliate control’azzurro mitizzano le atmosfere alpestri, non certo ipastori. Quegli uomini selvatici, che vivono isolati,producono formaggi e condividono l’esistenza con glianimali, sembrano una razza destinata all’estinzione:«La lunga abitudine a gridare al loro gregge su un declivolontano, o a conversare attraverso le valli, aveva fatto tanta

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Il terzo affioramento è localizzato sul versantesettentrionale del Latemar, a quota più elevata (2000 m ca.)e non è mai stato sfruttato in epoca storica. Qualcherinvenimento sporadico di grumi d’ocra nei pressi delpasso di Pampeago in relazione a strumenti in selce diepoca mesolitica fa probabilmente pensare a unosfruttamento dell’ematite anche di questa località o dialtri affioramenti non ancora documentati. L’estrazionedell’ematite in Valaverta, sul comune catastale di Ziano diFiemme, iniziata nel 1923, fu abbandonata verso la fine deglianni Venti, per fallimento, dopo soli otto anni di attività.Di primo acchito i contenuti delle scritte appaionomisteriosi e indecifrabili: vi sono sigle, nomi, date, numeriromani, disegni, frasi, brevi cronache o messaggi che siaffollano sulle pareti della bianca roccia calcarea, come sugrandi lavagne naturali, con un effetto esteticocomplessivo di notevole suggestione.Venivano solitamente disegnate le iniziali: prima del nome,poi del cognome, seguite dall’anno, dal numero di pecoree/o di capre. Spesso le iniziali erano accompagnate dallesigle “F” o “FL” che significano rispettivamente “fece” e “fecel’anno”. Attorno al corpo della scritta venivano poidisegnati contorni e cornici a forma di edicola, ornati concuori, motivi floreali, volute, animali, scene di caccia,talvolta anche l’autoritratto dell’autore. Ogni scritta risultadunque espressione di individualità artistiche ben precise.A volte le scritte sono accompagnate da segni di famiglia,le cosiddette nòde, che compaiono successivamente al 1772(Vanzetta, 1991, 17) e interessano esclusivamente “autori”appartenenti a famiglie di Ziano di Fiemme. In questalocalità infatti i cognomi risultano poco diversificati(Zanon, Zorzi, Partel, Vanzetta, Giacomuzzi) ed era quindinecessario ricorrere all’uso di soprannomi e segni difamiglia per una più certa identificazione del singoloe delle sue proprietà (animali, attrezzi ecc.).Dall’osservazione delle scritte emerge inoltre una notevolespecializzazione del mestiere di pastore, esiste il pecoraio(besae), il capraio (caorae), il pastore di agnelli (agnelaro)e di caprette al primo anno di vita (anzolae). Caprette eagnelli venivano separati dal gregge per poter mungerecon profitto le madri.

Per cercare di fornire una spiegazione a queste scritte,dobbiamo concentrarci sulla storia recente e passata diquesta zona e inquadrarla quindi nel contesto dell’arterupestre dell’intero arco alpino. Spesso nei siti dove ricorrono

graffiti pastorali, di epoca moderna e contemporanea, sitrovano anche manifestazioni artistiche incise o dipinte diepoche precedenti, pensiamo al Monte Bego e alla Haute-Maurienne in Francia, allo Schneidjoch, al Kiennbach –Enngst e al Bluntautal in Austria, alla Val di Susa, allaValcamonica – Valtellina e al Monte Baldo nella zona di Torridel Benaco. L’elemento che più avvicina tutte le scritte di etàmoderna e contemporanea è l’orografia del territorio: citroviamo spesso in presenza, come in Val di Fiemme, di zonefortemente scoscese e impervie coperte di boscaglie e radure,che non favorivano uno sfruttamento di tipo agricolo.Ciò che colpisce inoltre, analizzando le località di ricorrenzadell’arte rupestre alpina e la loro cronologia, è la frequenteripetizione del binomio Età del Ferro – età contemporanea:ciò sta sicuramente a significare che la frequentazionedelle zone al di sopra dei 1200/1500 m è avvenuta in modomassiccio e capillare prevalentemente durante questi dueperiodi: e in entrambi i casi, verosimilmente, per l’esigenzadi accedere ai pascoli di alta quota nel tentativo dimantenersi in equilibrio in un’economia di sussistenzaa impronta agrosilvopastorale.

Lo stato attuale della ricerca non ci consente dideterminare con esattezza quale possa essere stato illuogo preciso delle piccole gilde pastorali multifamiliariall’interno delle più vaste comunità contadine di valle, equale e quanto alto potesse essere lo steccato sociale cheprecisamente le definisse. Certo è che l’uso socialmentecondiviso di questo genere di pittografie/crittografie sifonda su un concetto elevato del prestigio semimagicodella parola scritta, proprio di un mondo in cui essa non èancora appieno moneta corrente, allude direttamente alcarattere esclusivo e dunque in qualche modo iniziaticodella fruizione dei messaggi criptati (iniziali, segni difamiglia, computazioni, simbologie...), e si ricollegaperfettamente, nelle sue spiccate componenti di caratterepropriamente estetico, a quanto sappiamo delle civiltàpastorali di tutta Europa, soprattutto per quanto riguardala più volte rilevata naturale sensibilità del mondopastorale, rispetto ad esempio a quello contadinopropriamente detto, per le arti figurative, la poesia, lamusica, la speculazione filosofica, lungo le linee di unostereotipo culturale che, in Fiemme come altrove, appare,sulla scorta di questo patrimonio di scritte di notevolepregio artistico, pienamente confermato dai fatti.

Marta Bazzanella

Giovanni Kezich

Museo degli usi e costumi della gente trentina

LE SCRITTE DEI PASTORI DELLA VALLE DI FIEMME Sulle rocce calcaree del gruppo montuoso del Latemar-Cornon, in Val di Fiemme, nel Trentino orientale, siincontrano a monte degli abitati di Tesero, Panchià, Zianoe Predazzo scritte autografe realizzate dai conduttori dellapiccola transumanza stagionale delle greggi. Raffiguranosigle, date, segni di famiglia, conteggi di capi, segni sacri,piccoli decori astratti, talvolta abbinati a brevi annotazionidiaristiche, a qualche figura umana, animale o simbolica.I pastori dovevano pascolare il gregge avendo cura cheil bestiame non oltrepassasse il limite superiore dei pratidestinati alla fienagione. Compiuto lo sfalcio, tra agostoe settembre, anche i terreni di alta quota potevano essereadibiti a pascolo fino al sopraggiungere dell’inverno. Lapresenza di scritte tra i 1200 e i 1900 m di quota è quindiconseguenza di una forzata e prolungata permanenzadei pastori in tale zona che, pur con scarsa vegetazione elimitate risorse idriche, permetteva di sfruttare al massimoil territorio, senza dover intaccare le riserve di fieno.Le maggiori concentrazioni di scritte che coprono unospazio di tempo di oltre due secoli – dal 1720 al 1940 – silocalizzano sulle vie di accesso ai pascoli sovrastanti gliabitati. Tali vie di accesso, stante la conformazioneorografica della zona, erano passaggi obbligati e non a casosulle pareti rocciose delle zone di sosta si trovano palinsesti

di scritte (come per il Corosso dai nomi in Valaverta) suiquali figurano associate non solo scritte di pastori, maanche di cacciatori, falciatori e rastrellatori. Sono scritte dicolore arancione, rosso o bruno, eseguite con un’ematiteferrosa (sesquiossido di ferro) localmente chiamata bol obol de bèsa in quanto serviva per contrassegnare le pecore.Il pigmento veniva amalgamato sul posto con saliva, acquao latte e come pennello veniva usato un rametto masticatoa un’estremità per liberarne parzialmente le fibre. Nellamaggior parte dei casi le scritte si trovano ad altezzecomprese tra zero e due metri d’altezza, ma spesso anchepiù in alto, fino a 15-20 m dal suolo, su pareti rocciose lisce,verticali o strapiombanti. In questo caso l’accesso avvenivain inverno, quando la neve si accumulava ai piedi dellaroccia in seguito alla ripetuta caduta di valanghe e slavine;durante la bella stagione, invece, si utilizzavano tronchid’albero dai rami opportunamente tagliati a mo’ di scala apioli. L’ematite ferrosa è un minerale abbastanza frequentenella roccia dolomitica in forma di noduli d’intenso colorocra. Nel gruppo del Latemar-Cornon sono attualmenteconosciute tre zone di affioramento dell’ematite, due dellequali sono state sfruttate a scopo estrattivo: si tratta delleminiere di Valaverta (Ziano) a 1540 m slm e di Valsorda(Predazzo) più o meno alla stessa quota.

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facile, dopo averle spiegato le finalità del progetto AlpinetGheep, farsi raccontare della sua vita avventurosa comeaiuto-skipper in traversate oceaniche e del suo “approdo”in Val di Fiemme. Poi sono venute tutte le altre interviste.Prima dell’arrivo dell’inverno e della partenza per lepianure ho incontrato i pastori sempre con le loro greggi:alcuni sugli alpeggi, altri al momento della discesa alfondovalle. Altri ancora a transumanza già iniziata. Inalcuni casi, mi è capitato di trovare il gregge sorvegliatoda “operai” o amici e ho dovuto rimandare l’intervista. Inqueste giornate ho avuto tempo per fotografare le greggial pascolo, il lavoro dei cani e dei pastori. Giornate intense,come quella sui pascoli del Monte Valandro con le nebbiebasse a nascondere e svelare le pecore su prati sospesisopra salti mozzafiato.Trovare i pastori tutto sommato è stato semplice; nonaltrettanto semplice “avere” il loro tempo. Se stannosorvegliando il gregge la loro attenzione è parziale.Il pomeriggio dopo pranzo, quando anche il gregge sostaruminando, sottrai ai pastori il riposo. Alla sera poi ci sonoda preparare i recinti mobili e consegnare gli agnelli allemamme. Fare il pastore non è romantico come si potrebbepensare: è un lavoro reale, materiale, concreto… Lo sguardodel pastore non vede piante, montagne, cieli, ma pascoli,pericoli e passaggi, piogge o neve incombente. Incontrare ipastori ha significato trovare situazioni molto diverse, maaccomunate da gesti e attività abituali. Infatti tutti, alladomanda di descrivere la giornata-tipo, danno rispostemolto simili.

Per i pastori di capre la giornata inizia all’alba, con lamungitura, seguita dalla pulitura della stalla, dal pascologuidato, dal riposo e dal rumine del gregge, infine dalrientro alla malga per la mungitura serale e la sistemazionedegli animali per la notte. Segue la rigorosa organizzazionee pulizia delle attrezzature e il conferimento del latte aicaseifici o la produzione del formaggio.Per i pastori di pecore invece la giornata inizia con precisiimperativi: controlla che i tuoi animali stiano bene! Dovemangeranno oggi? E questa notte dove ti fermerai colgregge? Bisogna controllare se durante la notte sono natidegli agnelli e se i parti sono andati bene. Ogni agnello devesucchiare il latte dalla mamma e ogni pecora deve allattarei piccoli per evitare problemi di mastiti… ma non sempre ècosì. Spesso le pecore che partoriscono due agnelli rifiutanodi nutrirli entrambi, quindi il pastore si deve organizzarecon latte di capra o individuando una pecora primipara, cheha perso il suo piccolo da poco e ha latte. Inoltre non semprel’agnello ritrova la madre; è il pastore che deve facilitare gliincontri (per questo le segna con il colore). Gli agnelli piùpiccoli devono essere trasportati nel furgone o dagli asini,

e tenuti in recinti per proteggerli; per tre volte al giorno ilpastore compie il delicato lavoro di attaccare i piccoli allemammelle delle madri.La giornata del pastore di pecore varia a seconda dimoltissimi fattori: se è al pascolo in montagna e non hafretta di muoversi, se nascono molti agnelli, se piove onevica, se quella notte un orso ha spaventato il gregge, seprevede di cambiare montagna per un pascolo più ricco, sesta transumando e c’è molta strada da fare, se il campo chepensava di pascolare gli viene interdetto dal contadino odalla polizia municipale, se un cantiere lo costringe acompiere percorsi nuovi…

La gente comune guarda i pastori con curiosità e a voltesa ammirare quello spettacolo della natura che può essereun gregge in movimento. Ma sempre più spesso la gentesi spazientisce, ha fretta, la strada è sporca, le gommedell’auto si sporcano, le scarpe pure.Qualcuno dei pastori è rassegnato ma sereno, e dice chele “parole” non hanno più il peso di un tempo. Altri sonorassegnati ma combattivi e hanno ben chiaro cosacambierebbero, cosa vorrebbero da chi governa permigliorare le cose.Per qualcuno questo lavoro è la realizzazione di un sognogiovanile di libertà raggiunto una volta arrivato allapensione. Per altri è prendere tutto il buono che c’è daprendere, caricarsi di energia nelle belle giornate, andarealle feste paesane d’estate, tardando il più possibile l’oradella partenza a novembre per abbreviare il lentotrascorrere dell’inverno nei magri pascoli di pianura.Per i più giovani significa vivere a contatto con la naturaorganizzando tempi e modi di lavorare. Tutti amano i silenzi,gli odori, i colori e le luci del trascorrere delle stagioni. Perqualcuno, o forse per tutti, è una specie di malattia, dipassione stare vicini agli animali, non dormire in una casavera e propria, con fuori la notte vera, dove il buio è buio e losguardo può incontrare la luce delle stelle. Per qualcunoquesta scomodità è linfa vitale, il sapore del caffè e del panesono più intensi. Per qualcuno è fare quello che qualcuno hasempre fatto prima di lui, prendersi cura degli animali…

Altri hanno scritto della vita dei pastori, sicuramentequalcuno li ha conosciuti meglio di me. Io posso dire diessermi sentita molto vicina a loro, a volte li ho invidiatinelle limpide notti estive sui monti, in luoghi magnifici,nel trascolorare della sera in quei colori che rendonomisteriosamente felici.Spesso da quando ho conosciuto i pastori la sera li penso,sotto le stelle, abituati al freddo, nel disagio di una non-casa. E mi interrogo, e il loro pensiero nutre le miedomande senza risposte.

Anna Brugnara

Consulente ed educatriceambientale

I PROTAGONISTIDI OGGI

Una parte del lavoro assegnatomi per questo volumeprevedeva l’individuazione di alcuni pastori presenti sulterritorio trentino, per conoscere le loro abitudini e tradizioni.Abbiamo deciso di intervistarne un certo numero,cercando di avere un campione il più possibile assortitoe rappresentativo. Non ce ne vogliano i pastori che sonostati esclusi: sappiamo bene che ogni storia meriterebbedi essere raccontata.Lo svolgimento della ricerca e delle interviste ha messoin evidenza prima di tutto le differenze tra l’allevamentodelle capre e delle pecore, e successivamente la differenzatra la pastorizia stanziale, con alpeggio, e la pastoriziatransumante, con trasferimenti in pianura, talvolta finoal mare Adriatico.

Alcune considerazioni generaliI pastori non sono diffidenti come si potrebbe pensare.Nessuno ha rifiutato di farsi intervistare, spesso anzi mihanno facilitato il lavoro, consigliandomi di raggiungerlinel luogo più comodo per me. Nella maggioranza dei casisono stati disponibili anche a farsi fotografare, accettandoun’ulteriore “invasione” nella loro privacy.I pastori e i proprietari delle greggi intervistati sonoperlopiù trentini. In un paio di casi vengono da regioni

vicine. I lavoranti sono invece spesso stranieri: alcuni sidestreggiano bene con l’italiano, altri a fatica.I pastori in genere hanno fatto la loro prima stagione ditransumanti in età adolescenziale. Hanno ricordi moltovivi, e la raccontano come un’esperienza forte, avventurosa,segnata dal trascorrere dei giorni e delle notti all’aperto.I pastori non sono affatto scontrosi, amano chiacchierare edessere informati su cosa succede agli altri pastori, nelle altrevalli, oppure su cosa la Provincia e l’Ue stanno progettandonel campo dell’agricoltura, dell’allevamento e dei contributi.I pastori si sentono spesso sui gradini più bassi dellasocietà, in particolare nei periodi della transumanza,quando in pianura i campi vengono seminati e i pascolinon sono ancora praticabili, e sono costretti nei greti deifiumi a elemosinare un po’ di erba. Oppure sull’alpe, dovei baiti in cui dormire spesso sono piccole catapecchiesenza alcuna dignità.

Le interviste vanno considerate come istantanee, brevimomenti che i pastori mi hanno dedicato, sapendo dicollaborare a un progetto che intende sostenere non tantoeconomicamente ma “culturalmente” il loro lavoro e la lororealtà. Ho iniziato, per vincere la difficoltà di entrare in unmondo sconosciuto, incontrando una donna: Teresa. È stato

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STEFANO

ALDO

VITTORIO, IVAN,PAOLO

TEODORO

LORENZO

GUGLIELMO

RUGGERO

GIANNI

PASTORISTANZIALI

MARCO?

TERESA

CHEYENNE

GRAZIANO?

CONFINIREGIONALI

LUOGHI E PERCORSIDEI PROTAGONISTIDI OGGI

PASTORITRANSUMANTI

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È stata Cheyenne, la pastorella della Val di Rabbi, a suggerirmidi andare a trovare Teodoro, visto che non mi trovavo troppolontano. In verità lei su in Saent, mi ha confessato, non ci èmai stata, ma mi ha spiegato come arrivarci.Lasciata l’auto presso il rifugio Fontanin, in località Coler,proseguo a piedi per un paio di chilometri in lieve salitae incomincio il ripido sentiero che supera il salto glacialedel Saent.Dopo molti zigzag, comincio a capire che sto giungendoin un bel posto, di quelli che ti guadagni con almeno unpo’ di fatica, senza facilitazioni. Una coppia di scoiattoli sirincorre salendo a spirale intorno al grosso tronco di unabete. Moltissime scaglie di pigne sparse a terratestimoniano il loro passaggio.Salgo per un’ora nella solitudine di un giorno feriale senzaincontrare nessuno. Al termine della salita il sentieroaggira morbidamente alcuni dossi e inizia a scenderenella splendida conca glaciale. Sopra, le maestose cimelasciano fluire l’acqua di fusione dei ghiacciai, prima inmodo segreto, poi discreto, tra le rocce, infine le acque siraccolgono e formano un rio. Il rio Rabbies attraversala conca per poi buttarsi dal salto glaciale formandol’omonima cascata.Ora posso vedere la malga, ma, ahimé, non vedo e non

sento alcun gregge, nessuna traccia sul terreno. Chiedo auna coppia di turisti tedeschi: «No, noi abbiamo fatto ilsentiero dei Larici Secolari, non le abbiamo viste le pecore,però li alla malga c’è un uomo». Bene! Lo raggiungo subito.È Teodoro Daprà che, un po’ sorpreso e un po’ contento difare due chiacchiere, è subito disponibile per l’intervista.Vorrebbe portarmi a vedere con i miei occhi il suo greggeche pascola a un’oretta di cammino, a quota 2300 e più, manon ho molto tempo e temo che l’ora di cammino di cuiparla lui si riveli troppo faticosa. Solitamente trovare lepecore è il mio obiettivo principale, ma per questa voltadevo rassegnarmi.Lo sguardo di Teodoro non è di quelli che si dimenticano infretta… un po’ mi imbarazza, ma poi iniziamo l’intervistanella quale mette una buona partecipazione.È con orgoglio che mi mostra il suo cane dall’iride bicolore,gli asini, che considera ottimi compagni di transumanza,e alcune pecore pezzate con agnello che sono rimaste giùa causa di qualche acciacco; io fotografo tutto e lo saluto.Tra pochi giorni ci rivedremo alla Fondazione di Bellat,per la prima rassegna ovi-caprina a Borgo Valsugana,organizzata da Alpinet Gheep. Lui e i figli porteranno lepecore per partecipare alla gara, e una vincerà lacampanella come miglior primipara.

Teodoro figlio di Menech (Domenico), è nato e risiede a Pracorno. È sposato e ha tre figli, il più piccolo dei qualiha 17 anni. Con loro passa poco tempo, perlopiù d’estate.Ha la licenza elementare, come sua madre e suo padre,parla il dialetto trentino e conosce le parole che i pastori usavano un tempo quando non volevano farsicapire: cuch (carabiniere), strada (calca), pauri (contadino).

