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Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza del paziente complesso n. 23, settembre-ottobre 2013 23 ISSN 2038-5293

Paziente Complesso (Criteri di Appropriatezza Clinica ... · Salute);Marcella Marletta (Direzione Generale dei Dispositivi Medici, del Servizio Farmaceutico e della Sicurezza delle

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Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza

del paziente complesso

n. 23, settembre-ottobre 2013

23ISSN 2038-5293

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n. 23, settembre-ottobre 2013Ministro del la Salute : Beatr ice LorenzinDirettore Scientif ico : Giovanni Simonett iDirettore Responsabi le : Paolo Casolar iDirettore Editor iale: Maria L inett iVicedirettore esecutivo: Ennio Di Paolo

Comitato di DirezioneMassimo Aquili (Direttore Ufficio V – Direzione Generale della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali); Francesco Bevere (Direttore Generale dellaProgrammazione Sanitaria); Silvio Borrello (Direttore Generale per l’Igiene, la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione); Massimo Casciello (DirettoreGenerale della Ricerca Sanitaria e Biomedica e della Vigilanza sugli Enti); Paolo Casolari (Direttore Ufficio IV – Direzione Generale della Comunicazione edelle Relazioni Istituzionali); Giuseppe Celotto (Direttore Ufficio Generale delle Risorse, dell’Organizzazione e del Bilancio); Gaetana Ferri (DirettoreGenerale della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari); Enrico Garaci (Presidente del Consiglio Superiore di Sanità); Giovanni Leonardi (Direttore Generaledelle Professioni Sanitarie e delle Risorse Umane del Servizio Sanitario Nazionale); Maria Linetti (Direttore Generale della Comunicazione e delle RelazioniIstituzionali); Romano Marabelli (Capo Dipartimento della Sanità Pubblica Veterinaria, della Sicurezza Alimentare e degli Organi Collegiali per la Tutela dellaSalute); Marcella Marletta (Direzione Generale dei Dispositivi Medici, del Servizio Farmaceutico e della Sicurezza delle Cure); Daniela Rodorigo (DirettoreGenerale dei Rapporti Europei e Internazionali ); Giuseppe Ruocco (Direttore Generale della Prevenzione ); Francesco Schiavone (Direttore UfficioIII – Direzione Generale della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali); Rossana Ugenti (Direttore Generale del Sistema Informativo e StatisticoSanitario); Giuseppe Viggiano (Direttore Generale degli Organi Collegiali per la Tutela della Salute)

Comitato Scientif icoGiampaolo Biti (Direttore del Dipartimento di Oncologia e Radioterapia dell’Università di Firenze); Alessandro Boccanelli (Direttore del Dipartimentodell’Apparato Cardiocircolatorio dell’Azienda Ospedaliera S. Giovanni Addolorata – Roma); Adelfo Elio Cardinale (Vice Presidente CSS – Professore Emeritodi Scienza della Immagini, Università degli Studi di Palermo); Massimo Castagnaro (Presidente 4a Sezione CSS – Professore Ordinario di Patologia Generalee Anatomia Patologica Veterinaria, Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione, Università degli Studi di Padova); Francesco Cognetti (Direttoredel Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena Irccs – Roma); Alessandro Del Maschio (Direttore del Dipartimento diRadiologia delI’Ospedale San Raffaele Irccs – Milano); Massimo Fini (Direttore Scientifico delI’Irccs S. Raffaele Pisana – Roma); Michele Gallucci (Direttoredi Urologia, Ospedale Regina Elena S. Gallicano, Roma); Gianfranco Gensini (Vice Presidente 1a Sezione CSS – Professore Ordinario di Medicina Interna,Università degli Studi di Firenze); Enrico Gherlone (Direttore del Servizio di Odontoiatria delI’Ospedale San Raffaele Irccs – Milano); Giovanni BattistaGrassi (Direttore Chirurgia Generale e Oncologica, Ospedale S. Filippo Neri, Roma); Andrea Lenzi (Presidente 5a Sezione CSS – Professore Ordinario diEndocrinologia, Direttore Sezione Fisiopatologia Medica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”); Giulio Maira (Vice Presidente 2a Sezione CSS –Professore Ordinario di Neurochirurgia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – Direttore Istituto Neurochirurgia e Direttore Scuola di Specializzazionein Neurochirurgia, Università Cattolica S. Cuore di Roma, Policlinico A. Gemelli); Francesco Antonio Manzoli (Direttore Scientifico delI’Istituto OrtopedicoRizzoli – Bologna); Attilio Maseri (Presidente delIa Fondazione “Per il Tuo cuore - Heart Care Foundation Onlus” per la Lotta alle Malattie Cardiovascolari– Firenze); Giuseppe Novelli (Rettore dell’Università Tor Vergata – Roma); Fabrizio Oleari (Presidente delI’Istituto Superiore di Sanità – Roma); AnnaTeresa Palamara (Vice Presidente 4a Sezione CSS – Professore Ordinario di Microbiologia Università di Roma “La Sapienza”); Giuseppe Paolisso (VicePresidente 3a Sezione CSS – Professore Ordinario di Medicina Interna II, Università degli Studi di Napoli – Direttore UOC di Medicina Interna e MalattieNutrizionali dell’Invecchiamento, II Università degli Studi di Napoli – Direttore della Scuola di Specializzazione in Geriatria, II Università degli Studi di Napoli);Walter Gualtiero Ricciardi (Presidente 3a Sezione CSS – Professore Ordinario di Igiene, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – Direttore delDipartimento per l’assistenza sanitaria di Sanità Pubblica del Policlinico Universitario A. Gemelli – Direttore della Scuola di Specializzazione in Igiene e MedicinaPreventiva, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma); Francesco Rossi (Vice Presidente 5a Sezione CSS – Professore Ordinario di Farmacologia, IIUniversità degli Studi di Napoli – Rettore della II Università degli Studi di Napoli); Antonio Rotondo (Direttore del Dipartimento di Diagnostica per Immagini –2a Università di Napoli); Armando Santoro (Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica ed Ematologia – Irccs Istituto Clinico Humanitas – Rozzano,Mi); Eugenio Santoro (Vice Presidente CCS – Libero Docente di Patologia Chirurgica, Università di Roma “La Sapienza” – Direttore Scientifico del CentroTrapianti Multiorgano, Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini di Roma – Presidente Emerito della Società Italiana di Chirurgia); Giovanni Simonetti(Direttore del Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Imaging Molecolare, Radioterapia e Radiologia Interventistica del Policlinico Universitario Tor Vergata –Roma); Alberto Zangrillo (Ordinario di Anestesiologia e Rianimazione dell’Università Vita/Salute San Raffaele e Direttore dell’Unità Operativa di Anestesiae Rianimazione Cardiochirurgica dell’Ospedale San Raffaele Irccs – Milano)

Comitato di RedazioneSimonetta Antonelli, Massimo Ausanio, Angelo Cabras, Lucio Lemme, Milena Maccarini, Carmela Paolillo, Alida Pitzulu, Claudia Spicola,Stefania Valdarnini (Direzione Generale della Comunicazione e Relazioni Istituzionali del Ministero della Salute), Antonietta Pensiero (Direzione GeneralePersonale, Organizzazione e Bilancio del Ministero della Salute)

Quaderni del Ministero della Salute© 2013 - Testata di proprietà del Ministero della Salute A cura della Direzione Generale Comunicazione e Relazioni Istituzionali Viale Ribotta 5 - 00144 Roma - www.salute.gov.itConsulenza editoriale e grafica: Springer Healthcare Italia S.r.l.Registrato dal Tribunale di Roma - Sezione per la Stampa e l’Informazione - al n. 82/2010 del Registro con Decreto del 16 marzo 2010ISSN 2038-5293Pubblicazione fuori commercio, consultabile online sul sito www.quadernidellasalute.itFinito di stampare e pubblicato online sul sito www.quadernidellasalute.it nel mese di ottobre 2013Tutti i diritti sono riservati, compresi quelli di traduzione in altre lingue. Nessuna parte di questa pubblicazione potrà essere riprodotta o trasmessa inqualsiasi forma o per mezzo di apparecchiature elettroniche o meccaniche, compresi fotocopiatura, registrazione o sistemi di archiviazione di informazioni,senza il permesso scritto da parte dell’Editore

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Perché i Quaderni

Uniformare e fissare, nel tempo e nella memoria, i criteri di appropria-tezza del nostro Sistema salute.

È l’ambizioso progetto-obiettivo dei Quaderni del Ministero della Salute, lanuova pubblicazione bimestrale edita dal dicastero e fortemente voluta dalMinistro Ferruccio Fazio per promuovere un processo di armonizzazionenella definizione degli indirizzi guida che nascono, si sviluppano e proce-dono nelle diverse articolazioni del Ministero.I temi trattati, numero per numero, con taglio monografico, affronterannoi campi e le competenze più importanti, ove sia da ricercare e conseguire ladefinizione di standard comuni di lavoro. La novità è nel metodo, inclusivo e olistico, che addensa e unifica i diversicontributi provenienti da organi distinti e consente quindi una verificaunica del criterio, adattabile volta per volta alla communis res. La formadunque diventa sostanza, a beneficio di tutti e ciò che è sciolto ora coagula.Ogni monografia della nuova collana è curata e stilata da un ristretto e iden-tificato Gruppo di Lavoro, responsabile della qualità e dell’efficacia deglistudi. Garante dell’elaborazione complessiva è, insieme al Ministro, il pre-stigio dei Comitati di Direzione e Scientifico.Alla pubblicazione è affiancata anche una versione telematica integrale sfo-gliabile in rete ed edita sul portale internet del Ministero www.salute.gov.it;qui è possibile il costante approfondimento dei temi trattati grazie alla sem-plicità del sistema di ricerca e alla scaricabilità dei prodotti editoriali; traquesti spiccano le risultanze dei pubblici convegni mirati che, volta pervolta, accompagnano l’uscita delle monografie nell’incontro con le artico-lazioni territoriali del nostro qualificato Sistema salute.Non ultimo, il profilo assegnato alla Rivista, riconoscibile dall’assenza dipaternità del singolo elaborato, che testimonia la volontà di privilegiare,sempre e comunque, la sintesi di sistema.

Le ragioni di una scelta e gli obiettivi

Giovanni SimonettiDirettore Scientifico

Paolo CasolariDirettore Responsabile

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Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza

del paziente complesso

GRUPPO DI LAVOROMassimo Allegri, Francesco Bevere, Alessandro Boccanelli, Stefania Boccia, Alfredo Cesario,

Micaela Ciarrapico, Francesco Cognetti, Guido Fanelli, Alba Fava, Massimo Fini (Coordinatore), Gianfranco Gensini (Coordinatore), Davide Lauro, Romano Marabelli, Guido Marinoni,

Carlo Nozzoli, Antonio Orlacchio, Walter Ricciardi, Giuseppe Ruocco, Giovanni Simonetti (Coordinatore),Marco Trabucchi, Alberto Ugazio

Hanno collaborato:Andrea Bartuli, Stefano Bonassi, Gabriele Castelli, Gabriele Cioni, David Coletta, Antonio Giulio de Belvis,

Aldo Di Benedetto, Michele Emdin, Roberto Floris, Alessandra Frustaci, Gabriella Guasticchi, Chiara Lazzeri, Alberto Magi,Edoardo Mannucci, Riccardo Pini, Lucia Ricci, Ilaria Romagnuolo, Patrizia Russo, Orazio Schillaci, Ettore Squillaci

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Indice

Prefazione pag. IX

Foreword pag. XIII

Sintesi dei contributi pag. XVII

Abstract pag. XXI

1. Il concetto di complessità pag. 1

2. Epidemiologia delle patologie croniche pag. 13e della loro combinazione. Dalle ontologie classiche alla ri-fenotipizzazione centrata sul concetto di complessità

3. Metodologia di approccio alla complessità pag. 23

4. Il “Fenoma Complesso” pag. 33

5. Revisione critica dei modelli gestionali pag. 77

6. Gli strumenti tecnologici degli approcci di sistema pag. 91alla complessità: Systems Biology e Systems Medicine

7. Informazione, formazione e Capacity Building in medicina pag. 105della complessità

Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza del paziente complesso

Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza

del paziente complesso

n. 23, settembre-ottobre 2013

23ISSN 2038-5293

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8. Ipotesi per una gestione sostenibile della complessità; pag. 115analisi economica

Bibliografia pag. 131

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Prefazione

Ibisogni di salute della popolazione e lo stato percepito di wellness stanno subendoun profondo e radicale cambiamento. Dal concetto di salute dei primi decenni

del secolo scorso inteso come “assenza di malattia” si è passati alla definizione, inclusanella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), di “stato dicompleto benessere fisico, psichico e sociale”. Da una visione della medicina che avevaal centro dell’agire la malattia si è giunti, quindi, a un approccio olistico incentratosulla persona. Questo mutamento radicale, culturale, tecnologico e di politica sanitariaè, in questo periodo storico, nel pieno della sua evoluzione verso un’implementazioneoperativa. Sul versante più strettamente sociale, negli ultimi anni e anche in parteinattese sono qualitativamente e quantitativamente cambiate le richieste di presta-zioni sanitarie da parte del cittadino. Se da un lato questa situazione è l’auspicabilerisultato di una maggiore cultura sanitaria, soprattutto in tema di prevenzione, dal-l’altro è la diretta e logica conseguenza del mutamento demografico in atto e dell’in-cremento numerico dei gruppi di interesse intorno alle specifiche patologie grazie almiglioramento degli outcome terapeutici e quindi della sopravvivenza in senso stretto.Che i mutamenti sociali indotti dal mutamento demografico si coniughino in modoindissolubile con gli aspetti biomedicali dell’Ageing è testimoniato, anche, dalle mol-teplici iniziative in ambito europeo che, immancabilmente, pongono in stretto con-tatto operativo questi due ambiti disciplinari attraverso meccanismi di ingaggiocomplessi e orientati a sincronizzare le politiche di intervento nazionali. Paradossal-mente si potrebbe affermare che gli indubbi grandi progressi del sapere medico degliultimi decenni abbiano fortemente accelerato la necessità dei Sistemi Sanitari Na-zionali di rifondare i postulati del proprio agire in modo scientificamente corretto,socialmente congruo e soprattutto economicamente sostenibile. Una nuova medicinaquindi, perché nuovi sono i bisogni di salute di un paziente radicalmente mutato:un paziente mediamente più vecchio (gli ultra 65enni, attualmente il 20,3% dellapopolazione, diverranno il 33% nel 2030; la decade di popolazione che cresce piùrapidamente è quella tra gli 80 e i 90 anni; gli ultracentenari in Italia, attualmente

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17.000, decuplicheranno entro 30 anni), che comporta un carico di patologie e di-sabilità, cioè di bisogni di salute, in costante incremento. In questo contesto non puòsfuggire il dato che il 50% degli anziani con più di 65 anni assume più di 5 diversifarmaci al giorno; il numero delle persone disabili (attualmente 2.800.000) aumen-terà entro il 2030 del 70%, superando quota 5 milioni. Questo, anche e fortunata-mente, per la “guarigione con esiti” di tanti cittadini che sopravvivono a patologiefino a pochi anni orsono fatali (cosiddette “ long survivors”).

La coesistenza di più patologie, spesso senza la possibilità di individuare quella pro-gnosticamente e terapeuticamente più saliente (multimorbilità), è un’altra caratte-ristica dei nostri tempi, così come sta divenendo proporzionalmente meno importantel’agire medico incentrato su un approccio riduzionistico (malattia → terapia →guarigione) soverchiato dalla necessità di un approccio di sistema (persona → defi-nizione dei problemi → qualità della vita); approccio di sistema in cui l’intero com-portamento del tutto altro non è che il portato, ovvero “emergenza” delle interazioni(e non della semplice somma) delle singole componenti. Approccio utile, per nondire indispensabile, in particolar modo nelle patologie croniche che sono la vera pro-blematica globale attuale e ancor più del futuro (il World Economic Forum hastimato in 47 trillioni di dollari la spesa per le patologie croniche nel 2030).

Nuovi bisogni di salute perché “nuovo” è il paziente, un paziente complesso.

Un Sistema Sanitario Nazionale moderno, nel rispetto dei tre pilastri prima enun-ciati di scientificità, compatibilità sociale e sostenibilità economica, deve saper ri-spondere a una serie di nuove esigenze:• deve saper fronteggiare la necessità di favorire una maggiore sensibilità, una

corretta informazione nei confronti del cittadino utente, anche realizzando unaspecifica formazione (fondamentale in questo il ruolo delle università attual-mente sicuramente sub-ottimale) delle professioni sanitarie;

• deve poter potenziare e sviluppare i presupposti, innanzitutto culturali, del la-voro in equipe; un corretto approccio biologico, psicologico e sociale ai bisognidel paziente complesso non può infatti prescindere da una coordinata e pro-

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grammata interazione tra tutte le figure professionali coinvolte, nel rispetto dellequalifiche e competenze acquisite;

• deve ridefinire i percorsi diagnostici e terapeutici. La “scomposizione” del malatonelle singole patologie da cui è afflitto porta lo “specialista d’organo” a un pro-prio percorso diagnostico e terapeutico che spesso si sovrappone o addiritturaconfligge con quello di altri colleghi, portando a iperprescrizioni di indaginilaboratoristiche e strumentali e a politerapie farmacologiche contrastanti e dan-nose. In quest’ottica non va trascurata la possibilità di intervenire in modo in-cisivo, con provvedimenti ad hoc, anche sui costi spropositati della medicinadifensiva, basata sui presupposti fondanti della Evidence-Based Medicine, nonsempre rigidamente e funzionalmente applicabili al paziente complesso.

In quest’ottica di approccio integrato al paziente va sicuramente incentivata la ri-cerca sui principi ispiratori della “Systems Medicine” ovvero su approcci olisticiintegrati multidisciplinari (scienze biologiche e mediche in senso ampio – quindicomprendenti l’analisi approfondita delle componenti socioeconomiche e psicologi-che – intorno alla persona, medical informatics e computer science, fino allamodellizzazione matematica per l’ottimizzazione della sperimentazione clinica)che affrontino il paziente complesso con strumenti di analisi potenzialmente capacidi comprendere gli elementi strutturanti la complessità e quindi di suggerire stra-tegie di ottimizzazione terapeutica e di gestione. Questi approcci, del resto, hannoricevuto particolare attenzione e rilevante finanziamento nelle fasi finali del 7°Programma Quadro della Commissione Europea e costituiscono una parte rilevantenella programmazione di “Horizon 2020”, il programma europeo di finanzia-mento alla Ricerca e Innovazione che coprirà il settennio 2014-2020. Alla ricercabiomedicale in senso stretto, con le caratteristiche di “olisticità” descritte, poi dovràsenz’altro affiancarsi un approccio severo all’analisi degli aspetti di sostenibilità ge-stionale finalizzato all’ottimizzazione dell’impiego delle risorse, sempre più limitate,per traslare best practices veramente innovative ed efficienti.

Di riferimento in questo senso l’analisi dei primi risultati di modelli sperimentali,pur con le diversità concettuali che li contraddistinguono, realizzati in alcune Re-gioni italiane (CREG Regione Lombardia, CCM in Toscana) ed estere.

Prefazione

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Infine, bisogna ripensare e adeguare alle mutate esigenze della complessità i luoghidi cura. Da pochi anni si è aperto un dibattito nel mondo scientifico e organizza-tivo per superare la visione ospedale-centrica del Servizio Sanitario Nazionale(SSN) e promuovere una corretta e ormai imprescindibile interazione ospedale-territorio (“primary care”) implementando, dopo averle opportunamente adeguate,quelle strategie territorio-centriche che nel centro-nord Europa hanno dato buonirisultati in termini di ottimizzazione delle risorse e miglioramento dell’outcomegestionale-assistenziale generale.

L’ospedale conserva sicuramente un ruolo fondamentale, ma è ormai evidente chel’utilizzo di indicatori di costo, quali i DRG attualmente in uso, sfocia in una si-tuazione che, oltre che eccessivamente onerosa per il SSN, è anche incapace di in-terpretare, descrivere e rispondere alle reali esigenze del cittadino che, in unparticolare momento della traiettoria della sua esistenza, diviene paziente complesso.

Mettere quindi a punto nuovi indicatori di costo, corrette analisi di determinantie misuratori di risultato diviene esigenza prioritaria, così come il garantire conti-nuità assistenziale nella delicata transizione ospedale-territorio e, perché no, terri-torio-ospedale, con il potenziamento e la qualificazione di setting assistenzialidedicati alla post-acuzie e alla cronicità.

On.le Beatrice Lorenzin Ministro della Salute

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Ministero della Salute

Foreword

The population’s health-related needs and perceived state of wellness are un-dergoing profound and radical change. From the early 19th century concept

of health, when it was considered as an “absence of illness”, we have progressed tothe definition, included in the Constitution of the World Health Organization(WHO), of a “state of complete physical, mental and social well-being”. Conse-quently, we have switched from a disease-oriented vision of medicine to a holisticperson-oriented approach. At the current time, this radical cultural, technologicaland health policy change is in full evolution towards operative implementation.On a purely social level, in recent years there have been partially unexpected qual-itative and quantitative changes in citizens’ health care demands. Although onthe one hand this is the positive result of better health awareness, particularly interms of prevention, on the other it is the direct and logical consequence of thecurrent demographic changes and a numerical increase in the lobbies surroundingspecific illnesses, thanks to the improvement in treatment outcomes and, therefore,survival in the strict sense. The fact that the social changes caused by the demo-graphic shift are indissolubly related to the biomedical aspects of ageing is alsoconfirmed by the many European initiatives that inevitably bring these two dis-ciplinary sectors into close operative contact through complex engagement mecha-nisms intended to synchronise interventional policy on a national level.Paradoxically, it could be said that the undisputed great progress achieved in med-ical knowledge over recent decades has greatly accelerated the need for nationalhealth services to rethink the foundations of their policy in a scientifically-correct,socially-coherent and, above all, economically-sustainable manner. For a newbreed of medicine, to meet the new health-related needs of a radically changedpatient. an on average older patient (the over-65s, which currently account for20.3% of the population, will constitute 33% of the same by 2030; the fastest-growing decade of the population is that between 80 and 90; the number of ultra-centenarians in Italy, currently 17,000, will have increased ten-fold in 30 years’

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time), involving a constant increase in the load of illness and disability, i.e. health-related needs. With this in mind, it cannot be overlooked that 50% of 65-year-olds takes more than 5 different types of medication a day and that the numberof disabled people (currently 2,800,000) will have increased by 70% by 2030,to over 5 million. This is due partly – and fortunately – to the “recovery with se-quelae” of many citizens who survive conditions that just a few years ago wouldhave been fatal (known as long-term survivors).

The concomitance of several conditions, when it is often impossible to identify thatmost salient in terms of prognosis and therapy (multimorbidity), is another char-acteristic of our times, meaning a proportionately lower importance being put onreduction-oriented medicine (disease → therapy → recovery) that has been super-seded by the need for a systemic approach (person → definition of the problems →quality of life); a systemic approach in which the entire behaviour of the whole isnothing more than the capacity or “impact” of the interactions between (ratherthan the simple sum of ) its individual components. This approach is useful, essentialeven, particularly in the case of the chronic conditions that constitute the currentglobal problem and look set to become even more pressing in the future (the WorldEconomic Forum has estimated that some 47 trillion dollars will be spent onchronic illnesses in 2030).

New health-related needs, because the “new” patient is a complex patient.

A modern national health service organised in line with the three aforesaid pillarsof scientific correctness, social compatibility and economic sustainability, must beable to meet a series of new requirements:• it must be able to satisfy the need to favour greater awareness and provide correct

information to user-citizens, including through specific training initiatives (inthis sense a fundamental role is played by our universities, which are currentlyundeniably under exploited) for healthcare professionals;

• it must be able to promote and develop the bases, first and foremost the culturalbases, for team work; a correct biological, psychological and social approach tothe needs of complex patients can no longer not involve a coordinated and sched-

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Ministero della Salute

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uled interaction between all the professional figures involved, in line with theirrespective qualifications and skill sets;

• it must redefine diagnostic and treatment pathways. Breaking the patient downinto the individual conditions he/she suffers from results in each ‘organ specialist’following his/her separate diagnostic and therapeutic pathway, which often over-laps or even conflicts with that of other colleagues, leading to the over-prescrip-tion of laboratory tests and instrumental procedures and conflicting and harmfulpharmacological polytherapies. In this context, we must not overlook the optionof taking incisive intervention, with ad hoc initiatives, also on the dispropor-tionate costs of defensive medicine, based on the founding principles of evidence-based medicine, which are not always rigorously and functionally applied tothe case of complex patients.

This integrated approach to patient management must undoubtedly encourage re-search into the inspiring principles of “Systems Medicine”, integrated multidiscipli-nary holistic approaches (biological and medical sciences in a broad sense –including, therefore, an in-depth analysis of the socioeconomic and psychologicalcomponents – around the person, medical informatics and computer science, throughto mathematical modelling for the optimisation of clinical trials) that manage com-plex patients with analysis tools potentially able to include the elements that formcomplexity and therefore to suggest therapeutic optimisation and management strate-gies. These approaches were also dedicated special attention and significant fundingin the final phases of the European Commission’s Framework Programme and playan important part in the programming of “Horizon 2020”, the European researchand innovation funding programme for the seven-year period 2014-2020. Biomed-ical research in the strict sense, with the characteristics of “holisticity” described, mustbe accompanied by a rigorous approach to the analysis of the aspects of managerialsustainability intended to optimise the utilisation of increasingly limited resources,in order to implement truly innovative and efficient best practices.

One key example is the analysis of the first results of experimental models, albeitwith the conceptual differences that characterise them, conducted in some Italianregions (CREG in Lombardy and CCM in Tuscany) and abroad.

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Foreword

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Ministero della Salute

Last but not least, we need to rethink treatment facilities and adapt them to thechanged needs of complexity. Recent years have seen a debate in the scientific andorganisational worlds aimed at overcoming the Italian health service’s hospital-ori-ented approach and to promote a correct and now essential interaction betweenhospital and community medicine (primary care) by implementing, following ap-propriate adjustment, those community-oriented strategies that in central andnorthern Europe have yielded good results in terms of resource optimisation andimprovement in the overall managerial – care outcome.

The hospital undeniably still plays an essential role, however it is now obvious thatthe use of cost indicators, such as the DRGs currently used, brings about a situationthat, in addition to being excessively costly for the NHS, is also unable to interpret,describe and respond to the real requirements of the citizen who, at a certain pointof his/her life, becomes a complex patient.

Fine-tuned new cost indicators, correct analysis of determinants and result-mea-suring tools are, therefore, priority requirements, as is the guaranteeing of treatmentcontinuity in the delicate transition between the hospital and the community and,why not, between the community and the hospital, with the promotion and qual-ification of care settings dedicated to post-acute and chronic patients.

Hon. Beatrice Lorenzin Minister of Health

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Ministero della Salute

2. Epidemiologia delle patologie croniche e della loro combinazione. Dalle ontologieclassiche alla ri-fenotipizzazione centrata sul concetto di complessità

Le malattie croniche rappresentano il principaleproblema di salute pubblica nei Paesi occidentali,oltre a minare a fondo la sostenibilità dei sistemisanitari. Queste patologie sono responsabili del92% di tutte le morti nel nostro Paese, con unamaggiore rilevanza delle patologie cardiovascolari(41%) e dei tumori (28%). Il miglioramento dellecure, combinato al crescente invecchiamento dellapopolazione, pone notevoli pressioni gestionalied economiche sui Sistemi Sanitari Nazionali. Inparticolare, la crescente prevalenza di pazienti conpiù patologie – un terzo della popolazione adultae oltre due terzi della popolazione anziana – ponemolteplici sfide, fra cui la definizione di Lineeguida di trattamento per questi pazienti, oltre al-l’individuazione di parametri di esito che tenganoconto della complessità clinica. Un approccio mi-rato alla complessità consentirà di ottimizzare leproposte terapeutiche, muovendosi così in unoscenario di medicina reattiva e personalizzata ingrado di migliorare il rapporto costo-beneficiodegli interventi.

3. Metodologia di approccio alla complessità

La malattia-ontologia non corrisponde a un fe-notipo unico e stabile, ma diverso per ogni indi-viduo, a cui deve essere adattato ogni interventoclinico. I sistemi biologici del nostro corpo costi-tuiscono una realtà unitaria, che supera le singoleparti, per cui la comprensione del sistema richiedela valutazione contemporanea delle sue compo-nenti, senza regole gerarchiche. La “medicina della complessità” si esercita con lasintesi, che diviene sinergia, tra l’EBM e la medi-

Sintesi dei contributi

1. Il concetto di complessità

La malattia, ontologia creata sulla base del con-senso fra clinici, da sempre guida l’azione del me-dico che la identifica in relazione ai sintomi, neindividua i rimedi e, nella misura possibile, ripri-stina lo stato di salute. La diagnosi è così il rico-noscimento di un’impronta digitale attraverso ipunti di identità fra malattia-ontologia conosciutae quadro clinico. Oggi, specie con l’invecchia-mento della popolazione, questo è assai spessodifficile tenendo conto di: • conseguenze della malattia sui diversi organi e

apparati; • coesistenza di più condizioni morbose;• caratteristiche peculiari del paziente e sua storia

clinica;• possibile comparsa di complicanze;• trattamenti che vengono praticati, loro effetti

specifici, diretti e indiretti, ed effetti collate-rali;

• invecchiamento e progressiva riduzione dellefunzioni d’organo e di apparato.

La “complessità in medicina” considera l’insiemedelle diverse condizioni morbose non solo inquanto compresenti, ma nella loro interazionemultidimensionale (comorbilità, multimorbilitàa genesi comune o diversa, convergenza su ele-menti clinici comuni e interconnessione conacuzie e cronicità e con l’intensità di cura ne-cessaria).

n. 23, settembre-ottobre 2013

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approccio che vada al di là del semplice coordi-namento delle varie prestazioni specialistiche, mache si configuri come messa a punto di percorsidiagnostico-terapeutici-riabilitativi il più possibileindividualizzati, con buon rapporto costo/effica-cia, e che prevedano sempre di più l’empowermentdel paziente e della sua famiglia e la costituzionedi percorsi assistenziali in continuità ospedale-territorio.

5. Revisione critica dei modelli gestionali

La realizzazione di un modello di assistenza sani-taria che possa prendere in carico in modo soste-nibile i pazienti con patologie croniche richiedeuna nuova definizione dei modelli gestionali. In tale ottica lo sviluppo di una “sanità d’inizia-tiva”, ovvero di un modello assistenziale che siain grado di intervenire, quando possibile, primadell’insorgere della malattia e di gestire la malattiastessa in modo tale da rallentarne il decorso e li-mitarne le riacutizzazioni, garantisce al pazienteinterventi adeguati e differenziati in rapporto allivello di rischio.Il Chronic Related Group (CReG) della RegioneLombardia classifica gli assistiti in funzione dellacronicità individuando, con una particolare tec-nica di clusterizzazione, le prestazioni più probabilie ridefinisce, di conseguenza, un Piano di Assi-stenza Individuale. Il CReG “fotografa” l’assistitonella sua condizione reale di bisogno con l’obiet-tivo di farsene carico nel modo più esaustivo pos-sibile, organizzando un modello assistenziale chesupporti il paziente e incrementi la sua compliancecon le cure di cui ha bisogno.L’Expanded Chronic Care Model (Expanded CCM)della Regione Toscana supera l’approccio per pa-tologia e focalizza l’attenzione sul rischio, classifi-cando i pazienti in base al rischio di cronicità.Inoltre, espande l’attenzione alle condizioni non

cina narrativa, cogliendo attraverso tutti i sensiogni dinamica della vita dell’individuo. La metodologia è quella abituale della buona me-dicina, accentando il rigore metodologico con cuisi svolgono: anamnesi ed esame obiettivo; indivi-duazione del sintomo/sintomi guida (ovvero mo-tivo/i del ricorso alle cure); impostazione dell’iterdiagnostico con approccio inclusivo; impostazionedell’iter terapeutico integrato; impostazione di unprogramma di follow-up e di proseguimento cor-retto del percorso clinico. Ciascuna di queste fasi si deve svolgere con ap-proccio inclusivo, senza gerarchie esclusive, maincludendo e valorizzando ogni elemento con ap-proccio olistico e sistematico.

4. Il “Fenoma Complesso”

La realtà degli scenari in cui il medico si trova at-tualmente a operare porta il clinico a confrontarsicon pazienti affetti da più condizioni morbosecoesistenti. Ciò richiede di guardare oltre le defi-nizioni tassonomiche tradizionali e di individuarenuove presentazioni fenotipiche relative ai pa-zienti, siano essi adulti ma anche, e soprattutto,bambini/adolescenti e anziani. I progressi della medicina hanno infatti permesso,da un lato, di curare, ma non di guarire, patologieche un tempo avevano un esito letale precoce (es.cardiopatie congenite, difetti genici) e, dall’altro,hanno prolungato la sopravvivenza di pazienti af-fetti da malattie croniche (es. cardiovascolari, me-taboliche). Tutto ciò ha condotto all’emergenzadi quadri clinici/fenotipi complessi; il fenotipo oFenoma Complesso, lungi dall’essere una semplicesommatoria delle condizioni morbose che lo com-pongono, rappresenta un’entità fenomenica concaratteristiche peculiari in termini di eziopatoge-nesi, necessità terapeutiche e prognosi. La gestione del paziente complesso richiede un

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solo sanitarie, ma anche sociali, economiche e cul-turali degli assistiti e alla prevenzione primaria.

6. Gli strumenti tecnologici degli approcci di sistema alla complessità:Systems Biology e Systems Medicine

Lo sviluppo tecnologico delle metodiche di biologiamolecolare e cellulare consente l’analisi su vastascala di DNA, mRNA, proteine e metaboliti con-tribuendo al progresso della Systems Biology. La Sy-stems Biology, grazie a una rapida evoluzione dellacomputer science applicata alla biologia e alla medi-cina, ha la capacità di prevedere l’outcome di uncerto stato di modifiche nell’assetto genetico/pro-teomico/metabolomico/esposomico e quindi diconsentire lo sviluppo di nuove strategie diagno-stico-terapeutiche. Gli approcci di Systems Biologycontribuiranno alla raccolta di informazioni rile-vanti per l’identificazione di nuovi target terapeuticie nuovi approcci innovativi di diagnosi e terapiache consentiranno, a loro volta, l’applicazione diun approccio personalizzato di Systems Medicine.

7. Informazione, formazione e Capacity Building in medicina della complessità

La complessità non ha ancora un adeguato inse-rimento nell’insegnamento clinico, essenzialmentebasato sulle ontologie, che ha l’obiettivo di tra-sferire puntualmente ma separatamente le cono-scenze e le competenze specifiche generate attra-verso l’articolazione della medicina nelle specialità,con approccio riduzionistico. Questo prevede una“catena di esclusioni”, mentre l’approccio allacomplessità richiede la capacità di “includere”tutti i diversi elementi rilevanti presenti, poichétutti contribuiscono alla genesi del quadro clinico,rendendo essenziali per la formazione, insieme

all’EBM, l’insegnamento per problemi e la co-municazione, per affrontare la “dimensione per-sona” del paziente nella sua globalità. Accentua-zione quindi dell’aspetto tecnico-clinico, neces-sario per un adeguato studio del paziente, di quelloumanistico-comunicativo per analizzare appro-priatamente la persona e di quello economico-gestionale per realizzare gli approcci che per i di-versi contesti clinici l’HTA indica come adeguati,con specifica attenzione al “team learning” perchél’approccio olistico inclusivo richiede la forma-zione contestuale dei diversi professionisti dellasanità responsabili dello studio e della gestionedella singola persona ammalata.

8. Ipotesi per una gestione sostenibile della complessità; analisi economica

Una gestione scientificamente accettabile, orga-nizzativamente praticabile ed economicamentesostenibile del paziente complesso richiede un ap-proccio alla sua gestione attraverso un nuovo mo-dello di assistenza sanitaria, che faccia della me-dicina di sistema o “Systems Medicine” la sua baseconcettuale, che colloca realmente i singoli citta-dini al centro del processo dell’assistenza sanitaria,conciliando le differenze individuali in tutte lefasi del processo, dalla prevenzione attraverso ladiagnosi e il trattamento al follow-up. Il primo passo verso tale sistema è conoscitivo:stanti le attuali difficoltà dei sistemi informativisanitari, si è posta la necessità di identificare lapopolazione dei malati complessi, con le relativecaratteristiche, anche allo scopo di delineareschemi e percorsi gestionali appropriati. A talescopo il contributo analizza la coorte dei pazienti“complessi” della Regione Lazio, a partire daun’analisi dei ricoveri ospedalieri, che in questomomento costituiscono la base più robusta peruna valida ricognizione dei fenomeni.

Sintesi dei contributi

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genza di scarsità di risorse, con la necessità im-prorogabile dell’allocazione prioritaria delle risorsein maniera quanto più ottimale ed efficiente pos-sibile, impone, proprio a partire da quest’ambito,un cambiamento dei sistemi sanitari, nel medio-lungo periodo, verso logiche di sostenibilità e dicreazione di “valore” (rapporto costo/outcome)per il cittadino-paziente.È tuttavia indubbio come tale trasformazione saràpossibile agendo, oltre che sullo sviluppo orga-nizzativo, sulla cultura e sullo sviluppo dei sistemidi gestione delle risorse, davvero integrati e orien-tati ai problemi di salute e non più alla sola epuntuale erogazione dei singoli servizi di cura.

Il passaggio successivo, come evidenziato nei Ca-pitoli precedenti, è la costruzione di una piatta-forma di gestione e monitoraggio di tutti i fattoriche possono influenzare lo sviluppo della malattiain un dato individuo, tra cui non solo i fattorigenetici e biologici, ma anche le influenze am-bientali e quelle legate allo stile di vita, oltre chei singoli episodi assistenziali, proprio allo scopodi integrare informazioni complesse provenientida molteplici fonti di dati e generare un outpututilizzabile per sostenere la salute dei singoli cit-tadini. Solo così si può conseguire l’orientamento dei si-stemi organizzativo-gestionali: l’attuale contin-

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2. Epidemiology of chronic diseases and their combinations. From classicalontologies to a re-phenotyping centred on the concept of complexity

Chronic diseases represent the principal publichealth problem in Western countries, in additionto thoroughly undermining the sustainability ofhealthcare systems. These diseases are responsiblefor 92% of all deaths in our country, with cardio-vascular diseases (41%) and cancers (28%) havingthe greater consequence. The improvement intreatments, combined with the increasing ageingof the population, imposes considerable manage-rial and economic pressures on National HealthSystems. In particular, the growing prevalence ofpatients with multiple diseases – one-third of theadult population and over two-thirds of the elderlypopulation – sets many challenges, including thedefinition of treatment Guidelines for these pa-tients, in addition to the identification of outcomeparameters that take into account clinical com-plexity. A targeted approach to complexity willoptimise therapeutic recommendations, therebymoving in a scenario of a responsive and person-alised medicine that can improve the cost-effec-tiveness of interventions. 3. A methodology of approach to complexity

The disease-ontology does not correspond to asingle and stable phenotype, but is different foreach individual, to which each clinical interven-tion must be adapted. The biological systems ofour body constitute a unitary reality which exceedsthe individual parts, whereby understanding ofthe system requires the contemporary assessmentof its components, without hierarchical rules.“Complexity medicine” is practised with the syn-thesis, which becomes synergy, between EBM and

Abstract

1. The concept of complexity

Disease, an ontology created on the basis of con-sensus among clinicians, always guides the actionof the physician who identifies it in relation tosymptoms, who locates its remedies and, to theextent possible, restores the state of health. Diag-nosis is thereby the recognition of a digital fin-gerprint by way of points of identity betweenknown disease-ontology and clinical profile. To-day, especially with a population that is ageing,this is very often difficult taking into account: • the consequences of the disease on different

organs and systems; • the coexistence of multiple disease conditions;• the distinguishing characteristics of patients

and their medical history;• the possible appearance of complications;• the treatments that are practised, their specific

effects both direct and indirect, and side-ef-fects;

• the ageing and gradual reduction of organ andsystems functions.

“Complexity in medicine” considers all the dif-ferent disease conditions not only in their simul-taneously present aspect, but also in their multi-dimensional interaction (comorbidity, multimor-bidity of common or different origin, convergenceon common clinical elements and interconnectionwith acute and chronic care and with the intensityof care required).

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The management of the complex patient requiresan approach that goes beyond the mere coordi-nation of various specialised services, which en-visages itself instead as the development of diag-nostic-therapeutic-rehabilitative pathways whichare individualised as far as possible, with a satis-factory cost-effectiveness, and which providesmore and more for the empowerment of the pa-tient and his family and the establishment of con-tinuous hospital–community care pathways.

5. Critical review of management models

The creation of a health care model that can takecharge of patients with chronic conditions in asustainable way requires a new definition of man-agement models. In this regard the development of a “healthcareof initiative”, or a model of care that can intervene,where possible, before the onset of disease andwhich can manage the disease in such a way as toslow down its course and limit its exacerbations,ensures for patients adequate interventions whichare differentiated according to the level of risk.The Chronic Related Group (CReG) of the Lom-bardy Region classifies persons being assisted ac-cording to chronicity identifying, with a particularclustering technique, the most probable servicesand redefining, therefore, an Individual Care Plan.The CReG “photographs” the person being as-sisted in their actual condition of need in orderto take charge of them in the broadest sense pos-sible, organising a model of care that supportsthe patient and increases the patient’s compliancewith the treatments that they need.The Expanded Chronic Care Model (ExpandedCCM) of the Tuscany Region goes beyond theapproach based on pathology and focuses atten-tion on risk, classifying patients according to therisk of chronicity. In addition, the model broadens

narrative medicine, capturing every dynamic ofthe life of the individual through all the senses.The methodology is that usual one of good med-icine, accentuating the methodological rigour withwhich are conducted: medical history and physicalexamination; the identification of the guide symp-tom/symptoms (or the reason(s) for recourse tocare); the setting up of a diagnostic process withan inclusive approach; the setting up of an inte-grated therapeutic process; the setting up of a fol-low-up programme and a proper continuance ofthe clinical pathway. Each of these phases mustbe conducted with an inclusive approach, withoutexclusive hierarchies, including and valuing eachelement with a holistic and systematic approach.

4. The “Complex Phenome”

The reality of the situations in which the physicianfinds him or herself currently working leads theclinician to deal with patients suffering from mul-tiple coexisting disease conditions. This requiresa looking beyond traditional taxonomic defini-tions to identify new phenotypic presentationsrelating to patients, whether these patients areadults or also, and especially, children/adolescentsand elderly. Medical advances in fact have allowedon the one hand the treatment, but not the heal-ing, of diseases that once had an early lethal out-come (e.g., congenital heart disease, gene defects)and, on the other hand, have prolonged the sur-vival of patients suffering from chronic diseases(e.g., cardiovascular, metabolic). All this has ledto the emergence of complex clinical profiles/phe-notypes; the phenotype or Complex Phenome,far from being a simple summation of the diseaseconditions that comprise it, represents a phe-nomenic entity with distinguishing characteristicsin terms of etiopathogenesis, therapeutic needsand prognosis.

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the attention to include as well as health condi-tions, also social, economic and cultural condi-tions of the persons being assisted as well as pri-mary prevention.

6. The technological tools of system approaches to complexity:Systems Biology and Systems Medicine

The technological development of molecular andcellular biology methodologies allows large-scaleanalysis of DNA, mRNA, proteins and metabo-lites, which contributes to the advancement ofSystems Biology. Systems Biology, thanks to the rapid evolution ofcomputer science applied to biology and medi-cine, has the ability to forecast the outcome of aparticular state of changes in the genetic/pro-teomic/metabolomic/exposomic arrangement,and therefore to permit the development of newdiagnostic/ therapeutic strategies. The methods of Systems Biology will contributeto the collection of relevant information for theidentification of new therapeutic targets and newand innovative approaches to diagnoses and ther-apies that will allow, in turn, the application of acustomised Systems Medicine approach.

7. Information, training and Capacity Building in complexity medicine

Complexity does not yet have a commensurateinclusion in clinical teaching, that essentially basedon ontologies which aims to transfer exactly butseparately the specific knowledge and expertisegenerated through the articulation of medicinein its specialities, using a reductionist approach.This provides for a “chain of exclusions”, whilethe approach to complexity requires the abilityto “include” all the relevant different elements

present, since they all contribute to the creationof the clinical profile, making education on prob-lems and communication a necessity for training,together with EBM, in order to deal with the“person dimension” of the patient as a whole. Anaccentuation therefore of the clinical and technicalaspects necessary for a correct study of the patient,the humanist and communicative aspects toanalyse the person appropriately, and the eco-nomic-managerial aspects to implement the ap-proaches indicated by the HTA as adequate forthe different clinical contexts, with specific atten-tion to “team learning” because the inclusive ho-listic approach requires contextual training forthe different health professionals responsible forthe study and management of the single patient.

8. Hypotheses for a sustainablemanagement of complexity; economic analyses

A scientifically acceptable, organisationally viableand economically sustainable management of thecomplex patient requires an approach through anew model of health care that takes “SystemsMedicine” as its conceptual basis, which genuinelyplaces individual citizens at the centre of the healthcare process, reconciling individual differences atall stages of the process, from prevention throughdiagnosis and treatment to follow-up. The first step towards such a system is knowl-edge-based: given the existing difficulties of healthinformation systems, the need has establisheditself to identify the population of patients withcomplex diseases, with their relative characteristics,in order also to outline management schemes andpathways which are appropriate. For this purposethe contribution analyses the cohort of “complex”patients in the Lazio Region, starting from ananalysis of hospital admissions, which currently

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rent contingency of resource scarcity, with the ur-gent need for priority allocation of resources inas optimal and efficient a manner as possible, re-quires, starting exactly from this area, a change ofhealth care systems in the medium to long termtowards a logic of sustainability and the creationof “value” (cost/outcome ratio) for the citizen-patient.It is clear nevertheless that this transformation ispossible by acting, as well as on organisationaldevelopment, on the culture and development ofresource management systems which are truly in-tegrated and oriented towards health problemsand no longer only to the timely provision of in-dividual care services.

form the strongest basis for an effective survey ofevents. The next step, as outlined in the previous Chapters,is the building of a platform for the managementand monitoring of all factors which may influencethe development of the disease in a given individ-ual, including not only the genetic and biologicalfactors, but also environmental influences andthose linked to lifestyle, as well as individual careepisodes, precisely for the purpose of integratingcomplex information from multiple data sourcesand generating an output that can be used to sup-port the health of individual citizens. Only in this way can the direction of organisa-tional/management systems be obtained: the cur-

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1. Il concetto di complessità

studio della malattia come ontologia, prendendole distanze da un approccio meramente teurgicoper porre le basi di un’interpretazione, su basiscientifiche, della salute umana. Questo approccioè stato sempre basato sulle malattie, identificate epuntualmente caratterizzate come ontologie defi-nite e distinte.Come si possono definire le ontologie? Il termineindica strategie in grado di fornire strutture diconoscenza, “artefatti” ingegnerizzati, utili per or-ganizzare l’informazione attraverso la specifica-zione formale di una concettualizzazione. Le stra-tegie dipendono dall’applicazione e dall’uso e cor-rispondono ai differenti significati del termine“ontologia”.La sua definizione implica che l’ontologia sia laspecificazione formale ed esplicita di una concet-tualizzazione condivisa, la realizzazione di un mo-dello astratto di un fenomeno del mondo realeattraverso l’identificazione dei concetti rilevantiche, per l’appunto, lo caratterizzano.La “specificazione esplicita” significa che i concetti,le proprietà e i vincoli che caratterizzano il feno-meno devono essere definiti esplicitamente; peresempio, nell’ambito medico il concetto di malattiae quello di sintomo sono legati da precise relazionicausali, per cui una malattia provoca dei sintomi,che a loro volta caratterizzano la malattia.

Nel tempo il medico ha sempre rappresentato coluiche guariva la persona dalle malattie e non possiamooggi affrontare il tema della complessità in medicinasenza confrontarci con il concetto di malattia, ele-mento centrale e qualificante del mondo medico,e con la sua evoluzione. Infatti, negli anni recentisi è reso evidente che il concetto di “guarigione” haceduto progressivamente il passo a quello di con-tenimento e cronicizzazione, possibilmente in buonequilibrio, di coesistenza di condizioni morbosediverse e di frequente emergenza di quadri cliniciassai complessi anche in relazione ai vissuti clinicidei singoli ammalati.

Il concetto di malattia

Nella medicina occidentale, che ha radici greco-romane, la malattia si identifica con uno stato disalute “non naturale”. Nell’antichità la malattiatraeva le sue basi interpretative da speculazioni dinatura religiosa (medicina teurgica) spesso associateal concetto di castigo divino, aspetto che ancoraoggi trova riscontro in alcuni situazioni sociocul-turali. Forse non a caso il simbolo della medicinaè il serpente, animale sacro poiché ritenuto, sep-pure erroneamente, immune da qualsiasi malattia. È con Ippocrate (460-377 a.C.) che la medicinasi avvia verso un percorso di razionalizzazione dello

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Le malattie definite come ontologie in medicinarappresentano quindi il risultato di un processotalora solo recentemente esplicito, in precedenzapiù frequentemente implicito, di consenso, pro-prio a proposito della definizione di una specificaontologia. L’esplicitazione formale indica che un’ontologiadebba essere:• “machine readable”, cioè possa essere identificata

inequivocabilmente e in maniera quasi auto-matica, elementarmente semplice, una voltacolti e compresi i suoi elementi costitutivi;

• condivisa, perché la conoscenza non è il fruttodel ragionamento di un singolo, ma dell’ela-borazione di un gruppo che esprime il suo con-senso.

Ne deriva che il concetto di “malattia” può esseredefinito come un’alterazione dello stato di salutecaratterizzato da elementi distintivi tali da giusti-ficare l’identità della malattia stessa e da consentirela diagnosi, attraverso la comprensione e l’identi-ficazione dei momenti clinici che ne caratterizzanoil decorso.Nella definizione di malattia come alterazione dellostato di salute è insito anche il concetto della tran-sitorietà, perché l’interruzione dello stato di saluteha un limite temporale nella sua durata e si risolve,nell’ipotesi favorevole, con la guarigione o il con-trollo della malattia stessa, riallineando le condi-zioni di adattamento delle funzioni organiche del-l’individuo in un equilibrio compatibile con la so-pravvivenza.L’evolversi delle condizioni di adattamento allaricerca di un equilibrio compatibile, se infruttuosa,si traduce in un progressivo peggioramento, finoalla morte. Dal concetto di malattia enunciatoderiva che il ragionamento diagnostico di indivi-duazione di una malattia e del suo momento cli-nico assuma così le caratteristiche del riconosci-mento univoco di un’impronta digitale: si ricer-

cano i punti di identità fra malattia conosciuta esituazione clinica del paziente e, quando i puntidi identità superano un certo numero, si definiscela diagnosi (approccio euristico al problema). Tut-tavia il singolo malato – potenzialmente sempre,ma in particolare oggi con il progressivo invec-chiamento della popolazione – si può presentarecon un quadro clinico complesso in funzione diuna serie di elementi:• in rapporto alle conseguenze della malattia sui

diversi organi e apparati;• in rapporto alla coesistenza di più condizioni

morbose;• in rapporto alle caratteristiche del paziente af-

fetto dalla malattia, e in particolare alla suastoria clinica precedente;

• in rapporto alla possibile comparsa di quegliulteriori elementi clinici che vengono comu-nemente definiti come complicanze;

• in rapporto al trattamento o ai trattamenti chevengono praticati, ai loro effetti specifici e di-retti, ai loro effetti aspecifici e indiretti, agli ef-fetti collaterali;

• in relazione, per le malattie croniche, all’in-vecchiamento e alla progressiva riduzione dellefunzioni d’organo e di apparato.

D’altra parte il concetto di malattia ha in sé acce-zioni diverse: quello che in italiano definiamo conla parola “malattia” è costituito da almeno treconcetti fondamentali, che l’inglese definisce se-paratamente, con la triade DIS (Disease, Illness,Sickness). In rapporto al paradigma biomedico, la malattia(Disease) è un “guasto” organico oggettivamentemisurato, cioè una deviazione dalla fisiologia chea sua volta si traduce in una riduzione attuale opotenziale delle capacità fisiche e/o in una ridottaaspettativa di vita.In rapporto alla visione dell’ammalato, la malattia(Illness) è la compromissione dello stato di salute

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da lui percepita come negativa e indesiderabile;dolori, debolezza e malessere rappresentano la per-cezione che la malattia offre di se stessa a chi nesoffre, e segni e sintomi presenti sono il legamecon l’agire del medico che, interpretandoli, iden-tifica la malattia (Disease).Nel contesto di una collettività, la malattia (Sick-ness) si carica di conseguenze sociali e relazionali.Il malato, in funzione del suo stato di malattia,acquisisce determinati diritti e determinati obbli-ghi, che in stato di salute invece non avrebbe.Senza tuttavia voler estendere ulteriormente ledimensioni di descrizione e analisi della comples-sità in medicina e limitandosi alla valutazionedella relazione tra condizione morbosa clinica-mente rilevante e stato di salute complessivo dellapersona, si pone la questione di una definizioneappropriata e pragmaticamente efficace del ter-mine “complessità”. A tale proposito è utile richiamare la comune ori-gine filologica dei termini complesso, complicatoe semplice, ovvero la radice indo-europea: plek-(parte, piega, intreccio). Da plek- derivano, in latino: • il verbo plicare = piegare;• il verbo plectere = intrecciare;• il suffisso -plex = parte;• la parola semplice = sine plex…Il termine “complicato” deriva dal latino cum +plicare, che significa con pieghe e che di conse-guenza può essere “s-piegato”, come la compre-senza di più malattie ciascuna identificabile. Al contrario, il termine complesso deriva dal latinoda cum + plectere, che significa con intrecci, esottintende, di solito, l’impossibilità o l’estremadifficoltà a sciogliere l’intreccio e persino a indi-viduare le modalità per scioglierlo; in determinatesituazioni, le condizioni morbose diverse non solosono compresenti, ma tendono a interagire traloro in modo multidimensionale (per fisiopato-

logia, fase, impegno clinico per le funzioni vitali)in modo non agevolmente valutabile.In questo contesto è opportuno introdurre un’ul-teriore dimensione della complessità, e cioè il con-cetto di intensità, strettamente legato al tipo diassistenza di cui il paziente ha bisogno.Queste considerazioni descrivono la difficoltà adaffrontare sul campo il tema della complessità, manella pratica medica è necessario definire in modopreciso e condivisibile la complessità e il modo incui affrontarla, poiché questo ha risvolti fonda-mentali nell’impostazione di strategie diagnostico-terapeutiche e nell’organizzazione dei percorsi sa-nitari. Questo è il motivo per cui individuare unadefinizione operativa valida della complessità nonha un significato linguistico, ma garantisce l’effi-cacia nella comunicazione tra professionisti. Un modo elementare di intendere la complessitàin medicina è la coesistenza nello stesso pazientedi più condizioni morbose, o di malattie, secondola definizione ontologica dominante. Questo con-cetto si applica in generale alle malattie croniche,per cui la coesistenza nelle fasce di età più avanzatadiviene la regola, ma si può realizzare anche permalattie acute o acute e croniche.Si parla di comorbilità in presenza di una condi-zione considerabile chiaramente dominante, maspesso il termine multimorbilità descrive più effi-cacemente la situazione. La prevalenza della “multi -morbilità”, pur variando a seconda della casisticaconsiderata e degli studi condotti, può essere sti-mata in un 20-30% della popolazione generale;questo dato sale dal 55% al 98% se si considera lapopolazione anziana o le classi sociali disagiate.Assai informativo nel descrivere e comprenderela complessità in medicina come comorbilità e/omultimorbilità è il grafico di Holmes, che evi-denzia il sovrapporsi di più patologie concomitantie il loro andamento crescente in funzione dell’età(Figura 1.1).

