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Pearl JamLA GENERAZIONE "ALIVE" E L'ALTERNATIVE ROCK NEGLI ANNI NOVANTA

Giovedì 19 Aprile , alle ore 21.30 il Teatro Sant’Agostino dell’Aquila ospita il concerto-seminario sulla musica dei Pearl Jam.

Si tratta dell’ottavo appuntamento curato dall’Associazione “Laboratorio Dietro le Quinte”: nelle edizioni precedenti si sono approfonditi i temi del blues, del rock, dalla musica elettronica, popolare, dalla composizione e dell’incontro tra la musica e la letteratura: i testi dei vari seminari sono stati pubblicati integralmente sul sito www.quinte.it .

Questi eventi, rivolti prevalentemente agli studenti universitari, così come le rassegne annuali per musicisti emergenti, sono promossi dalla ADSU, l’Azienda per il Diritto agli Studi Universitari dell’Aquila (www.adsuaq.org), ed intendono valorizzare tra gli studenti universitari, quegli artisti emergenti interessati alla musica di base, al teatro, alla letteratura, al giornalismo ed alla cultura in genere.

Il 19 aprile non ci sarà solo l’esibizione dei Love Theory, un’ottima tribute band del gruppo di Seattle, ma si cercherà anche di approfondire la conoscenza dei Pearl Jam tramite la presentazione di uno studio sulla loro storia e sulla loro musica: il testo del seminario sarà distribuito al pubblico in sala e pubblicato su internet.

Il seminario, ideato e realizzato da Fabio Iuliano, Direttore Artistico della Associazione “Laboratorio Dietro Le Quinte”, sarà presentato dallo stesso Autore con interventi mirati durante lo svolgimento del concerto. E chi conosce Fabio è anche pronto a scommettere su una sua jam-session con i Love Theory, in chiusura di concerto.

I LOVE THEORY SONO:

PAOLO MONTEAMARO (voce, chitarra)RICCARDO RENZETTI (chitarra, cori)LORENZO CENTRORAME (basso, cori)LEO VERRIGNI (batteria)

Produzione a cura della:ASSOCIAZIONE CULTURALE“LABORATORIO DIETRO LE QUINTE” www.quinte.it [email protected]

Piero Cerolini 335-8119094 ([email protected]) Fabio Iuliano 349-8356424 ([email protected])

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Pearl Jam

LA GENERAZIONE "ALIVE" E L'ALTERNATIVE ROCK NEGLI ANNI NOVANTA

Quando Eddie adatta il testo di Alive per la prima volta alle note di Dollar Short, la sensazione comune, per i suoi futuri compagni di band, è quella di trovarsi davanti a qualcosa di significativo, una sorta di inno alla vita. In un momento di incertezza, dove la morte di Andy aveva messo tutto in discussione, per gente come Jeff e Stone non c'era nulla di meglio di un ritornello come quello cantato da Eddie che portava avanti la canzone a suon di «sono vivo, sono

ancora vivo». Parole che si ripetono con forza, mettendo in secondo piano tutto il resto. Nessuno, però, fa caso alle strofe, attraverso le quali Eddie racconta, invece, la sua stessa storia. La storia di un figlio che non ha mai conosciuto il suo vero padre – salvo una volta in strane circostanze – e che vive credendo di dovere i suoi natali al patrigno Peter sino a quando non viene messo al corrente della verità dalla madre Karen. Alla base di quello che diventerà uno dei pezzi più conosciuti del gruppo che si sta formando c'è una storia di fango, di ipocrisia e di rabbia. Il testo racconta una vicenda che si snoda su complicate dinamiche familiari sino a trovare immagini più sfocate che dipingono, con pennellate astratte, la proiezione del rapporto tra madre e figlio al limite dell’incesto. Nelle strofe c’è tutto questo, mentre il ritornello ribadisce – non senza ironia – l'importanza di essere vivi. Un’ironia che Jeff e Stone stentano a cogliere, concentrandosi invece sull'importanza di ribadire «sono ancora vivo» ora che il loro microclima è imploso a causa della morte di Andy. Ma questa è un’altra storia…In quel momento, la cosa più importante era aver trovato una pezzo con cui riscoprire la voglia di andare avanti; una canzone che potesse dare un senso alle sofferenze di tutti. Un senso che è forse anche quello che è all’origine del nome della band. Perché la scelta del nome Pearl Jam non ha nulla a che vedere con “cazzate” tipo quella della «marmellata di funghetti allucinogeni della nonna di Eddie», o con altre invenzioni improvvisate sul momento dallo stesso cantante e propinate al giornalista di turno. Questo nome ha sicuramente più a che vedere con l’essenza stessa della perla e con il procedimento naturale della sua creazione, che non è altro che quello di prendere escrementi è trasformarli in qualcosa di straordinariamente bello. Comincia così l’esperienza del gruppo, tirando in gioco le negatività con le quali si combatte a livello personale e lasciandole evolvere in canzoni. È questo che fa arrivare a noi il messaggio del gruppo, facendo dei Pearl Jam una delle band più rappresentative del panorama rock degli ultimi anni.

