Upload
vuongbao
View
220
Download
0
Embed Size (px)
Citation preview
PER
UN’IDEA
IN PIU’…
ISTITUTO
COMPRENSIVO L.
STURZO - SAPPUSI
NOVEMBRE 2016
DOCENTE FUNZIONE
STRUMENTALE AREA 2
Giovanna Torre
2 NOVEMBRE, FESTA DEI MORTI | LE TRADIZIONI IN ITALIA E NEL MONDO
Il 2 novembre si commemorano i defunti in quella che viene chiamata la festa dei Morti. Scopriamo le tradizioni, gli usi e i costumi di questa giornata particolare in Italia e nel resto del mondo. In alcune zone della Lombardia , la notte tra
l'1 e il 2 novembre molte persone mettono in
cucina un vaso di acqua fresca per far
dissetare i morti.
In Friuli si lascia un lume acceso , un
secchio d’acqua e un po’ di pane.
In Trentino le campane suonano per
richiamare le anime. Dentro casa viene
lasciata una tavola apparecchiata e il focolare
accesso per i defunti. Lo stesso capita
in Piemonte e in Val d'Aosta.
In Liguria , vengono preparati i bacilli (fave
secche) e i balletti (castagne bollite).
Tanti anni fa, la notte del 1 novembre, i
bambini si recavano di casa in casa, come
ad Halloween , per ricevere il " ben dei
morti ", ovvero fave, castagne e fichi secchi.
Dopo aver detto le preghiere, i nonni
raccontavano loro storie e leggende paurose.
In Umbria si preparano gli stinchetti dei
morti , dolci a forma di fave.
La frutta martorana: un dolce siciliano
tipico della festa dei Morti.
In Abruzzo , oltre al tavolo da pranzo
apparecchiato, si lasciano tanti lumini accesi
alla finestra quante sono le anime care. Ma
era anche tradizione scavare e intagliare
le zucche e inserire una candela all'interno e
usarle come lanterne, proprio come
ad Halloween.
A Roma la tradizione voleva che, il giorno
dei morti, si tenesse compagnia ad un defunto
consumando un pasto vicino alla sua tomba.
In Sicilia il 2 novembre è una festa con molti
riti per i bambini. Se i più piccoli hanno fatto i
buoni, riceveranno dai morti i doni che
troveranno la mattina sotto il letto: si tratta di
giochi ma soprattutto di dolci, come i pupi di
zuccaro(le bambole di zucchero). Si
preparano anche gli scardellini, dolci fatti di
zucchero e mandorle (o nocciole) a forma di
ossa dei morti e si mangia la frutta
martorana, fatta di pasta di mandorle
colorata. I risultati sono davvero incredibili e
le vetrine delle pasticcerie uno spettacolo da
vedere.
Nel resto del mondo
Un altare per il día de Muertos che si
svolge in Messico.
In America Centrale e Latina nel giorno dei
morti ( Día de Muertos) , oltre alla consueta
visita dei cimiteri, si addobbano le tombe con
fiori, e vi si depositano giocattoli (nel caso in
cui il defunto sia un bambino) o alcolici.
Il día de Muertos messicano è
diventato patrimonio dell'umanità il 7
novembre 2003. In alcune abitazioni è ancora
consuetudine preparare l'altare dei morti
davvero suggestivi e colorati. L'altare è
arricchito con immagini del defunto, una
croce, un arco e incenso.
I festeggiamenti durano molti giorni e si
rifanno alle tradizioni precolombiane, con
musica, bevande e cibi tradizionali dai colori
vivi. Per le strade si possono
ammirare rappresentazioni caricaturali
della morte .
Conosci altre tradizioni della tua regione
per il giorno dei morti?
“Il giorno che i morti persero la strada di casa” (Andrea Camilleri)
"Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre , ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una
carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.
I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette . Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa , sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.
Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri : Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire".
Il giorno che i morti persero la strada di casa è tratto da Racconti quotidiani di Andrea Camilleri – Alma Edizione, Firenze, 2008.