Il concetto di complessità 1

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È peraltro intuitivo che ciascuna delle diverse con-dizioni morbose può presentarsi con diverso gradodi progressione, di acuzie e di compromissionedelle funzioni vitali.A questo scopo può essere utile introdurre alcuniesempi utili a individuare elementi logici comuni,applicabili ai diversi campi della patologia: • scompenso cardiaco classe III secondo la New

York Heart Association (NYHA) con diabetemellito di tipo 2 di recente insorgenza in cat-tivo compenso e insufficienza renale grave;

• broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)riacutizzata in cardiopatia ischemica cronica,insufficienza renale di grado moderato e iper-tiroidismo in trattamento in fase eutiroidea;

• febbre elevata e grave compromissione degliscambi respiratori in paziente giovane con pe-ricardio-miocardite.

In ciascuno di questi quadri (e in questo risiede ilconcetto di complessità) le diverse condizionimorbose hanno ripercussioni le une sulle altre,sia nel concorrere allo stato attuale di salute delpaziente, sia nell’influenzare il grado e la progres-sione dell’una rispetto all’altra. Inoltre, la presenzadi multimorbilità può influenzare in modo rile-vante sia la clinica sia le strategie terapeutiche (lacoesistenza di un’insufficienza renale influirà sullaprogressione dello scompenso cardiaco e la terapiadello scompenso non potrà essere massimale nelpaziente con insufficienza renale cronica).

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Figura 1.1 Andamento della percentuale di comorbilità in funzione dell’età.

60

50

40

30

20

10

0

Età (anni)

Perc

entu

ale

55-59 60-64

1 o più comorbilità graviComorbilitàIpertensioneArtrosiMalattia cardiovascolare molto graveMalattia cardiovascolare moderatamente graveNeoplasia pregressaIctus/attacco ischemico transitorio (TIA)DiabeteBroncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)

65-69 70-74 75-79 80-84 > 85

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Il grado di complessità può modificarsi nel tempo,aumentando o riducendosi. Le complicanze deldiabete rappresentano un caso abbastanza tipicodi patologia a elevato grado di complessità; bastipensare alla neuropatia con ulcera plantare so-vrainfetta. Il diabete con neuropatia pone di persé problemi assistenziali non banali, richiedendol’impegno congiunto di medici di medicina gene-rale, diabetologi, infermieri, dietisti e podologi.La comparsa della lesione ulcerativa infetta com-plica il quadro, aumentando l’impegno di diabe-tologi e infermieri e richiedendo spesso l’interventocoordinato di altre figure specializzate (diabetologispecificamente dedicati alla cura del piede diabe-tico, chirurghi, ortopedici, specialisti in malattieinfettive). Elementi di natura non strettamentemedica (assenza di adeguato supporto familiare/so-ciale, presenza di disabilità fisica e/o disfunzionecognitiva) possono porre problemi ulteriori nellagestione clinica, costringendo a mobilizzare ulte-riori risorse sanitarie. Il miglioramento del quadroclinico, con la scomparsa dei segni di infezione, siaccompagna a una progressiva riduzione della com-plessità; la gestione del paziente con pregressa ul-cera neuropatica guarita non differisce infatti daquella del paziente con neuropatia senza pregressaulcera. Al tempo stesso, la maggior parte dei pa-zienti con pregressa ulcera neuropatica è destinataa nuovi episodi ulcerativi nel corso della vita, chegenereranno un nuovo, transitorio aumento dellacomplessità assistenziale. Pur essendo una patologiacronica, il diabete complicato è quindi un classicoesempio di una condizione la cui complessità nonè stabile nel tempo, ma varia potenzialmente incontinuo in base allo stato clinico attuale.Per la piena descrizione della complessità è oppor-tuno, come già accennato in precedenza, introdurreil concetto di intensità, che è strettamente legato altipo di assistenza di cui il paziente ha bisogno. Ilpaziente complesso che richiede cicli di ventilazione

non invasiva sarà a media intensità; se, invece, avràbisogno di ventilazione meccanica, sarà ad alta in-tensità. Tuttavia, la sua complessità rimarrà la stessa(BPCO, scompenso cardiaco, insufficienza renale).A seconda della condizione clinica, varierà il gradodi severità e intensità di cure necessarie, le figureprofessionali coinvolte e la loro densità in rapportoai pazienti. Il corretto utilizzo dei termini “com-plesso”, “complicato” e “intenso/severo” consentiràanche l’identificazione del percorso assistenzialepiù appropriato per il paziente, e quindi un utilizzoconsono delle risorse. In altri termini, la complessitàè trasversale a tutte le intensità e severità, mentre èil grado di intensità/severità che determina la col-locazione del paziente “per intensità” (bassa, media,elevata).Complessità quindi come comorbilità, multimor-bilità, o condizioni a genesi fisiopatologica e sempreinterconnessa con le variabili di acuzie e cronicitàe con il livello di intensità di cura necessario.La visione è quindi multidimensionale e rigoro-samente attenta alle interazioni fra i diversi sistemie apparati e al risultato complessivo di perturba-zione della salute della persona come “emergenza”del sistema complesso e non come somma dellesue componenti. Con un approccio elementare potrebbe apparireche la complessità abbia come concetto oppostola semplicità. In realtà non è così, perché ognimalato “semplice” racchiude in sé la potenzialitàdi divenire complesso nel giro di poco tempo, epersino di minuti/secondi.Ciò che si contrappone direttamente alla com-plessità è il “riduzionismo” specialistico. L’appli-cazione dei principi del riduzionismo alla medi-cina da oltre due secoli, fin dall’inizio dell’evolu-zione della fisiopatologia classica, ha certamentepermesso lo studio delle basi patogenetiche e fi-siopatologiche delle condizioni morbose per poteranalizzare i singoli elementi del nostro corpo se-

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zionandolo funzionalmente fino a raggiungere illivello molecolare.Tradizionalmente, i sistemi sono stati studiati uti-lizzando un approccio di tipo riduzionista, in cuil’ipotesi di base è che il sistema possa essere com-preso prendendo in considerazione soltanto le suesingole parti. I problemi complessi vengono risoltidividendo il sistema in parti più piccole e più trat-tabili, ma senza prendere in considerazione la retedi interazioni esistenti tra gli elementi del sistemastesso. L’approccio riduzionista è chiaramente li-mitante per la comprensione di un sistema com-plesso, ma ha permesso di ottenere l’enorme massadi dati (letteralmente miliardi di “data point” perogni singolo soggetto) e di conoscenze di cui oggipossiamo disporre. Certamente, mediante l’im-piego di un approccio analitico, settoriale e spe-cialistico non è possibile ricondurre la malattia auna semplice equazione causa-effetto. Secondol’approccio riduzionista, infatti, la via maestra peracquisire la conoscenza di un fenomeno complessoconsiste nella scomposizione dello stesso fenomenonelle componenti più semplici che lo costituisconoe nello studio delle proprietà e del comportamentodelle singole unità in condizioni il più possibilecontrollate. Secondo questa visione elementare,una volta ottenute la comprensione delle singoleparti costituenti e l’individuazione delle loro in-terrelazioni, il fenomeno complesso può essere de-scritto e ricostruito. Tale processo, essendo regolare,oggettivo e prevedibile, dovrebbe idealmente por-tare a un’unica conclusione, indipendentementedall’osservatore da cui è valutato. Ne consegue che il medico, in maniera simile aun meccanico in grado di riparare un’automobile,individuandone la parte, o le parti, malfunzio-nanti, identifica e analizza i segni e sintomi dellamalattia da cui un individuo è “colpito”, medianteun procedimento deduttivo-inferenziale e analo-gico; ricerca, ove possibile, la causa specifica della

malattia e sceglie il trattamento farmacologicoche ha dimostrato la migliore efficacia e la mag-giore tollerabilità sulla base dei risultati dei granditrials clinici randomizzati (RCT), in cui la stessamalattia è stata studiata.Questo processo, che segue le linee della Evidence-Based Medicine (EBM), viene classicamente sin-tetizzato nelle quattro azioni seguenti:• formulare specifiche domande cliniche a cui

offrire risposte adeguate;• ricercare le migliori evidenze cliniche disponi-

bile nella letteratura di qualità;• valutare criticamente le evidenze;• applicare al paziente le soluzioni individuate.L’utilizzo di un approccio apparentemente cosìsemplificato, in cui le malattie sono individuatecome entità ontologiche separate dal punto divista fisiopatologico e terapeutico, risulta pur-troppo del tutto inadeguato per la gestione deimalati “complessi”, in cui l’attenzione allo statodi salute non si esaurisce nell’identificazione e neltrattamento della patologia o delle patologie dicui un individuo è portatore. Infatti, nonostantel’approccio riduzionista abbia permesso di acqui-sire la maggior parte delle attuali conoscenze, non-ché la stesura di Linee guida diagnostico-terapeu-tiche per le singole patologie, la sua inadeguatezzae inapplicabilità divengono sempre più palesi siain ambito clinico sia nell’ambito della ricercascientifica.La necessità di indagare e gestire malati complessi,il cui stato di salute non può essere pienamentespiegabile, né predetto, dalla conoscenza e com-prensione delle parti costituenti e da semplici re-gole di causa-effetto, ha portato a considerare e“modellizzare” non solo i determinanti biologicie non biologici di malattia, ma anche le interazionidinamiche che tali determinanti possono avere,al fine di individuare elementi conoscibili che ri-specchino quanto più fedelmente la complessità

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intrinseca di ogni fenomeno e di ogni individuo. L’individuo malato non può più essere semplice-mente “de-strutturato” nelle singole patologie dicui è affetto, valutate in maniera analitica e isolatadal “tutto-individuo”, così come i sistemi nonsono spiegabili pienamente dalla conoscenza delleloro parti costituenti o da semplici regole di causa-effetto.Come lo stesso Ippocrate già nel IV secolo a.C.sosteneva, la malattia e la salute di una personadipendono da specifiche circostanze umane dellapersona stessa nella sua globalità. Una forte spinta innovativa verso la comprensionedella complessità in medicina è stata fornita dalrecente sviluppo del settore bio-medicale, che hareso possibile utilizzare al meglio le conoscenzeacquisite con la diagnostica strumentale. Nel con-testo di questo approccio sistematico, quella cheoggi viene definita la “Systems Medicine” mira aun approccio olistico di comprensione del pa-ziente. Nel contesto medico viene quindi applicatoun approccio innovativo, originato e sviluppatodalla Biologia dei Sistemi (Systems Biology), nel-l’ambito della Ricerca Traslazionale Biomedica, ebasato sull’acquisizione di informazioni dettagliatee armoniche sui meccanismi che regolano le inte-razioni tra costituenti fisiopatologici di base e de-terminanti non malattia-specifici (biologici, psi-cologici, ambientali, funzionali).Ai sistemi biologici e alle loro interazioni vengonoapplicati principi di modellizzazione matematica,ingegneristica e bioinformatica per esaminare nontanto la “morfologia”, quanto piuttosto le carat-teristiche intrinseche e costituenti di ogni singoloorganismo – genoma (mutazioni puntiformi, re-plicazione di geni ecc.), epigenoma (metiloma),trascrittoma, proteoma, metaboloma, esposoma –e come queste, nelle loro diverse configurazioni einterazioni dinamiche, si associno a uno stato “fi-siologico” o “patologico”.

Il presupposto di tale approccio è alla base dellaSystems Medicine, che considera l’individuo, siaesso sano sia malato, come un sistema complesso,quale realmente è, strutturato su sistemi, organi,tessuti e cellule, in cui le singole parti che lo com-pongono interagiscono fra loro (fisiologicamentee fisiopatologicamente) in maniera dinamica coni determinanti non biologici, al fine di realizzareun singolo sistema funzionale. Il malato complessoviene assimilato, in maniera figurata, a una retecomposta da nodi e fili di unione, in cui nontutti i nodi sono in connessione fra loro con lastessa quantità e qualità di interazioni (positiva,negativa, feedback ecc.). Tutto ciò può essere de-scritto attraverso un diagramma di contingenza(contingency diagram) in cui una valutazione e in-tegrazione clinica omnicomprensiva di un unicopaziente viene realizzata attraverso la valutazionedell’intero genoma, ivi inclusa la “gene-envirom-nent interaction” per evidenziare i cluster signifi-cativi proprio ai fini dell’individuazione degliaspetti prevalenti in un sistema complesso che,come da definizione formale, mostra proprietà eregolarità che “non sono pienamente spiegate dallaconoscenza delle loro parti costituenti”. Sistemi e fenomeni di questo tipo, tra l’altro, pro-ducono violazioni notevoli e sistematiche della li-nearità dei rapporti fra cause ed effetti e, più ingenerale, richiedono strumenti di studio e di in-tervento opportuni e specifici, in grado appuntodi trascendere l’approccio riduzionista tradizionale. Per poter comprendere e descrivere un sistemacomplesso si devono quindi utilizzare approcci ingrado di analizzare la rete di interazioni che stannoalla base del sistema stesso.Al fine di rendere più esplicito quanto sin qui ri-portato è opportuno fare alcuni esempi classici dicomplessità che si possono incontrare nella praticaclinica:• donna di 68 anni, obesa con BPCO con com-

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ponente restrittiva-ostruttiva, diabetica si pre-senta con NSTEMI (non-ST elevation myocar-dial infarction). Viene sottoposta ad angiopla-stica coronarica e impianto di stent. Va incon-tro a insufficienza renale acuta da nefropatiada contrasto complicata da edema polmonareche necessita di ventilazione meccanica. La pa-ziente va quindi incontro a polmonite a focolaimultipli. Per il quadro di BPCO e l’obesità, losvezzamento respiratorio è molto lungo e ri-chiede tracheostomia. Questo esempio illustrail cosiddetto “effetto domino” della comples-sità; l’equilibrio che le patologie coesistentinello stesso individuo hanno in un quadro distabilità precipita quando vi è un evento sca-tenante e ciascuna patologia per proprio contopartecipa all’aggravamento;

• uomo di 73 anni con recente episodio di emor-ragia cerebrale (circa 10 mesi) con pregressoCABG (coronary artery bypass graft) viene sot-toposto ad angioplastica femorale che si com-plica con anemizzazione e infarto NSTEMI.Il recente episodio di emorragia cerebrale poneil problema della doppia anti-aggregazione conacido acetilsalicilico e clopidogrel, nel caso sidecida di procedere a ventricolocoronarografiaed eventuale angioplastica. La strategia è quelladella stabilizzazione medica (previa terapia tra-sfusionale). Successivamente consulto multi-disciplinare (cardiologo-neurologo ed espertodi trombosi) per la stima del rischio emorra-gico-trombotico e la decisione della strategiaterapeutica successiva (angioplastica vs terapiamedica). Il paziente deve essere coinvolto nellastrategia. Le comorbilità influenzano la strate-gia terapeutica;

• uomo di 85 anni con insufficienza renale cro-nica e mielofibrosi cronica presenta episodiogastroenterico che si complica con insufficienzarenale acuta (che richiede trattamento dialitico

temporaneo) ed episodio di broncopolmoniteintercorrente. Durante la degenza presenta ri-correnti episodi di delirio. Intercorrenti episodidi fibrillazione atriale parossistica (FAP). La ge-stione di questo paziente richiede grande at-tenzione nella scelta farmacologica (evitare lebenzodiazepine per il quadro di insufficienzarenale e per l’età, dosaggio e scelta di antibioticiper IRC, scegliere accuratamente la terapia anti -trombotica e adeguarne il dosaggio per l’insuf-ficienza renale), nella terapia fluidica (per lareintegrazione, tenendo conto dell’insufficienzarenale e del fatto che, essendo delirante, l’as-sunzione per os è aleatoria), nella terapia nu-trizionale (necessaria per l’episodio infettivo emolto difficile per gli episodi deliranti). Im-portante la prevenzione (in primis della trom-bosi venosa profonda). Per quanto riguarda laterapia per la FAP, gli score esistenti CHAD-VASC possono essere solo un elemento di rife-rimento: la coesistenza della mielofibrosi e so-prattutto la compliance del paziente devonoessere prese in considerazione prima di scegliere(come da Linee guida) warfarin.

La medicina personalizzata e l’approccio di sistema

L’approccio sistematico alla complessità non vuoledire mera comprensione olistica dell’individuomalato.Non potendo prescindere dalla realtà sanitaria edeconomica in cui ci troviamo, questo approcciosi propone di individuare fra tutti i determinantie le loro connessioni quelli che hanno un ruolochiave nell’influenzare lo stato di salute dell’indi-viduo, sia nell’immediato sia nel futuro, in mododa identificare le priorità e pianificare una strategiaterapeutica e assistenziale unitaria.Con l’evoluzione del progresso tecnologico e co-

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noscitivo, aumentando il gap tra conoscenze scien-tifiche e la loro applicabilità al letto del malatocomplesso, sempre più spesso il personale sanitariosi trova ad agire in situazioni d’incertezza, senza ilsupporto di Linee guida o raccomandazioni adhoc e senza il sostegno dell’organizzazione sanitaria. La sfida e il compito di cui si fa carico l’approcciodi sistema alla medicina prevede quindi sia l’ac-quisizione delle conoscenze che permettono digestire l’attuale incertezza di fronte al malato com-plesso, sia il passaggio da una medicina imperso-nale, incentrata sulla cura della singola malattia,a una medicina che identifica nel malato l’obiet-tivo prioritario. Utilizzando gli strumenti forniti dalla Systems Me-dicine che permettono di affrontare la compren-sione e l’analisi integrata delle informazioni e delleinterazioni dinamiche derivanti sia dai sistemibiologici sia dai determinanti non malattia-speci-fici, questo nuovo approccio della medicina puòambire ad acquisire tutte le informazioni di tipodiagnostico, prognostico e terapeutico utili perdefinire percorsi di cura individualizzati (medicinapersonalizzata), in grado di garantire la presa incarico del malato a lungo termine.William Osler affermò che “è più importante co-noscere il tipo di persona che ha una malattiapiuttosto che il tipo di malattia che ha una per-sona”. All’interno di questa breve frase c’è il pienoconcetto della medicina personalizzata.Le malattie-ontologie rappresentano quindi unamodalità semplice adatta a impostare elementar-mente la prassi clinica, ma certamente non sonorappresentative della realtà delle condizioni di unasingola persona. Vi sono elementi che oggi cifanno capire quanto una tassonomia spinta insenso ontologico ci allontani dalla realtà della sin-gola persona ammalata con la sua complessità.L’approccio che è necessario – e a questo puntoinevitabile – seguire nello studio della complessità

è l’approccio di sistema, perché la sola analisi dellesingole componenti tende a costruire una serie diverità che non necessariamente rimangono taliquando i vari elementi vengono considerati nelloro insieme. Nella pratica medica il termine complessità si tra-duce nell’individuazione delle strategie diagno-stico-terapeutiche e nell’organizzazione dei per-corsi sanitari. Per esempio, i fattori clinicamenterilevanti per una condizione cardiaca acuta sonodecine. Tuttavia, questa “scomposizione” non dàrisultati efficaci per la decisione clinica. Eppure, se si è pronti ad abbandonare questo ap-proccio “riduzionista”, allora è possibile costruirestrumenti molto affidabili intorno a un piccolonumero di variabili predittive.È evidente che, da un lato, lo status di work-in-progress scientifico delle cosiddette piattaformedi sistema e, dall’altro, l’immaturità dei sistemiamministrativi rendono questo approccio un’areaancora di interesse speculativo/scientifico, ma si-curamente agganciata a un’ipotesi di fattibilità nelmedio-lungo termine. Possiamo affermare che siamo all’inizio di unanuova era sul come intendere la medicina e comecomprenderne la complessità; un’era in cui, a par-tire dagli studi clinici controllati, si dovranno af-frontare in modo strutturato tutti questi aspettiper scrivere una nuova medicina basata su sistemiintegrati e personalizzati, a partire dalle seguentifinalità:• ottenere le reali condizioni di salute dall’insieme

dei fattori genetici, psicologici, ambientali;• mirare il trattamento tenendo presenti tutti

quei fattori modificabili che contribuisconoalle condizioni di salute e che impediscono alpaziente il raggiungimento dei goal terapeutici;

• tenere presente che gli esiti clinici rilevantisono quelli determinati dalle preferenze indi-viduate dai pazienti;

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• focalizzare il processo decisionale clinico prin-cipalmente sulle priorità e preferenze dei singolipazienti;

• considerare la sopravvivenza dei pazienti e laloro qualità di vita come l’obiettivo prioritarioda raggiungere.

La strada da percorrere, in quella che è la nuovafrontiera della medicina della complessità, è senzadubbio ancora molto lunga, basti pensare che alivello genetico due soggetti che definiamo “nor-mali” differiscono per un singolo nucleotide ognimille-duemila nella sequenza del loro DNA. Sa-pendo che il numero di nucleotidi del genomaumano è di circa tre miliardi, da ciò si evince arit-meticamente come due soggetti differiscano traloro per almeno uno-due milioni di basi.L’obiettivo di analisi efficace ed efficiente del pa-ziente complesso non può prescindere da unariorganizzazione della realtà sanitaria. Questa, es-sendo ancora incentrata sul ricovero ospedaliero,volto alla cura della singola malattia acuta, e suindicatori di costo basati sul sistema dei DRG,non è in grado al momento di fornire gli strumentiper monitorare, oltre all’impatto clinico della com-plessità, quello economico, soprattutto in un mo-mento in cui le risorse erogabili in campo sanitariosono limitate. I costi richiesti per la gestione diun malato complesso sono superiori alla sommadelle spese per singola patologia. Inoltre, dal puntodi vista della programmazione sanitaria, un’ina-deguata valutazione della complessità e il mancatocoordinamento tra le varie specialità possono por-tare a ritardi diagnostico-terapeutici, riammissioniimproprie in ospedale, frammentazioni e dupli-cazioni terapeutiche con allocazione delle risorseinappropriata. L’approccio di sistema, una voltaraggiunta la comprensione del malato complesso,deve proporsi anche di elaborare una proposta diri-organizzazione e ri-pianificazione dell’assistenzasanitaria che sia in grado di gestire quadri clinici

di elevata complessità. Diviene, infatti, prioritario,una volta identificati i determinanti della com-plessità, proporre nuove strategie di ricerca trasla -zionale, che includano esplicitamente i quadri dialta complessità clinica. È necessario definire eattuare percorsi diagnostici e assistenziali che pos-sano permettere una gestione coordinata, multi-professionale e a lungo termine del paziente com-plesso tali da garantire:• una continuità assistenziale ospedale-territorio,

in modo che il territorio possa farsi carico del-l’accoglienza del paziente dopo un’ospedaliz-zazione e delle strategie di prevenzione secon-daria;

• l’integrazione degli interventi sociosanitari.L’elaborazione e l’attuazione di un progettocosì definito comporta un impiego iniziale dirisorse economiche, necessarie per la forma-zione specifica del personale sanitario e perl’organizzazione di strutture dedicate.

L’esigenza di un sistema sanitario socioeconomicosostenibile, dettato dalle sempre più pressanti esi-genze di controllo della spesa sanitaria a livelloeuropeo, fa sì che la sensibilità di una medicinapersonalizzata e scevra da sprechi si stia semprepiù facendo strada a livello istituzionale. Già negliultimi 6 anni la Commissione Europea ha stan-ziato su questi temi di ricerca ben 180 milioni dieuro. Inoltre, la Joint Technology Initiative (JTI)Innovative Medicines Initiative (IMI) sta inve-stendo pesantemente in progetti di ricerca chia-ramente improntati a un approccio “Systems me-dicine-oriented ”. Gli investimenti in ricerca e in-novazione in questo ambito saranno ancora mag-giori nel prossimo programma quadro Horizon2020, che globalmente avrà a disposizione 80 mi-liardi di euro, 30 in più del precedente.L’innovazione sulla complessità in medicina equindi verso l’approccio integrato della SystemsMedicine avrà ampi spazi di opportunità di finan-

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ziamento a partire dalle sue tematiche di sviluppoprincipali quali:• l’ICT/Integrated Care;• la bioinformatica;• la network analysis;• i modelli matematici;• l’analisi dimensionale cellulare e molecolare

globale;• la raccolta di dati clinici ed epidemiologici;• l’identificazione di nuove piattaforme cliniche

e le biobanche a queste associate;• i clinical trials orientati alla complessità.Un processo di ricerca scientifica che tenga contodella complessità biomedica nella sua interezzaattraverso un approccio di sistema potrà senzadubbio operare per ottimizzare tanto il processodi gestione medica del paziente e della sua com-plessità intra-specifica, quanto il processo di ge-stione economica dei malati complessi.Il percorso dell’approccio alla complessità in me-dicina mediante la Systems Medicine è un percorsoormai irreversibile ed è un processo che si potrebbe

riassumere attraverso una definizione di Eric Topol,professore di Innovative Medicine allo Scripps Re-search Institute e autore di “The Creative Destructionof Medicine”. La rivoluzione digitale sta trasfor-mando radicalmente il modo di praticare la medi-cina, che in un prossimo futuro potrà essere lette-ralmente reinventata e adattata alle esigenze delsingolo individuo, attraverso la convergenza e l’in-tegrazione delle informazioni. La genomica potràanche fornire informazioni sul perché, per esempio,alcune molecole/terapie vengono o meno attivatea seconda dell’individuo in cui vengono sommi-nistrate, e quindi sulla loro efficacia come anchesui loro effetti collaterali, o sulla probabilità di in-terferenze con altri farmaci, problemi centrali nel-l’ottimizzare inevitabili politerapie in pazienti conmultimorbilità (Figura 1.2). In questo modo l’analisi della complessità in medi-cina potrà in futuro consentire di rendere riprodu-cibile e programmabile quanto oggi rilevato clini-camente, offrendo la possibilità di individuare i trat-tamenti più specificamente appropriati per ciascun

Figura 1.2 Dall’approccio riduzionista verso la medicina della complessità.

Superconvergenza

Vecchia medicina

Nuova medicinaD

istr

uzio

necr

eativ

a

Potere di eleborazione + universo di dati

Social network

Internet

Connettività mobile + banda larga

Sistemiinformatici

Imaging

Genomica

Sensoriwireless

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paziente, nell’ottica della medicina personalizzata.Per questo motivo, l’intervento istituzionale so-cioeconomico di individuazione delle aree di ri-cerca prioritarie per questo processo assume un’im-portanza centrale per lavorare a ottimizzare la co-struzione di “modelli della complessità” e per pro-cedere alla formazione specifica della classe sani-taria e dei ricercatori. Questi due ultimi aspetti

sono la vera sfida per cui trovare risposte adeguate,finalizzate all’individuazione, comprensione e dif-fusione dei concetti e delle logiche operative con-nessi con la complessità, per consolidare nella pra-tica clinica e nel ruolo e competenza dei medici edelle altre figure sanitarie la capacità di affrontarecon successo i crescenti problemi della complessitàin medicina.

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2. Epidemiologia delle patologie croniche e della loro combinazione.Dalle ontologie classiche alla ri-fenotipizzazione centrata sul concetto di complessità

2011). L’impatto di queste patologie sulle risorsesanitarie di un Paese e sui costi associati è tuttaviameglio rappresentato dai dati di prevalenza, parti-colarmente se riferiti alla popolazione anziana:questi evidenziano come il 57% degli anziani soffradi artrite, il 55% di ipertensione, il 38% abbiaproblemi respiratori, il 17% sia affetto da diabete,il 17% da cancro, il 16% da osteoporosi. I rapidi miglioramenti nella capacità di cura dellepatologie croniche, associata alla variazione di al-cune condizioni sociali e demografiche quali il

Le malattie croniche rappresentano il principaleproblema di salute pubblica nei Paesi occidentali,oltre a minarne a fondo la sostenibilità dei sistemisanitari. Le statistiche di mortalità proporzionaleoffrono un chiaro quadro epidemiologico, eviden-ziando come le patologie croniche – o nella nuovaaccezione di malattie non trasmissibili (noncom-municable diseases, NCD) – siano responsabili del92% di tutte le morti nel nostro Paese, con unamaggiore rilevanza delle patologie cardiovascolari(41%) e dei tumori (28%) [Figura 2.1] (WHO,

n. 23, settembre-ottobre 2013

Figura 2.1 Distribuzione delle principali cause di morte in base alla mortalità proporzionale (Italia 2011). Il totale dellemalattie non trasmissibili rappresenta il 92% di tutte le morti.

Malattie respiratorie (5%)

Tumori (28%)

Malattie cardiovascolari (41%)

Lesioni (4%)

Malattie trasmissibili, materne, perinatali e nutrizionali (3%)

Altre malattie non trasmissibili (15%)

Diabete (4%)

Altre malattie non trasmissibili (15%)

Diabete (4%)

Altre malattie non trasmissibili (15%)

perinatali e nutrizionali (3%)Malattie trasmissibili,

perinatali e nutrizionali (3%), materneMalattie trasmissibili,

Lesioni (4%)

umori (28%)T

Malattie respiratorie (5%)

Diabete (4%)

umori (28%)

Malattie cardiov

ascolari (41%)Malattie cardiov

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rapido invecchiamento della popolazione, fannosì che con sempre maggiore frequenza più pato-logie croniche siano diagnosticate nello stesso in-dividuo inducendo un quadro di multimorbilità.

Comorbilità e multimorbilità

Il termine comorbilità è stato introdotto nel 1970e si riferisce alla presenza simultanea di una ma-lattia aggiuntiva oltre a quella “indice”. Questadefinizione comporta l’orientamento dell’interesseprincipale verso una condizione morbosa indicee verso i possibili effetti di altri disturbi sulla pro-gnosi del disturbo indice. Con il termine multi-morbilità, invece, ci si riferisce alla coesistenza divari disturbi nello stesso individuo; l’interesse sisposta pertanto da una data condizione patologicaindice al soggetto che soffre di patologie multiple(patient centered). Il problema della comorbilità e della multimor-bilità è diventato particolarmente rilevante a causadel progressivo invecchiamento della popolazione.Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) l’aspettativa di vita globalmente è di 70anni, andando da 60 anni nei Paesi a basso redditoa 80 anni nei Paesi ad alto reddito (WHO, 2013).In Italia l’aspettativa di vita è di 84 anni per ledonne e 79 anni per gli uomini (WHO, 2012).L’invecchiamento della popolazione è una tendenzaglobale. L’aspettativa di vita media in Europa èuna delle più alte al mondo e continua ad aumen-tare. Nel 2000 era di 74,7 anni per gli uomini e81,1 anni per le donne; nel 2050, secondo lo sce-nario base di Eurostat, sarà di 79,7 e 85,1 anni,rispettivamente. La quota del totale della popola-zione europea di età superiore a 65 è destinata adaumentare dal 16,1% del 2000 al 22% entro il2025 e al 27,5% entro il 2050; la quota di popo-lazione di età superiore a 80 anni (3,6% nel 2000)è stimata dover raggiungere il 6% entro il 2025 e

il 10% entro il 2050. La maggiore longevità checaratterizza le società occidentali è un grande ri-sultato, ma rappresenta anche una sfida formida-bile che metterà alla prova la sostenibilità dei Si-stemi Sanitari Nazionali alle prese con un incredi-bile aumento dei costi e delle risorse da impiegareper gli anziani e le loro famiglie. In particolare, la variazione demografica appenaillustrata determina una grande variazione delquadro epidemiologico, con un netto aumentodella prevalenza delle malattie croniche e della di-sabilità. Le malattie croniche non trasmissibili,principalmente malattie cardiovascolari, diabete,cancro e malattie respiratorie croniche, hannorappresentato il 63% dei 57 milioni di morti glo-bali del 2008 (WHO, 2010).

L’approccio epidemiologico ai fenotipi complessi

L’approccio epidemiologico classico alle malattieprevede la definizione di tre concetti base: tempo,spazio e persona. La caratterizzazione della distri-buzione della malattia nel tempo e nello spaziooffre informazioni critiche per la conoscenza dellapatologia. L’evoluzione nel tempo indica l’evolu-zione della malattia, indicando per esempio l’ef-ficacia o inefficacia delle terapie o delle strategiedi prevenzione, oltre a fornire indicazioni sui prin-cipali fattori di rischio. Similarmente lo studiodella distribuzione geografica offre indicazioni in-dispensabili sulla natura del rapporto ambientemalattie, oltre a permettere la pianificazione degliinterventi sanitari a livello locale. Lo studio dellapersona è comunque il punto chiave dell’approc-cio epidemiologico, perché la definizione deglielementi caratterizzanti la patologia, quali l’ezio-logia, la storia naturale, l’efficacia delle terapie edella prevenzione, offre informazioni indispensa-bili per guidarne lo studio e il controllo. Natural-

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mente il dato principale fornito dall’epidemiologiaconsiste nei dati di frequenza della patologia intermini d’incidenza e di prevalenza e – in caso dimalattia a possibile esito letale – anche la mortalitàe la sopravvivenza.I dati di occorrenza delle malattie sono normal-mente espressi come tassi, riferiti a una popola-zione di dimensioni note. Per esempio, le patolo-gie croniche più conosciute sono espresse comenumero di casi per 100.000 individui a rischio. Uno dei passaggi chiave per la stima dei tassi d’in-cidenza, prevalenza e mortalità è la consistenzadei criteri diagnostici e l’assenza di bias nell’iden-tificazione dei casi di malattia. Nel caso dei feno-tipi complessi, in cui più patologie croniche sonopresenti allo stesso tempo, la medicina sta fatico-samente identificando nuovi criteri diagnostici,che permettano di classificare in modo univocoquesti quadri patologici come entità a sé e dise-gnare protocolli di trattamento specifici. Questopassaggio è un punto chiave per permettere l’avviodi una nuova epidemiologia che, superando i fe-notipi classici, identifichi quadri patologici com-plessi, con una propria identità diagnostica, unapropria eziologia e strategia preventiva, con indi-cazioni terapeutiche non necessariamente risul-tanti dalla somma dei trattamenti delle patologieche li compongono. L’esistenza di un profilo epi-demiologico indipendente è sicuramente uno deicriteri per distinguere il concetto di nuovo feno-tipo clinico da quello di comorbilità, in cui il pa-ziente è unicamente caratterizzato dalla co-esi-stenza di più malattie croniche, con un interessedella ricerca prevalentemente incentrato sullascelta delle priorità terapeutiche. La mancanza di criteri diagnostici consistenti eunivoci che permettano l’identificazione e la co-difica dei nuovi quadri patologici è a oggi il prin-cipale fattore limitante, che non consente unaseria ricerca epidemiologica sui fenotipi complessi.

Quantificazione della multimorbilità e delle patologie che la determinano

La multimorbilità è presente in un terzo della po-polazione adulta e la sua prevalenza aumenta conl’età, raggiungendo una prevalenza del 60% tragli individui di età compresa tra 55 e 74 anni.Inoltre, il trend di prevalenza di questa condizioneè in crescita ed è stata chiaramente dimostrata latendenza di alcune patologie a formare “clusters”. Generalmente, la presenza di malattie cronichein indagini di popolazione è misurata da self-reportconcernenti la presenza o assenza di una specificamalattia e la comorbilità è definita come il numerodi malattie croniche riportate. Utilizzando questadefinizione, la comorbilità è fortemente associatacon tutti i tipi di effetti sulla salute, per esempiole limitazioni di mobilità, la salute percepita, l’usodi strutture sanitarie e la mortalità. Inoltre, l’effettocombinato di più malattie croniche sui principalioutcome epidemiologici può essere diverso daquanto previsto sulla base della somma degli effettidelle singole malattie. L’eterogeneità delle statistiche riportate dalla let-teratura in merito alla prevalenza della multimor-bilità è probabilmente dovuta alle differenze neidisegni di studio e alle condizioni patologicheconsiderate. Per esempio, la comorbilità con di-sturbi della sfera psichica è spesso non indagata,anche se si ritrova frequentemente in associazionecon la morbilità somatica.Kriegsman et al. (2004) hanno analizzato i dati di2497 soggetti tra 55 e 85 anni partecipanti al Lon-gitudinal Aging Study Amsterdam al fine di deter-minare l’influenza delle patologie croniche sulleperformance fisiche. Il declino di efficienza risul-tava associato con il numero di patologie croniche,con una probabilità di declino fisico rispetto aicontrolli sani aumentata di 1,58 volte nei soggettiaffetti da una sola condizione patologica (odds ratio

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aggiustato) e fino a 4,05 volte per quelli affetti datre o più condizioni patologiche. La maggiore in-fluenza sul declino fisico risultava essere data damalattie polmonari croniche non specifiche e neo-plasie maligne; un effetto esacerbante era anchedato dall’artrite in soggetti con diabete o neoplasiemaligne e dall’ictus in soggetti con malattie pol-monari non specifiche o neoplasie maligne; un ef-fetto più debole di quanto atteso è stato osservatoper il diabete in soggetti con ictus, neoplasie ma-ligne, cardiopatie o aterosclerosi periferica.In una revisione sistematica della letteratura, Ma-rengoni et al. (2011) hanno riassunto l’evidenzascientifica accumulata dal 1990 al 2010 riguardol’occorrenza, le cause e le conseguenze della multi -morbilità nelle persone anziane. La prevalenza dimultimorbilità (definita come la presenza di 2 opiù malattie concomitanti) variava ampiamentetra gli studi, andando dal 20-30% negli studi sul-l’intera popolazione al 55-98% nel sottogruppoche comprendeva solo i pazienti anziani.Van den Bussche et al. (2011) hanno analizzato idati ricavati dalle assicurazioni in una popolazionedi 123.224 soggetti di età ≥ 65 anni, rilevandocome il 62,1% del campione presentasse multi-morbilità, cioè presenza di 3 o più condizioni pa-tologiche croniche preselezionate da una lista di46. La mediana delle condizioni patologiche cro-niche tra i soggetti con multimorbilità era di 5,senza quasi differenze legate al genere e con solopiccole differenze legate all’età. Il rischio di multi -morbilità risultava il più alto per l’insufficienzarenale con un rischio relativo (RR) di 25,5 e perl’obesità con un RR di 20,3.In uno studio trasversale su una popolazione di198.670 soggetti di età maggiore ai 14 anni Gar-cía-Olmos et al. (2012) hanno rilevato che circail 42% dei soggetti che si rivolgevano al medicodi famiglia aveva almeno una malattia cronica edi questi quasi un quarto ne presentava due o

più. Sono stati quindi identificati quattro patterndi prevalenza in base alla tendenza delle diversepatologie a comparire in un quadro di comorbilità:un gruppo di patologie con alta probabilità di co-morbilità (comprendente malattie cerebrovasco-lari, cardiopatia ischemica, insufficienza renalecronica, scompenso cardiaco congestizio), ungruppo di patologie con bassa comorbilità (com-prendente ansia e depressione, patologie tiroidee,asma, schizofrenia e psicosi affettive), due gruppia comorbilità intermedia [comprendenti iperten-sione, disturbi del metabolismo lipidico, diabetetipo 2 e aritmie cardiache il primo gruppo, e obe-sità, osteoporosi, perdita dell’udito, neoplasie ma-ligne, artropatie degenerative, ipertrofia prostaticabenigna, enfisema, bronchite cronica, bronco -pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), atero-sclerosi generalizzata, glaucoma, malattie renalicroniche, demenza e deliri, ulcere cutanee, valvu-lopatie, morbo di Parkinson il secondo gruppo].Schnell et al. (2012), in uno studio multicentricosu 14.828 soggetti di età maggiore ai 45 anni,comprendenti 995 soggetti con broncopneumo-patia cronica ostruttiva, hanno rilevato che il96,4% dei pazienti aveva almeno una comorbilità,il 51,8% assumeva più di 4 farmaci (polifarma-coterapia); la distribuzione dei fenotipi classicinei quadri di multimorbilità risultava la seguente:60,4% ipertensione, 54,6% artrite, 47,6% iper-colesterolemia, 20,6% depressione, 16,9% osteo-porosi, 16,3% diabete, 12,7% malattia coronarica,12,1% scompenso cardiaco congestizio, 16,5%cancro, 8,9% ictus, 8,6% ansia.Marengoni et al. (2013) hanno valutato e confron-tato modelli di malattie identificate con l’analisidei cluster su 19 patologie croniche con prevalenza> 5% in due campioni di soggetti di età > 65 anniospedalizzati in diverse Regioni d’Italia nel corsodel 2008 e del 2010 (1411 soggetti nel primostudio e 1380 soggetti nel secondo), individuando

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8 gruppi simili di patologie in entrambe le valuta-zioni. Molte malattie sono state inserite in gruppisimili in entrambe le ondate, come neoplasie mali-gne, cirrosi epatica; anemia, malattie gastriche eintestinali; diabete e malattia coronarica; BPCO eipertrofia prostatica. Questi risultati rafforzanol’idea che vi sia un’associazione non casuale tra lepatologie più comuni nella popolazione anziana.Schäfer et al. (2010), tramite l’analisi fattoriale inuna popolazione di 63.104 maschi e 86.176 fem-mine di età superiore a 65 anni, basandosi su 46gruppi di diagnosi che incorporano tutte le diagnosiICD-10 di malattie croniche con una prevalenza ≥ 1%, hanno identificato 3 “pattern” (“schemi” initaliano) di multimorbilità (cioè malattie cronicheche si presentano nello stesso paziente in modonon causale): • cardiovascolare/metabolico (prevalenza: fem-

mine 30%; maschi 39);• ansia/depressione/disturbi somatici e dolore

(prevalenza: femmine 34%; maschi: 22%);• neuropsichiatrico (prevalenza femmine 6%;

maschi 0,8%). Questi pattern risultavano età-dipendenti e sovrapposti in una consistenteparte della popolazione.

Dalla multimorbilità alla polifarmacoterapia

La polifarmacoterapia, definita come uso con-temporaneo di 5 o più farmaci indipendentementedal fatto che essi siano necessari o meno, è forte-mente legata alla multimorbilità.Nobili et al. (2011), utilizzando l’analisi dei clu-ster, hanno analizzato l’associazione tra la co-oc-correnza di specifiche malattie e la polifarmaco-terapia in una popolazione di pazienti di età ≥ 65anni ospedalizzati in varie Regioni d’Italia, rile-vando una forte associazione tra la presenza dipolifarmacoterapia e cluster di patologie quali:diabete, cardiopatia coronarica e malattia cere-

brovascolare [odds ratio (OR) 9,8; intervallo diconfidenza (IC) 95% 1,3-72,2]; diabete e cardio-patia coronarica (OR 5,8; IC 95% 2,6-13,2);scompenso cardiaco e fibrillazione atriale (OR5,5; IC 95% 2,0-14,9); disfunzione tiroidea e fi-brillazione atriale (OR 5,5; IC 95% 1,8-14,1).Le Linee guida cliniche attualmente utilizzatenella maggior parte dei casi forniscono indicazionirelative al trattamento di una sola patologia, percui l’adesione alle Linee guida nel trattamentodei pazienti affetti da patologie multiple può fa-cilmente portare a un intenso sovraccarico tera-peutico, aumentando considerevolmente la pro-babilità di avere effetti avversi da farmaci. Peresempio, van Weel e Schellevis (2006) riportanoun comune quadro clinico, dimostrando comeun trattamento basato sulle Linee guida di ognisingola condizione patologica non sempre sia ade-guato per il trattamento del paziente …nella ma-lattia polmonare cronica ostruttiva, il trattamentoallo stato attuale prevede la somministrazione dicorticosteroidi per via orale, ma se il paziente haanche il diabete mellito i corticosteroidi non sono lacosa migliore per lui. La promozione dell’attività fi-sica, che potrebbe essere utile per la malattia polmo-nare cronica ostruttiva, non può essere possibile se viè una grave osteoartrite all’anca.Uno dei principali problemi indotti dalla difficoltàdi definire e caratterizzare gli stati complessi dimultimorbilità è il progressivo restringimentodelle popolazioni arruolate negli studi clinici. Vistala costante presenza di multimorbilità nei pazientianziani è sembrato naturale escludere questa partedella popolazione dai clinical trials, anche se pro-prio gli over 65 sono i principali consumatori difarmaci. Già all’inizio degli anni Novanta si af-fermava come lo sviluppo di Linee guida che pro-muovano una gestione proattiva della malattia etengano in giusta considerazione situazioni co-muni della real life quali la multimorbilità e il di-

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sagio psicologico del paziente possa unicamentederivare da studi clinici randomizzati che inclu-dano pazienti anziani e complessi. Boyd et al. (2012) hanno condotto un’indagine diletteratura di studi clinici da 11 revisioni Cochraneriguardanti 4 malattie croniche (diabete, insuffi-cienza cardiaca, BPCO, ictus), includendo 161studi clinici. La proporzione di esclusione per lecomorbilità raggiungeva il 42% per gli studi sul-l’insufficienza cardiaca, il 55% per gli studi sullaBPCO, il 44% per gli studi sul diabete e il 39%per gli studi sull’ictus. Il 21% di tutti questi studiescludeva gli anziani (> 65, 75 o 80 anni), comeanche gravi patologie concomitanti erano un mo-tivo di esclusione frequente (19% studi sull’insuf-ficienza cardiaca, 33% studi sulla BPCO, 23%studi sul diabete e 36% studi sull’ictus); inoltre,solo il 3,1% degli studi (5/161) considerava la pre-senza di comorbilità come modificatore di effettoe solo uno studio prendeva in considerazione l’ete-rogeneità dell’effetto del trattamento dovuta a dif-ferenti condizioni di rischio di partenza e nessunostudio prendeva in considerazione gli effetti dei ri-schi competitivi.Fortin et al. (2011) hanno valutato la qualità diun totale di 16 Linee guida cliniche canadesi dal2004 al 2009 riguardanti 16 condizioni medichescelte a seconda di prevalenza, complessità deltrattamento e pertinenza per la medicina di basee cioè: dislipidemia, alterata funzionalità renalecronica, insufficienza cardiaca, terapia anticoagu-lante, obesità, fibrillazione atriale, arteropatia pe-riferica, BPCO, osteoporosi, artrite reumatoide,diabete mellito, asma, demenza, glaucoma, ansia,ipertensione. La qualità delle Linee guida era ge-neralmente buona, tuttavia la loro capacità di in-dicare un trattamento appropriato per i pazienticon due o più condizioni patologiche cronicherisultava limitata; infatti, mentre 15 Linee guidasu 16 includevano specifiche raccomandazioni

per i pazienti con una condizione patologica con-comitante, solo 3 Linee guida su 16 includevanospecifiche raccomandazioni per i pazienti con duecondizioni comorbili e solo 1 su 16 per i pazienticon più di due patologie associate. Anche la mag-gior parte dei programmi europei di gestione dellepatologie croniche (Diseases Management Program-mes) non ha ancora una solida risposta al problemadella comorbilità.Gli effetti generati dall’interazione fra malattie ela loro gestione richiedono una presa in caricoindividualizzata del paziente complesso, senza fareaffidamento sulla semplice applicazione delle Li-nee guida riferite a ognuna delle patologie da cuiè affetto il paziente. Si rende pertanto necessarioincorporare nelle indicazioni di trattamento in-formazioni specifiche circa la multimorbilità e leinterazioni tra le patologie; ciò consentirà unamigliore diagnosi, prevenzione, terapia e avràcome risultato finale il miglioramento della qualitàdi vita del paziente.

Impatto della multimorbilità sui Sistemi Sanitari Nazionali

La multimorbilità è associata in modo significativoa incrementi della mortalità e della disabilità, aldeclino dello stato funzionale e a una più bassaqualità di vita. Non è quindi sorprendente chequesti quadri di complessità clinica provochinoun deciso aumento del carico assistenziale, unmaggiore utilizzo dei servizi sanitari (numero divisite mediche, numero di ricoveri ospedalieri eloro durata) e in conclusione determinino un in-cremento della spesa sanitaria.La misura della multimorbilità è perciò essenzialenelle valutazioni di economia sanitaria, dal mo-mento che la presenza di patologie coesistenti èaccompagnata da aumento dei costi dovuto alconsumo di risorse sanitarie.

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Van den Bussche et al. (2011) hanno analizzatol’utilizzo delle cure mediche ambulatoriali in unapopolazione di 123.224 pazienti di età ≥ 65 anniin relazione alla presenza di malattie croniche emultimorbilità in Germania. I pazienti con multi -morbilità avevano contatti più che doppi su baseannua con i medici rispetto a quelli affetti daun’unica patologia (36 vs 16); questi contatti eranoassociati con visite a 5,7 diversi medici all’annoin caso di multimorbilità, mentre in pazienti conpatologie singole questo numero si fermava a 3,5.In uno studio prospettico, Sona et al. (2011) hannoraccolto dati su 1632 soggetti di età > 65 anni chesi erano rivolti consecutivamente al Pronto Soccorsoin un mese, rilevando come gli accessi caratterizzatida elevata multimorbilità e presenza di disturbicronici multiorgano fossero i maggiori determinantidei ricoveri ospedalieri multipli [il numero di far-maci prescritti presentava un OR per un’ospeda-lizzazione ripetuta di 1,13 (p < 0,001)]. Anche ilbenessere psicologico percepito, insieme alla pre-senza di condizioni patologiche croniche, costituisceun predittore di uso dei servizi sanitari.In uno studio osservazionale di tipo retrospettivosu 86.100 pazienti di un database di medicina dibase nel Regno Unito, Brilleman et al. (2013)hanno rilevato tre categorie di multimorbilità:una che aumentava i costi dell’assistenza sanitaria(principalmente combinazione di depressione emalattie fisiche), una che riduceva i costi (sovrap-posizione delle terapie) e infine una categoria cheriduceva i costi per cause non note (probabilmentea causa di inadeguatezza delle cure).In uno studio osservazionale su 3309 pazienti dietà > 50 anni in un setting di medicina di base inIrlanda, Glynn et al. (2011) hanno rilevato checiascuna condizione patologica cronica aggiuntivadeterminava un aumento statisticamente signifi-cativo dei costi totali per l’assistenza sanitaria nei12 mesi precedenti.

Sono dunque di capitale importanza lo sviluppoe l’applicazione di modelli assistenziali che tenganoconto dei costi di gestione dei pazienti con multi -morbilità utilizzando vari indicatori efficaci nelpredire l’utilizzazione dei servizi sanitari.Il capitolo relativo al notevole impegno di risorsesanitarie necessarie per garantire il controllo e iltrattamento della multimorbilità riveste un ruoloprioritario per i sistemi sanitari occidentali, po-nendo la necessità di effettuare analisi economichespecifiche. Per esempio, Smith et al. (2012), inuna sintesi qualitativa comprendente 10 studi chehanno esaminato interventi terapeutici per pa-zienti con multimorbilità, hanno rilevato la siste-matica assenza di analisi di tipo socioeconomico.Lo sviluppo di modelli costo-efficacia centrati inmodo specifico sul paziente con più patologieconsentirà di migliorare la qualità delle cure perogni singolo soggetto e di renderle quanto piùpossibile sostenibili per i sistemi sanitari.

Una nuova epidemiologia per una nuova medicina

Il nuovo quadro prospettato dall’ingresso dellacomplessità nei libri di medicina come unità pa-tologica e come fenotipo clinico specifico richiedeun necessario adeguamento delle tecniche di di-segno degli studi e più in genere della metodologiaepidemiologica tradizionale. A complicare il qua-dro è il futuro inserimento nei protocolli di trat-tamento e di diagnosi di parametri di tipo geneticoe molecolare, che saranno in grado di caratterizzareil quadro clinico e il trattamento sulla base di pa-rametri non propriamente clinici. Uno dei primi problemi da affrontare è quellodella definizione di multimorbilità, o meglio dicomplessità (vedi anche, estesamente, il Capitolo1). Il semplice numero delle patologie presentisembra un criterio piuttosto grezzo e legato in

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maniera aspecifica agli outcome più importantiquali mortalità, sopravvivenza, risposta al tratta-mento, qualità della vita ecc. Alcuni autori hannoproposto la predefinizione di cluster di malattie,un approccio che sebbene limiti la variabilità datadalle possibili combinazioni di quadri clinici sem-bra essere un buon punto di partenza per otteneredati affidabili almeno sull’incidenza di tali condi-zioni. Sicuramente gli indici di comorbilità uti-lizzati finora, quali la CIRS (Cumulative IllnessRating Scale), l’Indice di Kaplan-Feinstein, l’Indicedi Charlson, il Geriatric Index of Comorbidity(GIC), hanno limiti applicativi, non sono staticompletamente validati e soprattutto hanno vali-dità limitata a specifici subset di pazienti. L’approccio di “Systems Medicine” proposto daBousquet et al. nel contesto dell’evoluzione di unquadro culturale e tecnologico proprio della “Sy-stems Biology” e basato su un approccio data-drivenha il vantaggio di identificare in modo inequivo-cabile un quadro patologico, caratterizzato da sin-tomi e caratteristiche bio-molecolari unici, chene permettono la valutazione in termini di oc-correnza (e quindi di epidemiologia descrittiva,es. confronti fra Nazioni), ma anche ne permet-tono lo studio dei fattori di rischio e delle terapiee la valutazione dei fattori prognostici. Altri aspetti di rilevanza epidemiologica hanno ache fare con gli outcome, che nel caso di pazienticomplessi prescindono dall’andamento della sin-gola malattia, laddove l’effetto della multimorbilitànon sia fortemente caratterizzato da una patologiasingola, più grave delle altre. Il disegno dello studiopiù adatto a questi quadri è da identificare, anchese in questa prima fase gli approcci di tipo cross-sectional prevalgono in mancanza di parametri cli-nico-epidemiologici stabili nel tempo. Ovviamenteil rapporto tra i diversi fattori di rischio che inte-ressano le singole patologie che compongono unquadro complesso è tutto da definire.

Nuove sfide per l’epidemiologia vengono inoltredall’evoluzione della biologia e della genetica mo-lecolare, che a breve richiederanno l’inserimentodi biomarcatori di effetto o di suscettibilità nei pro-tocolli diagnostici e terapeutici, laddove una grandequantità di letteratura ha dimostrato la grande va-riabilità interindividuale di questi parametri. La presenza di pazienti simultaneamente affettida più patologie croniche è un quadro clinicosempre più frequente. L’attenzione per questa con-dizione è in rapido aumento, in quanto le evidenzedisponibili ne evidenziano il ruolo critico nei con-fronti dei principali outcome sanitari, compresodisabilità e qualità della vita, una delle principalicondizioni che aumentano il consumo di farmacie una delle principali cause di costi e di impiegodi risorse sanitarie da parte dei Servizi SanitariNazionali.Il ruolo dell’epidemiologia in questa fase di tran-sizione, in cui anche la definizione stessa di con-dizione patologica appare incerta, è senz’altro cri-tico soprattutto per il ruolo degli approcci epide-miologici classici nel contesto di approcci di si-stemi “integrati” quali quelli propri della SystemsBiology e della Systems Medicine (P4 medicine).Gli obiettivi primari da ottenere sono una defini-zione univoca di patologia(e) complessa(e), checonsenta la conduzione di studi di epidemiologiadescrittiva per valutare la distribuzione geograficadelle patologie complesse e il loro trend temporale.La disponibilità di questi dati forma la base per lealtre indicazioni, quali per esempio lo studio deifattori di rischio, la risposta al trattamento, la pro-gnosi e la mortalità. Inoltre, nuovi disegni di stu-dio dovranno essere sviluppati e validati per af-frontare i quadri di complessità caratterizzati dapiù patologie e da aspetti biologici e genetici sem-pre più complessi e individualizzati. Un esempiosono i cosiddetti disegni di studio smart sviluppatiper l’epidemiologia molecolare.

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L’approccio clinico al paziente complesso pro-spettato da questi dati è necessariamente focaliz-zato sulla multimorbilità e patient centered, in cuiciascun paziente è valutato nella sua globalità,compresi gli aspetti psico-sociali e molecolari. Lacapacità di valutare l’efficacia dei trattamenti inpazienti complessi è ancora nella fase iniziale ealcuni passaggi iniziali sono necessari, quali peresempio:• la determinazione di pattern di condizioni

morbose coesistenti e la valutazione delle con-nessioni fisiopatologiche tra i vari disturbi;

• l’inclusione di pazienti con comorbilità negli studiclinici, utilizzando appropriate strategie analiticheper comprenderne la variabilità individuale el’eterogeneità degli effetti del trattamento;

• l’identificazione di nuovi modelli fenotipici chetengano in considerazione la complessità deiquadri patologici e che vadano al di là dellasemplice definizione categoriale delle patologie.