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Son, she said,Have I got a little story 4

U,who ya thought

waz your daddy waz nothing but a...

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Once (upon a time)

Ma chi sono i Pearl Jam e come sono arrivati ad essere una band dell'underground di Seattle? Gli antefatti sono diversi. Gruppi che si formano e si lasciano a cavallo dell’inizio degli anni novanta, quei favolosi anni novanta che hanno segnato un provvisorio (n.b. solo provvisorio) declino del pop, in favore di generi musicali più alterativi che andavano alla riscoperta di sonorità hard rock e punk. E’ proprio il nord ovest degli Usa l’epicentro di uno degli scenari più interessanti per il fenomeno underground, che si sviluppa in maniera significativa già da metà anni ottanta, trovando in Seattle uno dei punti nevralgici. L’industria discografica è attirata dalla concentrazione di tante band potenzialmente interessanti, nella città che ha dato i natali a Jimmy Hendrix. Uno dei primi a rendersi conto di questa realtà è Bruce Pavitt, dj e esperto di musica e ideatore della fanzine Subterranean Pop che è tra le prime a recensire le nuove tendenze cittadine nello scenario della musica indipendente. Nel 1986, Pavitt chiama a raccolta un po’ di gruppi della zona e mette insieme la compilation Sub PoP 100, con degli evidenti richiami alla fanzine. Il lavoro è la prima pietra dell’omonima etichetta discografica. Tra i gruppi inseriti nella raccolta, ci sono anche i Sonic Youth. Alla successiva versione in vinile della compilation, viene allegato un singolo di una band emergente di Seattle. Si tratta dei Green River, che si erano formati nel 1984, fra varie vicissitudini. La loro line-up schierava Mark Arm (al secolo Mark McLaughlin), Steve Turner, Alex Vincent, oltre al chitarrista Stone Gossard, ex March of Crimes e Ducky Boys e il bassista Jeff Ament. Un gruppo eccentrico, con o senza gli strumenti in braccio, dai cui show ci si poteva aspettare di tutto. «Sono una band che ha il coraggio di fare schifo», ha sentenziato una volta uno dei soci della Sub Pop. L’esperienza del gruppo dura qualche anno e piccole produzioni come Dry as a Bone e Reharb Doll affianca l’EP di inizio, Come on down, che è un po’ la sintesi delle influenze metal e hard rock dei componenti. Ma la band non riesce mai veramente ad inserirsi nel mercato delle majors e quando si tratta di mettersi d'accordo sulla maniera migliore di promuoversi, le divergenze sono molte. È il 1987 quando Arm e i suoi prendono coscienza che i Green River si stanno consumando come una sigaretta che è vicina al filtro. Con l’uscita di scena di Arm, gli strumentisti della band si avvicinano sempre più ad Andy Wood, il frontman dei Malfunkshun. Si creano le premesse per un nuovo gruppo, sono i Mother Love Bone che recuperano Jeff Ament e Stone Gossard, insieme al chitarrista Bruce Fairweather e il batterista Greg Gilmore (sostituisce Regan Hagar). A fare la differenza è proprio Andy, con le sue liriche positive e cariche di forza spirituale; un vero e proprio “love rock” - rock dell'amore come il nome del gruppo suggerisce. L’estensione vocale di Andy non impedisce alla sua voce di essere calda e coinvolgente. Esce Shine, il primo EP dei Mother Love Bone che hanno tutte le potenzialità ribadisce – e i contatti – per uscire dai circuiti del nord Ovest. La band va in tour e inizia a definire l’architrave del nuovo album Apple, che sarà terminato nel novembre del 1989, ma pubblicato dalla PolyGram solo nella primavera successiva, a fronte di un lungo lavoro di remissaggio e di una campagna pubblicitaria adeguata. Ma l’uscita di Apple, invece di essere il trampolino di lancio del gruppo, si trasforma in un capolinea. A marzo, il pubblico del Central di Seattle nel concerto dei Love Bone organizzato alla vigilia dell’uscita del loro album, è ignaro di assistere all’ultima performance della band. La sera del 16 marzo, Andy viene trovato nella sua abitazione, privo di sensi. A dare l’allarme è la sua compagna Xana. Il ragazzo viene trasportato d’urgenza all’Harborview Hospital. Diagnosi: overdose di eroina. Andy lotta per tutto il week-end ma appare subito evidente che il suo coma è irreversibile. La situazione spinge i suoi genitori a dare l’assenso per spegnere le macchine. La performance al «Central» di Seattle è il canto del cigno. Da questo momento in poi Andy e i Mother Love Bone sono un ricordo che i protagonisti porteranno dentro per tutta la vita.