4 NOVEMBRE ANNIVERSARIO DELLA VITTORIA, FESTA DELL’UNITA’ D’ITALIA E DELLE FORZE ARMATE.
Oggi 4 novembre è l’anniversario della fine della prima guerra mondiale, è la festa dell’Unità d’Italia e delle Forze Armate. Ricordiamo i momenti più importanti della Grande Guerra. - Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, così chiamata perché vi parteciparono tanti Stati europei e due Stati non europei: gi Stati Uniti d’America e il Giappone. - L’Italia entrò nel conflitto il 24 maggio 1915 e combatté a fianco della Triplice Intesa( Francia, Russia, Inghilterra). L’Italia dichiarò guerra all’Austria per liberare le due città italiane di Trento(Trentino Alto Adige) e Trieste (Friuli Venezia Giulia).
- L’esercito italiano, all’inizio, riportò numerose vittorie, ma il 28 ottobre 1917 fu sconfitto dagli Austriaci e dai Tedeschi a Caporetto. I soldati italiani non fuggirono, ma divennero ancora più forti, si sentirono più uniti e fermarono gli invasori sul fiume Piave e sul monte Grappa. - Nell’ottobre del 1918, dopo un anno di resistenza sul Piave, l’esercito italiano sconfisse definitivamente l’esercito austriaco a Vittorio Veneto e liberò Trento e Trieste. - La vittoria dell’esercito italiano fu decisiva, perché con essa la guerra finalmente finì. Infatti il 4 novembre 1918 l’Austria firmò l’armistizio con l’Italia. Come fu possibile la vittoria dopo la disastrosa sconfitta di Caporetto? L’esercito italiano era formato da soldati molto diversi tra loro, che provenivano da ogni parte d’Italia. Essi non si conoscevano e probabilmente non si capivano neppure quando parlavano; a quel tempo, infatti, la maggior parte delle persone era analfabeta, perciò parlava esclusivamente con il proprio dialetto locale. Eppure tra i soldati italiani nacque una profonda amicizia e una grande solidarietà. Essi furono costretti a vivere vicinissimi, per molto tempo, nelle trincee, nella più assoluta immobilità, in attesa che il nemico attaccasse. Tutti soffrivano la fame e il freddo, se si ammalavano o venivano feriti, il più delle volte morivano: i medici non avevano le medicine per curarli; inoltre i soldati provavano una grandissima nostalgia della propria famiglia e del luogo in cui erano nati. Tutte queste
terribili sofferenze unirono i soldati, per la prima volta, come fratelli e fece nascere nel loro cuore un forte amore di Patria. Questa forza portò i soldati italiani alla vittoria. CONSEGUENZE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE La prima guerra mondiale è stata una guerra terribile per il numero di morti, circa 25 milioni: più di 600 mila soldati italiani, oltre 10 milioni di soldati di altri eserciti e moltissimi morti tra la popolazione civile (bambini, donne, anziani) e tra quelli che erano stati feriti. Oggi le Forze Armate italiane operano in missioni internazionali di pace nei paesi dove c’è la guerra e combattono il terrorismo. In Italia provvedono alla sicurezza dei cittadini e li aiutano quando accadono calamità naturali, come terremoti, alluvioni,… POESIE: Soldati
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.
Luglio 1918 Giuseppe Ungaretti
“Soldati” è una poesia brevissima, quattro versi, nove parole in tutto. E’ un appunto rapido sul taccuino di guerra. Il poeta vede tanti soldati morire attorno a sé e gli viene in mente e nell’anima una similitudine: paragona le foglie autunnali ai soldati. Le foglie in autunno, cadono
dagli alberi in un attimo, così in un attimo muoiono i soldati. Il poeta prova tanto dolore e tanta tristezza per la perdita di tanti amici. San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche brandello di muro.
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto.
Ma nel cuore
nessuna croce manca.
E’ il mio cuore
il paese più straziato.