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3. Metodologia di approccio alla complessità

tazione contemporanea delle sue componenti, senzaregole gerarchiche; il sistema non segue comporta-menti lineari ed è continuamente perturbato dallacomparsa di nuove situazioni o eventi che sonoquindi “emergenti”. La semplificazione non appar-tiene quindi alle modalità corrette per affrontare letematiche della salute e della malattia; di conse-guenza la formazione degli operatori deve incen-trarsi sulla complessità come strumento di letturadi ogni situazione clinica (il tutto spesso in contro-tendenza con le richieste dei pazienti stessi, educatidalla pressione commerciale a richiedere interventicon uno stretto rapporto azione-effetto, peraltro ilpiù delle volte inesistente). “Medicina della com-plessità” significa affrontare i problemi della personache presenta molti differenti bisogni sempre carat-terizzati da sofferenza, senza la possibilità di co-struire gerarchie o rapporti di causa-effetto; “me-dicina nella complessità” significa curare con de-terminazione, anche quando sembrerebbe chetroppi fattori interagiscono con l’atto stesso e lasua potenziale efficacia.

Caratteristiche dell’atto di cura

Nell’impostare un atto di cura si devono tenerein evidenza alcune caratteristiche di fondo, laprima delle quali è la dimensione della speranza.

Definizione dello stato dell’arte delle strategie digestione medica della complessità attraverso l’ana-lisi delle interazioni tra ontologie classiche e lorocomorbilità.

Complessità e personalizzazione delle cure

L’obiettivo più rilevante del progresso clinico èoggi far comprendere alla cultura medica che hadominato lo scenario in questi anni che il recentecambiamento delle conoscenze sulla realtà umanarende insostenibile un approccio rigido alle cure.La medicina è una scienza che cambia; qualsiasidifesa di una più o meno rigida staticità non in-terpreta l’esigenza di essere sempre al servizio del-l’uomo, superando le proprie intrinseche ambi-valenze.Non è possibile individuare un fenotipo stabilecome oggetto delle cure, ma è necessario adattareogni intervento clinico alle circostanze del “qui eora”, in un’evoluzione senza fine come conseguenzadella ricchezza delle interazioni che si sviluppanonel tempo. La continua evoluzione del fenotipooggetto di cure apre alla dimensione della com-plessità. Gli eventi complessi possono essere cosìriassunti: i sistemi biologici costituiscono una realtàunitaria, che supera la comprensione delle singoleparti; la comprensione del sistema prevede la valu-

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Un futuro aperto all’evoluzione può essere pla-smato attraverso atti diversi, sia da parte dell’in-dividuo stesso, sia da parte di interventi esterni,tra i quali si collocano anche le cure sul piano cli-nico. La speranza deve quindi ispirare sia l’attodella cura sia la vita di chi riceve le cure. Ciò ri-chiede un’educazione degli operatori e dei citta-dini, troppo spesso tendenti a riporre fiducia suun singolo atto, che interferisce con un meccani-smo biologico alterato in maniera meccanicistica,e non su interventi plurimi, che nell’insieme con-corrono all’evoluzione della storia individuale dellapersona oggetto di cure. La speranza è quindi ilsegno non banale di una medicina che ipotizza losviluppo continuo della persona, con particolareriferimento al processo d’invecchiamento.Un’altra problematica è costituita dalla dimensionedell’importanza del fare bene, attraverso atti ches’ispirino alla prassi della medicina basata sulle evi-denze e della medicina narrativa. Nel loro insiemequesti approcci aprono a una mentalità “estetica”da parte di chi abbia a che fare con i processi dicura, mentalità che induce a guardare il mondo inuna prospettiva evolutiva, priva di rigidità, apertaal non prevedibile, in grado di cogliere attraversotutti i sensi ogni dinamica di qualsiasi dimensioneche accompagna la vita dell’individuo.

La cura nel nostro tempo

Sulla base delle premesse sopra indicate è possibileipotizzare la costruzione di atti di cura non gene-rici, ma indirizzati al bisogno del singolo, nonpuntiformi, ma che garantiscono un accompa-gnamento adeguato al modificarsi delle condizionivitali, legati al raggiungimento di un risultato enon incentrati in modo autoreferenziale sulle pro-prie procedure. Tali atti hanno anche la possibilitàdi essere controllabili sul piano dei costi e del lororapporto con i benefici. A tal fine è necessario un

profondo cambiamento di prospettiva, in parti-colare da parte di chi riconosce le potenzialitàdella medicina e delle sue capacità intrinseche. Sidevono correre tutti i rischi che il cambiamentoimpone, sapendo che la scommessa può esserevinta, con grande vantaggio per la persona soffe-rente che trova in atti di cura rinnovati una ri-sposta soggettivamente e oggettivamente esaustiva,che si fonda e supera la medicina cosiddetta scien-tifica, valorizzandone allo stesso tempo l’enormequantità/qualità di capacità cliniche. Alcuni temi indicano come per essere realmenteinnovativi i processi di cura debbano comprenderel’evoluzione avvenuta nella struttura stessa del bi-sogno e nelle modalità di risposta messe in attodalla società contemporanea. Di seguito sono in-dicati alcuni aspetti della condizione attuale checaratterizzano il mondo delle cure e che devonoessere tenuti in considerazione:• il cambiamento continuo dello scenario epi-

demiologico delle malattie: vedi la retroces-sione dell’AIDS e la crescita di altre che pare-vano scomparse (la tubercolosi). La medicinadeve riconoscere la complessità del rapportotra fattori di rischio e comparsa di una malattia;la prevenzione è invece una scienza ancora im-matura, perché fondata culturalmente su mo-delli che riconoscono un rapporto direttocausa-effetto. Inoltre devono essere consideratele malattie di lunga durata, che cambiano con-tinuamente la propria struttura biologica e cli-nica, per effetto degli eventi che le hanno ac-compagnate nel tempo;

• la diagnosi e la prognosi hanno cambiato pro-fondamente la loro metodologia, in conse-guenza del successo raggiunto negli ultimi de-cenni dalle tecnologie d’imaging, biochimichee genetiche. Il tutto, però, non è stato ancoraintegrato in un sistema che permetta di com-prendere analiticamente i percorsi vitali del

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singolo ammalato, in modo da costruire unmodello personalizzato di cure;

• la presenza contemporanea di molte malattie,ciascuna delle quali segue percorsi propri nelsingolo individuo, induce difficoltà nell’appli-cazione delle Linee guida costruite su modellisemplici di patologie affrontate singolarmente.La comorbilità porta a una forte differenzia-zione fenotipica dell’ammalato; non ha quindisuccesso un intervento mirato a risponderesingolarmente a ognuno dei problemi clinici,perché è l’insieme del sistema in movimentoche richiede una risposta;

• “less is more”. L’analisi degli atti clinici condottanel mondo reale ha fatto venire a galla moltidati in contrasto con la diffusa affermazione chetutto va bene perché è “scientifico”. L’etica dellafrugalità, che valorizza l’impegno del singolo suspecifici problemi, supera l’imposizione “topdown” data a questi problemi. Una medicinache nei prossimi anni sappia risolvere gli inter-rogativi sopraindicati avrà compiuto un enormeprogresso nella capacità di cura. Il pensiero cli-nico deve risolvere la dialettica tra la complessitàda una parte, che impone di considerare tutte lecomponenti del sistema persona ammalata e ri-spetta le differenze, i percorsi incerti, le proble-matiche difformi, e la ricomposizione dall’altra.Chi ritenesse questa logica troppo teorica di-mentica la clinica, nella quale sempre ci si muovepiù o meno coscientemente e razionalmente“mettendo assieme i pezzi”, pur senza imporreun’omogeneità che non esiste in natura.

Il medico e la complessità

Zakharin (1829-1887), cattedratico, internista,medico alla corte dello Zar e Maestro di AntonCechov, propugnava il concetto che “pensare damedico” significa individualizzare ogni singolo

caso: non esiste la malattia ma il malato, di cuibisogna conoscere, oltre ai sintomi, la storia, l’am-biente di vita e di lavoro, e di cui bisogna penetrarela sofferenza emotiva, oltre che fisica.Il medico che si arma nella professione di curiositàe dell’interesse per il prossimo non deve temere lacomplessità del suo compito, deve amarla. Unacomplessità da sempre presente nel dolore del suopaziente, ma oggi come mai svelata da mille indi-catori, da lenti di ingrandimento sofisticate, incisada mani robotiche, enumerata e codificata da car-telle digitali. Una complessità velata da un’entropiadi informazioni cui al momento nessun altro si-stema esperto, se non la mente del medico, deimedici nel lavoro di equipe, può porre ordine.Con nel cuore, comunque, l’obiettivo di “recaresollievo” e di “migliorare qualità e aspettativa divita” del suo paziente, il medico utilizzerà l’ap-proccio euristico per osservare e intuire il metodoscientifico per formulare l’ipotesi diagnostica econtraddirla senza pregiudizi con l’acquisizionedi nuove evidenze, utilizzerà ogni strumento dia-gnostico vagliandone appropriatezza e accuratezza,senza mai scambiare il mezzo per il fine, peserà ilconsiglio terapeutico sulla prognosi e anche sul-l’attenta valutazione dei rischi e benefici del far-maco, del device, dell’opzione chirurgica in quelpaziente particolare, di quell’età, con quelle co-morbilità, con altri farmaci o disfunzioni d’organoche possono facilitare la comparsa di effetti colla-terali, con l’eventuale fragilità emotiva, cognitiva,culturale, di supporto affettivo e familiare chepossono compromettere inesorabilmente la com-pliance a un trattamento perfetto secondo libridi testo e Linee guida. Il medico non avrà timore di utilizzare le piùavanzate tecnologie diagnostiche e terapeutiche,dovrà farlo con misura, semplicemente, senza di-ventare schiavo del loro responso e della loro se-ducente evolutività; non avrà paura di consultarsi

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con altri colleghi, non eviterà di utilizzare il giu-dizio e anche il consiglio degli infermieri e deiparamedici, saprà che il quadro completo dellamalattia e della persona richiede innumerevolipennellate e che come una cattedrale di Monetcambia con la luce del tempo che passa. Il mediconon avrà timore di esercitare la responsabilità ul-tima di decidere da solo nell’acuzie e nella risolu-zione finale di una diagnosi, uscendo quando ne-cessiti dal solco disegnato da sinossi accreditatema lontane dal singolo malato. Il medico si sentiràassetato sempre di nuovo sapere, senza gettare lepepite della sua esperienza. Saprà scendere a patticon il contesto dell’organizzazione sanitaria e im-parare a utilizzarla, a farsi promotore di un cam-biamento quanto mai oggi necessario, ribadendoserenamente e fermamente che l’organizzazionedella salute, però, non può fare a meno di lui, delsuo consiglio e della sua azione. Il medico nonavrà timore di perdere la sua piena autonomia,sapendo di far parte di un sistema se questo si-stema avrà come finalità centrale non solo un pro-cesso di cura patient-centered, ma anche centratosull’alleanza tra paziente e terapeuta, che esalti,non mortifichi il lungo e faticoso, quanto gratifi-cante, impegno di apprendimento e di lavoro,che fornisca obblighi di aggiornamento e valuta-zione della qualità dell’operato, ma che sia ancheaperto alla critica costruttiva e alla proposta.

Necessità di un’accurata percezione della complessità

Dalle considerazioni svolte nel Capitolo 1 di-scende che un elemento prioritario nella gestionedella complessità è costituito dalla sua precisa de-scrizione e dall’individuazione degli strumenti piùidonei per identificarne e stratificarne i determi-nanti, al fine di poter intervenire efficacementenei processi che la caratterizzano.

Nella gestione della complessità clinica una dellecriticità fondamentali è rappresentata dalla suadefinizione. Un primo equivoco da evitare è l’iden-tificazione di “complesso” con “complicato”; nelsecondo termine e nel sostantivo “complicanza” èinsito, infatti, il concetto di evento avverso, anchese eventualmente prevedibile nel decorso clinicodella condizione specifica come evenienza più omeno probabile. Il concetto di “intensità/severità”può costituire un’ulteriore fonte di incertezza e silega strettamente al livello di assistenza di cui ilpaziente ha bisogno, a parità di complessità. Poi-ché esistono reparti di Terapia Sub-Intensiva, diTerapia Intensiva e Rianimazioni a competenzadiversa e con specifici livelli organizzativi, saràfondamentale effettuare un corretto triage in in-gresso dei pazienti, che sarà tanto più correttoquanto più il medico avrà una visione chiara dellecomorbilità e del loro ruolo relativo. Se si assimi-lassero e si confondessero i concetti di “comples-sità” e di “intensità”, tutti i pazienti complessi (es.la gran parte della popolazione anziana) dovreb-bero essere sistematicamente ricoverati in un con-testo organizzativo di alta intensità, come unaRianimazione. È evidente il paradosso generatoda incertezze interpretative in quella che è appa-rentemente solo una distinzione semantico-con-cettuale e l’insostenibilità che ne deriverebbe perqualsiasi sistema assistenziale sanitario. Il correttoutilizzo dei termini “complesso”, “complicato” e“intenso” consentirà, dunque, l’identificazione delpercorso assistenziale più appropriato per il pa-ziente stesso, e quindi l’utilizzo più consono dellerisorse. Un tentativo di esemplificazione dei tre concetticomplesso, intenso e complicato: un uomo di 74anni con mielofibrosi (e anemia in trattamentoperiodico trasfusionale di supporto), insufficienzarenale moderata (da nefropatia diabetica) e bronco -pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), paziente

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indubbiamente complesso, si ricovera per infartomiocardico acuto complicato da shock cardiogenoche necessita di una procedura di ventilazione mec-canica (procedura di alta intensità) e contropulsa-zione aortica. La contropulsazione si complica conischemia dell’arto, che richiede un trattamentochirurgico (paziente complesso di alta intensità/se-verità complicato nel suo iter), che risulta efficace.Alla dimissione il paziente risulta ancora com-plesso, ma richiede bassa intensità e pertanto vienetrasferito in reparto di degenza ordinaria. Alla di-missione questo paziente già complesso aggiungealle sue patologie un’ulteriore patologia cronica:lo scompenso cardiaco, collegato alla riduzionedella frazione di eiezione al 40%.

Dimensioni del problema

Nella pratica clinica il problema della complessitàè fortemente presente, con prevalenza oggi incre-mentale, e la gestione del paziente complesso èsempre di più una sfida aperta per qualsiasi tipodi organizzazione sanitaria. Il paziente medio che i medici di qualsiasi strutturasi trovano e si troveranno a trattare nei prossimidecenni è, e sarà sempre più frequentemente, an-ziano, per l’invecchiamento della popolazione, ecomplesso, per un crescente numero di comorbi-lità. In altre parole, il paziente con più comorbilitàè oggi così frequente in tutti gli ambiti sanitari(dall’ambulatorio del medico di medicina generalealla Terapia Intensiva) che il “problema comples-sità” richiede di essere affrontato e gestito conprecise metodologie cliniche e organizzative. Lacomplessità è una realtà clinica (ovvero una quo-tidianità clinica) che interessa tutti i professionistidi tutte le specialità [es. l’odontoiatra che devedecidere la strategia terapeutica quando deve pra-ticare un’avulsione dentaria in paziente con doppiaantiaggregazione (acido acetilsalicilico + clopido-

grel) per recente angioplastica primaria, cardio-miopatia dilatativa ischemica con ridotta funzionesistolica e diabete insulino-dipendente].

Indici di co- e multimorbilità

Il tentativo di comprendere e studiare la comples-sità clinica ha portato a utilizzare numerosi indicidi valutazione preesistenti e già disponibili, elabo-rati in maniera specifica per le singole aree di analisi(patologie specifiche, grado di comorbilità e/omultimorbilità, stato funzionale, psicocognitivo,nutrizionale e sociale). Tuttavia, la numerosità degliindici esistenti per ciascuna area ha condotto auna diversificazione nel loro utilizzo, limitandocosì la confrontabilità dei risultati e rendendo dif-ficile la comunicazione interspecialità. Il concetto di comorbilità, definito nel passatocome ogni patologia distinta preesistente o coesi-stente alla malattia “indice” (intesa come la ma-lattia che determina un peggioramento dello statodi salute in un individuo, e/o l’evento acuto o lamalattia che condiziona maggiormente la pro-gnosi), è stato superato da quello di multimorbi-lità, definita da Van den Akker nel 1996 come“l’intercorrenza di malattie croniche o acute econdizioni mediche multiple in un individuo”,in quanto meglio rappresentativo delle interazionidinamiche che le varie patologie hanno fra loro. Tuttavia gli indici disponibili, anche quelli che sidefiniscono come indici di multimorbilità, chehanno permesso un primo passaggio da una pro-spettiva clinica basata sulla malattia indice a unavisione centrata sull’individuo, sono solo parzial-mente adeguati per valutare in maniera realmentecompleta il paziente nei diversi aspetti della suacomplessità clinica. Quindi, la medicina della complessità come ap-proccio sistematico fornisce potenzialmente nonsolo conoscenze complete sull’individuo in quanto

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malato, ma anche strumenti per un approccio ge-stionale e terapeutico coordinato.Lo strumento principale utilizzato finora nell’im-postare una strategia diagnostico-terapeutica, cosìcome i percorsi assistenziali, è rappresentato dal-l’utilizzo delle Linee guida, ovvero delle sintesiragionate delle evidenze derivanti dalla Evidence-Based Medicine e quindi in sostanza dagli studiclinici controllati. Questi, pur se condotti appro-priatamente e con metodologie statistiche rigorose,hanno in genere reclutato almeno finora pazientiper definizione non complessi, a causa dei criterid’inclusione stretti e focalizzati sulla specifica con-dizione morbosa per evitare “interferenze” da partedi altre condizioni coesistenti (proprio le comor-bilità e le multimorbilità). Le informazioni fornite,pertanto, non possono essere traslate meccanica-mente e acriticamente nella quotidianità clinica.È peraltro molto rischioso ricorrere a un approccioeuristico basato su evidenze ottenute in contestisemplificati, perché, per quanto un singolo pro-fessionista possa avere una vasta esperienza per-sonale o di gruppo, il rischio di traslare il propriovissuto professionale in un paziente che racchiudain sé più patologie, con interazioni reciproche disolito scarsamente prevedibili, è decisamentetroppo alto, anche perché si tratta di una strategiadecisamente non riproducibile.

Valutazione multidimensionale e complessità:una possibile strategia pragmatica

Nell’attesa che sia individuato, condiviso e accet-tato un approccio metodologico “dedicato allacomplessità” e che gli studi clinici inglobino ilconcetto stesso di complessità, possono essere fattealcune considerazioni per individuare una strategiadi tipo pragmatico: anche il paziente più complesso(elevato numero di condizioni morbose oppurecondizioni morbose in stadio avanzato) deve essere

trattato al meglio delle conoscenze applicabili; oc-corre rifuggire dal non trattare o sottotrattare ilpaziente complesso, paradossalmente proprio per-ché “troppo complesso”. In altre parole le comor-bilità non possono rappresentare una scusante pernon affrontare i singoli problemi del paziente esoprattutto le possibili interazioni tra essi. Sulla base delle conoscenze acquisite grazie all’ap-plicazione della valutazione multidimensionale alpaziente geriatrico, un tentativo di approccio allacomplessità che sia indipendente dall’età anagraficadell’individuo malato deve prevedere l’identifica-zione di determinanti esemplificative e predittivedi ciascuna delle aree che caratterizzano la com-plessità stessa. La definizione dei diversi quadrinon può poi prescindere dall’interazione dinamicatra i determinanti delle varie aree, che embricandosifra loro determinano l’espressione fenotipica.La combinazione di questi parametri deve permet-tere l’identificazione e la valutazione della gravitàdi un paziente complesso e parallelamente l’indi-viduazione di un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale individuale e oggettivabile. Tale valu-tazione deve rappresentare uno strumento dina-mico, utilizzabile dalla figura preposta (sia esso ilmedico di medicina generale o un internista ospe-daliero o un altro specialista) ogni qualvolta unadeviazione della stabilità ne determini un cambia-mento. In tal modo essa costituirebbe un elementovalutativo sostanziale, utile come predittore dieventi e come strumento di confronto nel tempo.

Possibile percorso di analisi e gestione della complessità

Un esempio esplicativo di analisi della complessità,in cui si possono individuare regole fondanti, è co-stituito dal volo di uno stormo di uccelli. Esso ècaratterizzato proprio come sistema complesso, main cui è possibile cercare di ridurre la complessità

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globale a modelli semplici. Si possono, infatti, ri-conoscere nel movimento dello stormo precise re-gole, per cui non è il primo uccello che comandagli altri uccelli, ma al contrario ciascuno di loro sibasa sulla posizione e la velocità degli uccelli vicini,sulla base di tre regole semplici: la separazione, lacoesione e l’allineamento. La separazione determinail fatto che gli uccelli volano in modo da non avvi-cinarsi mai troppo ai compagni vicini. La coesioneporta ciascuno di loro a volare verso la posizionemedia dei compagni vicini. L’allineamento fa sì checiascuno segua la rotta “media” dei compagni vicini.Un esempio di gestione della complessità altrettantoelementare è costituito dai sistemi per regolamen-tare il traffico stradale, che risulterebbe inevitabil-mente caotico in assenza di strumenti opportuni;questi possono essere costituiti dall’uso di un si-stema semaforico che interrompa ciclicamente iflussi oppure da rotatorie in grado di regolare iflussi. In un caso si esercita un’azione di “stop andgo”, mentre nell’altro caso il traffico può fluire inmaniera costante, ma il risultato è sempre quellodi un’adeguata gestione di fenomeni complessi.Di fronte a ogni paziente occorre sempre, anzi-tutto, individuare con gli strumenti adatti tuttele comorbilità e il loro stato di progressione (ov-vero per definizione individuare la complessità). La valutazione del malato complesso e la sua com-prensione richiedono il pieno, rigoroso e punti-glioso impiego di tutti gli strumenti tipici dellamedicina clinica.È necessario soffermarsi ampiamente sulla raccoltaanamnestica dal paziente e sul colloquio con i fa-miliari, ricercando il più possibile, nei limiti dellasituazione clinica e dell’urgenza, di individuaretempi adeguati a questo scopo, per raccogliere ilmaggior numero di elementi di analisi possibile. Allo stesso tempo è necessaria una corretta indi-viduazione dell’intensità di cure richiesta dal pa-ziente. Si tratta di una fase di analisi che ha risvolti

operativi cruciali, ma che presenta anche aspettietici non secondari. È infatti relativamente sem-plice (nell’ambito di una medicina “difensiva”)elevare il livello di intensità per qualsiasi paziente.Ma questo indurrebbe un insostenibile aggraviodel sistema e dei singoli livelli di assistenza che ri-sulterebbe non gestibile. E in questo ambito ap-pare anche doveroso effettuare una valutazionecorretta per il paziente “end-stage”: una valutazionein cui spesso la collegialità e il colloquio con lafamiglia consentono il rispetto della persona. Infine, bisogna essere pronti all’individuazionedel quadro di acuzie. Nella semeiotica classica (onel processo di diagnostica differenziale) s’indicavala ricerca del “sintomo guida”, quale indizio perla patologia acuta, motivo del ricorso alle cure.Nel paziente complesso tutte le patologie di cui ilpaziente è portatore possono contribuire (con en-tità variabile) al quadro acuto, come avviene peresempio per la dispnea in un paziente con scom-penso cardiaco, BPCO e anemia, con dispnea chepuò essere prevalentemente cardiaca oppure re-spiratoria, o da anemia, magari correlata a unapolmonite concomitante; considerando che la “ri-serva” di questo paziente è minore per la com-promissione funzionale multipla, è verosimile cheal quadro clinico contribuisca in quota parte cia-scuna delle condizioni citate. Così, mentre la dia-gnostica in un paziente non complesso è definitacome differenziale, ed è essenzialmente una dia-gnostica di esclusione, nel paziente complesso essaè contemporaneamente di esclusione e inclusione. Nel paziente complesso, a una diagnostica chepreveda dunque un percorso deduttivo di esclu-sione/inclusione seguirà un percorso diagnostico-terapeutico “concatenato” (ovvero legato a tuttele comorbilità e mediato rispetto alle relazioni frale comorbilità). In particolare, la strategia concatenata del pazientecomplesso deve prevedere (per sommi capi):

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• analisi e trattamento del quadro acuto valu-tando il rapporto rischio/beneficio di ogni in-tervento diagnostico-terapeutico;

• valutazione seriata del grado di compenso perle altre comorbilità e previsione della possibileevoluzione di ciascuna di queste in relazioneagli interventi terapeutici, all’età e alle possibilicomplicanze;

• impostazione di un programma di follow-upcoerente con tale valutazione e in grado dianalizzare nel tempo, secondo i concetti della“Systems Medicine” (vedi Capitoli 1 e 2) l’evo-luzione del complesso di elementi che hannorappresentato la caratterizzazione iniziale delquadro clinico.

Di fronte a strategie concatenate in un pazientecomplesso la valutazione del rapporto rischio/be-neficio richiede spesso la convergenza di più com-petenze altamente specialistiche. Una volta che ilmedico curante (di qualsiasi specialità e in qualsiasiambito) abbia correttamente individuato le comor-bilità e il loro grado di attività, di fronte a decisioniterapeutiche complesse (es. intervento di chirurgiamaggiore, di chirurgia toracica, di rivascolarizza-zione coronarica chirurgica, oppure impianto per-cutaneo di valvola aortica, decisioni su trattamentioncologici, o in altri campi, che implichino unaprecisa valutazione multidimensionale dell’appli-cabilità di interventi impegnativi) può, e deve, ri-correre a una valutazione collegiale plurispecialistica.

Una metodologia della complessità

Il tema della complessità deve essere posto qualsiasisia il livello d’intensità, escludendo le situazioni diassoluta emergenza (come un arresto respiratorio)nelle quali il sostegno delle funzioni vitali richiedeuna tempistica “nulla”. La gestione di un pazientecomplesso richiede la completa applicazione dellecompetenze e delle strategie tipiche della profes-

sione medica. La valutazione deve essere olistica,sistematica, accurata e attenta al rilievo di tutti glielementi utili per una precisa valutazione di cia-scuno dei problemi, delle loro interferenze e dellaloro possibile evoluzione. L’affidamento allo spe-cialista puro avverrà solo per problematiche giàchiaramente definite e limitatamente a queste. Sulla base del percorso già ipotizzato si può cercaredi strutturare una metodologia della complessitàin vari momenti successivi:• esame obiettivo e anamnesi. La raccolta delle

notizie cliniche remote e prossime, così comedei dati fisiologici e familiari, deve essere ac-curata (e molto spesso ripetuta, perché mutuareprecedenti anamnesi non necessariamenteorientate alla valutazione della complessità si-gnifica spesso rischiare di perdere elementiutili). Questo tipo di valutazione al letto delpaziente (esame obiettivo e anamnesi) richiedeal clinico una preparazione di buon livelloestesa a tutti gli apparati, che permetta unaqualità elevata di lavoro compatibile con losvolgimento della sua attività;

• individuazione del sintomo/sintomi guida (ov-vero il motivo del ricorso alle cure). Il percorsodiagnostico non è diverso da quello condottodal medico finora, richiede una conoscenza dellapatologia molto ampia e non strettamente spe-cialistica. La peculiarità del processo diagnosticodel paziente complesso è rappresentata dal fattoche nella ricerca e nell’elencazione di tutte lecause possibili/probabili del sintomo/quadroacuto, occorre prendere in considerazione conpari dignità tutte le comorbilità e il loro statodi evoluzione, anche se classificate come cofat-tori. In questo senso il trattamento per una frat-tura del metatarso in un paziente con insuffi-cienza renale cronica, BPCO e diabete sarà det-tato sostanzialmente dalle caratteristiche dellafrattura, ma nelle cause è necessario considerare

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anche l’eventuale osteomalacia del paziente le-gata all’insufficienza renale cronica (soprattuttoin relazione all’entità del trauma). Una voltaindividuato il motivo che ha determinato lacomparsa del quadro acuto, è necessario valutarele ripercussioni sugli altri stati morbosi. In sintesiil processo diagnostico deve essere condotto noncome nella diagnostica differenziale con atteg-giamento gerarchico esclusivo, tipico dell’ap-proccio euristico alla diagnosi di malattia, macon approccio inclusivo-concatenativo in cuigli elementi della check-list esplicita o implicitaadottati dal clinico permangono con il ruolo eil peso appropriati all’interno del ragionamentoclinico complessivo;

• impostazione dell’iter diagnostico. È una faseestremamente delicata perché l’ampio numerodi esami diagnostici oggi disponibili potrebbeindurre, in particolare in quadri ad alta com-plessità, a “far fare diagnosi agli esami”. Questaconcreta eventualità ha ripercussioni non soloin termini di costi, ma anche di tempi. E questopuò ripercuotersi in maniera significativa sullostato di salute del paziente complesso. Quandoun paziente complesso permane a lungo inospedale, devono essere considerate le patologieche posso “complicare” il quadro, come l’ane-mia iatrogena (da prelievi) nel paziente conSTEMI (ST elevation myocardial infarction), o,ben più rilevanti, le temibili complicanze in-fettive nosocomiali. Considerando il livello ul-traspecialistico di alcuni esami è poi utile cheil medico curante condivida l’iter, per esempio,con lo specialista di imaging o del laboratorio;

• impostazione dell’iter terapeutico. L’obiettivoè trattare quello che è stato il motivo di ricorsoalle cure mediche, ma anche di avere attenzionealle comorbilità e tenerne conto sul piano stra-tegico di intervento farmacologico o non. An-che in questo caso le decisioni strategiche e le

prescrizioni operative devono essere adottatesulla base di precise intese con gli specialisti disettore, ma nel quadro di una puntuale atten-zione e rispetto per gli elementi emersi nelprocesso diagnostico esclusivo-inclusivo;

• una volta risolto il problema che ha portato alricorso alle cure mediante ricovero, il pazientecomplesso non può essere semplicemente rin-viato al suo domicilio. È necessario impostareun programma di follow-up e di proseguimentocorretto del percorso clinico, dando precisa rile-vanza all’atto medico rappresentato dalla dimis-sione, con un adeguato colloquio con il pazientee i suoi familiari, con un contatto il più possibilediretto con il medico di famiglia, con l’imposta-zione di programmi di gestione almeno a mediotermine in ottica di continuità assistenziale.

Per i pazienti complessi il medico di medicina ge-nerale rappresenta il naturale riferimento per lasua gestione clinica, in armonico e interattivo rap-porto con gli specialisti di settore e con i cliniciche seguiranno gli eventuali segmenti di degenzaospedaliera del paziente.Trattare solo il quadro acuto che ha portato al ri-covero di un paziente complesso senza prenderein considerazione le condizioni coesistenti signi-ficherebbe non trattare il paziente, che probabil-mente in questo caso avrà una complicanza deltrattamento o avrà a breve termine una riammis-sione ospedaliera.In breve, una corretta metodologia adatta ad af-frontare un paziente complesso impone alla classemedica un’utilizzazione acuta e approfondita deglistrumenti a disposizione (esame obiettivo, raccoltaanamnestica, esami diagnostici), la capacità di af-frontare il processo decisionale in modo articolato,una strategia terapeutica nella quale venga valutatoa ogni atto il rapporto rischio/beneficio non solodiretto, ma anche indiretto legato agli altri ele-menti clinici in gioco.

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4. Il “Fenoma Complesso”

in termini di perdita di vite umane, sofferenza ecosto economico, sul sistema sociosanitario. Questo, tradottosi nella disponibilità di fondi ri-levanti (relativamente ad altre discipline), ha con-sentito un’incredibile evoluzione, negli ultimi anni,delle conoscenze biologiche cellulari e molecolariassociata a un costantemente elevato livello di in-novazione tecnologica nel campo della diagnosi/te-ranostica, consentendo una sempre più dettagliatae profonda conoscenza della malattia. Questo in-cremento conoscitivo, tuttavia, non ha determinatoun incremento su scala globale degli indici di so-pravvivenza, se non in casi selezionati laddove lecaratteristiche molecolari della neoplasia hannoconsentito una super-stratificazione alla base diterapie personalizzate ad alto indice di cura. Il trasferimento di questa enorme mole di infor-mazioni in un sistema di conoscenze integrato ecoerente e soprattutto applicabile a ogni singolopaziente e in ogni singola condizione clinica è oggil’obiettivo principale: dare un significato clinicoalla conoscenza in quante più condizioni morbosesia possibile è passo imprescindibile per determinareun impatto veramente significativo su larga scala. Per le sue caratteristiche proprie, ovvero per l’ele-vato indice di personalizzazione dell’approccio emultidisciplinarietà, l’assistenza oncologica si gio-verà enormemente degli approcci integrati alla

Definizione “integrata” del Fenoma Complessonel “real life scenario”: elementi clinici, farmacolo-gici, ambientali, omici, psicosociali ed economici.

La complessità nel paziente oncologico

Dopo decenni di intensa attività di ricerca, il can-cro è ancora una malattia “devastante”. Prendendogli Stati Uniti come esempio di Paese industrializ-zato, già nel 2009 una morte su 4 poteva attribuirsidirettamente a cause neoplastiche.Nel nostro Paese, le neoplasie rappresentano la se-conda causa di morte con circa 360.000 nuovi casi(1000 al giorno) e 174.000 decessi nel 2011 (fonteAssociazione Italiana Registri Tumori – AIRTUM).Da dati di prevalenza (stessa fonte) è possibile evi-denziare come circa la metà dei pazienti cui vienefatta una diagnosi di cancro è ancora viva a 5 annidal trattamento primario (sia esso chirurgico, ra-dioterapico, chemioterapico o combinati). Il costante progresso negli approcci terapeutici el’applicazione su scala sempre più ampia di screen -ing hanno portato, almeno nei tumori ad alta in-cidenza/mortalità (colon, mammella, cervice, pol-mone in fumatori), un incremento dei tassi di so-pravvivenza.La ricerca in oncologia ha da sempre avuto unapriorità molto elevata per l’incredibile impatto,

n. 23, settembre-ottobre 2013

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complessità con un sicuro benefico impatto anchesui determinanti di spesa attraverso una maggior-mente accurata (o meglio basata su criteri mag-giormente accurati) programmazione sanitaria. Un’altra nozione da tenere presente quando siparla di complessità nel paziente oncologico risiedenel fatto che i casi cosiddetti “prevalenti” sonoandati progressivamente aumentando non soloper l’oggettivo aumento dell’accuratezza diagno-stica (es. grazie allo screening) e quindi dell’inci-denza, ma anche – e per fortuna – per il miglio-ramento della prognosi. La storia “oncologica”italiana degli ultimi trent’anni riflette esattamentequesta tendenza. Esistono, tuttavia, sottogruppidi popolazione in cui tali risultati non seguonoquesto particolare trend: si tratta dei pazienti ul-trasettantenni (anziani) che, presentando tassi dicomorbilità elevati (pazienti complessi), sono eti-chettati come “fragili” (nel senso più “clinico” deltermine) e quindi non sottoposti ai trattamentiche potrebbero loro garantire, se non una soprav-vivenza, almeno un lungo periodo di controllodella loro malattia neoplastica.In considerazione della complessità “generica” (per-sonalizzazione, multidisciplinarietà, organizza-zione, costi ecc.) della gestione del paziente affettoda tumore, sarebbe senz’altro auspicabile, anzi ne-cessario, mettere in atto una presa in carico “glo-bale” del malato fin dall’inizio del percorso tera-peutico, attraverso un approccio multidisciplinaree multidimensionale sostenuto da un’organizza-zione che garantisca, da un lato, il migliore tratta-mento antitumorale possibile (in termini di qualità,di tempi e di coordinamento degli interventi) e,dall’altro, un precoce riconoscimento di eventualialtri bisogni (fisici, funzionali, psicologici, spiri-tuali, sociali e riabilitativi) del malato. Questo ap-proccio di tipo “integrato” è “persona-centrico” eoltre a garantire il migliore trattamento antitumo-rale permette un inserimento precoce delle cure

palliative e la riabilitazione per la prevenzione e ilcontrollo dei sintomi legati alla malattia e/o alleterapie (dolore, supporto nutrizionale, supportopsicologico, spirituale e sociale ecc.). L’estensionedella multidisciplinarietà tipica di questo approccioa comprendere e quindi affrontare anche lo statodi comorbilità non-neoplastica incidente sullostesso paziente può garantire, da un lato, una forte“umanizzazione” ovvero la comprensione dei bi-sogni dell’individuo e la loro relativa priorità, anchein armonia con il setting dei carers del soggettomalato e, dall’altro, una vera e propria ottimizza-zione dell’approccio terapeutico (scelta) “causale”relativo all’emergenza della complessità fenotipicapropria della comorbilità. Questo è tanto più im-portante nel paziente “anziano”.L’organizzazione dell’attività di oncologia deve pre-vedere, pertanto, momenti strutturati di condivi-sione a discipline diverse dall’oncologia stessa e aquelle a questa direttamente correlate (es. come laterapia del dolore) e di confronto che sono indi-spensabili per realizzare un progetto assistenzialecondiviso. Il rapporto tra ospedale e “territorio”,in questo ambito, rappresenta uno scenario di sicuraimportanza: dal momento, infatti, in cui il pazientesi presenta per la prima volta in ospedale, la strut-tura dovrà essere in grado di poter garantire il mi-gliore trattamento oncologico disponibile secondolo stato dell’arte e in funzione dello stato della ma-lattia (avvalendosi ovviamente di Linee guida na-zionali e internazionali) e dovrà essere in grado diseguire il paziente in tutto il suo percorso (diagnosi,scelta del trattamento, problematiche dovute altrattamento, comunicazione della prognosi). L’ospe-dale dovrà essere quindi in grado di valutare l’inte-rezza della complessità del singolo individuo, at-traverso una valutazione multidisciplinare integratadello stato, se presente, di comorbilità, con unaparticolare attenzione agli elementi propri dellacomplessità nel paziente ultrasettantenne.

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Le reti assistenziali oncologiche, sistemi in via diattuazione in quest’ultimo periodo, potrebberoportare a indubbi vantaggi per il paziente e, at-traverso un’ottimizzazione gestionale, anche alcomplesso sociosanitario ed economico.Il miglioramento della comprensione molecolaredella gran parte delle malattie neoplastiche hareso disponibili, negli ultimi anni, farmaci a ele-vata componente di innovatività “a bersaglio mo-lecolare”, appunto. In modo relativo il ricorso afarmaci chemioterapici, almeno come terapia discelta, è andato riducendosi. I farmaci “molecolari”hanno tra l’altro uno spettro di tossicità comple-tamente differente rispetto ai chemioterapici; in-fatti, se da una parte sono ridotte le tossicità ema-tologiche e gastroenterologiche, dall’altra sonoemerse nuove tossicità quali quelle cutanee, tiroi-dee, oculistiche ecc. Queste nuove tossicità ren-dono la gestione del paziente oncologico partico-larmente impegnativa e, anche nella condizioneideale di assenza di comorbilità, si rende necessarioun approccio multidisciplinare. Nelle situazionireali questo approccio dovrebbe precedere l’in-sorgenza della complicazione da trattamento pri-mario e anzi far parte della valutazione del pazientee del suo stato di salute nella sua globalità.I trattamenti oncologici, ivi inclusa la chirurgia,determinano effetti anche a distanza sullo stato disalute e di wellness dell’individuo che possono di-venire vere e proprie insufficienze d’organo croni-che e quindi configurarsi come malattie a se stanti,che complicano la situazione oncologica nella suainterezza in aggiunta ai relati di tipo psicologico,sessuale-riproduttivo e ai problemi di natura eco-nomico-assicurativa, sociale e professionale laddoveriveste particolare importanza il re-inserimento nelmondo lavorativo. Ai vari specialisti si aggiunge,nella valutazione, comprensione e gestione di que-sta complessità, anche il medico di medicina ge-nerale in un contesto di territorio, quello italiano,

decisamente disomogeneo non solo per livelli or-ganizzativi, ma anche per disparità di opportunitàterapeutiche legate alle specifiche situazioni eco-nomiche regionali.Infatti, buona parte dei nuovi farmaci a bersagliomolecolare, per esempio, ha un costo molto elevato.Per questo motivo l’autorità regolatoria (AgenziaItaliana del Farmaco, AIFA) ha inserito da circa 5anni, in concomitanza con l’introduzione in com-mercio, alcuni artifici per abbassare il prezzo delfarmaco a carico dell’ospedale (payment by results,risk-sharing ecc.). Se da una parte questa contrat-tazione con le aziende farmaceutiche ha portato auna riduzione del prezzo finale a carico dell’ospe-dale, i tempi per l’immissione in commercio inItalia rispetto ad altri Paesi europei si sono allungatienormemente, così come è aumentato il carico am-ministrativo che si associa alla prescrivibiltà di unadeterminata terapia per ogni specifico paziente (ca-rico di tipo anche regolatorio).La complessità nel paziente oncologico è quindideterminata non solamente (come del resto anchein altre patologie croniche) dallo stato di comor-bilità strettamente legata alla patologia neoplasticae agli effetti indesiderati, a breve-medio-lungotermine dei trattamenti antineoplastici, classici einnovativi. Il fenotipo complesso oncologico èquindi caratterizzato dall’incidenza di comorbilitàpreesistenti e non direttamente collegate alla ma-lattia neoplastica e anche da vari determinanti dinatura psicologica, sociale, economica e anchepolitico-regolatoria.Solo un approccio di tipo integrativo, come peresempio quello legato agli approcci di sistema (Sy-stems Biology/Systems Medicine), potrà risolvere,da un lato, la complessità biologica della malattiae delle complicanze proprie della terapia specificaattraverso la generazione di modelli sempre piùaccurati e adeguati e, dall’altro, tenere conto dideterminanti il cui peso specifico relativo è oggi

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ignoto, legati a comorbilità extraneoplastiche efattori incidenti socioeconomici e psicologici.

Il concetto di complessità nel diabete mellito

Il concetto di complessità è intrinseco alla naturastessa della malattia diabetica. Pochi altri esempinell’universo delle scienze biomediche si caratte-rizzano per una tale eterogeneità di patogenesi, fi-siopatologia e manifestazioni cliniche – per citaresoltanto alcuni degli aspetti più evidenti – quantoil diabete mellito. In realtà la definizione stessa –diabete mellito – risulta assai riduttiva includendoun elenco di quadri patologici estremamente va-riegati tra loro e accomunati spesso dalla sola pre-senza di elevati valori di glucosio nel sangue. Èevidente a tutti la differenza enorme tra il bambinoammalato di diabete insulino-dipendente e l’adultoobeso che presenta un insieme di anomalie meta-boliche, di cui l’iperglicemia è soltanto un ele-mento, in gran parte risultato dell’interazione trapredisposizione genetica e abitudini di vita noncorrette. Entrambi i fenotipi si definiscono diabe-tici, ma rappresentano esempi di complessità percerti versi diametralmente opposte. L’approccio albambino/adolescente diabetico dovrà, per esempio,tenere conto, oltre alla necessaria esigenza di curadella malattia, di aspetti psicologici – il rifiutodella malattia – ugualmente “da curare” in un de-licato periodo della crescita che porterà all’inseri-mento nella società e nel mondo del lavoro. Dal-l’altra parte l’adulto diabetico, e ancora di più l’an-ziano, avrà bisogno di ulteriori presidi che ne ga-rantiscano la qualità della vita, la capacità di curarsida soli e l’autosufficienza. In ambito clinico questediversità impongono l’interazione continua deldiabetologo che ha in cura il paziente con colleghispecialisti di varie discipline mediche e chirurgicheoltre alla padronanza di conoscenze in vari settoridella medicina, non solo quella internistica, che

ha pochi eguali. Pertanto, più che mai in questocontesto vale la necessità di modificare il nostroapproccio metodologico e operativo dalla “malattiadiabetica” al “paziente diabetico”, ovvero dalla curadei sintomi e delle anomalie metaboliche della pa-tologia diabetica a quella del paziente nella suaglobalità e complessità. A conferma di ciò, è statorecentemente pubblicato un interessante studiosulla rivista Annals of Internal Medicine sul temadelle diverse complessità che il medico di medicinagenerale è chiamato a dovere affrontare nel propriooperato quotidiano: è emerso che il paziente dia-betico scompensato – ma non ancora “compli-cato” – rappresenta la criticità più impegnativada gestire per il medico sul territorio, ancora dipiù dell’utilizzo di psicofarmaci o di altre com-plessità quali la cura del paziente cardiopatico ocon malattie respiratorie croniche. Infatti, le mag-giori difficoltà nella gestione del paziente diabeticosul territorio derivano proprio dalla presenza divarie comorbilità in grado di interferire con l’at-tuazione della migliore terapia ipoglicemizzante,oppure esse stesse a rischio di aggravamento comeconseguenza di una terapia antidiabetica inappro-priata o semplicemente non adeguata alla com-plessità del fenotipo del paziente (si pensi al rischiodi caduta o di ischemia miocardica nel diabeticoanziano in cui si manifesta un’ipoglicemia). L’emer-genza di queste complessità e il loro attuale e po-tenziale impatto economico sono confermati dainumeri. A detta dell’Organizzazione Mondialedella Sanità (OMS), negli ultimi anni la diffusionedel diabete mellito ha subito un incremento espo-nenziale, tanto da acquisire i caratteri di un’epide-mia. Si ritiene, inoltre, che esista una quota elevatadi casi di diabete misconosciuto, stimabile in unapercentuale pari ad almeno il 50% di quello noto,e tali numeri sono destinati a raddoppiare entro il2025 a livello mondiale se non si provvederà conmisure adeguate di prevenzione e di cura. Secondo

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l’Istat, nel 2012 oltre 3 milioni di persone dichia-ravano di essere diabetici, pari al 5,5% della po-polazione italiana residente. Sono da poco tempodisponibili, grazie alle osservazioni dello studioARNO-SID, i primi dati di prevalenza del diabetenei migranti residenti in Italia con il riscontro diuna prevalenza maggiore nelle popolazioni prove-nienti da Bangladesh, India e Pakistan. La malattiaè più diffusa tra le classi sociali più svantaggiate,laddove fattori di rischio quali l’obesità e la seden-tarietà sono più comuni. Inoltre, la presenza dicomorbilità in aggiunta a condizioni socioecono-miche sfavorevoli può ulteriormente peggiorare laseverità della malattia e delle sue complicanze,oltre a favorire l’insorgenza di altre patologie acute(es. le infezioni), riducendo notevolmente in talmodo la qualità della vita. Altre condizioni croniche, comuni nei pazientidiabetici, sono responsabili per l’aumento dellamorbilità. Secondo il Medical Expenditure PanelSurvey, la maggior parte dei pazienti adulti condiabete ha almeno una comorbilità causata damalattia cronica e ben il 40% ha almeno tre dif-ferenti patologie croniche. La crescente prevalenzanelle persone adulte anziane di multimorbilità èalmeno in parte una conseguenza non intenzionalenel miglioramento della qualità del trattamentodel diabete, quali un più adeguato controllo dellaglicemia misurata con l’HbA1c e con la glicemia adigiuno, un uso più diffuso dei trattamenti comequelli con ACE-inibitori e acido acetilsalicilico,che hanno ridotto il rischio cardiovascolare e lamortalità. I pazienti diabetici vivono più a lungoe questo aumenta la possibilità di acquisire una opiù complicanze croniche associate alla patologiae all’invecchiamento. Le comorbilità possono avereeffetti profondi sulla capacità dei pazienti di gestirela loro cura. La depressione e l’artrite compro-mettono le funzionalità del paziente e pongonolimiti al cambiamento dello stile di vita e all’ade-

renza al regime terapeutico. Condizioni quali en-fisema e lombalgia cronica possono avere un im-patto più debilitante sullo stato di salute dellepersone con diabete e sono tra i più importantideterminanti dello stato funzionale e della salutementale dei pazienti diabetici. Inoltre, condizioniinvalidanti come lo scompenso cardiaco avanzatoe la demenza possono rendere gli obiettivi del-l’autocontrollo del diabete impossibili da raggiun-gere. Infatti, anche quando le comorbidità croni-che non limitano direttamente la capacità dei pa-zienti nell’autocontrollo del diabete, queste pos-sono essere un’ulteriore sfida impegnativa per lapersona con diabete nell’autocontrollo della pa-tologia e nell’aderenza al trattamento.Da evidenziare come nel 2009 il diabete sia statoindicato come causa principale del decesso in20.760 casi, mentre nello stesso anno sia statocomunque riportato nel certificato di morte inben 71.978 casi. Il dato è interessante quantomeno perché testimonia, già nella percezione deimedici, la rilevanza e la complessità della malattiadiabetica, in grado di impattare notevolmentesulla salute dell’individuo e comunque contri-buire – quando non sia la causa principale – alloscadimento delle condizioni cliniche generali chetermina con il decesso. E quanto la sola presenzadel diabete sia in grado di peggiorare notevol-mente lo stato di salute complessivo dell’indivi-duo, esponendolo a un maggiore rischio di eventiacuti di ogni tipo, è confermato dall’elevata pre-valenza di diabete nei ricoveri ospedalieri – circail 20%, ben più alta della popolazione generale –e dal numero di ospedalizzazioni richieste all’annoper i diabetici rispetto ai non diabetici. La presenza del diabete nella complessità del quadroclinico generale e la conseguente assistenza che ri-chiede impattano notevolmente sulla spesa sanita-ria, rappresentando in Italia circa il 7-10% dellaspesa globale. I costi sanitari per il diabete, rappre-

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sentati dai ricoveri ospedalieri, dall’assistenza spe-cialistica o dalla spesa farmaceutica, sono in pro-gressivo aumento; si calcola che attualmente i costidiretti in assenza di complicanze siano pari a circa€ 800/anno a persona e fino a € 2000-3000/annoin presenza di complicanze, ponendo il diabete alsecondo posto tra le patologie per i più alti costidiretti in Italia. Uno scenario che quindi richiamal’attenzione sull’esigenza urgente di nuovi modelliorganizzativi per la cura della “complessità diabe-tica”, partendo dall’evidenza che la necessità di curedel paziente diabetico riguarda tutti i livelli assi-stenziali con quadri clinici e livelli di complessitàmolto diversi tra loro. La prevenzione delle com-plicanze, l’educazione a modificare lo stile di vita,l’individualizzazione della terapia, la gestione del-l’acuzie e la terapia intensiva sono tutte problema-tiche che si affrontano in contesti assistenziali di-versi, ma che richiedono ugualmente l’intervento,il coordinamento e l’integrazione di diversi specia-listi (diabetologo, cardiologo, nefrologo, oculista,radiologo ecc.) che spesso risulta difficile. Secondoquanto riportato negli “Standard italiani per la curadel diabete mellito 2009-2010” (SID-AMD), pro-muovere una rete che coinvolga i diversi erogatoridi prestazioni sanitarie è la modalità che meglio ri-sponde all’esigenza di porre il paziente diabetico alcentro del sistema di cura, individuandone i bisognicomplessi di salute, promuovendo la continuità as-sistenziale, favorendo l’integrazione ospedale-ter-ritorio, riducendo la variabilità clinica, diffondendola medicina basata sull’evidenza, utilizzando inmodo congruo le risorse. Individuare un nuovopercorso assistenziale all’interno del quale il diabe-tico sia in grado di “muoversi” con appropriatezza,ovvero un sistema caratterizzato da una forte inte-grazione tra i diversi punti di erogazione dell’assi-stenza in una logica di rete, è quindi necessario alfine di ottenere una buona qualità di vita, nonchéprovvedere al contenimento dei costi. Una logica

questa sicuramente innovativa, a confronto con lapresente organizzazione sanitaria basata sulla di-spensazione di singole prestazioni erogate da strut-ture distinte e fra loro non collegate, con il rischiodi interventi frammentari sul malato mirati piùalla risoluzione della singola patologia e sull’idea,purtroppo ancora diffusa, che la gestione del diabetediventi complessa, richiedendo l’intervento dellospecialista diabetologo, solo allorquando subentrinole complicanze d’organo.

Il concetto di complessità nel paziente cardiopatico

La cardiologia è nata come branca specialisticadella medicina interna oltre 60 anni fa. Il pesoepidemiologico delle cardiopatie e lo sviluppo dellatecnologia giustificavano la focalizzazione del pro-blema cardiologico per le procedure di diagnosi ele cure conseguenti. Gli anni in cui si è sviluppatala cardiologia hanno coinciso con la lotta alle con-seguenze della malattia reumatica, con la sua scon-fitta grazie al trattamento medico e allo sviluppodella cardiochirurgia. Immediatamente successivaalla lotta contro le malattie reumatiche si è svilup-pata quella contro le conseguenze dell’aterosclerosi,in particolare la malattia coronarica: quest’ultimaha avuto la sua massima fioritura in coincidenzacon lo sviluppo della società del benessere, con ilsuo portato in termini di diabete, ipertensione,dislipidemia. La cardiologia, negli ultimi 30 anni,ha fronteggiato la malattia aterosclerotica congrandi successi, applicando potenti strumenti didiagnosi, prevenzione e cura che fanno oggi defi-nire l’aterosclerosi come una malattia del secoloscorso. I pazienti che hanno trattato i cardiologi,all’interno della specialità, sono stati per moltianni sufficientemente uniformi (modelli di valvu-lopatia reumatica, sindrome coronarica acuta) ehanno consentito la formulazione di Linee guida

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applicabili in modo abbastanza facile a fasce dipopolazione molto vaste, in modo così ripetitivoda potersi illudere di potersi limitare a curare lamalattia piuttosto che il paziente. Gli stessi pro-gressi della cardiologia hanno comunque generatolo sviluppo di nuove popolazioni epidemiologica-mente rilevanti: ne sono un esempio “di nicchia” ipazienti con cardiopatie congenite nell’adolescenzae in età adulta e, in modo esplosivo, i pazienti aiquali si sono aggiunti anni di attesa di vita, proprioe soprattutto e grazie ai progressi della cardiologiae ai successi della prevenzione. Da questi fenomeni sono emerse esigenze e situa-zioni molto più variegate di quelle presenti al-l’epoca dell’esordio della cardiologia come specia-lità, che hanno di fatto reso necessario un riap-prendimento del concetto di complessità, poichéè sempre più difficile l’identificazione del concettoastratto di malattia con le condizioni reali dei pa-zienti. Per questo la cardiologia deve sempre dipiù confrontarsi con quadri clinici complessi inrapporto alla coesistenza di più condizioni morbosein persone sostanzialmente diverse da quelle sullequali sono state costruite le Linee guida. Se sipensa alle principali patologie trattate dal cardio-logo, le sindromi coronariche acute e lo scompensocardiaco, le evidenze dalle quali sono state tratte“le regole” sono state ricavate in fasce di età moltodiverse da quelle che oggi vengono in prevalenzatrattate. Questo è tanto più vero in quanto i trialsmaggiori alla base delle Linee guida riportavanotra i criteri di esclusione l’età avanzata e le più fre-quenti comorbosità. Una revisione sistematica deicriteri di selezione per l’arruolamento nei trials cli-nici randomizzati del 2007 riporta che comunimorbosità e un limite di età predefinito erano mo-tivo di esclusione, rispettivamente, nell’81% e nel72% degli studi. Le donne, i bambini e soprattuttogli anziani e i pazienti con condizioni morbosemolto comuni, come per esempio l’insufficienza

renale, erano quelli esclusi con maggiore frequenza.I motivi di questa esclusione risiedono soprattuttonella necessità di esaminare popolazioni omogenee,nella riduzione del rischio di “drop out”, ridottaaderenza e interazioni tra farmaci; gli anziani ven-gono considerati una popolazione “vulnerabile”,con il rischio di aumento dei costi di conduzionedei trials. Lo studio PREDICT multicentrico eu-ropeo aveva l’obiettivo di aggiornare i dati sullapartecipazione degli anziani ai trials clinici rando-mizzati e di comprendere le motivazioni di even-tuali persistenti esclusioni.Lo studio ha condotto un’analisi su 251 trialssullo scompenso cardiaco. Dallo studio è emersoche il 25,5% escludeva i pazienti in base a un li-mite di età predefinito (65-95 anni, mediana 80anni). L’80,1% degli studi inseriva come criteriodi esclusione la presenza di multimorbosità gene-rica o specifica, tra cui patologie renali o epatiche,pazienti con ridotta aspettativa di vita, deteriora-mento cognitivo, disabilità fisica, incapacità a par-tecipare a controlli di follow-up, problemi lingui-stici o deficit visivi e uditivi. La polifarmacoterapiaera motivo di esclusione nel 18,7% dei trials.Quasi la metà dei trials stessi (43,4%) presentavaalmeno un criterio di esclusione poco o per nullagiustificabile. Questi dati fanno comprenderecome le nostre decisioni terapeutiche orientatedalle Linee guida, siano esse farmacologiche, chi-rurgiche o interventistiche, siano applicabili, insenso stretto, a una fascia di popolazione moltolontana da quella del mondo reale; questa rap-presenta, invece, proprio il mondo della comples-sità. Nella Tabella 4.1 si vede, per esempio, qualisiano le principali differenze tra i pazienti conscompenso cardiaco arruolati nei trials e quellidel mondo reale. Si comprende, pertanto, che noiapplichiamo le nostre conoscenze maturate su po-polazioni diverse per imitazione a pazienti soloparzialmente conosciuti.