stripped and sold, mom auctioned forearm

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you think I got my eyes closedbut I'm looking at U the whole fuckin’ time

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and whiskers in the sinktruants move on cannot stay long some die just to live...

Saranno proprio gli sforzi di Jeff e Stone a garantire continuità al messaggio di Andy. Ma prima, i due devono fare i conti con una tragedia che ha segnato profondamente le loro esperienze. È un momento difficile per loro che prima di tutto hanno perso un amico, così, senza preavviso, dall’oggi al domani. Inoltre, appena sfumato un momento magico in cui i Love Bone sono arrivati ad un passo dal cielo, lasciando Andy da solo a varcarne la soglia. Per chi resta a terra le cose si complicano. Si devono tirare i remi in barca e cercare nuovi porti. Dopo settimane di sbandamento, i due si ritrovano nei Luv Co. (sperimentando formazioni sempre inedite), prima di iniziare a lavorare nel “Gossman Project”, un insieme di sessions strumentali a cui partecipa il chitarrista Mike McCready, ex Shadow e all’epoca legato con i Love Chile. In studio anche l’attuale batterista dei Pearl Jam, Matt Cameron che raggiungerà il gruppo non prima di aver terminato l’esperienza con i Soundgarden. Le loro takes, classificate secondo la tonalità, sono alla base della produzione futura. Oltre a Dollar Short (Alive), fanno parte del “Project” anche Richard’s ‘E’ (Alone), Weird ‘A’ (Animal). ‘E’ Ballad (Black), Doobie ‘E’ (Breath), The King (Even Flow), Just a girl (Girl), Agytian Crave (Once), The Wreck of Edmund Fitzgerald, Folk ‘D’. A queste si aggiungono 7Up (poi Pushing Forward Back) e Times of Trouble (sarà riproposta dai Pearl Jam con il testo di Footsteps) che saranno incluse nel progetto discografico Temple of the Dog, concepito come un tributo ad Andy Wood, in collaborazione con il frontman Chris Cornell (ex Soundgarden e ormai ex Audioslave). Qualcosa si muove, ma per tornare a volare, Jeff e Stone hanno bisogno di intrecciare la loro strada con quella di un eccentrico surfista originario di San Diego che si fa chiamare Eddie Vedder.

Rearviewmirror

Saw things . . .clearer once you were in my

rearviewmirror

Eddie è come un diesel, la sua incisività all’interno della band è tutta un divenire. Si presenta alla band come un ragazzo timido, con gli occhi bassi. La gente che ruota attorno all’entourage artistico dal quale verranno fuori i Pearl Jam parla di lui in questi termini. La sua personalità viene fuori piano piano, come la sua storia di vita che lo ha accompagnato sino a Seattle. Eddie si sovrappone al progetto musicale imbastito da Jeff Ament e Stone Gossard. I due, insieme al chitarrista Mike McCready e a Matt Cameron , mettono su nastro l’architrave della musica dei Pearl Jam. I contatti tra Eddie e il resto della band, lo fornisce Jack Irons, ex batterista dei Red Hot Chili Peppers. Irons fa il suo nome ai suoi amici di Seattle, parlando di un cantante di buone qualità che vive a San Diego lavorando ad una pompa di benzina e passa il tempo libero facendo surf e cantando nei Bad Radio, una band locale.