Il paese di San Martino del Carso, conosciuto da tutti grazie alla famosa poesia di Giuseppe Ungaretti, scritta nel 1916, fu al centro di scontri durissimi tra Austriaci e Italiani. Dopo i combattimenti, come ricorda il poeta-soldato, delle case del suo paese non rimase che qualche brandello di muro. La poesia, formata da quattro strofe e da versi liberi, utilizza alcune metafore: nessuna croce manca, è il paese più straziato, per esprimere e trasmettere pensieri ed emozioni. Ungaretti riesce a rendere con il minimo di parole lo strazio di un paese e lo strazio ancora più grande del suo cuore. La canzone del Piave La leggenda del Piave, meglio conosciuta come La canzone del Piave, è una delle più celebri canzoni patriottiche italiane, fu composta nel giugno 1918 dal maestro Ermete Giovanni Gaeta (noto con lo pseudonimo di E.A. Mario). Venne
ben presto fatta conoscere ai soldati dal cantante Enrico Demma. L'inno contribuì a ridare morale alle truppe italiane, al punto che il generale Armando Diaz inviò un telegramma all'autore nel quale sosteneva che aveva giovato alla riscossa nazionale più di quanto avesse potuto fare lui stesso: «La vostra leggenda del Piave al fronte è più di un generale!». La leggenda del Piave venne pubblicata solo alla fine del 1918, a guerra ormai ultimata; fu adottata come inno nazionale dal 1943 al 1946; la melodia fu poi sostituita da Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli anche se alcuni volevano confermare La leggenda del Piave, altri avrebbero preferito il Va', pensiero (celebre aria dall'opera lirica Nabucco) di Giuseppe Verdi e altri ancora avrebbero voluto bandire un concorso per trovare un nuovo inno. La canzone del Piave (testo) Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio; l'esercito marciava per raggiunger la frontiera per far contro il nemico una barriera! Muti passaron quella notte i fanti, tacere bisognava e andare avanti. S'udiva intanto dalle amate sponde sommesso e lieve il tripudiar de l'onde. Era un presagio dolce e lusinghiero. il Piave mormorò: "Non passa lo straniero!"
Ma in una notte triste si parlò di un fosco evento( di tradimento) e il Piave udiva l'ira e lo sgomento. Ahi, quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto, poiché il nemico irruppe a Caporetto. Profughi ovunque dai lontani monti, venivano a gremir tutti i tuoi ponti. S'udiva allor dalle violate sponde sommesso e triste il mormorio de l'onde. Come un singhiozzo in quell'autunno nero il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero!" E ritornò il nemico per l'orgoglio e per la fame voleva sfogar tutte le sue brame, vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora sfamarsi e tripudiare come allora! No, disse il Piave, no, dissero i fanti, mai più il nemico faccia un passo avanti! Si vide il Piave rigonfiar le sponde e come i fanti combattevan l'onde. Rosso del sangue del nemico altero, il Piave comandò: "Indietro va', straniero!" Indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a Trento e la Vittoria sciolse l'ali al vento! Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon visti risorgere Oberdan, Sauro e Battisti! Infranse alfin l'italico valore le forze e l'armi dell'impiccatore! Sicure l'Alpi, libere le sponde, e tacque il Piave, si placaron l'onde. Sul patrio suol vinti i torvi Imperi, la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!
L’Inno di Mameli e il Tricolore Il tricolore era già stato adottato come bandiera nel gennaio del 1792 dalle città di Reggio, Bologna, Modena e Ferrara , riunite nella Repubblica Cispadana. Era però rappresentata una piccola parte dell’Italia, così come in seguito per la Repubblica Cisalpina. Il bianco-rosso-verde riunì i congiurati dei moti rivoluzionari del 1821 a Torino, del 1831 nel Ducato di Modena e del 1833 in Savoia, e degli altri che si susseguirono, poiché era il simbolo della rivoluzione, erano previste dure pene per chi osava esporlo. Il 10 dicembre 1847 fu un giorno importante per la storia del Risorgimento italiano, a Genova arrivarono tantissimi patrioti provenienti da ogni parte d’Italia per protestare contro la presenza straniera in Italia e convincere Carlo Alberto di Savoia e gli altri sovrani ad abbracciare la causa nazionale, un corteo di 32.000 persone sfilò, cantando inni. Tra questi per la prima volta si cantò l’inno scritto da Mameli e musicato dal Maestro Novaro, che si distingueva dagli altri, poiché era un inno repubblicano (si rivolgeva al popolo e non ai sovrani); tra gli stendardi azzurri, giallo, neri inneggianti a Carlo Alberto e a Pio IX, spiccavano due bandiere bianco-rosso-verdi, era il tricolore italiano per la prima volta portato in pubblico, i due coraggiosi che quel 10 dicembre sfidarono il governo sventolando i tricolori erano lo stesso Goffredo Mameli ed un suo compagno . Era il tricolore scelto da Giuseppe Mazzini come simbolo della Giovine Italia (organizzazione fondata da Mazzini stesso nel 1831). Di fronte
all’imponenza della manifestazione, con tutti i partecipanti che inneggiavano all’Italia unita, la polizia non ebbe il coraggio di intervenire, Mameli consegnò il suo tricolore al Rettore dell’Università di Genova, dove ancora oggi è conservato. Da quel 10 dicembre 1847, “Fratelli d’Italia” e il tricolore bianco-rosso-verde sono i simboli della nostra unità nazionale.