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Le condizioni di maggiore complessità in cardiologiasi ritrovano in età pediatrica e nell’età avanzata.

Le cardiopatie congenite e i Grown Up Congenital Heart

La caratteristica più rilevante delle cardiopatiecongenite nella nostra epoca è la lunga sopravvi-venza grazie agli outcome clinici indotti dalla car-diochirurgia. Fino a circa trent’anni fa circa l’80%dei portatori di malformazioni cardiache morivaentro i primi giorni, mesi o anni di vita, senzapossibilità di terapia efficace. Gli attuali standardassistenziali cardiologici e cardiochirurgici con-sentono a circa l’85% dei neonati con cardiopatiecongenite di raggiungere l’età adulta. In conside-razione dell’incidenza delle cardiopatie congenite,stimata nell’8 per 1000 nati vivi, è calcolabile chein Italia siano nati negli ultimi 20 anni circa90.000 bambini con cardiopatie congenite. Per-tanto i pazienti in età post-adolescenziale con mal-formazioni cardiache rappresentano una realtà cli-nica sempre più rilevante. Contribuiscono all’au-mento di questa popolazione i soggetti migrantidai Paesi in via di sviluppo.

I problemi propri dei pazienti con cardiopatia con-genita in età adulta richiedono risorse terapeutichespecifiche per evitare che alla mortalità spontaneadi 30 anni fa si sostituiscano situazioni clinichepossibili causa di elevata morbilità e mortalità. Le cardiopatie congenite rimangono, a tutt’oggi,una parte molto limitata della formazione cardio-logica specialistica. I cardiologi pediatri, esperti inmorfologia e fisiologia cardiaca, vengono coinvoltiin situazioni mediche che esulano dalle loro co-noscenze, in quanto vanno al di là della medicinadell’età evolutiva. Queste condizioni sono correlatecon i problemi ostetrici, elettrofisiologici, con co-ronaropatie, ipertensione, diabete, dislipidemie ealtre comorbilità nelle quali si imbattono i cardio-patici congeniti divenuti adulti. I cardiologi cheabitualmente trattano patologie cardiache nel-l’adulto non sono culturalmente pronti a trattarei tipi e le complessità dei cardiopatici congenitidivenuti adulti.Esiste pertanto oggi una popolazione “orfana” dicardiopatici adulti che, per la peculiarità della lorocondizione, trovano con difficoltà risposte adeguatealle problematiche cliniche complesse che le carat-terizzano e per le quali l’attuale cardiologia del-

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Tabella 4.1 Differenze tra i pazienti con scompenso cardiaco arruolati nei trials e quelli della pratica clinica corrente

Trial Mondo reale

Età media 57-64 anni 70-75 anni

Genere M:F 4:1 1:1

Frazione di eiezione > 40% Criterio di esclusione > 40%

Fibrillazione atriale 20% 40%

Insufficienza renale grave Criterio di esclusione 20-30%

Comorbilità Criterio di esclusione Frequenti

Dosaggio dei farmaci Dosati bene Sottodosati

Compliance Alta Bassa

Durata del trattamento 1-3 anni Per tutta la vita

Mortalità a 1 anno 9-12% 25-30%

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l’adulto non è preparata. La necessità di competenze“simbiotiche” che condividano esperienza di pato-logia cardiovascolare pediatrica e dell’adulto è com-provata dalle esperienze di centri dotati di compe-tenza pediatrica affiancata a quella della cardiologia,dove la sopravvivenza dei soggetti con i problemidi cui sopra è fortemente aumentata. Gli adulticon cardiopatie congenite hanno profili di malattiacon presentazione tardiva complessi e diversi daquelli, per esempio, dei pazienti con cardiopatiaischemica. Coesistono disfunzione cardiaca, aritmie,problemi renali o neurologici, che si manifestanodopo lunghi periodi di stabilità cardiovascolare. Gli adulti con cardiopatie congenite, specie conlesioni complesse, costituiscono un gruppo defi-nito come GUCH (Grown Up Congenital Heart)e il medico incaricato di seguirli deve avere com-petenze fisiopatologiche, cliniche e diagnostichedelle cardiopatie congenite, della loro evoluzionenaturale o modificata dal trattamento chirurgico.Questi pazienti hanno problematiche sociali par-ticolari, come la pianificazione del lavoro, la sceltadelle attività di studio e fisico-sportive, i problemilegati alla previdenza, l’idoneità lavorativa o allaguida dell’auto. Di conseguenza, oltre le compe-tenze specifiche, il medico deve conoscere gliaspetti psicosociali dell’adolescenza legati alla ma-lattia, essere esperti di “counseling” sullo stile divita, rispondere ai quesiti sull’idoneità fisica, spor-tiva e lavorativa, l’idoneità a e i rischi connessialla gravidanza o con la chirurgia extracardiaca.Temi quali ipertensione polmonare, aritmie, en-docardite infettiva, cianosi, scompenso cardiaco,gravidanza, disordini ematologici, chirurgia ex-tracardiaca, deficit ventilatori, aspetti psicologici,cognitivi ed etici e metodologia del follow-upsono l’oggetto di formazione dei medici che sioccupano dei GUCH e si collocano all’internodi un profilo formativo lontano da quello dellospecialista tradizionale. La risposta a queste situa-

zioni complesse sta nell’organizzazione di struttureche utilizzino procedure complementari all’internodi un programma individualizzato, con personaleattento e formato alle esigenze di questa popola-zione in continua crescita.

Il cardiopatico anziano

Le malattie cardiovascolari sono la principale causadi mortalità e morbilità nella popolazione anziana.Tra le diverse malattie cardiovascolari lo scom-penso cardiaco cronico riacutizzato rappresentanegli anziani la più frequente causa di ripetuteospedalizzazioni e da solo contribuisce al 2% dellaspesa sanitaria nel nostro Paese. L’età avanzata,l’elevato tasso di comorbilità, la disfunzione ven-tricolare sinistra severa e l’insufficienza cardiaca,nonché la compromissione dell’autonomia fun-zionale, definiscono la complessità della situazionedel cardiopatico a cui facciamo riferimento. NellaTabella 4.2 sono riportati gli indicatori di com-plessità di gestione riferibili al paziente secondoDe Jonge. Come si può evincere dall’elenco degliindicatori, è facile comprendere come il cardio-patico anziano ricoverato risponda a tutti i criteridi definizione di complessità. In generale, pos-siamo fare un’elencazione di situazioni clinichein cui si può inscrivere la figura del “cardiopaticocomplesso” (Tabella 4.3).

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Tabella 4.2 Indicatori di complessità di gestione riferi-bili al paziente

• Numero di farmaci somministrati• Durata del ricovero• Numero di consulenze• Prestazioni infermieristiche• Esami strumentali• Esami di laboratorio• Complessità organizzativa dal punto di vista infermieristico• Complessità organizzativa dal punto di vista medico• Complessità delle cure infermieristiche• Complessità delle cure mediche

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La peculiare complessità del cardiopatico anziano,colpito da frequenti comorbosità e con concomi-tanti problematiche cognitive, emozionali, socio -economiche, rende necessaria l’acquisizione dispecifiche competenze a forte impronta interdi-sciplinare, allo scopo di disegnare modelli orga-nizzativi improntati a principi di continuità assi-stenziale, che si estendono dalla fase ospedalieraalle strutture di riabilitazione, all’assistenza do-miciliare fino alle cure palliative.

La complessità nel paziente pediatrico

Il pleiotropismo fenotipico dei difetti genici haposto da lungo tempo il pediatra di fronte ai pro-blemi epistemologici, relazionali, sociologici e as-sistenziali della complessità. Il bambino “sindro-mico” è anzitutto, in termini fenomenologici, unbambino con multimorbilità. Basti l’esempio della

sindrome di Down: ritardo mentale, bassa statura,perdita dell’udito, disturbi visivi, cardiopatia con-genita (canale atrio-ventricolare, difetto inter-ven-tricolare, dotto arterioso pervio, ipertensione pol-monare), apnee ostruttive del sonno, iperlassitàlegamentosa e instabilità atlanto-assiale, deficitdell’immunità T e B, ipo- o ipertiroidismo ecc.Oppure, nell’ambito dei difetti monogenici men-deliani, il bambino con fibrosi cistica che, accantoai sintomi e alle sequele di una broncopneumopatiacronica severa, presenta patologie intestinali mul-tiple (dall’ileo da meconio in età neonatale allapancreatite e alla cirrosi biliare ingravescente), dia-bete di tipo 1, infertilità e osteopatia ipertrofica.Gli elementi fenotipici che compongono la sin-drome non sono tra loro collegati da legami dicausa-effetto secondo la metodologia riduzionisticadella fisiopatologia classica, ma coesistono nellastessa persona perché la proteina alterata o man-

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Tabella 4.3 Definizione di “cardiopatico complesso”

• Paziente affetto da scompenso cardiaco cronico con necessità di terapie infusive (diuretici, isotropi, vasodilatatori) per recente insta-bilizzazione dopo un evento cardiovascolare o secondaria a progressione della patologia di base o a fattori destabilizzanti

• Presenza di aritmie ventricolari pericolose per la vita, sopraventricolari o bradiaritmie mal tollerate emodinamicamente• Cardiopatico sopravvissuto ad arresto cardiaco• Cardiopatico con recente sindrome coronarica acuta nel quale la terapia farmacologica non sia stata ancora completamente valutata

e ottimizzata• Cardiopatici con ridotta autonomia e necessità di adeguati trattamenti farmacologici e lunghi interventi riabilitativi individuali a se-

guito di complicanza e/o comorbilità come:- decadimento fisico e/o deficit cognitivi (specie se in soggetti anziani)- scompenso cardiaco in atto- cospicuo versamento pleurico o pericardio- anemia significativa (Hb ≤ 8%)- complicanze broncopolmonari significative (insufficienza respiratoria con EGA basale PaO2 < 50 mmHg, PaCO2 > 70-75 mmHg,

pH < 7,35)- assistenza ventilatoria non invasiva - tracheostomia- complicanze neurologiche attive o croniche, con ridotta autonomia funzionale e necessità di assistenza nella normale vita quotidiana- insufficienza renale (filtrato glomerulare < 30 ml/min)- complicanze infettivologiche sistemiche- cattiva evoluzione di ferite chirurgiche e/o presenza di decubiti- necessità di supporto nutrizionale (enterale o parenterale)- lesioni periferiche su base vascolare e/o metabolica

• Pazienti in work up o già in lista per trapianto• Trapiantati

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cante svolge funzioni molteplici e disparate nelladifferenziazione e/o nella funzione di organi, ap-parati e funzioni distinti. Come avviene anchenelle associazioni casuali, questi difetti e alterazionifunzionali interagiscono poi tra loro con mecca-nismi che ancora ci sfuggono in larga misura perdare luogo al fenotipo complessivo che risulta di-verso da paziente a paziente per effetto dell’intera-zione tra ambiente e difetto genetico nonché congli ulteriori polimorfismi genetici di cui ciascunoè portatore. È evidente, per esempio, che, nellepersone con sindrome di Down, le alterazioni ana-tomiche delle prime vie aeree (quelle da cui origi-nano anche le apnee ostruttive del sonno) e il de-ficit immunitario interagiscono aumentando il nu-mero e la gravità delle infezioni soprattutto a caricodell’orecchio medio con conseguenze più che som-matorie sulla funzione uditiva. Tuttavia, nei pro-cessi che causano il deficit uditivo concorre pe-santemente anche l’ambiente con l’inquinamento,la presenza di allergie e di errati stili di vita (so-vrappeso, esposizione a fumo di sigaretta, attivitàfisica). Diventa ancora più difficile, allora, costrin-gere in un rapporto causa effetto il difetto genetico,le alterazioni anatomiche e il deficit immunologico. Al di là delle cause genetiche, le cause ambientaliche intervengono nelle primissime età della vita –soprattutto in utero – finiscono per condizionarela differenziazione di molteplici organi e tessuti edanno luogo in ultima analisi a espressioni feno-tipiche di multimorbilità. Basti l’esempio classicodel virus della rosolia che, contratto in gravidanza,dà origine alla sindrome della rosolia congenitacon cardiopatia, sordità neurosensoriale, micro-cefalia, cataratta bilaterale e retinopatia associatispesso agli esiti di una grave meningoencefalite.Gravi patologie complesse risultano anche da vo-lontarie modificazioni dell’ambiente fetale comesi osserva nell’assunzione materna di alcool, re-sponsabile non solo della sindrome feto-alcolica,

ma di un’ampia gamma di disturbi del compor-tamento, o da carenze nutritive primitive o se-condarie come si osserva nei difetti del tubo neu-rale causati da carenza di acido folico. Oggi assai più rilevante in termini epidemiologiciè l’espressione fenotipica della prematurità, in par-ticolare dei nati di peso inferiore a 1500 g (verylow birth weight, VLBW), che oggi sopravvivononella misura del 20% circa quando il peso è com-preso tra i 500 e i 600 g fino a un massimo del90% e più quando il peso è compreso tra 1250 e1500 g. La multimorbilità cronica cui vanno in-contro i bambini nati VLBW è funzione inversadel peso alla nascita e può comprendere microce-falia con ritardo mentale e diplegia spastica, limi-tazioni da più a meno gravi della vista e dell’udito,displasia broncopolmonare con le sequele e lecomplicanze che la caratterizzano, sindrome del-l’intestino corto, cirrosi epatica e ipostaturalità. Il numero di bambini e ragazzi con malattie cro-niche complesse è in costante crescita. Sebbenenon si disponga di dati epidemiologici solidi a li-vello nazionale, in base agli studi condotti in altriPaesi industrializzati si calcola che il 15% circadei soggetti in età evolutiva soffra di una malattiacronica. In Italia il loro numero dovrebbe aggirarsiintorno a 1.500.000. Complessivamente, sonodesignati con l’acronimo CSHN (Children withSpecial Health care Needs) indicando come CMC(Children with Medical Complexity) quelli di loroche soffrono di gravi limitazioni funzionali e/oche dipendono per la sopravvivenza da supportitecnologici. La crescita costante del numero di bambini e ragazzicon malattie croniche è legata quasi totalmente allasopravvivenza, cui si è fatto cenno, di bambini af-fetti da condizioni genetiche e acquisite che fino anon molti anni or sono morivano o sopravvivevanoal più per un periodo di tempo assai breve. Oggi,grazie ai progressi della biomedicina e della chirur-

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gia, la maggioranza di queste persone raggiungel’età adulta e spesso diventa anziana. Questo incre-mento dell’aspettativa di vita testimonia la gran-dezza e i limiti della biomedicina riduzionistica:siamo in grado di salvare la vita a molti bambiniche un tempo morivano, ma non siamo in gradodi guarirli. Abbiamo trasformato condizioni untempo rapidamente mortali in malattie croniche. Si aggiunge quindi alla multimorbilità la dimen-sione della cronicità che – come emerge semprepiù chiaramente dal follow-up di questi bam-bini – consente a sua volta l’espressione fenotipicadifferita del pleiotropismo genico. Difficile im-maginare, fino a non molti anni addietro, che itumori gastrointestinali e polmonari sarebbero di-ventati il problema medico centrale per un nu-mero crescente di ragazzi e adulti con fibrosi ci-stica. Analogamente, quando l’aspettativa di vitadelle persone con sindrome di Down era assai piùbreve, non era immaginabile che il 50% circa deisessantenni con sindrome di Down soffrisse dimorbo di Alzheimer. La cronicità finisce quindicon l’introdurre un ulteriore elemento di com-plessità con espressioni fenotipiche correlate all’etàche non avrebbero potuto manifestarsi quando isoggetti con quadri di multimorbilità avevanouna breve aspettativa di vita.

Le malattie rare

Paradigmatico per un approccio euristico allacomplessità in pediatria è l’ambito delle malattierare: più di 7000 malattie diverse, ciascuna conun’incidenza inferiore a 1 per 2000 nati vivi, il70% a esordio in età pediatrica, l’80% a eziologiagenetica e il 65% invalidanti. Negli ultimi 20anni, la capacità di diagnosticarle e assisterle neha cambiato la stessa epidemiologia: in Europasono ora presenti 20 milioni di pazienti, circa 2milioni in Italia e di questi ultimi 1,7 milioni

sono di età inferiore ai 16 anni. Nella maggiorparte dei casi, la possibilità di rispondere ai lorobisogni assistenziali è fortemente limitata dallescarse conoscenze in merito all’evoluzione clinicanaturale e dalla difficoltà a investire, sviluppare esperimentare farmaci dedicati a casistiche esigue.Questo complesso di aspetti limita frequente-mente il trattamento alla cronicizzione della ma-lattia e al rallentamento della sua evoluzione nellacontinua ricerca del mantenimento e migliora-mento della qualità di vita, obiettivo da sempredifficile da verificare e misurare e con un altocosto sociale. Nell’approccio alla complessità, lapediatria presenta il vantaggio, rispetto alla me-dicina dell’adulto e dell’anziano, di avere a chefare con “cluster naturali” (le sindromi) già iden-tificati dall’ontologia classica. Tuttavia, e sempreper confronto con la medicina dell’adulto e del-l’anziano, in età evolutiva è necessario individuarestrategie diagnostico-terapeutiche e organizzarepercorsi sanitari adeguati per cluster di pazientinumericamente assai limitati.

L’approccio assistenziale

La “terapia genica” prospettata negli anni Ottantacome sicura e imminente soluzione per molte diqueste condizioni ha trovato oggi una concreta esolida applicazione terapeutica solo per pochissimepatologie. In tutte le altre, ne hanno decretato ilfallimento l’interazione tra geni, la loro attivazioneed espressione in funzione dei vettori utilizzati edell’ambiente e le difficoltà tecniche incontratenella loro modificazione e manipolazione, a taceredella sicurezza intrinseca legata al trattamentostesso. La certezza di guarigione raggiunta nellamaggior parte delle patologie pediatriche tradi-zionali (le malattie acute dell’ontologia classica)diventa speranza di guarigione nelle patologiecomplesse e varia anche in funzione del rapporto

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geni-ambiente: da un lato impensabile nelle pa-tologie cromosomiche come la sindrome diDown, Klinefelter, Edwards, dall’altro sicura inquelle mendeliane in cui sono determinanti i fat-tori ambientali come l’alimentazione per alcunemalattie metaboliche. Il pediatra deve prendersi cura del bambino e delragazzo con multimorbilità cronica nell’interezzadella sua persona, quindi anzitutto nel contestodella sua famiglia, individuando e condividendole sue scelte e le sue priorità in modo da integrarecon gli specialisti e i servizi coinvolti un percorsosociosanitario personalizzato. Tutti questi bambinie questi ragazzi, proprio per via della multimor-bilità, necessitano, infatti, di un’assistenza multi-professionale e multispecialistica integrata che sap-pia coinvolgere il bambino e la famiglia nella for-mulazione del piano di cura, quindi in tutte lescelte diagnostiche e terapeutiche. Approccio in-tegrato perché non possiamo in alcun modo pre-scindere da una presa in carico globale del bam-bino ammalato e della sua famiglia. Se è vero cheil fenotipo complesso non può essere ridotto auna semplice sommatoria delle morbilità che locompongono, ne deriva che sarebbe del tutto ina-deguato un semplice coordinamento degli apportispecialistici che vanno invece integrati in un ap-proccio sociosanitario globale.Questo approccio necessita ovviamente dell’indi-spensabile “patient empowerment” (che deve essere,al contempo, “family empowerment”), oggi gran-demente facilitato dagli strumenti del web. Ma ènecessario che aumenti l’impegno di tutte le Isti-tuzioni per l’alfabetizzazione sanitaria, la pubbli-cazione trasparente delle misurazioni di outcomee il dialogo delle persone affette e delle loro fami-glie con le equipe multidisciplinari integrate chesi prendono cura dei loro problemi. L’impattodella multimorbilità cronica sull’inserimento so-ciale è talmente rilevante per il bambino e per il

ragazzo e il livello d’inserimento sociale condizionacosì pesantemente la stessa compliance terapeuticache il percorso non può che essere sociale e alcontempo sanitario. È indispensabile, peraltro,che il percorso sociosanitario comprenda e prevedaineludibili variazioni dell’intensità di cure neces-sarie per l’assistenza. Il bambino con atrofia mu-scolare spinale (spinal muscular atrophy, SMA) chepresenta un’insufficienza ventilatoria cronica puòandare incontro a una grave insufficienza respira-toria acuta in seguito a una “banale” infezione re-spiratoria virale e necessitare pertanto di ricoveroin terapia semi-intensiva o intensiva. Peraltro, èaltrettanto importante che questo bambino possavenire dimesso non appena le sue condizioni cli-niche lo consentono per evitare il trauma psico-sociale dell’ospedalizzazione, per scongiurare il ri-schio delle infezioni nosocomiali e per limitare ilconsumo di risorse sanitarie. La continuità assi-stenziale ospedale-territorio – uno degli snodi piùfragili dell’attuale rete assistenziale pediatrica – èquindi essenziale per garantire efficacia ai percorsisociosanitari personalizzati. Uno dei problemi di più difficile approccio per lacontinuità assistenziale è rappresentato dalla “tran-sizione”: cresce il numero di ragazzi con multi-morbilità cronica che diventano adulti e che ne-cessitano quindi di passare dall’assistenza pediatricaa quella della medicina generale. Questa transizioneè indispensabile perché il pediatra non è profes-sionalmente preparato ad affrontare numerosi pro-blemi sanitari tipici dell’età adulta come la gravi-danza o le coronaropatie ischemiche. D’altro canto,poiché fino a pochi anni or sono la quasi totalitàdei bambini con multimorbilità non arrivava certoall’età adulta, spesso il medico generalista non co-nosce né i quadri fenotipici né i percorsi sociosa-nitari delle persone con malattie croniche com-plesse, ancor meno se rare. Si consideri inoltreche, nell’ambito della stessa malattia rara, l’evolu-

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zione clinica è diversa da un paziente all’altro inbase al tipo di intervento terapeutico scelto e aifattori ambientali. In questo scenario, la famigliae il pediatra curante, rispettivamente “care givers”e “case manager” del paziente, sono i principaliesperti di quella che è l’espressione di malattia inquel paziente specifico e delle sue necessità assi-stenziali e, senza un processo di trasferimento for-male e condiviso, la transizione come ora troppospesso si realizza, con il solo passaggio di docu-mentazione clinica, costituisce un elemento di ri-schio per errori terapeutici, riacutizzazione di ma-lattia e peggioramento della qualità di vita.Proprio per via della sua intrinseca complessità, ilproblema è oggi affrontato con modelli diversida Istituzioni che appartengono allo stesso sistemasanitario. Negli Stati Uniti, nel Regno Unito e inmolti Paesi del Nord Europa, coesistono così ospe-dali pediatrici che si sono dotati di programmi ditransizione congiunta, in cooperazione con Di-partimenti di Medicina Interna, e altri ospedalipediatrici che operano la transizione al propriointerno, avendo dato vita a Dipartimenti di Me-dicina Interna. A livello di medicina delle cureprimarie, è comunque evidente la necessità di af-fidare questi giovani adulti alle cure dei medici dimedicina generale, prevedendo appositi pro-grammi di formazione.

La complessità in Diagnostica per Immaginie nella Radiologia Interventistica

La coesistenza di più patologie nello stesso indi-viduo induce a richiedere la consultazione di mol-teplici figure professionali, con il conseguente ri-schio di interventi frammentari sul malato, miratipiù alla risoluzione della singola patologia che allagestione del malato nella sua globalità, con im-portanti ripercussioni anche sull’utilizzo delle ri-sorse economiche e sanitarie. Anche il percorso

diagnostico-terapeutico-assistenziale di questi pa-zienti è spesso contrastante, rendendo difficoltosala partecipazione del paziente stesso al processodi cura e contribuendo, al tempo stesso, all’au-mento della spesa sanitaria. Infatti, la frequente effettuazione di un gran nu-mero di indagini di diagnostica strumentale,spesso di elavata tecnologia e complessità anchepiù volte ripetute nella stessa persona, porta aldetrimento della qualità del servizio erogato, allospreco di risorse e, nel caso di impiego delle ra-diazioni ionizzanti, anche a possibili rischi ag-giuntivi per il paziente.L’approccio diagnostico e terapeutico deve quindiessere diretto al paziente nel suo complesso e nonalla singola malattia; per questo, occorre fornirele conoscenze e gli strumenti utili a identificare,nell’ambito di una visione “globale” dell’individuomalato, i determinanti che svolgono un ruolochiave nell’influenzare lo stato di salute dell’indi-viduo e il cui mancato riconoscimento andrebbea minare l’equilibrio del paziente. A ciò si arrivamediante una strategia terapeutica e assistenzialemultiprofessionale e personalizzata.L’obiettivo comune è offrire ai malati “complessi”nuovi percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali,sempre più individualizzati, con la possibilità,inoltre, di usufruire di strutture in grado di pren-dere in carico l’individuo nel lungo termine, cosìda mantenere il paziente nel proprio ambiente divita, prevenendone la disabilità e migliorandonela qualità di vita. Così facendo si garantirebbe siala continuità assistenziale ospedale-territorio, sial’integrazione degli interventi sociosanitari.

Principi generali nella Diagnostica per Immagini

Per quanto riguarda la Diagnostica per Immagini,come già accennato, di fronte a un paziente che

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presenta più morbilità si corre il rischio di richie-dere un numero eccessivo di esami, talvolta su-perflui e non rispondenti a criteri di appropria-tezza. Infatti, il “clinico”, spesso il medico di me-dicina menerale, nel tentativo di tenere sotto con-trollo ogni singola patologia da cui è affetto il pa-ziente o per assecondare le richieste dello stessopaziente e dei suoi familiari, si affida a esami dia-gnostici di dubbia utilità, che spesso non aggiun-gono nulla a un esame clinico effettuato secondole procedure standard e che, per di più, gravanosui costi sanitari. Lo scopo, infatti, non è quellodi risolvere ogni singola patologia da cui è affettoil paziente, ma mantenere il paziente stesso inuno stato di equilibrio, cercando di migliorarnela qualità di vita.Quale apporto, pertanto, dovrebbe dare l’imagingnella storia clinica di un malato con patologiead andamento, molto spesso, cronico? La solu-zione è ricorrere alla Diagnostica per Immaginisolo se necessario; per esempio, quando l’esameclinico non fornisce informazioni utili a risolverequadri clinici, per lo più acuti, che minano l’equi-librio, seppure precario, del paziente, oppure perla pianificazione di un intervento terapeutico,che può essere invasivo o mininvasivo, come sivedrà oltre.L’impiego della Diagnostica per Immagini devemirare non solo a identificare una determinatamalattia in relazione ai suoi segni clinici, ma deveprendere in considerare la persona nel suo com-plesso tenendo conto di tutti i fattori, compresiquelli ambientali. In tal modo non verrà ricercataesclusivamente la singola malattia, ma tutte lepossibili condizioni patologiche di cui il pazientepuò essere portatore. Anche l’approccio diagno-stico strumentale deve essere personalizzato, par-tendo dalle caratteristiche della persona affetta dauna determinata malattia piuttosto che dalla ma-lattia che affligge la persona.

Questa impostazione necessita di una particolareattenzione e competenza nell’impostare il percorsodiagnostico-strumentale secondo criteri che va-lutino il tipo di paziente e la sua complessità. An-drà analizzato dal punto di vista sia tecnologicosia metodologico il più corretto iter. La realizza-zione di tale obiettivo richiede una stretta colla-borazione multidisciplinare e pluri-professionale,anche con strette interazioni tra specialisti e medicidi medicina generale.Le scelte adottate dovranno mirare a ottimizzareil rapporto tra il beneficio ottenuto in terminidiagnostici e le risorse impegnate. Tali percorsisaranno necessariamente mirati al paziente conun approccio diagnostico individuale e con risul-tati facilmente trasferibili e oggettivizzabili per lescelte terapeutiche-assistenziali.In altri termini, si devono prendere in considera-zione, in modo specifico e approfondito, le causedella malattia e il loro determinarsi ed embricarsi,analizzando le motivazioni che determinano lecondizioni della complessità dell’individuo. Biso-gna esaminare ogni singola persona come tale enon la semplice manifestazione prevalente ed evi-dente del suo malessere, disagio e/o patologia. Siparte dal presupposto, in tali pazienti, di una con-dizione con alla base l’interazione di più compo-nenti, ricercando non solo la causa più evidentedel disagio/malattia, ma anche tutte le possibiliinterazioni con altre patologie. Infatti il loro even-tuale mancato riconoscimento non consentirebbel’analisi completa del paziente e di conseguenzascelte terapeutico-assistenziali incomplete, non ri-solutive e gravanti sul benessere del soggetto edella collettività.Per quanto riguarda il trattamento, oltre alla terapiamedica farmacologica, nella storia naturale del pa-ziente complesso può rendersi necessario il ricorsoa terapie invasive chirurgiche, che possono esseremultiple e reiterate nel tempo. Tuttavia, tali inter-

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venti, specie in questi pazienti, non sono esenti dacomplicanze, con prolungamento dei tempi di de-genza e conseguente incremento dei costi. Pertanto, ove possibile, è consigliato il ricorso aterapie mininvasive, che riducono i rischi per ilpaziente, sia legati all’intervento stesso sia all’ane-stesia generale, e che possono essere ripetute neltempo.

Imaging molecolare nel malato complesso

Nel paziente che si presenta con un quadro clinicocomplesso dovuto alla coesistenza di piu condi-zioni morbose spesso la diagnosi non è immediata,ma tardiva o incompleta, comportando approcciterapeutici inappropriati. Negli ultimi anni ilcampo della ricerca biomedica è stato caratterizzatodallo sviluppo di nuove tecniche di diagnosi par-ticolarmente avanzate, raggruppate sotto il nomedi Imaging Molecolare, che si propongono di iden-tificare e quantificare in vivo processi biologici ebiochimici a livello cellulare e sub-cellulare.L’Imaging Molecolare utilizza radiofarmaci carat-terizzati da elevata specificità al fine di diagnosti-care le alterazioni molecolari che sottendono pro-cessi morbosi in fase ancora asintomatica e nonrilevabile mediante le metodiche di imaging tra-dizionale. In particolare, la tomografia a emissionedi positroni accoppiata alla TC (PET/TC) con-sente di ottenere la caratterizzazione in vivo dellemodificazioni biochimiche tipiche di molte pa-tologie. Attualmente, il radiofarmaco che trovaun più vasto impiego clinico è il F-18 FDG, lacui utilità in campo oncologico è ormai validatada una solida esperienza clinica, ma che può esseredi supporto alla diagnostica tradizionale anche incampo cardiologico, neurologico e nelle flogosi-infezioni.Questo approccio funzionale-metabolico potrebberisultare particolarmente utile dal punto di vista

clinico proprio nel malato complesso, che è spessoun anziano nel quale la coesistenza di patologiediverse rende la diagnosi difficile anche per unaserie di modificazioni fisiopatologiche in organi esistemi correlati all’età. L’introduzione delle tecniche di Imaging Moleco-lare ha influenzato in modo significativo la praticain oncologia e la PET/TC con FDG è diventataessenziale per la gestione di numerose patologiemaligne, specie nella stadiazione dopo la diagnosiiniziale. Il suo ruolo nello staging di alcuni tumoriha già portato a cambiamenti sostanziali nelle scelteterapeutiche successive alla diagnosi. Inoltre, inpazienti con un elevato sospetto clinico di neoplasiae primitivo sconosciuto, la PET/TC è indagineutile per localizzare la sede di origine di queste le-sioni maligne e programmare le più appropriatestrategie terapeutiche. Nel follow-up dal pazienteoncologico, dove spesso la radioterapia e la chi-rurgia alterano notevolmente l’anatomia locore-gionale riducendo l’accuratezza diagnostica dellemetodiche di imaging convenzionale, la PET/TCcon FDG permette di monitorare i cambiamentimetabolici che avvengono durante il trattamentoaumentando l’accuratezza nella valutazione precocedella risposta al trattamento.Nelle infezioni protesiche l’imaging convenzionaleè spesso limitato dopo artroplastica a causa degliartefatti; la PET con FDG, sebbene molto sensibile(91-100%), ha una specificità notevolmente infe-riore ed estremamente variabile. Nella febbre diorigine sconosciuta, la PET/TC con FDG per-mette di ottenere risultati utili alla diagnosi nel50% dei casi, con un bassissimo numero di falsipositivi (circa l’1%). Le principali patologie ri-scontrate sono vasculiti, osteomieliti e malattie in-fiammatorie della pelvi, infezioni in pazienti im-munodepressi (es. a livello dell’apparato respira-torio) e sindromi linfoproliferative. Per un paziente con insufficienza cardiaca, verifi-

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care se il cuore possa beneficiare di interventi dibypass o di uno stent è fondamentale per aumen-tarne la sopravvivenza. La PET/TC miocardicacon FDG può fornire le informazioni necessarieper prendere le decisioni migliori nello stabilire iltrattamento, per vedere se il tessuto cardiaco possatrarre beneficio dalla rivascolarizzazione.Nel malato complesso l’incidenza di patologia subase neurodegenerativa può essere elevata. In que-sto tipo di patologie, la PET con FDG è accuratasia nella diagnosi di malattia di Alzheimer sia inaltri tipi di demenze e pertanto può essere indicatanei pazienti che presentano deficit cognitivi. Nell’era in cui la caratterizzazione genomica per-mette l’individuazione dei soggetti a rischio peruna determinata malattia e il ruolo delle tecnichedi imaging è fondamentale per creare percorsidiagnostici e terapeutici altamente personalizzati,l’imaging molecolare avrà certamente un ruolosempre maggiore nel far sì che la “medicina per-sonalizzata” possa essere sempre più largamenteofferta ai pazienti, che oggi il più delle volte sonoaffetti non da singole malattie, ma da condizionicliniche complesse.

La formazione e l’approccio organizzativo

Il progressivo invecchiamento della popolazionee il progredire delle conoscenze mediche, semprepiù dettagliate e orientate alla patologia, rendononecessario affrontare nella pratica quotidiana lacomplessità dell’essere di ogni individuo.Si pone l’obbligo di fornire nuovi modelli che af-frontino l’idea della complessità in modo struttu-rato, non essendo, finora, stati previsti in modocostante nella formazione universitaria di base esuccessiva e nella gestione pratica dei percorsi dia-gnostico-strumentali. Nella Diagnostica per Immagini tale obiettivo ap-pare di non complessa realizzazione. Infatti l’evo-

luzione tecnologica, il miglioramento delle tecni-che di studio e il sempre maggiore utilizzo di tec-niche di diagnostica “pan-esploranti” possonoconsentire il raggiungimento di tali obiettivi. Tut-tavia, appare necessario prevedere un modello or-ganizzativo e un maggiore ampliamento delle co-noscenze correlate con le condizioni di multimor-bilità o in soggetti in situazioni di fragilità.Già la formazione medica e delle professioni sa-nitarie di base fornisce un bagaglio di conoscenzeteoriche che consentono di riconoscere e trattare,nella sua interezza, il malato con pluripatologie.La formazione medica specialistica, per la suastrutturazione in Diagnostica per Immagini, per-mette il raggiungimento di competenze teorico-pratiche nei vari ambiti delle patologie umane.Non è complesso, pertanto, ipotizzare da partedel personale così formato la capacità di metterein correlazione le proprie conoscenze partendodall’individuo e non dalla singola malattia. È perònecessario un modello organizzativo che metta alcentro il malato con le varie competenze speciali-stiche mediche e assistenziali in un unico teammultidisciplinare che preveda uno sviluppo siste-matico dei vari settori. In questo ambito, e con lacostante interazione delle varie competenze, saràpossibile, partendo dal soggetto, capire caso percaso quale snodo decisionale sia più adatto. Inaltri termini, l’approccio integrato consentirà diuscire da un tecnicismo esasperato per andareverso un approccio strutturato sul paziente ed ef-ficace in termini di risultati e utilizzo di risorse.L’interazione costante e le scelte adottate in equiperappresentano la metodologia unica da perseguire.Tali concetti devono essere patrimonio dei for-matori e trasferiti ai discenti al fine di consolidarein questi ultimi le capacità di affrontare le nuovenecessità della popolazione che, in numero semprecrescente, evolve verso la patologica complessitàdel corpo e della mente.

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Modello strutturale-organizzativo

Individuate le cause e i bisogni degli ammalaticronici, fragili e complessi, è necessario mantenereun flusso costante di informazioni tra la fase dia-gnostica e le scelte terapeutico-assistenziali me-diante il ritorno costante dei risultati curativi eriabilitativi all’equipe multidisciplinare e ai varispecialisti secondo le proprie competenze. Taleaspetto vede la necessaria presenza di un medicoche sia il punto di riferimento del paziente e che,idoneamente formato, fornisca i feedback utili amigliorare la funzionalità e le competenze nel-l’ambito dei team multidisciplinari. In tal modosaranno possibili anche la verifica della qualitàdelle azioni intraprese e un miglioramento conti-nuo delle conoscenze.In tal modo sarà possibile favorire anche l’accessoa prestazioni strumentali con un approccio idoneoe mirato sul singolo individuo.Anche le singole equipe operative, quale per esem-pio quella della Diagnostica per Immagini, devonoessere strutturate, organizzate e gestite per processi.Partendo dalla peculiarità del paziente, il teamsarà composto da medici specialisti nell’area delladiagnostica per immagini, tecnici di radiologiamedica, infermieri e personale di supporto op-portunamente formato per rispondere concreta-mente alle specifiche dinamiche correlate allo statodi salute della singola persona.Per garantire tali premesse la migliore organizza-zione della Diagnostica per Immagini appare quelladipartimentale. Il Dipartimento dovrà avere inte-razioni funzionali continue e dirette tra ospedalee territorio. L’intento sarà favorire la maggiore frui-bilità e l’accesso alle strutture territoriali di dia-gnostica strumentale decongestionando l’ospedalee realizzando un ambiente più idoneo per tali pa-zienti. A tale proposito si citano le “Linee guidaper l’istituzione delle Unità di Diagnostica per Im-

magini Territoriali – UDIT” realizzate dalla SocietàItaliana di Radiologia Medica (SIRM) nel 2012(http://www.sirm.org/sottositi/management/).A differenza dell’ospedale, in cui si può creare unfilo diretto tra il “clinico” e il radiologo, così darealizzare un iter diagnostico appropriato per il sin-golo caso, spesso i medici di medicina generale sitrovano nella condizione di dover scegliere da soli,senza una figura di riferimento con cui consultarsi,gli esami di Diagnostica per Immagini. A tal fine,sarebbe utile l’istituzione di un numero verde alservizio della Medicina del Territorio, così da rea-lizzare una perfetta integrazione ospedale-territorio.Il paziente, evitando di sottoporsi a esami inutili efuorvianti, avvertirebbe in tal modo minore disagiolegato all’incertezza sul suo stato di salute e il Ser-vizio Sanitario Nazionale e quello Regionale si gio-verebbero di una razionalizzazione della spesa. Nonostante oggi si disponga delle più moderne tec-niche di diagnostica strumentale mediante l’imag -ing (morfologico, funzionale e metabolico) e di spe-cifiche competenze professionali, l’obiettivo deveessere quello di un utilizzo razionale delle risorse.L’organizzazione di tutte le attività diagnostiche,comprese quelle mininvasive (es. biopsie percutaneeguidate), in modo dipartimentale consente tale tipodi gestione anche nel “paziente complesso”. È auspicabile che ciascun centro realizzi percorsidiagnostico-terapeutici-assistenziali preferenzialiper tali pazienti con un continuo monitoraggiodegli outcome ottenuti. A scopo semplicemente esemplificativo e nonesaustivo si riportano alcuni esempi di percorsidiagnostico-terapeutico-assistenziali:• pazienti con problemi cardiovascolari: spesso

essi sono affetti contemporaneamente da iper-tensione, diabete, ridotta funzionalità renale,per i quali è necessario realizzare percorsi dia-gnostici condivisi da professionisti con diversee specifiche competenze; pazienti con epato-

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Ministero della Salute

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patie croniche: devono essere seguiti da equipemultidisciplinari (epatologi, radiologi, chirurghiecc.) che affrontano e discutono periodicamentedei casi clinici di maggiore complessità. I per-corsi diagnostici e terapeutici condivisi devonoessere preferenzialmente espletati all’internodella stessa equipe e struttura sanitaria, i risultatidiscussi ulteriormente per la condivisione dellesuccessive scelte terapeutiche. I centri, per taletipo di pazienti, devono disporre delle appa-recchiature e professionalità per l’effettuazionedi tutte le opzioni diagnostiche e terapeutiche(chirurgia, trapianto, termoablazione percuta-nea, crioablazione, laser-terapia, chemioembo-lizzazione, TIPS), in modo da prendere in ca-rico complessivamente i pazienti e completarenon solo l’iter diagnostico, ma anche offriretutte le scelte terapeutiche;

• valutazione della patologia osteoporotica incondizioni sia di cronicità sia di subacuzie: essarichiede la disponibilità di apparecchiature didiagnostica mediante l’imaging [mineralome-tria ossea computerizzata (MOC), risonanzamagnetica (RM) anche sotto carico e tomo-grafia computerizzata (TC)] e delle competenzespecialistiche multidisciplinari che permettonodi gestire il paziente in modo completo. Il feed -back tra le varie componenti l’equipe deve essereorganizzato in modo che le scelte terapeutiche(di tipo medico o nei casi più gravi medianteterapie mininvasive: vertebroplastica ecc.) pos-sano essere effetuate senza eccessivo dilaziona-mento dei tempi e senza la necessità di rivolgersipresso altre strutture.

La realizzazione strutturale e organizzativa di UnitàFunzionali Multidisciplinari permette il tratta-mento del “paziente complesso” nella sua inte-rezza, evitando in tal modo comportamenti con-trastanti che possono incrementare il rischio diduplicazioni diagnostiche e terapeutiche.

Tale aspetto, importante anche nell’economia ge-stionale della struttura, nel caso di patologie cro-niche, è di primaria importanza anche per evitaredi ostacolare la partecipazione del paziente al per-corso di cura e migliorare la qualità delle presta-zioni di diagnosi e cura.Anche nella fase delle scelte terapeutiche l’equipemultidisciplinare deve essere in grado di indivi-duare le strategie terapeutiche più adatte per il sin-golo caso. La disponibilità, oltre che di competenzeprofessionali e di attrezzature di chirurgia tradi-zionale, anche di terapie mininvasive agevola lapossibilità di scegliere in modo idoneo il tratta-mento migliore per ogni paziente. Un ruolo si-gnificativo lo riveste la Radiologia Interventisticagrazie alla possibilità in fase sia diagnostica sia te-rapeutica di offrire prestazioni in pazienti complessicon un minore rischio di complicanze e in molticasi con un’ospedalizzazione di ridotta durata.

Il malato complesso oncologico

I pazienti neoplastici rappresentano una categoriaimportante nell’ambito del “malato complesso” per-ché sviluppano problemi acuti che sono conseguenzadella malattia, della terapia o di entrambe e neces-sitano di una risposta diagnostica e clinica urgente.Il problema si sta facendo sempre più comune inrelazione all’aumento delle neoplasie nei pazientianziani associate sempre più spesso a una prece-dente situazione di comorbilità (Figura 4.1). L’impatto economico del malato complesso on-cologico è sensibile nell’ambito della spesa sani-taria pubblica e aumenta in maniera esponenzialequando alla situazione di base (multimorbilità) siassocia una neoplasia (Figura 4.2).Diventa pertanto fondamentale una gestione in-tegrata della situazione clinica in cui partecipanoa diverso titolo figure cliniche, quali per esempiooncologi e specialisti in Diagnostica per Immagini.

Il “Fenoma Complesso” 4

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Un aspetto significativo del problema è l’accessodel malato complesso oncologico alle cure ospe-daliere tramite il Dipartimento di Emergenza.Da evidenze in letteratura si evince come circa il25% dei malati oncologici acuti complessi accedaalle cure tramite il Dipartimento di Emergenza.

Occorre che medici e familiari siano preparati agestire il paziente in emergenza. Da ciò deriva lanecessità di creare, almeno in alcune struttureospedaliere e universitarie selezionate, Unità Ope-rative dedicate alla gestione integrata dei malaticomplessi oncologici in cui sia possibile la valuta-

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Ministero della Salute

Figura 4.1 Popolazione con malattie croniche (Anni 1995-2030) [Fonte: Wu et al. RAND, ottobre 2000].

1995

Popo

lazi

one

(%)

Anno

2 o più malattie croniche Malato cronico

21,3

44,7

2000

21,9

45,4

2005

22,7

46,2

2010

23,5

47,0

2015

24,3

47,7

2020

24,9

48,3

2025

25,5

48,8

2030

25,9

49,250

40

30

20

10

0

Figura 4.2 Spesa per le malattie croniche (Anni 1987, 1997, 2002) [Fonte: Thorpe et al. 2006].

0,4

7,410,1

14,5 15,4

52,2

0,54,4

6,410,1

13,3

65,3

0,22,6 4,2

7,49,2

76,3

1987 1997 2002

Spes

a (%

)

80

0

10

20

30

40

50

60

70

Nessuna condizione cronica1 condizione

2 condizioni3 condizioni

4 condizioni5 o più condizioni

70

60

50

40

30

80

Spes

a (%

)

52,2

65,3

76,3

1987

15,414,510,1

7,4

0,4

30

20

10

0

1 condizioneNessuna condizione cronica

10,16,4

4,40,5

15,4

1997

3 condizioni2 condizioni

1 condizioneNessuna condizione cronica

4,22,60,2

13,310,1

5 o più condizioni4 condizioni

3 condizioni2 condizioni

9,27,4

4,2

2002

5 o più condizioni

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zione sistematica dei possibili rischi nel percorsoterapeutico che può in ogni istante portare al bi-sogno di terapie urgenti.Un problema che emerge in maniera preponde-rante nella pratica clinica è la mancanza di infor-mazioni sulla complessa storia clinica/chirurgica/te-rapeutica del malato complesso oncologico conparticolare riguardo alle terapie eseguite e in corso,agli esami di Diagnostica per Immagini e alle pro-cedure di Radiologia Interventistica.Le informazioni sul “percorso neoplastico“ devonoessere disponibili 7/7 e h24, possibilmente su unsupporto informatico. Quello che spesso avvieneattualmente è che queste informazioni sono gestitedai familiari e spesso i clinici non hanno accessoin tempo reale alle informazioni in situazioni incui il fattore tempo è spesso determinante. Questoè un aspetto di particolare interesse per la Dia-gnostica per Immagini, in cui il confronto congli esami precedenti può indirizzare subito versol’esame diagnostico più appropriato per risolvereil problema clinico con risparmio economico efacilità nella gestione del paziente.In mancanza di uno specifico supporto informa-tico può essere anche utile individuare un familiareresponsabile che faccia da interfaccia con il per-sonale sanitario.Da risultati dell’England Cancer Network (2010-2011) su 262 pazienti afferenti a 16 ospedali e a2 centri oncologici che hanno risposto a un que-stionario sono particolarmente interessanti i se-guenti dati: • il 59% dei pazienti oncologici acuti complessi

si è rivolto all’ospedale più vicino;• il 20% nella fascia oraria notturna, tra le 20 e

le 8;• il 68% era già in terapia oncologica (chemio-

terapia o radioterapia);• il primo contatto si è verificato con personale

non specializzato;

• il 25% non ha avuto immediatamente una te-rapia corretta;

• il 50% aveva già sintomi da 2-3 giorni;• nel 16% dei casi le informazioni ai sanitari sono

state fornite dal paziente stesso o dai parenti.In questo scenario la Diagnostica per Immagini èal centro di un complesso network che comprendei rapporti paziente/famiglia, oncologo medico/in-fermiere, terapista del dolore/internista, fisiotera-pista, dietologo, assistente sociale/volontari. In-fatti, tutte le succitate figure professionali si ri-volgono alla Diagnostica per Immagini come ele-mento iniziale e discriminante per valutare lo statoattuale del paziente, la sua evoluzione clinica e lepossibili opzioni terapeutiche. È compito fondamentale dello specialista in Dia-gnostica per Immagini rispondere alle esigenzecliniche in maniera mirata utilizzando le tecnolo-gie più idonee per non sprecare tempo e risorsecon esami inutili e costosi. Chi si occupa del ma-lato complesso oncologico deve avere conoscenzeconsolidate non solo nella diagnostica ma anchenella clinica per interfacciarsi con l’oncologo par-lando la stessa lingua. La refertazione deve essereparimenti dedicata a rispondere globalmente alleproblematiche cliniche.In pratica, nell’organizzazione della gestione del ma-lato complesso oncologico sarebbe auspicabile avere:• Unità Operative organizzate alla gestione del

malato complesso oncologico;• specialisti in Diagnostica per Immagini con

competenze della gestione del malato com-plesso oncologico;

• scheda sanitaria con tutte le informazioni sulpaziente.

Monitoraggio della qualità

La validità dell’intero processo e in particolare diquello diagnostico-strumentale deve essere costan-

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temente monitorata in tutte le sue fasi con indi-catori di qualità. È opportuno realizzare un ma-nuale in cui tutti i processi siano catalogati, illu-strati nel dettaglio e siano indicati per ciascunodi essi gli indicatori più appropriati. A titolo esem-plificativo, questi ultimi devono riguardare la sod-disfazione degli utenti e i reclami, il clima orga-nizzativo, l’appropriatezza clinica, le modalità as-sistenziali, i tempi relativi ai vari processi funzio-nali, i percorsi clinico-assistenziali, le interazionicon il territorio ecc.Tali misurazioni sono importanti per garantire laqualità del processo e valutare univocamentequanto l’organizzazione riesca a raggiungere stan-dard prefissati o quanto si discosti da essi. Qualoranelle attività si ravvisino una ridotta o non corri-spondenza agli obiettivi prefissati, vanno analizzatele cause con l’intento di rimuoverle e riportare iprocessi agli standard previsti in un processo dicontinuo miglioramento della qualità. Il coinvol-gimento e la discussione nelle equipe dei risultatie dell’eventuale discostamento da essi devono es-sere uno degli obiettivi di riferimento per le veri-fiche interne ed esterne alla struttura. In tal modosarebbe anche possibile ipotizzare un ulteriore mi-glioramento delle attività o l’individuazione dinuove priorità su cui agire.

Radiologia Interventistica

La Radiologia Interventistica è oggi di aiuto nellarisoluzione di molteplici condizioni cliniche chepossono riscontrarsi in modo non irrilevante nelpaziente complesso.Per esempio, nell’ambito delle malattie cardiova-scolari, prima causa di morte nei Paesi industria-lizzati, sono disponibili numerose procedure te-rapeutiche minivasive applicabili anche in regimedi acuzie. In alcuni centri, le malattie steno-oc-clusive dei vasi, legate prevalentemente all’atero-

sclerosi, possono avvalersi di procedure di angio-plastica e del posizionamento di stent radiologicio cardiologici.Anche l’arteriopatia ostruttiva degli arti inferioridel paziente diabetico, associata a un alto rischiodi amputazione degli arti e, di conseguenza, a di-sabilità e aumentata mortalità legata all’interventostesso, può essere trattata con interventi minin-vasivi. L’impiego di specifiche competenze, attrez-zature e organizzazione permette il trattamentomediante procedure di Radiologia Interventisticaendovascolare, in molti casi rivascolarizzando gliarti inferiori.L’ipertensione arteriosa, altro importante fattoredi rischio per le malattie cardiovascolari, può essereoggi motivo di trattamento mediante proceduremininvasive. Fino a poco tempo fa queste eranodirette al trattamento dell’ipertensione secondarialegata a stenosi dell’arteria renale mediante posi-zionamento di stent, in anestesia locale e con unadegenza ridotta a 2-3 giorni. Recentemente, anchel’ipertensione arteriosa essenziale è stata oggettodi trattamento mediante l’ablazione dei plessi ner-vosi perirenali con ripristino della regolare pres-sione arteriosa. Tale intervento è rivolto a queipazienti con ipertensione resistente a terapia me-dica con 3 o più farmaci. Nell’ambito della patologia oncologica, molti cen-tri sono attrezzati per il posizionamento di sistemidi infusione centrale, con procedure percutaneeche vengono di norma effettuate in regime di ri-covero diurno. La patologia neoplastica degli or-gani parenchimatosi si avvale, inoltre, di tecnicheablative percutanee (termoablazione con radio-frequenza, laser, crioablazione ecc.).Proprio della Radiologia Interventistica è anche iltrattamento degli episodi ischemici cerebrali(Stroke Unit) che possono essere trattati anchecon un approccio endoluminale locoregionale am-pliando i tempi per la terapia fibrinolitica e mi-

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gliorando le possibilità di ridurre le complicanzedell’insulto ischemico cerebrale. Nell’ambito dellaprevenzione dell’ictus cerebrale è possibile impian-tare stent carotidei, in caso di stenosi critica, con-sentendo al paziente di ridurre il rischio di com-plicanze, oltre al maggior numero di restenosi, le-gate all’intervento chirurgico di endoarterectomia.Il trattamento con finalità sia preventiva sia tera-peutica nel paziente con ictus ischemico è resospesso complesso dalla frequente associazione conaltre patologie. In particolare esiste una stretta cor-relazione tra ictus ischemico e patologie cardiache,come ampiamente riportato dalla letteratura scien-tifica. Nella gestione del paziente con ictus ische-mico acuto risulta quindi essenziale considerare lapossibile coesistenza o insorgenza di disturbi car-diologici, tra cui l’infarto miocardico acuto, l’in-sufficienza cardiaca congestizia, le aritmie e lamorte improvvisa, la cui prognosi è fortementelegata alla tempestività dell’intervento. Inoltre, al-terazioni del tracciato ECG si possono verificarenel 15-70% dei pazienti con ictus acuto, in parti-colare in caso di emorragia sub-aracnoidea o in-tracerebrale. Le aritmie cardiache, in particolarela fibrillazione atriale, possono associarsi all’ictus,raggiungendo la massima incidenza nelle prime24-48 ore dall’esordio dell’ictus, aumentando con-siderevolmente il rischio di morte. Pertanto, il mo-nitoraggio ECG continuo è indicato durante tuttol’arco delle prime 48 ore per rilevare aritmie po-tenzialmente pericolose, in particolare in pazienticon cardiopatie preesistenti, storia di aritmie, pres-sione arteriosa instabile, elementi dell’esame obiet-tivo suggestivi d’insufficienza cardiaca, alterazionidell’ECG di base e nei casi in cui siano coinvolti iterritori profondi dell’arteria cerebrale media e inparticolare la corteccia insulare. In caso di insuffi-cienza cardiaca clinicamente conclamata è indicatal’esecuzione dell’ecocardiogramma transtoracico.Costituiscono una controindicazione al tratta-

mento fibrinolitico la presunta embolia settica,una condizione di endocardite infettiva nota, unapresunta pericardite e la presenza nota di tromboda infarto acuto miocardico (IMA) recente.Frequentemente il paziente, soprattutto se an-ziano, presenta una condizione di encefalopatiavasculogenica preesistente all’evento ictale oppureessere già stato soggetto a precedente ischemia:quest’ultima eventualità, qualora si fosse verificatanei 3 mesi precedenti o abbia lasciato esiti invali-danti, costituisce una controindicazione al tratta-mento fibrinolitico; analogamente per quanto ri-guarda la presenza di patologie neurologiche de-generative e invalidanti.Un altro fattore clinico di complessità nel pazientecolpito da ictus è dato dalle patologie polmonariche determinano una condizione d’insufficienzarespiratoria con ipossia, la quale incide negativa-mente anche sull’evoluzione dell’ischemia cere-brale in quanto favorisce una sua maggiore esten-sione. A tale riguardo è pertanto necessario il mo-nitoraggio dello stato d’ipossia con l’emogasanalisio in stato di desaturazione alla pulsiossimetria (sa-turazione O2 < 92%), riservando l’ossigenoterapiaai casi di documentata ipossia.Un’ulteriore comorbilità, presente nell’80% dei pa-zienti con ictus cerebrale, è l’ipertensione arteriosa.Tale condizione è importante ai fini del tratta-mento: infatti una pressione arteriosa sistolica (PAS)> 185 mmHg e una pressione arteriosa diastolica(PAD) > 110 mmHg costituiscono una controin-dicazione al trattamento fibrinolitico.Anche il diabete costituisce una comorbilità cheincide sulle scelte terapeutiche, poiché valori diglicemia di base < 50 mg/dl o > 400 mg/dl rap-presentano una controindicazione per la fibrino-lisi. Analogamente è controindicata la fibrinolisinei pazienti con ictus che presentano una diatesiemorragica con International Normalized Ratio(INR) > 1,7.

