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PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO PER LA GESTIONE DELLA BPCO – a cura della Sezione Regionale AIPO Veneto Stefano Calabro 1 , Loris Ceron 2 , Alessandra Concas 3 , Manuel G. Cosio 4,5 , Riccardo Drigo 6 , Enzo Faccini 7 , Massimo Guerriero 8 , Giuseppe Idotta 9 , Claudio Micheletto 10 , Rodolfo Muzzolon 11 , Rolando Negrin 12 , Manuele Nizzetto 13 , Kim Lokar Oliani 4 , Carlo Pomari 14 , Andrea Rossi 15 , Marina Saetta 4 , Andrea Vianello 3 , Franco Maria Zambotto 16 1 Pneumologia, Ospedale San Bassiano – Bassano del Grappa (VI) 2 U.O. Pneumologia, Azienda ULSS12 Veneziana, Ospedale dell’Angelo – Mestre (VE) 3 U.O. Fisiopatologia Respiratoria, Azienda Universitaria di Padova – Padova 4 Clinica Pneumologica, Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari, Università degli Studi di Padova - Padova 5 Meakins-Christie Laboratories, Respiratory Division, McGill University – Montreal (Canada) 6 U.O. Pneumologia, Ospedale San Valentino - Montebelluna (TV) 7 U.O.C. Pneumologia, Ospedale di Dolo, ULSS 13 – Dolo (VE) 8 Dipartimento di Informatica, Università degli Studi di Verona - Verona 9 U.O.C. Pneumologia, ULSS 15 Alta Padovana, Ospedale di Cittadella – Cittadella (PD) 10 U.O.C. Pneumologia, Azienda ULSS 21, Ospedale Mater Salutis – Legnago (VR) 11 U.O. Pneumologia, P.O. San Martino, ULSS 1 Belluno – Belluno 12 U.O. Pneumologia, Ospedale San Bortolo, ULSS 6 – Vicenza 13 U.O. Pneumologia, Ospedale Santa Maria di Cà Foncello – Treviso 14 Servizio di Endoscopia Toracica, Sacrocuore Don Calabria – Negrar (VR) 15 UOC Pneumologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di Verona – Verona 16 S.C. Pneumotisiologia, Ospedale Santa Maria del Prato, ULSS 2 – Feltre (BL)

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PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO PER LA GESTIONE DELLA BPCO – a cura della Sezione Regionale AIPO Veneto Stefano Calabro1, Loris Ceron2, Alessandra Concas3, Manuel G. Cosio4,5, Riccardo Drigo6, Enzo Faccini7, Massimo Guerriero8, Giuseppe Idotta9, Claudio Micheletto10, Rodolfo Muzzolon11, Rolando Negrin12, Manuele Nizzetto13, Kim Lokar Oliani4, Carlo Pomari14, Andrea Rossi15, Marina Saetta4, Andrea Vianello3, Franco Maria Zambotto16 1Pneumologia, Ospedale San Bassiano – Bassano del Grappa (VI) 2U.O. Pneumologia, Azienda ULSS12 Veneziana, Ospedale dell’Angelo – Mestre (VE) 3U.O. Fisiopatologia Respiratoria, Azienda Universitaria di Padova – Padova 4Clinica Pneumologica, Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari, Università degli Studi di Padova - Padova 5Meakins-Christie Laboratories, Respiratory Division, McGill University – Montreal (Canada) 6U.O. Pneumologia, Ospedale San Valentino - Montebelluna (TV) 7U.O.C. Pneumologia, Ospedale di Dolo, ULSS 13 – Dolo (VE) 8Dipartimento di Informatica, Università degli Studi di Verona - Verona 9U.O.C. Pneumologia, ULSS 15 Alta Padovana, Ospedale di Cittadella – Cittadella (PD) 10U.O.C. Pneumologia, Azienda ULSS 21, Ospedale Mater Salutis – Legnago (VR) 11U.O. Pneumologia, P.O. San Martino, ULSS 1 Belluno – Belluno 12U.O. Pneumologia, Ospedale San Bortolo, ULSS 6 – Vicenza 13U.O. Pneumologia, Ospedale Santa Maria di Cà Foncello – Treviso 14Servizio di Endoscopia Toracica, Sacrocuore Don Calabria – Negrar (VR) 15UOC Pneumologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di Verona – Verona 16S.C. Pneumotisiologia, Ospedale Santa Maria del Prato, ULSS 2 – Feltre (BL)

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DEFINIZIONE La BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una malattia del polmone caratterizzata da

una persistente e progressiva riduzione del flusso aereo associata ad una anormale risposta

infiammatoria cronica all’inalazione del fumo di sigaretta e/o di altri agenti nocivi.

