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Penelope. Ulisse Genio proteiforme quel Matisse! Valeva la pena il lungo viaggio per ammirare quei capolavori disposti in bella fila lungo le sale di un Palazzo antico, lì nella capitale. Sono senza fiato sia per la bellezza dei capolavori che per la stanchezza che procura la stazione eretta quando si scorrono con gli occhi tante esperienze, ricerche ed approfondimenti che determinano una svolta nelle avventure dell’ intelletto umano. Io adoro l’arte in ogni sua foggia e non mi scoraggia la fatica se c’è da ammirare qualcosa per cui valga la pena di viaggiare. Ora sono davvero stremata. Entro in un bar. Scelgo un tavolo isolato in un angolo appartato. Pronto il cameriere si appressa. Chiedo un caffé. Per ingannare l’attesa, accendo una sigaretta. Lento il fumo si effonde azzurrino in volute eleganti. Offusca lievemente la vista. Attendo. Gentile il ragazzo mi porta la fumante tazzina su un vassoio molto fine. Attento si fa lo sguardo… Una sagoma nota frusta la mente. Guardo quell’uomo. Mi guarda. Poi deciso come sempre: “Ciao, ero sicuro che fossi tu, nonostante il tempo passato. Ti ho visto guardare con particolare attenzione un Matisse, “quel” Matisse…” Dice d’un fiato Lascia la frase così solo a metà per dare agio a me, qualora fossi confusa, di mettere a fuoco discorsi e ricordi. Il Matisse, “quel” Matisse! Quante volte ne avevamo parlato….

Penelope Ulisse

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Due storie parallele: Ulisse Penelope e Penelope Ulisse raccontano il diverso comportamento di un uomo e di una donna di fronte all'abbandono

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Page 1: Penelope  Ulisse

Penelope. Ulisse

Genio proteiforme quel Matisse! Valeva la pena il lungo viaggio per ammirare quei capolavori disposti in bella fila lungo le sale di un Palazzo antico, lì nella capitale. Sono senza fiato sia per la bellezza dei capolavori che per la stanchezza che procura la stazione eretta quando si scorrono con gli occhi tante esperienze, ricerche ed approfondimenti che determinano una svolta nelle avventure dell’ intelletto umano. Io adoro l’arte in ogni sua foggia e non mi scoraggia la fatica se c’è da ammirare qualcosa per cui valga la pena di viaggiare. Ora sono davvero stremata. Entro in un bar. Scelgo un tavolo isolato in un angolo appartato. Pronto il cameriere si appressa. Chiedo un caffé. Per ingannare l’attesa, accendo una sigaretta. Lento il fumo si effonde azzurrino in volute eleganti. Offusca lievemente la vista. Attendo. Gentile il ragazzo mi porta la fumante tazzina su un vassoio molto fine. Attento si fa lo sguardo… Una sagoma nota frusta la mente. Guardo quell’uomo. Mi guarda. Poi deciso come sempre: “Ciao, ero sicuro che fossi tu, nonostante il tempo passato. Ti ho visto guardare con particolare attenzione un Matisse, “quel” Matisse…” Dice d’un fiato Lascia la frase così solo a metà per dare agio a me, qualora fossi confusa, di mettere a fuoco discorsi e ricordi. Il Matisse, “quel” Matisse! Quante volte ne avevamo parlato…. “Ti dà qualche problema se ti tengo compagnia?” Accenno di no e sorrido. “Il posto è vuoto… ” e calco su posto. “Sempre dolce il tuo viso…” Cerca l’avance, io penso. Fingo disinteresse, mentre le immagini tentano… e l’orologio dalle esili ali scandisce un giorno qualunque, un’ora qualunque su una storia qualunque, in un tempo qualunque. Mentre poggia il cappotto ben ripiegato sulla sedia accostata, rifletto: “E’ il tempo che non mi contiene. Io lo contengo in molteplici “adesso”. Si arrestano. Oscillano. Si ripetono. Indugiano. Fuggono di fronte al dolore. Sostano senza fine di fronte alla noia.