Quando Eddie arriva a Seattle, ha già in mano il demo registrato da Stone e compagni. Siamo a metà ottobre del ’90, iniziano le prove per la registrazione dei primi pezzi, alla Galleria Potatohed. Nel giro di pochi giorni Vedder scrive le parti vocali e i testi dei brani (quelli che diventeranno Alive, Footsteps e Once). Inizialmente la nuova formazione, decide di chiamarsi Mookie Blaylock, dal nome del famoso giocatore di basket, Daron Oshay Blaylock, ma quasi subito il nome si trasforma in Pearl Jam. Il titolo dell'album d’esordio,

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paint Ed bigturn him into one of his enemies

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Ten, richiama, tuttavia, il primo nome del gruppo, essendo dieci il numero di maglia con cui giocava Blaylock nei New Jersey Mets.

È Temple of the Dog, il primo vero progetto discografico che lega Vedder, Ament, McCready e Gossard. Una session a cui partecipa anche Matt Cameron, che nel frattempo è passato ai Soundgarden. Inoltre, i

Pearl Jam partecipano, nel 1991, sia come comparse sia come autori della colonna sonora (insieme, tra gli altri, a Soundgarden, Alice in Chains, Mudhoney, Screaming Trees e Smashing Pumpkins), al film “Singles, l'amore è un gioco” di Cameron Crowe. Il regista californiano di Vanilla Sky ed Elizabethtown rimarrà per sempre legato al background musicale di Seattle

Le prime tracce di Ten vengono incise a marzo 1991. Dave Krusen, subentrato alla batteria al posto di Matt Cameron, lascia a sua volta il gruppo poco tempo dopo aver completato le registrazioni, rimpiazzato prima da Matt Chamberlain e poi definitivamente da Dave Abruzzese. L'album, a esce per la Epic (Sony), per via dei contatti che Ament e Gossard hanno mantenuto con Michael Goldstone (prima Polydor, poi passato alla Sony) dai tempi dei Mother Love Bone. L’album, che diventa una specie di cult degli anni ’90, è ricco di suggestioni che riportano l’ascoltatore indietro di due decadi. Parliamo del drumming pesante,

stile di John Bonham (Led Zeppelin), dei soli di chitarra di hendrixiana memoria, la voce di Vedder, che nelle tonalità basse sembra muoversi sulle orme di Jim Morrison (non a caso Vedder sarà invitato dai superstiti Doors nel 1993 per interpretare, dal vivo, Roadhouse blues, Light my fire e Break on through). Non solo, al sound dei Pearl Jam contribuiscono ci sono anche le esperienze artistiche degli Who, uno dei gruppi preferiti di Eddie che è stato definito una sorta di personaggio vivente delle canzoni di Pete Townshed di Neil Young, specie nelle sonorità più elettriche, dei Rem e degli U2. Indubbiamente l'esordio dei Pearl Jam si discosta in maniera massiccia dai lavori degli altri gruppi di Seattle, Nirvana e Soundgarden. Pur non presentando grandi innovazioni formali o sperimentazioni, Ten è un disco che, tramite brani rock ben elaborati, sa trasmettere, anche nei momenti più hard, un’atmosfera malinconica e disillusa capace però di sfociare in momenti di grande carica energetica. I testi di Vedder si muovono su binari paralleli. Riferimenti a vicende realmente accadute (Jeremy e Why go), sono alternati a riflessioni più intime, spesso ermetiche, relative a storie che in qualche modo traggono spunto dalla sue travagliate vicende adolescenziali. Ten catapulta i Pearl Jam nell'olimpo del rock nel giro di pochi mesi, con un numero di copie vendute davvero notevole, anche in considerazione del fatto che la sua uscita coincide quasi con la pubblicazione di Nevermind dei cugini Nirvana.