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Qualunque condizione clinica (neoplasie, graveinsufficienza renale, respiratoria, epatica, altro)che a giudizio del medico riduca significativa-mente l’aspettativa di vita a breve termine del pa-ziente con ictus costituisce una controindicazioneal trattamento fibrinolitico.Nel paziente con ictus, oltre alle considerazionirelative a comorbità associate, bisogna considerarela possibilità di insorgenza nell’immediato periodopost-ictale di complicanze tra cui: ipertermia, iper-o ipotensione, complicanze infettive (soprattuttourinarie e respiratorie), trombosi venosa profonda,edema cerebrale ed emorragia cerebrale.Un’altra affezione comune nel paziente complesso,spesso legata all’età e causa, a volte, di grave disabi-lità, con conseguente incremento dei costi sociosa-nitari, è la patologia degenerativa della colonnavertebrale. Anche in questo caso è possibile attuarestrategie terapeutiche mininvasive, spesso in regimedi day hospital, volte a stabilizzare la colonna incaso di fratture (vertebroplastica, cifoplastica ecc.)o a ridurre il dolore legato a fenomeni compressiviin caso di patologia discale (nucleoplastica, iniezionedi O2-O3, discectomia percutanea ecc.).

Considerazioni finali

Questo modello organizzativo-gestionale della dia-gnostica strumentale permette di valutare nella suainterezza il “paziente complesso”, non solo per lecomorbilità o multimorbilità, ma anche per quellecondizioni non legate alla malattia che ne possonoostacolare l’accesso e influenzare negativamente lagestione del paziente. In altri termini, il “pazientecomplesso” deve essere valutato nella sua interezza,non può essere impiegato un approccio settorialesulla singola malattia, ma bisogna tenere conto ditutte le interazioni, cliniche e non cliniche (situa-zione sociale, ambientale ecc.) e dei rapporti tradi loro. Si passa da una concezione malattia-cen-

trica a una in cui il paziente diviene l’obiettivoprioritario dell’azione sanitaria.

La complessità della malattia dolore

Il dolore può essere apparentemente riconosciutosolo come un sintomo di molte malattie. In realtà,esso da puro sintomo deve essere sempre consi-derato come elemento di attivazione di fattori en-docrini, neurovegetativi e psichici che determi-nano un complesso fenomenologico estrema-mente complesso. Tale complessità è causa delfatto che il dolore è sempre correlato ad alterazionicliniche, psichiche e funzionali dei pazienti de-terminando un peggioramento multidimensionaledell’outcome del paziente. Il trattamento del dolore, quindi, richiede la va-lutazione globale non solo della fisiopatologia chelo sta sostenendo, ma anche di tutti quei sistemiche da esso sono alterati. Nell’approccio di talemalattia è quindi necessaria la stretta relazione tradiverse figure professionali che possano aiutare aridurre tale complessità nei suoi minimi termini,in modo da poter ottenere la reale risoluzione ditale malattia. Tale complessità è sempre presente sia quando ildolore è acuto (vedi paragrafo successivo), siaquando è cronico (vedi paragrafo successivo). Esem-pio classico è il dolore postoperatorio, il cui tratta-mento specifico deve essere assolutamente inseritoin un percorso multidimensionale della gestioneperioperatoria. Infatti, non solo il dolore è in gradodi per sé di peggiorare l’outcome del paziente (ilpaziente con dolore è più a rischio di sviluppareeffetti collaterali), ma anche la stessa terapia deldolore è in grado di modificare l’outcome del pa-ziente (la gestione con tecniche di anestesie locore-gionali permette un più rapido recupero e un mi-gliore profilo immunitario del paziente). È inevitabile, quindi, che vi debbano essere modelli

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di gestione (vedi paragrafo successivo, Legge38/2010) specificatamente dedicati al dolore acutoe al dolore cronico in modo da poter gestire talepatologia nel suo complesso e nel suo continuo di-venire (maggiore efficacia e minori effetti collaterali). Infine, bisogna considerare che la malattia dolore èmolto più frequente nella popolazione anziana. L’as-sociazione tra dolore e “fragilità” del paziente anzianorichiede ancora una maggiore attenzione alla ge-stione di tale patologia. Infatti, è necessario porreattenzione sia alla possibile interazione, farmacoci-netica e farmacodinamica, dei diversi farmaci uti-lizzati, sia a quanto la malattia dolore, se non cor-rettamente trattata, possa peggiorare molto veloce-mente la salute del paziente (es. il paziente anzianocon dolore non si muove e aumenta il rischio difrattura di femore, oppure il paziente con dolore almovimento è a maggiore rischio di caduta). Quindi, la complessità della malattia dolore deveessere affrontata attraverso una sua migliore clas-sificazione, una maggiore attenzione all’identifi-cazione dei complessi meccanismi fisiopatologicicausa del dolore, e, infine, come trattare tale pa-tologia dal punto di vista sia organizzativo sia far-macologico.

Classificazione

Il dolore è definito dalla IASP (International As-sociation for the Study of Pain) come “un’esperienzasensoriale ed emotiva spiacevole, associata a un dannotissutale attuale o potenziale, o riferita in tali ter-mini”. Tale definizione riconosce, quindi, che lasensazione dolorosa è soggettiva e che il compor-tamento assunto di fronte a tale esperienza possaessere radicalmente differente da individuo a in-dividuo senza comunque pregiudicare il fatto chela sensazione esiste. Dal punto di vista clinico, quindi, tale definizionericonosce il fatto che il dolore esiste ogni qual

volta il paziente lo lamenta con una chiara impli-cazione medico-legale; per esempio negli StatiUniti, proprio sulla base di tale definizione, un’in-dicazione medica alla partoanalgesia è la semplicerichiesta di tale metodica da parte della donnapartoriente poiché sta avvertendo dolore.È evidente, però, che, vista la complessità dellaproblematica, tale definizione possa creare un pro-blema clinico e tassonomico, in quanto alla sog-gettività del sintomo non sempre corrispondeun’oggettività di risposta e manifestazione clinica,soprattutto nel dolore cronico ove i sistemi di rea-zione (sistema neurovegetativo) non reagisconopiù al sintomo dolore. Infatti, in caso di doloreacuto vi sono reazioni neurovegetative molto bendefinite, mentre nel dolore cronico si fa riferi-mento, oltre che alla sintomatologia comunicatadal paziente, a reazioni comportamentali non benoggettivabili. Negli ultimi anni molti tentativisono stati fatti per riuscire a oggettivare tale espe-rienza rendendola meno arbitraria tramite studidi neuroimaging.Il dolore ontogeneticamente ha un ruolo fonda-mentale nella preservazione dell’integrità di un in-dividuo, in quanto lo protegge da ogni elementonocivo interno e/o esterno, rappresentando il no-stro “campanello d’allarme” dell’aggressione al-l’omeostasi dell’individuo. Il dolore è, quindi, lamanifestazione clinica di un evento elettrico neu-rologico molto complesso, che ha il fine di avvertirel’organismo che vi è un elemento nocivo (internoo esterno) che sta pregiudicando l’omeostasi delpaziente, ovvero la “salute del paziente” nella suacomplessità (dolore acuto). Per tale motivo, ogni-qualvolta si attiva il sistema che conduce tale eventoelettrico (sistema nocicettoriale), nello stesso mo-mento si attivano tutti quei sistemi che stimolanol’organismo a reagire all’“aggressione” subita. Talereazione è mediata dal sistema nervoso ortosim-patico causando un’iperattività adrenergica (au-

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mento della pressione arteriosa, frequenza cardiaca,vasocostrizione ecc.). È ovvio, quindi, che lo scarsocontrollo del dolore acuto abbia ripercussioni nonsolo sulla sofferenza dell’individuo, ma anche sulsuo stesso outcome. A volte, però, la lesione è taleda superare le capacità di guarigione del soggettoo comunque determina/ha determinato cambia-menti tali per cui il dolore persiste indipendente-mente dalla causa che lo ha generato e dura neltempo determinando una reazione di stress croniconel paziente con conseguenze molto negative (ri-duzione dell’attività fisica e psichica del soggettocon allontanamento dal contesto sociale e aumentodi incidenza di patologie correlate all’inabilità qualiosteoporosi e aumento dell’incidenza di fratture,depressione, alterazioni ormonali ecc.). In questocaso il dolore diviene una vera e propria malattia ase stante (dolore cronico) che deve essere trattata inmodo specialistico.Pertanto, possiamo considerare la sintomatologiadolorosa in due distinte tipologie: dolore acuto edolore cronico. Generalmente tale distinzioneviene erroneamente fatta in base a un criteriotemporale (da quanto tempo dura la lesione), ma,in realtà, è necessario distinguerli in base alla pos-sibilità di risolvere la causa che genera il sintomodoloroso. Pertanto, il dolore deve essere classificatoin questo modo: • dolore acuto: dolore “fisiologico”, segnala un al-

larme per una lesione in atto che deve essereriparata. Esso perdura fino al perdurare dellacausa che lo genera, essendo una corretta ri-sposta di adattamento dell’organismo, essenzialeper prevenire l’aggravarsi della lesione o deldanno;

• dolore cronico: dolore “patologico”, in cui ilmeccanismo che ha suscitato il sintomo ha su-perato le capacità di riparazione dell’organismoe non è più correggibile o non esiste più purpermanendo la sintomatologia algica.

Neurofisiopatologia

La sensazione dolorosa possiede alcune peculiaritàche la differenziano da ogni altro tipo di sensibi-lità: essa, infatti, è caratterizzata da un tono affet-tivo, da una localizzazione poco definita, da unapiù lunga persistenza ed è accompagnata da rea-zioni riflesse finalizzate all’allontanamento dellostimolo. La complessità neurofisiologica del doloreè alla base della complessità di tale malattia.Tale sensazione è costituita da un messaggio elet-trico che dalla periferia viene veicolato alla cortecciacerebrale attraverso almeno tre neuroni: dalla pe-riferia al midollo, dal midollo al talamo e dal ta-lamo alla corteccia (diverse aree corticali contem-poraneamente).La via dolorosa si articola quindi in quattro com-ponenti fondamentali: nocicezione (conduzionedello stimolo doloroso dalla periferia sino a livellodella corteccia), sensazione, sofferenza e compor-tamento. Le ultime tre componenti avvengono alivello corticale e caratterizzano l’interindividualitàdella risposta del paziente. Il terapista del dolore, quindi, può modulare ilsegnale doloroso prevalentemente agendo sullanocicezione mediante farmaci e terapie interven-tistiche, senza però dimenticare come le altre trecomponenti siano determinanti nell’influenzareil risultato terapeutico. La nocicezione, a sua volta,può essere divisa in tre momenti ben distinti: tras -duzione (il segnale fisico lesivo viene tramutatoin segnale elettrico nervoso dal nocicettore/nervo),conduzione (il segnale viene condotto dalla peri-feria al centro) e modulazione (a livello midollaree talamico, dove vi sono le sinapsi tra i diversineuroni della via nocicettiva il segnale può essereinibito e/o amplificato).Lo stimolo algogeno, applicato al tessuto periferico,attiva i nocicettori (meccanici, termici, polimodali),costituiti dalle terminazioni nervose di neuroni

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sensitivi primari (cellule pseudounipolari), i cuicorpi cellulari sono situati nei gangli delle radicidorsali e nel ganglio di Gasser, annesso al nervotrigemino. I nocicettori sono recettori aspecificiattivabili da diversissimi elementi anche contem-poraneamente. Nella diagnosi è necessario, quindi,capire l’elemento/gli elementi che stanno attivandola via e come i vari elementi si integrano tra loro. Vi sono due diverse classi di fibre afferenti cheveicolano la sensazione algogena dalla periferia almidollo spinale: le fibre Ad, di piccolo diametro epoco mielinizzate che veicolano gli impulsi tra-smessi dai nocicettori termici e meccanici (sensa-zione di dolore acuto di tipo puntorio e del break -through pain), e le fibre C, di piccolo diametro eamieliniche, che veicolano gli impulsi generatisinei recettori polimodali.Entrambi questi tipi di fibre, dopo essere entratenel midollo spinale, si suddividono in più ramiprendendo sinapsi in diverse lamine delle cornaposteriori.È fondamentale, però, sottolineare come l’inibi-zione midollare del dolore mediata dai circuitiinterneuronali midollari tra primo e secondo neu-rone, su cui agiscono anche gli oppioidi, avvengaprevalentemente per le fibre C e non (se non aelevati dosaggi) sulle fibre Ad.Dopo tale sinapsi, le vie, tramite le quali questisegnali giungono ai centri superiori, sono preva-lentemente cinque con differenti funzioni e diversereazioni neurovegetative associate:• tratto spinotalamico;• tratto spinoreticolare;• tratto spinomesencefalico;• tratto spinocervicale;• infine, poche fibre dalle lamine III e IV pro-

iettano al nucleo gracile e cuneato del bulbo.Dai nuclei talamici si ha poi una proiezione diffusaalle varie aree corticali superiori in modo tale che,oltre alla percezione sensitiva del dolore, l’impulso

algogeno abbia anche una componente affettivae partecipi, insieme al sistema diffuso, allo statodi vigilanza.Infine, è importante ricordare che dai centri supe-riori partono vie discendenti inibitorie, di tipo se-ritoninergico e noradrenergico, ed eccitatorie, ditipo serotoninergico, che terminano a livello spi-nale sui neuroni nocicettivi, con un’azione modu-latrice tramite circuiti locali del corno dorsale me-diano. L’attivazione di tali vie, per esempio tramitefarmaci che inibiscono il reuptake della serotoninae noradrenalina (come gli antidepressivi o comealcuni oppioidi che agiscono anche sul reuptakedella noradrenalina come tapentadolo, o il reuptakedella noradrenalina e serotonina come tramadolo),pertanto, può contribuire a ridurre il dolore acutoe (soprattutto) cronico in modo multimodale. Dal punto di vista tassonomico neurofisiopatolo-gico si distinguono fondamentalmente due tipo-logie di dolori: il dolore nocicettivo e il doloreneuropatico.Il dolore nocicettivo nasce da un evento lesivo pe-riferico d’intensità sufficiente a stimolare i noci-cettori; lo stimolo è mediato da fibre C amielini-che. Solitamente esso è correlato all’estensione deldanno tissutale. Il dolore nocicettivo è a sua voltasuddiviso in somatico (causato dall’attivazione deinocicettori somatici: dolore ben definito e benlocalizzabile) e viscerale (causato dall’attivazionedei nocicettori viscerali: dolore mal definito epoco localizzabile). Il dolore nocicettivo rispondebene ai farmaci antinfiammatori non steroidei(FANS) [soprattutto quando l’infiammazione èla causa della stimolazione nocicettoriale], para-cetamolo e oppioidi deboli e forti. Il dolore neuropatico, invece, viene definito comedolore dovuto a una disfunzione del sistema so-matosensoriale. In tale condizione si includonotutte le sindromi algiche acute e croniche, in cuisi riscontri un danno delle strutture nervose peri-

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feriche e centrali e vi sia la concomitante presenzadi segni neurologici sensitivi positivi e negativi.In accordo con la IASP il dolore neuropatico vieneclassificato, in base alla sede della lesione, in doloreneuropatico periferico, se nasce da danni o disfun-zioni del primo neurone (cellula a T), e doloreneuropatico centrale, se origina da lesioni o disfun-zioni a carico del sistema nervoso centrale. Il do-lore neuropatico risponde prevalentemente a far-maci antidepressivi e antiepilettici, anche se glioppioidi possono essere, anche in questo caso, unfarmaco molto utile. Negli ultimi anni, vi è sempremaggiore attenzione a una specifica condizionedi dolore neuropatico periferico definito “doloreneuropatico localizzato”. Si tratta di una sindromedolorosa che, sebbene confinata in una “limitata”area del corpo, è causa di malattia estremamentecomplessa e con importanti correlati clinici, comeper esempio il dolore posterpetico. L’importanzadi tale sindrome deriva dal fatto che il suo rico-noscimento può portare a scegliere trattamentitopici (capsaicina 8% o lidocaina 5%) molto ef-ficaci con riduzione al minimo degli effetti colla-terali sistemici, una delle barriere più importantinell’affrontare tale malattia complessa.Infine, negli ultimi anni si sta affermando semprepiù una nuova entità nosologica chiamata doloremisto (mixed pain), che cerca di includere tuttequelle dolorose croniche in cui a vario titolo è pre-sente sia dolore neuropatico sia dolore nocicettivo.Infatti, sebbene la distinzione tassonomica in do-lore neuropatico e nocicettivo presenti notevolivantaggi clinici e di ricerca, molto spesso nellapratica quotidiana la malattia dolore è molto piùcomplessa e dinamica. In tali situazioni non è fa-cilmente riscontrabile un dolore neuropatico o no-cicettivo, ma le due componenti possono esserepresenti al contempo a diverso titolo. Per esempio,durante una lesione di un nervo il dolore puòessere sostenuto anche dall’infiammazione correlata

del perinervio oppure in alcuni casi di dolore no-cicettivo puro (artrosi) può essere presente un con-comitante dolore neuropatico centrale definitosensibilizzazione midollare. La necessità di talenuova classificazione deriva dal fatto che quandocopresenti i due dolori sono estremamente correlatie molto spesso si devono scegliere farmaci che pos-sano modulare entrambi i meccanismi fisiopato-logici. Il termine “dolore misto” è stato utilizzatoper la prima volta da Cherny nel 1994 e successi-vamente da Baron e Binder nel 2004 per classifi-care lombalgie complesse. Tale definizione, quindi,aiuta a classificare e comprendere meglio la fisio-patologia della complessità “malattia dolore”.In letteratura è riportato che l’incidenza del doloremisto raggiunge il 40% dei pazienti con dolore on-cologico e il 65% dei pazienti con lombalgia cronica. Recentemente, in un lavoro retrospettivo (datipresentati al Congresso IMPACT Firenze 2013)su una coorte di 249 pazienti con dolore cronicooncologico e non oncologico che assumono op-pioidi forti, è stato valutato che il dolore misto èpresente nel 66% dei pazienti con lombalgia enel 59% di quelli con dolore cronico oncologico(Figura 4.3). In pratica, considerando l’interocampione di pazienti, circa 4 pazienti su 10 nellanostra pratica clinica quotidiana sono affetti daun dolore di tipo misto.

Epidemiologia del dolore complesso

In una ricerca di Breivik et al. pubblicata nel 2006si è evidenziato come in Europa il dolore cronicointeressi il 19% (26% in Italia) della popolazioneadulta (decine di milioni di persone) con gravepeggioramento della qualità di vita e aumentodella morbilità. Langleyha evidenziato che, consi-derando Regno Unito, Francia, Spagna, Germaniae Italia, 49,7 milioni di persone riferiscono un do-lore: 11,2 milioni dolore severo e 29,4 milioni do-

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lore moderato (clinicamente significativo). Taleproblematica diviene ancora più importante neipazienti con patologia tumorale, in quanto l’80%di tali pazienti prova dolore severo e debilitante,soprattutto negli ultimi stadi della malattia. È altresì ben dimostrato che la complessità deldolore cronico si riflette in un aumento dell’ac-cesso ai servizi sanitari, del consumo di farmaci(vedasi, per esempio, la correlazione che può in-staurarsi tra depressione e dolore cronico) e inuna riduzione della capacità lavorativa (assentei-smo e “presenteismo”). Infine, il dolore è sicuramente un elemento clinicoe sociale che complica la gestione del paziente cheaccede alle cure palliative. In questo setting il do-lore assume un significato ancora più importantein quanto esso può generare ulteriore angoscianel paziente al termine della propria vita. Per migliorare sempre più l’approccio corretto allacomplessità della “malattia dolore” (acuta o cro-nica) sono necessari due elementi: un’organizza-zione ospedaliero-territoriale e legislativa che diaal paziente le possibilità di essere curato e al me-dico di curare adeguatamente e una sempre mag-giore conoscenza sia dei meccanismi che generanoil dolore sia dei conseguenti farmaci/tecniche in-vasive che possono controllarlo.

Il primo aspetto è sicuramente garantito in Italiadalla Legge 38/2010, riconosciuta anche dal-l’ONU come importante atto legislativo utile aimplementare la terapia del dolore.La Legge 38/2010, infatti, “tutela il diritto delcittadino ad accedere alle cure palliative e allaterapia del dolore”, definisce e distingue la “terapiadel dolore” dalle “cure palliative”, identifica retinazionali territoriali (progetto “Ospedale-Terri-torio senza dolore”) per le cure palliative e la terapiadel dolore, obbliga (unica al mondo) a riportarela rilevazione del dolore all’interno della cartellaclinica di tutti i pazienti ricoverati in strutture sa-nitarie, identifica nuovi percorsi formativi uni-versitari (master di II livello) per la formazionedel personale sanitario (medici, infermieri e psico-logi) in terapia del dolore e cure palliative.

Rilevazione e monitoraggio del dolore

Il dolore, sebbene soggettivo, deve essere sempreoggettivato per poter misurare come il nostro in-tervento riduca la complessità di tale malattia. Talevalutazione, quindi, deve partire dall’identifica-zione non solo dell’intensità del dolore, ma anchedelle sue caratteristiche semantiche (come il pa-ziente “sente il dolore”: formicolio, scossa, lama

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Figura 4.3 Percentuale di pazienti con dolore misto (verde), nocicettivo (arancione) o neuropatico (azzurro) in tutti i pa-zienti e nei pazienti stratificati per tipo di dolore.

Tutti i campioni

Dolore oncologico

Dolore lombare

250 75 10050

46 37 17

59 18 23

66 16 18

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di coltello, crampo ecc.), dove viene avvertito,come si manifesta nel tempo (continuo, episodicoecc.) e se associato a particolari movimenti/situa-zioni, come esso sia associato a effetti collaterali ecome affligga la qualità di vita del paziente. Vista la complessità di tale patologia esistono duecategorie di scale per valutare e monitorare il do-lore:• scale monodimensionali: quantificano l’intensità

del dolore;• scale multidimensionali: quantificano come il

dolore affligga varie dimensioni del paziente.Nella scelta di scale monodimensionali si devesempre cercare di utilizzare scale validate, quali lascala analogico visiva o Visual Analogue Scale (VAS)[il dolore viene registrato su una linea lunga 10cm con o senza tacche a ogni centimetro alle cuiestremità vi è l’assenza di dolore e il peggiore doloreimmaginabile] o la scala di valutazione numericao Numerical Rating Scale (NRS), scala numericain cui il paziente assegna al proprio dolore un pun-teggio da 0 a 10, ove 0 indica l’assenza di dolore,mentre 10 il peggiore dolore immaginabile. Nelcaso dell’utilizzo di NRS con punteggio da 0 a 10si considera dolore lieve se compreso tra 1 e 3,moderato tra 4 e 6, grave tra 7 e 10. Un’ulteriorescala è rappresentata dalla scala numerica verbale(Verbal Numeric Scale, VNS) in cui il paziente de-scrive l’intensità del suo dolore con quattro agget-tivi: assente, lieve, moderato e severo/grave. Il dolore è sempre quantificabile con scale appo-sitamente validate anche in popolazioni come ineonati, i bambini e i pazienti con demenza. Le scale multidimensionali, invece, permettonodi indirizzare la diagnosi sul tipo di meccanismoche genera il dolore (es. Pain Detect) o sulla suasemantica (es. il McGill Pain Questionnaire o laScala di Galer) o su come il dolore affligga la qua-lità della vita del paziente limitando le attività delsoggetto (es. Brief Pain Inventory).

Diagnosi del dolore

Il dolore deve quindi essere riconosciuto comeuna “malattia complessa” in cui il trattamento èsecondario a una corretta diagnosi del meccanismofisiopatologico che lo sottende. Nel caso in cui ci si trovi di fronte a un doloreacuto bisognerà indirizzare tutti gli sforzi diagno-stici e terapeutici verso la causa che mantiene talesintomatologia. Nella maggior parte dei casi intali situazioni vi è un’importante componente in-fiammatoria che deve essere trattata con farmaciche riducano tale infiammazione. Qualora, però,il dolore non si risolva, nonostante si stia corret-tamente trattando la causa, sarà necessario utiliz-zare anche analgesici che permettano di modulareil dolore fintanto che esso si mantiene. Nel caso in cui, invece, si tratta di un dolore cro-nico, la causa che ha generato tale dolore non èpiù risolvibile o il dolore è ormai indipendenteda quella causa, pertanto bisognerà modulare ilsegnale algico con farmaci che riducano la tras -duzione, la conduzione e la modulazione. In questo caso diventa fondamentale capire se vi èuna lesione delle fibre nervose con un semplice esameobiettivo valutando tutto il sistema somatosensoriale:fibre C (caldo), fibre A delta (freddo) e fibre A beta(tatto). L’esame permetterà di vedere se vi sono segninegativi (ipoestesia) o positivi (iperestesia o allodinia).Qualora si fosse in presenza di un dolore neuropaticobisognerà utilizzare farmaci che possano modularela disfunzione del sistema somatosensoriale causadel dolore lamentato dal paziente.

Dolore nel paziente con tumore

In Italia circa la metà dei pazienti con tumore la-menta dolore e tale percentuale aumenta al 70%considerando solo quelli con patologia tumoraleavanzata.

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La Legge 38/2010 riconosce sia il diritto alla curadel dolore di questi pazienti sia l’accesso a unarete integrata territoriale di cure palliative. Infatti,il paziente con tumore che lamenta dolore ha ca-ratteristiche specifiche complesse non tanto nellafisiopatologia del dolore lamentato, quanto nellagestione di tutte le problematiche (funzione re-spiratoria, nutrizione, comorbidità, compenso psi-cologico ecc.) che possono essere contemporanea-mente presenti e che devono essere gestite in modointegrato (cure palliative).La cura del dolore, invece, deve seguire lo stessopercorso diagnostico-terapeutico che si segue nelpaziente con dolore cronico non oncologico. Nellascelta dei farmaci bisogna porre molta attenzionealle possibili interazioni farmacologiche fra i trat-tamenti antitumorali e i farmaci analgesici (vedi iseguenti Capitoli), in quanto molti chemioterapiciagiscono a livello dei citocromi alterando quindila risposta dei farmaci analgesici scelti. Rimane, comunque, molto importante che in

questi pazienti si seguano le raccomandazionidell’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS): prescrivere una terapia analgesica a orarifissi, in base alle caratteristiche del tipo di doloree del tipo di paziente, che riesca a controllare ildolore in maniera stabile tutta la giornata. Deveessere sempre prevista una dose di analgesico cheil paziente possa assumere al bisogno (solitamentequando il dolore valutato con NRS è > 4). Nelcaso si utilizzino oppioidi è utile impiegare, comedose “rescue”, un farmaco oppioide a rapido rila-scio in una posologia corrispondente a un quintodella dose totale giornaliera di oppioide assunta,somministrabile al massimo 4 volte al giorno.Raffaeli ha recentemente proposto un’interessanteflow-chart diagnostico-terapeutica che facilital’approccio al paziente con tumore che ha dolore(Figura 4.4).Infine, nel paziente con tumore è necessario che sidiscrimini il dolore di base del paziente (magariancora non adeguatamente controllato da una te-

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Figura 4.4 Flow-chart per il trattamento del dolore nel paziente con tumore.

Valutazione

Rivalutazione

Risultato insoddisfacente

Considerare le altre eziologie e trattamenti

Dolore neoplasticoDolore non neoplastico

Controllo del dolore:proseguire trattamento in atto

Trattamento in base alla causa doloreIniziare scala OMS

Aggiungere a seconda della necessità- Terapie palliative- Chemio-ormono-immunoterapia- Radioterapia e terapia radiometabolica- Blocchi nervosi- Farmaci adiuvanti- Interventi psicosociali- Modalità e presidi fisiatrici

Assenza di dolore

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rapia efficace) dal breakthrough cancer pain (BTcP),che deve essere considerato “un’esacerbazione tran-sitoria del dolore, di intensità moderata-elevata,che insorge sia spontaneamente sia a seguito di unfattore scatenante, in pazienti con dolore di basemantenuto per la maggior parte della giornatasotto controllo o di intensità lieve”. La differen-ziazione di queste due tipologie di dolore è fonda-mentale, in quanto permette di modulare la terapiacon farmaci o formulazioni diverse; per esempioformulazioni a lunga emivita per il dolore costantee farmaci a brevissimo onset (rapid onset opioids,ROO) e rapida emivita per BTcP. Mercadante etal. hanno pubblicato una serie di raccomandazioniper la corretta diagnosi e gestione di tale proble-matica che necessita assolutamente di una sua spe-cifica e indipendente terapia. È fondamentale cheil dolore di base sia adeguatamente controllatoprima di porre diagnosi di BTcP. Il trattamentova prescritto a seconda che il BTcP sia spontaneoo non volontario (farmaco assunto all’inizio del-l’episodio) o prevedibile o procedurale (farmacoassunto prima che l’evento previsto si verifichi).Vista la sua farmacocinetica (onset in 30-45 mi-nuti), la morfina orale può essere quindi racco-mandata solo per il trattamento di episodi che siinstaurano lentamente, prevedibili o procedurali,della durata di oltre 60 minuti. In tutti gli altricasi, nel BTcP le formulazioni transmucosali (buc-cali o per via nasale) di fentanyl sono molto piùindicate, in quanto ottengono un rapido controllodi tale dolore e hanno una rapida emivita.

Farmaci utilizzati nella terapia del dolore

Alla fine del secolo scorso l’OMS ha pubblicatole Linee guida per il trattamento del dolore iden-tificando tre livelli di intervento terapeutico a se-conda dell’intensità della sintomatologia dolorosa:FANS/paracetamolo ± adiuvanti per dolore lieve,

oppioidi deboli ± adiuvanti per dolore moderatoe oppioidi forti ± adiuvanti per dolore severo.L’idea alla base di tale indicazione era semplificarel’approccio terapeutico in base all’intensità deldolore lamentato. Negli ultimi anni tale scala viene criticata per tremotivi:• la decisione terapeutica non è guidata dalla

complessità del meccanismo fisiopatologicoalla base del dolore lamentato ma, erronea-mente, solo dall’intensità del sintomo;

• la distinzione tra oppioidi deboli e oppioidiforti può portare erroneamente a considerarei primi più sicuri dei secondi. Infatti, tale de-finizione non tiene conto del dosaggio utiliz-zato. Pertanto negli ultimi anni, qualora siaindicato un farmaco oppioide, in molti casi sipreferisce iniziare con oppioidi forti a bassodosaggio nel dolore cronico sia oncologico sianon oncologico;

• non si considera in modo appropriato la possi-bile interazione tra diversi farmaci analgesici etra questi e gli altri che il paziente sta assumendoper altre problematiche cliniche contestuali.

FANSTali farmaci agiscono come antinfiammatori, an-tipiretici e analgesici tramite l’inibizione delle ci-cloossigenasi (COX), enzimi deputati alla sintesidelle prostaglandine, prostacicline e trombossani(mediatori molto importanti nel processo infiam-matorio) a partire dall’acido arachidonico. Sonofarmaci molto efficaci, quando è prevalente lacomponente infiammatoria. Tutti i FANS sonoclassificati, a seconda di quanto siano in grado dibloccare le COX-1 (costitutive), o le COX-2 (in-dotte durante infiammazione e quindi più speci-fiche per il trattamento del dolore infiammatorio),in non selettivi (bloccano sia COX-1 sia COX-2)e COX-2 selettivi (bloccano solo COX-2). Tra i

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farmaci non selettivi vi è un ampio range di selet-tività maggiore per COX-1 (come ketoprofene)o COX2 (come diclofenac).Tali farmaci presentano molti effetti collaterali alivello gastrico (soprattutto i FANS più selettiviper le COX-1), renale (insufficienza renale) e car-diovascolare; anche il sanguinamento è un effettocollaterale importante indotto dai FANS non se-lettivi per le COX-2. Poiché tali farmaci hanno un’indicazione nel do-lore acuto e cronico ogni qualvolta vi sia presenteinfiammazione, è indicato scegliere farmaci cheabbiano una selettività maggiore verso le COX-2o COX-2 selettivi (come celecoxib ed etorixocib,quest’ultimo ancora più selettivo per COX-2 delprecedente), che sono maggiormente espresse du-rante i processi infiammatori.Pertanto, è opportuno che tali farmaci venganoutilizzati in questa patologia complessa in modomolto specifico e non in base all’intensità del do-lore. Appare utile seguire, soprattutto nei pazientianziani, le raccomandazioni proposte da Barber:utilizzarli se presente un meccanismo infiamma-torio; se si utilizzano FANS non selettivi, predili-gere quelli con emivita più breve e meno selettiviper le COX-1; utilizzare la dose più bassa possibilesfruttando il più possibile il loro effetto antinfiam-matorio; non utilizzare contemporaneamenteCOX-2 inibitori e FANS non selettivi; ricordareche l’utilizzo della maggior parte dei FANS nonselettivi (tranne diclofenac e ketoprofene) può ri-durre e/o antagonizzare l’efficacia cardioprotettivadell’acido acetilsalicilico; se non si ottiene un mi-glioramento del dolore nei primi giorni, riconsi-derare la terapia.

ParacetamoloIl paracetamolo rappresenta il farmaco analgesicopiù utilizzato come prima linea di trattamento peril dolore lieve/moderato artrosico e muscolosche-

letrico. Esso è un debole inibitore delle cicloossi-genasi a livello centrale e agisce come antipireticoe analgesico. Quando utilizzato alle dosi racco-mandate (per sicurezza mai superiore ai 4 grammial giorno) questo farmaco è sicuro e con scarsatossicità epatica, renale e gastrointestinale, anchese nell’anziano si deve porre particolare attenzioneal possibile danno epatico. La tossicità epatica simanifesta quando si superano le capacità metabo-liche di tale organo o se il paziente sta assumendofarmaci che bloccano il citocromo che metabolizzail paracetamolo (CYP3A4 e CYP2E1). Esistonostudi che evidenziano che l’associazione cronicadi paracetamolo e FANS possa aumentare il rischiodi sanguinamento gastrointestinale.

Oppioidi

Meccanismo d’azioneIl loro effetto si manifesta a livello midollare ecorticale emulando quello dei peptidi oppioidi en-dogeni (endorfine), che normalmente vengono ri-lasciati dopo stimolo stressogeno (come il dolore).I recettori oppioidi sono presenti in concentrazionimaggiori nelle corna dorsali del midollo spinale.Pertanto, il principale effetto analgesico si manifestaa tale livello dove vengono attivati circuiti inter-neurali inibitori della sinapsi tra primo neurone(prevalentemente Fibra C) e secondo neurone.Inoltre, gli oppioidi agiscono anche con la stimo-lazione a livello del grigio periacqueduttale delNucleo del Rafe Magno, attivando vie inibitoriediscendenti serotoninergiche e noradrenergiche,e con la modulazione affettiva della percezionedel dolore. Negli ultimi anni si sta cominciandoa valutare anche un loro effetto inibitorio perife-rico a livello dei tessuti infiammati, ma il realevalore clinico di tale effetto è ancora da definire. Gli oppioidi possono essere somministrati attra-verso vie diverse e dopo l’assorbimento si legano

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a proteine plasmatiche localizzandosi a livello ditessuti parenchimatosi molto perfusi (polmoni,fegato, milza, reni), dei muscoli (in concentrazioneminore), del tessuto adiposo (prevalentementequegli più lipofili) e del cervello (in concentrazioneminore a causa della barriera ematoencefalica).

Differenti formulazioni disponibili in ItaliaVista la complessità del sistema recettoriale op-pioide, vi sono diverse formulazioni di oppioidicon differente potenza rispetto alla morfina. Dalmomento che nel trattamento cronico con talifarmaci è spesso indicato lo switch tra un farmacoe l’altro, è necessario conoscere bene l’equipotenzafra tali farmaci.Gli oppioidi attualmente disponibili sono:• codeina: disponibile in associazione con il pa-

racetamolo. La potenza analgesica di tale far-maco è 1/10 di quella della morfina. La co-deina rappresenta un profarmaco, in quantoper poter essere attiva deve essere convertita alivello epatico a morfina dal CYP2D6. Il7-10% della razza caucasica (1-2% della razzaasiatica) non ottiene un’adeguata analgesiadalla codeina in quanto possiede un genotipo(lento metabolizzatore) per cui non può tra-sformare la codeina in morfina. Al contrario,una bassa percentuale di persone, essendo ra-pidi metabolizzatori, può quindi sviluppare ef-fetti collaterali anche a bassi dosaggi di codeina.Visto il metabolismo con il CYP2D6 bisognaporre attenzione a utilizzare questo farmacocontemporaneamente ad altri farmaci inibi-tori/attivatori di tale citocromo;

• tramadolo: è un farmaco di sintesi che associaun’azione oppioide a un’azione centrale me-diata dall’inibizione del reuptake della seroto-nina e noradrenalina. Ha una potenza di circa1/10 della morfina. Anche il tramadolo è me-tabolizzato dal CYP2D6 e può presentare pro-

blematiche cliniche in pazienti con anomaliedell’attività enzimatica di tale citocromo;

• morfina: farmaco di riferimento della categoriadegli oppioidi. È somministrabile per diversevie: orale, sottocute (potenza analgesica 2 voltemaggiore della dose per via orale ), endove-nosa (potenza analgesica 3 volte maggioredella dose per via orale), peridurale (potenzaanalgesica 10 volte maggiore della dose en-dovenosa) e subaracnoidea (potenza analgesica10 volte maggiore della dose peridurale). Lamorfina viene metabolizzata, per il 90%, a li-vello epatico in morfina 6 glucuronide (me-tabolita attivo e più potente della morfinastessa) e morfina 3 glucuronide (metabolitainattivo e secondo alcuni responsabile deglieffetti tossici), entrambe escrete per via renale.È quindi importante valutare bene la funzio-nalità renale ed epatica dei pazienti anzianiche devono assumere tale farmaco, in mododa evitare eventuali accumuli e conseguentieffetti collaterali;

• ossicodone: due volte più potente della morfina.In Italia è presente in commercio in formaorale anche in associazione con paracetamolo(325 mg). Inoltre, esiste in commercio anchel’associazione ossicodone/naloxone (in rap-porto 1:0,5) che risulta ugualmente efficacedella formulazione contenente solo ossicodone,ma con minori effetti collaterali gastrointesti-nali quali stipsi. Il metabolismo epatico vieneeffettuato principalmente dal CYP3A4 e inmisura minore dal CYP2D6;

• tapentadolo: è un farmaco con azione sia op-pioide sia di inibizione del reuptake della no-radrenalina, pertanto è indicato sia nel dolorenocicettivo sia nelle sindromi dolorose in cuiè presente una componente neuropatica. Haun rapporto di equipotenza di 50:10 rispettoa ossicodone, ma minori effetti collaterali ga-

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strointestinali. Non ha nessuna interazione coni citocromi epatici;

• idromorfone: è quattro/cinque volte più potentedella morfina e ha un ottimo profilo farmaco-cinetico visto che non ha nessuna interazionecon i citocromi epatici. In Italia è disponibilein formulazione slow release nelle 24 ore;

• fentanyl: circa 100 volte più potente della mor-fina. Essendo molto più lipofilo della morfina,si presta alla somministrazione per via trans -dermica (25 mg/h corrispondono a circa 60mg/die di morfina per os) e per via intramu-cosale (buccale o nasale) per il controllo del“breakthrough cancer pain” nel paziente contumore. È metabolizzato a livello epatico dalCYP3A4 e la sua clearence epatica e renale èlievemente ridotta nella popolazione anziana;

• buprenorfina: circa 75 volte più potente dellamorfina. È un agonista-antagonista: agonistaparziale sui recettori m e antagonista dei recet-tori k. È presente in formulazione transdermica(37,5 mg/h corrispondono a circa 60 mg/diedi morfina per os);

• metadone: è un farmaco molto potente utiliz-zato in pazienti che sviluppano importantetolleranza agli oppioidi. Il suo profilo farma-cocinetico e la lunga emivita rendono, però,tale farmaco molto poco maneggevole per per-sonale non specializzato in terapia del dolore.

Effetti collateraliLa malattia dolore richiede terapie a lungo terminee quindi nel trattamento con oppioidi bisognaporre molto attenzione agli effetti collaterali chepossono causare la non aderenza del paziente allaterapia. Tale aspetto è molto importante nella va-lutazione della complessità del problema dolore.Gli effetti indesiderati legati all’assunzione di far-maci oppioidi comprendono:• stipsi: rappresenta l’effetto collaterale più fre-

quente e più importante in pazienti in tratta-mento con oppioidi, divenendo spesso la causadella scarsa aderenza alla terapia di pazienti intrattamento cronico con oppioidi. È quindi ne-cessario monitorare attentamente tale proble-matica con scale validate, quali per esempio ilBowel Functional Index (BFI), e scegliere atten-tamente quei farmaci oppioidi che hanno unmigliore profilo di tollerabilità gastrointestinale;

• assuefazione: deriva dalla persistente attivazionedei recettori m con risposta adattativa cellulareassociata a variazione dei secondi messaggeri einternalizzazione dei recettori stessi. Si instauradopo 2-3 settimane, soprattutto se le dosi uti-lizzate sono elevate e a intervalli brevi. Nonc’è assuefazione a effetti quali miosi, convul-sioni e stipsi;

• dipendenza fisica: alla sospensione del farmacosi crea crisi di astinenza, per “rimbalzo” deglieffetti (rinorrea, lacrimazione, sbadigli, freddo,pelle d’oca, iperventilazione, ipertermia, mi-driasi, vomito, diarrea, ansia e ostilità) con in-tensità proporzionale al grado di abitudine. Sesi somministra un oppioide, la sintomatologiasi risolve. Tale problematica non si presenta seil farmaco viene sospeso lentamente;

• dipendenza psichica: nonostante sia l’effetto col-laterale più raro, è quello che spaventa maggior-mente operatori sanitari e popolazione, soprat-tutto a causa dei dati emergenti da studi ameri-cani, il cui background, però, comprende unconsumo e un utilizzo di farmaci oppioidi moltodiverso da quello europeo. In realtà, il pazientecon dolore cronico ha un rischio minore di svi-luppare dipendenza psichica all’oppioide;

• alterazioni ormonali: in alcuni casi il consumocronico di oppioidi può portare ad alterazioniendocrine tiroidee e degli ormoni sessuali chepossono essere corrette con trattamenti sosti-tutivi.

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Ripercussioni della terapia con farmacioppiacei sulla capacità e possibilità di guidare veicoli a motore (art. 187 Codice della strada)

Un elemento molto importante nella valutazionedell’utilizzo di oppioidi è la loro influenza sulla ca-pacità di guidare veicoli. In effetti, una delle diffi-coltà della terapia del dolore è dovuta al fatto che ilpiano terapeutico deve essere finalizzato al reinse-rimento anche sociale e lavorativo del paziente. L’art. 187 del Codice della strada sanziona il con-ducente che guida sotto l’influenza di sostanzestupefacenti o psicotrope (elencate in un’appositatabella redatta e costantemente aggiornata dal Mi-nistero della Salute). Quindi, tale articolo definisceche per venire sanzionati devono essere contem-poraneamente presenti due requisiti: l’assunzionedi tali sostanze, verificabile tramite appositi testsu matrici biologiche (es. urina, sangue), e l’alte-razione dello stato psicofisico, determinabile dauna valutazione effettuata dalle Forze dell’Ordineo da un medico. Esiste diversa letteratura che dimostra come pa-zienti che assumono oppiacei, specie se in formu-lazioni slow release e quando la terapia è a regime,non presentino alterazioni dei riflessi tali da con-sigliare la sospensione della guida. In particolare,le conclusioni di uno studio condotto dalla Co-munità Europea, denominato DRUID, eviden-ziano dati di non alterazione delle capacità attentivein pazienti che assumono oppiacei in formulazionitransdermiche o slow release per os, focalizzandoal contempo l’attenzione su alcuni tipi di benzo-diazepine, che hanno un’azione di alterazione dellecapacità attentive del soggetto che le assume cro-nicamente. Conclusioni simili sono state ottenuteda un ente indipendente denominato ICADTS,che ha effettuato una serie di test “on the road” suguidatori che assumevano diverse tipologie di far-

maci, stemperando l’assioma secondo il quale glioppiacei forti presentano maggiori problemi diquelli deboli sotto questo aspetto.Oltre a questo problema bisogna considerare come,invece, il dolore non trattato possa ridurre le per-formance alla guida e possa essere foriero di un po-tenziale pericolo. Infine, vi sono molti trials cheevidenziano come il trattare il dolore con oppioidimigliori la funzione cognitiva in quanto il dolorestesso ha un effetto negativo maggiore sulla funzionecognitiva rispetto a quello possibile degli oppioidi.

Problematiche emergenti

Il primo problema emergente è dovuto alla carenteinformazione dei medici non algologi che prescri-vono i farmaci analgesici, nonché dei pazienti stessiriguardo l’art. 187 del Codice della strada e le pro-blematiche a esso connesse; è opinione comune,inoltre, che la tabella ministeriale delle sostanzestupefacenti e psicotrope riguardi solo gli oppiaceie le sostanze illecite: in realtà il problema è di benaltra portata, in quanto svariate benzodiazepinesono comprese in tale tabella, per cui i guidatoriche possono venire sanzionati a loro insaputa am-montano a milioni ogni anno in Italia. Il secondoproblema è causato dal comportamento delle com-pagnie assicurative in caso di sinistro con colpa: lamaggior parte delle compagnie prevede nelle pro-prie polizze di Responsabilità Civile Autoveicoli(RCA) la possibilità di esercitare il diritto di rivalsain alcune circostanze, tra cui il sanzionamento del-l’art. 187: ciò significa che un automobilista cheassume regolarmente la propria terapia antalgica abase di oppiacei potrebbe trovarsi a dovere risarcirepersonalmente i danni eventualmente provocati aterzi in caso d’incidente stradale con colpa. È altresìvero che molte compagnie prevedono, a fronte diun sovrapprezzo sul premio RCA, la possibilità dirinunciare a esercitare tale diritto in tale circostanza,

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però è necessario che i pazienti siano informati. Ilterzo problema, forse il più delicato, è legato proprioalla procedura che porta a sanzionare l’art. 187: seper quanto concerne la positività biologica esistonoappositi test oggettivi su matrice biologica, lo statopsicofisico (condizione necessaria, ricordiamo, af-finché si possa sanzionare il guidatore) viene valu-tato il più delle volte dalle Forze dell’Ordine, e nonsempre il guidatore viene visitato da un medico.Questo significa che uno stato di ansia, o stress (ri-cordiamo che spesso si tratta di soggetti coinvoltiin un sinistro stradale), o semplice preoccupazionepuò essere scambiato per uno stato psicofisico al-terato da sostanze psicotrope per il solo fatto che ilguidatore assume tali sostanze, naturalmente sottoprescrizione e controllo medico.Pertanto, alla luce di queste problematiche è op-portuno offrire un’adeguata informazione ai pa-zienti ed elaborare nuove strategie anche legislativeche permettano l’assunzione cronica e stabile ditali farmaci nei pazienti con dolore cronico.

Prescrizione di oppioidi a carico del SSN

Sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italianan. 141 del 20 giugno 2009 è stata pubblicata l’Or-dinanza 16 giugno 2009 recante “Iscrizione tem-poranea di alcune composizioni medicinali nellatabella II, sezione D, allegata al testo unico delleleggi in materia di disciplina degli stupefacenti esostanze psicotrope e di prevenzione, cura e riabi-litazione dei relativi stati di tossicodipendenza”.Con tale ordinanza è stata eliminata la necessitàdella ricetta in triplice copia per la prescrizione ditutti i farmaci oppioidi per via orale o transdermicache ora possono essere prescritti sul normale ri-cettario del SSN. Tale ordinanza (ripresa poi anchedalla Legge 38/2010) è stata emanata nell’otticadi garantire un più facile accesso agli oppioidi uti-lizzati in terapia del dolore per uso analgesico.

Adiuvanti

In tale categoria vengono considerati tutti i far-maci che non sono analgesici propriamente detti,ma che vengono utilizzati spesso in terapia deldolore, soprattutto per il dolore neuropatico, permodulare il segnale algico.

Farmaci ad azione sistemicaVi sono numerosi farmaci che, a diversi livelli delsistema nervoso centrale, interferiscono con la tra-smissione sinaptica lungo le vie di conduzionedell’impulso nocicettivo. Tra questi i più impor-tanti sono sicuramente i farmaci antidepressivi eantiepilettici.

Antidepressivi I farmaci antidepressivi sono considerati i farmacidi prima scelta nel trattamento del dolore neuro-patico, a eccezione della nevralgia trigeminale.L’effetto analgesico di tali farmaci è indipendentedall’effetto che essi esercitano sul tono dell’umoreed è in relazione all’attivazione delle vie discen-denti inibitorie con conseguente modulazione delsegnale doloroso a livello midollare. Negli ultimi anni vi è un aumentato interessenell’utilizzo di questi farmaci anche nel dolorenocicettivo cronico, in quanto il potenziamentoserotoninergico/noradrenergico (es. della duloxe-tina) sembra riuscire a modulare il segnale algicoperiferico riducendo in maniera significativa l’uti-lizzo di analgesici.È opportuno tenere in considerazione i possibilieffetti collaterali degli antidepressivi (soprattuttoquelli di prima generazione). Bisogna considerareche in pazienti con cardiopatia ischemica, glau-coma e ipertrofia prostatica, la maggior parte degliantidepressivi è controindicata. È necessaria unacontinua rivalutazione del paziente anche per laprecoce rilevazione di possibili effetti collaterali

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“minori” (secchezza delle fauci, confusione, stipsi,aumento ponderale, difficoltà nella minzione, per-dita di memoria, ipotensione ortostatica) che pos-sono determinare la non aderenza alla terapia.

AntiepiletticiTali farmaci hanno una duplice azione sia a livellodella conduzione nervosa (agendo su canali delsodio e/o del calcio) sia a livello sinaptico, poichéfavoriscono la produzione di neurotrasmettitoriinibitori (GABA). Hanno specifica indicazioneper il dolore neuropatico.Gli antiepilettici maggiormente utilizzati sono ga-bapentin e pregabalin per molte neuropatie peri-feriche (es. neuropatia diabetica, neuropatia po-sterpetica, radicolopatia ecc.) e lacarbamazepinae oxcarbamazepina per la nevralgia trigeminale. Anche i pazienti che assumono antiepilettici ne-cessitano un monitoraggio accurato e costante,in quanto vi possono essere effetti collaterali im-portanti soprattutto a livello del sistema nervosocentrale (es. confusione, intontimento, alterazionedella memoria, riduzione delle capacità attentive).

MiorilassantiCon tale termine si comprendono farmaci condiversi meccanismi d’azione e indicazioni. Essipossono essere utilizzati con buona efficacia neltrattamento di sindromi dolorose croniche moltodiverse (spasticità, contratture muscolari, cefaleemuscolotensive ecc.).I farmaci miorilassanti si distinguono in base almeccanismo d’azione in: farmaci ad azione cen-trale, ad azione periferica e ad azione diretta (unicofarmaco di questa categoria è il dantrolene, il cuiimpiego è limitato dalla severa epatotossicità).La scelta del farmaco deve essere guidata dalla co-noscenza delle caratteristiche del paziente e del tipodi malattia dolorosa cronica che si vuole trattare. L’impiego dei miorilassanti benzodiazepinici ad

azione centrale (recettori GABA-A), come clona-zepam, deve essere attentamente monitorato peril possibile abuso e la loro sospensione deve essereoperata con cautela per la possibile astinenza.Il tiocolchicoside è un farmaco con potenzialeazione epilettogenica, che deve essere ben consi-derata per il suo impiego.L’utilizzo di tizanidina richiede il monitoraggio deiparametri di funzionalità epatica, poiché questo far-maco può indurre un aumento delle transaminasi.La ciclobenzaprina, uno dei miorilassanti di piùlargo impiego, ha struttura simile agli antidepres-sivi triciclici e tra i suoi possibili effetti collateralisi riconoscono effetti anticolinergici (secchezzadelle fauci, debolezza, ritenzione urinaria, au-mento della pressione intraoculare) la cui possibilecomparsa deve essere controllata.Infine, eperisone è l’unico che unisce a un mec-canismo d’azione centrale anche un meccanismodi vasodilatazione e di inibizione della sostanza Pa livello spinale (con effetto analgesico).

Farmaci ad azione topicaVengono inclusi in questa categoria farmaci ap-plicabili sull’area cutanea sede della lesione neu-rologica o del dolore, come per esempio nel doloreneuropatico localizzato posterpetico.Capsaicina 8% cerotto: agisce inducendo deple-zione della sostanza P a livello delle terminazioninervose periferiche creando una lesione nervosaperiferica. Viene somministrato in dose singola(in ambito ospedaliero) e può portare a migliora-mento del dolore per lungo periodo.Lidocaina 5% cerotto: viene applicato sull’area didolore neuropatico localizzato (12 ore sì e 12 oreno) determinando analgesia senza anestesia. Inquesto caso il trattamento localizzato deve essereprotratto per tutto il tempo che il dolore neuro-patico si mantiene, ma riduce enormemente i do-saggi di farmaci sistemici assunti.

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Tecniche interventistiche – chirurgia mininvasiva del dolore

In molti casi la sindrome dolorosa non è gestibileesclusivamente con una terapia farmacologica,pertanto è necessario un approccio invasivo. Ri-mane, comunque, sempre molto importante as-sociare una terapia farmacologica mirata alla causadel dolore o alla sua modulazione. Schematicamente possiamo dividere la terapia in-terventistica in terapia del dolore in tre grandigruppi:• terapia infiltrativa per ridurre/risolvere l’infiam-

mazione articolare/muscolare/tendinea/radico-lare;

• tecniche di blocco anestetico a scopo diagno-stico;

• tecniche neurolesive o neuromodulatorie (pe-riferiche e neurassiali).

Terapia infiltrativa per ridurre/risolverel’infiammazione o la causa del doloreIn questo caso la procedura invasiva serve a ri-durre/eliminare l’infiammazione causa del doloreo a migliorare una problematica articolare conl’infiltrazione di acido ialuronico, che permetteuna maggiore “lubrificazione” dell’articolazionedolente e con rapporti articolari alterati. Ovvia-mente tali procedure devono essere sempre ac-compagnate a tecniche riabilitative che aiutino acorreggere eventuali alterazioni posturali causadell’infiammazione trattata. In tale gruppo di tecniche infiltrative si annoveraanche l’infiltrazione peridurale e quella periradi-colare; essa ha il fine di ridurre l’edema della radicerisolvendo l’infiammazione del perinervio e quindiil dolore radicolare lamentato dal paziente. Infine, in questo gruppo si possono considerareanche la vertebroplastica e la cifoplastica, tecnichechirurgiche mininvasive che, iniettando cemento

nel corpo di una vertebra fratturata, risolvono ildolore risolvendo la causa che lo ha generato (frat-tura e instabilità del corpo vertebrale). La sempre maggiore accuratezza delle tecnicheadottate fa sì che sia ormai indispensabile eseguirequeste procedure sotto guida radiologica o eco-grafica. La procedura ecografica, oltre al vantaggiocomune con la radiologia di identificare corretta-mente il target terapeutico, permette anche di va-lutare come il farmaco iniettato diffonda attornoal nervo, al muscolo o all’articolazione interessata.

Tecniche di blocco anestetico a scopo diagnosticoNel trattamento del dolore cronico a volte è ne-cessario identificare se l’origine del dolore sia acarico di una specifica articolazione o di un precisonervo. Pertanto, spesso le procedure di bloccoanestetico vengono impiegate a scopo diagnosticoe per valutare l’eventuale successo di tecniche neu-rolesive successive. Anche in questo caso l’ecografiasta assumendo sempre maggiore importanza grazieal fatto che permette una maggiore accuratezzadell’identificazione del target terapeutico e unamaggiore accuratezza della valutazione dell’ane-stetico iniettato.

