11
nottetempo Furio Jesi Il tempo della festa A cura di Andrea Cavalletti

Per Leggere Le Prime Pagine de d32

Embed Size (px)

DESCRIPTION

cavalletti

Citation preview

  • nottetempo

    Furio Jesi

    Il tempo della festa

    A cura di Andrea Cavalletti

  • 7

    Festa, scrittura e distruzionedi Andrea Cavalletti

    I saggi di Furio Jesi che qui pubblichiamo sono tra i suoi pi rari o tra i pochi ancora inediti, ma sono anche tra i pi belli e densi che egli abbia mai scritto. Abbiamo scelto di riunirli nel tentativo di offrire al lettore unimmagine fedele del grande studioso, e spe-cialmente del periodo forse pi fecondo della sua pro-duzione, quello che ha seguito la rottura col mae stro Kroly Kernyi e la scrittura di Spartakus. Simbologia della rivolta, concluso nel dicembre 1969. il perio-do segnato da un momento cruciale, ossia dallintro-duzione del modello macchina mitologica (1972), il dispositivo teorico che rende il pensiero di Jesi di cos urgente attualit, e che si dimostra tanto efficien-te nella scienza del mito e nellantropologia quanto nella filosofia e nella prassi politica. Oltre alla Lettura del Bateau ivre di Rimbaud e a Conoscibilit della fe-sta, i testi pi strettamente legati alla macchina e alle sue articolazioni, abbiamo scelto di raccogliere tre saggi consacrati ad alcuni dei nomi maggiori della costellazione jesiana: Rilke, il poe ta tradotto e studia-to per tutta la vita (presentiamo qui unintroduzione alle Elegie duinesi scritta intorno al 1977), il giovane

  • 8

    Lukcs e con lui Kierkegaard , a cui aveva gi dedi-cato il controcanto di Spartakus, e Cesare Pavese, a cui Jesi fa ritorno a dieci anni dal primo saggio del 1964, in pagine dal forte tenore autobiografico e venate di humour sottile. A questi nomi si uniscono per anche quelli di Kernyi, che in maniera pi o meno esplicita risuona quasi in ogni pagina, e di Walter Benjamin, al quale Jesi pensava allinizio degli anni settanta di in-titolare una monografia: in Conoscibilit della festa le Tesi benjaminiane sulla filosofia della storia non ven-gono soltanto citate e discusse, ma sono evocate sin dal titolo nella loro formula pi celebre (das Jetzt der Erkennbarkeit, lora della conoscibilit).

    Accanto a questi primi grandi testi, abbiamo ag-giunto un autoritratto in forma di intervista, nel quale Jesi ripercorre le tappe della sua vita di studioso dallesordio come egittologo, quandera appena quin-dicenne, alle pagine di Materiali mitologici (1979) e al lungo lavoro su Bachofen , ricordando tra laltro le prime letture junghiane e lallontanamento precoce da Jung, nella pi stretta vicinanza a Kernyi.

    Prima ancora, per, un importante saggio inedito sul Libro di Daniele riveler al lettore un aspetto igno-to dellofficina jesiana. un testo con ogni probabilit precedente allelaborazione della macchina mitolo-gica e che segna uno degli sviluppi ultimi del model-lo delle connessioni archetipiche (gli elementi che strutturano il linguaggio mitologico come interna e

  • 9

    autonoma circolazione, peculiare di determinati ma-teriali). Ma soprattutto un saggio in cui Jesi affronta per una volta direttamente e indaga nei pi sottili det-tagli e nelle pi riposte corrispondenze un documen-to appartenente alla tradizione dellebraismo, proce-dendo dai commenti talmudici a lunghe esplorazioni nelle letterature extra-ebraiche, nelle terre lontane, e da lui ben conosciute, di Grecia ed Egitto. Si tratta di una lettura della Storia di Susanna, ovvero di un testo legato alla condizione di esilio e di bilinguismo degli ebrei ellenistici, che Jesi colloca in uno spazio di in-determinazione di familiarit ed estraneit, forma e informe, lecito e illecito.

    Sar bene ricordare, a tale proposito, che nel 1970

    Jesi aveva pubblicato la raccolta di poesie Lesilio, col-legando quel titolo ai singoli sviluppi del concetto di esilio nella tradizione culturale e religiosa ebraica. Sono parole certo significative, e che si possono acco-stare a quelle contenute in un manoscritto conservato da Marta Rossi Jesi e datato 10 febbraio 1961: Tutto quanto io ho scritto poesia.

    Lo statuto della scrittura e il suo legame con la di-mensione dellesilio possono essere per interrogati a partire da una lettera che Jesi scrisse a Gershom Scholem alla fine del 1966 e che stata recentemente rinvenuta da Enrico Lucca: Ho percepito, vi si leg-ge, che il mio ateismo diviene sempre pi esitazione

  • 10

    a nominare loscurit che io scorgo nelle profondit dellessere, rifiuto di una nominazione che mi appa-re blasfema1. In questo esitare, che il contegno di fronte allesilio della divinit (Dio tenebra, e vorrei tacere) e che trasformandosi in rifiuto corrisponde perfettamente alla impronunciabilit del Nome, sem-brano cos congiungersi, per Jesi, figlio di un ebreo e di una cristiana, educato nellambito culturale cri-stiano, ortodossia ebraica e ateismo, inteso appunto come forma di recusazione di ogni possibile ipostasi (Non sono cristiano, egli ha scritto una volta, citan-do non a caso una celebre formula cabalistica traman-data da Scholem, proprio perch rifiuto con sincera ripugnanza un Dio che non sia Gott als ganz Anderes al punto da esiliarsi nelle profondit del suo nulla).