La solitudine non mi pesa per niente. I momenti più difficili sono d’inverno,e peggio ancora se c’è la neve. Il momento più bello è senza dubbio l’alpeggio.

27 settembre 2006

Malga Prà Saent

Parco Nazionale dello Stelvio,

Val di Rabbi, laterale Val di Sole

“TEODORO

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ALPINET 0132TEODORO0042.JPG: tagliata???manca fondo immagine

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«In passato nel Veneto si pascolava nei vigneti, e icontadini erano molto gentili nella zona di Treviso. Perdormire si faceva un giaciglio con le fasce di canne palustri,sopra le pelli delle pecore, le coperte e infine, sopra, il teloper l’umidità».

«Le pecore le ho contate ieri... lì al ponte sul rio Rabbies.A volte faccio due recinti e passandole da un recintoall’altro le conto».

«Un tempo tosavamo a mano 60 pecore al dì. Nel ’68venivano pagate 7000 lire per ogni kg di lana. Nella zona diLivenza dove tosavamo venivano i grossisti a sceglierla. Eraun bel guadagno. Oggi la lana non vale niente. Ne abbiamotosate 1016 la primavera scorsa e abbiamo speso 2000 euro».

«Quest’anno i capretti e gli agnelli nasceranno a ottobre.Credo sia perché questa primavera non hanno mangiatoabbastanza, allora le femmine non restano incinte; imaschi li lascio sempre liberi….Un tempo i capretti e gli agnelli si vendevano a chichiedeva: ai contadini, al macellaio… Anche se avevanocambiato i denti era lo stesso, si vendeva anche il castrato.Oggi vendo i capi a 7-12 mesi, quando pesano dai 45 ai 65kg, a fine settembre e primavera a un grossista. Va poi tuttaai musulmani la carne…»

«La solitudine non mi pesa per niente. I momenti piùdifficili sono d’inverno, e peggio ancora se c’è la neve. Ilmomento più bello è senza dubbio l’alpeggio».

Non so se mi auguro che i figlicontinuino a fare il mio lavoro.Questo è un mestiere che non dàcertezze, e io non sforzo nessuno.Credo che conti avere grinta epassione. Penso che la nostratradizione andrà a sparire, se nonveniamo protetti da leggi apposite,che per esempio ci facilitino i transiti.

«Ho fatto il pastore dal 1963 per 6 anni. Poi ho fatto l’autistadi pullman di linea. Da quando sono in pensione ho ripresoaiutando mio figlio. Faccio la transumanza ma da Pracornoa Feltre (Quero) gli animali li porto con il camion. Più versoBassano unisco il mio gregge con quello di Lorenzo efacciamo tutto l’inverno assieme: stiamo in zona Bassano,poi giù intorno al Brenta, Grantorto, Piazzola, Padova. Poi sefacciamo come l’anno scorso si va verso Caorle, poi su per ilPiave, Ponte della Priula su verso Feltre fino a Pergine. Poichiamo il camion per ritornare in Val di Rabbi».

«Scendo giù da qui, a fine settembre, con il carretto per gliagnelli. I più piccoli, quelli ancora bagnati, li metto nelbasto dell’asino, perché non camminano. Sempre a piedi,sto un mese in Val di Rabbi, prima di fare il viaggio perFeltre, con i camion. Anche il ritorno da Pergine a Pracornoè fatto in camion».

«Venire su con gli asini va benone, è quello che cerco: chenon si possa salire con la jeep. Il proprietario del rifugio miha offerto di portar su la roba con l’elicottero ma io horifiutato: mi piace così. Mi servo di 5 baiti, qui alla malgaPrà da Saent sono solo da pochi giorni. Prima ero più su, a2200 m. Qui sono nel Parco Nazionale dello Stelvio».

«In questi giorni che non ci sono nascite o sono pochissime,e sono quassù, la mia giornata si svolge così: alle 6.30 il caffè.Controllo eventuali nascite, vedo se ci sono pecore zoppe e seserve faccio qualche puntura. Poi un’ora di cammino perportarle al pascolo. Guardo che bruchino per bene senza

sciupare l’erba, che rallentino. Alle 12 le fermo per 2 ore. Poi cisi muove ancora, al pascolo, per fermarsi poi a sera».

«Il pascolo in montagna per noi l’è “ferie”, mentre la parte piùfaticosa è giù nel piano. La montagna ha tanto valore per me…l’è “oro” per le bestie: respirano aria buona. Guarda che soffronoil caldo giù le pecore. Quando vanno in alto, lì stanno bene.Nel piano arrivano prima i pastori veneti e “stufano” icontadini, così, quando arriviamo noi, ci mandano via, etroviamo poco da mangiare per le pecore. È un danno pernoi. Loro continuano a passare e a ritornare negli stessiposti. I tonda, i tonda… Mentre noi evitiamo di passare 2volte nello stesso posto… Oggi ci sono più greggi, sono piùgrosse, anche troppo, e sfruttano troppo il territorio. Poiquando arrivi tu con il tuo gregge, c’è poco da mangiare.Il problema è delle strade giù in pianura, nessuno piùtollera che si sporchi…E ci sono troppe macchine».

«In passato gli spostamenti con gli animali si facevano apiedi, con gli asini, la Val di Non la si attraversava così. Laprima parte si faceva sui Monti di Cles, da Tuenno in giùattraversando meleti con i rami alti [vecchi meli non aspalliera come ora, ndr], e poi i vigneti giù nella valledell’Adige. L’ultima volta che l’abbiamo fatto è stato nel ’71.Ora sarebbe impossibile transitare per lo stesso percorso acausa del diverso modo di coltivare le mele. Anche alCrescino, dove ora c’è il Biotopo, era un importante punto disosta… ora ti farebbero il verbale. Si potrebbe fare facendola Val Rendeva, con qualche buon aiutante».

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Sull’“Adige” di ieri un trafiletto avvisava i lettori di possibilidisagi alla circolazione: stamattina il gregge di Guglielmodal Molin sarebbe sceso da Tenno verso la Valle del Sarca.Ore 7.30: millecinquecento pecore, agnelli e asini transitanosulla Statale 421 tra Tenno e Arco attraversando i centri abitatidi Gavazzo, Cologna e Varone, preceduti da un mezzo dei vigiliurbani che garantisce il transito del gregge senza intoppi.In testa il “vecchio” pastore Pero, pipa in bocca, folta barbagrigia e cappello calato sugli occhi, con due cani al fianco.Lunghi fischi dei pastori rivolti ai cani, che abbaianoimpegnati nel loro lavoro, precedono e accompagnanol’arrivo del gregge. È un momento molto suggestivo: glianimali occupano tutta la sede stradale come un fiume inpiena, un fiume caldo e odoroso di erbe che avanza con unrumore sommesso, un leggero scalpiccìo di centinaia dizoccoletti sull’asfalto; lo scampanellio è lieve: solo pochianimali hanno la campanella al collo.Alcuni asini chiari e altri scuri procedono sparsi nel gregge;portano il tradizionale basto da carico. In coda al greggeGuglielmo e i suoi amici di Villa scendono rapidi al seguitodi quello che a momenti sembra un corpo unico, compattoe armonico nel procedere a velocità più sostenuta. La genteincuriosita esce di casa. Le macchine sono ferme equalcuno si avvicina velocemente con dei bambini pervedere scendere il fiume d’animali che avanza lambendogiardini, parcheggi, aiuole, campi, piazzali, marciapiedi.Alcuni proprietari dei giardini a bordo strada e degliesercizi commerciali sono pronti con scope e acqua perripulire dopo il passaggio del gregge. Guglielmo mipromette che più avanti avrà tempo da dedicare alle miedomande: l’appuntamento è a Ceole.A Ceole il gregge è condotto dentro un incolto con alte

piante d’artemisia. Le pecore incominciano a brucare inmaniera quasi sistematica. Guglielmo e i suoi cinque amicidi Villa si siedono per terra, bevono birra e vino, fumanosigarette e scherzano allegri. Guglielmo è un bel ragazzo:occhi azzurro intenso, capelli biondi mossi, un viso quasiangelico. I suoi amici sono rumorosi e continuano astuzzicarlo. Lui è un po’ taciturno, ha l’aria di chi potrebbeaddormentarsi lì, sull’erba dove se ne sta semisdraiato.Maria, proprietaria di pecore anche lei, mi racconta chela sera precedente, prima di iniziare la discesa da VilleDel Monte, hanno festeggiato con gli amici la finedell’alpeggio, e sono andati a letto tardi, così ora, a metàmattina, con una temperatura estiva, a soli 80 m s.l.m.(siamo a pochi chilometri da Arco e da Riva del Garda) e conun pesante programma di spostamenti tra zone artigianali,svincoli stradali e campi coltivati, la stanchezza si fa sentire.Nel frattempo altri curiosi si sono avvicinati. Una donnacon alcuni bambini piccoli ha raggiunto il marito, cheaiuterà Guglielmo in questa prima parte dellatransumanza. Il camion del servizio pulizia strade delcomune di Arco è già lì, pronto a seguire il gregge nelprossimo spostamento.Ma non c’è tempo per riposarsi, la sosta è breve; non è ilmomento buono per rispondere alle mie domande. Lepecore hanno brucato quasi tutto e Pero è gia in camminoverso un altro prato, un chilometro più avanti, in zonaartigianale di Arco, dove il signor Michelatti della societàAllevatori di Tenno ha individuato un grande prato.Peccato che per qualche malinteso sia stato falciato proprioil giorno prima, quindi l’erba è lì a terra già tagliata. Certo,alle pecore l’erba piace “tagliarsela”, ma sono animali che sisanno adattare, e per qualche ora staranno qui; ma già i

Guglielmo, figlio di Giancarlo, pastore in pensione, e Annalisa, casalinga, è nato a Montebelluna e risiede a Feltre. È sposato e ha due figli piccoli, con i quali passa3-4 mesi ogni estate. Ha un diploma da elettricista, parlal’italiano e il dialetto veneto. Nella sua famiglia fareil pastore è una tradizione: erano pastori il bisnonno,il nonno e il padre.

Una volta era tutta un’altra vita: c’erano molti più sacrifici, non c’erano i mezzi di trasporto come adesso, non c’erano i recinti mobili tanto utili,non c’era il cellulare…

2 settembre 2006

Tenno – Arco.

GUGLIELMO

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«Ho iniziato a fare il pastore dieci anni fa: fino ad allorafacevo l’elettricista, poi mio padre si è ammalato e io e miofratello abbiamo cominciato ad aiutarlo. Lui non voleva cheanche noi facessimo i pastori. Anche io non mi auguro chei miei figli continuino questa tradizione, ma queste sonopassioni: se ci sono…».

«La mia giornata si svolge così: mi alzo alle 5 e bevo il caffè,poi esco a controllare se ci sono nascite, consegno i piccolialle mamme, dopo carichiamo sul furgone gli agnelli piùpiccoli, che non saprebbero camminare (quando siamo inmovimento 9 mesi all’anno), carico un asino con il basto sec’è bisogno per qualche piccolo agnello. Quando invecesiamo sui pascoli gli spostamenti avvengono a piedi e sonopiù limitati».

«Per il pranzo abbiamo tutto nel furgone, siccome amezzogiorno bisogna metter i piccoli (che sono nel furgone)alle mamme, quello è il momento anche per il nostro pranzo.Pomeriggio al pascolo, poi la sera 18-19-20 le chiudo nelrecinto, rimetto i piccoli alle mamme che trascorrono conloro la notte. Si cena e poi a dormire».

«Per la tosatura chiamiamo i tosatori, più 6 o 7 persone checi aiutano; costa 1 euro e 80 a pecora, tosarle tutte mi costa2500-2700 euro, e per la lana a volte mi danno 100 euro avolte niente».

«Gli agnelli nascono tutto l’anno, li vendiamo quando

hanno 6-7 mesi: li do a un commerciante».

«Oggi per il pascolo ci sono meno prati in pianura perché sicoltiva tanto, il problema è lì, i contadini avevano tutti deiprati per le loro bestie, mentre adesso in pochi hanno tantaterra e coltivano mais, vigneti, erba medica, e non è faciletrovare da pascolare. In montagna va bene a parte certemalghe che hanno i pascoli invasi dal bosco. E i baiti, chesono messi male».

«I pericoli per il gregge sono tanti: l’anno scorso l’orso hamangiato 4 pecore. Poi l’aquila preda gli agnelli, che a voltecadono anche dalle rocce. Quando dobbiamo andare sustrade trafficate chiamiamo i vigili, che non sempre sonodisponibili come oggi ad accompagnarci fino al luogo dovefare tappa a pascolare. Qualche volta ci fanno problemiper la sporcizia o se passiamo nei Biotopi o nelle riservelungo il Piave».

«Una volta era tutta un’altra vita: c’erano molti piùsacrifici, non c’erano i mezzi di trasporto come adesso, nonc’erano i recinti mobili tanto utili, non c’era il cellulare…».

«La radio, la tv e i giornali? No, non mi mancano».

«In futuro, se va avanti così, i pastori saranno sempremeno: è una vita di sacrificio, finché c’è un certo guadagnosi fa, sennò è meglio stare con la famiglia e cercarsi unaltro lavoro. Anche se dopo i 30 anni che lavoro vai a fare?».

pastori stanno parlando del prossimo incolto dove recarsiper passare la notte.Guglielmo scompare con il suo pick-up, così mentreattendo che ritorni faccio due chiacchiere con il signorMichelatti e con il pastore Pero, che mi svela la sua età (53anni) e mi racconta il motivo della vistosa fasciatura cheha alla mano sinistra: lo scorso anno un morso rimediatoda un asino arrabbiato gli ha causato l’amputazione deldito mignolo e di parte del palmo della mano.Dopo un po’ Guglielmo ritorna con panini e birre, e finalmentemi dedica un po’ del suo tempo, che in questo momento èprezioso, spiegandomi l’itinerario che intende percorrere.Questo è solo l’inizio della transumanza per Guglielmo e isuoi aiutanti; fa molto caldo qui sul piano. Alle prime lucidel giorno si sono alzati nei pressi del lago di Tenno doveavevano pernottato dopo essere scesi dai pascoli dellemalghe Nardis, Tenera, sui monti Cadria e di Val Concei.La strada è lunga: impiegheranno circa un mese ad arrivare aFeltre dove vive la famiglia di Guglielmo (moglie e due bimbipiccoli); dopo Arco punteranno verso Mori, poi verso nord aCalliano; quindi saliranno sull’altipiano di Folgaria, per poiscendere in Valsugana. Una volta a Primolano, saliranno perla vecchia strada militare “delle Scale” verso Fonzaso e Feltre.La transumanza proseguirà poi verso la pianura veneta, giùda Valdobbiadene, per il Ponte della Priula, verso San Polo diPiave e avanti fino a Udine e a Cividale del Friuli.Verso marzo ci sarà il ritorno, con qualche cambiamentoall’itinerario: «A seconda di com’è il tempo sto alto o basso[a nord o sud]… Se giù è troppo bagnato a causa delle

piogge sto più a nord che i terreni sono più asciutti, seinvece è asciutto sto più in basso».Poi risponde alle mie domande senza grande entusiasmoma quando ci lasciamo il suo sorriso e la stretta di manosono sinceri e mi lascia il numero del suo cellulare nel casoabbia bisogno di ricontattarlo.

I mesi che trascorriamo in montagnasono i più tranquilli. Un po’ tutti imomenti sono belli, se c’è un buonpascolo sei tranquillo, non sei stressato.

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Il 30 agosto sui pascoli della Caserina sotto Cima Cece, nelgruppo del Lagorai, il gregge di Ruggero è affidato allacustodia di due aiutanti rumeni.Gli animali in queste settimane sono su pascoli piuttostomagri su un territorio a dir poco aspro. Un contratto con laMagnifica Comunità Generale di Fiemme, l’Enteproprietario di questi alpeggi, impegna il proprietario delgregge a farlo pascolare qui per un periodo tutte le estatiper il mantenimento e la conservazione dei pascoli d’altaquota in cambio di un compenso. Quest’anno i pastorihanno fatto base per alcune settimane presso il baito sullerive del Lago di Cece, in un paesaggio a dir poco romantico.Ora il baito della Caserina dove pernottano e cucinanoi pastori è stato appena ricostruito a regola d’arte esostituisce il vecchio edificio che era ormai cadente. Sitrova a quota 1986 m, mentre gli animali oggi pascolano aquota 2200 e oltre. Nessun sentiero evidente. La certezza diessere sulla giusta traccia mi viene dalla grande quantitàdi escrementi freschi e dalle impronte nel terreno smosso escuro. La temperatura è molto bassa malgrado il solesplendente: c’è ghiaccio vivo sulle scure rocce porfiricheche salendo devo superare per avvicinarmi, oltre il limitedel bosco, ai lastroni e ai magri pascoli per fotografare lepecore che si sparpagliano tra conche erbose, massi e rocce,e per scambiare due chiacchiere con il pastore rumenoaccompagnato da un bravo cane, Baci. Benché intirizzito,il giovane parla volentieri: del suo lavoro e di quanto siabravo e generoso il suo capo.

3 settembre 2006. Alpe di Lusia, Cavalese, Val delTravignolo, Val di Fiemme. Saliti con una breve passeggiatanel pomeriggio sopra Bellamonte, in località Castelir eraggiunto il tabià Bianco con il vicino baito dei Foghi,

troviamo un grande recinto mobile aperto ma non sivedono né il gregge né i pastori. Solo il ragliare di alcuniasini lontani ci dà l’impressione di essere sulla stradagiusta mentre un suono di campanacci di vacche moltolontane ci inganna, e così camminiamo per un lungo trattoverso est, attraversando zone aperte, lariceti e pascolirimboschiti, tra baite sparse, sino ad arrivare sulle piste dasci del Lusia, ora ricoperte da erba verdissima. Qui unnumeroso gruppo di asini pascola solitario. Del gregge,però, nessuna traccia. Torniamo al punto di partenza.Troviamo il giovane rumeno già incontrato sul Lagorai. Havoglia di parlare e ci racconta di sé, del suo precedentelavoro di elettricista e di come facendo il pastore riesce(non avendo spese di vitto e alloggio) a risparmiare a finemese molto di più per la famiglia in Romania. Ma le pecorenon perdono tempo in chiacchiere e così, scusandosi,velocemente parte atletico in aiuto al suo collega piùanziano, che ha un bel da fare a spingere il gregge verso ilrecinto preparato per il pernottamento.Ruggero Divan arriva di lì a poco, nel tardo pomeriggio diquesta splendida giornata di sole. Con il suo grosso pick-upfuoristrada viene direttamente da Cavalese, dove è scesoper delle commissioni, e ci dice gentilmente ma senza giridi parole che non ha molto tempo da dedicarci: èimpegnato nella sostituzione della batteria di ungeneratore (che servirà all’indomani agli artigiani per ilrifacimento del tetto dell’antico tabià Bianco dove orastaziona con il suo gregge, che nei giorni scorsi haabbandonato gli aspri pascoli del Lagorai per spostarsisulle più dolci pendici del monte Lusia). Alle 21 ha unappuntamento a Canazei per la “Gran festa d’Istà” con gliamici. Quindi lo intervisto mentre svita e avvita,bestemmiando un poco, la batteria sul generatore nella

Ruggero, 46 anni, è nato e risiede a Cavalese. Figlio di unpanettiere, ha la licenza elementare: «Non ho finito lemedie e non me ne vergogno». Il nonno era pastore dicapre. Fa il pastore da 29 anni. Non è sposato e non hafigli. Parla l’italiano e il fiamazzo e conosce un po’ ilpatois, il dialetto che i pastori transumanti di un tempousavano quando non volevano farsi capire da qualcuno. Ruggero ha 1400 capi tra pecore e capre e 13 asini.

In futuro, se non si guadagnerà di più, credo che venderò il gregge,prenderò qualche mucca e mi fermerò.

30 agosto 2006

Alpe di Lusia, Val di Fiemme

“RUGGERO

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«La solitudine non mi pesa. Sono un tipo chiacchierone eho amici dappertutto; scendo spesso in paese quando sonoqui e anche in Veneto ho molti conoscenti».

«Un tempo ci si spostava a piedi, senza mezzi, con gli asini,era molto più faticoso».

«Gli spostamenti degli animali avvengono sempre a piedi.Solo gli agnelli piccoli viaggiano nel cassone. A volte capitadi avere delle difficoltà: qualche contadino che protesta, learee protette, le strade con il traffico. Quando piove, poi, lebestie sono più nervose, se sei in movimento e attraversistrade porti in giro molto più sporco e terra, e questo creasempre problemi con le amministrazioni».