Nella primavera del 1993 i Pearl Jam tornano in studio per la registrazione del loro secondo lavoro, Vs. Con il nuovo produttore Brendan O'Brian (che ha lavorato, tra gli altri, con Aerosmith, Stone Temple Pilots, Red Hot Chili Peppers e Black Crows), cambia l'approccio con lo studio di registrazione: i brani vengono suonati praticamente live, con il minor numero di takes possibili e sovraincisioni ridotte all'osso. Il risultato è evidente: Vs è sicuramente molto più crudo e vigoroso, meno artefatto di Ten. Brani più caricati come Go, Animal, e Blood sono intervallati dalle ballate acustiche Daughter, Ederly woman behind the counter in a small town. Non mancano pezzi dai ritmi elaborati, come WMA o con code psichedeliche, Indifference. L'album (inizialmente

pubblicato solo in vinile) vende, dal momento della prima stampa in CD, un milione di copie in una settimana. Con Vs, i Pearl Jam fanno breccia nella «music industry», ma questo non è necessariamente un bene per la band che si sente spesso privata dei suoi spazi.

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Vitalogy (1994) è il terzo album del gruppo, composto da una serie di tracce sperimentali in cui l’approccio “vedderiano” si fa sentire di più rispetto alle produzioni precedenti. Anche qui, brani dalle sonorità ripetitive e dure come Last exit, Not for you, Spin the black circle, Whipping, si alternano ad alcune ballate nello stile di quelle contenute nell'album precedente Nothingman, Better man, Immortality. All'interno di Vitalogy c'è spazio anche per alcuni pezzi eccentrici come Pray, to, Bugs, ma soprattutto Hey foxymophandlemama, that's me, un brano di otto minuti composto da un delirante collage di voci e rumori, decisamente un momento particolarmente psichedelico della carriera dei Pearl Jam. La pubblicazione dell'album coincide con l'abbandono del gruppo da parte del batterista Dave Abruzzese, poi sostituito dal già citato Jack Irons, ex Red Hot Chili Peppers.

No code, esce nell'anno successivo e si distingue per il tentativo dei Pearl Jam di scrollarsi di dosso il sound tipico che li ha caratterizzati fino a questo momento. Ma il risultato è un lavoro a volte troppo frammentario, privo di amalgama. Si può dire che è un disco riuscito a metà, con, di volta in volta, strizzate d'occhio al punk (Lukin), al country rock stile Neil Young, con il quale non a caso i Pearl Jam hanno lavorato l'anno precedente in Mirrorball. Tra questi pezzi ci sono (Smile, Red mosquito). No code raggiunge addirittura atmosfere care al rock britannico (Mankind, composta e cantata da Stone Gossard). D'altro canto l'album contiene alcune buone composizioni, una su tutte la bellissima Present tense, uno

dei massimi vertici artistici raggiunti dai Pearl Jam in tutta la loro carriera, un concentrato di malinconia, delicatezza, disperazione e poesia.

Il disco successivo, Yield è datato 1998 e segna un ritorno al sound più classico del gruppo, con forse una cura diversa per i suoni. Da ascoltare Brain of J., Faithful, Pilate, Do the evolution, Given to fly Whislist MFC, scritta in Italia e dedicata al traffico intorno alla capitale. Bisogna attendere altri due anni prima dell’uscita di un nuovo album dei Pearl Jam, fatta eccezione per Live on two legs, un disco nato dalle registrazioni del tour mondiale del 1998 (a partire dal quale Matt Cameron, ex Soundgarden, prende il posto di Irons alla batteria).

Binaural, l’album del Millennium Bug, è il lavoro forse più curato di Eddie Vedder e compagni, quello che più di ogni altro sembra frutto di uno sforzo realmente collettivo, di un impegno equamente distribuito fra tutte le componenti della formazione. Neppure per un attimo Binaural dà infatti l'impressione di appiattirsi sui cliché melodici e ritmici che oggigiorno rappresentano i più sicuri passaporti per il successo commerciale. Brani come Of The Girl, Sleight Of Hand e l'acustica Soon Forget - una sorta di siparietto folk per Eddie Vedder -, tanto per cominciare, indicano senza incertezze che i Pearl Jam sono sempre animati dalla voglia di rimettersi continuamente in discussione e quasi ossessionati dallo scrupolo di ricercare e saggiare nuove modalità

espressive, mentre Insignificance e ancor di più Grievance assicurano dal canto loro che il perseguimento di tale obiettivo non ha affatto pregiudicato l'energia e la passionalità che da sempre ispirano le mosse di un gruppo che con le varie Breakfall, God's Dice, Light Years e Thin Air si dimostra ancora una volta imbattibile sul terreno della ballata elettrica. Impossibile non restarne ancora una volta conquistati.