Tecniche neurolesive o neuromodulatorieIn alcuni casi la causa del dolore non solo non è piùrisolvibile, ma non vi è nemmeno la possibilità dimodulare il dolore attraverso farmaci per via siste-mica (o per inefficacia dei farmaci o per insorgenzadi effetti collaterali che limitano il loro utilizzo). In tali casi tecniche chirurgiche mininvasive per-mettono di controllare il dolore attraverso tre mo-dalità:• lesione (con calore, con freddo o con agenti le-

sivi) dei nervi periferici che conducono il segnalenervoso algico di una determinata articolazioneo di un nervo alterato (es. nella nevralgia trige-

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minale). Le tecniche di radiofrequenza hannosuperato l’impiego di metodiche più invasive edemolitive, quali appunto le procedure di alco-lizzazione, che rimangono in uso solo presso al-cuni centri e sono applicate prevalentementenel trattamento delle sindromi dolorose com-plesse nei pazienti affetti da neoplasia;

• modulazione del segnale nervoso che conduceil dolore con la neurostimolazione di nervi pe-riferici o midollare. La prima ha grande indica-zione nel trattamento delle cefalee a grappolo edelle emicranie, soprattutto nei pazienti constoria di abuso di farmaci (con duplice vantaggiodi riduzione di farmaci e riduzione di accessi astrutture sanitarie per effetti collaterali da as-sunzione eccessiva di farmaci per via sistemica).La seconda, invece, ha indicazione nella gestionedel dolore neuropatico periferico (es. neuropatiadiabetica, radicolopatia ecc.). La neurostimola-zione midollare è anche indicata nel dolore adarti inferiori o superiori per l’arteriopatia obli-terante cronica ostruttiva (AOCP) e nell’anginarefrattaria. In questo caso, però, il meccanismod’azione non è la modulazione del segnale al-gico, ma il blocco reversibile del sistema nervosoortosimpatico con conseguente aumento delflusso periferico e di estrazione dell’ossigeno alivello dei tessuti periferici;

• quando gli oppioidi sono efficaci solo a dosielevate, vi è la possibilità di modulare il segnaledoloroso somministrando, tramite specifici ca-teteri collegati a pompe esterne o impiantatesottocute, tali farmaci a livello spinale per ot-tenere la stessa potenza analgesica con dosi300 volte inferiori rispetto a quella orale. Laneuromodulazione spinale permette, inoltre,l’utilizzo di farmaci che non potrebbero esseresomministrati per altre vie quali lo ziconotide,potentissima neurotossina che se sommini-strata per via spinale può garantire analgesia

in pazienti con sindromi dolorose complesse.Tali tecniche, vista la complessità delle proce-dure chirurgiche, della gestione dei pazienticon tali device e dei possibili gravi effetti col-laterali, devono essere riservate a centri di te-rapia del dolore con grande esperienza.

Considerazioni conclusive

Il dolore nasce come meccanismo difensivo persegnalare un’aggressione della propria omeostasi(dolore acuto = dolore presente fin tanto che lacausa non viene risolta). In alcuni casi tale sintomosi trasforma in vera e propria malattia (dolore cro-nico = dolore indipendente dalla causa che lo hagenerato o causato da causa non più risolvibile).Il dolore cronico deve, quindi, essere consideratocome una malattia complessa che, per essere ade-guatamente trattata, necessita un’accurata diagnosidel/dei meccanismo/i fisiopatologico/i che lo/isottendono.La terapia deve essere sempre mirata ai meccanismiche lo generano e lo mantengono e non deve, in-vece, essere determinata esclusivamente dall’in-tensità del dolore che il paziente lamenta. Spesso alla terapia farmacologica deve essere as-sociata anche una tecnica interventistica per ri-solvere la causa del dolore attraverso approcci mi-ninvasivi o per modulare il segnale doloroso ga-rantendo adeguata analgesia.

La medicina di laboratorio nel paziente complesso

Il paziente complesso, per definizione, è affettoda una condizione di multimorbilità. Per tale mo-tivo è sicuramente importante individuare nel-l’ambito di tali pazienti quali sono gli esami di la-boratorio che consentono di esplorare e monito-rare le diverse funzioni d’organo e gli effetti della

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mandazioni per l’utilizzo del miglior test diagno-stico per la valutazione della funzione renale e inparticolare i punti fondamentali sono i seguenti:• la creatininemia è un indicatore poco sensibile

delle variazioni del GFR. Quando è richiestoil dosaggio della creatininemia, i laboratori cli-nici dovrebbero riportare, accanto al suo ri-sultato, anche una stima del GFR (eGFR) uti-lizzando un’equazione predittiva;

• un indicatore valido è la clearance della creati-nina misurata su urine delle 24 ore, ma spessorisulta imprecisa per un’inaccurata raccoltadelle urine (pazienti anziani o con problemiurologici, prostatici o psichiatrici);

• utilizzare l’equazione MDRD semplificata ola CKD-EPI, basate su dosaggio della creati-nina tracciabile con spettrometria di massa adiluizione isotopica (IDMS) per stimare ilGFR, utilizzando i test per la creatinina concalibrazione tracciabile con un materiale di ri-ferimento standardizzato (entrambe le equa-zioni risultano attendibili per valori di GFRfra 20 e 60 ml/min/1,73 m2 SC; per valori diGFR > 60 ml/min/1,73 m2 SC sarebbe inveceda preferire la CKD-EPI). I test ideali da im-piegare sono i test per la creatinina specifici eprivi di bias in confronto agli IDMS (es. testenzimatici). Laddove siano impiegati test nonspecifici (es. il test Jaffe), utilizzare i fattori diaggiustamento test-specifici più appropriati,per minimizzare le variazioni tra laboratori (es.quelli forniti da schemi nazionali di valutazionedella qualità esterna). Per valori di GFR < 20ml/min/1,73 m2 SC, entrambe le formule ten-dono a sovrastimare il filtrato glomerulare;

• quando indicato, applicare il fattore di corre-zione per etnia (moltiplicare l’eGFR per 1,21per l’etnia afro-caraibica);

• interpretare con cautela i valori di eGFR ≥ 60ml/min/1,73 m2 SC, se stimati con la formula

polifarmacoterapia a cui essi sono sottoposti. Taleapproccio deve tenere conto, da un lato, dellacompletezza degli accertamenti laboratoristici e,dall’altro, dell’appropriatezza del loro utilizzo, an-che tenendo conto della periodicità con cui de-vono essere effettuati per verificare sia lo stato dimalattia sia lo sviluppo di effetti collaterali dellaterapia farmacologica.Si possono pertanto individuare profili laborato-ristici di base cui è indispensabile sottoporre ilpaziente complesso affetto da multimorbilità.

Valutazione della funzione renale

La compromissione della funzione renale è sicu-ramente una delle più frequenti nel paziente com-plesso, sia perché la nefroangiosclerosi fa partedel più generale quadro dell’aterosclerosi polidi-strettuale, sia perché accompagna, con meccanismivari, alcune delle più frequenti patologie croniche,quali per esempio lo scompenso cardiaco, fino aconfigurare nei complessi rapporti tra cuore e renequella sindrome cardio-renale che negli ultimianni è stata oggetto di numerosi studi. Ma altreimportanti patologie croniche, in primo luogo ildiabete e la cirrosi epatica, compromettono lafunzione renale. Esistono, inoltre, le ripercussionidi numerose terapie croniche sulla funzione renale,in primo luogo quelle determinate dall’uso deidiuretici.A tale scopo sono sicuramente utili le determina-zioni della creatinina e degli elettroliti sierici. Èda ritenere altresì indispensabile la valutazionedella funzione renale attraverso l’utilizzo di for-mule capaci di calcolare il filtrato glomerulare, inquanto, soprattutto nei pazienti anziani, la deter-minazione della sola creatinina non rispecchia lareale funzione renale e tende a sottostimarla. Lerecenti Linee guida nazionali (2012) elaboratesulla malattia renale cronica indicano le racco-

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MDRD, ricordando che eGFR è tanto menoaccurato quanto maggiore è il valore di GFR;

• nei soggetti con valori estremi di massa muscolare(es. atleti di body building, amputati, soggetticon ipotrofia muscolare) e nei paziente anziani,interpretare l’eGFR con cautela: masse muscolariridotte causano una sovrastima, mentre massemuscolari eccessive causano una sottostima.

Valutazione della glicemia

La determinazione della glicemia e il suo moni-toraggio sono non solo fondamentali nel pazientediabetico, ma lo sono anche nel paziente affettoda altre patologie croniche per l’associazione cheil diabete ha con le altre patologie, ma soprattuttoper gli effetti che terapie croniche soprattutto abase di corticosteroidi possono avere. Per esempio,pazienti affetti da broncopneumopatia cronicaostruttiva (BPCO) e da malattie croniche che ne-cessitano di uso continuativo o periodico di cor-tisonici dovrebbero essere sottoposti a un moni-toraggio attento della glicemia.Gli Standard Italiani di Cura del Diabete di tipo 2(2011) indicano che, in assenza dei sintomi tipicidella malattia (poliuria, polidipsia e calo ponderale),la diagnosi di diabete deve essere posta con il ri-scontro, confermato in almeno due diverse occa-sioni, della glicemia a digiuno o della glicemia dopocarico orale di glucosio o con il dosaggio dell’HbA1c.Le seguenti condizioni rendono problematica l’in-terpretazione del valore dell’HbA1c: diabete di tipo1 in rapida evoluzione, gravidanza, emoglobino-patie, malaria, anemia cronica, anemia emolitica,recente emorragia, recente trasfusione, splenecto-mia, uremia, marcata iperbilirubinemia, marcataipertrigliceridemia, marcata leucocitosi, alcolismo.L’HbA1c sembra essere un parametro più affidabilee raccomandabile rispetto alla glicemia per i se-guenti motivi:

• ha una migliore standardizzazione del dosaggio(se allineato con DCCT/UKPDS);

• è espressione della glicemia media di un lungoperiodo e non di un singolo momento;

• ha una minore variabilità biologica;• ha una minore instabilità preanalitica; • non richiede un prelievo dopo 8 ore di digiuno

o un prelievo dopo carico di glucosio orale;• non soffre di alcuna influenza da parte di si-

tuazioni acute (es. stress da prelievo); • è lo stesso parametro utilizzato per il monito-

raggio clinico del diabete.In presenza di sintomi tipici della malattia, la dia-gnosi di diabete piò essere posta anche con unasola determinazione.Si stima che la diagnosi clinica di diabete mellitodi tipo 2 sia mediamente preceduta da una faseasintomatica della durata di circa 7 anni, durantei quali l’iperglicemia esercita effetti deleteri a livellodei tessuti bersaglio, così che alla diagnosi clinicasono spesso già presenti le complicanze della ma-lattia. È verosimile, quindi, che la diagnosi tem-pestiva della malattia consenta di ridurre il rischiodi complicanze. I programmi di screening racco-mandati nella popolazione generale sono quellirivolti alle persone ad alto rischio di diabete effet-tuati in occasione di un controllo medico (screen -ing opportunistici). Valutazioni economiche ese-guite con l’utilizzo di sistemi di simulazione hannoindicato che il bilancio costo/beneficio di unoscreening di massa per diabete non è accettabile.È considerato paziente ad alto rischio quello dietà ≥ 45 anni, specialmente se con indice di massacorporea (body mass index, BMI) ≥ 25 kg/m2.

Valutazione della funzione emopoietica

L’anemia accompagna molte malattie cronichedegenerative e quindi la sua valutazione risultaimportante nel paziente con multimorbilità. In

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particolare è presente nei pazienti affetti da scom-penso cardiaco e da insufficienza renale cronica,tanto da configurare in tali pazienti anche unaben precisa sindrome che prende il nome di sin-drome cardio-anemico-renale. In questa tipologiadi pazienti l’anemia non ha solo un significatodiagnostico, ma ha anche importanti risvolti te-rapeutici in quanto è suscettibile di terapia coneritropoietina con evidenti miglioramenti nellaprognosi del paziente. Pertanto, la valutazione la-boratoristica dell’emocromo rientra a tutti gli ef-fetti nella valutazione globale del paziente com-plesso con multimorbilità.Nei pazienti con malattia renale cronica, se nongià testati, i livelli di emoglobina dovrebbero essereindagati negli stadi 3B, 4 e 5 per identificare l’ane-mia (Hb < 11,0 g/dl).La frequenza dei test successivi deve essere deter-minata dai valori riscontrati e dalle circostanzecliniche.

Valutazione dell’assetto lipidico

In accordo con le ultime Linee guida della Euro-pean Society of Cardiology (ESC) sulle dislipidemie,il profilo lipidico dovrebbe essere valutato nel-l’uomo adulto di età uguale o superiore a 40 annie nelle donne di età uguale o superiore a 50 anni,specialmente in presenza di altri fattori di rischiocardiovascolare, in tutti i pazienti con malattiavascolare in qualunque distretto o con diabete ditipo 2, indipendentemente dall’età, in quantoconsiderati ad alto rischio cardiovascolare e inoltrein pazienti con altri fattori di rischio quali iper-tensione arteriosa, obesità definita come aumentodella circonferenza vita ≥ 94 cm per l’uomo e 80cm per la donna o con un BMI ≥ 25 kg/m2. Anche pazienti portatori di malattie infiammatoriecroniche autoimmuni, malattie renali croniche,sono ad aumentato rischio cardiovascolare e do-

vrebbero essere sottoposti a screening per le disli-pidemie. La valutazione di base dei lipidi devecomprendere: TC, TG, HDL-c e LDL-c, calcolatecon la formula di Friedewald a meno che i TGnon siano elevati ( > 4,5 mmol/L o > 400 mg/dl)o con un metodo diretto, non-HDL-c e il rapportoTC/HDL-c. Nella valutazione per il raggiungi-mento dei target la misurazione dell’LDL-c rap-presenta l’indicatore principale dell’efficacia deltrattamento, poiché è l’esame di laboratorio presoin considerazione in tutti i trials di terapia farma-cologica.

Valutazione della funzione cardiaca (brain natriuretic peptide)

Il brain natriuretic peptide (BNP) è prodotto quasiesclusivamente dalle cellule del miocardio ventri-colare in risposta all’aumento di volume ventri-colare e all’aumento della pressione di fine diastoleall’interno del ventricolo stesso. Il BNP aumentasoprattutto in caso di disfunzione ventricolare,ma può elevarsi sia nelle patologie edematose checomportino un aumento della pressione atriale eventricolare quali insufficienza renale, cirrosi epa-tica con ascite ecc., sia in presenza di angina in-stabile e ipertensione polmonare. Il suo valorepredittivo positivo è del 70% e negativo del 98%.Nel paziente cronico il suo utilizzo avviene per ladiagnosi di disfunzione ventricolare sia sistolicasia diastolica e in alcune Linee guida è posto primadell’ecocardiografia nella flow-chart diagnostica,ma può essere utilizzato nella gestione e nella va-lutazione della risposta alla terapia, anche se tut-t’ora non vi è una chiara indicazione per l’uso intal senso nella pratica clinica.Nel paziente acuto complesso che si presenta inDEA, il BNP si è rivelato molto utile nella distin-zione tra origine respiratoria e cardiaca della dispnea.Il BNP può essere dosato come tale, cioè l’ormone

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Il “Fenoma Complesso” 4

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attivo (il frammento COOH terminale del proBNP), o come NT-proBNP (il frammento NH2terminale del pro-BNP).

Valutazione della funzione epatica

Il fegato, oltre che nel paziente affetto da epato-patia cronica, può essere compromesso nel pa-ziente complesso a volte direttamente più spessoin conseguenza di terapie farmacologiche. Unavalutazione della sua funzionalità può essere ef-fettuata con l’utilizzo dei cosiddetti test di I livello,che esplorano la capacità di sintesi e di metaboli-smo, l’escrezione e la citolisi. Questi ultimi due,in particolare, sono coinvolti nella tossicità da far-maci e quindi, in relazione alle caratteristiche del

farmaco utilizzato, può essere necessaria una va-lutazione periodica di tali test.

Considerazioni conclusive

Nel paziente complesso la medicina di laboratoriodeve tenere conto, quindi, delle singole patologiedi cui il paziente è affetto, dell’interazione che sirealizza nel loro complesso e degli effetti collateralisulle diverse funzionalità d’organo che la polifar-macoterapia può determinare. Pertanto, anchenell’utilizzo degli esami di laboratorio deve valereil principio clinico della valutazione globale delpaziente e dell’applicazione di una metodologiache garantisca completezza e appropriatezza nellarichiesta degli esami stessi.

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Ministero della Salute

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5. Revisione critica dei modelli gestionali

flussi informativi istituzionali) che lo riguardano.Il passaggio successivo è stato quello, partendoda alcuni “traccianti” di consumo di farmaci, dispecialistica ambulatoriale, di ricovero e cura e/odell’esenzione per patologia, di classificare i pa-zienti attribuendoli a una patologia o associazionedi patologie prevalenti.Da qui l’eponimo CReG. Si comprende bene per-ché si è affermato che il CReG non è un PDTA.Il PDTA, infatti, definisce il percorso di cura peruna patologia in condizioni “ideali”, mentre ilCReG “fotografa” l’assistito nella sua condizionereale di bisogno con l’obiettivo di farsene cariconel modo più esaustivo possibile.Qual è a questo punto l’alternativa tecnica alPDTA? Nel modello CReG, grazie alla disponibi-lità per tutti gli assistiti, partendo dai cosiddettiflussi amministrativi, dei principali eventi/consumisanitari, con una particolare tecnica di clusterizza-zione sono individuate le EPA (Elenco PrestazioniAttese), che rappresentano per i pazienti classificatinei diversi CReG le prestazioni più probabili. Avendo un elenco di EPA si è in grado di prevederele attività di cui, secondo un criterio probabilistico,il paziente può aver bisogno (es. compresi gli screen -ing, la vaccinazione antinfluenzale e la rimozionedel cristallino per cataratta) e di organizzare unmodello che lo supporti attivamente, lo accompagni

Modelli attuali di gestione della complessità e lorocriticità: CReG-Regione Lombardia, Chronic CareModel-Regione Toscana.

Progettazione e applicazione del CReG in Lombardia, primi passi e prime evidenze

ll CReG (Chronic Related Group) rappresenta dalpunto di vista nosologico una modalità di classi-ficazione degli assistiti in funzione della cronicitàe dal punto di vista operativo una modalità dipresa in carico dei pazienti che non si basa suiPDTA (Percorsi Diagnostico Terapeutico Assi-stenziali), ma sulla presa in carico omni-compren-siva (inizialmente specialistica ambulatoriale, far-maceutica territoriale e protesica minore) di pa-zienti che, pur avendo una patologia o un’asso-ciazione di patologie prevalenti, per via dell’età,di necessità preventive e anche del caso, effettuanoprestazioni e assumono farmaci non sempre cor-relati al problema clinico prevalente.Questa esperienza pone le radici nel 2005 quandopresso alcune Aziende Sanitarie Locali (ASL) ènata e si è consolidata (diffondendosi negli anniin tutto il territorio regionale) l’esperienza dellaBDA (Banca Dati Assistito) che rappresenta, nelpieno rispetto della privacy, la riconduzione a ogniassistito di tutti i fenomeni sanitari (veicolati in

Ministero della Saluten. 23, settembre-ottobre 2013

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e lo incentivi per ottenere da lui la maggiore com-pliance con le cure di cui ha bisogno. Infatti, tenendo come riferimento le EPA (ElencoPrestazioni Attese) e partendo dalla storia indivi-duale del paziente relativa all’ultimo anno, perogni paziente arruolato è ridefinito all’inizio dellasperimentazione un PAI (Piano di Assistenza In-dividuale) che viene registrato in formato infor-matizzato e che rappresenta il fil rouge da seguireper conseguire i migliori risultati terapeutici e diqualità di vita.Il PAI viene elaborato e periodicamente aggiornatodal medico di medicina generale (MMG), tenendoconto dei PDTA validati dall’ASL e delle esigenzecliniche del singolo paziente.

Gli attori principali

I contenuti della sperimentazione vengono definitinella DGR IX/1479 del 30 marzo 2011 e nel suc-cessivo decreto della DG Sanità n. 4383 del 16maggio 2011. In sostanza, sulla base dell’analisidella Banca Dati Assistito è stata attribuita una ta-riffa per ciascun raggruppamento di patologie cro-niche, denominato CReG, comprendente i costidella specialistica ambulatoriale, della farmaceuticae della protesica minore. È escluso il costo dei ri-coveri e della retribuzione del MMG. Tale stru-mento tariffario, individuato attribuendo ciascunpaziente a un raggruppamento complesso di pa-tologie, viene affidato a un gestore, il provider,sulla base di una procedura di gara. Il providerdeve garantire al cittadino le prestazioni necessarieper la gestione complessiva delle sue patologie,ferma restante per il cittadino la libertà di sceglieregli erogatori delle prestazioni e per il provider l’im-possibilità di contrattare le tariffe con gli erogatoristessi. Inoltre, il provider deve mettere a disposi-zione un call center informativo per il cittadino,un servizio di first and second opinion, raccogliere

il consenso del singolo cittadino che è libero diaderire o meno alla sperimentazione gestionale,con la sottoscrizione di un “patto di cura”, garantirel’inserimento del piano di cura individuale, fondatosull’elenco delle prestazioni maggiormente attesesulla base della Banca Dati Assistito oltre che suipercorsi diagnostico-terapeutici, prevedere inizia-tive di informazione sanitaria e di enpowermentdegli assistiti, fornire, ove necessario, supporti ditelemedicina, prevedere alert in caso di mancatacompliance, fornire report sugli indicatori di pro-cesso e di risultato relativi all’assistenza fornita.È evidente come il MMG, individualmente o inpiccola aggregazione, non possa garantire quantoprevisto dalla sperimentazione.È altrettanto evidente come il provider, per svol-gere la propria attività, non possa prescinderedall’utilizzo della rete dei MMG.Nel caso di provider esterni alla medicina generale,il medico che avesse deciso di essere player nellasperimentazione avrebbe dovuto instaurare unrapporto aggiuntivo con il provider, con le evidentiproblematiche di gestione contrattuale connesse.La Regione Lombardia, nella prima fase della spe-rimentazione, ha deciso di indire una gara riservataalle cooperative dei MMG.In tutte le ASL oggetto della sperimentazione (Mi-lano città, Melegnano. Bergamo, Lecco e Como),le cooperative dei MMG hanno partecipato allagara e si sono pertanto aggiudicate il ruolo di pro-vider.In generale le cooperative hanno affidato a soggettiesterni parte dell’attività (call center, gestione del-l’informatizzazione e altri supporti tecnologici),utilizzando sub-fornitori.Secondo le indicazioni del bando di gara, sonoreclutabili nella sperimentazione i pazienti segna-lati dalla Regione sulla base dei dati della BancaDati Assistito, iscritti negli elenchi dei medici socidella cooperativa.

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Ministero della Salute

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I numeri di assistiti reclutati sono risultati piùche sufficienti ai fini della sperimentazione e per-tanto la Regione ha deciso, al momento, di nonestendere la sperimentazione ad altri provider.Sulla base del modello organizzativo definito dallaRegione gli attori della sperimentazione risultanoessere i seguenti.• I pazienti: il paziente viene informato di que-

sta nuova possibilità di presa in cura e firmandoun consenso informato accetta deliberatamentedi prendere parte alla sperimentazione CReG.Il paziente consente, ovviamente, il tratta-mento dei propri dati personali secondo lemodalità previste dalla sperimentazione, chegli vengono illustrate.

• I medici di medicina generale: raggruppatiin cooperative, che arrivano ad avere almeno5000/6000 pazienti in cura, garantiscono laregia del percorso, l’integrazione delle diversetappe dello stesso e rappresentano il riferi-mento costante dei pazienti secondo le moda-lità sopra descritte. In particolare, nell’ASL diBergamo, la Cooperativa Iniziativa MedicaLombarda (IML) organizza 207 soci medicidi medicina generale, su circa 700 MMG ope-ranti nel territorio provinciale e su 350 medicisperimentatori operanti complessivamentenelle varie ASL coinvolte, costituendo pertantoun campione particolarmente rappresentativodi operatività nella realtà concreta dell’orga-nizzazione della professione (“real life”).

• Le ASL: hanno una funzione essenziale di co-ordinamento, verifica e controllo sul buon an-damento del progetto e sull’adeguata erogazionedei LEA per i pazienti arruolati nel CReG.

• La Regione: ha definito con delibera le regoledella sperimentazione, ha sviluppato gli algo-ritmi per classificare i pazienti e per individuarele EPA ed è il garante istituzionale della cor-rettezza di gestione.

Stato dell’arte

A oggi la sperimentazione, con avvio dal 1° no-vembre 2012, che coincide temporalmente conl’ultimazione della predisposizione dei PAI pertutti gli 80.000 pazienti arruolati:• è in atto in 5 ASL (Bergamo, Como, Lecco,

Milano città, Melegnano);• vede coinvolti circa 350 MMG riuniti in 7/8

grandi cooperative;• ha arruolato circa 80.000 pazienti afferenti a

cronicità (pure o associate con altre condizioni)quali l’ipertensione, la cardiopatia ischemica, labroncopneumopatia ostruttiva, il diabete e ledislipidemie.

A oggi la nuova modalità di presa in carico perquesti 80.000 pazienti dura quindi da circa 8 mesi.

Prime evidenze e ulteriori spunti di lavoro

Al momento non sono ancora disponibili i datirelativi agli indicatori di processo e all’elaborazionedei dati di spesa.Tutti i medici sperimentatori, con l’utilizzo disoftware estrattori, forniscono, a partire dalle pro-prie schede sanitarie informatizzate, i dati relativiagli indicatori di processo, che sono in corso dielaborazione. Sono in corso d’implementazione,presso gli studi dei medici sperimentatori, strategiedi telemedicina e di telemonitoraggio. In attesadi disporre di risultati definitivi è possibile forniredati preliminari relativi alla classificazione dei pa-zienti inclusi nella sperimentazione, dati che ven-gono riportati nei paragrafi seguenti.È comunque da rilevare come si tratti, per dimen-sioni, di una delle più estese sperimentazioni ge-stionali della cronicità e i cui risultati potranno for-nire un contributo significativo rispetto alle propostedi gestione della più importante criticità dei sistemisanitari rappresentata dalla sostenibilità dell’assi-

Revisione critica dei modelli gestionali 5

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Page 106: Paziente Complesso (Criteri di Appropriatezza Clinica ... · Salute);Marcella Marletta (Direzione Generale dei Dispositivi Medici, del Servizio Farmaceutico e della Sicurezza delle

stenza. La sperimentazione lombarda rappresenta,inoltre, un test per il futuro delle cure primarie eper il ruolo che, nella gestione delle stesse, potrannosvolgere i professionisti: la partnership tra pubblicoe privato può realizzarsi anche in collaborazionecon i professionisti e non solo con gli apportatoridi capitali.

Macropanoramica Classificati Cronici 2010(tutta la Regione)

I dati contenuti nella Tabella 5.1 sono riferiti aiconsumi 2010 e hanno come limite quello di in-cludere solo pazienti che hanno l’esenzione percronicità che viene integrata e anche corretta, aifini della classificazione, con i consumi di farma-ceutica, ambulatoriale e ricovero. Ciò significache un paziente esente per ipertensione a seguitodella verifica di consumo può essere classificatocome cardiopatico/vasculopatico.

Macropanoramica Classificati Cronici 2012(tutta la Regione)

I dati contenuti nella Tabella 5.2 sono riferiti aiconsumi 2012 e, a differenza del 2010, includonoanche i pazienti che pur non avendo l’esenzionehanno i consumi propri di una determinata pa-tologia. Nel 2010 l’iperteso era individuabile solose aveva l’esenzione, nel 2012 l’iperteso entra se,pur non avendo l’esenzione, fa rilevare i consumipropri dell’ipertensione. I pazienti definibili comecronici passano da 1.600.000 a più di 3.000.000su circa 10.000.000 di abitanti.Primo insegnamento: l’esenzione per patologianon descrive in modo adeguato la prevalenzadelle malattie croniche. Il fenomeno sopra descritto viene di seguito esem-plificato per l’ipertensione. Risulta (consumi2012) che il 32% degli ipertesi non è esente cometale.

80

Ministero della Salute

CReG Descrizione Classificati

Numero assistiti Frequenza sul totale Frequenza PURI 1-B

101 Insufficienti renali con dialisi 323 0,03%

201 Ossigenati 1159 0,11%

301 Scompensati 91.192 8,81%

401 Broncopneumopatici 12.916 1,25%

501 Cardiopatici-vasculopatici 310.030 29,97%

601 Insufficienti renali senza dialisi 1646 0,16%

701 Diabetici insulinici 6091 0,59%

801 Ipercolesterolemie familiari e non 34.595 3,34%

901 Ipertesi 456.973 44,17%

A01 Asmatici 38.969 3,77%

B01 Diabetici non insulinici 80.664 7,80%

Totale PURI 1-B PURI in sperimentazione 1.034.558 100%

Pluripatologici Pluripatologici in sperimentazione 578.347 36%

Totale 1.612.905 100%

64%

Tabella 5.1 Macropanoramica Classificati Cronici 2010

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A ciò si aggiunge anche un’altra importante evi-denza: nel 18% dei casi gli ipertesi lo sono solo inquanto esenti e non presentano nel 2012 consumi.Questo è un altro obiettivo del CReG: fare luce suquesta parte significativa di soggetti, che si pre-senta anche per le altre condizioni patologiche,che pare essere curata in modo non adeguato e/ocon una marcata discontinuità di compliance. Laconvinzione è quella che non si tratti solo di inap-propriatezza per difetto, ma che in questo gruppodi soggetti possano esserci anche dei pazienti chetrovano un compenso clinico adeguato con alter-native “comportamentali” (es. dieta, attività fisica)alla terapia farmacologica classica (Tabella 5.3).Nella Tabella 5.4 si osserva un altro aspetto im-portante legato alla cronicità, alla sua classifica-zione e al suo monitoraggio: nella stessa coorte dipazienti classificati come ipertesi in due anni il20% circa evolve verso una condizione di salute

peggiore. L’obiettivo è ottenere che, con la presain carico dei pazienti secondo il modello organiz-zativo CReG, si rallenti l’evoluzione verso unmaggiore danno d’organo delle principali patolo-gie croniche che, soprattutto nella loro prima fase,sono molto ben controllabili con una buona com-pliance dei pazienti rispetto alle terapie farmaco-logiche (vedi ipertensione e diabete).

Il Chronic Care Model in Toscana

Le problematiche legate alla cronicità costituisconouna seria preoccupazione a livello internazionale.La crescente incidenza delle malattie croniche siavvicina a livelli epidemici e trovare strategie effi-caci, basate sull’evidenza, per promuovere la salutee prevenire e gestire le malattie croniche è essenzialeper l’efficienza e l’efficacia dei servizi sanitari. L’utilizzo del Chronic Care Model (CCM) ha aiutato

Revisione critica dei modelli gestionali 5

81

CReG Descrizione Classificati

Numero assistiti Frequenza sul totale Frequenza PURI 1-B

101 Insufficienti renali con dialisi 227 0,01%

201 Ossigenati 981 0,06%

301 Scompensati 137.730 8,70%

401 Broncopneumopatici 55.749 3,50%

501 Cardiopatici-vasculopatici 416.153 26,40%

601 Insufficienti renali senza dialisi 1831 0,10%

701 Diabetici insulinici 10.983 0,70%

801 Ipercolesterolemie familiari e non 91.988 5,80%

901 Ipertesi 678.461 43,00%

A01 Asmatici 107.680 6,80%

B01 Diabetici non insulinici 74.622 4,70%

Totale PURI 1-B PURI in sperimentazione 1.576.405 100%

PURI Rami C-S PURI fuori sperimentazione 583.127 18%

Pluripatologici Pluripatologici (dentro e fuori sperim.) 1.068.231 33%

Totale 3.227.763 100%

49%

Tabella 5.2 Macropanoramica Classificati Cronici 2012

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Ministero della Salute

CReG

Ese

Ric

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0.76

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857

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SDO

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710%

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11

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SDO

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540%

28.4

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.669

698

SDO

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740%

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3.10

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7849

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SDO

Far

2752

0%1.

187.

137

19.8

56.3

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6.04

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798

SDO

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1658

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.687

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535.

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1.29

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Ese

SDO

803

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1.41

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726

155.

885

476.

283

593

SDO

1859

0%67

0.78

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.950

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309.

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2.69

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Amb

Far

11.8

692%

4.38

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284.

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3.20

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730.

678

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5108

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1.10

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581

Ese

Amb

4877

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738

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22.1

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313.

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.345

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Far

192.

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121.

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43,4

%

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le organizzazioni sanitarie ad adottare soluzioni ef-ficaci e pertinenti a questa sfida. Tuttavia, il CCMusualmente applicato è orientato alla gestione cli-nica ed è difficile da utilizzare per mettere in attostrategie di prevenzione e promozione della salute.

Expanded chronic care model

Per meglio integrare gli aspetti di prevenzione epromozione della salute un gruppo di ricercatoricanadesi ha proposto una versione allargata (“ex-panded”) del Chronic Care Model, dove gli aspetticlinici sono integrati da quelli di sanità pubblica,quali la prevenzione primaria collettiva e l’attenzioneai determinanti della salute in un’ottica di Commu-nity Oriented Primary Care; gli outcome non ri-guardano solo i pazienti ma le comunità e l’interapopolazione. Con questo nuovo modello gli sforzidella prevenzione sono di ampio respiro, con il ri-conoscimento dei determinanti sociali della salutee una maggiore partecipazione della Comunità. Questo approccio alla sanità di iniziativa ha la ca-ratteristica di unire l’empowerment del pazientecon l’approccio comunitario: l’accessibilità allecure, l’informazione, la proattività e l’autocura

insieme ai bisogni della comunità, alla partecipa-zione, alla lotta alle disuguaglianze, alla preven-zione primaria (Figura 5.1).Questo modello permette di superare l’approccioper patologia (disease oriented), focalizzando l’at-tenzione sul rischio, e in particolare su quello car-diovascolare, vero tracciante del rischio di cronicità(Figura 5.2). Soltanto un modello “person-focused”può portare un reale vantaggio nella qualità dellacura delle malattie croniche nelle persone svan-taggiate.La Regione Toscana ha scelto di adottare il modello“expanded” perché unisce l’esigenza di maggioreefficienza ed efficacia nella gestione della cronicitàcon quella di valorizzare la prevenzione primaria edi contrastare le disuguaglianze nella salute. Fin dagli anni Settanta la ricerca scientifica ha di-mostrato il ruolo fondamentale dei fattori sociali,economici e ambientali per il mantenimento dellasalute e del benessere. I determinanti più signifi-cativi della salute sono i fattori sociali ed econo-mici, non quelli più strettamente legati ai servizisanitari o a scelte personali e comportamenti. Peresempio, gli individui, le famiglie e le comunità abasso reddito hanno più probabilità di avere pro-

Revisione critica dei modelli gestionali 5

83

CReG Numero Frequenzedi arruolati

Ipertesi 901 14.493 79,88%

Cardiopatici 501 1126 6,21%

Ipercol. ipertesi 812 995 5,48%

Scompensati 301 364 2,01%

Ipertesi diab. n.i. 922 332 1,83%

Ipertesi neopl. att. 952 214 1,18%

BCPM, ipertesi 452 205 1,13%

9G2 157 0,87%

Ipertesi, tireopatie 9I2 137 0,76%

Ipercol. ipertesi 813 120 0,66%

Tabella 5.4 Evoluzione Cronicità 2010 vs 2012 Ipertesi Puri (901)

Numero di arruolati

50000 10.000 15.000

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84

Ministero della Salute

Figura 5.1 Expanded Chronic Care Model.

Costruire salutePolitica pubblica

Creareambientifavorevoli

Rafforzarele azioni

comunitarie

Svilupparele abilità personali

Comunità

Sistema Sanitario

Riorientarei servizi sanitari

Supportoalle decisioni

Sistemadi informazioni

Comunitàattiva

Interazioni

e relazioni produttive

Outcome di salute/Outcome funzionali e clinici

Pazienteinformato

Promuoverela proattività

della comunità

Promuoverela proattività

del team

Politica pubblicaCostruire salute

favorevoliambientiCreare

comunitariele azioni

Rafforzare

Sistema Sanitario

Politica pubblicaCostruire salute

comunitarie

le abilità personali

Comunità

Sviluppare

i servizi sanitariRiorientare

Sistema Sanitario

Comunità

i servizi sanitariRiorientare

alle decisioniSupporto di informazionidi informazioni

Sistema

attivaComunità

informatoPaziente

Outcome funzionali e cliniciOutcome di salute/

e relazioni produttive

Interazioni

informatoPaziente

Outcome funzionali e cliniciOutcome di salute/

e relazioni produttive della comunitàla proattivitàPromuovere

del teamla proattivitàPromuovere

della comunitàla proattivitàPromuovere

Figura 5.2 Tipologia di intervento sulla base del grado di rischio.

Stratificazione della popolazione secondo il livello di rischio(Expanded CCM, Kalser Permanente)

CCM RT: patologie conclamate (diabete, scompenso cardiaco, BPCO, ictus)

Casemanagement

Cure di fine vita

Diseasemanagement

Selfmanagement

PrevenzioneprimariaEsposti al rischio

BASSO RISCHIO

Fasi iniziali della patologia

RISCHIO MEDIO

ALTO RISCHIO

FASITERMINALI

Patologia conclamata

CCM RT

Appropriatezzamoduli

multidisciplinari

Target terapeuticiAppropriatezza

team

Prevenzionesecondaria,

mantenumentodello stato di salute

Medicina delle persone sane,

anticipatoria

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blemi fisici, sociali e di salute mentale rispetto aquelli con i redditi più alti. In questa categoria dipersone, inoltre, è più alta la probabilità di morireprima di altri membri della popolazione, a pre-scindere dalla causa di morte considerata.

Il progetto toscano e la sua attuazione

Il Piano Sanitario Regionale (PSR) 2008-2010,alla luce delle dinamiche demografiche ed epide-miologiche regionali che evidenziano la tendenzaall’invecchiamento della popolazione e il conse-guente aumento della prevalenza delle patologiecroniche, individua, come strategia di risposta, losviluppo di una sanità d’iniziativa, ovvero di unmodello assistenziale che sia in grado di intervenire,quando possibile, prima dell’insorgere della ma-lattia e di gestire la malattia stessa in modo tale darallentarne il decorso e limitarne le riacutizzazioni,garantendo al paziente interventi adeguati e diffe-renziati in rapporto al livello di rischio.Il PSR 2008-2010 (punto 4.3.1) e il parere37/2008 del Consiglio Sanitario Regionale, rece-pito con DGR n. 894/2008, indicano come mo-dello di riferimento per l’attuazione della sanitàd’iniziativa a livello territoriale l’Expanded ChronicCare Model, che affida a un team assistenzialemultiprofessionale la gestione proattiva dei pa-zienti affetti da patologie croniche sulla base dipercorsi assistenziali predefiniti e con il supportodi sistemi informatizzati, nonché l’adozione diiniziative di prevenzione primaria e la promozionedi corretti sili di vita nei confronti di tutti i propriassistiti.L’adozione e lo sviluppo di una “sanità d’inizia-tiva”, ovvero di un modello assistenziale che – in-tegrando quello classico della “medicina d’attesa”,disegnato sulle malattie acute – sia in grado di ri-spondere al bisogno di salute prima dell’insorgeredella malattia e di gestire la malattia stessa in

modo tale da rallentarne il decorso e prevenirnele riacutizzazioni e le complicanze, garantendo alpaziente interventi adeguati e differenziati in rap-porto al livello di rischio, costituiscono la rispostaorganizzativa alle problematiche legate all’invec-chiamento della popolazione e all’aumento deipazienti cronici.Le dinamiche demografiche ed epidemiologichedella Regione Toscana evidenziano la tendenzaall’invecchiamento della popolazione, con il con-seguente aumento della rilevanza delle patologiecroniche. Nel 2011 l’indice di vecchiaia e l’inci-denza di “grandi vecchi” erano tra i più alti d’Italia(Tabella 5.5).Dall’analisi del profilo di salute regionale (Rela-zione sanitaria regionale 2003-2005), rispetto adalcune patologie croniche di grande rilevanzaemerge che:• oltre 150.000 pazienti sono in trattamento

con farmaci antidiabetici;• circa 770.000 pazienti sono in cura con far-

maci ipertensivi;• circa 55.000 anziani ultrasessantacinquenni

sono affetti da scompenso cardiaco;• circa 100.000 anziani ultrasessantacinquenni

sono affetti da BPCO;• ogni anno si verificano poco meno di 11.000

ictus cerebrali;• circa il 9% degli anziani ultrasessantacinquenni

è affetto da almeno 3 patologie croniche.I cardini della strategia regionale per l’assistenzaterritoriale si possono dunque così riassumere:• garanzia di risposta al bisogno sanitario urgente; • gestione e cura delle patologie croniche me-

diante interventi proattivi e strutturati, basatisu percorsi condivisi che assicurano continuità,efficienza nell’utilizzo delle risorse ed efficaciaper il cittadino;

• tutela dei soggetti fragili, non autosufficienti,a bassa scolarizzazione;

Revisione critica dei modelli gestionali 5

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• promozione della salute, in termini di correttaalimentazione, stili di vita e attività fisica.

In relazione a quest’ultimo aspetto, il PSR2008/2010 promuove in particolare l’Attività Fi-sica Adattata (AFA) come programma di eserciziofisico, non sanitario, svolto in gruppo e supervi-sionato dalle ASL. Il modello toscano della sanità d’iniziativa affidal’attuazione degli interventi clinici a un team multi -professionale coordinato da un MMG, in cui ope-rano più medici di famiglia, infermieri e operatorisociosanitari, supportati di volta in volta da ulte-riori figure professionali, a seconda delle esigenzedi diagnosi, cura e assistenza connesse a specifici

percorsi definiti per la gestione delle singole pato-logie croniche. I vari team assistenziali sono affiancati dalla figuradel medico di comunità dell’azienda sanitaria lo-cale, che agisce in una dimensione complementarea quella clinica, presidiando quegli aspetti di sanitàpubblica che caratterizzano l’Expanded CCM, qualil’attenzione alle condizioni non solo sanitarie, maanche sociali, economiche e culturali degli assistitie alla prevenzione primaria.Al medico di famiglia è riconosciuto il ruolo di re-sponsabile organizzativo del team e clinico delpaziente, quale figura che mantiene un ruolo cen-trale legato al rapporto di fiducia che intrattiene

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Ministero della Salute

Regiore: Toscana

Popolazione residente: 3.749.813

Anno: 2011

Genere Residenti Incidenza Italia

Femmine 1.944.681 51,86% 51,48%

Maschi 1.805.132 48,14% 48,52%

Indicatori demografici Toscana Italia

Indice di vecchiaia 1,829 1,445(≥ 65/≤ 14)

Indice di dipendenza 0,563 0,523(≤ 14 + ≥ 65/> 14 + < 65)

Prevalenza femminile tra anziani 57,80% 57,80%(F ≥ 65/M e F ≥ 65)

Incidenza “grandi vecchi” 12,01% 10,14%(≥ 85/tutti)

Provincia N. comuni Popolazione Età Indice Indice Prev. femminile Incidenzaresidente media di vecchiaia di dipendenza tra anziani “grandi vecchi”

Massa Carrara 17 203.901 46,0 2,086 0,555 59,00% 12,59%

Lucca 35 393.795 45,2 1,852 0,559 58,51% 11,79%

Pistoia 22 293.061 44,8 1,767 0,552 57,81% 11,59%

Firenze 44 998.098 45,2 1,809 0,579 58,06% 12,27%

Livorno 20 342.955 45,9 2,043 0,574 57,56% 12,29%

Pisa 39 417.782 44,5 1,732 0,546 57,53% 11,31%

Arezzo 39 349.651 44,6 1,759 0,547 56,60% 11,89%

Siena 36 272.638 45,6 1,940 0,583 57,54% 13,36%

Grosseto 28 228.157 46,3 2,123 0,568 57,69% 12,76%

Prato 7 249.775 43,1 1,425 0,528 57,30% 10,08%

Toscana 287 3.749.813 45,1 1,829 0,563 57,80% 12,01%

Tabella 5.5 Dinamiche demografiche ed epidemiologiche della Regione Toscana

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con il cittadino. Nella prospettiva di sanità pub-blica che connota il modello assistenziale indicatodal PSR, il medico di famiglia partecipa inoltre algoverno clinico del sistema, garantendo l’appro-priatezza e la qualità delle cure e orientando l’at-tività del team verso obiettivi condivisi, misurabiliattraverso specifici indicatori.Nella Tabella 5.6 è riportato un esempio di schedaindicatori nel primo anno di attività.Lo svolgimento delle attività previste dai percorsiassistenziali richiede la valorizzazione del ruolodell’infermiere e dell’operatore sociosanitario. Inparticolare, l’infermiere assume autonomia e re-sponsabilità per funzioni specifiche attinenti allagestione assistenziale del paziente, individuate inmaniera concordata con il medico di famigliasulla base dei percorsi assistenziali aziendali, qualiil supporto all’auto-cura, la gestione dei sistemidi allerta e richiamo dei pazienti e lo svolgimentodelle attività di follow-up. L’operatore sociosanitariocostituisce a sua volta una risorsa di supporto perlo svolgimento delle attività assistenziali previstedal modello, svolgendo allo stesso tempo le fun-zioni di assistenza alla persona al domicilio delpaziente nei casi di non autosufficienza o laddoverisulti comunque necessario.I componenti del team si coordinano con gli altriprofessionisti coinvolti in relazione alla patologiae al livello di rischio dei pazienti, secondo quantoprevisto dai percorsi assistenziali, e si relazionanocon il medico di comunità di riferimento per il mo-nitoraggio dei risultati dell’attività svolta. La mag-gior parte dei pazienti cronici è in realtà affetta dapiù patologie la cui interazione produce condizionicliniche complesse, dinamiche, soprattutto nellesituazioni cliniche più avanzate. Il modello de-scritto, orientato alla singola malattia, deve esserepertanto integrato, nel singolo caso, in modo darealizzare un percorso di cura indirizzato alla per-sona nella sua costellazione di comorbilità.

Gestione e attuazione del progetto

Ogni ASL ha individuato un proprio referenteper la sanità d’iniziativa, quale punto di contattotra la direzione sanitaria aziendale e le struttureregionali di gestione del progetto.I coordinatori (MMG) dei moduli, scelti dai me-dici di famiglia del team, costituiscono l’interfacciafra i moduli e il referente aziendale.I PDTA sono stati costruiti da ogni singola ASLa partire dai documenti di indirizzo definiti dalConsiglio Sanitario Regionale con parere 52/2008.I percorsi assistenziali individuati sono stati: dia-bete mellito di tipo 2, scompenso cardiaco, iper-tensione, BPCO e ictus. La sanità d’iniziativa hapreso il via con i primi due percorsi. L’introduzione del CCM rende ancora più attualela ridefinizione organizzativa della medicina ge-nerale, che vede nel modello “Casa della Salute”l’attuazione più organica al SSN, di quanto pre-visto dall’accordo collettivo nazionale con l’intro-duzione delle UCCP (Unità Compresse di CurePrimarie).Il modello di assistenza per le cure primarie, notocon il termine “Casa della Salute”, è nato da unprogetto della CGIL, fatto proprio dall’ex Mini-stro della Salute Livia Turco nel 2006, ed è ormaisviluppato in diverse realtà del Paese.L’organizzazione della “Casa della Salute” si basasu alcuni principi costitutivi concernenti il settingassistenziale e i modelli operativi da adottare (ba-sati sul lavoro in team multiprofessionale) che,seppure modulari e incrementabili a seconda delbacino di utenza e delle dimensioni della struttura,rappresentano tratti comuni che vanno necessa-riamente richiamati:• l’aggregazione nello stesso spazio fisico dei

MMG del ruolo unico (ex medici di assistenzaprimaria e continuità assistenziale) che vi eleg-gono il proprio studio professionale principale

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e che, ai fini della continuità delle cure perl’arco delle 24 ore, permettono l’accesso ai datidei propri assistiti grazie alle opportunità of-ferte dalla rivoluzione digitale (cartelle clinicheinformatizzate, registri di patologia, ricette elet-troniche, prenotazioni CUP ecc.);

• co-presenza nella struttura degli specialisti am-bulatoriali (SA) delle principali branche che,previa definizione di specifico protocollo, for-niscono ai MMG consulenza in tempo reale,in aggiunta alle consuete attività programmate;

• co-presenza di personale afferente alle diverseprofessioni sanitarie: infermieri, fisioterapisti,assistenti sociali ecc. responsabili del processoassistenziale che acquisiscono, in accordo conil MMG, il ruolo di case manager e disease ma-nager per i pazienti complessi e affetti da plu-ripatologie e per le loro famiglie. La persona-lizzazione dell’assistenza e degli interventi al-l’interno dei percorsi standard implementatiper patologia nell’ambito del Chronic Care Mo-

del (CCM) è fondamentale per il raggiungi-mento degli esiti desiderati e richiede una fortesinergia tra medico di medicina generale e in-fermiere;

• partecipazione attiva del personale adibito al-l’assistenza sociale, all’educazione sanitaria ealla prevenzione che integra le attività sanitariecon quelle socioassistenziali e di educazione aicorretti stili di vita, secondo le logiche insitenell’Expanded Chronic Care Model, in cui ac-quistano grande valenza l’implementazionedelle risorse della comunità e l’adeguamentodell’ambiente di vita quotidiano;

• presenza di personale amministrativo cui ven-gono demandate l’organizzazione funzionaledella struttura, la tenuta dei registri dei pazientie le incombenze burocratiche di vario genere;

• collegamento funzionale con l’ospedale di ri-ferimento, le strutture di riabilitazione, dilungo-degenza e le strutture intermedie, attra-verso la definizione di specifici protocolli.

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Ministero della Salute

Diabete mellito

Prog. Indicatore Tipo I Fonte Tempistica T/valutazione

– Messa a disposizione elenco pazienti diabetici Processo Archivio MMG Modulo Semestrale 0

1 Numero pazienti diabetici che hanno effettuato Processo ARS/ASL Trimestrale Mese 12 almeno una misurazione annuale di emoglobinaglicata

2 % pazienti diabetici con misurazione Processo Archivio MMG Modulo Semestrale Mese 12 della circonferenza vita negli ultimi due anni

3 % counseling individuale e di gruppo Processo Archivio MMG Modulo Trimestrale Mese 12 o invio fax da infermiere

4 % pazienti addestrati all’automonitoraggio Processo Archivio MMG Modulo Semestrale Mese 12 della glicemia

5 % pazienti della coorte con emoglobina glicata < 7 Esito Archivio MMG Modulo Trimestrale Mese 12 senza terapia farmacologica

Presa in carico: consegna elencoObiettivo intermedio: raggiunti 3 obiettiviObiettivo finale: raggiunti 4 indicatori tra i quali l’indicatore di esito

Tabella 5.6 Esempio di scheda indicatori nel primo anno di attività

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Sono questi gli elementi di contesto che possonofare della “Casa della Salute” un reale punto di ri-ferimento per un’efficace implementazione di unmodello di servizi territoriali che si assume perintero la gestione delle patologie croniche. Dati preliminari ottenuti nella ASL 11 di Empoli

indicano la capacità dell’approccio CCM di ri-durre nei diabetici il ricorso alle visite specialisti-che e i ricoveri e di migliorare il controllo meta-bolico e nei pazienti con BPCO di migliorare lecondizioni cliniche e ridurre la frequenza dei ri-coveri.

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Rilevatore Verifica Start up ASL Risultato atteso Variabilità Report

Coord. Med. com. No Numero pazienti pari almeno ± 1,5% Scheda Regionea prevalenza diabete del 5,5%

Med. com. Med. com./Coord. Sì > 70% pazienti diabetici in carico a MMG No Scheda Regione

Coord. Med. com. Sì > 70% pazienti diabetici in carico a MMG No Scheda Regione

Coord. Med. com. Sì > 70% pazienti diabetici in carico a MMG No Scheda Regione

Coord. Med. com. Sì > 50% pazienti diabetici in carico a MMG No Scheda Regione

Coord. Med. com. Sì > 10% rispetto al valore di partenza No Scheda Regione o almeno 20% dei pazienti in carico a MMG

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6. Gli strumenti tecnologici degli approcci di sistema alla complessità:Systems Biology e Systems Medicine

zione grazie all’acquisizione continua dell’infor-mazione, che attraverso appropriati algoritmiprende forma in cluster a significatività crescente.L’approccio “di sistema” alla Biologia concettua-lizza l’ambito disciplinare della Systems Biologyche quindi, applicata come strumento conosci-tivo – forte di strumenti computazionali avanzatie in stretta connessione con i domini culturalidella computer science – di tipo integrativo ai do-mini fisiologici ed eziopatogenetici, definisce laMedicina di Sistema o Systems Medicine. Questoapproccio è l’unico in grado di consentire unacomprensione del Fenotipo Complesso, in altreparole quella condizione che non è più la sommadei fenotipi tipici collegati a ogni singola patologiaeventualmente concorrente nello stesso individuo,ma è la risultante dell’integrazione e interazionedi tutte le componenti caratterizzanti la “persona”e quindi persona-centriche, dalla fisiopatologiaclassica agli stili di vita passando per il corredogenetico e gli aspetti (poli)-farmacologici. È im-portante anche considerare l’evidente bias intro-dotto dal fatto che le ontologie categoriali classiche(diagnosi) sono quasi omogeneamente basate equindi definite da criteri obsoleti e relativamentepoco funzionali. Questo bias si rende particolar-mente evidente nella gestione delle malattie cro-niche non trasmissibili quali cancro, scompenso

Dal riduzionismo all’integrazione: elementi co-stitutivi e impatto operativo della P4 medicine/Integrated Care.

Introduzione e definizioni generali

Nel passaggio dall’approccio riduzionistico eziopa-togenetico e fisiopatologico delle ontologie classiche(diagnosi categoriali) agli approcci integrativi dimodellizzazione della complessità in biomedicinasi è assistito negli ultimi anni a una rapida acquisi-zione – fondamentalmente istigata dalla necessitàdi “dare significato” all’enorme e crescente mole didati di caratterizzazione molecolare e cellulare, pos-sibile grazie all’evoluzione delle tecnologie highthroughput – da parte della biologia classica deglistrumenti di modellizzazione (modelling) matema-tica e computazionali per, in definitiva, compren-dere più a fondo il “sistema” biologico attraversouna definizione – più che delle singole parti com-ponenti – delle loro interazioni ed emergenze. Con un approccio integrativo il “sistema” puòquindi essere estensivamente definito tanto in ter-mini quantitativi che qualitativi. La comprensionequali-quantitativa degli elementi costitutivi tra lorodinamicamente e sinergisticamente collegati di unsistema biologico consente una modellizzazionedello stesso, open end – ovvero in continua defini-

Ministero della Saluten. 23, settembre-ottobre 2013

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cardiaco, broncopneumopatia cronica ostruttiva(BPCO), diabete e neurodegenerazione. La Systems Medicine, infatti, integra non solo leinformazioni del dominio cellulare e molecolare,ma anche quelle provenienti dal dominio fisiolo-gico e clinico vero e proprio, configurando unapproccio olistico centrato sul soggetto umanoinvece che sulla singola patologia o sulle patologieche possono simultaneamente concorrere (multi-morbilità).Un approccio di questo tipo, che si proietta benal di là delle promesse della computational biologye delle stesse medical genomics e medical informa-tics, consente alla medicina di essere non solo“Personalizzata” (ovvero persona-centrica) ma an-che “Predittiva” (evoluzione temporale dei modellie loro crescente e via via più precisa rappresenta-tività della situazione reale) e quindi struttural-mente “Preventiva” oltre che “Partecipatoria” pro-prio perché centrata sulla “Persona”: P4 medicine.I maggiori programmi di finanziamento della ri-cerca a livello internazionale – quali, per esempio,il Programma Quadro della Commissione Euro-pea – continuano a investire in questo campo in-genti risorse anche per la potenzialità che un ap-proccio olistico di questo genere mostra per l’ot-timizzazione dei processi gestionali (analizzati afondo in altre parti di questo Quaderno) dei si-stemi sanitari. In questo Capitolo andremo a descrivere, di questa(relativamente) nuova disciplina, quelli che sonogli strumenti propri attraverso l’integrazione deiquali si può implementare concretamente un ap-proccio di sistema. La conoscenza di questi stru-menti non può non essere contenuta nel corredodel clinico che si trovi ad affrontare le sfide rap-presentate dalla complessità in medicina.I processi di analisi dei modelli gestioniali affron-tati nei precedenti capitoli del Quaderno e le pro-gettualità di seguito delineate non possono che

tenere in considerazione proprio questi strumentiper una loro integrazione nella pianificazione dellestrategie di ricerca a medio e lungo termine oltreche della politica sanitaria vera e propria.

