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Pedagogia della persona Processi Educativi e Rieducativi in carcere Prof.ssa Paolina Mulè

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Pedagogia della persona

Processi Educativi e Rieducativi in carcere

Prof.ssa Paolina Mulè

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• La rieducazione in carcere come problema pedagogico fondamentale sia in Italia che in Europa

• Problema della Persona che deve essere orientato/rieducato anche nei contesti difficili

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• Legge di riforma del 27 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà,per comprendere il pieno recepimento dell’art. 27 della Costituzione , comma 3° che così recita:«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»

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All’art. 1 della legge si chiarisce che il trattamento penitenziario deve essere improntato alla tutela della dignità e della personalità ed alla salvaguardia dei diritti di tutti coloro che vengono privati della libertà personale

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Osservazione della personalità

Si perviene all’individuazione del trattamento in relazione alle condizioni del soggetto-

persona, al fine di tendere al recupero del reo e al suo re-inserimento sociale

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La pedagogia penitenziaria e la pedagogia della cura della persona

Mirano a dare opportunità personali e di rieducazione/risocializzazione, nonché di inserimento sociale a soggetti-persona che vivono in uno stato di reclusione.

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Ri-educare significa organizzare interventi volti a modificare la visione del mondo di un individuo, del suo modo di percepire se stesso, di intendere gli altri e le cose, di relazionarsi con le realtà e di concepire delle scelte in ordine allo schema di significati di cui dispone.

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• Nel contesto penitenziario è difficile fare coesistere senza alcun problema le due categorie centrali: sicurezza e trattamento, proprio perché le figure preposte ai due compiti diversi: agenti di polizia penitenziaria e assistenti sociali, educatori, pedagogisti, psicologi, medici, hanno una formazione che mira ad obiettivi diversi ed opposti allo stesso tempo.

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L’attenzione si rivolge verso un sistema penitenziario che non si connota per essere un luogo di punizione, ma principalmente per rieducare il reo.

A tal proposito, è bene ricordare che originariamente il penitenziario rappresentava più un luogo di estradizione, che di pena, con una finalità volta all’isolamento piuttosto che all’emendazione del reo.

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Etimologicamente il termine penitenziario deriva da ‘penitenza’, in cui la pena è intesa come ‘castigo per ottenere il riscatto’; diventa, quindi, tappa obbligata per la redenzione, ossia per quella che chiamiamo oggi rieducazione del detenuto.

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• La pedagogia penitenziaria trova la sua identità strutturante nel momento in cui viene coniugata «agli interventi relativi all’osservazione ed al trattamento dei detenuti e degli internati […]»

• Parimenti, nell’art. 1 del R. E. 230/00, al 2° comma, così si legge: «Il trattamento rieducativo dei condannati e degli internati è diretto a promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali, nonché delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo ad una costruttiva partecipazione sociale».

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Gli agenti di polizia penitenziaria si sono occupati da sempre della vigilanza, dell’esercizio della disciplina, mentre gli educatori, gli assistenti sociali, gli psicologi preposti a gestire, curare percorsi di rieducazione sollecitano un insieme di attività liberamente scelte dai detenuti.

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Tutti gli operatori (insegnanti, volontari, cappellano, detenuti, operatori penitenziari, educatori, assistenti sociali) innescano relazioni tra loro non solo per rapporti strettamente istituzionali, quanto per le finalità delle loro attività che verte principalmente nella ‘centralità della persona detenuta’.

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Il centro di annodamento di questi interrelazioni e rapporti interpersonali è costituito essenzialmente dalla comunicazione.

«Il bisogno di dialogare, di rapportarsi e di confrontarsi con altri da sé rappresenta certamente per ogni uomo un’esigenza imprescindibile».

L’uomo non è soltanto un essere nel mondo, ma relazione col mondo degli oggetti e delle persone; gli stadi del suo divenire persona si definiscono sulla base della qualità e dell’intensità del suo rapporto col cosmo e con la comunità dei suoi simili.

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• La pedagogia penitenziaria si fonda sulla relazione educativa educatore/educando-detenuto. Nell’ambiente carcerario tutto si fonda perciò sulla comunicazione educativa, che attraverso la relazione interpersonale dei soggetti coinvolti, rappresenta la chiave di volta per la conoscenza della soggettività della persona detenuta, ma anche dei vari livelli di espressione manifestati dal soggetto stesso.

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• Ciò si realizza con l’educatore, all’inizio della reclusione del detenuto, attraverso il colloquio pedagogico, e durante, con tutti gli altri operatori, attraverso i vari percorsi trattamentali di rieducazione e risocializzazione diretti ai reclusi.

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• Per poter uscire dall’isolamento, da una spersonalizzazione creata dal sistema penitenziario, il detenuto ha bisogno della comprensione umana che passa attraverso l’incontro, l’ascolto e il dialogo.

«Il valore della persona, della sua dignità e della sua educabilità, del suo essere fine di ogni scelta o azione, ci permette di considerare il dato incontrovertibile che la pedagogia, in quanto scienza dell’uomo, non può prescindere da una sua precisa connotazione antropologica».