Riot Act uscito nel tardo 2002 cerca quasi di creare una continuità nel discorso stilistico lasciato in sospeso con Binaural. Di certo non è un disco facile da metabolizzare specie per i fans della prima ora, infatti pur rimanendo rock allo stato purissimo di influenza 70’ Riot Act riesce ad essere moderno e attuale. Il filo conduttore che lo pervade è il “pensiero-contro" espresso dal suo stesso titolo (Atto di rivolta). Si inizia con l’atmosfera rarefatta, sospesa fra sogno e realtà, di Can’t Keep trasportati dagli intarsi

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suggestivi creati dalle chitarre acustiche ed elettriche e dalla voce di Eddie Vedder. Si è trattato quindi di un sogno? Non c’è tempo per fermarsi a riflettere perché dopo poco veniamo investiti dal ritmo incalzante di Save You che ci riporta all’interno di un territorio più familiare: un punk-rock rabbioso, abrasivo ed essenziale. L’esperienza discografica di Riot Act (2002), inoltre, è fortemente condizionata dai fatti di Roskilde (vedi pagina seguente) e questo è evidente in canzoni capaci di lasciare segni per anni, come Love Boat Captain.

Per dirla con le parole di PearlJamOnLine.it, l'ottavo disco in studio dei Pearl Jam ‘spiazza’. Vuoi per le prime 5 canzoni così adrenaliniche, vuoi per la dolcezza alla Elliott Smith di Parachutes, per la soul ballad Come Back (dedicata a uno dei migliori amici di Ed Vedder, Johnny Ramone, chitarrista dei Ramones, deceduto nel 2004) o per l'epica Inside Job. Non dimentichiamo, poi, le canzoni che possono già essere considerate classiche nel repertorio della band: World Wide Suicide, Gone e Severed Hand.

Lost nine friends we’ll never known (two) years ago today

30 giugno 2000: nove fan muoiono schiacciati durante il concerto dei Pearl Jam al festival di Roskilde in Danimarca.

1 luglio – Era considerato il festival rock meglio organizzato d'Europa, eppure otto (poi nove ndr) ragazzi hanno trovato la morte sotto il palco dove suonavano i Pearl Jam, travolti dalla folla. Una catastrofe senza precedenti. Mentre la polizia dà pateticamente la colpa dell'accaduto all'ecstasy, il pensiero va a quei ragazzi e si cerca di ragionare sul perché un concerto rock, una festa, debba trasformarsi in tragedia. Si può morire di troppo amore per la musica? A Roskilde è successo. Era una festa, migliaia e migliaia di giovani, sul palco c'era uno dei gruppi più amati e rispettati di questi anni, i Pearl Jam, sotto il palco c'erano loro fan arrivati anche da molto lontano. Erano ragazzi giunti lì dall'Olanda, dalla Germania, dalla Svezia. Avevano 23, 22, 26 anni, probabilmente si erano accampati lì, sotto il palco, da molte ore, forse anche dal giorno prima, non li aveva smossi nemmeno la pioggia che intanto aveva trasformato il terreno in uno scivoloso pantano.Contava solo stare lì, conservare quella posizione, poter guardare Eddie Vedder negli occhi, poter allungare le braccia e cantare con lui. Sono morti in otto (nove) sotto la spinta feroce e allucinante di una folla che avrebbe tutta voluto guardare Vedder negli occhi e sfiorarlo con la mano. La tragedia di Roskilde è tremenda ma non è semplicemente un “incidente”. Anche noi, come i Pearl Jam, vorremmo che “qualcuno ci svegliasse e ci dicesse che è solo un orribile sogno”. Invece è un fatto terribile, reale, sul quale bisogna ragionare. Alba Solaro (Katweb musica)