Noi ragazzi di oggi pensiamo che sia molto importante: ·Riflettere sugli avvenimenti della guerra e ricavarne degli insegnamenti, ·Esprimere gratitudine e riconoscenza e onorare la memoria di tutti gli eroici soldati che lottarono, soffrirono e morirono per renderci uomini liberi. ·Fare nostri quei valori che ci hanno lasciato in eredità i nostri bisnonni e i nostri nonni: il valore della libertà, il valore della Patria e il valore della pace, che tutti dovrebbero custodire nel proprio cuore.
6 NOVEMBRE Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell'ambiente in tempo di guerra e di conflitti armati
La brutalità di una guerra, di qualsiasi
natura essa sia, viene misurata in termini di
vittime civili e militari; della guerra si hanno
spesso in mente le immagini di città in
fiamme, con edifici distrutti e case rase al
suolo. Accanto a tutto questo, più
silenziosamente, l'ambiente è un'altra delle
vittime colpite dall'assurdità di un conflitto.
L'impatto di una guerra sull'ambiente
circostante affetta l'ecosistemae le risorse
naturali, con effetti che si estendono ben
oltre la durata dei conflitti stessi ed al di
fuori dei confini geografici delle zone in cui si
combatte. Anzi, come in un circolo vizioso, dal
momento che sempre più battaglie si
combattono e si combatteranno per l'accesso
alle risorse naturali, il deturpamento
ambientale e lo sfruttamento delle risorse
possono essere cause di ulteriori conflitti
armati. La distruzione dell'ambiente naturale
comporta ulteriori danni alle popolazioni delle
zone colpite, specialmente in quelle comunità
che vivono della terra e dei suoi prodotti.
Per richiamare un esempio tristemente noto,
l'utilizzo in Iraq e in altre zone dell'uranio
impoverito ha provocato danni altissimi non
solo per le popolazioni colpite ma anche per
l'ambiente (soprattutto per il terreno e le
falde acquifere) e, di conseguenza, per la
catena alimentare. Nella convinzione che non
possa esistere una pace duratura senza la
protezione dell'ambiente e dei siti naturali,
l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite
ha proclamato questa giornata
internazionale, invitando gli Stati a
rispettare quelle regole che esistono ma che
in tempo di conflitto vengono quasi sempre
accantonate.
Amy Goodman Nata a New York nel 1957, Amy Goodman è una giornalista indipendente americana, specializzata in delicate inchieste svolte in
tutto il mondo riguardanti i temi della pace e della guerra e delle connessioni, spesso oscure, tra la politica e le multinazionali che sfruttano le risorse del pianeta. Dopo la laurea in antropologia conseguita ad Harvard nel 1984, diviene direttrice di una emittente newyorkese
con la quale, nel 1991 compie un reportage da Timor est rischiando di essere uccisa mentre documentava le violenze della guerra civile. Nel 1996 lancia una trasmissione
televisiva, Democracy now!, un’ora di approfondimento e di notizie che, nel giro di pochi anni, viene ripresa e trasmessa da moltissime emittenti tv, radio e internet. Nel 1998 documenta il ruolo della multinazionale Chevron nella repressione di una pacifica manifestazione di oppositori nigeriani avvenuta presso una piattaforma petrolifera del delta del Niger. Di orientamento progressista, arrestata due volte nel corso di sit in pacifisti (l’ultimo dei quali durante la Convention repubblicana del 2008), Amy Goodman è una voce scomoda ma
ascoltata dalla politica e dall’opinione pubblica non solo americana.
Giorno della Libertà “La Repubblica italiana dichiara il 9
novembre Giorno della Libertà , quale
ricorrenza dell’abbattimento del muro di
Berlino, evento simbolo per la liberazione
di Paesi oppressi e auspicio di
democrazia per le popolazioni tuttora
soggette al totalitarismo”.