Risorse di laboratorio, cliniche, di gestione dei dati e di formazione

Negli ultimi due decenni si è assistito a un incre-mento senza precedenti delle possibilità offerte dalletecnologie “high throughput” in termini di qualitàe quantità (oltre che ottimizzazione) della “misura”molecolare e cellulare a livello, soprattutto, geno-mico e proteomico. L’invenzione dei DNA-chiprisale, ormai, al 1990. Per comprendere il livello dievoluzione tecnologica di queste metodologie è suf-ficiente ricordare che il sequenziamento del genomaumano ha richiesto uno sforzo globale durato circa10 anni al costo di circa un miliardo di dollari.Siamo ora in grado di ottenere lo stesso risultato,con metodiche di Next Generation Sequencing –NGS – (vedi dettaglio nei paragrafi seguenti) inpochi giorni e con un costo nettamente inferiore esaremo presto in grado di farlo in pochi minuti alcosto di circa 1000 dollari. Tempi e costi si sonoridotti di circa 6 ordini di magnitudine.Gran parte di queste tecnologie di misura mole-colare (e cellulare) è completamente adattabile aun approccio analitico “di sistema” quale quelloalla base della Systems Biology (e quindi SystemsMedicine) anche in considerazione del fatto che,parallelamente, è evoluto l’approccio alla gestione,integrazione e comprensione del dato.L’evoluzione di sistemi di misura (e d’integrazionedei dati complessi), pioneristicamente esplorati eadattati alle attività di ricerca nel campo dell’on-cologia – dove è ora possibile discernere nel-l’enorme eterogeneità genetica ed epigenetica dellecellule neoplastiche alcuni pattern di informazionesignificativi e quindi utili ai fini delle terapie per-

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Ministero della Salute

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sonalizzate (targeted therapies) –, ne consente oral’adozione in altre aree, quale – in via prioritariae per ora ai fini della sola attività di ricerca –quella delle malattie croniche non trasmissibili.L’obiettivo è integrare le evidenze sperimentali(genoma, transcrittoma, proteoma, metaboloma,esposoma ecc.) con quelle clinico-epidemiologicheper generare modelli predittivi che possano – finoal livello del singolo paziente – fungere da strati-ficatori per l’ottimizzazione della prevenzione,diagnosi e cura.

Misure cellulari e molecolari –Analisi del genoma

DNA microarrays

Il processo tecnologico alla base del funziona-mento dei DNA microarrays è ormai di dominiopressoché pubblico. In estrema sintesi è possibiledescriverlo come un processo di ibridizzazionedel campione di DNA da analizzare su una su-perficie dove sono presenti delle “probes” nucleo-tidiche. Laddove avviene un “match” tra il cam-pione di DNA (single-stranded o cDNA) sulla re-lativa probe, la coppia è individuata attraverso l’in-dividuazione di target associati individuabili daappropriati sistemi di lettura (fluorofori, chemi-luminescenza ecc.).Attraverso ampie varietà di sistemi analitici laDNA microarrays consente facilmente la misura-zione di modificazioni nell’espressione genica, lagenotipizzazione dei singoli polimorfismi (singlenucleotide polymorphisms, SNP) o il conteggio ecaratterizzazione delle copie dei segmenti di DNAinteressati (cosiddette copy-number variations).In aggiunta ad analisi funzionali delle proteine(attraverso metodiche di over-espressione o silen-ziamento) i DNA microarrays sono utilizzati perla caratterizzazione dei cosiddetti signature genes

attraverso l’analisi bioinformatica dell’espressionedi migliaia di geni in campioni di tessuto. Questisono particolarmente importanti nel campo del-l’oncologia laddove, oltre che per analisi di cau-salità diretta, la caratterizzazione di questi geniconsente la comprensione di caratteristiche tu-more-specifiche quali, per esempio, la chemiore-sistenza, i pattern di progressione e recidiva ecc.In alcuni casi la correlazione dei pattern di espres-sione dei signature genes con elementi di chiarastratificazione prognostica è talmente solida (es.in alcune classi di tumore della mammella o inalcune leucemie) da essere oggi utilizzata ai finiclassificativi nella normale pratica clinica.Una metodica che si basa su DNA microarrays èla cosiddetta Comparative Genome Hybridization(array-CGH ), in cui il campione di DNA da te-stare viene messo in competizione con un cam-pione di DNA controllo per competere nel pro-cesso di ibridizzazione con la probe nota. Questametodica è molto utilizzata per individuare mi-crodelezioni e duplicazioni in portatori di ano-malie congenite o per individuare Copy NumberVariations in campioni tumorali.

Next Generation Sequencing (NGS)

Dal lancio dello Human Genome Project nel 1990si è assistito a un impressionante avanzamentodelle soluzioni tecnologiche per l’analisi dell’espres-sione genica. Il progetto genoma è durato 10 anni:oggi è possibile sequenziare un genoma umano inpochi giorni e con un costo inferiore di diversi or-dini di grandezza. Presto sarà possibile farlo in po-che ore a un costo marginale. Questo trend nellepossibilità offerte dalle nuove metodologie ha in-spirato il lancio di progetto “globali” quali il World -wide Personal Genome Project (PGP) o progetti suvasta scala orientati a comprendere fino in fondoil fenomeno della variabilità genomica.

Gli strumenti tecnologici degli approcci di sistema alla complessità: Systems Biology e Systems Medicine

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Tecniche di sequencingLa tecnologia alla base del NGS, ovvero la possi-bilità di analizzare un intero genoma in pochegiorni risiede in due soluzioni: 1) l’utilizzo simul-taneo di milioni di frammenti di DNA da testareche sono “spazialmente immobilizzati”; 2) l’analisiin parallelo su larga scala degli stessi. Gli eventidi “coupling”, identificati attraverso fluorescenzao attività polimerasica, vengono trasformati ineventi “digitali” e quindi ibridizzati con sequenzedi riferimento e analizzati con strumenti bioin-formatici avanzati. Amplificazione e coupling sonoi processi che determinano ancora costi e duratadegli esperimenti anche se, in previsione, questisaranno ridotti rispettivamente a poche migliaiadi dollari per genoma (one thousand dollar genome)e poche ore. Questo sarà verosimilmente possibilegrazie all’eliminazione proprio dei processi di am-plificazione e coupling e quindi attraverso il se-quenziamento diretto di singole molecole di DNA(metodiche note come “nucleotidetriphosphate-polymerase binding”, “nanonopore sequencing” e“scanning probe sequencing”, la cui descrizione vaal di là degli scopi di questo paragrafo).

“Total” vs “enriched” DNA sequencingIl NGS consente l’analisi dell’intero genoma inmodo efficace e quindi l’identificazione, virtual-mente, di tutti i possibili polimorfismi. Tuttavia,si tratta di un processo lungo e costoso che nonpuò essere eseguito routinariamente. Metodi comela microarray-based genomic selection (MGS) o lamultiplex exon capture o ancora bead-based enrich -ment based consentono di focalizzare l’attenzionesu aree di effettivo interesse specifiche per unapatologia (o gruppo di patologie). La promessadietro questo approccio (ancora perfettibile vistala complessità dei procedimenti preparatori al-l’analisi e la necessità d utilizzare grandi quantitàdi DNA sorgente da cui raffinare le porzioni di

interesse) è che dovendo sequenziare meno DNAper ogni paziente, in quanto il sequenziamento èfocalizzato sulle aree di effettivo interesse, si po-tranno effettuare analisi in parallelo di più cam-pioni simultaneamente, portando la metodologiaa un livello di usabilità da renderla potenzialmenteadottabile in un setting diagnostico su larga scala(quale, per esempio, può essere quello ospedalieroo addirittura del primary care). Specifiche tecnichedi arricchimento del DNA sono in via di perfe-zionamento. La possibilità di arricchire le aree digenoma specifiche da sottoporre al sequenzia-mento renderà questo approccio decisamente piùaccessibile per le finalità descritte sopra (diagno-stica su larga scala).

Copy number variations (CNV)Si definisce “CNV” un’alterazione genica analogaalle inserzioni e delezioni che però abbia interes-sato più di 1 kb di DNA. Queste alterazioni sonoimportanti, soprattutto nei processi di tumori-genesi.La comprensione in tempi recenti dell’importanzadelle CNV (e non solamente nella malattia neo-plastica) ha portato alla messa a punto di metodo-logie NGS adatte alla misura specifica di questotipo di alterazioni (prima effettuate in modo pocoefficiente attraverso analisi microscopica del band -ing cromosomico piuttosto che con PCR, FISH emicroarray classica o CGH). L’analisi avviene at-traverso paired-end sequencing laddove segmentibrevi di DNA, anche se lontani tra loro moltecentinaia di basi, sono accoppiati – paired ends – equindi analizzati insieme. L’introduzione di speci-fici algoritmi avanzati di tipo bioinformatico haquindi anche consentito l’analisi efficace di se-quenze cosiddette chimeriche, ovvero sequenzeche si trovano allo stato nativo in parti diverse delgenoma e che prima dell’analisi – chimeric read –necessitano di un accoppiamento specifico.

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DNA methylationLe variazioni epigenetiche ricoprono un ruolofondamentale su come l’eredità genetica, rappre-sentata dalla sequenza nucleotidica, venga tra-smessa di generazione in generazione. La metila-zione della citosina è un marker di variazioneepigenetica (necessario per la regolazione del-l’espressione genica e per il silenziamento dei tra-sposoni e di altre sequenze ripetute). L’alterazionedel processo di metilazione fisiologico (che nonmodifica le capacità di accoppiamento della ci-tosimìna) è ormai descritta come importante inmolte patologie e non più solamente in quelleneoplastiche (dove la metilazione è uno deglieventi più precoci nella tumorigenesi). Le meto-diche di analisi prevalenti per individuare la me-tilazione del DNA sono la reazione di bisulfiteconversion e l’analisi della restrizione metilazione-specifica.L’applicazione di tecniche di NGS in modo se-quenziale alle metodologie indicate sopra rendeora possibile l’analisi dei pattern di metilazionecon vantaggio in termini temporali ed economicinotevoli rispetto alle metodologie classiche (ana-logamente all’analisi dell’espressione genica verae propria). Tuttavia, Genome Wide Analysis (GWA)di questo tipo è ancora troppo costosa per un uti-lizzo su larga scala, per cui si procede solo a carat-terizzazioni di aree di interesse, opportunamentearricchite.

Analisi trascrittomicaLe metodologie classiche di sequenziamento delDNA non consentivano l’identificazione di“nuovi” trascritti in quanto i geni analizzati erano,in qualche modo, preselezionati. Le metodichedi NGS consentono, attraverso la trascrizione in-versa del mRNA in cDNA, un sequenziamentoche può consentire non solo l’analisi dell’espres-sione genica, ma anche l’identificazioe della base

genica di nuovi trascritti e quindi facilitare la sco-perta di nuove varianti “splice”.Il sequencing trascrittomico, già effettuato sull’in-tero trascrittoma di alcuni modelli (Drosophila,Arabidopsis ecc.) e su alcune linee cellulari, è inqualche modo gravato dalla perdita della compo-nente temporale (perdita quindi della possibilitàdi ricostruire modelli di cinetica cellulare). L’uti-lizzo di cosiddetti RNA “nascent” (ovvero appenagenerato) sembrerebbe consentire un superamentodi questo limite attraverso un’analisi seriale dicampioni multipli raccolti in momenti seguentiin modo da poter generare vere e proprie curve infunzione tempo. Il NGS ha anche consentitol’analisi su larga scala, attraverso un meccanismodi trascrizione inversa, e quindi sequenziamento,dei cosiddetti micro-RNA (miRNA) che si sonorecentemente dimostrati essere dei regolatori cru-ciali nel determinare l’evoluzione cellulare. L’ana-lisi trascrittomica classica (mRNA) associata alsequenziamento dei miRNA consente l’identifi-cazione di caratteristiche funzionali dell’accop-piamento miRNA-RNA target attraverso un’ana-lisi quali-quantitativa e quindi la caratterizzazionedi miRNA di recente scoperta.

Proteomica

La comprensione dell’omeostasi cellulare e la re-golazione dei meccanismi di comunicazione in-tra- e intercellulare non possono prescindere studidi genomica funzionale e di proteomica, ovverol’analisi sitematica delle proteine presenti in unacellula/tessuto/organo/sistema. I dati provenientidall’analisi proteomica integrano le misure mole-colari e cellulari nella base dati su cui si inserisconoquindi quelle attività di bioinformatica e modell -ing matematico, alla base delle analisi proprie dellaSystems Biology e Systems Medicine (quando inte-grate con informazioni di tipo clinico).

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Nei seguenti paragrafi descriveremo molto breve-mente le metodologie tipiche dell’analisi proteo-mica.

Elettroforesi su gel (2D – two-dimensional)Consente la separazione all’interno di miscelecomplesse di proteine (nell’ordine di 1000 a10.000) e utilizza come discriminanti peso mole-colare e carica elettrica. Isoelectric focusing (IEF) esodyum-dodecyl sulfate polyacrylamide gel electro-phoresis (SDS-PAGE) sono i due metodi sequen-ziali (potenziabili con la differential in gel electro-phoresis, DIGE) che consentono questa separa-zione. Le proteine “separate” attraverso la DIGEvengono quindi identificate (per studi di tipo bio-marcatoriale) con la spettrometria di massa.

Spettrometria di massaLa spettrometria di massa (mass spectrometry, MS)ha consentito importanti passi in avanti per l’iden-tificazione di biomarcatori rilevanti a diversi pro-cessi, tutti rilevanti ai fini diagnostici e terapeutici: • analisi dell’intero proteoma; • individuazione delle modifiche post-traslazio-

nali (post-traslational modifications, PTM); • analisi dell’effetto quantitativo della modula-

zione del signalling; • dettaglio dell’interazione proteina-proteina

(protein-protein interaction, PPI) per la carat-terizzazione dei pathways rilevanti;

• identificazione di metaboliti patologia-speci-fici.

In termini di estrema semplificazione gli studiproteomici possono essere distinti in “approcci discoperta” (discovery approaches) per la scoperta dinuovi marcatori e approcci di quantificazione evalidazione (analisi quantitativa di molecole note).Nei primi i macchinari di riferimento sono stru-menti che consentono una misurazione dellamassa molecolare con grande precisione (MALDI/

TOF/TOF, qTOF e LTQ Orbitrap), mentre neisecondi si utilizzano strumenti che sono “mass se-lective” (triple quadropole MS, QQQ MS) ovverocon capacità di misurare quantitativamente mole-cole di una data massa, estraendole da misturecomplesse (quali possono essere i liquidi biologiciprovenienti da esami di laboratorio eseguiti ai finidiagnostici). In particolare, questo tipo di misura-zioni (quantitative) sono particolarmente rilevantiper gli approcci di Systems Biology.

Arrays quantitativi (Quantitative Protein Arrays)La metodica della reverse phase protein array(RPPA) consente di identificare su un substratodi semplice lettura (un vetrino istologico) nonsolo l’espressione quantitativa di una proteina pre-sente, per esempio, in un lisato cellulare tumorale,ma anche il grado di fosforilazione della proteinaoggetto di indagine. Questo tipo di approccioquali-quantitativo estremamente focalizzato è statoe viene utilizzato in studi di Systems Biology. L’as-senza di un elevato numero di anticorpi necessaria rilevare le proteine e le loro forme fosforilate èl’unico bias, al momento, di questo approccio,molto promettente per esempio nella valutazionedegli effetti terapeutici in campo oncologico (so-prattutto se sono utilizzati agenti attivi su grandiclassi proteiche come fosfatasi e chinasi).

ImmunoistochimicaA latere delle metodiche high-throughput (omiche)l’immunoistochimica eseguita in modo omogeneoe su larga scala (come, per esempio, nello HumanProtein Atlas) è importante negli approcci di Sy-stems Biology e Systems Medicine dove le informa-zioni relative allo stato tissutale, cellulare e sub-cellulare di grandi coorti di pazienti sono neces-sarie. La verifica su base IHC si affianca agli studidi espressione omica e consente anche analisi dif-

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ferenziali di semplice e immediata esecuzione sutessuti sani e patologici messi a confronto.

FosfoproteomaSoprattutto in campo oncologico la conoscenzadello stato di fosforilazione delle proteine tissutalie cellulari riveste particolare importanza. Alcunemetodologie specifiche di enhancement sono stateutilizzate per migliorare l’analisi quali-quantitativadel proteoma fosforilato, eseguita con l’approcciogià descritto della 2D gel electrophoresis laddove lasonda anticorpale è specificamente diretta alleproteine fosforilate. Tra le metodiche di arricchi-mento più innovative ricordiamo la PAC (pho-sphoramidate chemistry), la IMAC (immobilizermetal affinity chromatography) o trattamenti fo-sfo-proteine specifici (diossido di titanio) primadi eseguire analisi classiche in MS. L’individua-zione sistematica dei siti di fosforilazione all’in-terno delle proteine è di cruciale importanza perla comprensione dei meccanismi patologici, so-prattutto ai fini dell’identificazione di molecole aeffetto terapeutico. Approcci di Systems Biologyhanno consentito la creazione di librerie di siti difosforilazione, molti dei quali derivati da analisibioinformatica di modelli matematici.

MetabolomaL’analisi biochimica (e fisiologica) del comporta-mento cellulare, letta attraverso un’analisi quan-titativa dell’asset metabolico, consente di acquisireinformazioni rilevanti ai fini della comprensionedegli eventi di deregolazione che insistono sullacellula in stati patologici.Le modifiche dell’assetto metabolico nei fluidibiologici sono classicamente analizzate con riso-nanza magnetica (nuclear magnetic resonance,NMR), cromatografia a gas (gas cromatography,GC) e liquida (liquid cromtaography, LC). Limi-tatamente ad alcune patologie neoplastiche (come

il cancro della prostata) la metodica si è rilevatautile nell’identificare biomarcatori che, associatia quelli più strettamente clinici, potrebbero in-crementare sensibilmente i livelli di accuratezza especificità degli stessi, tanto in ambito diagnosticoche di follow-up dei trattamenti specifici.

Studi funzionali

Finora limitati all’analisi di singoli geni o dell’in-terazione gene-gene, in Systems Biology/SystemsMedicine si spingono necessariamente in un con-testo “di sistema” attraverso studi (di perdita) difunzione genica portati avanti a livello dell’interacellula (cosiddetti genetic screens o attraverso espe-rimenti di RNA interference). Vengono quindi as-sociati con approcci omici classici, con studi susingoli geni/singole proteine e con approcci dimodellizzazione matematica.

Interferenza RNA (RNAi)Inserendo attraverso varie metodiche del “double-stranded DNA” (dsDNA) all’interno della cellulasi blocca il meccanismo di traslazione, portandoalla deplezione di proteine nascenti (wild type pro-tein) all’interno della cellula e alla degradazionedel mRNA “maturo” attraverso l’induzione delcomplesso di silenziamento dell’RNA (RNA-in-duced silencing complex, RISC). Selezionando iltipo di dsDNA che si inserisce nella cellula si può,virtualmente, analizzare ogni readout funzionalee questo, unito alla capacità di eseguire analisi ro-botizzate su ampia scala (cosiddetta high contentanalysis), rende questa metodica particolarmentepotente.

Interazioni proteina-proteina e proteina-DNALe informazioni sull’interazione tra le proteine(protein-protein interaction, PPI), insieme a quellequali-quantitative sulla regolazione traslazionale

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e post-traslazionale oltre che delle costanti di le-game sono elementi fondamentali per la NetworkAnalysis alla base degli approcci di sistema. Mol-teplici sono le metodiche oggi utilizzate per iden-tificare mappature delle PPI nell’uomo. Alcunedi queste, di tipo high-throughput (protein array),hanno consentito di analizzare anche le interazioniproteina-DNA e un approccio multidimensionalecon screening anche in funzione del tempo, ne-cessario alla modellizzazione matematica in SystemsBiology.

Modelli cellulari, tissutali e animali,biobanche (cenni)

Il miglioramento delle terapie “tailored” o “target -ed” è sicuramente dipendente anche dalla dispo-nibilità di linee cellulari ben caratterizzate da uti-lizzare, in sostanza, come modello iniziale (ovveroda utilizzare nelle fasi sperimentali precoci) nellosviluppo di nuovi approcci farmacologici. Gli or-ganismi “modello” rappresentano sicuramenteun’evoluzione rispetto alle linee cellulari. A questistrumenti si affiancano le banche tissutali annotatecon elementi di informazione clinica omogenei edi alta qualità (necessari e fondamentali per studibiomarcatoriali, di caratterizzazione delle pathwayse metworks molecolari).Tutte queste componenti sono chiave per ogniapproccio di Systems Biology o strategia di SystemsMedicine per la comprensione delle malattie, laloro ridefinizione tassonomica e, quindi, il lorotrattamento “personalizzato”.L’integrazione delle informazioni (in gran parteevidenze di tipo sperimentale e di natura osser-vazionale) provenienti da modelli e tessuti umani(biobanche) rappresenta una sfida non indiffe-rente. Il lavoro fondamentale di Hanahan e Wein-berg relativo alle “hallmarks” del cancro ha tutta-via dimostrato come (almeno nel cancro) sia pos-

sibile raggruppare le ontologie informative in unlimitato numero di “tratti” (traits) che le celluledevono acquisire per divenire “maligne”. È pos-sibile pensare quindi in modo “integrativo” e“multiscala” dove il concetto della malattia comeun “system failure” (inferendo quindi un poten-ziale esplorativo agli approcci di Systems Biology/Systems Medicine decisamente superiore a quellodegli approcci classici) sta, proprio nel momentoin cui questo Quaderno viene compilato, susci-tando una discussione nella comunità scientificamolto vivace.Una comprensione a livello “sistemico”, propostadall’approccio promosso in Systems Biology/SystemsMedicine richiede, infatti, una modifica del modocon cui vengono percepiti (nella metodologia dibase e nelle potenzialità investigative) gli approccibiologici classici. Mentre, infatti, la comprensionedi del ruolo di singoli geni o proteine resta im-portante, è necessario spostare l’attenzione sulledinamiche dell’ontologia fisiopatologica intesacome “emergenza di un sistema”. Bisogna comun-que tenere in considerazione che questa tipologiadi approcci integrativi, dove sono necessarie tantola componente biologica, quanto quella clinica ecomputazionale, ora è possibile solo grazie all’evo-luzione degli strumenti quali i modelli cellulari,animali e le biobanche, oltre che alla capacità diavere le informazioni “omiche” in tempi rapidi ea costi sostenibili.

Database di espressione e variabilità genetica

Le tecnologie “high-throughput” stanno produ-cendo una mole di dati non solo di dimensionisempre crescenti, ma anche sempre più complessi,che pongono una sfida non indifferente sul comei dati stessi vengono generati e analizzati nel ten-tativo di individuare cluster di significatività. Inquesto paragrafo descriveremo brevemente come

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questo flusso di dati è organizzato in database ge-stiti con metodologie cosiddette di ampia scalaper organizzare i dati in modo che siano utile inapprocci di Systems Biology/Systems Medicine.A seconda che si tratti di database di variazionegenetica o dati di gene expression, le modalità concui i dati possono essere organizzati e conservatipossono variare. La sfida è renderli sempre e co-munque disponibili per studi che superino, peresempio, l’approccio ontologico classico (tipicodelle analisi di varianza genetica, centrate su unasingola patologia di riferimento) o l’approccio in-teramente uncontrolled e non relato alle informa-zioni cliniche degli studi di espressione genica.

Variazione genetica

Questa tipologia d’informazione era disponibileda prima che lo fosse quella relativa alla sequenzacompleta del genoma umano. Il concetto alla basedell’utilità di queste informazioni negli studi diSystems Biology/Systems Medicine risiede nella pos-sibilità di collegare, con metodologia computa-zionale avanzata, le mappe stesse di varianti ge-netiche a una singola patologia o, meglio ancora,a qualsiasi fenotipo.Le informazioni disponibili (che riportiamo som-mariamente come referenza per ulteriore appro-fondimento) possono essere classificate sintetica-mente in:• database di SNP: quello sicuramente emergente

(e punto di riferimento per ogni esercizio dimapping SNP/genoma è il dbSNP ospitato dalNational Center for Biotechnology Information(NCBI) [http://www.ncbi.nlm.nih.gov/ pro-jects/SNP];

• database di varianti strutturali: queste variantinon sono sistematicamente “collezionate” comegli SNP. Riportiamo i più significativi in ter-mini di dimensioni e stati di aggiornamento:

- database of genomic variants (DGV: http://projects.tcag.ca/variation),

- NCBI database for structural variation (dbVar:http://www.ncbi.nlm.nih.gov/dbvar),

- European Bioinformatics institute – EBI Da-tabase of Genomic Variants Archive 7DGVa:http://www.ebi.ac.uk/dgva/),

- Sanger center DatabasE (DECIPHER: http://decipher.sanger.ac.uk);

• database per “disease-causing variants”: è opi-nione comune che queste risorse siano ancoragestite in maniera non ottimale soprattutto perla condivisione di informazioni che chiarificanola correlazione di varianti genetiche e ontologiemendeliane. Riportiamo quelli più significativi:- The Online Mendelian Inheritance in Man

(OMIM: http://www.ncbi.nlm.nih.gov.Omim/).Dati raccolti fin dagli anni Sessanta, nonsolo sulle ontologie mendeliane, ma anchesu patologie di tipo poligenico,

- The Human Genome Variation database ofGenotype-to-Phenotype information (HGVbase:http://.hgvbaseg2p.org/). Implementa infor-mazioni di tipo clinico-epidemiologico pro-venienti da large-scale association studies,

- The Human gene Mutation Database (HGMD:http://www.hgmd.cf.ac.uk), di tipo commer-ciale,

- The Catalogue of Somatic Mutations in Cancer(COSMIC: http://www.sanger.ac.uk/genetics/CGP/cosmic). Nel 2011 aveva raccolto i datirelativi a 1,7 milioni di esperimenti su circa500.000 tumori.

È utile comunque ricordare che vi è una molti-tudine di database locus-specifici che sono sem-pre più collegati (anche per questioni di sosteni-bilità strutturale ed economica) a quelli elencatisopra.• large scale repositories: citiamo brevemente

lo European Genome-Phenome Arhive (EGA:

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http://www.ebi.ac.uk.uk/ega/) e il databaseGAP (dbGAP) al NCBI che sono le due risorseprincipali per lo scambio di informazioni sularga scala di dati di genotipizzazione associatia informazioni fenotipiche;

• genomi di riferimento: dopo il release nel 2001della prima sequenza dell’intero genomaumano la conoscenza della variabilità geneticasi è approfondita considerevolmente. Studi “dipopolazione” sono quindi stati effettuati, a li-velli crescenti di genotipizzazione, fino ad ar-rivare a esperimenti tipo il “1000 genome pro-ject” (www.1000genomes.org). Informazioniin questa tipologia di database sono sicura-mente utili per ogni approccio integrativo mul-tiscala.

Espressione genica

Sin dalla fine degli anni Novanta le alterazioni diespressione genica sono state investigate allo scopodi collegare alcuni pattern di variazione a deter-minate espressioni fenotipiche. Molto precoce-mente, per esempio, si sono prodotte classifica-zioni innovative di alcune forme di leucemia.I dati relativi a un numero elevato di esperimentidi associazione sono ora, in varia forma, organizzatiin database pubblicamente disponibili (i) e altri aconnotato pubblico o commerciale (questi ultimicontengono dati rilevanti di espressione genica col-legata a specifiche attività sperimentali, ii).• Archivi di dati da espressione genica: ce ne

sono due particolarmente rilevanti, l’Array Ex-press (http://www.ebi.ac.uk/arrayexpress) e ilGEO. Alcune modifiche nelle policy editorialidelle più importanti riviste del settore hannofatto sì che questi database crescessero nei con-tenuti e anche qualitativamente in modo moltorapido. La disponibilità di questi dati ha apertola strada all’annotazione personalizzata frutto

di esperimenti “privati”. Questo continuo eser-cizio ha dato quindi origine alle repositories a“valore aggiunto” descritte sinteticamente nelsottoparagrafo successivo. In generale, il “valoreaggiunto” è rappresentato dal fatto che i datioriginali manipolati dalle aggiunte personaliz-zate hanno consentito anche che la trasforma-zione dei dati originali (spesso in annotazionidi difficile comprensione e gestione da partedel ricercatore “ordinario”) li traslasse in for-mati più user-friendly.

• Database a valore aggiunto: anche in questocaso due sono di particolari rilievo: Oncomine(Rhodes, 2004; https://www.oncomine.org/resource/login.html) e Gene Expression Atlas(Kapushesky, 2010; http://www.ebi.ac.uk/gxa/)in aggiunta ad alcuni di tipo commerciale chenon verranno descritti in questo paragrafo.

Infrastrutture per la ricerca e il training

Negli ultimi anni si è assistito a un incrementodella capacità di acquisire dati sperimentali taleche ora la loro analisi ed interpretazione rappre-sentano di fatto la sfida reale. Questa può essereaffrontata esclusivamente attraverso approcci cheprevedano l’integrazione di metododologie cheprovengono da campi storicamente separati qualil’informatica, la biologia, la computer science, lachimica e anche le scienze cliniche, a convergerein metodologie proprie della Systems Biology e Sy-stems Medicine.È evidente che, a prescindere dagli ostacoli di na-tura tecnico-metodologica, il corretto training deiprofessionisti ingaggiati in questi approcci rappre-senta esso stesso una sfida. I tools educazionali,quindi, fanno parte a tutto spessore degli strumentinecessari agli approcci integrati multiscala tipici,appunto, della Systems Biology e Systems Medicine.Non solo, nella lista degli stakeholders intorno a

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questo dossier, oltre a biologi cellulari e molecolari,chimici, bioinformatici e medici non dobbiamodimenticare il lay-man, in altre parole il pubblicogenerale. La dovuta attenzione, per esempio, alfatto che ormai sul web sono disponibili moltepliciinformazioni non verificate che possono confon-dere il portatore di una patologia diviene ancorapiù necessaria quando si tratta di comunicare icontenuti di approcci altamente innovativi qualiquelli pertinenti alla Systems Biology e Systems Me-dicine.

Bioinformatica e modellizzazione

La descrizione degli strumenti bionformatici ematematici utilizzati negli approcci di Systems Bio-logy e Systems Medicine prescinde sicuramente l’og-getto di questo trattato. Ci limiteremo a descrivereil meccanismo/procedura con cui è generato e te-stato un modello di un sistema biologico. L’ap-plicazione di strumenti di bioinformatica peresempio ai meccanismi di signalling cellulare devenecessariamente seguire degli step procedurali che,in un’ottica di estrema sintesi, possono essere cosìelencati:• i dati che sono raccolti, per esempio, nei data-

base del tipo descritto nei precedenti paragrafivengono utilizzati per individuare le molecole(proteine) coinvolte in una determinata path -way e la tipologia di interazione. Ovviamente,anche la più raffinata delle informazioni bio-mediche non sarà mai completa al livello chesarebbe necessario per costruire un modelloperfetto. Quindi questo approccio compren-derà anche ipotesi soprattutto concernenti lenetwork proteiche e le loro dinamiche;

• le informazioni vengono quindi analizzate eorganizzate per fornire la blueprint di un mo-dello e questo, di norma, consiste in un set diequazioni matematiche che sono quindi ela-

borate per generare simulazioni e analisi perdettagliare le proprietà del “sistema” modelliz-zato e quindi suggerire esperimenti da trasporredall’in silico all’in vitro, di fatto – potenzial-mente – ottimizzando questi ultimi;

• gli esperimenti forniscono informazioni prezioseper raffinare il modello. Il merging dei dati ma-tematici e quelli sperimentali genera un processodi model calibration, iterativo e continuo, checonsente al modello di evolvere e quindi esseredisponibile per ulteriori simulazioni e analisi;

• a questo punto il modello viene utilizzato perpredire il risultato di esperimenti in vitro basatisulle evidenze delle simulazioni elaborate sulmodello stesso. Il risultato di questo eserciziopredittivo assegna al modello un valore relativoalla sua capacità predittiva. Il modello vienequindi “validato” e se ne conosce il suo poterepredittivo;

• un modello validato, di per sé, è gia un risultatomolto rilevante in quanto dà la possibilità diverificare ipotesi di intervento che si piazzinomolto precocemente in un determinato pro-cesso biologico. Questo può essere d’aiuto nellaselezione dei target farmacologici, per effettuareuno screening a monte di quegli ambienti mo-lecolari dove non avrebbe avuto senso impie-gare tempo e risorse con esperimenti in vitro.

Un modello generato in un contesto di SystemsBiology apparirebbe quindi come l’approccio piùcoerente per affrontare la complessità, posto chel’input a monte sia il più completo possibile. Lacomplessità può essere intrinseca al sistema (nu-mero delle componenti e delle interazioni con-siderate), oppure essere connessa alla molteplicitàdelle scale spazio-temporali che si rendono ne-cessarie per una migliore definizione e quindiderivare anche dalle perturbazioni del sistemastesso (es. un sistema biologico complesso per-turbato da una patologia). A tacere, ora, il livello

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di complessità che può raggiungere un essereumano affetto da un cluster di patologie con-vergenti (comorbilità) possiamo concludere que-sto paragrafo citando almeno quattro esempi incui oggi un approccio di Systems Biology è rite-nuto adeguato, se non propriamente un vero eproprio requisito:• disegno sperimentale e validazione di ipotesi

riguardanti la dinamica, l’organizzazione spa-ziale e la struttura di pathways biologiche;

• studio di network biochimici altamente inter-connessi e integrazione di dati da tecnologiahigh-thoughput;

• identificazione e analisi di dinamiche non-li-neari nei sistemi di signalling cellulare;

• identificazione di biomarcatori e target tera-peutici basati su modelli.

Resta ovviamente la sfida rappresentata dalla “sca-labilità” dei modelli, che pone sfide molto seriedi tipo computazionale.

Conclusioni e prospettive

Le metodiche di misura nei campi della biologiamolecolare e cellulare hanno visto negli ultimihanno un enorme sviluppo tecnologico. In parti-colare (ma non solamente) nel sequencing la ca-pacità di output è incrementata di diversi ordinedi magnitudine e, conseguentemente, tempi e co-sti si sono decisamente ridotti (in maniera inver-samente proporzionale alla mole dei dati a dispo-sizione).Questo processo ha contribuito fortemente allosviluppo della disciplina della Systems Biology che,quindi, pone le sue basi in tutte quelle tecnologieche consentono, su scala genome-wide, analisi delDNA, del mRNA delle proteine e dei metaboliti. Ovviamente, di pari passo alla velocità con cui leanalisi vengono effettuate – anche grazie a unarapida evoluzione degli strumenti propri della

computer science applicata alla biologia e alla me-dicina – computational biology/medical informatics–, è andata crescendo esponenzialmente la moledi dati prodotti e proprio nel dare significato aquesti dati – ovvero trasformarli in informazionie modelli utili per prevedere l’outcome di uncerto stato di modifiche nell’assetto genetico/pro-teomico/metabolomico/esposomico e quindi d iconsentire lo sviluppo di nuove strategie diagno-stico/terapeutiche – risiede la vera sfida dei tempiattuali.Questa sfida non è indifferente e richiede la messain opera di infrastrutture di tipologia completa-mente diversa, come per esempio, al livello dellepiattaforme cliniche di realtà capaci di generaredati in grande quantità e di elevata omogeneitàoltre che, sul versante meramente tecnologico, ca-pacità di gestione del “dato” a livelli quali-quan-titativi mai visti.Qualità e standardizzazione del formato in cui ilmateriale di studio (tessuti, cellule, liquidi biolo-gici ecc.) e dati (di qualsiasi genere, clinico/epi-demiogici, omici ecc.) sono generati, conservati eanalizzati sono fondamentali per il loro utilizzoin qualsivoglia sforzo di network analysis e mo-dellizzazione.Gli approcci di Systems Biology (tecnologie, mo-dellizzazione) contribuiranno grandemente allaraccolta di informazioni rilevanti per l’identifica-zione di nuovi target terapeutici e quindi approcciinnovativi di diagnosi e terapia che, se corretta-mente interpretati, consentiranno a loro voltal’applicazione di un approccio veramente perso-nalizzato di Systems Medicine.Possiamo affermare con tranquillità che è oggipossibile analizzare completamente il genoma e iltrascrittoma di ogni singolo paziente. I dati pro-venienti da questa analisi, se integrati quindi condati di origine clinica, proteomica e metabolomica(ed esposomica), possono dare luogo a un processo

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il cui risultato è un modello affidabile potenzial-mente utile, ad esempio per stabilire il profilo dirisposta e tossicità di un dato paziente a un certofarmaco o a una combinazione di farmaci.Dal punto di vista bioinformatico, poi, l’evolu-zione da una network analysis a due dimensioniad analisi che fattorizzino, per esempio, anche ilfattore tempo (cosiddetto time-resolved data ta-king) e informazioni fenotipiche multivariate potràconsentire l’affinamento delle metodologie di in-dagine vera e propria fornendo elementi di infor-

mazione sempre più utili ai fini del processo de-cisionale clinico.Nel pianificare modelli gestionali, anche tecnolo-gici, della complessità in medicina non può nontenersi conto degli strumenti a elevata tecnologiadescritti in questo capitolo, delle infrastrutturededicate (ricerca e training), nonché delle repositorydi informazioni globali (database) associate a piat-taforme cliniche e biobanche dedicate come stru-menti propri e imprescindibili degli approcci diSystems Biology/Systems Medicine.

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7. Informazione, formazione e CapacityBuilding in medicina della complessità

tidianamente messo in discussione dalla realtàumana e clinica del singolo paziente, caratterizzatada eventi tra loro altamente interagenti, che evol-vono in modo non lineare e sotto la forte influenzadi condizioni anche non direttamente somatiche.La nostra struttura formativa è da decenni tradi-zionalmente basata sulle ontologie e fortementeinfluenzata dall’impegnativa e tendenzialmenterigida architettura di una conoscenza evoluta subasi spiccatamente strutturali e classificative. I curricula sono stati approntati con il precisoobiettivo di trasferire le conoscenze e le compe-tenze specifiche e settoriali generate attraversol’articolazione della medicina nelle specialità, inlinea con un approccio riduzionistico. Concordemente, dall’analisi dei singoli settori in-dividualmente, il riduzionismo ha mosso l’appro-fondimento semplificativo che ha reso possibilelo sviluppo attuale delle nostre conoscenze. Inquesto contesto la visione sistemica è apparsa comeuna pericolosa e a tratti inquietante modalità diallontanamento dalla rassicurante e ordinata ca-pacità di analisi dello specialismo. La complessità,pertanto, è un tema sostanzialmente non presenteal momento in modo organico nella formazionecurriculare e post-curriculare. Tuttavia essa, comeben illustrato nei diversi interventi di questo Qua-derno, è oggi una realtà clinica ben presente e in

Esperienze di formazione nel nostro Paese con con-tributi dei collegi professionali dei fisioterapisti edegli infermieri.

Limiti della formazione per ontologie

Alla base del pensiero medico in epoca post-mo-derna si colloca il concetto di complessità, che, puressendo stato accettato a livello teorico e descrittivo,non ha ancora trovato un adeguato inserimentonell’insegnamento e nell’attività clinica. La medicinapratica ha proceduto – si potrebbe dire – secondopercorsi semplificati, sostenuti e garantiti dai riferi-menti offerti dalle evidenze elementari disponibili,ma privi del sostegno offerto da una parallela rifles-sione teorica di profondità appropriata. La medicina basata sulle evidenze, per sua natura,in generale ricerca e ottiene evidenze relative a ma-lattie a definizione ontologica ben circoscritta, constudi clinici focalizzati su pazienti il più possibileprivi di altre condizioni cliniche rilevanti che risul-terebbero “confondenti” per le evidenze ricercate. Alla base della significativa “aporia” che scaturiscedall’impiego di evidenze elementari per pazienticomplessi vi è un impraticabile binomio, per cuil’intero impianto “probatorio” delle evidenze rac-colte, spesso fortemente strutturate in revisionisistematiche e tradotte in Linee guida, viene quo-

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continua espansione, in rapporto all’invecchia-mento della popolazione e alla capacità della me-dicina e della società di arginare condizioni mor-bose diverse, che spesso oggi evolvono nel sensodella cronicità, crean do situazioni a complessitàelevata e incrementale. Questo è ben presente nel-l’elenco delle problematiche all’attenzione del Ser-vizio Sanitario Nazionale e lo è, fortunatamente,nella sensibilità dei medici che hanno un’atten-zione complessiva per il loro paziente. Affrontarequesto problema in modo diretto e organico ap-pare oggi doveroso, allo scopo di offrire al discenteuna guida che lo accompagni dalla visione “sem-plificata”, riduzionistica, necessaria ma parzialeverso la capacità di “comprendere”, orientarsi eorientare nell’identificazione e nella gestione (sulpiano diagnostico e terapeutico) della complessitànella pratica clinica. In altre parole, i cambiamentisul piano epidemiologico e clinico generano lanecessità di un processo formativo diverso daquello utilizzato fin adesso, poiché quest’ultimopuò non essere sufficiente e quindi funzionale allagià avvenuta metamorfosi. Fino a oggi il processodecisionale medico prevedeva una “catena di esclu-sioni” di quadri patologici per arrivare alla dia-gnosi. Ne è esempio il pensiero “euristico”: il me-dico di elevata esperienza ricerca nella propria me-moria il quadro più simile a quello che gli è difronte, escludendo gli altri. Analogamente, le flow-chart oggi ampiamente utilizzate prevedono per-corsi (diagnostico-terapeutici) sequenziali, chegiungono alla diagnosi di malattia attraversol’esclusione (guidata dalla Evidence-Based Medicine,EBM) di altre. Di fronte alla complessità, al pro-cesso di esclusione deve essere associata la capacitàdi includere i diversi elementi, poiché tutti con-tribuiscono alla genesi del quadro. In altri terminiil solo approccio riduttivo si associa a una rilevante,e spesso deviante, perdita di informazioni preziose. L’approccio “inclusivo” rappresenta quindi il solo

approccio che rispetti l’interezza dei “descrittori”necessari per garantire l’efficacia della medicina cli-nica. Non è tuttavia da tralasciare un altro elementotipico della medicina clinica: la convergenza di con-dizioni cliniche diverse su un unico elemento cli-nico dominante. In un paziente con più patologie,ciascuna di queste potrà “convergere” contribuendoin quote e in tempi diversi alla genesi del “sintomo”e/o “segno” dominanti in quel momento (es. la di-spnea, la febbre, l’anemia). Quindi il rilievo e lagestione oculata di tutti i descrittori presenti, dasempre cifra caratteristica della buona medicina,come metodo che permette la piena analisi e lacorretta sintesi dei problemi della singola persona. Lo scenario attuale della formazione in medicinavede il crescente opportuno ricorso a metodologiedidattiche di tipo “problem-solving”, che rappre-sentano certamente una modalità assai appropriataper consentire ai discenti di prepararsi a orientarsinell’ambito delle condizioni morbose che si pro-pongono alla loro attenzione nella pratica clinica.È importante, tuttavia, che l’approccio di tipo pro-blem-solving si svolga non confinando la soluzionedel problema alla visione semplificata ontologica,per cui la soluzione tende spesso a ridursi all’indi-viduazione della “malattia” dominante del quadroclinico proposto, ma tenda all’analisi inclusiva deidiversi elementi clinici rilevati. Si può così realizzareun processo formativo in cui l’analisi degli elementirelativi a un problema, che non si cerca necessa-riamente di semplificare onde evitare di “perdere”informazioni, procede mantenendo attiva tutta laserie di elementi potenzialmente in gioco. Concettualmente ci si muove da un approccio ri-duzionistico a uno olistico, da processi esclusivi aprocessi (e percorsi) contemporaneamente esclusivie inclusivi, da problem-solving settoriale o super-set-toriale “vecchia maniera” a un problem-solving suproblemi ad alta complessità. La modalità, o le mo-dalità, attraverso cui raggiungere questo diverso

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obiettivo formativo (che la modificata realtà clinicarende irrinunciabile), deve essere individuata concura, ripensando l’intero impianto della formazione.Già da anni la medicina ha avvertito la necessità dimodificare e ampliare gli orizzonti offerti dall’EBM,introducendo, o forse meglio re-introducendo, laquota comunicativa, “narrativa”, per affrontare la“dimensione persona” nel proprio paziente, nel-l’ambito della cosiddetta “medicina narrativa”. L’espressione “narrative medicine” compare per laprima volta nell’archivio elettronico Medline dellaNational Library of Medicine statunitense nel 1996,quando due studiosi norvegesi pubblicano un arti-colo dal titolo “The story of suffering. On the traces ofnarrative medicine”, relativo alla valutazione dellacapacità di un nuovo metodo di induzione e di rac-colta della storia clinica in medicina. Rita Charon,uno dei pionieri nella valutazione e valorizzazionedella medicina del racconto, ha definito, nel 1993,la “narrative medicine” come “medicine practicedwith the narrative competence to recognize, interpret,and be moved to action by the predicaments of others”(“medicina praticata con la competenza narrativadel riconoscere, interpretare e passare all’azione sullabase delle situazioni difficili degli altri”). I principali vantaggi di questo modello d’inter-vento sono i seguenti: • esplorare l’esperienza della malattia. Le idee

del paziente a proposito del problema e le suesensazioni; che cosa si aspetta dalla visita me-dica e quali informazioni desidera;

• comprendere la persona nella sua totalità (in-cluse le emozioni) e il suo contesto (la famiglia,gli effetti che la malattia ha sulla sua vita);

• trovare un terreno comune tra medico e pa-ziente (partnership).

Sebbene la medicina narrativa affronti per sua na-tura l’aspetto multidimensionale del paziente, nonpuò costituire da sola lo strumento formativo perla complessità.

L’obiettivo formativo della medicina della com-plessità è “costruire” un medico capace di muoversicon agilità attraverso i vari setting di conoscenza,intuendo quale disciplina o capacità un determi-nato snodo decisionale può richiedere. Si trattadi una modalità didattica basata principalmentesulla trans-disciplinarietà, strumento che consenteai vari attori del sapere di costruire e offrire unaconoscenza dinamica, dove il valore della proba-bilità, da consapevolezza dell’incertezza, si tra-sformi in ponte verso una visione – e una conse-guente messa in opera – critica ma costruttiva de-gli strumenti che la scienza oggi fornisce.

Team Learning e insegnamento per processi

La ricerca di un approccio metodologico che po-tesse integrare con coerenza questi elementi fon-damentali ha portato all’individuazione di unamodalità interdisciplinare che può suggerire con-cretamente modalità di spazio e azione coerenticon le teorie enunciate, alla base della filosofiadella scuola. Questa modalità, che ha indottopresso alcune Università come l’Iniversità di Har-vard anche la costituzione di uno spazio fisico spe-cificamente dedicato, suggerisce una serie di azioni:• la progettazione nelle Scuole di Medicina di

modalità formative e di spazi funzionali e fisicial fine di facilitare un insegnamento interdisci-plinare che stimoli le diverse intelligenze di ogniallievo;

• il disegno di moduli di formazione che evol-vano da tipiche lezioni frontali a team learningcon particolare attenzione a sviluppare la ca-pacità “di squadra” di risolvere i problemi;

• un approccio integrato alle modalità utili perlavorare su sistemi complessi in modo efficacee strutturato;

• la messa a punto di Linee guida per formare idocenti a operare nel nuovo formato.

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Questa modalità innovativa di insegnamento dovràavere come fondamentale complemento l’attivitàdi staging, per un efficace equilibrio tra teoria epratica, con sviluppo della capacità di operare se-condo le linee indicate dal Capitolo Metodologico. Non è da trascurare un’altra implicazione essen-ziale del progetto, che completa quanto finora il-lustrato per entrare nella vita reale del paziente enell’ambulatorio del medico. Si deve rendere ilmedico un interprete partecipe del dialogo/scam-bio con il paziente, trasformando in prassi vitalee concreta quel valore costitutivo e fondante dellascienza medica – l’humanitas – talora percepitocome aggiuntivo e secondario. Valore oggi spessotrascurato in favore di una specializzazione semprepiù spinta, che riduce il medico a scienziato tec-nocrate trascurandone il ruolo di indagatore pro-fondo di quel complesso connubio tra corpo emente che è al centro della ricerca e della cono-scenza.Della Medicina delle 4P (Systems Medicine) la me-dicina Personalizzata e quella Partecipativa parlano

in questo senso, così come tutte le 4C (Figura 7.1).La medicina della complessità offre nella societàattuale importanti aperture per un’efficace e con-creta risposta ai bisogni sanitari in evoluzione. Daun lato si apre alla medicina sociale (intesa in sensoclassico) come un elemento centrale della medicinaattuale, perché l’attenzione alle persone più fragilisocialmente e clinicamente porta con sé l’atten-zione alla grandissima parte dei bisogni ai qualiun sistema sanitario deve dare risposta. Dall’altroe in modo consequenziale si rivolge alla GlobalHealth, nella quale s’identificano gli ammalati cro-nici, gli anziani, i poveri, ma anche i migranti. Inquest’ottica si coniugano ruoli scientifici, ruoli direlazione, ruoli clinici e ruoli organizzativi, inun’unità inscindibile, perché rappresentano gli ele-menti costitutivi della medicina stessa. Risulta pertanto necessario che la futura classemedica sia in grado di analizzare nella sua inte-rezza il tema della complessità in medicina; l’in-quadramento del paziente, oltre a una valuta-zione completa, appropriata ed esauriente della

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Figura 7.1 Medicina delle 4P e delle 4C. ICT, Information and Communication Technology.

Uno scenario in evoluzioneCure integrate supportate dall’ICT

Medicina delle 4C

Processi continuiComunicazioniCollaborazioniConfidenzialità

Medicina delle 4P

PredittivaPersonalizzata

PreventivaPartecipativa

ICT come strumento di un nuovo modello di cura

Gestione efficiente del pazienteModulazione della progressione della patologia

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sua storia clinica (eventuali comorbilità, polite-rapie in atto ecc.), non potrà prescindere dallavalutazione della storia personale e familiare delpaziente e dall’interazione con altre figure pro-fessionali sanitarie. Oltre a possedere competenzetecniche, relazionali e organizzative, il medicodel futuro dovrà pertanto, essere in grado di uti-lizzare tutti gli strumenti a sua disposizione peranalizzare nella sua interezza la complessità inmedicina, con costante attenzione, oltre a quantonecessario per un’appropriata gestione clinica e

relazionale del paziente complesso, agli elementietici, di ricerca e di comunicazione necessari peruna crescita armonica delle azioni in questocampo (Figura 7.2). La “creazione” di un medico che sia il punto diriferimento del paziente nell’approccio olistico eche mantenga un flusso dialogico costante conlui nel processo curativo e riabilitativo, qualunquesiano gli strumenti in possesso del paziente stesso,rende il medico il centro nevralgico della com-plessa rete del sistema sanitario, come colui che

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Figura 7.2 Il medico del futuro e la complessità.

ComplessitàComplessità della malattia, paziente complesso, strumenti della complessità, ruolo della complessità

Malattia

Qualità della vitaAspettativa di vita

Medico

MotivazioneCompetenze tecniche

Competenze scientificheCapacità relazionali

Capacità di comunicazioneCapacità organizzative

Responsabilità medico-legale

Paziente

Storia del pazienteSesso

Professione FamiliariFragilità

Stato socioeconomico InvecchiamentoBackground culturale

Diagnosi Trattamento Follow-up

CureInformazioneConsulenza

Comorbilitàmultimorbilità

(Poli)terapia

Rapportocosto/efficacia

Scelta gerarchicadelle opzioni di intervento

Altre figure professionali sanitarie

Università

Società scientifiche

SSN

Industria farmaceutica

Continuità delle cure

Intensitàdelle cure

Questione etica

Ricerca

Interazioni tra farmaci

Valutazione anamnestica

Farmaci

Interventi chirurgici

Marker bioumorali

Presidi medici

Riabilitazione

Diagnostica per immagini

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ha le competenze e le informazioni operative ne-cessarie per indirizzare correttamente il cittadinoverso i luoghi e i modi di cura a lui più idonei.Nel processo formativo per processi la Systems Me-dicine può rappresentare uno strumento poten-zialmente assai valido, che attende di essere svi-luppato e applicato.

“As for the Future, your task is not to foresee, but toenable it”.

The Wisdom of the SandsAntoine de Saint-Exupéry

Systems Medicine nella complessità: il futuro della formazione

Il termine Systems Medicine indica l’applicazionedegli approcci scientifici tipici della Systems Biologyalla ricerca e alla pratica medica (si veda estesa-mente nel Capitolo 4). Il suo obiettivo è integraredati medici/biologici a tutti i livelli del networkcellulare utilizzando come strumento modellicomputerizzati e matematici, allo scopo di com-prendere la fisiopatologia nel suo complesso, for-mulare diagnosi attente alla complessità e impo-stare terapie coerenti con le multimorbilità e coni quadri clinici a genesi complessa.È una disciplina dalle molte potenzialità, che de-vono essere ancora attuate. Una di queste è l’uti-lizzo dell’elemento caratterizzante la Systems Me-dicine nel processo formativo per la gestione dellacomplessità: il passaggio dalla visione riduzioni-stica a quella olistica, senza perdere informazioni,ma guadagnando in integrazione di sistemi. In altri termini, la Systems Medicine per la com-plessità ha come obiettivo quello di mutuare mo-delli della Systems Biology per la comprensione delpaziente complesso e per l’ottimizzazione dellestrategie terapeutiche. In questo contesto, lo strumento più adatto per

formare all’approccio della Systems Medicine è la“Fenomica”: fenotipizzazione su larga scala.Negli ultimi vent’anni, molti ricercatori hannoproposto la “Fenomica” come strumento fonda-mentale per fare avanzare la ricerca in biologia ein medicina e raggiungere in clinica una medicinarealmente personalizzata.Il termine fenomica si riferisce all’acquisizione didati fenotipici ad alta dimensionalità su un interoorganismo. L’obiettivo fondamentale della feno-mica è identificare le relazioni causali tra genotipo,fattori ambientali e fenotipo.I risultati provenienti da recenti studi di associa-zione genomica (Genome Wide Association Study,GWAS) hanno mostrato con chiarezza che allalista di varianti genetiche che influenzano un fe-notipo deve sempre essere associata una precisacaratterizzazione del fenotipo stesso. I GWAShanno identificato varianti associate a fenotipiche riescono a spiegare soltanto una piccola partedella variazione fenotipica. Un tipico esempio èl’altezza umana, per cui sono stati identificati 180varianti che riescono a spiegare soltanto il 10%della variabilità genetica. Risultati simili sono statitrovati per altri tratti complessi come il morbo diCrohn, il cancro al colon, il cancro alla prostata,il diabete di tipo 2 e l’infarto miocardico.L’approccio fenomico è a oggi possibile grazie a unaserie di strumenti tecnologici e computazionali:• la disponibilità di tecnologie per la fenotipiz-

zazione su larga scala che aumenta costante-mente di anno in anno e con costi sempre piùcontenuti;

• lo sviluppo di metodi analitici e bioinformaticiche consentono di sfruttare dati ad alta dimen-sionalità (elevato numero di campioni e varia-bili) in maniera sempre più semplice e rapida;

• la disponibilità di modelli dinamici che leganoi diversi livelli biologici (dai geni alla cellulaagli organi fino all’intero organismo).