Le riacutizzazioni della BPCO, la presenza di comorbilità e la bronchite cronica

contribuiscono alla gravità complessiva della malattia nel singolo paziente.

PATOGENESI E FISIOPATOLOGIA DELLA BPCO

Meccanismi patogenetici

Nella BPCO i meccanismi patogenetici che possono contribuire ad innescare e perpetuare il danno

polmonare sono diversi. Infatti, oltre all’ipotesi tradizionale del disequilibrio tra proteasi e

antiproteasi, un ruolo importante è riconosciuto al sistema di ossidanti e antiossidanti polmonari,

a una ridotta clearance delle cellule apoptotiche, e a meccanismi su base immunitaria. L’ipotesi più

accreditata identifica il fumo di sigaretta come fattore decisivo per il reclutamento e l’attivazione

nel polmone di macrofagi e neutrofili (cellule dell’immunità innata) che, producendo un’ampia

gamma di enzimi proteolitici e di agenti ossidanti, sono in grado di danneggiare le cellule

strutturali del polmone e degradare l’interstizio, liberando peptidi che funzionano da potenziali

autoantigeni. Questo processo infiammatorio, innescato dal fumo di sigaretta, rappresenta una

risposta innata non specifica a uno stimolo dannoso, e questo avviene in tutti i fumatori.

Se i meccanismi che regolano la risposta innata sono efficaci, questa non progredisce verso

una risposta di tipo acquisito e il processo infiammatorio, parallelamente al danno polmonare, si

arresta a questo punto, come succede nella maggioranza dei fumatori. In caso contrario gli antigeni

liberati potrebbero innescare una risposta immune acquisita, attivando cellule dendritiche e

inducendo la proliferazione di linfociti B, CD4+ e CD8+. Queste cellule non sono solo aumentate

di numero ma sono anche correlate direttamente con la distruzione del polmone e con il grado di

ostruzione delle vie aeree. A questo stadio ci sono diversi meccanismi capaci di controllare la

risposta immune acquisita verso questi potenziali autoantigeni, e conseguentemente limitare il

danno polmonare e il grado di gravità della malattia. Soltanto in una minoranza di soggetti fumatori,

quelli senza tolleranza immunologica, tutti questi meccanismi di controllo vengono elusi. Questo

permette lo sviluppo di una grave reazione immunitaria acquisita che utilizza come effettrici le

cellule dell’immunità innata (macrofagi e neutrofili), e perpetua il danno polmonare (Figura 1)

consentendo lo sviluppo di una malattia grave.

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Figura 1: Meccanismi patogenetici

Fisiopatologia

I meccanismi patogenetici appena descritti possono determinare un importante rimaneggiamento

della normale struttura del polmone, portando alle alterazioni anatomopatologiche responsabili

della riduzione persistente del flusso aereo che caratterizza la malattia. Queste alterazioni

interessano sia le piccole vie aeree (bronchiolite) che il parenchima polmonare (enfisema).

Studi pionieristici negli anni’60 hanno dimostrato che il sito responsabile dell’aumento

delle resistenze nei fumatori è localizzato soprattutto nelle vie aeree periferiche (bronchioli di

diametro inferiore ai 2 mm), dove alterazioni patologiche quali infiammazione cronica, fibrosi

della parete, ipertrofia del muscolo liscio e iperplasia delle cellule caliciformi nel loro insieme

contribuiscono al restringimento del bronchiolo (Figura 2).

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Figura 2: Malattia delle piccole vie aeree con perdita di attacchi alveolari

Il calibro delle vie aeree non dipende unicamente dalle condizioni anatomiche e funzionali

delle pareti bronchiolari, ma anche dalla loro relazione con il parenchima circostante

(interdipendenza).

L’enfisema polmonare contribuisce alla riduzione di flusso aereo non soltanto riducendo la

forza di retrazione elastica del polmone, ma anche attraverso la rottura degli attacchi alveolari,

cioè di quelle pareti alveolari che ancorandosi alle vie aeree contribuiscono a mantenerle pervie

(Figure 2-3).

Figura 3: Enfisema

La malattia delle piccole via aeree e la perdita di elasticità polmonare comportano non solo

la limitazione del flusso aereo ma anche l’intrappolamento di aria a livello alveolare, con

conseguente aumento del V olume Residuo (VR), iperinflazione polmonare, cioè l’aumento della

Capacità Funzionale Residua (CFR) e successivamente della Capacità Polmonare Totale (CPT), e

riduzione della Capacità Vitale (CV), che porta con sé la riduzione del Volume Espiratorio