«Con l’aiuto dei recinti mobili da 15 anni è tutto più facile,poi adesso ci sono anche i contributi…».

«Un tempo in montagna c’erano più mucche chepascolavano, quindi i greggi di pecore erano più piccoli, per25 anni sono stato sul pascolo della Caserina che è molto piùpovero. In pianura una volta i contadini avevano qualchemucca quindi avevano dei prati… Ora invece i piccolicontadini non ci sono più quindi i prati sono diventaticoltivazioni intensive di grandi proprietari».

«Qui a Lusia ci sono le erbe buone che crescono a “solatio”poi le pecore brucando fanno sì che cresca erba nuova. Di làalla Caserina Lagorai che è rivolta a nord ci sono erbe piùdure, “seole” (nardetum). Per pascolare prendo i contributiper pulire la zona di cima Cece, Caserina e Castel.Quattro mesi li trascorro qui, poi un mese giù in Val diFiemme sui prati lungo l’Avisio e dove mi è permesso, sonol’ultimo pastore a scendere in Valsugana, così sono certo

penombra del tabià. Finito il lavoro, si appresta a riscaldarel’acqua sul fuoco per preparare il latte in polvere per duevitelli che lo aspettano nella stalla. Quest’anno ha avutoproblemi di salute quindi non ha potuto seguire sempre luigli animali, si deve anche riposare in previsione dellefatiche dell’inverno e quindi deve delegare molti lavori aidue aiutanti. Il pastore rumeno gli chiede cosa deve farecon gli asini che sono più in là oltre i larici. Mi interrompe,fa il verso alle pecore, beeeh, e facendo vibrare le labbraemette uno strano suono che conclude «... tami»(aspettami?). Ora tutte le pecore sono chiuse nel granderecinto. Alcune chiamano i loro piccoli, che gli aiutantistanno consegnando alle mamme. Il latte per i vitelli èpronto e un agnello senza mamma affonda il muso nelsecchio per sfamarsi, esagera e subito starnutisce.«I 13 asini li tengo per il piacere di vederli, un po’ aiutanoquando ci spostiamo a turno il carico», dice Ruggero, eaggiunge: «Hai visto quello lì che sembra una zebra? Lecapre le tengo per il latte per gli agnelli invece…», quindi midice che lui mette il campanellino alle pecore perché trovache stiano bene, che non possano mancare nel paesaggiosonoro: «Fanno parte dell’arredamento».È bella questa battuta, penso, osservando questo grande uomonel quale trovo qualcosa di materno, sarà quel grande corpo, laloquacità e quel prendersi cura di animali piccoli e grandi(nella stalla ci sono anche diverse galline oltre a due vitelli).Molte pecore non sono sue, le ha solo in custodia, ed è contono un po’ amaro che aggiunge: «Pensa che i proprietarinon vengono nemmeno a vederle e nemmeno le sannoriconoscere le loro bestie, ne hanno comprate 50 solo peravere i contributi…»Quando salutiamo Ruggero è ormai buio e una splendidaluna è lì sopra le cime del Lagorai a fare grande il fascinodella notte sulle montagne.

che i raccolti sono tutti conclusi, anche l’erba medica, eposso pascolare nei campi con meno vincoli.Nel fondovalle e in pianura le infrastrutture sono sempredi più: questo toglie spazio al pascolo e rende più difficiligli spostamenti».

«La tosatura è una volta all’anno, la lana non vale niente ele razze ora sono selezionate per produrne di meno».

«Come chiamo le bestie? A seconda di cosa voglio farglifare faccio un verso diverso, se voglio dare il sale faccio“prrr prrrr”, fischio quando voglio che vadano».

«Di solito mi alzo neanche troppo presto e prendo il caffè.Come prima cosa si controllano le nascite e si segnano conlo stesso colore i piccoli e le mamme; prima di portare ilgregge al pascolo si mettono i piccoli nella stalla o inun recinto. I pastori portano gli animali a pascolare,e a mezzogiorno si danno i piccoli alle mamme.Al tramonto rientrano tutte nel recinto, anche i piccoli. Sequalche piccolo viene rifiutato dalla madre, come accadetalvolta, si provvede ad allattarli con latte di capra con ilbiberon. In inverno giriamo con le pile nel recinto pervedere che i piccoli si attacchino alle madri, i probleminon sono solo per il piccolo ma anche per le mamme, chedevono essere munte per evitare le mastiti. Bisogna anchevedere se ce ne sono di zoppe. C’è poi da dare il latte aivitelli. Altri compiti che mi spettano sono: fare la spesa,portare i vestiti puliti e caldi e da bere vino e birra aipastori».

«La volpe è interessata ai piccoli, per quello li teniamoseparati negli spostamenti, sennò rimangono indietro».

«Circa 300 agnelli li vendo agli extracomunitari, di unanno, 50 kg; per loro è importante che abbiano ancora identi da latte».

«Le strade verso la malga e il pascolo vanno bene, meglio diuna volta. Quando ero su alla Casarina tutti i giorni eranoore di cammino dal baito ai pascoli».

«In futuro, se non si guadagnerà di più, credo che venderòil gregge, prenderò qualche mucca e mi fermerò».

Questo è un lavoro che dàsoddisfazione se lo sai fare bene,ogni giorno c’è qualche momento bello.

È una splendida e gelida mattina di fine agosto, voglioincontrare Gianni con il suo gregge, così alle 8 sono alleViote. Nelle settimane scorse i giornali hanno parlato di luia proposito di pecore predate dall’orso, così mi dirigo versola malga salendo la Valle dell’Eva. L’aria è pungente e ilpanorama emoziona con la sua vastità e nitidezza: il monteGazza, il Casale, le Dolomiti di Brenta, Carè Alto e tutto ilgruppo dell’Adamello, la Valle del Sarca sono davanti a me,a ricordarmi quanto è bella questa regione.Non seguo il segnavia per il Cornetto ma giro dietro alla costadei Cavai e appena imboccata la strada forestale trovo unprimo recinto con un centinaio di pecore con i piccoli; lì vicinoè fermo il rimorchio che Gianni usa per gli spostamenti.Continuo per la sterrata cercando qualche improbabileimpronta di orso nel fango fino ad arrivare alla malgaRoncar; ci sono due uomini. Uno è il fratello di Gianni,che al momento è in città per aggiustare la macchina esistemare dei documenti.Salgo in direzione Cornetto in cerca del gregge; una partesi è allontanata oltre la cima Cornetto, e il pastore stacercando di ricomporre il gregge di 500 pecore. A quota2000 m le tracce sono abbondanti. Il gregge è pocodistante in una conca al riparo, sta ruminandoplacidamente, poi all’improvviso obbedendo a chissà qualevoce – non c’è nessuno tranne me – le pecore si alzano e siavviano ordinatamente lungo il pendio, testa bassa eandatura costante; le ritrovo dopo che ancora si sgrananosu uno stretto sentiero e si ricompongono in forme piùampie sul prato in basso, vicino al recinto degli asini,disponendosi in una lunga fila in direzione del recinto delle

mamme con piccoli. Io mi lascio incantare da tutto questofare e disfare senza i soliti comandi o fischi. Dal boschettodi ontani e salici arriva il tintinnio di una pecora dispersa.Del pastore nessuna traccia.

20 settembre Quando trovo Gianni alle Viote qualche settimana dopo,non trovo il coraggio di chiedere spiegazione della“autogestione” temporanea alla quale ho assistito e passo afargli le mie domande. La giornata è tiepida, il solesplendente, i prati verde intenso e gli animali tranquilli;molti sono gli agnelli nati da poco. Quando noto alcunipiccoli coperti dalla pelliccia di altri agnelli, mi spiega chelo fa per invitare le madri che hanno perso il loro piccolo adadottare quelli abbandonati dalle mamme dei partigemellari, che spesso abbandonano uno dei due nati. Miintenerisce vedere nelle grosse mani di questo signoremolto gentile una “frasca” di acero o di ribes verde che usaper spingere delicatamente gli agnelli nel recinto. La posavicino, si siede sull’erba accanto a me e si racconta.È abbronzato e mi sembra soddisfatto del suo gregge e moltoamorevole con gli animali… Mi parla con nostalgia di suamoglie e di come trascurare la famiglia sia insito nel lavorodel pastore. Ma anche lui, come gli altri pastori, parla dipassione per gli animali: se ce l’hai non puoi non ascoltarla.La sua posizione in Bondone gli permette un buoncompromesso: per l’estate scenderà spesso a casa ad Arco.E anche l’inverno fino a gennaio sarà in zona Villalagarina,lungo l’Adige, e poi giù fino nel Veronese, quindi nonlontanissimo da Arco.

Gianantonio, 61 anni, è nato e vive ad Arco. Ha studiatoall’Istituto commerciale di Riva del Garda e, dopo averlavorato come cameriere dall’età di 18 anni, fa il pastoreda più di trenta. Suo padre Manuele era pastore di ovini, ela mamma d’estate stava col marito, i quattro figli e ilgregge. Gianantonio ha tre fratelli, che lavorano con lecapre. Parla il dialetto trentino: suo padre conosceva ilpatois, il dialetto parlato in alcune valli del Piemonte edella Val d’Aosta.

Senza montagna per me non è possibile stare. La solitudine non mi pesa,e non mi mancano la radio e la tv: alla radio e alla tv ci sono sempre bruttenotizie. Il mondo è cambiato: una volta la parola aveva più significato,ora invece quello che conta è altro, ad esempio il potere e i soldi.

29 agosto 2006

Monte Bondone, Trento

Val dell’Eva - Viote

malga la Val del Manuele (Cavedine)

GIANANTONIO

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varie, mentre ora è più difficile trovare da pascolare sul buono.Nei frutteti per esempio è un po’ un problema pascolare. La Valdi Cavedine, ad esempio, era tutta prati... adesso è tutta frutteti.È cambiato di più nelle pianure che sui pascoli alpini, nellazona di Verona ci si trova molto bene, la gente con glianimali [le pecore] è brava e li lasciano pascolare inaziende vitivinicole molto grandi. D’inverno passo un mesea Grezzana nella tenuta della famiglia Arvedi, dove citroviamo molto bene».

«Gli spostamenti degli animali vengono fatti a piedi, con ilfurgone al seguito è tutta un’altra vita rispetto al passato,nel furgone abbiamo tutto e poi posso andare a casalasciando il rimorchio…».

«La transumanza? Ora sono stanziale, fino a pochi anni fa ilmio percorso era: Monte Bondone, Lago di Cei,Villalagarina, Arco, con 200 pecore era più semplice,mangiavano meno ovviamente. Mi sembrava più bellopoter rimanere in zona. Da quattro anni invece trovandociin alcuni con le forze e i mezzi giusti – furgone, jeep –andiamo giù intorno a Verona. Prima ci si spostava a piedi,gli asini portavano le cose che ci servivano, come le pelliper dormire in terra. Si facevano sempre le stesse strade».

«I pericoli per il gregge sono tanti: le saette e i temporali,che possono colpire noi e gli animali o spaventarli. Poi canirandagi, aquile... Le aquile sono il pericolo più grande pergli agnelli, ma mettendoli nei recinti invece di lasciarliliberi si evitano i danni. Adesso c’è l’orso, alcune pecoresono morte, si è provato a curare le loro ferite ma non c’èstato nulla da fare, l’orso le infetta in qualche modo….Quando le pecore sono nel recinto è difficile che l’orso

entri; qualche volta però se sono spaventate spingono tutteassieme da una parte e sono loro a farlo cadere».

«Vendo soprattutto a marocchini, loro sono abituati atrattare nell’acquisto: sono diversi da noi, ma alla fine ci sicapisce. A Verona ci sono anche gli italiani che ancoramangiano carne di pecora: agnelloni di meno di un anno».

«Quando sono in malga ho la montagna in affitto. Quandovengo fuori, alle Viote, devo fare domande scritte alDemanio, all’Azienda Forestale e al Comune di Trento».

«Senza montagna per me non è possibile stare. La solitudinenon mi pesa, e non mi mancano la radio e la tv: alla radio ealla tv ci sono sempre brutte notizie. Il mondo è cambiato:una volta la parola aveva più significato, ora invece quelloche conta è altro, ad esempio il potere e i soldi».

«I momenti più difficili sono quando c’è brutto tempo, c’è laneve e non c’è il riparo per gli agnelli, e magari devi andarea prendere del fieno per le pecore. Quelli più belli sonoquando ci si alza e il tempo è bello, il sole splende nel cielo».

«In questo periodo mi alzo alle 6-6.30, controllo le nascite ela salute delle pecore nel recinto. Poi tutte al pascolo. Apranzo, cerco di mangiare sempre qualcosa di caldo.Pomeriggio di nuovo pascolo e poi nel recinto».

«La scuola? È utile, ma la pratica è ancora più importante».

«Il futuro? Il pastore ha un buon spirito di adattamento, sipuò pensare di cambiare la razza di pecore più adatta allaproduzione di lana di qualità».

Una donna che sposa un pastore devevolergli dieci volte più bene degli altri.A mia moglie piace di più il mare che lamontagna. L’estate la sera ritorno, sonosempre in giro, però rientro spesso acasa. L’inverno vado a casa ogni quattro-cinque giorni. Mia moglie non si stufadi me: non sono mai in casa.

«Una volta la tosatura si faceva a mano. Poi abbiamo presole macchine con il generatore e ci arrangiavamo. Adesso lepecore sono tante, e ci rivolgiamo alle squadre di tosatori,al costo di 1 euro e 80 per ogni pecora.Una volta tutti facevano i materassi di lana, quindi avevaun certo valore. La portavamo a Pergine a lavare... Miopadre diceva che “un chilo di lana vale un chilo di grana”».

«Mi hanno dato il nome dell’eroe della resistenza GianantonioManci perché mio padre era il pastore del suo gregge..».

«La maggior parte dei piccoli nasce in autunno, noiregoliamo le nascite mettendo e togliendo i maschi dalgregge. Facciamo in modo che le nascite (dopo cinque mesidi gestazione) siano ad agosto-settembre, quando siamo inquesta zona, alle Viote, comodi, sui prati, senza grossiproblemi. Spesso la pecora partorisce due piccoli, però nonce la fa a farli crescere bene entrambi. Si cerca un’altrapecora che ha latte e altrimenti si cerca di dare il piccoloa qualche contadino o a qualcuno che lo vuole. Non usiamoil latte in polvere, sarebbe troppo lavoro».

«Alle pecore più belle o alle quali si è più affezionati si dà unnome. Per chiamarle si fa un fischio o, quando si vuole dar loroil sale, un suono emesso muovendo la linguavelocissimamente “frullandola” in bocca e insieme soffiando».

«La pecora non è un animale delicato, è rustica e si ammalararamente. Noi usiamo i vaccini previsti, e alcune medicine cheteniamo sempre con noi. In caso di polmoniti diamo iniezionidi antibiotico, e ogni anno facciamo fare il prelievo del sangue».

«Una volta giù in pianura c’erano colture diverse, molto più

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Domenica 12 novembre 2006. Vado alla ricerca del gregge delsignor Aldo. Ho saputo che in questi giorni sta transitando inValsugana, dalle parti di Levico Terme. È una splendidagiornata di sole e alcune signore che passeggiano per lestradine di campagna mi dicono di averlo incontrato il giornoprima verso Santa Giuliana di Levico. Giro per un po’ inautomobile a passo d’uomo, coi finestrini aperti, per cogliere iltipico tintinnio delle campanelle, il belato delle pecore,l’abbaiare dei cani e le urla dei pastori; per le stradine dicampagna nei pressi della “Brenta”, come dicono i locali, trovole tracce del passaggio del gregge: escrementi e fango.Finalmente individuo in un prato vicino a dei campi di mais lajeep posteggiata con il camioncino dei pastori. La campagna èmolto bella e il gregge pascola poco lontano. Vista la giornatafestiva, i pastori hanno visite: sono amici e curiosi. Aldo perònon c’è, è a casa con la famiglia. Mi racconterà poi che non èfacile trovare qualcuno che lo sostituisca, in particolaredurante la settimana, ma la domenica, per fortuna, qualcheamico esperto si riesce a trovare. Mi accordo per vederci perl’intervista tra qualche giorno, scatto alcune foto, e salutol’amico pastore e il dipendente.Il 16 novembre torno in zona. Il cielo è molto nuvoloso, c’èuna notevole umidità e a terra è tutto bagnato. Questamattina Aldo mi ha dato le indicazioni sulla zona dovepascoleranno oggi: dalle parti di Barco di Levico.Escrementi freschissimi, e una notevole quantità di terrache sporca la strada mi guidano nella giusta direzione:poco oltre le tracce spariscono improvvisamente, e a latostrada, in un prato vicino a delle case sparse, c’è il gregge.I pastori sono due, con i rispettivi cani. Aldo è quello con ipantaloni antipioggia color arancio, che spiccano in fondo alprato. È lì fermo a proteggere un piccolo orto dall’avanzatadel gregge, in particolare dall’irruenza delle capre che sispingono fino ai primi rami sporgenti delle piante da frutto.Per fortuna c’è un bel prato dove le pecore possonomangiare per un po’; ha proprio le dimensioni giuste percompletare la mia intervista… nel corso della quale Aldosarà costretto a dare più di una volta ordini ad alta voce aicani, per contenere gli spostamenti degli animali. Poi ilgregge diventa inquieto, quindi incontenibile, e i pastoridevono mettersi in movimento alla ricerca di un altrospazio dove pascolare.Anche Aldo, come altri pastori, conosce già il progettoAlpinet Gheep. Parla e si racconta volentieri: mi dice che hainiziato a fare questo lavoro a 15 anni, aiutando un suocompaesano. Fare il pastore non è infatti una tradizione difamiglia.Mentre lo intervisto, accade un imprevisto… Un vecchiocaprone nero dalle grandi corna arcuate, segnate damoltissime “ferite” provocate da chissà quante contese,dopo aver rubato una mela dall’albero resta con il fruttoincastrato nelle strette fauci attirando l’attenzione delle

altre capre che lo circondano e lo guardano incuriosite.Per un po’ non riesce né a sputare né a tranciare la mela, e deveintervenire il pastore per liberarlo dalla scomoda situazione.Aldo mi insegna anche a vedere le “mosche”, le macchie piùscure (dove il pelo è più corto) sul muso di alcune pecore,aiutandomi a capire come una volta per il pastorericonoscere le bestie fosse normale, cosa che ora non avvienequasi più; le pecore fino a non molti anni fa non erano tuttedi questa razza (Bergamasche – Biellesi) cioè bianche. C’eranovarie colorazioni, macchie marroni, grigie, more ecc.Osservandole meglio noto che alcune di loro sono prive diorecchie… e altre le hanno lunghe la metà rispetto allamaggioranza. «Nascono così» è la risposta di Aldo, senzaaltra spiegazione. Aldo mi spiega come si fa a contare ungregge di oltre mille pecore: «Quando passano su un pontele conto, quando 50 sono passate mi metto un sasso intasca, e così faccio con altre 50 e avanti… Alla fine conto isassi e so quante sono». Sono incantata dalla semplicitàdelle sue soluzioni, e continuo a porgli domande anche orache il gregge ci è addosso. Per concimare per bene uncampo quanto deve pascolare il tuo gregge? «Bisogna checi stia tutta una notte raccolto in un ettaro per volta».Quale itinerario percorri nella transumanza? «Borgo, Selvadi Grigno, Bassano, Rosà, Castelfranco, Padova sugli arginidel Brenta, Chioggia, Venezia, Mestre, Marghera, Treviso, super il Piave, Feltre, e su per le montagne fino al Lagorai».A questo punto le pecore sono quasi sulla strada, saluto eringrazio Aldo che si è dimostrato paziente e disponibileoltre le mie previsioni.

Aldo ha 38 anni, è nato a Trento e risiede a Frassilongo –Camauz. Ha smesso la scuola in seconda media. Figliodi una casalinga e di un padre emigrato per 15 anni in Germania per lavorare nel settore edile, ha iniziato a fare il pastore a 15 anni, lavorando come dipendenteper qualche anno per imparare il mestiere. Nel 1990 ha comprato il gregge. Parla la lingua mochena e iltrentino. È sposato e ha tre figli di 6, 12 e 14 anni. Aldo ha 1200 pecore e 40 capre.