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La tensione salvifica della pedagogia pone al centro il problema antropologico; è il soggetto che viene analizzato affinché affiorino bisogni ed esigenze, utili per progettare percorsi di cura ed interventi riabilitativi e di rieducazione. In questo senso, «la persona, misura di tutte le cose, va tutelata e rispettata, orientata verso l’emancipazione, guidata verso la libertà e l’autonomia, sostenuta nel lungo e laborioso processo» della sua ri-realizzazione.

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Modello di Comunicazione tradizionale in carcere

aspetti prescrittivi e normativi=

organizzazione-istituzione penitenziaria

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• I.P. Struttura gerarchica• Obiettivo: escludere ed isolare gli individui

pericolosi dalla società

• Presupposto: qualunque tipo di bisogno del ristretto può essere soddisfatto

CONSEGUENZE:

- Rinuncia della persona ristretta alla propria autonomia, identità, valori

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Nel carcere non c’è spazio

- alla libera iniziativa;

- all’espressione di ogni singola individualità;

Perché LUOGO in cui

Parola e Linguaggio vengono rarefatte

allora la Comunicazione non verbale diventa la REGOLA

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IL Corpo diventa espressione di ATTi creativi,

L’esasperata rimuginazione verbale sostituisce la parola

Sguardo- Postura- Gesti- Espressioni del volto- Paralinguistica- Abbigliamento

=

Espressione della personalità

COMUNICANO

Emozioni e Atteggiamenti

IDENTITÀ

contro il processo di omologazione

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Nell’I.P.Relazioni sociali ed affettive dei ristretti non

trovano uno spazio libero per esprimersi Generando- Processi di spersonalizzazione - Destrutturazione del Sé

AggressivitàAZIONI: gesti autolesivi a carattere dimostrativo assicura la vicinanza/presenza di persone per

il soccorso

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• Le azioni autolesive a carattere dimostrativo sono:

- ingestione di lamette da barba protette da stagnola;

- Tentativi d’impiccagione- Autolesionarsi le braccia con lievi

ferite dall’aspetto eclatante- Rifiuto sistematico di alimentarsi

(sciopero della fame)

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• Azioni rappresentano una ‘modalità relazionale’ apprese nel contesto per comunicare con gli operatori penitenziari

soprattutto con quelli dell’Area trattamentale

Dopo si assiste ad interventi di routine che lo stesso ristretto già si attende

Apre un canale per arrivare alla comunicazione diretta con gli operatori

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‘Uno come tanti

Uno dei tanti

Uno fra tanti’

I suoi bisogni, immediati e non, sono quelli di tanti altri come lui

Le ragioni sono le ragioni di tutti quelli come lui

Si scopre di fare parte di una massa che non ha il potere delle masse

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• La questione Tempo.I tempi di attesa sono talmente prolungati ed

insostituibili da non rispecchiare la corrente percezione temporale, tanto più che i bisogni del detenuto – impellenti e in una situazione di limite e di restrizione

HANNOCarattere d’urgenza.Azione autolesiva assolve la funzione di

annullare i tempi di attesa

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Sistema penitenziario

Una Rete

centrata

Sulla relazione con l’altro

Eterogeneità professionale

Diversità di linguaggio

Crea un clima informale non utile alla corretta decodificazione dei messaggi

provenienti dagli utenti

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Regole penitenziarie europee allegate alla Raccomandazione n.(87) 3, approvata dal

comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, Strasburgo, 12 febbraio 1987

• Rapporto al Governo Italiano circa la visita effettuata dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti in Italia dal 15 al 27 marzo 1992 (Strasburgo, 31 gennaio 1995)

• Complessità del sistema P.• Riqualificazione del personale

penitenziario

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• Benessere dei detenuti dipende dal benessere del personale

• A radicali riforme P. non corrisponde sempre un’attenzione verso il Personale Penitenziario sul piano:

-della gratificazione;-delle reali offerte di promozione professionale;-della costante informazione dell’opinione pubblica

sul lavoro ‘usurante’

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Un problema di forma mentis-funzione del carcere come luogo di recupero

sociale e di reinserimento

Il cambiamento del detenuto

Questione cambiamento del carcereCambiamento è difficile: quello corale, vero,

condiviso, profondo.Programmazione integrata di iniziative

trattamentaliTeatro

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Umanità del detenuto

Ogni essere umano realizza se stesso nel tempo e nello spazio della propria esistenza,

ma in circostanze diverse e sotto l’influenza di altre condizioni,

può realizzare la propria umanità in modo diametralmente opposto.

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Non bisogna perdere di vista i limiti del sistema detentivo,

incapace di sottrarsi dall’immaginario collettivo secondo cui bisogna scontare la pena per vendicarsi, annullando nei fatti

ogni ipotesi pedagogico-riabilitativa dell’esperienza carceraria

• Cost. art. 27 - La pena e la detenzione dovrebbero favorire, la rieducazione morale e la reintegrazione sociale del reo, in quanto in carcere entra ‘il reo e non il reato’.