Così esordisce testualmente la legge 15
aprile 2005 n. 61.
CONTRO TUTTI I MURI PER LA LIBERTA’ DELL’UOMO Il 9 novembre del 1989 migliaia di uomini e di donne si radunarono sotto la Porta di Brandeburgo.
Piangendo e ridendo per la gioia afferrarono martelli e picconi e si avventarono contro quel muro eretto ventotto anni prima per volere dell’Unione Sovietica che aveva diviso strade, quartieri, cimiteri, tolto la libertà, troncato legami familiari, interrotto amicizie e distrutto storie d’amore. Da allora l’Europa ha ritrovato se stessa e ogni giorno prosegue nel suo cammino all’insegna dei valori della libertà e della democrazia. Molta strada è stata fatta e molta ancora ne resta da fare e non sono poche le difficoltà, soprattutto oggi che la crisi economica spinge molti Paesi della U.E. a chiudersi piuttosto che cercare l’unione e la solidarietà tra i popoli. Ricordare questa pagina della storia d’Europa è importante, con la speranza che non vi sia più bisogno di erigere muri tra i popoli.
11 novembre
Calpesta la guerra
Durante l'occupazione sovietica in
Afghanistan, durante la fine degli anni
settanta, i mujhaeddin organizzarono la loro
propaganda alla resistenza utilizzando
dei tappeti! Tappeti nei quali venivano
riprodotte scene di guerra, che incitavano
appunto ad imbracciare le armi e resistere.
Nell'ultimo decennio questa tradizione è stata
ripresa dai talebani, che fanno proselitismo e
inneggiano alla guerra santa sempre
attraverso i tappeti.
L'arte manifatturiera è una delle più antiche e
nobili in Afghanistan ma negli anni la tessitura
ha perso la sua tradizione per diventare uno
strumento di propaganda a favore della
lotta armata, con riproduzioni di carri
armati, granate e scene di violenza. Spesso
sono i bambini ad essere costretti a tessere,
crescendo col mito della violenza e
del conflitto.
La campagna mondiale "Calpesta la
guerra" prende ispirazione da questa
singolare usanza, al fine di sensibilizzare
l'opinione pubblica a favore della popolazione
colpita dalla violenza in Afghanistan e per la
promozione dei diritti umani attraverso
mostre ed eventi pubblici. Il tappeto
simboleggia dunque la dignità dell'uomo
calpestata da interessi economici, politici e
religiosi. Ciò che la campagna si propone
invece di calpestare, e quindi cancellare, è la
guerra stessa.
Carl Linus Pauling
Il ruolo positivo che gli
scienziati possono avere nel
campo della promozione della
pace è sicuramente
impersonato da Carl Pauling
(1901-1994), due volte
premio Nobel, per la chimica nel 1954, per
la pace nel 1962. Nato a Portland da genitori
contadini (padre tedesco e madre irlandese),
fin da giovanissimo dimostrò una eccezionale
capacità di studio: già a 16 anni entrò
all’università e nel 1925 ottenne il dottorato in
chimica fisica, che restò sempre il suo campo
di ricerca che poi gli valse il Nobel per alcune
scoperte in ambito quantistico. Nel
dopoguerra il nome di Pauling si collocò vicino
a quelli di Einstein e Russell nell’elaborazione
di documenti che mettevano in guardia
dagli effetti devastanti delle armi
nucleari, proponendo invece un possibile
disarmo. Negli anni ’50 fu oggetto di pesanti
critiche dai conservatori americani per la sua
battaglia per la moratoria dei test nucleari:
la sua lunga battaglia portò nel 1962 alla
firma di un accordo in questo senso tra USA e
URSS. Nei restanti decenni di vita Pauling
continuò la sua attività di professore e di
attivista, lasciando un’eredità che non si può
dimenticare.
Sponsor etici
Pecunia non olet, dicevano i latini. Ovvero, i
soldi hanno sempre lo stesso valore, a
prescindere dalla provenienza. È proprio così?
Un mondo più giusto, equo e rispettoso
dell’ambiente e dei diritti umani, non può
prescindere, nella società industriale, dal
comportamento delle imprese.