Oggi gli spostamenti sono sempre più complicati a causa delle stradetrafficate e numerose… In Veneto già da un po’ di anni non ci sono più le grandi famiglie contadine che ti accoglievano, ci sono le ville con le recinzioni e non c’è nessun contatto

16 novembre 2006

Barco di Levico. Valsugana

ALDO

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«Se le capre avevano il latte, le mungevamo per avere lacolazione e per i capretti».

«Evito che nascano agnelli in estate; meglio farli nascere in autunno giù in pianura. In montagna ci sono troppeperdite: l’aquila, le volpi e troppi “buchi” e dirupi.Non posso fare i recinti e mettere gli animali al sicuroperché il terreno è troppo duro…».

«Se va avanti così, con i contributi si può proseguire, sennòeconomicamente non si può andare avanti. Adesso sino al2012 sembra ci saranno questi contributi… altrimenti ancheio dovrei lasciare. La carne non vale molto, quindi o sicambia sistema con pecore da latte, capannone, ci si fermae si produce formaggio...».

«I cani dei turisti sono un pericolo: nel 1996 su nel Lagoraiavevano spaventato le pecore che erano cadute da undirupo: 320 bestie morte. C’era la nebbia fitta e quando sonoandato su a vedere, non mi sono accorto che ne mancavano,poi mi ha telefonato un amico dall’altra parte della valle chec’erano più di 70 pecore morte. Le nebbie coprivano lemontagne in quei giorni. È stato possibile recuperarle solodopo tre giorni per le nebbie. Erano state portate conl’elicottero a valle e di lì a Verona per incenerirle».

«La primavera siamo lungo il Piave, stiamo lì un bel po’, ma ci sono le riserve di caccia, i Biotopi, i laghetti e in attesa checresca l’erba sui monti a maggio si fa magra perché siamo intanti pastori con le greggi, siamo 50.000 pecore o di più, lepecore mangiano bachete [fusti secchi], dimagriscono un po’».

«Un tempo giù in pianura, non avendo i recinti mobili, lanotte bisognava fare la guardia, è successo anche a me da

giovane che mi addormentavo vicino al fuoco e gli animali sene andavano. La mattina era un disastro andarli a cercarle».

«Ogni giorno, per prima cosa si controllano le nascite,eventuali ferite, si mettono i piccoli alle mamme. Poi ilcaffè e chi ha fame mangia, chi no, no. Verso le 8cominciamo a tirar su il recinto mobile, mettiamo i piccolinel furgone e ci spostiamo dove c’è erba, può essere dipochi metri o un chilometro… A mezzogiorno uno mettegiù gli agnelli alle mamme, l’altro mette su l’acqua per lapastasciutta o le bistecche, la polenta… La moglie qualchevolta se non siamo lontani ci porta qualcosa, qualchecontadino anche… Alle due si ricaricano gli agnelli sulfurgone e si riprende a pascolare. A sera mettiamo giù ilrecinto e di nuovo gli agnelli alle pecore da allattare,accendiamo il fuoco, facciamo cena. Quando siamo stufi dimangiare e raccontarci la storia andiamo a dormire».

«I pascoli? In montagna la primavera fino ad agosto l’èbona, poi c’è tanta sedola (nardus) su in alto, dopo la sponzeel nas. Sopra a Palù invece ci sono bei prati che ho in affitto,c’e il trifoglio che mangiano volentieri. Ho l’impressioneche il terreno, la montagna stessa stia lentamente cedendo,si frantumi. Le montagne le se desfa, l’è marza sotto la roccia».

«Finché ci sono i contributi l’attività può andare avanti.Senza quelli bisogna cambiare lavoro: troppe spese,macchine, assicurazioni…».

«Si sta più pacifici sulla montagna».

«Da 10-12 anni ho il cellulare, leggo il giornale quando vadoa prendere il pane al bar. La scuola aiuta sempre, poi certoche ci vuole la pratica».

«Un tempo ci spostavamo con gli asini e ci portavamodietro tutto quello che serviva per cucinare: caldera, padellaecc. Portavamo coperte, pantaloni, calzettoni per cambiarci,il sacco a pelo, e dormivamo per terra, al freddo. Ora se vai a casa a dormire e passi dai 25° ai – 2-3° dell’esterno è piùfacile ammalarsi che allora. Che quando sei sempre fuori tiabitui al freddo (te sei temperà, di e not no te fa differenza)».

«Quando si scendeva nel Veneto, le famiglie dei contadiniti invitavano: in cambio magari di un agnello ti facevanoda mangiare. Tu arrivavi con 100-200 pecore, e gliconcimavi il campo. Oggi gli spostamenti sono sempre piùcomplicati a causa delle strade trafficate… In Veneto non cisono più le grandi famiglie contadine, ci sono le ville con lerecinzioni e non c’è nessun contatto».

I momenti più difficili sono gennaio,febbraio, marzo, che non c’è più erba,magari devi andare a comperare ilfieno. Le pecore hanno fame e gliagnelli muoiono, le capre sono asciuttefino a febbraio quando partoriscono.L’estate e la primavera sono i momentipiù belli.

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In questa giornata di prime nebbie autunnali, la visitasull’Alpe di Valandro è fruttuosa solo in parte, perché Lorenzonon c’è. C’è però il suo gregge custodito da Carlo.Sopra al paesino di Seo c’è un luogo molto ripido, dovegiunge solo un’antica mulattiera. Salendo, le prime traccesul terreno sono di pneumatico. Sappiamo che il pastoresale sull’Alpe usando una moto da trial, e colpisce il leggeresulla roccia affiorante a tratti della mulattiera le traccedegli antichi mezzi, i brozi, usati per il trasporto del fienoa valle, affiancate dal disegno lasciato dalla gommainfangata del pastore che vuole guadagnare tempo perraggiungere la famiglia.Tre croci di ferro battuto piantate nella roccia segnano ilpunto di svolta per raggiungere la località i Salti, a quota1800 circa: qui si lascia il bosco e ci si affaccia sulla concadel Bleggio con uno splendido ampissimo panorama.Passando sopra i primi balzi rocciosi, ci si inoltra nellevallecole: la zona dei pascoli alti verso la parte interna delGruppo di Brenta, sotto il monte Brugnol, fino al confinedel Parco Adamello Brenta. Scrutiamo il terreno per capirese il gregge è passato di qui, ma bisogna salire nei pressidel rudere della malga Valandro per trovare le prime traccefresche: il gregge è ancora più in alto, oltre i 2000 metri,tra le nuvole. Lontano, su una forcella, un cane correobbedendo ai comandi urlati dal pastore, che bestemmiain veneto, non si sa se verso il cane, le pecore o chi altro.Al centro della conca, tra i ruderi dell’antica malga, c’è uncontainer in metallo che sostituisce el bait o casinatradizionale, luogo di ristoro per il pastore. Un cane alla

catena abbaia al nostro avanzare. Ormai non ha più ilcompito di custodire il gregge: fa la guardia al container,ai pochi agnelli in un piccolo recinto sul pendio e allenumerose paia di calzettoni di lana grigia stesi sui fili bentesi. Più in là, in alto, un doppio recinto con filo elettricoantiorso dove il gregge ogni sera viene rinchiuso perevitare brutte sorprese.In breve raggiungiamo il pastore, Carlo, alla forcella tra ilmonte Brugnol e il monte Ghirlo; le pecore sono un po’inquiete e tentano di spostarsi a brucare sul pendio più anord. Così interrompendo bruscamente la nostra scarnaconversazione, Carlo manda con urla sonore il cane aricacciarle indietro e farle muovere verso il Ghirlo.Un momento e le nuvole si alzano; sotto di noi lo sguardoprecipita nella sottostante Val di Ion e scorge più in là SanLorenzo in Banale; pochi istanti ancora e il gregge ha giàoccupato il crinale, come un fluido che si versa sui pascoli esi disperde confondendosi con le rocce affioranti. Strane lepecore, sembrano poco dinamiche, ma quando si mettonoin moto sanno essere tanto rapide!Ora scendiamo anche noi, ma al di qua della forcella dove ilsentiero è meno esposto. Pastore e gregge ci appaiono piùtardi già lontani, come un’apparizione, su un aereo speroneappena sotto il Ghirlo, tra le nuvole e le rocce, l’erba e ilvuoto tutt’intorno.L’intervista al pastore è solo rimandata. Tra pochi giorniscenderanno a valle. Incontrerò Lorenzo a transumanzaavviata, sull’altipiano di Andalo.

Lorenzo è nato e risiede a Frassilongo. Ha fatto la terzamedia e va a lavorare in malga da quando aveva 10 anni.Il padre non era pastore, ma lo erano i nonni maternie paterni, lo zio materno e lo sono altri zii e cugini. Ha una moglie e due figli, di 15 e 12 anni. Parla iltrentino e la lingua mochena.

Alla gente piace il gregge ma non lo sporco e che non mangino l’erba,piace il gregge ma quello in cartolina per intenderci. Abbiamo tutti contro:i cacciatori… Con i forestali va meglio ora che nel passato, con tante difficoltà.Le pecore non sono telecomandate…

24 ottobre 2006

Altopiano della Paganella, Lago di Andalo

LORENZO

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«Una volta dalla lana prendevi dei bei soldi. Addirittura negliultimi anni Settanta si arrivava a 2000 lire al kg.Commercianti veneti e lombardi. Mia mamma e mia nonnaselezionavano la lana delle nostre pecore, la lavavano e laportavano a Pergine. Non so cosa facessero lì alla lana(cardatura, pettinatura) perché poi la filava lei in casa epreparava le calze e i maglioni. Circa 30-50 kg all’anno, giustoquella che serviva per uso domestico. In casa ne ho ancora iodi quei calzettoni».

«Vado a casa tutte le sere l’estate, quando sono quaintorno, da maggio fino a novembre. Dopo, solo una voltaogni tanto. La moglie? La consegno al pret (ridendo, ndr)».

«Il pascolo è cambiato tantissimo, una volta in valle e nellepianure c’erano più prati e meno colture intensive. Ora ilmodo di “strutturare” i campi impedisce il pascolo: mentreuna volta si pascolava sotto i meli e le vigne, ora non si puòpiù fare. Sui monti una volta era meglio. La montagna erapiù sfruttata ma allo stesso tempo più ricca, adesso il pascoloè lasciato andare e l’erba è meno buona…. Quando non vienepascolato el va endrè. Più viene pascolato e più vieneconcimato. C’era più spazio malgrado la presenza dellemucche perché c’era meno bosco».

«Ti accorgi che il pascolo oggi è meno buono perché adesempio se su cento ettari trent’anni fa pascolavi un mese,con le stesse pecore ora dopo 15-20 giorni non ce n’é più. C’èpiù bosco ma alle pecore non piace pascolare nel bosco.Pascolo anche nel Parco Adamello Brenta: tutto in regolapermessi ecc. Per il riparo però va proprio male. Ho rotto lescatole alla Provincia per avere qualcosa. Ci hanno messo un

container dove non si può neanche accendere il fuoco…»

«Una volta uno che aveva 150 pecore era un pastore, sevendevi cento pecore comperavi un ettaro di terra. Adessonon comperi neanche da far la bala».

«Il granoturco è un cibo che può far male. Bisogna starsempre attenti, non devono mangiarlo bagnato, ne possonomorire anche dieci o venti per come hanno mangiato».

«In Veneto una volta si andava magari ospiti dei contadini,erano famiglie di venti persone, sapevano che arrivavano ipastori, che avrebbero concimato i campi, magari venduto unagnello. Oggi il furgone fa da cucina, camera e stalla ecuciniamo da soli. In Veneto dove una volta si andavamagari ospiti dei contadini, ora troviamo ville da unmiliardo e mezzo dalle quali è meglio stare alla larga. Nonti senti neanche di entrare. Non è che ti trattano male ma…Adesso se non passi e non sporchi la strada va meglio, icampi tanto vengono concimati in altri modi…».

«Non mi auguro che i miei figli facciano il mio lavoro. Neho viste abbastanza commedie in questi anni, non vorreiche i miei figli ne vedessero altrettante... Finché comandoio non voglio che facciano il pastore: di tutto fuori che ilpastore… per il guadagno, per la famiglia, veniamo trattatimale da tutti, da tutta la comunità. Alla gente piace ilgregge ma non lo sporco e che non mangino l’erba, piace ilgregge ma quello in cartolina per intenderci. Abbiamotutti contro: i cacciatori… Con i forestali va meglio ora chenel passato, con tante difficoltà. Le pecore non sonotelecomandate… sono imprevedibili rispetto ai confini».

Lago di Andalo.Il 24 ottobre il gregge pascola placidamente su un pratoarginato da antichi muretti a secco e grande quanto bastaper contenere comodamente le 700 pecore.Trovo il pastore che riposa dopo il pasto, disteso su unapanchina nei pressi del lago. È rilassato e disponibile arispondere alle mie domande, anche se esordisce dicendoche secondo lui non è cambiato molto nella vita dei pastorise non fosse per i mezzi che la rendono un po’ più comoda.Nel furgoncino c’è infatti il posto per dormire, ci sono le coseper cucinare, e c’è lo spazio per tenere gli agnellini che nonpossono camminare appresso alle pecore.Anche il gregge è tranquillo: molte pecore, e non accadespesso, sono stese all’ombra dei noccioli.Lorenzo è simpatico, al telefono era stato gentile, mi avevainvitata a non salire in Valandro: «Troppo ripido, tanto poiscendo… Ci vediamo sull’altipiano di Andalo sul comot». Ineffetti qui sulle rive del lago di Andalo è tutta un’altra cosa.Ma solo ora che conosco Valandro capisco cosa significa“pascoli alpini”. Quando cerco di farmi spiegare di quanteore di rumine hanno bisogno le pecore dopo il pasto,

Lorenzo scuote il capo: «Dipende… piene piene non sonomai. Se non le rinchiudi continuerebbero anche la notte amangiare…».Lorenzo parla volentieri del suo mestiere. È pessimista, nonha molta fiducia nel futuro, però è pronto alla risata e credeche raccontare, ricordare, anche a me, sia contribuire inqualche modo ad Alpinet Gheep e possa servire a qualcosa.Una delle sue osservazioni va ai parametri dell’alpeggiodell’UE, 800 pecore in 200 ettari per 80 giorni (questo dettala legge): «Non c’è nessuna montagna che soddisfi conquesti numeri il bisogno di pascolo delle pecore, iparametri europei non funzionano».Dell’orso parla brevemente: «L’ho incontrato molte volte euna volta ho dovuto tornare indietro perché non volevaandarsene». Il cane abbaia insistentemente, Carlo è già conil gregge che “appoggiato” al margine del prato pretendealtro pascolo. Li accompagno per un tratto mentrescendono a bere sulle rive erbose del lago semi-asciutto. Poili precedo al maso Pegorar per scattare qualche foto algruppo degli asini, i più giovani in “muta”. Ci salutiamo adistanza con un cenno del capo e della mano.

Mi piace la solitudine.Radio, giornali e televisione? Non mi manca niente, no, no.“

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«La tosatura la faccio una volta all’anno in aprile.Tra Treviso e Venezia mi faccio aiutare dalle squadre.Pago 2-2,20 euro l’una [costo totale della tosatura e deglioperai che danno una mano] e la lana vengono aprenderla. Non pago lo smaltimento, la portano via.Ogni pecora rende circa 2,5 kg all’anno di lana tosandolauna sola volta…».

«Un tempo gli spostamenti avvenivano nello stesso mododi adesso, ma a piedi, e gli asini portavano tutto quello che serviva».

«Spostare il gregge comporta tantissimi problemi per iltraffico. Tutti hanno fretta. Spesso non ci sono stradealternative a quella provinciale. La procedura per percorrerleè un po’ complicata: devi andare dal Prefetto… ma se devicambiare prato o comune dieci volte in un giorno, come fai? Non mi sposto di notte come fanno certi. Le amministrazionilocali fanno tanti problemi: certi comuni hanno fattol’ordinanza di non pascolare sul loro territorio. 430 euro èquanto ho pagato lo scorso anno di multa».

«L’orso è un problema perché ti dà più lavoro. Devi faresempre il recinto doppio, e poi non tutte le pecore valgonouguali nel caso di perdite. Quest’anno non abbiamo avutoperdite, ma le pecore si stressano se c’è l’orso che lespaventa. Nel recinto certo non stanno bene come quandopossono sistemarsi dove vogliono. Nel fango del recintopossono passarsi le infezioni alle unghie per esempio».

«Una volta la gente mangiava carne di pecoranormalmente, come l’altra, una ricetta trentina è il castràcon i capussi cotti. Oggi vendo tanto agli islamici, vendo

bene a Pasqua. Animali dai sette ai dodici mesi. In passatoho provato anch’io a regolare le nascite ma poi l’autunno ipiccoli erano così tanti che era difficile gestirli».

«Gli agnelli nascono tutto l’anno sul pascolo e anche alpiano. Al massimo cinque-sei anni è l’età delle pecore chetengo, il prezzo non è buono. Va meglio per gli agnelli e icapretti. Le capre le tengo per hobby…»

«Come chiamo le bestie? Con nessun nome, non parlo con le bestie».

«La strada che porta al pascolo va bene. Il baito no. Se lafamiglia vuole venire su dieci giorni non è possibile.Ospitarli nel container è impossibile».

«Ogni giorno per prima cosa si controllano le nascite.A seconda del pascolo che hai, può darsi che non ci siafretta, come qua per esempio, le puoi liberare alle 9 dimattina, se invece non c’è pascolo o devi “fare strada” timuovi prima. A volte in un’ora hanno già mangiato.Altre volte ci vogliono alcune ore. Poi riposano, ruminano… Alle 12 si mangia. Si mettono i piccoli alle mamme. Poi dinuovo al pascolo. Ci si ferma la sera, si mette il recinto, dinuovo i piccoli alle mamme, e infine la cena e a letto».

«I momenti difficili? Quando il tempo è brutto e non c’è damangiare per le bestie. Quelli belli? Mah… l’estate».

«Per il futuro sono pessimista. Troppe difficoltà! Cambiereilavoro ma non so cosa fare ormai…».

«La montagna? La roba più bella che se pol immaginar».

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Ore 7.45. Affioriamo dal mare di nuvole che grava sopraPonte Arche arrivando a San Lorenzo in Banale, allependici delle Dolomiti di Brenta, in un radioso inizio digiornata di fine estate.Sulla statale appena fuori dal paese ci sorprendiamonell’incrociare quattro uomini che scendono a piedi verso ilcentro deserto del paese… dall’aspetto decisamente stranoe fuori luogo. Potrebbero essere dei giostrai oppure deicow-boy un po’ trasandati: folti baffoni scuri, cappellacci estivali infangati.Ma dietro la curva la risposta alla nostra curiosità è subitoappagata: quattro autotreni attrezzati per il trasportoanimali sono parcheggiati uno dietro l’altro, e i quattrouomini sono gli autisti specializzati in trasportointernazionale di bestiame.Grazie a un amico guardaparco abbiamo saputo che ilgregge che pascola in Prada e Dorè è già in partenza, e perquesto siamo qui oggi. Tra poche ore i pastori con le loro1200 pecore saranno in viaggio per Borgo San Giacomo,Brescia, quindi il tempo per incontrarli, presentarci e farel’intervista con la partenza imminente è pochissimo.Risaliamo in automobile per qualche chilometro la stradaverso il rifugio Alpenrose. Fortunatamente quandoincontriamo il gregge, assieme al coro dei belati daimolteplici toni delle 1200 pecore, dei bellissimi asini e dellecapre ingorde che sostano all’ombra di pini e abeti, dopo lalunga discesa dall’Alpe, troviamo la piena disponibilità deipastori a raccontarsi.Sono tre i pastori della famiglia; fanno questo lavoro da tregenerazioni, e ora sono impegnati tutti, più un aiutante,nella transumanza. Normalmente durante la stagionedell’alpeggio si danno il cambio e a rotazione uno o due di

loro tornano dalle famiglie. In quel momento di pausafaccio alcune domande a Vittorio, il padre, e poi al figlioIvan, mentre Paolo sta organizzando la discesa a valle.Scendiamo anche noi assieme a loro, un po’ sulla stradina,un po’ per la vecchia ripida mulattiera selciata dove lepecore, come gocce di un pennello grondante di bianco,tracciano nel bosco traiettorie sinuose e improvvise, spintedai pastori e dai cani su uno sfondo dalle brillanti tonalitàdi verde. È una splendida giornata di sole. Il gregge cala avalle passando rapidamente tra antichi muretti a secco,antiche case da Mont ora ristrutturate. Un cane alla catenaabbaia fino allo sfinimento e sveglia un papà con duebimbetti che, incuriositi, escono in pigiama e salgono sulmuro di cinta per godersi lo spettacolo. Non manca comesempre qualche animale insubordinato che deborda o saltasopra ai muretti in cerca di erba più appetitosa, scalzandoqualche pietra qua e là. Gli agnelli appena nati sono giàstati caricati sul furgone dei pastori. Tutti gli altri, e nonsono pochi, scendono stanchi in coda al gregge.Arrivati al piano in località Manton, il gregge viene guidatosul lato opposto della statale dove grazie a una fascia dirocce è possibile delimitare uno spazio adeguato per ilpascolo all’ombra. Il recinto viene montato rapidamente etutte le mosse seguono un canovaccio ben sperimentato.