    Certo non questo il luogo per affrontare la questio-ne complessa dei rapporti di Jesi col proprio retaggio ebraico. Ma invece il caso di sottolineare che tutto ci che Jesi ha scritto, come mitologo e storico delle religioni, poesia in quanto rapporto con un mito o una divinit quale solo pu darsi in una situazione di esilio; e conoscere, nellesilio, significa spiega Jesi nellintervista che chiude il volume attenersi a un costante e paradossale apprendistato: significa impa-rare [] a non conoscere il mito. E a non nominarlo.

    Kernyi in effetti aveva sempre cercato, in quan-to cosiddetto mitologo, di non pronunciare affatto la parola mito, divenuta ormai sinonimo di menzogna,

  • 11

    e di occuparsi tuttavia di racconti sul mito, di mitolo-gie; infine, in una famosa conferenza romana del 1964, aveva compiuto un tentativo di uscire da questa am-biguit e confusione distinguendo, dal mito inauten-tico e pericolosamente tecnicizzato, cio ridotto a strumento di forza politica, un mito genuino, come fenomeno originario (Urphnomen) che sorge spon-taneo nelluomo e da cui derivano tutte le mitologie2. Jesi radicalizza questa posizione: per lui le mitologie non scaturiscono dal mito, ma sono prodotte da una macchina che soltanto allude allesistenza del mito come origine, cuore che resta nascosto dietro le pa-reti della macchina stessa. Se il mitologo oggi studia e analizza le mitologie quali prodotti storicamente ap-prezzabili, dinanzi al problema dellesistenza del mito non pu che esitare; per tutti i tentativi di nominare quellorigine, per tutte le parole segnate da Ur- e da Arche-, non pu che provare una ripugnanza sincera.

    Un legame evidente stringe la Lettura del Bateau ivre e Conoscibilit della festa. Sono in realt il primo e lultimo dei testi teorici dedicati, nellarco di un qua-driennio, alla macchina mitologica. Lelaborazione di questo modello per inseparabile dalla specia-le tecnica compositiva che Jesi ha messo a punto nel corso degli anni. vero che i suoi saggi sono stati concepiti come singole prove, e scritti per motivi an-che occasionali ma, proprio per questo, avevano sin

  • 12

    dallinizio il carattere di frammenti dotati di unaffi-nit potenziale, e perci di una leggibilit ancora la-tente, che si sarebbe rivelata solo nel momento della loro raccolta e composizione in volume. Se Jesi sta-to davvero uno dei grandi saggisti del Novecento, se si pu dire che la forma del saggio abbia brillato in lui come in Lukcs, in Adorno, in Benjamin perch, come i primi due, riuscito a praticarla facendone al tempo stesso un oggetto privilegiato di riflessione, mentre come il terzo e a lui pi vicino lha anche concepita quale modalit di conoscenza per compo-sizione. Egli scriveva di getto anche i testi pi ardui, direttamente a macchina e in una versione definitiva, ma rifletteva invece a lungo sugli indici delle raccolte, proprio come lultimo Benjamin organizzava la sua opera nella lunga e travagliata fase delle note di re-gia, gli schemi preparatori che guidavano il montag-gio dei materiali. E se i saggi di Jesi sono composizio-ni di citazioni, i suoi libri sono composizioni di saggi, ai quali spetta ora il ruolo delle citazioni di prima. Fatti solo di frammenti, i libri sono quindi saggi to-talmente citabili.

    Cos alcuni reperti salienti di Spartakus. Simbologia della rivolta compaiono nella Lettura del Bateau ivre che apre la nostra selezione. Se quel libro non era una storia del movimento spartakista ma una fenomeno-logia della rivolta, se in quelle pagine la Parigi del 1968 conosciuta da Jesi si trasfigurava nella Berlino

  • 13

    del 1919, qui Berlino che torna a essere Parigi, men-tre le barricate del Maggio si sovrappongono a quelle della Comune. E i temi centrali di Spartakus si dispie-gano secondo un intreccio coerente con la lirica rim-baldiana. Sarebbe dunque giusto rileggere Spartakus a partire dai suoi esiti ultimi, dalla Lettura del Bateau ivre e da Conoscibilit della festa, come dalle pagine chiarissime che Jesi dedica al tema del sacrificio in Cesare Pavese e il mito. Dix ans plus tard, o dal testo sul giovane Lukcs. Ma giusto anche tornare ora a Spartakus, cio al lavoro in cui Jesi ha declinato, in una prima e potente versione, il problema del mito come problema del tempo.