Con questa convinzione, il comune di Roma
aveva approvato nel 2004
un regolamento volto ad impedire che
aziende o multinazionali che violino i diritti
umani, che producano danni ambientali o
che abbiano comportamenti “poco etici”,
possano avvalersi delle sponsorizzazioni ad
eventi che si tengono nella capitale. Vale a
dire che, solo quelle aziende ritenute “etiche”
da un apposito comitato previsto nel
regolamento, possono finanziare iniziative
pubbliche a Roma.
Da qualche anno però tutto questo non viene
rispettato e durante l’ultima amministrazione
il comitato etico non è stato rinnovato.
Risultato: durante il FIFA World Cup Trophy lo
sponsor è stata la Coca-Cola, non
esattamente in prima linea nel rispetto dei
diritti dei lavoratori e dell’ambiente. E ancora,
la maratona di Roma 2010 è supportata da
aziende come Pepsi e Mc Donalds, anch’esse
in grave ritardo nella difesa dei diritti umani.
La campagna "Sponsor Etici" è stata istituita
proprio per sottoporre al sindaco della capitale
e al Consiglio Comunale il rispetto degli
impegni presi e per non permettere che
imprese dal comportamento irresponsabile
possano ripulire la propria immagine con
l'aiuto del Comune di Roma.
Achebe Chinua Uno dei più grandi scrittori e intellettuali africani, Achebe Chinua ha attraversato tutte le fasi della storia novecentesca del continente nero, cogliendole nelle vicende del suo paese, la Nigeria, e narrandole nei suoi
romanzi che, meglio di qualsiasi altro documento, descrivono una drammatica crisi sociale e culturale. “Il crollo” si intitola infatti uno dei suoi libri più famosi. Nato nel 1930 Chinua può frequentare le migliori scuole del paese e può iscriversi nel 1948 alla prima università nigeriana: dovrebbe studiare medicina ma alla fine opta per inglese, storia e teologia. Negli anni ’50 insegna inglese nella capitale Lagos dove intuisce l’impatto storico del processo di urbanizzazione, spesso caotico e selvaggio, che distrugge le culture tradizionali. Lungo i decenni il suo impegno di scrittore (molto valutato anche all’estero) e di critico della politica (è anche giornalista e dirige trasmissioni radiofoniche) è alternato con l’attività di promozione sociale a tutto campo. Sostenitore dell’indipendenza del Biafra negli anni ’70, posizione che gli causò l’ostracismo in patria, emigra negli Stati Uniti dove continua la sua critica, anche letteraria, sul colonialismo e sul razzismo. Ritornato in patria, dopo una breve esperienza politica, ritorna alla scrittura: premiato con moltissimi riconoscimenti, dopo un incidente stradale che dal 1990 lo costringe in carrozzina, oggi Chinua vive negli Stati Uniti.
16 NOVEMBRE Giornata internazionale per la tolleranza
"L'intolleranza, flagello di nefaste
conseguenze, è una minaccia alla democrazia,
alla pace ed alla sicurezza". Così si pronunciò
l’ex Segretario Generale delle Nazioni
Unite Kofi Annan. Il tema dellatolleranza è
quanto mai attuale se si considera l’aumento
dei flussi migratori, il riemergere in molte
parti del mondo dei nazionalismi e le crescenti
disparità di ricchezza tra nord e sud e anche
all’interno dei singoli paesi. In una
società sempre più multietnica, di fronte a
questi fenomeni si può reagire in vari modi:
con atteggiamenti ostili e di rifiuto del
diverso, con indifferenza e, dal lato opposto,
con spirito di accoglienza. Trattasi di due
estremi che escludono il conflitto (cum
fligere).
Che sta tra l’"io" e "altro" e, quindi,
nell’"infra" per dirla con Hannah Arendt. La
peculiarità della politica è l'essere collocata
infra, in mezzo, tra le persone. La virtù
politica è propria di coloro che amano stare
"con" le altre persone, non "sopra", nemmeno
"accanto" o peggio "altrove".
Il rapporto 2009 su minoranze e migranti
evidenzia come in Europa, il 50% dei rom è
vittima di esclusione sociale ed ha subito negli
ultimi dodici mesi almeno un’aggressione
razziale.
La Giornata Mondiale, promossa
dall’Unesco, invita, di fronte a questi
fenomeni, a promuovere la comprensione e
l’amicizia tra paesi e, soprattutto, tra genti
appartenenti a etnie e religioni differenti. La
Giornata identifica in particolare la scuola
come luogo ideale di promozione
dell’intercultura, dell’inclusione sociale e
della lotta al razzismo.