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Nell’approccio di sistema si inserisce la formazioneper processi: una graduale conoscenza di sistemidiversi a complessità crescente (dal cellulare, al-l’apparato, all’organismo) fino alla loro integra-zione a livello sia fisiologico, come già in larga mi-sura avviene, sia fisiopatologico e clinico attraversol’utilizzo della modellizzazione matematica. Nel processo formativo la modalità di integrazionedi questi processi potrà essere attuata con simula-zione attraverso sistemi informatici in grado diproporre situazioni cliniche che generano situa-zioni, contesti e problemi a complessità crescente,fino alla riproduzione e all’analisi pragmatica dellecondizioni più frequenti, di quelle più ricche disnodi decisionali, che necessitano di una più altadensità di competenze, di quelle risultate nell’espe-rienza clinica a maggiore rischio di errore. Nonsfugge che questo approccio renderà necessario unforte impegno di raccolta e analisi di dati prove-nienti da Percorsi Diagnostico-Terapeutico-Assi-stenziali e da Piattaforme Cliniche dedicate, pe-raltro possibile e già in corso per le diverse proble-matiche da parte di grandi Società scientifiche cli-niche. La formazione, quindi, dovrà sottolinearel’importanza dello studio approfondito del pazienteonde raccogliere il più ampio numero di elementiutili per la caratterizzazione dei diversi problemi edei diversi contesti.La formazione condotta nell’ottica della comples-sità e con le metodologie a essa connesse dovràstrutturalmente affrontare anche le problematichedel rischio clinico, che si estendono trasversal-mente a tutto il campo clinico. La strutturazioneanalitica degli elementi clinici da raccogliere, laloro utilizzazione per individuare il percorso piùappropriato e l’attenzione alla disponibilità di ri-sorse anche nell’ottica della Health TechnologyAssess ment rappresentano elementi utili e impor-tanti per l’insegnamento, per addestrare il medicoa raccogliere ed elaborare le informazioni neces-

sarie a gestire il rischio clinico e costituiscono unlegame ideale molto leggibile con l’insegnamentoper processi, in cui i diversi elementi della com-plessità possono e devono trovare voce e spazio.Da quanto illustrato in precedenza emerge la va-lorizzazione della comunicazione nell’ambito dellaMedicina Narrativa (rapporto medico-paziente),ma anche nell’interfaccia con i familiari e con glialtri professionisti. La gestione del paziente com-plesso prevede l’interazione medicina ospedaliera-medicina del territorio, così come la necessità diconfrontarsi con specialisti di settore con i qualiil medico del futuro dovrà essere in grado di tenereun colloquio funzionale al percorso del singolopaziente. Così pure la gestione del rischio clinico,con la valutazione dell’errore (e la sua gestione),la stima del bilancio rischio-beneficio e la valo-rizzazione dell’utilità di un determinato percorsoassistenziale per uno specifico paziente, rappre-senta un elemento costitutivo essenziale della for-mazione per la complessità. Si configurano, quindi, nella figura del medico delfuturo (o meglio del presente, perché la complessitàdei malati è già una realtà) tre elementi formativi: • il primo, più tecnico, garantito dalla “Systems

Medicine per la complessità”: una formazioneper processi e un’integrazione nell’ambito diuna visione olistica (che rappresenta il targetformativo – si veda anche nel Capitolo 4);

• il secondo, più umanistico: l’acquisizione dellostrumento comunicativo come elemento diuna nuova professionalità da spendere nellapratica clinica, con l’obiettivo di ottenere lamigliore compliance da parte del paziente (equindi la sensazione di “sentirsi curato”) e unacrescita formativa continua attraverso l’intera-zione con i colleghi;

• il terzo, quello più “economico-gestionale”: lastima dell’errore, la sua gestione e soprattuttola sua prevenzione.

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La ricerca mirata a inserire nella formazionei temi della complessità in medicina

Affinché la futura classe medica arrivi a possederele necessarie competenze per una valutazione oli-stica del malato complesso è necessario prevederea livello accademico un’adeguata formazione,come per esempio viene portato avanti dal presti-gioso Royal College of Physician and Surgeons ofCanada, che suggerisce un articolato progetto di-dattico noto come CanMEDS, basato su ricercheempiriche, nel quale vengono descritte le cono-scenze, le competenze e le abilità che i futuri spe-cialisti medici devono raggiungere per garantireal paziente le migliori cure (Figura 7.3).Questo progetto didattico è articolato in 6 puntichiave:• il medico deve essere in grado di agire come

un vero e proprio consulente, fornendo curemediche etiche e centrate sul paziente; a talescopo è fondamentale che vengano adeguata-mente sviluppate competenze/tecniche di co-municazione nella relazione medico-paziente.La consulenza deve prevedere la condivisione

in forma scritta e ben documentata di tutte leraccomandazioni necessarie che potrebbero es-sere utili ad altri operatori sanitari. Il compor-tamento etico del medico deve prevedere unavalutazione delle priorità d’intervento in basealle necessità dei pazienti e dei differenti pro-blemi a essi connessi, ivi comprese le cure com-passionevoli. Infine, la professionalità del me-dico deve prevedere una conoscenza appro-fondita anche degli aspetti etico-legali;

• il medico deve seguire programmi di aggiorna-mento e formazione continua per migliorare leproprie competenze e abilità nella pratica clinica.Lo specialista deve applicare tutte le proprie co-noscenze cliniche, socio-comportamentali per-tinenti la propria specialità, attuando un pro-gramma personalizzato che gli consenta di man-tenere un aggiornamento costante per ottimiz-zare le competenze professionali acquisite, in-tegrando le migliori evidenze disponibili e lemigliori pratiche (“best practices”), contribuendoal miglioramento della qualità delle cure;

• il medico deve effettuare una valutazione com-pleta, appropriata ed esaustiva del paziente. Ilprimo passo di questo percorso è identificareed esplorare insieme al paziente la sua storiaclinica, condividendo con lo stesso eventualisue preferenze in funzione delle strategie dicura da adottare, selezionando così le metodi-che di indagine e le cure più appropriate, siasotto il profilo di efficacia sia sotto quello etico;

• il medico deve essere in grado di effettuare inmodo efficace interventi sia preventivi sia te-rapeutici. Per realizzare questo obiettivo il me-dico deve realizzare un efficace piano di ge-stione del paziente anche in collaborazionecon la famiglia dello stesso, passo fondamentaleper garantire l’appropriatezza e la tempestivitànell’applicazione degli interventi. Tutte le te-rapie devono prevedere il consenso informato,

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Figura 7.3 Come diventare un medico esperto (RoyalCollege of Physician and Surgeons of Ca-nada).

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in particolare per quanto riguarda le cure ef-fettuate sul paziente terminale;

• il medico, oltre alle proprie competenze dia-gnostiche e terapeutiche, deve sviluppare ade-guate capacità in ambito procedurale. Una co-noscenza approfondita relativa all’utilizzo ditali procedure consente di garantire un’otti-mizzazione in termini di efficacia, appropria-tezza e tempestività delle cure, assicurandosisempre di ottenere il consenso informato. Ilmedico deve infine predisporre, per tutte leprocedure eseguite, un adeguato programmadi follow-up;

• il medico deve lavorare da professionista all’in-terno di un team multidisciplinare per ottenereun elevato livello trasversale di competenze. Ilmedico attraverso un’attenta autovalutazionedelle proprie abilità specifiche deve avere un ap-proccio olistico al paziente, in sinergia con tuttele altre possibili figure professionali necessarie,per arrivare a definire una cura personalizzata eottimale. Anche in questo caso “in squadra” coni colleghi deve essere effettuato un costante eadeguato programma di follow-up.

La formazione per processi

La capacità di gestione ampia dei problemi medicipresuppone un medico la cui formazione sia assaiconsapevole dei processi e attenta alla loro applica-zione. Solo così, conoscendo tutte le fasi dell’iterdiagnostico e terapeutico in cui si muove il suo pa-ziente, il medico sarà in grado di guidarlo corretta-mente, realizzando concretamente l’equazione fratempo di relazione e tempo di cura, ponendo lebasi per quella medicina personalizzata di cui è rea-lizzata, anche se non compiutamente, la sola defi-nizione, e che sulle linee portanti della Systems Me-dicine può condurre a una “superconvergenza” in-tegrativa dei diversi elementi, anagrafici, demografici

e di salute, che costituiscono le caratteristiche dina-miche individuali di salute delle singole persone.Nell’insegnamento dei processi è previsto il ricorsoal team learning con infermieri e/o altri professio-nisti della sanità. Si tratta probabilmente del-l’aspetto più critico tra quelli da introdurre in unnuovo modello. Il punto di partenza è l’analisi deiprocessi, sia quelli rappresentati da casi clinici siaquelli dei servizi, per cui siano stati raccolti datiqualitativi e quantitativi. In questo modo si pos-sono misurare i livelli di errore (quelli compiuti equelli per i quali vi sono rischi elevati), i livelli disuccesso (tenendo conto che in uno scenario do-minato dalle malattie croniche il livello di successosi parametra in modo diverso rispetto alla medicinadell’acuzie) e si pongono le basi per una formazioneindividuale e di gruppo adeguata per insegnare adaffrontare processi di elevata complessità.La simulazione medica, in particolare quella com-plessa hi-tech, rappresenta uno strumento in gradodi supportare efficacemente la formazione in par-ticolare in questo settore, in cui l’obiettivo di-chiarato è la crescita della “squadra” in condizionidifficili e complesse, la cui riproduzione in simu-lazione è agevole, graduabile e riproducibile. Certamente questo implica la costruzione di mo-delli sempre più evoluti, attraverso i supporti piùavanzati, in modo che le informazioni provenientida fonti diverse possano integrarsi e costituire unelemento di guida per il medico nell’atto di deci-dere la strategia di cura migliore.Pertanto, nella metodologia avanzata di forma-zione, l’analisi della complessità e l’approccio perproblemi complessi e per processi rappresentanola sfida alla medicina del mondo reale che, lontanadall’ormai infrequente realizzarsi di condizionimorbose con unica malattia, presenta regolar-mente condizioni complesse la cui comprensionesi avvia a creare una ridefinizione tassonomicavera e propria.

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8. Ipotesi per una gestione sostenibiledella complessità; analisi economica

grado di conciliare le differenze individuali perquanto possibile in tutte le fasi del processo, dallaprevenzione attraverso la diagnosi e il trattamentoal follow-up. “Medicina personalizzata o della pre-cisione” è un termine alternativo che vuole inda-gare gli elementi specifici responsabili della pato-logia in un dato individuo in un momento speci-fico. Il termine comprende l’utilizzo di strumentiper la stratificazione e prende in considerazionela miriade di fattori che possono influenzare losviluppo della malattia in un dato individuo, tracui non solo i fattori genetici e biologici, ma anchele influenze ambientali e legate allo stile di vita.Si può sostenere che l’obiettivo principale dellapersonalizzazione è riconoscere la posizione deipazienti e dei cittadini al centro del sistema, nonsolo come destinatari di assistenza, ma come par-tecipanti attivi nel processo. Così, il futuro dellamedicina potrebbe essere meglio definito comepersonalizzato, predittivo, preventivo e parteci-pativo, una visione conosciuta come medicinaP4. In questo capitolo cercheremo di delineare unpossibile approccio alla gestione del malato complessoin un’ottica di medicina di sistema (Systems Medi-cine). Partiremo da un’analisi del contesto attualedi gestione del malato complesso, per proporre unpossibile modello di presa in carico attraverso unapiattaforma di cure integrate.

Sistema Sanitario e P4/Systems Medicine: una pro-posta concreta di integrazione operativa.

Systems Medicine e malato complesso

Il nostro approccio all’assistenza sanitaria sta su-bendo un radicale cambiamento. Questo feno-meno è predittivo di un nuovo modello di assi-stenza sanitaria, comunemente conosciuto comemedicina di sistema o “Systems Medicine”, e haimplicazioni di ampia portata per tutti i soggettiinteressati, dai singoli cittadini europei ai respon-sabili istituzionali delle politiche regionali ed eu-ropee. Per raggiungere questo obiettivo bisognaposizionare i singoli cittadini al centro del processodell’assistenza sanitaria. Senza la partecipazionedei cittadini, disposti a condividere le loro infor-mazioni personali, non possono essere sviluppatele basi scientifiche e tecnologiche della medicinapersonalizzata. Sostenere la partecipazione a livellocittadino nel contesto dell’assistenza sanitaria ri-chiederà sforzi simili anche per garantire la parte-cipazione degli altri stakeholder.

Definizioni

La medicina di sistema può essere definita comeuna personalizzazione dell’assistenza sanitaria in

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Il malato complesso

Il modello dell’individuo malato che più comu-nemente contraddistingue il nostro secolo è nontanto l’individuo affetto da un’unica e definitamalattia, acuta e risolvibile nel breve-medio ter-mine, quanto piuttosto un malato cronico, affettoda più patologie incidenti contemporaneamente,in cui il fenotipo clinico risultante è determinatoe influenzato non solo da fattori biologici (malat-tia-specifici), ma anche da determinanti non bio-logici (status sociofamiliare, economico, ambien-tale, accessibilità alle cure ecc.), che interagisconofra loro e con i fattori malattia-specifici in manieradinamica a delineare la tipologia del “malato com-plesso”. L’approccio assistenziale nei confrontidelle patologie cronico-degenerative si realizza,secondo il livello di complessità, nella gestioneterritoriale, nel ricovero ospedaliero (quando lapatologia necessita di un setting appropriato diassistenza secondaria/terziaria) e/o nella gestionecondivisa fra territorio e ospedale, spesso a scapitodella continuità, dell’appropriatezza e della qualitàdi vita del paziente e dei suoi caregivers. I più recenti Piani Nazionali e Regionali hannosempre più evidenziato la necessità di una mag-giore appropriatezza di utilizzo delle risorse e diefficacia delle cure. In questo ambito è stata af-frontata, anche se in modo non sistematico, laproblematica della gestione dei malati complessi.Cerchiamo di muoverci nell’attuale sistema percercare di comprendere come si può identificare,in base ad alcuni parametri che spiegheremo, il“popolo” dei malati complessi e come, nel breveperiodo, si possa cercare tramite la loro identifi-cazione di giungere a una semplificazione gestio-nale, e forse, a dei risparmi di risorse.Obiettivi nella gestione della complessità dovreb-bero essere: il miglioramento del percorso del ma-lato (aspetto organizzativo) e il miglioramento

dell’approccio clinico al malato (aspetto medico-assistenziale). L’incremento delle patologie cro-niche e complesse dovrebbe innanzitutto esserefronteggiato con l’attivazione dei servizi territorialisanitari e sociosanitari, quali l’assistenza domici-liare integrata, che permettano di ridurre il rischiodi scompenso e quindi di ricovero. I reparti diMedicina Interna, e non solo, continuano a essere,infatti, luogo abituale di ricovero per pazienti an-ziani, e non, con polipatologia. Tali pazienti, semonitorati e quindi sottoposti a una diagnosticaefficiente e tempestiva, potrebbero essere gestitiin regime territoriale piuttosto che con ricoveroo con ricoveri brevi e non ripetuti. Un’azione me-glio coordinata tra ospedale e strutture sanitarieterritoriali, soprattutto nella fase pre-ricovero oprecoce post-dimissioni di soggetti principal-mente, ma non necessariamente, anziani con poli -patologia e politerapia, può concorrere a mante-nere il più a lungo possibile la stabilizzazione cli-nica ottenuta con l’ospedalizzazione e a ridurre iricoveri ripetuti.In secondo luogo l’organizzazione del percorso ditali pazienti, nell’ambito dei reparti, dovrebbe es-sere razionalizzata in modo da abbattere le giornatedi degenza e, quando possibile, da evitare il ripe-tersi dei ricoveri tramite un migliore grado di co-ordinamento delle cure, garantendo continuitàdelle informazioni e delle cure e completa comu-nicazione alla dimissione.Il principale svantaggio economico si determina,infatti, perché spesso il malato complesso implicaun impegno prolungato e spesso ripetuto dei postiletto, il ripetersi di esami diagnostici, il sovrapporsidi terapie non perfettamente coordinate ecc. dif-ficilmente associate a un rimborso vantaggiosodelle prestazioni.Infatti, la carenza della pronta disponibilità diadeguate informazioni diagnostico-terapeutichesoprattutto in soggetti dai ripetuti ricoveri ospe-

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dalieri e che assumono molteplici farmaci deter-mina l’amplificazione e la ripetizione di prestazionidiagnostiche con ricadute economiche per il Ser-vizio Sanitario Nazionale (SSN).

Un “approccio di sistema” al malato complesso

Nel tentativo di sviluppare un approccio di sistemaal problema della complessità in medicina cre-diamo che innanzitutto sia necessario poter iden-tificare la popolazione dei malati complessi perpoterne analizzare le caratteristiche e quindi perpoter delineare schemi e percorsi gestionali appro-priati. Dobbiamo quindi identificare alcuni para-metri che caratterizzano il “malato complesso”. Una prima caratteristica rilevante dei malati com-plessi in base alla logica e ai risultati ottenuti in let-teratura e in un sistema dove la Medicina Territo-riale è debole come il nostro è rappresentata dai ri-coveri ripetuti. Questi sono definiti come quei ri-coveri ordinari, in acuzie, a carico del SSN chehanno luogo nello stesso presidio, con stessa MacroCategoria (MDC) e in un intervallo temporale di0-30 giorni dalla dimissione del precedente ricovero.I dati della letteratura suggeriscono che la percen-tuale di ricoveri ripetuti sia rilevante nei reparti diMedicina Interna: 13,2% nei 30 giorni; 17,9% nei3 mesi; 41% nei 9-11 mesi. Altro elemento im-portante è la pluripatologia nei ricoveri ripetutinell’arco dei 9-12 mesi successivi. Questo dato in-dica, tra l’altro, che tali pazienti necessitano un fol-low-up individualizzato al fine di evitare il ripetersidell’ospedalizzazione. E ancora, le “dimissioni dif-ficili” possono essere un altro indicatore di com-plessità. I pazienti complessi, ricoverati general-mente presso le Unità Operative di Medicina In-terna o Geriatria o in reparti specialistici medico-chirurgici, ricevono cure che, se non determinanola guarigione, possono richiedere lunghi periodi di

ricovero per una stabilizzazione sufficiente a garan-tire un rientro a domicilio in sicurezza.Alcuni ricercatori hanno effettuato uno studio pervalutare la complessità sanitaria, socioassistenziale edi utilizzo delle risorse ospedaliere da parte dei pa-zienti ricoverati nel reparto di Medicina per acutidell’Ospedale S. Spirito di Roma. I dati riguardanoil primo trimestre del 2005 e 259 ricoveri, di cui il75,3% relativo a pazienti con età superiore ai 65anni. Sul totale dei ricoveri nell’arco dell’anno, il41,7% è rappresentato da ricoveri ripetuti. Per lamaggior parte dei pazienti l’accesso avviene tramitePronto Soccorso senza richiesta del medico. Le pa-tologie, desunte dalla diagnosi di accettazione delPronto Soccorso che più spesso sono state causa diricovero ripetuto, sono febbre (11,6%), dispnea(11,0%) e dolore toracico (5%). Le principali dia-gnosi alla dimissione, classificate in base ai DRG,sono state le patologie riguardanti l’apparato car-diocircolatorio, in particolare scompenso cardiaco(9,3%), e l’apparato respiratorio, con insufficienzarespiratoria (6%) e broncopolmonite (4,4%). Lamaggior parte dei pazienti ha avuto alla dimissionediagnosi di pluripatologia. Inoltre, dall’analisi stati-stica svolta dagli autori, la percentuale di pazienticon tre o più patologie è risultata significativamentepiù elevata nel gruppo con ricoveri ripetuti piuttostoche nel gruppo con un solo ricovero. Il 67% deipazienti ha avuto una dimissione ordinaria al propriodomicilio (con il 6,6% in dimissione protetta), il24% è stato trasferito in altra sede (post-acuzie ereparti riabilitativi), l’8,2% è deceduto. Gli autorinon analizzano eventuali dimissioni difficili.

Analisi del malato complesso nella Regione Lazio

Proviamo però ad analizzare la possibile complessitàa 360° dividendo l’ipotetica popolazione dei malaticomplessi per fasce di età: i pediatrici (0-14), le

Ipotesi per una gestione sostenibile della complessità; analisi economica 8

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fasce intermedie (malati acuti) 15-44 e 45-64 e glianziani > 65 anni. Per tali malati, a fini esemplifi-cativi andiamo ad analizzare i ricoveri ripetuti fa-cendo riferimento ai dati dell’ASP per la RegioneLazio nel 2010. I ricoveri in acuzie ordinari nella Regione Lazioper il 2010 presi in considerazione sono 545.632.Tra questi quelli ripetuti sono stati 44.719 (8,2%),quelli con almeno 3 ricoveri nell’anno 9793(1,8%), di cui 6166 con 3 ricoveri ripetuti e 3627con più di 3 ricoveri (Tabella 8.1).Dei 44.719 ricoveri ripetuti, il 38% avviene entro30 giorni dal primo ricovero, il 56% entro 60giorni, il 68% entro 90 giorni, il 76% entro 120.Nella Tabella 8.2 è riportato come indice di com-plessità il peso relativo APR DRG (MetodologiaAPPRO). Tale peso è un indice sintetico cheesprime l’assorbimento di risorse di un determi-nato ricovero rispetto al complesso dei ricovericonsiderati. In tale sistema a ogni sottoclasse diseverità di un determinato raggruppamento è as-segnato un peso relativo. Il numero di pazienti a cui risultano associati ri-coveri ripetuti nella Regione Lazio nel 2010 sonostati 33.997, con un numero medio di ricoveriripetuti pari a 2,3. I pazienti con almeno 3 ricoverisono stati 5959 (18%). Abbiamo quindi suddivisoil numero di pazienti con ricoveri ripetuti nell’arco

dell’anno per fasce di età e per numero di ricoveriripetuti (Tabella 8.3). Si può notare che i ricoveriripetuti risultano in maggior numero nelle classi15-44 e 45-64, perché i ricoveri complessivi con-siderati fanno riferimento anche a DRG chirurgicie a episodi di ricovero che non hanno a che farecon la “complessità”.Rispetto alle patologie causa dei ricoveri ripetuti,la maggior parte è rappresentata da problematichecardiologiche, polmonari e respiratorie, urinariee cerebrali (Tabella 8.4). Complessivamente questepatologie motivano circa il 34% dei ricoveri ripe-tuti. Se poi dettagliamo ulteriormente l’analisi guar-dando ai dati divisi per fasce di età notiamo che

118

Ministero della Salute

Classe di età Anno 2010

0-14 3901

15-44 10.659

45-64 10.445

65-74 8128

75-84 8637

> 84 2949

Totale 44.719

Tabella 8.1 Totale ricoveri ripetuti nell’anno solare2010, Regione Lazio, divisi per classi di età

Classe di età 2 3 4 5 Totale

0-14 2377 372 90 82 2921

15-44 6641 920 276 210 8047

45-64 6321 881 281 226 7709

65-74 5110 782 191 122 6205

75-84 5551 865 202 97 6715

> 84 2038 268 67 27 2400

Totale 28.038 4088 1107 764 33.997

Tabella 8.3 Numero di ricoveri ripetuti (pazienti) per fasce di età e per numero di ricoveriripetuti. Regione Lazio 2010

Classe di età N Media peso APR

0-14 3901 0,8681966

15-44 10.659 0,7170368

45-64 10.444 0,9475375

65-74 8128 1,049389

75-84 8638 1,007814

> 84 2949 0,8897717

Totale 44.719 0,9120237

Tabella 8.2 Complessità dei ricoveri: n. ricoveri ripetutiper classe di età e peso medio APR

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Ipotesi per una gestione sostenibile della complessità; analisi economica 8

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DRG Descrizione Freq. Freq. in % sul totale

127 Insufficienza cardiaca e shock 2592 0,056

87 Edema polmonare e insufficienza respiratoria 1235 0,027

139 Aritmia e alterazioni della conduzione cardiaca senza CC 822 0,018

202 Cirrosi e epatite alcolica 788 0,018

332 Altre diagnosi relative a rene e vie urinarie, età > 17 anni senza CC 718 0,016

316 Insufficienza renale 640 0,014

273 Malattie maggiori della pelle senza CC 578 0,013

125 Malattie cardiovascolari eccetto infarto miocardico acuto, con cateterismo cardiaco 456 0,010e diagnosi non complicata

130 Malattie vascolari periferiche con CC 441 0,010

138 Aritmia e alterazioni della conduzione cardiaca con CC 437 0,010

558 Interventi sul sistema cardiovascolare per via percutanea con stent medicato 403 0,009senza diagnosi cardiovascolare maggiore

88 Malattia polmonare cronica ostruttiva 378 0,0085

143 Dolore toracico 353 0,008

144 Altre diagnosi relative all’apparato circolatorio con CC 337 0,0075

479 Altri interventi sul sistema cardiovascolare senza CC 330 0,0074

12 Malattie degenerative del sistema nervoso 319 0,0071

26 Convulsioni e cefalea età < 18 anni 313 0,007

552 Altro impianto di pacemaker cardiaco permanente senza diagnosi cardiovascolare maggiore 301 0,007

249 Assistenza riabilitativa per malattie del sistema muscolo-scheletrico e del tessuto connettivo 255 0,006

131 Malattie vascolari periferiche senza CC 250 0,006

124 Malattie cardiovascolari eccetto infarto miocardico acuto, con cateterismo cardiaco 215 0,005e diagnosi complicata

132 Aterosclerosi con CC 215 0,005

271 Ulcere della pelle 154 0,004

133 Aterosclerosi senza CC 150 0,0034

98 Bronchite e asma, età < 18 anni 133 0,003

15 Attacco ischemico transitorio e occlusioni precerebrali 132 0,003

211 Interventi su anca e femore, eccetto articolazioni maggiori, età > 17 anni senza CC 132 0,003

397 Disturbi della coagulazione 118 0,003

563 Convulsioni, età > 17 anni senza CC 17 117 0,003

298 Disturbi della nutrizione e miscellanea di disturbi del metabolismo, età < 18 anni 115 0,003

551 Impianto di pacemaker cardiaco permanente con diagnosi cardiovascolare maggiore 112 0,0025o di defibrillatore automatico (AICD) o di generatore di impulsi

121 Malattie cardiovascolari con infarto miocardico acuto e complicanze maggiori, dimessi vivi 109 0,0024

Tabella 8.4 N. dimissioni per DRG tra i ricoveri ripetuti. Regione Lazio, Anno 2010

(continua)

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per quanto riguarda la principale causa di ripeti-zione dei ricoveri, che è l’insufficienza cardiaca eshock, questa risulta la prima causa e l’edema pol-monare e l’insufficienza respiratoria la seconda ela terza causa per le classi più anziane (65-74, 75-84 e oltre 84). Per i più anziani (84+) seguonoquindi insufficienza renale, malattie polmonari earitmie. Per la classe 75-84 seguono aritmie, in-sufficienza renale, altri problemi cardiovascolari eproblemi polmonari. Per le classi di età inferiore,invece, la prima causa risulta essere diversa e inparticolare la cirrosi e l’epatite alcolica risultanola principale causa per la classe 45-64 seguita daproblematiche renali e relative alle vie urinarie,

dall’insufficienza cardiaca e shock e quindi dallemalattie maggiori della pelle, dall’aritmia e damalattie cardiovascolari; per la classe 15-44 laprima causa è rappresentata da problematiche re-nali e urinarie, malattie maggiori della pelle, pro-blematiche di aritmia. Infine, per i pazienti pe-diatrici la prima causa risulta essere convulsioni ecefalea, bronchite e asma, disturbi della nutrizionee disturbi della coagulazione.Altro parametro rilevante, nell’identificazione deimalati complessi, è rappresentato dalle dimissionidifficili. La dimissione difficile è, quindi, general-mente definita come una dimissione ritardata per-ché nel rispetto della continuità terapeutica assi-

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Ministero della Salute

DRG Descrizione Freq. Freq. in % sul totale

142 Sincope e collasso senza CC 109 0,0024

113 Amputazione per disturbi circolatori eccetto amputazione arto superiore e dita piede 95 0,002

246 Artropatie non specifiche 87 0,002

321 Infezioni del rene e delle vie urinarie, età > 17 anni senza CC 85 0,002

91 Polmonite semplice e pleurite, età < 18 anni 71 0,0016

296 Disturbi della nutrizione e miscellanea di disturbi del metabolismo, età > 17 anni con CC 71 0,0016

118 Sostituzione di pacemaker cardiaco 70 0,0016

320 Infezioni del rene e delle vie urinarie, età > 17 anni con CC 67 0,0015

81 Infezioni e infiammazioni respiratorie, età < 18 anni 66 0,0015

301 Malattie endocrine senza CC 66 0,0015

300 Malattie endocrine con CC 65 0,0015

562 Convulsioni, età > 17 anni con CC 20 65 0,0015

17 Malattie cerebrovascolari aspecifiche senza CC 63 0,0014

114 Amputazione arto superiore e dita piede per malattie apparato circolatorio 57 0,0013

13 Sclerosi multipla e atassia cerebellare 56 0,0013

565 Diagnosi relative all’apparato respiratorio con respirazione assistita > 96 ore 49 0,0011

523 Abuso o dipendenza da alcool/farmaci senza terapia riabilitativa senza CC 46 0,0010

92 Malattia polmonare interstiziale con CC 44 0,0010

577 Inserzione di stent carotideo * 44 0,0010

322 Infezioni del rene e delle vie urinarie, età < 18 anni 42 0,00010,33164

Tabella 8.4 N. dimissioni per DRG tra i ricoveri ripetuti. Regione Lazio, Anno 2010 (continua)

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stenziale necessita di “un consumo di risorse eco-nomiche, umane e organizzative che vanno oltre lepotenzialità del paziente e dei suoi familiari”. LaTabella 8.5 mostra come, associati anche ai DRGmaggiormente “responsabili” di ricoveri ripetuti,vi siano anche episodi di dimissioni difficili. I rico-veri con dimissioni difficili sono qui interpretaticome ricoveri le cui giornate di degenza sono “oltresoglia” dove per “soglia” s’intende le giornate didegenza previste per uno specifico DRG.Come possiamo notare presentano degenze oltreil valore soglia il 22% dei ricoveri per infezioni einfiammazioni respiratorie in pazienti con età in-feriore ai 18 anni, il 16% dei ricoveri per disturbidella nutrizione, il 13% dei ricoveri per malattiecardiovascolari, il 7% dei ricoveri per convulsionie cefalea in pazienti con età inferiore ai 18 anni,circa il 5% dei ricoveri ripetuti dovuti a insuffi-cienza cardiaca e shock, per cirrosi ed epatite al-colica, per malattia polmonare cronica ostruttiva,per aritmia e problemi circolatori, il 3% dei rico-

veri dovuti a edema polmonare e insufficienza re-spiratoria e per insufficienza renale.Nella Tabella 8.6 sono riportati i DRG associatiai ricoveri ripetuti 3 volte e di rilevanza per lacomplessità. Sul totale di 6166 ricoveri ripetuti 3volte, 3289 (53% circa) sono relativi a patologiecollegate con la complessità. Nella Tabella 8.7 sono riportati i DRG associatiai ricoveri ripetuti più di 3 volte e di patologie ri-conducibili alla complessità. Sul totale di 3627,1998 (55%) sono ricoveri per patologie ricondu-cibili alla complessità.Complessivamente, quindi, sui 9793 ricoveri ri-petuti almeno 3 volte il 54% potrebbe essere ri-conducibile a cause di complessità.Andando a valutare poi il peso medio APR DRGper i ricoveri ripetuti almeno 3 volte e attribuibilialla complessità si nota che il peso medio è pari acirca 0,7 e quindi inferiore alla media dei pesi deltotale dei ricoveri ripetuti, sempre con riferimentoal 2010. Questo può attribuirsi al fatto che stiamo

Ipotesi per una gestione sostenibile della complessità; analisi economica 8

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DRG Descrizione N

127 Insufficienza cardiaca e shock 110

125 Malattie cardiovascolari eccetto infarto miocardico acuto, con cateterismo cardiaco e diagnosi non complicata 56

139 Aritmia e alterazioni della conduzione cardiaca senza CC 46

202 Cirrosi e epatite alcolica 39

249 Assistenza riabilitativa per malattie del sistema muscolo-scheletrico e del tessuto connettivo 37

87 Edema polmonare e insufficienza respiratoria 33

26 Convulsioni e cefalea età < 18 anni 24

138 Aritmia e alterazioni della conduzione cardiaca con CC 20

88 Malattia polmonare cronica ostruttiva 19

144 Altre diagnosi relative all’apparato circolatorio con CC 19

316 Insufficienza renale 18

298 Disturbi della nutrizione e miscellanea di disturbi del metabolismo, età < 18 anni 18

81 Infezioni e infiammazioni respiratorie, età < 18 anni 15

* Sono riportati solo i DRG cui corrispondono un numero di dimissioni ≥ 15.

Tabella 8.5 Numero di dimissioni* con giornate oltre il valore soglia per DRG tra i ricoveri ripetuti. Anno 2010

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Ministero della Salute

DRG Descrizione Freq.

127 Insufficienza cardiaca e shock 464

241 Malattie del tessuto connettivo senza CC 249

87 Edema polmonare e insufficienza respiratoria 248

202 Cirrosi e epatite alcolica 159

273 Malattie maggiori della pelle senza CC 137

240 Malattie del tessuto connettivo con CC 122

332 Altre diagnosi relative a rene e vie urinarie, età > 17 anni senza CC 102

130 Malattie vascolari periferiche con CC 100

139 Aritmia e alterazioni della conduzione cardiaca senza CC 99

316 Insufficienza renale 94

179 Malattie infiammatorie dell’intestino 71

208 Malattie delle vie biliari senza CC 66

144 Altre diagnosi relative all’apparato circolatorio con CC 66

138 Aritmia e alterazioni della conduzione cardiaca con CC 66

205 Malattie del fegato eccetto neoplasie maligne, cirrosi, epatite alcolica con CC 60

88 Malattia polmonare cronica ostruttiva 60

26 Convulsioni e cefalea età < 18 anni 59

183 Esofagite, gastroenterite e miscellanea di malattie dell’apparato digerente, età > 17 anni senza CC 52

333 Altre diagnosi relative a rene e vie urinarie, età < 18 anni 44

143 Dolore toracico 44

125 Malattie cardiovascolari eccetto infarto miocardico acuto, con cateterismo cardiaco e diagnosi non complicata 44

324 Calcolosi urinaria senza CC 43

204 Malattie del pancreas eccetto neoplasie maligne 43

89 Polmonite semplice e pleurite, età > 17 anni con CC 43

131 Malattie vascolari periferiche senza CC 42

207 Malattie delle vie biliari con CC 39

574 Diagnosi ematologiche/immunologiche maggiori eccetto anemia falciforme e coagulopatie 37

552 Altro impianto di pacemaker cardiaco permanente senza diagnosi cardiovascolare maggiore 35

395 Anomalie dei globuli rossi, età > 17 anni 35

140 Angina pectoris 34

132 Aterosclerosi con CC 30

272 Malattie maggiori della pelle con CC 28

331 Altre diagnosi relative a rene e vie urinarie, età > 17 anni con CC 27

271 Ulcere della pelle 27

Tabella 8.6 DRG associati ai ricoveri ripetuti 3 volte

(continua)

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Ipotesi per una gestione sostenibile della complessità; analisi economica 8

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DRG Descrizione Freq.

206 Malattie del fegato eccetto neoplasie maligne, cirrosi, epatite alcolica senza CC 26

133 Aterosclerosi senza CC 26

124 Malattie cardiovascolari eccetto infarto miocardico acuto, con cateterismo cardiaco e diagnosi complicata 24

79 Infezioni e infiammazioni respiratorie, età > 17 anni con CC 24

145 Altre diagnosi relative all’apparato circolatorio senza CC 22

299 Difetti congeniti del metabolismo 21

85 Versamento pleurico con CC 20

184 Esofagite, gastroenterite e miscellanea di malattie dell’apparato digerente, età < 18 anni 19

113 Amputazione per disturbi circolatori eccetto amputazione arto superiore e dita piede 18

563 Convulsioni, età > 17 anni senza CC 17 17

182 Esofagite, gastroenterite e miscellanea di malattie dell’apparato digerente, età >17 anni con CC 15

321 Infezioni del rene e delle vie urinarie, età > 17 anni senza CC 15

326 Segni e sintomi relativi a rene e vie urinarie, età > 17 anni senza CC 13

297 Disturbi della nutrizione e miscellanea di disturbi del metabolismo, età > 17 anni senza CC 13

141 Sincope e collasso con CC 13

134 Ipertensione 13

298 Disturbi della nutrizione e miscellanea di disturbi del metabolismo, età < 18 anni 13

81 Infezioni e infiammazioni respiratorie, età < 18 anni 12

562 Convulsioni, età > 17 anni con CC 20 12

98 Bronchite e asma, età < 18 anni 11

80 Infezioni e infiammazioni respiratorie, età > 17 anni senza CC 10

294 Diabete età > 35 anni 9

322 Infezioni del rene e delle vie urinarie, età < 18 anni 8

320 Infezioni del rene e delle vie urinarie, età > 17 anni con CC 7

283 Malattie minori della pelle con CC 7

246 Artropatie non specifiche 7

90 Polmonite semplice e pleurite, età > 17 anni senza CC 6

93 Malattia polmonare interstiziale senza CC 5

91 Polmonite semplice e pleurite, età < 18 anni 5

296 Disturbi della nutrizione e miscellanea di disturbi del metabolismo, età > 17 anni con CC 4

97 Bronchite e asma, età > 17 anni senza CC 2

96 Bronchite e asma, età > 17 anni con CC 2

Totale 6166

Tabella 8.6 DRG associati ai ricoveri ripetuti 3 volte (continua)

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considerando essenzialmente ricoveri medici esclu-dendo quelli chirurgici, che sono quelli cui vieneassociata, nella logica dei pesi APR DRG, la mag-giore “intensità” di assistenza. I pesi APR DRG non sembrano, quindi, degliindicatori corretti di “complessità”.Abbiamo analizzato, poi, le informazioni relativealle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) ri-

ferite alle classi dei ricoveri ripetuti almeno 3 voltee riconducibili a cause di complessità nell’intentodi identificare percorsi di complessità che si ma-nifestino con maggiore frequenza. Quando par-liamo di “percorsi” intendiamo l’associarsi di piùpatologie concomitanti che appunto rendono ipazienti complessi. Purtroppo le informazioni ricavate dalle SDO

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Ministero della Salute

DRG Descrizione N.

332 Altre diagnosi relative a rene e vie urinarie, età > 17 anni senza CC 424

241 Malattie del tessuto connettivo senza CC 312

127 Insufficienza cardiaca e shock 184

240 Malattie del tessuto connettivo con CC 167

273 Malattie maggiori della pelle senza CC 138

202 Cirrosi e epatite alcolica 124

87 Edema polmonare e insufficienza respiratoria 116

206 Malattie del fegato eccetto neoplasie maligne, cirrosi, epatite alcolica senza CC 90

130 Malattie vascolari periferiche con CC 73

205 Malattie del fegato eccetto neoplasie maligne, cirrosi, epatite alcolica con CC 55

333 Altre diagnosi relative a rene e vie urinarie, età < 18 anni 42

271 Ulcere della pelle 33

26 Convulsioni e cefalea età < 18 anni 30

272 Malattie maggiori della pelle con CC 30

207 Malattie delle vie biliari con CC 29

139 Aritmia e alterazioni della conduzione cardiaca senza CC 27

331 Altre diagnosi relative a rene e vie urinarie, età > 17 anni con CC 22

131 Malattie vascolari periferiche senza CC 19

204 Malattie del pancreas eccetto neoplasie maligne 16

208 Malattie delle vie biliari senza CC 16

138 Aritmia e alterazioni della conduzione cardiaca con CC 14

140 Angina pectoris 12

132 Aterosclerosi con CC 11

133 Aterosclerosi senza CC 7

134 Ipertensione 7

Totale 3627

Tabella 8.7 DRG associati ai ricoveri ripetuti più di 3 volte

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non hanno permesso di identificare degli specificie ben determinati percorsi di complessità proba-bilmente per il modo in cui le informazioni ri-portate nelle SDO sono mirate essenzialmente adefinire con maggiore precisione possibile ilgruppo omogeneo di diagnosi a cui è attribuibileun paziente/ricovero e non a identificare l’even-tuale complessità.

Proposte di gestione innovativa del malato complesso

La gestione del paziente complesso, per la suastessa natura, richiede uno sforzo di integrazione,multidisciplinarietà e continuità. Questo approc-cio non è sembrato finora incidere sui fattori disuccesso dell’assistenza, ovvero il coinvolgimentodel paziente e dei suoi caregivers, responsabilizza-zione degli operatori e dei livelli di cura non solosul singolo atto assistenziale, ma agli esiti com-plessivi e alla sostenibilità economica delle propriescelte, incentivazione delle strutture all’eccellenza,valutazione e monitoraggio degli esiti delle attività. Altri fattori ostativi a un tale approccio sono rap-presentati dall’uso dei Livelli Essenziali di Assi-stenza (LEA), che coprono prestazioni (così comei DRG si occupano di diagnosi di dimissione) enon incentivano logiche di continuum assistenziale,né di pacchetti di cura, all’interno dei quali valo-rizzare l’appropriatezza e, ancora di più, l’outcomedi salute. A tali lacune non sembra finora averdato risposta il sistema di accreditamento e/o dicertificazione all’eccellenza. Tale limite riguardaancora di più gli aspetti remunerativi, che si pre-sentano frammentari e non sempre paragonabilitra le Regioni e che spesso penalizzano e frustranole strutture e gli operatori più innovativi e appas-sionati.La disponibilità di strumenti innovativi ad altatecnologia per la gestione territoriale del malato

complesso divengono dunque di fondamentaleimportanza, non solo per la raccolta e organizza-zione multilivello dei dati, ma anche per la lorointegrazione e analisi di tipo bioinformatico a ele-vata complessità e per l’uso ottimizzato che nepuò derivare in ambito assistenziale e di salutepubblica in generale. Gli approcci a elevata com-ponente tecnologica tesi alla gestione del pazientecomplesso sono riconosciuti come priorità a livelloglobale, rappresentando un presidio in grado digarantire l’efficienza e la sostenibilità della conti-nuità di cura; per questo motivo sono uno deileit motiv dell’appena lanciata European InnovationPartnership. Sono componenti strutturali e fun-zionali di queste piattaforme: a) sperimentazioneclinica; b) database per uso clinico e di ricerca –ivi compreso l’Electronic Health Record (EHR); c)biobanca dedicata; d) capacità di generare “highthroughput information” (transcriptomics, proteo-mics, metabolomics ecc.); e) capacità di effettuareanalisi di tipo “Systems Biology”; f ) Network Ana-lysis; g) Bioinformatica; h) Information and Com-munication Technology (ICT) ivi compresi sensorie device ad alta tecnologia; i) l’approccio patientcentered empowered in contesto etico e di confor-mità alle Good Clinical Practice.L’attenzione viene posta sul coinvolgimento di-retto del medico di medicina generale e sul ruoloessenziale giocato dal paziente stesso (“patient em-powered”) in tutti i processi connessi all’assistenza.La possibilità di accedere a dati fedeli, completi eaggiornati sullo status istantaneo di ogni singolopaziente in qualsiasi fase del suo percorso di ge-stione sanitaria, garantirebbe un’ottimizzazionedella gestione globale del paziente stesso. L’im-plementazione sul territorio di modelli di gestioneinnovativi ad alto contenuto tecnologico consen-tirebbe pertanto l’attuazione di interventi con ri-cadute dirette a livello di prevenzione, cura e ria-bilitazione.

Ipotesi per una gestione sostenibile della complessità; analisi economica 8

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Secondo questa nuova modalità di approccio disistema, essenzialmente “discovery driven”, il feno-tipo complesso viene di fatto determinato dallasomma delle comorbilità incidenti e dalla loro se-verità. Questo approccio “bottom up” implica ne-cessariamente l’implementazione di una strutturadi raccolta e gestione dei dati, biologici e clinici,che deve necessariamente avvalersi di sistemi stan-dardizzati a elevatissima tecnologia. Dal punto divista gestionale gli approcci di sistema necessitano,pertanto, dell’implementazione sul territorio dipiattaforme multicomponenti ad alta tecnologiache possano raccogliere, integrare e analizzare nelsetting di primary care, a un livello di complessitàfinora mai gestito.

Quali sono le considerazioni tecnologicheper la medicina di sistema?

Una caratteristica della Systems Medicine è la suacapacità di integrare informazioni complesse pro-venienti da molteplici fonti di dati e generare unoutput utilizzabile per sostenere la salute dei sin-goli cittadini. Data la necessità di trattamentodei dati su larga scala che questo comporta, sipuò dire con sicurezza che la medicina persona-lizzata non esisterebbe senza tecnologie avanzate.Alle tecnologie cosiddette “omiche”, tra le qualigenomica, epigenomica, proteomica, metabolo-mica, lipidomica, sarà richiesto di generare datibiologici attraverso l’accostamento di immaginie monitoraggi fisiologici. Tutte queste informa-zioni, insieme ai dati supplementari sulle esposi-zioni ambientali e stile di vita, per esempio, do-vranno essere conservate e, soprattutto, integrate,analizzate e interpretate. Ciò richiederà soluzionitecnologiche in grado di gestire una serie completadi dati biologici e di convertirli in un output si-gnificativo che determinerà le singole scelte disalute.

Quale logica di allocazione delle risorse per la medicina di sistema?

La medicina di sistema dovrà tenere conto dellascarsità di risorse e della necessità improrogabiledell’allocazione prioritaria delle risorse in manieraquanto più ottimale ed efficiente possibile. Essatraghetterà il cambiamento dei sistemi sanitari, nelmedio-lungo periodo, verso logiche di sostenibilitàe di creazione di “valore” (rapporto costo/outcome)per il cittadino-paziente. Tale trasformazione saràpossibile agendo sulla cultura, sullo sviluppo orga-nizzativo e, in particolare, sullo sviluppo di sistemidi gestione delle risorse integrati e orientati ai pro-blemi di salute e non più alla sola e puntuale ero-gazione dei singoli servizi di cura.Tuttavia, sebbene le priorità epidemiologiche delSistema salute sembrino piuttosto chiare e condi-vise a livello internazionale, non altrettanto chiaririsultano i costi associati alle diverse modalità digestione delle malattie e, ancora meno, i ritornidi salute sugli investimenti effettuati. A fronte di risorse limitate per la gestione di unadomanda di salute in continua crescita vi è unanecessità improrogabile non solo di ridurre spre-chi, ma di massimizzare il valore generato dal Si-stema salute e dalle sue singole componenti inmaniera integrata. In un’epoca di risorse scarse èpertanto doveroso porsi domande di “valore”,chiedendosi se, per esempio, tutti i servizi assi-stenziali debbano essere parimente garantiti anchea discapito della loro qualità; se alcuni gruppi dipopolazione (es. anziani fragili) debbano essere,più di altri, tutelati; se e come le disuguaglianzegeografiche nello stato di salute della popolazionevadano gestite e contenute ecc.La logica dei budget per programmi di cura (co-siddetto Programme Budgeting), approccio di ana-lisi e strumento per il supporto alle decisioni infunzione del fabbisogno di salute, permetterà agli

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attuali modelli di allocazione delle risorse di im-parare a rispondere alle odierne esigenze di effi-cacia, efficienza ed equità dei sistemi sanitari aoggi non più corrisposte dai sistemi in uso.Esemplare, in tal senso, è l’esperienza dei colleghianglosassoni del National Health Service (NHS)nella gestione integrata del malato e delle risorseassorbite attraverso l’applicazione capillare dellametodologia del Programme Budgeting MarginalAnalysis (PBMA). Tale strumento, dal caratteremultidisciplinare tanto economico-programma-tivo quanto clinico-gestionale, permette di stimarela spesa inglese per la gestione totale di oltre 23macrocategorie di patologia, e relative sottocate-gorie, per oltre 107 miliardi di sterline di budgettotale. I dati più recenti (2010/2011) riportanotra i programmi di cura a maggiore assorbimentodi risorse i tumori (5,81 miliardi di sterline); pro-blemi cardiocircolatori (11,91 miliardi di sterline)e di salute mentale (7,72 miliardi di sterline).Tale rilevazione, agevolata non solo dalla dispo-nibilità di flussi informativi all’interno del NHSma anche da strumenti che ne favoriscono la di-vulgazione e la fruibilità dei dati, permette dunquedi promuovere la riorganizzazione dei servizi, ladefinizione di Linee guida e altre azioni di mi-glioramento in una logica di benchmarking tra idiversi setting assistenziali, tra cluster di popola-zioni, tra decisori e professionisti responsabili dellecure. I budget di programma permettono, inoltre,di essere di volta in volta ridefiniti sulla base deibisogni programmatici e operativi, non solo intermini di patologie (Classificazione Internazio-nale delle Patologie, ICD, e relative MacroCate-gorie, MDC), ma anche in termini di gruppi dipopolazione (anziani, donne e bambini ecc.) o dietà, solo per citare alcuni esempi. Tali strumenti rappresenteranno i presupposti perlo sviluppo di una medicina personalizzata chesappia calcolare la capacità produttiva e le risorse

assorbite dai problemi di salute, che si sappia con-frontare con valori ottimali e orienti le scelte futuresulla base dei dovuti interventi di miglioramento.La gestione proattiva delle diagnosi per malaticon insufficienza cardiaca cronica, integrata dalladivulgazione di Linee guida nazionali da parte delNICE inglese definite a partire dalla raccolta diqueste evidenze costo-beneficio, rappresenta unodei numerosi casi pratici di potenziale vantaggioderivante dal cambiamento della logica di alloca-zione delle risorse (es. riduzione del numero diricoveri in emergenza).L’applicazione della medicina di sistema dovrà,pertanto, fondare le radici del suo sviluppo su unpiù adeguato modello di allocazione delle risorseche non potrà prescindere dalle fondamentali va-lutazioni di costo-opportunità e di analisi margi-nale nel consumo delle risorse, al fine di garantiretanto investimenti sostenibili – con ritorni incisiviin termini di salute –, quanto disinvestimenti ef-ficaci volti a liberare le risorse non ottimizzate ericollocarle su scelte a maggiore valore aggiunto.Modelli di rimborso. I rimborsi legati alla me-dicina personalizzata rappresentano una questionecomplessa. Sebbene molti prevedano una ridu-zione della spesa sanitaria attraverso l’utilizzo ra-zionale di terapie mirate, il costo previsto per l’in-troduzione su larga scala di raccolta di dati comei profili “omici”, biomarcatori e dati di “imaging”accanto a informazioni contestuali sulle esposi-zioni ambientali ecc., sarà enorme. La questione,quindi, è il modo in cui determinare il rapportocosto-beneficio per personalizzare la medicina nelsuo complesso. Forse ancora più importante ècome calcolare i costi a lungo termine e rispar-miare per un sistema inteso a essere preventivopiuttosto che semplicemente reattivo.Una domanda urgente per la medicina persona-lizzata è se i modelli di rimborso possano esseresviluppati per supportare la prevenzione a lungo

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termine e le strategie di trattamento precoci. Peresempio, sarà possibile prendere in considerazionenon solo le riduzioni a lungo termine del ricoveroospedaliero o le terapie di tumori agli ultimi stadi,ma anche i contributi pensionistici, la produttivitàecc.? Questo può richiedere qualche riconsidera-zione di ciò che costituisce la prestazione, comeper esempio i “non-eventi” per le misure di pre-venzione. Nella ricerca di benefici a lungo termine,di investimenti a breve termine, i modelli di rim-borso potrebbero anche avere bisogno di superarenotevoli ostacoli politici.La complessità del problema è aggravata in Europadalle differenze regionali e culturali che influenzanole procedure di Health Technology Assessment (HTA).Anche se l’HTA tiene già conto di fattori diversi aldi là delle revisioni sistematiche e dell’analisi eco-nomica, l’accesso ai dati attraverso i confini nazio-nali potrebbe ostacolare un’adeguata analisi su scalaeuropea. La proprietà dei dati, l’accesso transfron-taliero e la privacy sono tutti aspetti che potrebberoinfluenzare la nostra capacità di sviluppare modellidi HTA realizzabili in tutta Europa.La priorità dei finanziamenti continuerà a essereun problema per l’attuazione dello sviluppo e ilconsolidamento della medicina personalizzata.Una sfida fondamentale sarà quella di garantireinvestimenti adeguati nella prevenzione, nella dia-gnosi precoce e nel monitoraggio per sostenerefuture riduzioni della spesa sanitaria o migliorarelo stato di salute a parità di costo. Allo stessomodo, i modelli dovranno tenere sempre piùconto del rapporto costi-benefici, piuttosto checoncentrarsi su singole malattie e il loro tratta-mento. Gli approcci alle malattie rare, dove ungran numero di classificazioni delle malattie coin-volge piccoli gruppi di individui affetti, sono de-stinate a diventare più ampiamente applicabili inmedicina personalizzata, allo stesso modo con cuimalattie comuni possono essere riclassificate in

sottotipi più precisi che interessino piccoli gruppidi individui. Come è stato trovato nelle malattierare, i piccoli numeri di pazienti affetti da sottotipidi patologie “pathway specifici”, stanno a signifi-care che il ritorno economico degli investimentieffettuati per la ricerca sia probabilmente basso,insieme a un ridotto incentivo finanziario per gliinvestimenti da parte dell’industria. I modelli dirimborso, infine, dovranno tenere conto non solodel rapporto costi-efficacia, ma anche delle con-siderazioni etiche e sociali.

Professione medica

Le richieste che guideranno lo sviluppo tecnolo-gico nel campo della medicina personalizzata at-tualmente provengono principalmente dalla pro-fessione medica. Qualunque siano le potenzialitàofferte dai progressi tecnologici, se il lavoro gior-naliero dei medici non viene osservato dal puntodi vista dei benefici che può apportare è impro-babile che ci siano dei vantaggi. I medici cliniciattendono delle informazioni che possano esserefornite rapidamente e in un formato che indichiun chiaro flusso di azioni. Inoltre, la tecnologiadeve aiutarli a fornire risposte semplici che vadanoincontro alle preoccupazioni dei pazienti sullemalattie future, le possibilità terapeutiche e le pos-sibilità di prevenzione. I medici si aspettano dipoter integrare informazioni provenienti da piùfonti, tra le quali approcci di tipo “omico” e di“imaging”, supportati da algoritmi sempre piùraffinati volti a giustificare la scelta di un pianodi azione adeguato per ogni singolo paziente.La medicina di sistema avrà implicazioni differentiper i diversi stakeholders durante il suo sviluppo ela sua attuazione. I medici saranno chiamati aprendere decisioni sulla base di complesse infor-mazioni biologiche, ambientali e riguardanti lostile di vita; scienziati e tecnici dovranno interagire

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e comprendere le esigenze dei medici responsabilidella cura del paziente; ai cittadini sarà offertal’opportunità senza precedenti di assumersi la re-sponsabilità per la propria salute attraverso unmonitoraggio attivo, misure di prevenzione escelta, anche diretta, del trattamento. In ogni caso,i soggetti interessati dovranno essere dotati dellecompetenze necessarie per partecipare pienamenteal futuro della medicina di sistema.

Multidisciplinarità e oltre

La visione a lungo termine per la medicina per-sonalizzata, concettualmente, potrebbe compren-dere una completa riorganizzazione del sistemasanitario. La professione medica, per esempio, po-trebbe allontanarsi dalla specializzazione legata aisingoli organi e muoversi verso approcci basati su

più sistemi. La cura del paziente potrebbe coin-volgere specialisti in assistenza sanitaria persona-lizzata, che interagiscano con team multidiscipli-nari (incluse le scienze sociali e della comunica-zione), e di supporto decisionale. In molti casi, sitratterà anche di condividere lo spazio fisico incui si massimizzano le opportunità di interazioniestemporanee e le risorse condivise. Così, per ot-tenere la multidisciplinarietà come primo passoverso un futuro interdisciplinare potrebbero esserenecessari investimenti in infrastrutture adeguate.Parallelamente, saranno necessari ulteriori sforziper sostenere la carriera dei futuri professionistiinter- e multidisciplinari. Dovrà essere previsto,per esempio, lo stanziamento delle risorse per ga-rantire la sostenibilità nel caso in cui giovani pro-fessionisti siano attratti da una carriera nel campodella Systems Medicine.

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