Massimo nel primo Secondo (FEV1). La compromissione del FEV1 è maggiore della riduzione

della CV, così che il rapporto FEV1/CV, altrimenti noto come “indice di Tiffenau”, ne risulta

diminuito. La riduzione di questo rapporto definisce la presenza di “ostruzione”, mentre

l’aumento della CFR definisce la presenza di “iperinsufflazione”. Quest’ultima ha una

componente statica ed una dinamica. La prima è determinata dalla perdita della forza di

detrazione elastica del polmone. La seconda è conseguenza della discrepanza tra il tempo

necessario per una espirazione completa ed il tempo effettivamente disponibile tra due sforzi

inspiratori. Questa discrepanza può essere dovuta sia all’aumentata resistenza al flusso

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espiratorio sia all’aumento della frequenza respiratoria sia ad entrambi come accade di fatto in

corso di riacutizzazione e/o di esercizio fisico. Nel caso dell’iperinsufflazione dinamica, la CFR

si stabilisce ad un volume più elevato del punto di equilibrio elastico e la pressione alveolare di

fine espirazione rimane positiva, cioè superiore alla pressione atmosferica.

L’iperinsufflazione, soprattutto nella sua componente dinamica, determina un aumento

del lavoro respiratorio ed una riduzione della capacità di generare pressione dei muscoli

inspiratori. Questa negativa associazione è all’origine della ridotta tolleranza all’esercizio fisico

e della dispnea, anche in pazienti con BPCO definita lieve.

L’alterazione della struttura delle piccole vie aeree e l’enfisema polmonare comportano non

solo una riduzione del flusso aereo, ma anche una compromissione della distribuzione del

rapporto ventilazione/perfusione (V’A/Q’) con conseguenti anomalie degli scambi gassosi che

peggiorano con la progressione della malattia. L’ipossiemia e l’ipercapnia che ne conseguono sono

ulteriormente aggravate dall’alterazione del drive ventilatorio, conseguenza del deterioramento

della forza muscolare.

Infine, la riduzione del letto vascolare causato dall’enfisema polmonare, la vasocostrizione

da ipossiemia cronica e l’effetto diretto del fumo di sigaretta sul rimodellamento delle arterie

polmonari possono portare all’ipertensione polmonare e eventualmente allo scompenso cardiaco

destro.

Figura 4: Patogenesi della BPCO

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Bronchite cronica

La bronchite cronica è definita in base alla presenza di tosse ed espettorato per almeno 3 mesi

all’anno per 2 anni consecutivi. Tali sintomi sono conseguenza delle alterazioni che si sviluppano

nelle vie aeree centrali, soprattutto infiammazione ed ipertrofia delle ghiandole bronchiali con

conseguente iperproduzione di muco.

È importante sottolineare che la diagnosi clinica di bronchite cronica è indipendente da

quella di BPCO, che è puramente funzionale. Infatti è ben noto fin dal classico studio di Fletcher e

collaboratori (1976) che la bronchite cronica può non essere associata ad ostruzione al flusso aereo.

Tuttavia va segnalato che studi epidemiologici hanno dimostrato come la presenza dei sintomi di

bronchite cronica si accompagni alla gravità della broncostruzione. Infatti la prevalenza di

bronchite cronica, che è del 2.2% tra i fumatori senza BPCO, aumenta progressivamente nei vari

stadi di gravità della classificazione GOLD (10.3% in Stadio 1, 22.9% in Stadio 2 e 39.4% in

Stadio 3-4) (Tabella 1). Inoltre studi longitudinali hanno dimostrato come la presenza di bronchite

cronica sia associata ad un accelerato declino della funzionalità respiratoria e ad un aumentato

rischio di ricovero ospedaliero tra i pazienti con BPCO conclamata. Rimane da chiarire se la

presenza di tali sintomi sia in grado di predire il successivo sviluppo di broncostruzione in

soggetti con funzionalità respiratoria ancora nella norma. In ogni caso, la bronchite cronica ha un

ruolo importante su un altro outcome primario nei pazienti con BPCO, le riacutizzazioni: infatti i

pazienti con broncostruzione associata a tosse ed espettorato cronici tendono ad avere

riacutizzazioni più frequenti e più gravi di quelli senza bronchite cronica.

La bronchite cronica, come la BPCO, è una conseguenza del fumo ma non è necessariamente una componente della malattia. La bronchite cronica è indipendente dalla bronchiolite (malattia delle piccole vie aeree) Tuttavia la presenza di bronchite è importante nella BPCO perché:

- è associata al declino della funzionalità respiratoria - è associata alle ospedalizzazioni

Prevalenza di BC (%): GOLD 1 2 3 (no BPCO) 10.3 22.9 39.4 (2.2) La bronchite cronica dovrebbe essere riconosciuta come un fenotipo indipendente, perché può influenzare la prognosi e le risposte terapeutiche Tabella 1 - Bronchite cronica

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Bibliografia di riferimento

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DIAGNOSI

La diagnosi di BPCO richiede

1. La presenza di riduzione del flusso aereo (comunemente detta ostruzione bronchiale)

persistente dopo broncodilatatore, dimostrata con la spirometria in condizioni di stabilità

clinica

2. La presenza cronica di sintomi (dispnea da sforzo, tosse, catarro, episodi di riacutizzazione)

3. La presenza di fattori di rischio

4. L’esclusione di altre patologie in grado di sostenere il quadro clinico

L’ostruzione spirometrica viene valutata sulla base della riduzione del rapporto FEV1/VC o

del rapporto FEV1/FVC. La presenza di ostruzione è definita da un rapporto < 5° percentile.