Ora però i pastori stanno discutendo fitto fitto in brescianostretto con i camionisti.Per iniziare a caricare il gregge è necessario girare tutti equattro gli autotreni, staccare i quattro rimorchi, disporliuno dietro l’altro unendoli con degli appositi by passperché le pecore salgano. Poi verranno caricate anche lemotrici. La manovra non è semplice: lo spazio per girare è

Vittorio e i figli Ivan e Paolo sono nati a Ponte di Legnoe risiedono a Borgo San Giacomo. Vittorio ha la licenzaelementare, i figli la licenza media. Vittorio è figlio diun pastore, parla italiano e il dialetto bresciano. Vittorio, Ivan e Paolo hanno 1200 pecore.

C’è un po’ crisi, adesso. Arriva la “roba” dall’estero a buon prezzo, è statoun fallimento anche per noi… Non c’è concorrenza, vendi un po’ a strappi.Non è una vendita normale. È fatica…

Venerdì 25 agosto 2006

S. Lorenzo in Banale, Valli Giudicarie

VITTORIO,IVAN,PAOLO

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«Per fare la transumanza porto giù le bestie “in bresciana”con i TIR già da 50 anni, prima mio padre andava a piedi.Gli spostamenti del gregge avvengono da San Lorenzo inBanale fino a Borgo San Giacomo con i camion, 6000 europer l’andata e il ritorno, poi facciamo il pascolo vagante. Ipascoli su sono sempre gli stessi, in montagna buonissimi.Il problema è la casa: a nessuno interessa di migliorarla…venga su a vedere».

«Giù pascoliamo nei campi dopo i raccolti di mais e altro.I momenti difficili sono giù in pianura… seminanodappertutto. Trent’anni fa si poteva pascolare lungo i fiumi enon c’era nessuno che diceva niente: oggi si è ridotto dellametà il pascolo… se erano cento ettari prima, adesso sono 50.Pascolare nei fiumi Oglio, Po e Adda è difficoltoso perché cisono i parchi, le riserve naturali, le riserve di caccia. Per noisono difficili aprile e maggio, che non abbiamo tanti pascoli».

«Giù fa molto caldo e c’è l’agricoltura, tutto seminato…Allora veniamo almeno tre-quattro mesi in montagna».

«Lungo i fiumi le bonifiche hanno dimezzato le superficidisponibili per il pascolo, già l’erba dei fiumi è magra maquando viene aprile e maggio che i campi sono tuttiseminati dove possiamo andare se non nei fiumi… Ma laforestale lo vieta. Lungo il fiume Oglio, da Brescia fino a 2km da Cremona».

«I pericoli per gli animali sono tanti… La volpe mi mangia gliagnelli, venti o trenta, anche l’aquila due o tre. L’orso nonsappiamo di preciso. Si è portato via una pecora con l’agnello,che avevamo lasciato fuori la notte dal recinto perchépartorisse… al mattino non c’erano più; abbiamo trovato letracce di pelo che andavano verso il bosco ma non ci sembravail caso di andare giù a verificare… Mai più andiamo a cercarlarischiando di disturbarlo se per caso sta mangiando».

ridotto al centimetro. Nonostante il traffico sia scarsissimo,si forma subito un piccolo incolonnamento. La manovrarichiede tempo. I curiosi nel frattempo sono aumentati. Ilpassaparola porta molti bambini dal paese, chi arriva inbicicletta con gli amici, chi accompagnato dai genitori inmacchina o addirittura con il trattore.Una volta disposti i mezzi, i pastori aiutati dai cani portanoalcune centinaia di pecore alla volta al punto “d’imbarco”dove grazie a una catasta di legname e a una motrice è statocreato un invito a imbuto. Cinquanta alla volta, le pecoresalgono sulla rampa in metallo. Centinaia di piccoli zoccoletticercano un appoggio sicuro nel frastuono crescente. Leprime percorrono tutto il lungo “tunnel”, e quando sono infondo viene chiuso un “cancello” con un metallico colposecco. Vengono sollevate con una sorta di “pianale-ascensore”. Ogni mezzo carica tre “piani” di animali per untotale di circa 150. L’operazione richiede calma e attenzioneper evitare che gli animali si feriscano calpestandosi nellacalca. Una pecora esce dal gruppo e si muove velocemente ascatti indecisa sul da farsi, passa sotto al camion e raggiungela libertà sul prato bagnato di rugiada.Una nonna con nipotino arriva con il termos del caffè e vadiritta a offrirlo al signor Vittorio: è una consuetudine chesi ripete da trent’anni.Le operazioni di carico proseguono sino dopo mezzogiorno.Seguirà un viaggio sotto il sole al termine del quale glianimali scaricati dai camion riacquisteranno la libertà. Ilprossimo pasto per loro sarà di un sapore diverso in unpaesaggio altrettanto diverso...

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Il papà e il nonno facevano i pastori,è una tradizione di famiglia.Mi piacerebbe che i miei figlicontinuassero, anche se è un mestieredi sacrificio…

«La tosatura la facciamo giù, una volta all’anno; la lana nonvale niente, però bisogna farla… Vengono a prenderla perpoco e niente [circa 80 centesimi al chilo e una pecora dà almassimo 3 kg all’anno], mentre la tosatura costa circa 1euro e 80 a pecora».

«La giornata? Dipende dal periodo dell’anno e, prima ditutto, da che tempo fa… Tutte le sante mattine ti occupidella nascita degli agnelli, controlli che la mamma nonabbia problemi di parto o la mastite, che i piccoli manginodalla rispettiva mamma, poi le mandi al pascolo, amezzogiorno le chiudi nel recinto che ruminino. Sicontrolla se qualcuna è zoppa o ha problemi alle unghie,poi si lasciano andare al pascolo. La sera si chiudono nelrecinto e si controlla che i piccoli siano con le mamme».

«Se nevica per noi è un disastro, bisogna prendere il fieno…gli agnellini soffrono; è come se prendesse la tempesta unagricoltore. Laggiù se non nevica stiamo bene. A settembre,ottobre e novembre dopo la raccolta del mais si può pascolarenei campi. Spesso si va a casa a dormire. Ci sono molte aziendeche non hanno più le mucche e alle volte ci “appoggiamo” aqueste stalle. Si starebbe bene anche qua, è un buonissimopascolo, una bellissima malga. Peccato che non hanno nessuninteresse a fare una piccola strada. La casa è la stessa cosa chevedere nel terzo mondo… Solo un piccolo rifugio».

«C’è un po’ crisi, adesso. Arriva la “roba” dall’estero a buonprezzo, è stato un fallimento anche per noi… Non c’è

concorrenza, vendi un po’ a strappi. Non è una venditanormale. È fatica…».

«Se la solitudine mi pesa? No, abbiamo la radio, ilcellulare, quando andiamo a fare la spesa in paeseprendiamo il giornale».

«Come vedo il futuro? Non troppo bene perché già adessoci sono molti problemi… Se nei mesi di aprile e maggiofosse permesso di pascolare sui fiumi troveremmo buonpascolo, acqua e ombra…»

«La via per la malga e il pascolo? Quest’anno hanno sistematola strada e va meglio, l’anno scorso era un disastro».

«Come chiamo le bestie? ‘Ndiamo ‘ndiamo, e loro vengono».

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16 agosto, ore 12.Piove in tutta la Valle dell’Adige. Sull’altipiano di Folgariaancora no; raggiungo Fondo Grande, la zona delle piste dasci, e mi si indica la strada per raggiungere la malga doveho appuntamento con Stefano. La stradina militare sterratasale leggermente nei pascoli della malga Parisa, a quota1365; due edifici di forma armonica su un’altura mostrano isegni del tempo. Stefano esce fuori per venirmi incontrozittendo un cane scuro che abbaia e mi invita gentilmentea entrare nella grande cucina dove attorno al tavoloapparecchiato ci sono altri due uomini e una donna, tuttioltre la cinquantina. La donna si chiama Anna, è piccola, colvolto segnato da morbide pieghe, sorride gentile e mi fapiacere che ci sia. Mi si invita a consumare con loro unrisotto ai funghi e bere vino, mentre aspettano che sulfuoco di un enorme caminetto finisca di cuocere dellacarne su una graticola. La stanza è grande, tutta una pareteè percorsa da una cappa in muratura che in origineraccoglieva il fumo dei fuochi che servivano per scaldare illatte e produrre il formaggio; anche delle vasche incemento testimoniano il passato uso per caseare burro eformaggio, attività ora dismesse. Il fragore della pioggia

battente sul tetto che scende copiosa davanti alla finestrasenza grondaia e il crepitio del fuoco fanno da sottofondoalle voci basse degli uomini e di Stefano, che parlavolentieri del suo lavoro e del futuro che sta costruendo. Luiè il pastore più intraprendente che ho incontrato, menofatalista: vicino a lui ci sono due esperti pastori in visita,ma è della donna che lui mi parla, quanto sia importanteper rendere la loro vita di viandanti più confortevole epulita. Stefano ha delle idee per il futuro che starealizzando: sta trasformando parte del suo gregge datransumante a stanziale per produrre formaggio pecorino.Il tempo scorre in fretta; la voce di Stefano è giovane evigorosa ma non ha perso quell’intonazione di chi provienedalla città; sembra lì quasi di passaggio, in effetti in questomomento il suo gregge si trova in tre località molto distantiuna dall’altra e per questo spesso si sposta per seguire ilavori e rifornire i pastori di ciò di cui hanno bisogno. Fuoripiove a dirotto, l’acqua si infiltra nel tetto e gocciola a terra,sul cemento del pavimento irregolare. Purtroppo non vedoil suo gregge; le pecore sono lontane con il pastore e i cani.Più tardi le raggiungeranno per sistemarle nel recintomobile per la notte e torneranno alla malga a dormire.

Stefano, 36 anni, è nato e vive a Trento. Figlio di Mauro e Anita, ha il diploma di scuola media. Ha due figli di 4 e 12 anni, che amano gli animali epassano con lui l’estate. Stefano, che in precedenza halavorato presso la federazione allevatori e come autista,parla l’italiano e il dialetto trentino. Si augura che i suoi figli continuino il suo lavoro.

I momenti belli sono sempre, per soldi uno non fa il pastore.

16 agosto 2007

Malga Parisa, Fondo Grande,

altipiano di Folgaria

“STEFANO

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«In montagna l’è bel. Però è un po’ monotono: sempre lastessa gente… Quando invece ti sposti parli con gente nuova.Quando sei al piano non vedi l’ora di tornare in montagna».

«I turisti passano nei luoghi che frequento, e chiacchieranovolentieri».

«Credo nell’utilità di una scuola anche nel settore dellapastorizia per capire le leggi, i diritti e i doveri dei pastorie così via».

«Burocrazia e leggi dovrebbero agevolare la nostra attività,altrimenti questo lavoro va a scomparire».

«I momenti belli sono sempre, sempre; per soldi uno non fail pastore».

Quando ero più giovane, avevo dato il sale alle pecore, poi avevo giocato e scherzato. Poi Gianni, il pastore capo,si mise in moto con il gregge sullastrada per cambiare pascolo. Quandoarrivammo nel campo Gianni michiese dove fossero gli agnelli e soloallora capii di averli scordati nelpascolo precedente. Non è un lavorosemplice catturare gli agnelli...

«Da 15 anni faccio il pastore, sì, la prima volta in Bondonecon Gianni, un pastore più esperto. Avevo 20 anni; per unanno e mezzo avevo delle capre, poi sono passato alle pecore».

«Gli spostamenti degli animali? Avvengono a piedi, con lamacchina e la roulotte. Per transitare sui territori le leggisono le stesse dai tempi lontani di Teresa d’Austria. Si devechiedere dieci giorni prima ai comuni il permesso.Un grosso problema è quando giù in Veneto si concentranotutti i pastori trentini, veneti e altro, allora i comuni nonvogliono dare i permessi. Altro problema quando facciamoil percorso del fiume Adige, la legge prevede che si possapascolare sugli argini, ma che non si possa sostare la notte.Ecco che questo ci costringe ad andare dai campi all'arginedove spesso ci sono le piste ciclabili che ovviamentenell’attraversamento sporchiamo con tutte le proteste delcaso. Altre difficoltà sul territorio? Dove prima c’erano ipascoli adesso ci sono strade, fabbriche, edifici vari.Transitare in certe zone è difficile, traffico, capannoni, areeprotette lungo i fiumi, riserve di caccia. La primavera neicampi è seminato… Succede che in certe zone dove ci sonodiscariche abusive le pecore si feriscono oppure brucanol’erba mettendo in luce rifiuti anche pericolosi che leerbacce nascondevano. Taluni organizzano dopo ilpassaggio del gregge delle giornate ecologiche per ripuliregli argini dei fiumi».

«In montagna direi che il pascolo è migliorato: questamalga, per esempio, caricava vacche, ora ci siamo solo noi eil pascolo è ottimo».

«Solo da un anno c’è un aiutante che munge 150 pecore conla mungitrice e fa tutto il resto. Alle 6 del mattino munge,poi le porta a pascolare, poi in stalla e infine la mungituraserale; queste sono pecore delicate, che vanno tenute installa quando piove altrimenti perdono il latte».

«Per la tosatura chiamo le squadre dei tosatori, la lana nonvale niente, la brucio e pago la multa, dieci quintali di lana.Il mangiare per tutti, più gli operai sono un costo; mihanno fatto pagare anche i colori che servono acontrassegnare le pecore. Da quel giorno ho detto basta,non voglio più avere a che fare con loro».

«Le nascite sono tutto l’anno perché lascio i maschi liberi;20-40 giorni prima che gli agnelli mangino l’erba sivendono per l’abbacchio agli italiani. La vendita? Quasitutti agli extracomunitari, una piccola parte agli italiani».

«Io guardo al futuro e penso che tenere pecore da latte siala via per sopravvivere alle nuove politiche europee ched’ora in avanti saranno volte ad aiutare paesi come laRomania. Se un agnello dalla Romania arriva a un terzo delprezzo rispetto al nostro, io non avrò più i soldi per vestire emandare a scuola i miei figli (manderò a scola i me fioi enmudande). C’e da dire poi che la gestione delle pecore dalatte è più costosa, acquistare le attrezzature, l’erba, averesempre una stalla e un uomo che munge».

«I pericoli? Volpi, aquile, orsi. A malga Campa, nel gruppo delleDolomiti di Brenta, l’orso c’è, e il pascolo è più pericoloso».

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Aspetto Cheyenne in località Penasa dove ha una partedelle pecore che pascolano in un grande recinto appenadietro le case, sui prati attraversati da muretti a secco chesalgono verso il bosco di larici e abeti rossi. Le pecore chevedo qui sono di più razze: le Biellesi, le Suffok, le Vallesi eun’altra… Hanno il vello e i colori diversi. Alcune hanno lecorna, molto belle. Pascolano tranquille e qualcuna è già incerca dell’ombra per riposare. Io le trovo buffe. Ce n’è unache appoggia il muso su una pietra che sporge dal muro asecco e chiude gli occhi dimostrando l’assoluta comoditàdel luogo trovato.Cheyenne quando arriva non è sola. Sua sorella, anche leicon un cappellaccio in testa, smonta il recinto elettrico. Ilfidanzato carica l’attrezzatura sul rimorchio del trattore.Di norma Cheyenne è sola a fare questi lavori. Giusto ierisera però il dottore le ha diagnosticato una polmonite.Quindi dovrà farsi aiutare per un certo periodo…Fortunatamente il suo “moroso” ha finito l’alpeggio dellevacche in malga e quindi ora avrà più tempo per aiutarla. Inogni caso Cheyenne chiama il cane Brasca, un cane diun’antica razza tedesca, e guida il gregge in un prato appenasotto la stradina. Ci sediamo sull’erba osservando le pecore.Lei mi racconta molte cose che ascolto con interesse. La suaesperienza in Germania e la scuola professionale che hafrequentato le hanno fornito gli strumenti per spiegarmi ilsuo lavoro e anche molte cose sul comportamento dellepecore, in modo particolarmente approfondito. Il suo mododi raccontare è tranquillo. È una bella ragazza, giovane, chesorride volentieri e trasmette serenità e sicurezza. Il suopercorso lavorativo è molto diverso da quello degli altripastori che ho incontrato. Ma proprio la formazione teorica,l’esperienza di transumanza nella zona della Foresta Nera enell’azienda agricola la rendono preparata e all’altezza della

situazione. C’è da dire anche che lo spirito con cui si pone neiconfronti del territorio e della pastorizia è diverso da quellodei pastori transumanti. Lei è molto contenta di pascolare inquesta valle, dando con il suo lavoro un contributo allaconservazione dei prati e alla cura del paesaggio. È ancheattratta, è vero, dall’idea di fare la transumanza fino giù almare, oppure l’alpeggio fino in alta quota, di certo non èinteressata ad avere un gregge enorme di pecore puntandoal massimo ricavo e sacrificando il “piacere” della bio-diversità nel gregge. È lei che mi parla per la prima volta dipecore da paesaggio, concetto a me nuovo, ma noto negliambiti di tutela e conservazione ambientale.È sempre lei che mi mostra quali sono le erbe che le pecore piùgradiscono, quelle a foglia larga come la piantaggine, il rumex…«Le pecore come gli altri animali se li tieni come il Signore le hacreate non hanno problemi». È quando si fa l’allevamento dimassa, e di conseguenza cambia l’alimentazione, e lecostringono a una vita diversa e poco naturale, che questesi ammalano. Sono animali forti in genere.Ora le pecore si stanno spostando e anche noi con loro.Brasca è molto brava ma il punto di osservazione del pastorerispetto al gregge deve essere sempre ottimale. Talvolta se sivuole che il prato venga recuperato dopo anni di abbandononon è sufficiente lasciare pascolare le pecore per qualche ora,giacché la presenza di erbe secche e poco appetibili(graminacee e ciperacee) motiverebbe il gregge a passarevelocemente a un prato migliore. È necessario quindimettere un recinto e far rimanere le pecore anche la nottenel prato abbandonato, così che il calpestio degli zoccolispezzi e frantumi gli steli secchi rimasti a terra per anni.Cheyenne ha progetti per il futuro che sono legati alla valle,al “moroso” e agli animali senza i quali non potrebbe stare..Da poco ha preso il libretto d’imprenditrice agricola.

Cheyenne è nata in Germania e risiede in Val di Rabbi.Figlia di un artista e di un’educatrice-terapeuta d’arte, ha studiato alle scuole elementari e medie in Val di Rabbie Sole, alla scuola Steineriana in Germania, poi ha fatto due anni di apprendistato in una scuola di pastori nell’exGermania dell’Est, lavorando e studiando. Dopo averlavorato come cameriera, barista, baby sitter, ha iniziato afare la pastora quattro anni fa. Parla il tedesco, l’inglese,l’italiano e il dialetto. Ha un “moroso” e non ha figli.

La solitudine mi piace.La sera posso sentire la radio, la tv, la musica, non manca nulla.

27 Settembre 2006

Piazzole Val di Rabbi

“CHEYENNE

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«Turisti ce ne sono tanti: una volta alla settimana per l’EnteParco mostro il gregge e faccio delle dimostrazioni con i cani».

«Conto le bestie da stalla a stalla, sono tutte segnate su unregistro dove annoto anche la crescita, e il loro rendimento».