Non ho mai parlato con nessuno di Roskilde. E’ la peggiore esperienza che abbia mai avuto, sto ancora tentando di venirne a capo. Appena prima di salire sul palco quella sera avevamo ricevuto una telefonata. Chris Cornell e sua moglie Susan avevano appena avuto una figlia. Anche uno dei nostri tecnici del suono era andato via il giorno prima perché stava per avere un bambino. Mi veniva da piangere, ero così felice. Salimmo sul palco con quei due nomi in testa. E 45 minuti dopo tutto era cambiato.L’intensità di quello che quell’evento ha causato sembrava surreale, e invece tu volevi che fosse reale. Così ti sedevi cercavi di capire e lo ridigerivi. Vuoi continuare a rendere omaggio alla gente che era la, o alla gente che è morta e alle loro famiglie. Omaggio alle persone che ci tengono a te. Un amico del ragazzo australiano, Anthony Hurley chiese se avrei potuto scrivere qualcosa per il funerale. Questa è stata semplicemente la cosa più difficile che abbia mai fatto – non sapendo davvero cosa fosse appropriato, non sapendo cosa provassero gli amici e la famiglia; forse ero l’ultima persona al mondo da cui volevano sentire qualcosa. Ma significò molto per loro, e mi ha molto aiutato. Penso che abbia aiutato anche gli altri. Hurley aveva tre fratelli più giovani, e ci hanno detto che lui teneva davvero molto al nostro gruppo, ed è per quello che era davanti. E che stava facendo qualcosa che amava nei suoi ultimi minuti. Sua sorella ed un suo amico – che era con

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Anthony quella sera – vennero a Seattle per i nostri ultimi due concerti. E fu bellissimo trascorrere un po’ di tempo con loro. E’ stato davvero importante. (Ed Vedder)

Il riot act dei Pearl Jam

Riot Act affronta diversi temi e in un momento storico particolare, come quello attuale, non ha paura di tuffarsi nelle complessità della politica e dell’avarizia, l’emozione dell’11 settembre. Sono temi che Vedder sembra scavare dal profondo e presentare in canzoni come Cropduster. Oppure in Green Disease e Bu$hleaguer dove la politica, l’avidità e il denaro fanno la loro amara comparsa. Riot Act. I Pearl Jam invitano all'adunata sediziosa quanti, dopo l'11 settembre, hanno fatto un passo indietro, resistendo alla sirena del cieco patriottismo pompato dalla Casa Bianca per garantirsi il consenso in vista della campagna d'Iraq. Quanti intravedono altro che il perseguimento dell'umano diritto alla pace nella determinazione di Bush, nel Golfo, a chiudere i conti lasciati in sospeso da suo padre dieci anni prima. Per cosa? Il pieno controllo sulle vie del petrolio. Dietro il teatrino di Bush c'è la vittoria del Green Disease, la malattia verde, il primato del dollaro su qualsiasi etica della pace.Riot Act ha un ingrediente che ne esalta il sapore: un attacco diretto a Bush, dove il crudo sarcasmo ruba la scena all’elegante metafora. «Perché è così appoggiato? - canta Eddie Vedder in Bushleaguer - Lui non è un leader, è solo un lobbista texano…trivella in cerca della paura, che gli rende il lavoro più semplice…». La paura della gente comune, giocando sulla quale il governo Usa è accusato di giustificare ogni intervento. «Security» è la seconda parola più spesso pronunciata da Bush nei suoi discorsi annuali dello State of the Union. La prima è «America» stessa. Difficile dire se oggi il valore aggiunto della band sia una sorta di consapevolezza politica dei tempi in cui viviamo. I primi concerti dei Pearl Jam erano sicuramente più punk, nel senso attitudinale del termine. Oggi il termine di paragone immediato che viene alla mente è Bruce Springsteen, non tanto perché le affinità puramente estetiche siano così numerose, quanto per un modo di avvicinare ed esprimere il rock che si oppone, più o meno consciamente, allo spettacolo visivo fine a se stesso di tante altre popstar. Numerose sono le iniziative che hanno visto per protagonista la band di Seattle. Dal Vote For Change dell’ottobre 2004, in supporto all’alternativa democratica alla riconferma di George W. Bush, alla mobilitazione per salvare tre ragazzi dal braccio della morte, il cosiddetto West Memphis 3 Riferimenti web:

www.pearljam.com sito ufficiale

www.pearljamonline.it in italiano – News, interviste, concerti, biografie, formazione, discografia, foto, mp3, video, gadget

www.lovetheory.itsito della tribute band che ha animato la serata

www.quinte.itsito dell’associazione culturale promotrice

www.adsuaq.org sito dell’Azienda per il diritto agli studi universitari dell’Aquila

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PEARL JAM

Eddie Vedder (voce e chitarra)Jeff Ament (basso)

Stone Gossard (chitarra)Mike Mc Ready (chitarra)Matt Cameron (batteria)