Ignacio Ellacuria
Gesuita e teologo cattolico, filosofo e pensatore politico, Ignacio Ellacuria (1930-1989) è stato uno dei rappresentanti più
illustri della riflessione
latino-americana dagli anni ’50 in poi. Di origine spagnola, fin da
giovanissimo entrò nella Compagnia di Gesù e nel 1948 venne mandato in El Salvador dove visse fino alla morte, tranne alcuni soggiorni all’estero. Il suo nome è legato alla fondazione, nel 1965, dell’Università centro-
americana (UCA), gestita dai gesuiti nella capitale salvadoregna. Quest’istituto di cui Ellacuria fu animatore e rettore divenne il centro di irraggiamento della filosofia e della teologia della liberazione che tanto peso avrebbero avuto nella resistenza politica alle dittature e nel cammino democratico del continente. Per questo, nove anni dopo l’uccisione del vescovo Oscar Romero, le bande armate della destra golpista al potere in Salvador, il 16 novembre 1989 entrarono nel campus universitario assassinando
Ellacuria, tre confratelli, la cuoca e la figlia: una strage che soffocò la voce del teologo ma non il suo pensiero che invece divenne noto in tutto il mondo.
20 NOVEMBRE
Giornata mondiale per i diritti dell'infanzia
Mettiti in ascolto di un bambino. E taci.
Era il 1989 quando, a New York, venne
approvata all’unanimità dall’Assemblea
Generale delle Nazioni
Unite la Convenzione sui diritti
dell’infanzia. Si tratta del più organico
quadro di riferimento per tutte le iniziative
a difesa dei bambini. Ratificato da 190 paesi
del mondo (l’Italia lo ratificò nel 1991), il
documento si basa sulla convinzione che i
bambini rappresentano il futuro e, in quanto
tali, sono titolati di diritti esclusivi.
La Convenzione sancisce che ogni bambino ha
diritto all’uguaglianza e alla protezione
dalla discriminazione e
dallo sfruttamento, senza distinzione di
razza, religione, nascita e sesso. Ha diritto a
un nome e ad una cittadinanza, così come alla
salute, all’istruzione e alla formazione, al
tempo libero, al gioco e allo svago. Ha diritto
ad essere ascoltato, ad avere una sfera
privata ed a crescere in uno spirito di
uguaglianza e di pace. Ha diritto ad avere
aiuti immediati in caso di catastrofi, alla
protezione in caso di violenza, a una comunità
familiare e a una casa sicura, all’assistenza in
caso di menomazione.
Proprio in ricordo di quella storica firma,
l’UNICEF, principale organizzazione mondiale
per la tutela dell’infanzia, ha istituito
questa Giornata mondiale, incentrata sulla
tutela dei diritti e delle condizioni di vita di
bambini ed adolescenti, soprattutto nei Paesi
del sud del mondo.
Il 20 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale dei
diritti dell’infanzia e dell’adolescenza .
La data ricorda il giorno in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò, nel 1989, la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Sono oltre 190 i Paesi nel mondo che hanno ratificato la Convenzione. In Italia la sua ratifica è avvenuta nel 1991. Nonostante vi sia un generale consenso sull'importanza dei diritti dei più piccoli. Ancora oggi molti bambini e adolescenti, anche nel nostro Paese, sono vittime di violenze o abusi, discriminati, emarginati o vivono in condizioni di grave trascuratezza. Per chi si occupa di infanzia, come Telefono Azzurro , l’impegno a garantire a tutti i bambini i loro diritti e le migliori condizioni di vita deve quindi essere quotidiano. Il Telefono Azzurro celebra ogni anno questa importante ricorrenza con una serie di iniziative. Tra le altre, presenta i risultati delle Indagini Nazionali sulla condizione dell’infanzia e dell’Adolescenza , realizzate in un campione rappresentativo di scuole di tutta Italia. L’indagine, realizzata con Eurispes e giunta alla sua tredicesima edizione, aiuta a comprendere il mondo dei bambini e degli adolescenti, definisce uno stato dell’arte sulla conoscenza e il rispetto dei loro diritti, costituisce elementi di indirizzo per le politiche sociali nel nostro Paese.
Che cosa significa portare un fiocco bianco?