«Quando nevica abbondantemente ho problemi perritornare a casa, abitiamo sull’altro lato della valle e lastrada forestale che conduce alla casa ovviamente nonviene spalata, cosi qualche volta le slavine neinterrompono l’accesso».

«Un mercato per il formaggio ci sarebbe, ma ci voglionoattrezzature, stalla e caseificio che qui non ci sono e tuttodeve essere a norma, e comunque prima di guadagnarequalcosa ci vogliono anni».

«In futuro spero che cambi il modo di fare anche i corsi diformazione, ne sto frequentando uno, e anche dellemodalità legate ai contributi agricoli che attualmente nonaiutano chi vuole partire con poco, perché prima di potervedere dei risultati dalla propria attività si deve aspettaremagari dieci anni, è davvero troppo».

«Con le amministrazioni locali e i privati va tutto bene.Ho un accordo con il Comune che mi paga per il servizio di“pulitura “ dei pascoli abbandonati che svolgo durantetutto l’anno. Per il Comune è importante che quando arrivala neve io abbia pascolato quello che mi è stato richiesto.Per i proprietari dei prati è gratuito».

«Per chiamare le bestie uso delle parole tedesche che hoimparato in Germania».

«La scuola? Sono contenta di quella che ho frequentato ioe credo che anche all’Istituto agrario di San Micheledebba partire un corso. Le scuole non vengono a vedere lamia attività».

«Se mi auguro che un giorno i miei figli continuino questatradizione? Sarebbe bello».

La montagna è la mia casa.Mi piace anche fare qualcosa di utile per la montagna, non solo godere delle cose belle che offre.

«La solitudine mi piace. La sera posso sentire la radio, la tv,la musica, non manca nulla».

«Col moroso passo tanto tempo quando lui è su in malga, imesi estivi di meno».

«Gli spostamenti del gregge avvengono a piedi come unavolta, spesso i sentieri non ci sono più a fondovalle, così mitocca tornare sulla statale».

«Il veterinario viene per i vaccini e casomai lo chiamo altelefono se sono in difficoltà. Gli animali conoscono le piantevelenose del territorio da cui provengono, l’anno scorso hannomangiato forse l’aconito assieme alle altre erbe e per qualchegiorno non erano proprio se stesse, ma poi è passato».

«La nascita è concentrata a marzo e aprile; a Pasqua nonsono pronti, solo le Vallesane lo sono. Io vendo soprattuttoin autunno, bestie di 8-14 kg, al massimo 30; dopocominciano ad avere il grasso e il sapore intenso, il saporedi pecora non piace molto ai trentini e non lo vendi più.Vendo soprattutto ai locali. Mi occupo di vendere solo lemie bestie, 20-40 all’anno a 2,5 euro al kg vivo».

«I musulmani hanno altre usanze, in Lazio mi dicevano cheli macellano a 6 kg, quando l’agnello ha due settimane ecomincia a rosicchiare l’erba».

«I momenti più difficili sono quando piove, che devospostare i recinti e le pecore sono nervose, o quando perspostarle devo camminare sulla statale facendo formarecolonne di automobili. In autunno, invece, ci sono dellegiornate in cui le pecore sono calme e si sta tranquilli:quelli sono i momenti più belli».

«I pericoli? I cani, che di giorno sono alla catena e la nottevengono liberati. Poi, alle pecore può far male mangiaretroppa frutta, troppo mais, succede poi che non riescano arigurgitare per ruminare e quindi stanno male, si gonfiano.Anche a primavera quando gli animali giovani passanodall’alimentazione a fieno all’erba fresca si deve fareattenzione, in maniera graduale».

«A fine aprile toso solo le adulte con la macchinetta, in unquarto d’ora ne faccio una, poi durante l’estate toso gliagnelli a mano con la forbice. La lana bella la regalo a deimiei amici che me la chiedono».

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È una giornata di agosto, il cielo è bianco-grigio, latemperatura attorno ai 15 gradi, sotto la media stagionale.La stradina forestale in leggera salita attraversa uno scurobosco di maestosi abeti rossi. Il richiamo della ghiandaiarompe il silenzio. In vista della malga c’è il silenzio, nessunoscampanellio. Qualcuno si sposta dalla malga alla stalla, ilcane abbaia appena ci individua, e siamo ancora lontani,all’inizio del pascolo.Entro nella stalla e trovo Adriano che mi invia da Teresa, èlei il “capo” cui rivolgere le domande.Teresa ha i capelli lunghi e biondi legati a coda di cavallo.Sta andando a prendere qualcosa nella cucina dellamalga, ha ai piedi gli stivali di gomma verdi e fa lunghipassi sul terreno accidentato e ripido. La seguo. Ha inmano un catino che va a riempire con del mangime,credo per i cani. La seguo un po’ avanti e indietro perpresentarmi e chiederle quando e se avrà un’oretta dadedicarmi per l’intervista. Ha un bel sorriso aperto e,seppur indaffarata, mi invita a prendere un caffè poco piùtardi. Adriano, il pastore, barba bianca e cappello in testa,all’apparenza è un po’ più burbero, ma in realtà quandogli si parla è molto gentile e disponibile. Questopomeriggio sta preparando la macchina perché scenderàa valle per prendere degli ospiti in arrivo. Il terzo pastore,un giovane albanese, scenderà dai pascoli alti con ilgregge solo più tardi, verso le 16-16.30.Dietro la stalla, altri animali da cortile: galline, anatre e unasino. La malga è composta da una grande stalla e da unabella casetta che offre i giusti confort: cucina, camere e bagno.

Teresa è molto socievole, è americana ed è in Trentino già daalcuni anni, parla bene l’italiano e anche un po’ di dialetto.Mi racconta della sua vita avventurosa anche attraversol’oceano come aiuto skipper. Si toglie gli stivali ed entriamoin casa dove beviamo un caffè e incomincia a raccontarmi.Approdata in Trentino Alto Adige per la raccolta delle melealcuni anni fa, conosce Osvald dal quale apprende l’artedell’allevamento delle capre e si appassiona a questi animali.All’Agnelessa è già da qualche anno e gestisce un gregge di300 capre di vari proprietari organizzati dall’AssociazioneAllevatori Caprini Val di Fiemme.Rimango fino all’ora della mungitura poco dopo il rientrodal pascolo, lo scampanellio è intenso. Le capre occupanoun ampio spazio scendendo tra gli abeti, ma in breve ipastori con i cani le incanalano nel recinto e poi nella stallaconcentrandole all’interno dove lo scampanellio diventa unconcerto forte e ipnotico. Qui attendono di passare nellasala mungitura adiacente e poi sul carrello, in gruppetti disei alla volta. Nella sala mungitura tutto si svolge moltorapidamente, Teresa pulisce le mammelle delle capre eposiziona l’aspiratore di gomma e acciaio mentre unsistema automatico pompa il latte in particolaricontenitori in acciaio.Al termine della mungitura il latte verrà portato a valle alcaseificio di Cavalese per la produzione di formaggio, e aTeresa resterà il compito di ripulire tutta l’attrezzatura e lasala per la mungitura.Teresa è contenta del proprio lavoro e sicuramente l’annoprossimo la ritroveremo qui, a lavorare con le “sue” capre.

Teresa è nata in Canada e risiede a Masi di Cavalese.Figlia di una giornalista e di un geologo che lavorava nel settore dei pozzi di petrolio, ha studiato fino a 18 anniprima di fare molti mestieri: raccoglitrice di frutta,cameriera, aiuto skipper, insegnante di inglese inSudamerica. Da sette anni fa la pastora. Parla inglese,italiano, spagnolo e francese e capisce il tedesco(altoatesino). Conosce anche il dialetto fiammazzo.Non ha marito: «Scherza? Sono sposata con le capre». Teresa ha un gregge di 300 capre.

Da qui passano tanti turisti, che fanno sempre le stesse domande.Dalle loro domande capisco quanta differenza c'è tra il mio mondo e il loro.

17 agosto 2006

malga Agnelessa

Val di Fiemme

“TERESA

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«Ho un cane da pastore; sempre uno solo, a causa dellacompetizione che c’è tra loro… Ogni pastore ha il suo. Èimportante che il cane sappia fermare le capre al momentogiusto senza spaventarle».

«Mi alzo alle 3.30, caffè e sigaretta. Dalle 4 fino alle 6 simunge poi tutti e tre si fa colazione, latte, pane, muesli, poiuno di noi va al pascolo con le capre, in due si fanno lepulizie della stalla e della sala mungitura. Adriano fa damangiare, si pranza, si riposa un po’. Si riprende preparandotutta l’attrezzatura per la mungitura. Verso le 16.30-17rientrano le capre dal pascolo, si munge, alle 19 arrivano aprendere il latte dal caseificio, poi si deve pulire tuttal’attrezzatura con acqua calda e prodotti appositi per l’igiene,si cena e si va a letto stanchi. Se invece è il turno del pascolo,alle 6 ti avvii ai pascoli verso il passo Manghen e dintorni a2000 m, con i panini e qualcosa da bere. Raggiunto un buonpascolo le capre si fermano, brucano, poi ruminano, siriposano. Noi mangiamo il panino, poi si rimettono apascolare. Quando sono sazie si scende piano piano verso lamalga. Quando hanno le "scarpe dure" [le mammelle pienedi latte] vengono volentieri a farsi mungere».

«Da qui passano tanti turisti, che fanno sempre le stessedomande. Dalle loro domande capisco quanta differenzac’è tra il mio mondo e il loro».

«La solitudine mi consola, non mi manca la tv: ho la musica.Mio padre mi manda i giornali dall’America ma non miinteressano molto. Forse è egoismo, ma non provo curiosità».

«Rispetto a una scuola per pastori ho paura che non cisiano tante persone interessate».

«I bambini non sanno da dove viene il latte che c’è alsupermercato…».

«Questo è il mio lavoro, non vedo grandi cambiamenti per il futuro».

Il valore della montagna? La natura, la magia delle stagioni,il cambio dei colori, dei rumori e degli odori mese dopo mese.Aspetto l’autunno, la neve…

«I pericoli sul territorio sono vari: ad esempio, la caduta disassi: lo scorso anno sono finita all’ospedale a causa di unsasso in testa e tre capre sono state colpite. Una poi èmorta. Quando gli animali sono nervosi o agitati per lapresenza per esempio del beco si muovono in fretta e,correndo sul terreno roccioso, provocano la caduta dei sassioppure si mettono in situazioni senza uscita e l’arrivo dadietro delle altre provoca la caduta delle capre stesse. Èsuccesso ancora di dover poi calarle giù con le corde. Unaltro problema è che mangiano il veratrum (solo quandonon ha il fiore), piace come fosse zucchero, poi stannomale, fanno versi perché non riescono a vomitare e quindiliberarsi. Tu devi farle vomitare poi dare il carbone per ilgas, poi il lievito e le flebo. Se arrivano a gonfiarsi poimuoiono. Poi ci sono i morsi di serpenti o tagli…».

«Gli spostamenti del gregge avvengono a piedi, quando èpossibile percorrendo sentieri e strade forestali; bisognastare attenti alle automobili, poi le bestie vogliono fermarsi amangiare. La strada per il Manghen è stretta e non tutte lepersone hanno la pazienza di aspettare per poter passare».

«I momenti difficili? Quando piove, con il fango le bestievogliono stare nella stalla e lì c’è il letame, si sporcano, poiattraverso il fango e il letame si passano delle malattiedegli zoccoli. La mungitura è un po’ pesante, sei-sette ore algiorno. I momenti più belli sono quelli passati al pascolo:mi piace tanto. Ci alterniamo con l’altro pastore».

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Arrivare a Malga Alpo è veramente semplice anche se i kmda Trento sono 80 per arrivare a Bondone di Storo, più i 6km di stradina militare, stretta ma asfaltata, che ci porta apoche centinaia di metri dalla Malga. L’ultimo tratto lopercorro a piedi; bellissimi sono i grossi faggi checosteggiano la strada forestale sterrata che conduce alpiano dove si trova la malga. Il limite del bosco è poco piùsu e le cime dei monti attorno non sono molto lontane, masiamo solo a 1500 di quota, è una bella giornata di sole,ampio il panorama tutt’attorno. Siamo molto vicini alconfine con la provincia di Brescia, con la Val Vestino chenel 1934 fu esclusa dai confini trentini. I molti capanni perla caccia agli uccelli, il toponimo roccolo sul dos Avez e lanon troppo distante Bocca del Caset dove il MuseoTridentino di Scienze Naturali inanella gli uccelli di passoconfermano l’abbondante presenza di uccelli.Graziano e Loretta mi accolgono molto bene. Graziano,operato da poco alla gola, parla con voce alterata, ma la suacomunicatività è forte e Loretta che lo conosce da tempo mifa in alcuni momenti da interprete. Le cose che hanno daraccontarmi sono così tante che, dato che in questomomento il lavoro lo permette, mi fermo a pranzare con loro.Ci sono moltissimi animali domestici: mucche, capre, cavalli,pecore, maiali, cani, gatti, galline. Fuori fa caldo, così entriamonella grande cucina dove ci sono ancora, anche se la malga èstata in parte ristrutturata, le caratteristiche grandi cappe inmuratura che raccoglievano i fumi dei due grandi fuochiaperti necessari per “caseare”, fare il formaggio.Alle pareti attrezzi, mestoli e forbici per la tosatura dellepecore, ma soprattutto una gran quantità di foto diGraziano: la sua famiglia, amici, greggi, cavalli. Sonopiuttosto rovinate ma raccolte con cura. Ci sono anchearticoli di giornale dove Graziano è con il suo greggevent’anni fa, e foto di pecore morte colpite dal fulmine.

Graziano mi racconta delle difficoltà che ha dovutosuperare all’inizio, quando lavorava col padre che non glidava nessuna ricompensa, così che andava a fare ilmanovale di giorno e la sera accudiva gli animali. Più tardi,quando finalmente aveva le proprie bestie, gli era vietatodal padre pascolare nei prati di famiglia.Altri racconti di Graziano hanno dell’incredibile. Comequando, molto giovane, approfittando delle fitte nebbiebasse aveva sconfinato col gregge nel vicino pascolo dellemucche di tre fratelli che, accortisi, lo rincorserolanciandogli una forca da fieno nella schiena e lo trafissero,mandandolo in ospedale. Racconti che rivelano la durezzadelle condizioni di vita in quelle zone di confine.Mi mostrano un bel libro sulla storia di Bondone e mileggono la drammatica lettera di una vedova in difficoltàeconomiche che prega le sia tolta la sanzione dellaforestale per aver catturato dei pettirossi con il vischio peril sostentamento dei suoi bambini.Infine usciamo fuori. Le pecore sono all’ombra di alcuniabeti rossi, tranne una che sta assieme alle capre che sonoattorno alla stalla in cerca di ombra. Quella pecora era natacon le zampe anteriori storte e Graziano, per raddrizzarle,gliele ruppe provvedendo poi a fasciarle e medicarle concura. La pecora, allattata da una capra e cresciutanormalmente, oggi non ama la compagnia delle pecore etrascorre tutto il tempo con le capre.Loretta è appassionata della vita con gli animali e faprogetti per il futuro. È della Val di Ledro e ha frequentatocorsi di formazione presso l’Istituto agrario di San Micheleall’Adige per la produzione di formaggio di capra, cosa chenei prossimi anni spera di far diventare la sua professione.Loretta è una giovane donna molto loquace, carina eallegra: è bello vedere che la montagna viene vissuta conentusiasmo, e il buonumore è contagioso…

Graziano, figlio di Ernesto e Livia, è nato nel 1951 a Bondone, dove risiede. Ha la licenza elementare e in passato ha fatto il muratore e il boscaiolo. Non ha moglie né figli. Parla il dialetto.

No, no, non c’è solitudine quassù.La nostra tv è guardare la sera tele-mucca, tele-pecore, tele-gatti,cani, tele-capre, cavalli, i maiali…

5 settembre 2006

Malga Alpo di Bondone di Storo

GRAZIANO

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«Per le capre abbiamo sperimentato un nuovo orario per nondoverci alzare troppo presto. La sera le mungiamo più tardi,alle 19, così al mattino si può iniziare a mungerle verso le 7».

«Molti anni fa hanno trovato la brucellosi a 30 pecore, cosìche dovetti eliminarle, poi mandai le orecchie, conorecchino di riconoscimento, a conferma dell’eliminazionedegli animali ammalati – c’era un contributo – ma ci sonovoluti tre anni per eliminare la malattia dal gregge.Per le ferite del piede si usava la resina dei larici, ma non sipoteva: la forestale controllava. Anche dalla cortecciadell’abete bianco si prelevavano piccole quantità di resina;per le piaghe, aceto e cenere».

«Gli agnelli nascono in autunno e primavera, i capretti agennaio-marzo. Il capretto intorno ai 10-12 kg vienevenduto a gente del posto, mentre gli agnelli grandimaschi ci vengono richiesti dai marocchini».

«Da giovane ero al pascolo come lavorante da un allevatoreche aveva più di un aiutante in Val Vestino. Un giorno ilproprietario si accorse che c’era qualcosa di strano nelripetersi della sparizione di alcuni agnelli, così si nascose espiò un aiutante. Questi portava gli agnelli più belli avendere in un rifugio poco distante e poi riferiva chel’aquila o la volpe li aveva predati. Scoperto, per punizionevenne legato a testa in giù a un albero».

«A marzo le pecore cominciano a pascolare intorno al paese,poi si comincia a salire. Intorno ai 1000 metri rimango perun mese o due ai Baitoni, poi a maggio-giugno vengo sudefinitivamente e resto fino a quando va via la neve, di solitoa dicembre. Il pascolo della malga è grande e gli animali,

capre, cavalli, pecore e mucche, pascolano in luoghi diversi».

«Per le pecore mi arrangio a tosarle a mano di solito agiugno, mentre per gli agnelli aspetto che passi il caldoverso settembre, altrimenti le eventuali piccole feritevengono infettate dalle mosche. Qualche sacco di lana lotengo, se qualcuno me la chiede. Per lavarla si mette neisacchi di iuta nell’acqua di un torrente pulito. Il comune cidà una mano per smaltire quella che rimane».

«I pericoli? Ci sono i cani liberi che spaventano le pecore ele fanno cadere nei dirupi, e i fulmini: nel ’77 sono morte 27pecore colpite dal fulmine».

«Sono bravo ad aggiustare le ossa rotte. Sistemo la zampa,la fascio stretta, metto la resina perché non si infiammi».

«Per raggiungere la malga c’è una strada militare austriaca,asfaltata non molti anni fa. Per andare in paese a fare laspesa mi sposto con l’Ape dall’84. Poi ho una vecchia moto».

«Una volta gli agnelli nascevano alla fine della stagione dei carbonai, verso settembre: per festeggiare, tutticomperavano un agnello».

«I momenti più duri sono a giugno e luglio, quando devofare il fieno e c’è molto da fare. A novembre c’è poco damangiare. L’ inverno è disagevole, ma non c’è tanto dalavorare: alle 17 gli animali sono al riparo e la giornatafinisce. Il periodo più bello, invece, è a settembre».

«La scuola? Si impara sul luogo…».

«Mio padre faceva il carbonaio, tutta la famiglia si spostavasulla montagna… Alcune mie sorelle sono nate mentreerano a fare il carbone. Il papà ha iniziato a fare il pastorenel ’51 con dieci pecore, dopo 16 anni siamo arrivati adavere 130-140 pecore selezionando le più belle, la mammaaveva delle capre: a un certo punto erano 25».

«Ci tenevano a scuola a ripetere l’anno: facevamo la sesta,la settima, perché non c’erano le scuole medie…».

«Un tempo gli spostamenti si facevano a piedi e con gliasini di mio nonno per i carichi, dal pascolo a Bondone, a800 m, dove aveva una stalla con recinto, e dal paese alpascolo a 1500 m, seguendo la crescita dell’erba».

«Faccio il pastore da sempre; è che quando litigavo con miopadre andavo a trovarmi altri lavori. Dall’84 mi sono messoin proprio, ci vuole passione per fare il pastore, e miofratello non ce l’ha».

«Quella che faccio non è proprio transumanza ma scendevofino a fondo valle l’inverno per sfuggire alla neve».

«La mia mamma faceva il formaggio di capra e lo vendevaa chi passava e ai paesani. Abbiamo 40 capre da latte chemungiamo per fare il formaggio. Per uso proprio. Stiamoaspettando che il comune dia il via a un adeguamentodella casera per poterlo produrre e vendere».