Page 10: Pearl Jam - fabioiuliano.files.wordpress.com  · Web viewLA GENERAZIONE "ALIVE" E L'ALTERNATIVE ROCK NEGLI ANNI NOVANTA. Giovedì 19 Aprile , alle ore 21.30 il Teatro Sant’Agostino

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LOVE THEORY – Il gruppo nasce nel Febbraio del 2004 quando Riccardo, Alessandro e Lorenzo, reduci da una precedente esperienza musicale, decidono di formare una tribute band dedicata ad uno dei gruppi ai quali si sono sempre ispirati, i Pearl Jam. La ricerca di un chitarrista per il nuovo progetto li porta a conoscere quello che sarebbe diventato ben presto il quarto ed ultimo componente del gruppo, Paolo. Decisa la line-up definitiva con il passaggio alla voce del nuovo arrivato, la band comincia a preparare il repertorio attingendo all'intera discografia del quintetto di Seattle, partendo dal fortunato esordio fino ad arrivare agli ultimi album. Da quel momento i Love Theory continuano con passione e costanza la strada intrapresa calcando numerosi palchi del pescarese/chietino e guadagnandosi un sempre più folto e fedele seguito di appassionati jammers che continua ad accompagnarli nelle loro esperienze "on the road". Nati e cresciuti come band elettrica, a partire dalla stagione live invernale 2005/6, i quattro si dedicano al loro progetto acustico sulla scia dei memorabili unplugged tenuti dai Pearl Jam nel corso degli anni. Concepito nell'intento di offrire assieme all'elettrico un tributo a 360 gradi della band di riferimento, il progetto si rivela stimolante e molto apprezzato dal pubblico. Le atmosfere acustiche offrono la possibilità di "giocare" con i suoni e riarrangiare i brani, occasione pienamente sfruttata dall'aggiunta di elementi come le percussioni o il violino che impreziosiscono ulteriormente le canzoni e contribuiscono a rendere l'unplugged uno dei punti di forza del gruppo. Con l'uscita dell'ottavo album in studio dei Pearl Jam nel Maggio 2006 e il tour in Italia a Settembre dello stesso anno, la band si concentra di nuovo e con ancora maggior vigore sul repertorio elettrico focalizzando l'attenzione soprattutto sull'ultima fatica discografica del quintetto di Seattle. Comincia così una nuova e fortunata stagione live che li vede tra i protagonisti della scena musicale pescarese e li porta a calcare numerosi palchi della zona e non solo. A Dicembre 2006, dopo quasi tre anni di attività con la formazione iniziale, la band deve affrontare il primo cambio di line-up dovuto all'abbandono del batterista Alessandro Fragassi in seguito ad impegni di studio. A colmare il vuoto lasciato da Alessandro arriva Leo Verrigni, musicista di indiscusso valore e punto di riferimento all'interno della comunità italiana dei Pearl Jam ( membro dello staff di PearlJamOnLine.it, amministratore della Strangest's Tribe Board e creatore di www.daveabbruzzese.it ). I LOVE THEORY SONO:PAOLO MONTEAMARO (voce, chitarra)RICCARDO RENZETTI (chitarra, cori)LORENZO CENTORAME (basso, cori)LEO VERRIGNI (batteria)

Fabio IULIANO – Giornalista, docente di lingue, collabora con varie testate tra cui il quotidiano il Centro (gruppo editoriale Finegil - L’Espresso), prevalentemente in ambito sportivo e culturale. È il Direttore Artistico dell’Associazione promotrice del concerto-seminario, “Laboratorio Dietro le Quinte”. Ha già lavorato, con il gruppo alternative rock Mota Semper e con il professore dell’Università dell’Aquila Antonio Ronci, alla realizzazione della sesta edizione del concerto-seminario, dedicata a Federico García Lorca (www.quinte.it/seminari.htm). Una session di musica e di poesia, o meglio non-poesia, sulla falsariga di una presentazione realizzata nel ’99 presso il

Northern Art Building dell’University of Wales Swansea (GB), dove ha studiato per il progetto Erasmus. Grande fan dei Pearl Jam, dice di se stesso: «non ricordo quale jazzista americano ha scritto che – se con una canzone avrai fatto sorridere qualcuno non avrai vissuto invano – a me, fondamentalmente, qualche volta è successo…».

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