Portare un fiocco bianco rappresenta un impegno personale a non commettere mai, né a giustificare o a rimanere in silenzio, di fronte ad atti di violenza commessi sulle donne. Portare un fiocco bianco è un modo per dire “nel nostro futuro non c’è posto per la violenza sulle donne”.
Cosa fare oggi?
Confeziona il tuo personale fiocco bianco
25 NOVEMBRE
Fiocco bianco Una campagna a favore delle donne, ma che
riguarda gli uomini. È quella del “fiocco
bianco”, che si prefigge di dare spazio e
visibilità agli uomini che vogliono impegnarsi
contro la violenza sulle donne.
L’iniziativa ha origine in Canada nel 1991, a
seguito di un terribile fatto di cronaca che ha
visto l’uccisione di 14 studentesse in un
istituto politecnico di Montreal, per mano di
uno squilibrato. Un gruppo di uomini ha
sentito la responsabilità di dire no a questo
tipo di violenza e per raggiungere lo scopo ha
deciso di portare un nastro biancocome
simbolo dell’opposizione maschile ad ogni
forma di violenza contro le donne.
Oggi, aderire alla campagna significa
impegnarsi non solo a non commettere mai
soprusi e violenze nei confronti delle donne,
ma anche non tollerare né rimanere in silenzio
di fronte a simili episodi. Il fiocco bianco
diventa quindi simbolo d’impegno
personale, una maniera di ribadire come nel
nostro futuro non ci sia spazio per la violenza
sulle donne.
Per raggiungere l’obiettivo, la Campagna
supporta diverse iniziative: distribuzione di
materiale educativo nelle scuole e nei luoghi
di lavoro, messaggi radiofonici e televisivi,
coinvolgimento attivo dei padri e raccolta
fondi a favore di associazioni che si occupano
di donne vittime di violenze.
Settimana europea per la riduzione dei rifiuti Utilizzare la saponetta anziché il flacone di
sapone liquido, contribuisce a ridurre i rifiuti.
È solo una delle tantissime pratiche
quotidiane che possono incidere sulla
quantità di rifiuti prodotti e immessi
nell’ambiente.
Il problema è serio; a livello mondiale la
quantità di rifiuti prodotti ha superato i livelli
di guardia. L’Italia è il sesto paese al mondo
per la produzione di scarti. La Settimana
europea per la riduzione dei rifiuti,
promossa dall’UE, ha lo scopo di promuovere,
tra i cittadini, una maggiore consapevolezza
sulle eccessive quantità di scarti prodotti e
sulla necessità di ridurli drasticamente. Le
iniziative poste in essere dalla Settimana
riguardano la presentazione e la diffusione di
esempi virtuosi di risparmio-riuso e
riciclo e la sensibilizzazione sulle connessioni
esistenti tra riduzione dei rifiuti, sviluppo
sostenibile, ecologia e lotta
ai cambiamenti climatici.
È convinzione che la riduzione di rifiuti sia una
battaglia che riguarda produttori e
commercianti (il 40% dei rifiuti emessi è
costituito da imballaggi), amministratori (che
devono mettere in pratica e far rispettare
leggi e regolamenti sullo smaltimento dei
rifiuti e sulla raccolta differenziata) e
consumatori. Il contributo che questi ultimi
possono dare per il raggiungimento
dell’obiettivo è fondamentale e consiste, oltre
che nell’osservare attentamente le regole
della raccolta differenziata, nell’adozione
di semplici comportamenti
quotidiani all’insegna del rispetto
dell’ambiente.
La Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti si avvicina! Molte sono le azioni proposte per questa edizione e cittadini, associazioni, comuni e aziende stanno dando sfogo alla fantasia e alla creatività per mettere in pratica la riduzione degli imballaggi e dell’usa e getta, consigliando e premiando comportamenti e abitudini sostenibili che alleggeriscano le nostre pattumiere . Praticare una spesa sfusa , scegliendo prodotti senza imballaggi e utilizzando eco shopper riciclabili e riutilizzabili è la prima pratica che ognuno di noi può adottare nel proprio quotidiano per partecipare alla SERR. Ed ecco che le vecchie borse di tela , pratiche e resistenti, divengono
irresistibili, a dispetto di imballaggi e borse non riciclabili , ormai così dannosi e poco attraenti.