«Una volta questo pascolo serviva per 200 mucche, per lepecore i pascoli erano altri: più magri, più su verso il monteTombea. Per le pecore, sempre i pascoli più brutti…».

C’è un discreto passaggio, qui c’è unbivacco segnalato su alcune guideescursionistiche.Viene gente sia con la mountain bike che con gli sci per sci-alpinismo,e anche perché ci sono delle fioritureparticolari.

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Il luogo è veramente molto bello. L’apertura che lo rendeben esposto, la pendenza alternata a pianori, la presenza diacqua e la vegetazione con prevalenza di larici rendono illuogo particolarmente ameno.Marco proviene da Varese, fin da piccolo frequentava per levacanze queste valli alle quali è rimasto molto legato, checonosce molto bene anche alpinisticamente parlando. Daqualche anno aiutava i pastori che avevano in gestione lamalga Covel prima di lui, e da quest’anno assieme a unsocio conduce la malga dove trovo 250 capre, 174 delle qualivengono munte regolarmente due volte al giorno: con illatte ottenuto si produce dell’ottimo formaggio presso ilcaseificio turnario di Pejo. Le trovo che pascolanoaccompagnate dal pastore poco distante, mentre pervedere il gregge di 235 pecore dovrei salire fino su in altosui pascoli a quota 2500-3000 m.

Marco è un ragazzo molto soddisfatto della sua scelta. Inquesti giorni i suoi genitori sono qui in visita. Bisogna direche la malga, da poco restaurata, ha davvero tutte le comoditànecessarie, l’acqua e l’energia prodotta da panelli fotovoltaici:la strada è sterrata ma in ottime condizioni, le condizioni e leattrezzature per la mungitura sono davvero ottimali.Marco è di poche parole, come chi crede che vedere e faresiano il vero modo per conoscere, e lascia alle parole giusto ilminimo spazio: mi racconta che in futuro si vorrà occuparesolo di capre. Attualmente le pecore sono su in alto, arrivanovicino al ghiacciaio, scendono solo a fine stagione, tra pochigiorni, quindi. Lui sale tutti i giorni fin lassù per vedere chetutto vada bene e per spostarle da una valle all’altra quandol’erba scarseggia. Non ha nessun cane pastore (per scelta) madice che per lui va bene così, al pascolo alto non ci sonoproblemi né di confini, né di predatori, quindi non necessitadi recinti elettrici per la notte o di cani.

Marco è nato a Busto Arsizio e risiede a Pejo. Figlio dicoltivatori diretti, ha frequentato la scuola professionaleda pasticciere. In precedenza ha lavorato nell’aziendaavicola del padre, e negli ultimi anni ha aiutato d’estate i precedenti gestori della malga.Capisce il dialetto locale e il varesotto, ma non li parla.Non ha moglie né figli.Marco ha 252 capre e 235 pecore, 88 delle quali asciutte.

I momenti belli? La nascita dei capretti, l’alpeggio… Sempre, se ti piace questo lavoro qua, è bello tutti i giorni.E poi c’è la soddisfazione quando ti va bene tutto.

12 settembre 2006

Malga Covel

Val di Pejo

MARCO

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vendiamo: ho venduto una volta un maschio ma lo hannoscannato lì subito, e mi hanno detto di mettere a posto…Non mi è piaciuto».

«Toso le pecore due volte l’anno: in primavera, quando sonogiù nelle stalle, e a metà settembre nelle stalle; le porto giùe poi tornano su fino alla fine di ottobre, ma non le portopiù in alto perché con il pelo corto fa freddo. Le capre lefaccio pascolare tutti i giorni in posti diversi, non troppolontano perché le mungo due volte al giorno qui in stalla».

«Le pecore e le capre asciutte le sposto ogni tre settimaneda una valle all’altra quando finisce l’erba, su in alta quotaoltre i 2400 m».

«Ci alziamo alle 5. Dopo aver munto le capre, verso le 7facciamo colazione, poi il mio collega prende le capre e leporta al pascolo. Poi verso le 15 si preparano gli animali perla mungitura serale. Io vado su la mattina per vedere lepecore, e verso l’una vengo giù per mangiare. Se invece nonsono alte, sto tutto il giorno con loro. Sul pascolo le pecoresi alzano fino a 3000 metri per la notte. Poi scendono giùintorno ai 2500 per pascolare».

«Le malattie? Per tante cose mi arrangio io: iniezioni per labronchite, vermi, ferite… La resina di larice mescolata conl’ittiolo sfiamma bene le ferite».

«Le strade per la malga vanno benone, tutti i giorni porto giùil latte con la jeep in paese. La solitudine non mi pesa. No, c’è

sempre gente. Io ho la macchina. Quando ho finito possoandare giù in paese dai miei amici… Qui c’è la corrente,prodotta con i pannelli foto-voltaici, volendo c’è anche la tv».

«Turisti ne passano anche troppi. Per fortuna, dice mio padre:cosi vendo il formaggio, il mio e quello della comunità».

«Vado sui pascoli della malga comune di Pejo, senza recintoe senza cani. Pascolo fin sotto i ghiacciai».

«Conto le pecore sui sentieri. Quando le mungi, conti lebestie tutti i giorni».

«Le volpi rubano gli agnelli quando nascono a primavera, duequest’anno. Per la bronchite ne sono morte cinque sinora».

«I momenti difficili? All’inizio della stagione, quando glianimali escono dalle stalle e devi fare il gruppo. Prima siformano gruppetti, e solo lentamente dopo 15- 20 giorni, versogiugno, il gruppo è fatto e si può salire. Prima di quel periodouso il recinto mobile quando siamo vicino al paese. Anche inautunno quando nascono tanti agnelli uso il recinto».

I momenti belli? La nascita deicapretti, l’alpeggio… Sempre, se tipiace questo lavoro qua, è bello tuttii giorni. E poi c’è la soddisfazionequando ti va bene tutto.

«Mi è sempre piaciuta la montagna, salire le cime…Conosco tutti i monti qua intorno, non c’è alcun posto chenon conosca. E poi l’allevamento degli animali come si faqua, e non intensivo come si fa giù, ti dà più soddisfazione.È più naturale».

«Mungo le capre alle 5 del mattino e di sera alle 17, quandohanno tanto latte, poi un po’ più tardi. In totale circa 315litri: due litri a testa a inizio stagione, poi a fine stagione unlitro al dì. C’è il carrello per la mungitura meccanica chefunziona con il generatore».

«Mi auguro di aumentare il numero delle mie bestie, hoiniziato con due capre e quattro pecore. Ma credo cheaumenterò le capre e non terrò più le pecore. Dei privati diPejo mi hanno dato dei prati abbandonati da anni daripulire. L’anno prossimo terrò una parte dei prati dasfalciare, quelli che quest’anno ho iniziato a pulire usandogli animali. Le pecore sarebbero più brave, ma soffrono ilcaldo, quindi uso le capre».

«La produzione di formaggio si fa al caseificio turnario diPejo. Si produce il formaggio che viene poi venduto sia lì,che nei mercatini della valle. Una buona parte vienevenduta direttamente in malga».

«I capretti nascono a gennaio-febbraio. Gli agnellicominciano tra poco, poi a maggio. In base alla Pasqua “alta”o “bassa” si contano cinque mesi di gestazione, si calcolaindietro e si mettono i maschi nel branco. Si fanno nascerenel periodo pasquale perché il prezzo per la loro carne èmigliore».

«È da quando avevo due anni che vengo sulle montagne diPejo. Mi sono sempre piaciute le pecore e le capre. Avevo giù acasa le capre, e le portavo su per l’estate, e giù per l’inverno».

«Per chiamare gli animali? Fischio e mi sentono. Le chiamo“belle” e vengono quando porto il sale, riconoscono la miavoce anche da 500 metri di distanza. Le capre, quando è oradi mungere, le chiamo con il mangime. Non ho cani dapastore, non ne voglio prendere».

«Ogni proprietario si arrangia per vendere i propri animali.I miei li vendo tutti a privati: me li prenotano due-tre mesiprima da Busto Arsizio, dal paese di Umberto Bossi ilsenatore. Li vendo di pochi mesi. Noi ai musulmani non

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Le molte qualità della lanaLa lana rappresenta la più diffusa e importante fibraanimale. Grazie alla sua particolare struttura, composta datre strati concentrici, possiede numerose proprietà qualil’igroscopicità (assorbe umidità fino al 30% del peso), unaforte protezione termica (coibenza), buona elasticità,resistenza all’usura e alla fiamma, scarsa elettricità statica,resistenza ai piegamenti e docilità alla flessione (resilienza).La qualità della lana viene definita in funzione dellafinezza e della lunghezza delle fibre che possono variarerispettivamente da 20 a 80 micron e da 20 a 400 mm inbase alla razza e alla parte del vello dell’animaleinteressata; la parte migliore è quella delle spalle e deifianchi. Le lane più fini risultano più arricciate, mentrequelle più grosse risultano più elastiche e più tenaci.Allo scopo di individuare sinergie per la valorizzazionedella lana locale, il progetto – anche in seguito a un’intensaattività dimostrativa realizzata dall’Assessorato Agricolturanegli anni precedenti – ha proposto e sviluppato unaccordo tra i vari protagonisti della filiera produttiva.L’accordo prevede un’integrazione delle attività fra i varisoggetti, dal produttore al venditore, dall’allevatoreall’artigiano, per favorire una ridistribuzione dei beneficitra tutti. Vengono prese in considerazione tutte le fasi dellaproduzione e della lavorazione della lana per riuscire aottenere un prodotto finito che possa dare la giustaredditività a tutti i soggetti coinvolti. Partecipanoall’accordo, promosso dalla Provincia di Trento,

l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese della Provincia diTrento, attraverso un gruppo di aziende artigiane delsettore abbigliamento, e l’Associazione Allevatori Ovi-caprini trentini (APOC).L’iniziativa prevede la raccolta della lana presso gliallevatori trentini, il suo immagazzinamento e trasportopresso i centri di lavaggio. Quindi si procede, secondo ledestinazione prevista per ogni partita, alla cardatura, allafilatura e alla tessitura presso ditte specializzate conlavorazioni definite e concordate. L’accordo di filiera èbasato su un insieme di azioni integrate che prevedonol’utilizzo esclusivo della lana trentina, l’utilizzo di impiantispecializzati per la sua lavorazione, l’adozione di metodi ditrattamento a basso impatto ambientale, l’individuazionedei prodotti finiti da commercializzare, lo sviluppo diazioni promozionali e di divulgazione, l’individuazionedegli ambiti e dei criteri di commercializzazione deiprodotti, l’elaborazione di metodi per garantire un sistemadi rintracciabilità nelle varie fasi.Gli artigiani trentini, tramite un’azione dimostrativa delprogetto Alpinet Gheep, hanno elaborato vari capi unicidi abbigliamento e accessori, reinventando l’uso dellalana trentina e reinterpretando moda e tendenzeapportando un tocco innovativo nel solco della tradizione.I prodotti realizzati sono già stati presentati in importantimanifestazioni e fiere, riscuotendo un gran successo dipubblico e di critica.

UNO SGUARDOSUI PRODOTTI:LA LANA

La lavorazione della lana ha accompagnato per secoli losviluppo della società, fornendo redditività e benessere a moltecomunità locali. La diffusione degli allevamenti ovini nelleregioni alpine creò sul posto le condizioni favorevoli per losviluppo di una produzione laniera che diventò, in alcuniterritori, una parte importante del comparto industriale.Tuttavia dopo gli anni ’60 anche questo settore fucoinvolto dal generale peggioramento delle condizionidell’industria tessile. Il mutamento dei costumi e delleabitudini e l’incremento nell’uso delle fibre sintetiche, piùeconomiche, versatili e facili da lavorare, hanno messo incrisi il mercato mondiale della lana. Il crollo del prezzodella lana ha indotto molti ad abbandonare le attivitàcollegate alla pastorizia, ma in alcune zone di montagna latradizione è sopravvissuta.Attualmente nell’area di cooperazione dello Spazio Alpino,il numero di pecore presenti è pari a circa 3 milioni di capi,per lo più situati sul versante francese. Per quanto riguardal’area italiana, le consistenze maggiori si riscontrano inPiemonte e Lombardia. In Trentino si contano circa 25.000capi allevati per la maggior parte secondo il metodo dellatransumanza durante tutto l’anno. Il settore ovino rivesteun ruolo importante nel territorio montano e apporta

contributi positivi anche al settore turistico in quantomantiene curati il territorio e il paesaggio tradizionale.Ogni capo presenta una produzione annuale di circa 3 kg dilana che purtroppo, non trovando sbocco sul mercato,viene in genere distrutta. Tale situazione ha portato quindicon sé un problema ambientale connesso allo smaltimentodi questa fibra naturale che, non decomponendosi in tempibrevi e bruciando con difficoltà, deve essere smaltitasecondo determinati dettami.Questa situazione comporta oggi un costo aggiuntivo per gliallevatori che, oltre a dover pagare per tosare le pecore,devono anche pagare per smaltire la lana prodotta. Larisoluzione di tale problema comporterebbe per il settoreun’opportunità di crescita e di sviluppo pieno delle propriepotenzialità.Il progetto Alpinet Gheep assegna quindi un ruolo chiavealla valorizzazione del settore della lana per i riflessipositivi che si avrebbero sull’allevamento e quindi sulpaesaggio e sull’ambiente nel suo complesso. La lana dellepecore attualmente allevate in Trentino presentacaratteristiche eterogenee ed è mediamente di bassaqualità, in quanto gli animali non sono stati più selezionatitenendo conto di tale aspetto.

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Federico Bigaran

Massimo Pirola

Federico Bigaran

Massimo Pirola

Federico Bigaran

Massimo Pirola

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nicchia, per veri e propri cultori, e ha consumi modesti: sicalcola che ogni italiano ne mangi circa 3 kg all’anno,contro i 70 chili di carne totali. Tra l’altro, occorrono unacerta disponibilità di tempo e, magari, la conoscenza diricette particolari per cucinare queste carni. Dunque, al finedi aiutare i consumatori a gustarle e apprezzarle, iproduttori stanno cercando di valorizzarle, promuoverlemeglio, farne conoscere la grande qualità.L’idea portante è quella di fare leva sulla bontà del prodotto,sottolineando come sia legato al territorio d’origine, tipico esano: gli animali sono allevati a contatto con la natura,nutriti con il latte delle madri e l’erba dei prati. Le pecore piùdiffuse, di ceppo biellese-bergamasco, forniscono agnelli dibuona qualità quasi in ogni momento dell’anno.Per contribuire a diffondere il consumo di queste carni,spesso conosciute solo da pochi intenditori, in questi annisono state create varie sagre e manifestazioni. Tra gliobiettivi, quello di educare al gusto e al consumo dellacarne di pecora, particolarmente saporita e ancora pococonosciuta, e di farla apprezzare anche alle famigliegiovani, magari presentando le carni in forme compatibilicon i nuovi modi del consumo: ad esempio, mettendo incommercio il cosciotto d’agnello precotto, che richiede unapreparazione minima in cucina. Alcuni produttori hanno

anche cominciato a collaborare con aziende di catering eristoranti, ai quali forniscono specialità prelavorate, pronteper essere cucinate in breve tempo.Un’altra strada che i produttori intendono percorrere èquella della vendita on line, rendendo disponibili i prodottidell’allevamento ovino sul web, in modo che i consumatoripossano sceglierli e riceverli a casa in breve tempo. Sul sitodel progetto Alpinet Gheep (www.alpinetgheep.org) sonogià presenti le informazioni su dove trovare e degustarequesti prodotti tipici.Tutte le iniziative sono ispirate a un principio comune:quello di avvicinare un po’ di più i pastori a chi consumeràle loro merci. Oggi la vendita del bestiame avvieneattraverso grossisti, che acquistano i capi e mettono incommercio la carne; sarebbe interessante, invece,accorciare le fasi della distribuzione, secondo i principi diquella che viene chiamata la “filiera corta”, favorendomagari le visite alle aziende produttrici e i contatti con ipastori. Vedere da vicino i modi della produzione e dellalavorazione di quello che si acquista è, per il consumatore,una garanzia di qualità e un modo importante perprendersi cura della propria salute che, come le ricerchescientifiche hanno dimostrato ormai ampiamente, ha unlegame diretto con quello di cui ci si nutre.

UNO SGUARDOSUI PRODOTTI:LA CARNE

I ritratti che abbiamo visto nelle pagine di questo libro ciaiutano a conoscere la vita quotidiana dei pastori: glispostamenti, le nascite, la tosatura e la mungitura deglianimali. Di fronte a queste immagini che mostrano labellezza ma anche la durezza del lavoro dei pastori, vieneforse da chiedersi se, e in che modo, la loro attivitàpermetta ancora loro di guadagnarsi da vivere, con lavendita delle carni, del latte o di formaggi.I protagonisti di questo volume sono quelli che vengonodefiniti pastori “vaganti” o “nomadi”. Non hanno, come ipastori transumanti, una stalla o una malga in montagna:si spostano invece per tutto l’anno, come veri nomadi, allaricerca di pascoli per il loro gregge. Si tratta di una forma dipastorizia oggi estremamente rara, che nel contestoeuropeo sopravvive solo nel nostro arco alpino: in Trentino,Piemonte, Lombardia e in alcune zone di Friuli e Veneto. Lanatura stessa di questa pastorizia impedisce ai pastori diprodurre latte – non hanno a disposizione il tempo e lestrutture adatte per lavorarlo – e la loro unica fonte direddito, perciò, è la vendita della carne.Una vendita che avviene secondo forme molto diverse daquelle di un tempo, in un mercato che negli ultimi decenniha subito grandi cambiamenti. Tradizionalmente, questipastori vendevano agnelli di grandi dimensioni, che

arrivavano a 60-80 chili di peso: si tratta di quelli che dalpunto di vista merceologico sono definiti “agnelloni”. Perallevarli, con il latte delle madri e l’erba dei prati, i pastorinon spendevano nulla, e preferivano dunque farli crescereil più possibile. Le loro carni si vendevano facilmente,soprattutto in alcune regioni come l’Abruzzo o l’Emilia-Romagna: un grande mercato era, ad esempio, quello diLugo, in Romagna. Tradizionalmente, i grossisti di bestiameandavano dai pastori a scegliere gli agnelli – perlopiùcastrati, perché solo i migliori venivano fatti riprodurre –in occasioni stabilite, come le fiere o i mercati che spessosi tenevano in occasione del ritorno dall’alpeggio.Ancora oggi, i pastori continuano a vendere i loro agnelli,ma le richieste dei consumatori sono molto cambiate. Oggivengono messi sul mercato animali che pesano almassimo 40-50 kg, ma la domanda è soprattutto per quellisui 15-20 kg, le cui carni sono considerate più tenere edelicate. Ad acquistare animali più grandi sono invece inuovi consumatori rappresentati dagli immigratiextraeuropei – perlopiù nordafricani – che per tradizioneconsumano animali pesanti.In generale, in Italia le vendite sono ancora stagionali,legate ad alcuni periodi dell’anno, come la Pasqua; varicordato, comunque, che la carne ovina è un prodotto di

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Edi Piasentier

Università degli Studi di UdineDipartimento di Scienze Animali

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animali nonché all’assenza di restrizioni produttive, siassiste oggi a un maggiore interesse verso questo tipo diallevamento, in particolare da parte delle nuove aziendecondotte da giovani.Lo sviluppo di tale allevamento, se adeguatamente inseritonel sistema silvo-pastorale e agro-alimentare di un territorio,può apportare importanti benefici all’ambiente, all’assettoidrogeologico, al paesaggio e alle comunità locali.La particolare forma di pastorizia nomade e transumante èoggi soggetta alle difficoltà imposte da un territorio difondovalle sempre più denso di infrastrutture e vincoli chelimitano il transito e il pascolo degli animali. Laprogrammazione urbanistica dovrebbe tener maggiormenteconto della presenza di questo tipo di attività e degli usi ecostumi ad essa associati. A volte con pochi accorgimenti,individuati in fase progettuale, si potrebbero evitarespiacevoli inconvenienti per i pastori e per i cittadini.Il consumatore sembra oggi dimostrare un maggiorinteresse verso i prodotti della filiera ovi-caprina e leaziende produttrici spesso attuano al proprio internoanche la fase di trasformazione e di commercializzazionedei prodotti incrementando quindi il valore complessivodella produzione aziendale e il reddito.A livello locale il progetto ha analizzato e sostenutoesperienze di integrazione delle filiere produttive, per

esempio nel settore della lana, che vedono coinvolti anche icomparti dell’artigianato e del turismo contribuendo quindial rafforzamento dell’identità e dell’economia delle comunità.Un altro aspetto che ci pare interessante sottolineare èl’utilizzo degli ovini e dei caprini per la manutenzione e lacura del territorio. Nelle aree di montagna, dovel’abbandono delle aree agricole e dei pascoli è avvenuto dapiù tempo e in misura maggiore, la vegetazione spontaneaha preso il sopravvento, modificando così il paesaggiotradizionale e introducendo nuovi elementi di rischio per lepopolazioni (incendio, dissesto idrogeologico, presenza dianimali indesiderati ecc…). Pecore e capre vengono quindiutilizzate, mediante differenti forme organizzative, per ilripristino di aree prative contribuendo così almiglioramento della vivibilità del territorio.Il progetto Alpinet Gheep, mediante l’attuazione dinumerose iniziative come fiere, manifestazioni, rassegne,degustazioni di prodotti, seminari e anche con questapubblicazione, ha voluto diffondere fra la genteinformazioni e conoscenze sull’allevamento ovi-caprino ele sue problematiche. Mediante queste attività il progettoha cercato inoltre di promuovere l’inclusione sociale degliallevatori e mantenere viva l’attenzione su questo mondoche, nonostante tutto, si presenta ancora attivo e ricco dipotenzialità e risorse.