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Io misuro. Io scandisco. Io attribuisco ritmi e conto le ore, i mesi, gli anni. Il Tempo non ha tempi. Non ha ritmo. Non sa la felicità, il dolore o l’inganno, l’ansia, la fretta, la gioia, il sonno o la veglia. Il Tempo non sa.” “Come stai?” Dice garbato. “Molto bene.” Dico cortese. E come se leggesse i solchi dei pensieri: “Il tempo per te si è fermato. Sei sempre bellissima.” Non sono stata mai bella, è lo sguardo che detta la dimensione, se il cuore ha ancora un sussulto. “Anche tu sei in forma, solo qualche filo bianco di più.” E… una voce annegata nel paesaggio dell’anima scandisce ricordi, pensieri, passioni che il tempo ha placato e molto addolcito. A volte, si affaccia una vita in frammento di vita, finestra dischiusa sul tutto di cui si scorge una parte importante e forse la più veritiera. E quella parte può avere l’alito lungo dell’eterno o il singhiozzo di un attimo, ma resta sempre luce e tensione, debolezza e forza. “Cosa fai, adesso, di bello?” Dice sornione. “Niente di particolare. Mi occupo sempre delle solite cose che tu conosci a puntino. E tu sei diventato artista famoso?” Aggiungo leale. Ma… la mente vaga in un “domani” che allora fu negato. Oh! Il futuro questo trastullo con cui ci si balocca da sempre. Noi vivemmo il presente tirandone i bordi per fare entrare il domani, ma ne deformammo i contorni un tantino di troppo e fu rimando di specchi, scatola dalle mille sorprese. Nascose l’assurdo, la risata e la fuga. La mia, la tua, la nostra. “Mah! Di fortuna ne ho avuta nel… lavoro!” Ascolto con gli… occhi e vedo con le…. orecchie: -E’ dal fondo del dolore che può fiorire la gioia più grande.- Si staglia Holderlin. Dopo la tempesta germoglia la pace. Per tanto tempo donna-relitto ho avuto la forza di scendere all’inferno e sono salita senza nessuna Euridice a tendere una mano protesa a lenire, protesa a bucare l’azzurro del cielo, protesa a farmi tuffare nell’acqua salata per sentire sirene ammaliatrici vagare nel mare. Si rincorrono le sillabe sulle sue labbra, colgo qua e là un mozzicone di frase:“…ma ho perso te.” Allunga una mano a lisciare la mia tazzina di caffé ormai freddo, e senza aspettare risposta ne beve un gran sorso. Ricorda ancora che non potevo portare alla bocca quel liquido nero quando era ghiacciato. Lo osservo mentre ripoggia la tazza sul suo piattino. Insinuante il racconto solo nella mia mente: “All’inizio era solo la notte, profonda, fitta, totale, ma poi fu il soffio vitale e la tenebra generò l’uovo, l’uovo d’argento e lo adagiò nel grembo immenso dell’oscurità e fu Eros, divinità primordiale, sintesi perenne di morte e di vita, non del tutto umano, non del tutto divino. Celestiale e crudele, disumano e fedele, ingannatore e solare.” … “Sei bellissima”.

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… E si volta di scatto. Mi costringe supina. Le braccia allargate sulle braccia allargate. Il corpo premuto sul corpo. Le gambe unite sulle gambe unite. “Ti amo.” Penso. E il respiro si blocca, il battito del cuore rimbomba sul petto e nel petto insieme col fluire muto delle parole all’unisono. Abissale il silenzio come la tenebra genitrice del dio. La fioca luce della stanza risplende di un sole divino. Corre il pensiero… Si arresta... E’ sera o è mattino? E’ alba o è tramonto? Che importa se il mio Eros è solare! … “… poi la mia vita sentimentale non è mai andata a gonfie vele… ” Un altro mozzicone di frase risuona nell’angolo romito di quel bar. “Forse – penso - lo dice per non farmi dispiacere.” Non ho udito tutta la frase sentendo la ricorsa delle sensazioni. Ora, nel presente, non c’è felicità al suono della “sua” voce. Percepisco solo pacata nostalgia. Non più battiti a precipizio ma solo la tranquilla sicurezza di chi, non dimenticando, ha reso inoffensivo il male. Spento il rancore, una pacata indifferenza si allarga nel cuore e la sua scelta non rientra più nell’orizzonte dei pensieri. Poi chiara la sua voce: “Quanti ricordi, mia cara, in questo incontro si sono scaraventati nella mente.” Fingo di non cogliere il tentativo di un qualche nuovo approccio per rendere più vago il tradimento o forse per rinnovare quell’ antica fiamma. Torna pacato il pensiero a tutti i tradimenti della vita che sempre ti portano una crescita. E’ tradimento il primo taglio del cordone ombelicale che ti consegna nudo al mondo. E’ tradimento il seno turgido della madre che non ti nutre più. E’ tradimento se sulle strade della vita chi ti ha dato vita non ti segue più. E’ tradimento se le tue speranze riposte in un amore, in tutti gli amori, non ti fanno più sognare. E’ solo nel chiuso del tuo cuore che tu puoi elaborare tutti i tradimenti per guardare il domani con più serenità, fino a quando l’estremo tradimento, sghignazzando e deridendo, ti consegnerà all’al di là. “Niente ha valore se non resta eterno.” Dice l’Achille dell’Omero. Ma lui certo intendeva l’ immortalità di una fama affermata in tutto il mondo, io intendo la continuità della vita e delle morti. … Fluisce ancora il discorso dalla sua bocca dal taglio perfetto: “Quale sbaglio ho commesso lasciandoti andare. Se ora potessi riparare!” Adesso l’esclamazione esige risposta. Medito solo un secondo poi dico: “Speranza è soltanto l’ultimo dei mali trattenuto nel vaso di Pandora che solamente gli uomini accomuna, persino nella fulminazione dell’ultimo minuto, quando c’è forse solo l’ attesa di una vita superiore. Ora il mio cielo è vuoto di miti e divinità, vivo ora e qui sentendo sempre l’antica meraviglia del vento che soffia sulla faccia, della goccia dell’acqua incontro al sole con la sua iridescenza, del fiore che sboccia anche nell’arsura della sabbia, della foglia che s’accortoccia per la gran calura.”