    Nelle pagine del 1969, lunica possibile apparizione di un mito genuino come esperienza davvero comu-ne coincideva con la sospensione del tempo storico nella rivolta. La rivolta, che Jesi (proprio in un brano poi ripreso nel saggio su Rimbaud) distingueva dalla rivoluzione come processo calato nel trascorrere della storia, era distruzione dei simboli del dominio, istan-te di verit e conoscenza, partecipazione collettiva allepifania dellidea. Ma era anche cedimento incon-sapevole ad alcune mitologie orchestrate dal potere: vedere nel nemico un mostro disumano significava subire la fascinazione di una figura messa in campo nella Grande Guerra, e significava dover opporre al nemico un contegno umano fino al sacrificio di s,

  • 14

    dotando quel mostro di un potere effettivo. La rivolta era dunque soltanto un intervallo, al termine del qua-le la manipolazione borghese del tempo (cos Jesi traduce il concetto kernyiano di tecnicizzazione) poteva di nuovo instaurare il suo tipico prodotto, il cosiddetto tempo normale, scandito da orari di la-voro e da pause obbligate. Quando tutto fin alcuni dei protagonisti erano usciti di scena per sempre, e col loro sacrificio memoria e continuit subentrava-no a epifania e sovversione. Lapparizione del mito, la novit dellidea, la stessa sospensione del tempo storico restavano cos circoscritte da precisi confini nel tempo storico e nello spazio storico: ed era ap-punto un rito di morte a serrare quel circolo.

    Lesperimento cruciale di Spartakus consisteva quindi nel provare a sottrarsi alle mitologie che eser-citano la loro malia sui rivoltosi di ieri e di oggi, nel pensare cio una via duscita dal circolo vizioso dei grandi sacrificatori e delle grandi vittime, ovvero dallopposizione funzionale che separa il tempo im-mobile o leterno presente del mito dal trascorrere della storia. Jesi proponeva perci una sorprendente filosofia della soggettivit, una teoria della doppia Sophia, ovvero della coscienza come denominatore comune tra i mondi della storia e del mito. Lio salvo dal sacrificio non quello glorificato nelle immagini delleroe (di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, in certe scenografie espressioniste), come non ovvia-

  • 15

    mente quello che sopravvive per caso o si sottrae alla battaglia per rientrare nei ranghi della societ bor-ghese. Lio che si salva per Jesi quello che sfugge al gioco collaborante dellopposizione mito/storia situandosi esattamente nel luogo del loro incrocio e che conosce insieme [] la permanenza e la distru-zione di s, il tempo storico e il tempo del mito. lelemento comune, il punto di intersezione, tra due universi [], che subisce il tempo storico pur essen-do partecipe del tempo mitico. O ancora, con la for-mula rilkiana gi cara a Kernyi, lio che nellistan-te in cui accede al mito si spande come una sorgente e cio si distrugge in un processo dinamico che coin-volge la sua durata storica. Lio, insomma, veramen-te partecipe dello scorrere della storia quando giunge a identificare ad esso il decorso della sua distruzione, e dunque il suo accesso al mito.

    Cos come il mito non resta estraneo alla storia, il vero procedere della storia non in questa prospet-tiva isolabile dal mito, ma il processo in cui lio si distrugge entrando in contatto col mito.

    La categoria di distruzione, che almeno da Bakunin in poi definisce lessenza del fenomeno insurreziona-le, e che lanarchismo messianico di Benjamin legava a quella di giustizia, viene cos ripensata, nella feno-menologia della rivolta, in maniera del tutto origina-le. Se nel linguaggio del mitologo Jesi (e sin dai saggi giovanili, come Rilke e lEgitto, del 1964), distruzione

  • 16

    di s non significa infatti morte come fine della vita ma perdita dei limiti dellio individuale nellincontro col mito quale eternit presente nella vita delluo-mo, questo incontro assume in Spartakus un senso politico: corrisponde a un atto di insurrezione che pu essere compreso non come sacrificio della vita ma come sacrificio e autodistruzione delle componen-ti borghesi del soggetto, nellaccesso al tempo altro e nuovo del mito. il passo decisivo dellimpresa di de-mitologizzazione compiuta da Jesi contro le imma-gini fascinatorie e tecnicizzate. Sciolta dalle mitologie della morte eroica e dal vincolo sacrificatore-vittima, la rivolta urge qui oltre i confini temporali e spazia-li serrati da quel vincolo e quelle mitologie: la stessa scrittura di Spartakus diviene listante di una ininter-rotta battaglia.

    Dalla distruzione di quei confini Spartakus conti-nua e riecheggia in molti di questi saggi, e innanzi-tutto si prolunga materialmente e si sviluppa concet-tualmente nella Lettura del Bateau ivre. La dialettica tra novit assoluta e cristallizzazione dellidea, che apriva il libro del 1969, riappare qui nel primo para-grafo (declinata nei termini della novit per eccellen-za delloperazione poetica e della non-novit del luo-go comune); la concezione dellepifania mitica come tempo altro e sospensione del tempo storico ritor-na nei paragrafi centrali (7 e 8), che sono veri e propri