Federico Bigaran

Massimo Pirola

LA SITUAZIONE OGGI,LE PROSPETTIVEE LE ASPETTATIVEIl progetto Alpinet Gheep, attraverso un’indagine sulsettore ovi-caprino effettuata sulla zona dell’intero SpazioAlpino (che comprende il territorio di Austria, Slovenia,Liechtenstein e Svizzera, le regioni francesi di Rhône-Alpes,Provence-Alpes-Côte d'Azur, Franche-Comté, Alsace, idistretti tedeschi dell’Alta Baviera e della Swabia, Tübingene Friburgo e, in Italia, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia,Veneto, Province autonome di Bolzano e Trento, Valled'Aosta, Piemonte, Liguria), ha reso disponibili numeroseinformazioni sulla consistenza e variabilità del patrimonioovino e caprino nelle varie regioni.Dall’analisi delle variazioni della consistenza delpatrimonio ovi-caprino intervenute nell’arco di circa diecianni, ossia fra i due rilievi censuari, emerge una situazionecaratterizzata da vitalità e da buone potenzialità disviluppo, anche in relazione al più diffuso e consolidatoallevamento bovino.L’indagine ha rilevato che il numero delle pecore presentinello Spazio Alpino nell’anno 2005 ammontava a circa2.900.000 capi. La maggior parte degli ovini viene allevatanelle regioni francesi (49,00%) mentre le regioni italianetotalizzano circa 260.000 capi, il maggior numero dei qualiè situato in Lombardia, che dispone di oltre 80.000 capi.Per quanto riguarda la consistenza del patrimonio caprino

nello Spazio Alpino, l’indagine ha rilevato una presenza dicirca 500.000 capi, localizzati per lo più nelle regionifrancesi e italiane.Il patrimonio zootecnico complessivo nello Spazio Alpino è,negli ultimi anni, in continua diminuzione ma, mentre ibovini accusano riduzioni consistenti (oltre il 5% nelperiodo 2000-2005), il settore ovino mostra solamente unalieve flessione (0,7% in cinque anni) mentre il settorecaprino è complessivamente in incremento. I contributimaggiori all’incremento dei caprini provengono dalleregioni tedesche e austriache, dalla Slovenia ma anche dalTrentino Alto Adige.Va inoltre sottolineata l’importante variabilità genetica checaratterizza il patrimonio ovi-caprino dello Spazio Alpinoove sono presenti oltre sessanta razze di ovini, trenta razzedi caprini e numerose popolazioni autoctone. Alcune diqueste razze/popolazioni sono a rischio di estinzione inquanto composte da pochi soggetti. È questo unpatrimonio che va salvaguardato e, ove possibile, rafforzatomediante programmi specifici da attuarsi in collaborazionecon gli allevatori.Grazie ai minori investimenti necessari per l’avviodell’attività di allevamento ovi-caprino, rispetto ad altriallevamenti, e a una maggior facilità nella gestione degli

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first evidence of this process in the Trentino region datesback to between the VI and the V millennium beforeChrist. Goat and sheep bones, as well as fossilisedexcrement have been found in the area surroundingTrento. In fact, there are many sites which show howwidespread sheep farming was: in addition to grazing andrearing in sheds in built up areas, some archaeologicalfindings lead us to think that small communities withanimals practised some form of “migration” to higheraltitudes. As far as the existence of Alpine grazing areassimilar to the ones we know today are concerned, we arenot able to trace back directly from prehistoric times totoday; nonetheless, inscriptions and animal bells whichhave been found in various sites do tell us that in Romantimes, mountain grazing was quite widely diffused in thisregion. It would seem that up to the beginning of themiddle ages, livestock farming was ovine rather morefrequently than it was bovine: rustic creatures, suited tosurviving out in the open and grazing on the move, able tosupply milk, meat and hide (pp. 13-14).The first interesting clues to the role of shepherds comefrom the Rotari decree, which was promulgated in 22November, 643, and which states Longobard law inwriting: severe punishment for whoever may injure or killan experienced shepherd; obviously considered preciousmembers of society. We learn from documentation that,even in Roman and Mediaeval times, woods and pastureswere public, granted to land labourers and breeders whopaid for its use (pp. 15-19). Finding material traces ofpassing flocks remains difficult until the late middle ages,as ovines are less reliant on permanent structures, such asstables or sheds, than bovines.It is to be the latter, from the XV century steadily onwards,which take over, although fully understanding why andhow this change came about, is difficult. What we do knowis, that between the 800s and 900s, despite travellers, asthey passed through the Dolomites, admiring in wonderthe alpine pastures covered in flocks with their shepherds– renowned to be savage creatures, the numbers of ovinessuddenly plummeted, leaving space for bovines. Sincethen, and still now, sheep and goats (considered cows ofthe poor) are left to graze in the poorest and mostinaccessible pastures (pp. 20-23).One interesting story which narrates shepherds travellingthrough Val di Fiemme is represented by countless graffition rocks: shepherds would either write or draw theirinitials and the number of animals in their herd, in sodoing they have left proof of their movements and theirlives, which has lasted for centuries. This historic evidencemay perhaps be considered less usual than others, but is,nevertheless, important and rich in meaning (pp. 24-25).

THE FIGURES OF TODAYTeodoro / p. 30

Teodoro had been a shepherd for a few years in the pastbefore becoming a coach driver. He went back to it whenhe retired, occasionally helping his son. He deals withtranshumance, transporting the livestock by truck for theinitial part of their transfer. Later he and another shepherdput their flocks together and let them spend the wintermonths together on the plains; he then calls the truck backin to move them back up the mountain. Teodoro is marriedand has three children; the youngest is 17. He doesn’t spenda lot of time with them and most of it in summer. He has aprimary school education, he speaks Trentino dialect andknows the words once used shepherds when they didn’twant anyone to understand: cuch (military policeman),calca (road), pauri (farm labourer).

Guglielmo / p. 34

Guglielmo has been a shepherd for the last 10 years since hebegan helping his father who was taken ill; before that hewas an electrician. His profession is a family tradition: hisfather, grandfather and great-grandfather were all shepherdsbefore him. Husband and father of two young children, hemanages to spend 3 to 4 months with his family everysummer. Every September, at the end of Alpine pasture,transhumance begins, which takes him from the summerpastures in the mountains to the plains of the Veneto andFriuli regions; he returns around March. The months spent inthe mountains with the flocks are the best, but also the mostdifficult, and Guglielmo believes that in the future, if nothingchanges, the number of shepherds who are willing to leadsuch a hard life will get increasingly smaller.

SHEPHERDS IN THE ALPS.TALES AND TRUE STORIES

This publication is part of the Alpinet Gheep project, whichpromotes breeding and agriculture in mountain areas, localproduce and related business. The project’s final goal is toenlighten society as to how important pastoral farming is tothe protection of the environment, to local traditions and toproviding the inhabitants of rural and mountain areas withan income; it is done through developing coordinatedstrategies in agriculture, crafts and tourism.

Alpinet Gheep aims to establish a permanent networkbetween partners from Austria, Bavaria, Slovenia and someregions in the North of Italy, and develop coordinatedbusiness. Initiatives which have so far been proposed areintended to improve, up date and spread existingknowhow, stimulate economic stability of theovine/caprine sector, support its involvement in the socialweave of mountain communities. The project also offerselaboration or strategies and beneficial action to overcomeweaknesses in the sector, advertise positive interactionwith tourism, crafts and territorial policies and, finally, topromote the constitution of a transnational federation ofbreeders in the alpine range. In order to succeed in all this,new forms of communication and commercialisation ofovine/caprine products are now in the process of being

designed. This particular kind of product, in a highlycompetitive and complicated market, needs to beintroduced through its unique nature and extraordinaryquality: meat which is top quality and obtained fromanimals which are reared naturally and healthily; cheeseswhich are made with craft workers’ knowhow; and wool.

In addition to explaining who shepherds are and how theylive, this book contains a number of significant stories:local history scholars tell of the history of sheep farming inTrento; contemporary figures tell stories concerning thepresent day. Historians lead us through the past, fromprehistory to the Romans, the middle ages and up to recenttimes. Enchanting images accompany us into a world,which today survives in the midst of uncountableproblems and uncertainties, thanks to the love and will ofa few determined breeders. The book then gives the readersome striking and precious tales of shepherds, the truemeaning of their profession, their lives, problems andfuture prospects.

The history of sheep farming in the Trento areaThe domestication of animals for meat and milk is one ofthe most fundamental steps in the history of man. The

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plains: no pastures, natural hunting reserves, crops whichcan’t be used for grazing sheep. For these reasons as well aslow sales, he doesn’t have an optimistic outlook for the future.

Stefano / p. 62

Stefano, 36, has been a shepherd since he was 20: he started offby working with a more experienced colleague called Gianni.He kept goats for a year and a half, then he moved on to sheep.Before that he was a driver for the breeders association. He hastwo children of 4 and 12, who love the animals spend theirsummers with him; he hopes they will carry on when heretires. In the future, he plans to transform part of his flockfrom transhuming to permanent in order to produce cheese.

Cheyenne / p. 66

Cheyenne was born in Germany and lives in Val di Rabbi. Sheis the daughter of an artist and an educator art-therapist, shewent to school in Trentino and at the Steiner school in EastGermany. She then went on to complete 2 years apprenticeshipin a school for shepherds in former East Germany, where sheworked and studied. After working as waitress, bartender andnanny she started caring for flocks of sheep 4 years ago. Shespeaks German, English, Italian and dialect. She has aboyfriend and no children. Part of her job is also to headmeeting with tourists on behalf of the Parks association.

Teresa / p. 70

Teresa was born in Canada and lives in Masi di Cavalese.Daughter of a journalist and geologist, in the oil-well sector,she studied until she was 18 when she embarked on anumber of trades: fruit picker, waitress, assistant skipper,English teacher in South America. She’s been a shepherdessfor the last 7 years. She speaks English, Italian, Spanish andFrench and she understands German (of Alto Adige). Shealso knows the valley dialect. No husband: “Are you joking?I’m married to the goats”. Teresa has a flock of 300 goats.

Graziano / p. 74

Graziano was born in Bondone in 1951. This is where he livesand where he has always been a shepherd with his father. Hehas a primary school education and for brief periods he hasalso worked as a builder and lumberjack: “whenever I had anargument with my dad, I went off to look for another job”. Heisn’t married and has no children. In addition to the flock, hehas 40 goats whose milk he uses to make cheese for himself,but he’s awaiting permits to produce the chees for sale.

Marco / p. 78

Marco didn’t start working as a full time shepherd untilrecently. When he was young, he used to spend the schoolholidays in these valleys, which he knows like the back ofhis hands. In recent years he has been helping shepherdsto manage alpine grazing during the summer months; fora year, he and an associate, have managed it themselves.He began with 2 goats and 4 sheep; today he counts 250goats 174 of which are milked for cheese making. In thefuture, he would like to increase the number goats andstop keeping sheep.

Ruggero / p. 38

Ruggero, 46, was born and currently lives in Cavalese; he hasbeen a shepherd for 29 years. His father was a baker; hisgrandfather a goat-herdsman. Ruggero is married and has nochildren. He speaks Italian, Fiamazzo dialect and knows alittle “patois”, the dialect which transhuming shepherdswould use to escape comprehension. Ruggero has 1400 sheepand goats and 13 donkeys. Solitude does not worry him: hedefines himself “a chatterbox with friends all over the place”.

Gianantonio / p. 42

Gianantonio, 61, was born in Arco and lives there still. Hewent to the local commercial college and, after working as awaiter, has been a shepherd for more than 30 years. Hisfather was a shepherd and his mother stayed with herhusband, children and flock during the summer. Giancarlohas 3 brothers who work with goats. He speaks dialect: hisfather spoke the shepherds’ dialect, “patois”. If he can, he goeshome every evening in summer, and every 4 to 5 days inwinter. Over recent years, along with other shepherds, he getsaround by van or jeep; they used to walk, using the same roads;donkeys would carry everything they needed, such as hides forsleeping on the ground. Giancarlo says quite adamantly:without the mountains, he wouldn’t know how to live.

Aldo / p. 46

Aldo is 45. He’s married and has 3 children of 6, 12 and 14.His mother is a housewife and his father emigrated toGermany for 15 years to work in the building trade. Hestarted shepherding when he was 15, helping a fellowvillager for a few years to learn the trade. At that time,transfer ring livestock was hard work: on foot, carryingeverything you needed for coking and sleeping on theground, in the cold. Inversely, on the plains, farm labourerswelcomed them in and gave them food and space to let thesheep graze. These days “big country houses have fencesaround them and there’s no contact”. Aldo bought his flockin 1990 and today has 1200 sheep and 40 goats.

Lorenzo / p. 50

Lorenzo has been alpine grazing since he was 10. His fatherwasn’t a shepherd but his grandparents, uncles and cousinswere. He gets around with a van which serves as kitchen,bedroom and sheep shed. He has a wife and two teenagesons who he goes back to every evening from May toNovember; only occasionally for the rest of the year. Hedoesn’t hope his children follow in his footsteps: “nobodytreats us with any consideration … People like the sheep butnot the muck: they like picture postcard flocks”. Lorenzo lovesthe mountains and talking about his job. His pessimisticabout the future but is ready for a laugh and believes thattelling people about what he does for a living could be useful.

Vittorio, Ivan and Paolo / p. 56

Vittorio and his children Ivan and Paolo are a family ofshepherds. Vittorio has managed the transhumance for 50years: nowadays with a heavy vehicle, but on foot when heworked with his father. Vittorio, Ivan and Paolo have 1200sheep. Vittorio is happy with the mountain pastures; however,hw complains about the huge difficulties encountered on the

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INDICE9 / Tiziano Mellarini

LA PASTORIZIA TRA PASSATO E FUTURO

10 / Mauro Fezzi

INTRODUZIONE

11 / Federico Bigaran, Massimo Pirola

ALPINETGHEEP: UN GRANDE PROGETTO PER L’AMBIENTE

12 / Federico Bigaran

PRESENTAZIONE DEL PROGETTO ALPINET GHEEP

13 / Franco Marzatico

PASTORIZIA E TRANSUMANZA NEL TRENTINO IN EPOCA PREROMANA

15 / Enrico Cavada

TRA PIANURA E MONTAGNA: GLI ARMENTI, I PASTORI, LA STORIA

20 / Emanuela Renzetti

PRATI E PASCOLI DI IERI E OGGI

24 / Marta Bazzanella, Giovanni Kezich

LE SCRITTE DEI PASTORI DELLA VALLE DI FIEMME

26 / Anna Brugnara

I PROTAGONISTI DI OGGI

82 / Federico Bigaran, Massimo Pirola

UNO SGUARDO SUI PRODOTTI: LA LANA

84 / Edi Piasentier

UNO SGUARDO SUI PRODOTTI: LA CARNE

86 / Federico Bigaran, Massimo Pirola

LA SITUAZIONE OGGI

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SHEPHERDS IN THE ALPS. TALES AND TRUE STORIES

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BIBLIOGRAFIA

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Progettazione editoriale: Giunti Progetti EducativiResponsabile editoriale: Rita BrugnaraCoordinamento per la Provincia Autonoma di Trento: Federico Bigaran, Massimo PirolaCoordinamento editoriale: Elisa Ferrari

Testi: Franco Marzatico, Enrico Cavada, Emanuela Renzetti, Marta Bazzanella, Anna Brugnara, Massimo Pirola, Federico Bigaran, Edi PiasentierEditing: Morgana ClintoFotografie: Christian CristoforettiRedazione: Fabio LeocataProgetto grafico e impaginazione: muschi&licheniIllustrazione mappa: Alberto Martini

Le informazioni e le esperienze riportate in questo libro sono il frutto dell’impegno di numerose persone che con i loro suggerimenti e le loro conoscenzehanno reso possibile la pubblicazione. Un particolare ringraziamento va a tutti i pastori: Aldo, Cheyenne, Gianantonio, Graziano, Guglielmo, Lorenzo,Marco, Ruggero, Stefano, Teodoro, Teresa, Vittorio, Ivan e Paolo, e ai loro collaboratori. Con la loro disponibilità ci hanno accolto e svelato la loro storia,che consegnamo al lettore nella speranza che una migliore conoscenza di questo mondo possa contribuire alla sua futura sostenibilità.

Per i diritti di riproduzione l’Editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia statopossibile reperire la fonte.

Pubblicazione realizzata con fondi dell’Unione europea nell’ambito del programma Interreg IIIB Spazio Alpino progetto “Alpinet Gheep - rete alpinaper la promozione del settore ovi-caprino per uno sviluppo sostenibile del territorio”, codice progetto: I/III/1.2/10 • n° di copie prodotte: 2000

www.giuntiprogettieducativi.itwww.alpinetgheep.org

© 2007 Giunti Progetti Educativi S.r.l., Firenze / © 2007 Provincia Autonoma di Trento, TrentoPrima edizione: novembre 2007Stampato presso Giunti Industrie Grafiche S.p.A. – Stabilimento di Prato

Italia

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO (PAT)

ASSOCIAZIONE ALLEVATORI OVICAPRINI TRENTINI(APOC)

ISTITUTO AGRARIO S. MICHELE ALL’ADIGE (IASMA)

VERBAND DER SÜDTIROLER KLEINTIERZÜCHTER (VSK)

AGENZIA REGIONALE PER LO SVILUPPO RURALE (ERSA Friuli Venezia Giulia)

DIPARTIMENTO DI SCIENZE ANIMALI – UNIVERSITÀDEGLI STUDI DI UDINE (UNIUD)

ASSOCIAZIONE PROVINCIALE ALLEVATORI DI BESTIAME DI BERGAMO (APABG)

ASSOCIAZIONE PROVINCIALEALLEVATORI DI BELLUNO (APABL)

PROVINCIA AUTONOMADI TRENTO

I partner del progetto: Germania

BAYERISCHE LANDESANSTALT FÜR LANDWIRTSCHAFT (LFL)

BAYERISCHE HERDBUCHGESELLSCHAFT FÜR SCHAFZUCHT (BHG)

WERDENFELSER LAND SCHAFWOLLPRODUKTE GbR (WLW)

GESELLSCHAFT ZUR ERHALTUNG ALTER UND GEFÀHRDETERHAUSTIERRASSEN IN DEUTSCHLAND (GEH)

Austria

HÖHERE BUNDESLEHR- UND FORSCHUNGSANSTALTRAUMBERG-GUMPENSTEIN (HBLFA Raumberg-Gumpenstein)

ÖSTERREICHISHER BUNDESVERBAND FÜR SCHAFE UNDZIEGEN (OEBSZ)

Slovenia

UNIVERSITY OF LJUBLJANA, BIOTECHNICAL FACULTY(UNIBFLJ)

SHEEP AND GOATS BREEDERS ASSOCIATIONOF SLOVENIA (ZDRDS)