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“Tu non sei cambiata, ed io ho perduto questa tua dimensione. Oggi per me c’è solo ordine e ragione. Darei, forse, tutto il resto della vita per poter inseguire i sogni insieme a te.” Dice con un’ombra di mestizia. “Ti conosco da gran tempo, il tuo cosmos è ordine perfetto dentro il tutto, le calze sulla sedia, il cappotto nell’armadio, la posta in bell’ordine sul tavolo, nell’astuccio le sigarette e le ciabatte insieme, sotto il letto. Mentre io non trovo mai le mie di carte. Sono sempre sparse dappertutto, e il mio sguardo cerca senza sosta l’altrove, il brivido e l’emozione.” Rispondo tranquilla. “Posso almeno telefonarti?” Lo guardo. Sorrido. Sorride. Ma non aggiungiamo parole. Si alza, toglie dalla sedia il capotto ben piegato mentre io vorrei dirgli: “Sarebbe dolce oggi prendersi per mano lungo la strada stretta della vita e stringersi abbracciati perché entrambi ci contenga, tuffarsi lì, nella nostra terra, nell’azzurro mare e lasciarsi dalle onde trascinare, o guardare il cielo con Venere e la luna, così senza dire una parola.” Mi tende la mano, gli tendo la mano. A stento soffoco un urlo per la stretta troppo forte. Respiro, e lo vedo allontanare anche quando ripassa dietro i vetri. Gli allungo ancora un sorriso ed anch’io mi alzo e vado via. Guardo l’orologio. S’è fatto troppo tardi. E’ scaduta l’ora della sosta per la macchina posteggiata. Faccio una corsa. Tiro un sospiro di sollievo. Oggi è giorno fortunato. Il vigile non è ancora passato. Apro la portiera. Siedo sul sedile. Giro la chiave e pigio sull’acceleratore. La strada è lunga e devo fare attenzione. Finalmente in lontananza vedo le illuminazioni che segnano la fine del percorso autostradale. La mia casa sembra un miraggio dopo un giorno di emozioni. Parcheggio lì nei pressi. Entro nell’androne e salgo in ascensore. Apro la porta con la chiave ed il silenzio mi colpisce come frustata sulla faccia. Tolgo il soprabito. Sono sfinita e del tutto vestita mi butto sopra il letto, sopraffatta dagli eventi. Il sonno e il sogno intrecciano presto le loro mani. E’ quasi l’alba, quando rannicchiata e infreddolita, schiudo gli occhi. Ho tempo per la colazione, prima di uscire per il lavoro. Non ho ancora finito l’ultimo boccone che il trillo del telefono mi fa molto sussultare. Corro. Guardo il display. Il cuore in agitazione. Il silenzio della stanza fa balenare tanti pensieri e vorrei solo gridare: “E’ stato bello, un tempo, prima di vederti arrivare sentire il rombo del tuo vecchio motore. E’ stato bello trepidare pensando che per un intoppo importuno tu non potessi venire. E’ stato bello correrti poi incontro a braccia aperte, felice solo del fatto che tu mi stringessi al tuo petto. E’ stato bello vivere la gioia e l’incanto, ma ora è troppo tardi.”

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Squilla il telefono. Squilla. Rimbomba la stanza. Sempre lì il mio angolo di mondo, il divano e le poltrone, il mobile elegante ed in un canto il televisore ed ancora lo scrittoio che mi ha visto concepire queste storie. Sorrido sempre di gusto se riesco a interessare qualche lettore perché sempre sua è ogni narrazione. Così ho la vaga sensazione di apparire la più forte se col soccorso dell’estro e dell’ingegno io gli pongo uno specchio sempre davanti che è poi esattamente il suo, tuo o anche il mio duplice gemello. Rimbomba sempre lo squillo in quella stanza. Fisso lo guardo sul display. Novantacinque secondi sono già scaduti. Ancora un ultimo squillo e, sapendo di perdere, tendo la mano…