Nel caso di un rapporto solo lievemente alterato la diagnosi di BPCO potrebbe essere

discutibile. Diventa più probabile quando

1. L’alterazione si dimostra stabile in esami ripetuti al di fuori di acuzie respiratorie o

cardiache

2. Sono presenti fattori di rischio, tra i quali il principale è il fumo di sigaretta

3. Sono presenti sintomi

La gravità dell’ostruzione si valuta in base al FEV1 post broncodilatatore. I teorici

attualmente più impiegati (ERS 93) sottostimano la gravità dell’ostruzione in alcune categorie di

persone, soprattutto anziani, e in particolare nelle donne ultrasessantenni di bassa statura.

Nella raccolta dei sintomi è importante l’utilizzo di questionari strutturati. I più impiegati

sono l’MRC per la valutazione della dispnea da sforzo e il CAT per la valutazione dell’impatto dei

disturbi respiratori sulla vita quotidiana. Il grading raccomandato dell’MRC va da 0 a 4.

Alcuni ulteriori esami sono necessari per completare la diagnosi:

1. Radiografia del torace

2. Spirometria globale

3. Capacità di diffusione del CO (DLCO)

4. Saturimetria in aria ambiente

5. Emogasanalisi se FEV1 < 1000 cc

La radiografia del torace standard nelle due proiezioni è utile nella diagnosi differenziale

perché permette di valutare la presenza di altre patologie in grado di sostenere il quadro clinico

funzionale.

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La spirometria globale consente di interpretare correttamente la gravità dell’ostruzione nel

caso coesista una patologia restrittiva, ed evidenzia la presenza di intrappolamento aereo e di

iperinflazione polmonare.

La riduzione della DLCO è associata alla presenza di enfisema, patologia vascolare

polmonare e desaturazione ossiemoglobinica indotta dall’esercizio.

Per un valore di saturimetria ≤ 92% si raccomanda l’esecuzione di emogasanalisi arteriosa

(EGA); tuttavia le condizioni cliniche della persona possono consigliare l’esecuzione di EGA anche

per valori di saturimetria > 92%,

Le diagnosi differenziali più frequenti sono rappresentate dall’asma bronchiale con

ostruzione non completamente reversibile e dallo scompenso cardiaco cronico.

Alcuni elementi di rilievo a favore della diagnosi di asma bronchiale sono

1. Una riposta al broncodilatatore > 12% e > 400 cc (marcata reversibilità)

2. Una anamnesi indicativa di asma bronchiale o di allergia ad inalanti

3. Una marcata variabilità spontanea o indotta dalla terapia dei valori spirometrici al di fuori

delle riacutizzazioni

4. Valori di NO esalato > 50 ppb al di fuori di riacutizzazioni

In alcuni casi la diagnosi differenziale tra asma con ostruzione fissa e BPCO è

particolarmente difficile. Rimane controversa la possibile coesistenza delle due malattie.

L’approccio diagnostico suggerito dal percorso Regionale Veneto prevede che il sospetto

diagnostico di BPCO venga posto dal medico di Medicina Generale in base al dato clinico e/o al

riscontro spirometrico di ostruzione bronchiale (rapporto FEV1/FVC < 70%), valutata anche con

spirometri ambulatoriali, e che la diagnosi venga poi confermata dallo specialista Pneumologo.

Bibliografia di riferimento

- Global strategy for the diagnosis, management, and prevention of chronic obstructive

pulmonary disease (GOLD). Updated 2014

- Global strategy for asthma management and prevention (GINA). Revised 2014

- La gestione clinica integrata della BPCO ed. 2013

EPIDEMIOLOGIA

A livello mondiale la BPCO colpisce all’incirca 329 milioni di persone, pari a circa il 5% della

popolazione generale (1); è leggermente più frequente negli uomini rispetto alle donne (2) e nelle

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persone anziane (3). Infatti, a seconda della popolazione esaminata, dai 34 ai 200 individui su 1000

di età superiore ai 65 anni sono affetti da BPCO (3,4),

Alcuni paesi sviluppati hanno visto un aumento dei casi, altri sono invece rimasti stabili,

mentre altri ancora hanno sperimentato una diminuzione della prevalenza della condizione (5).

Tuttavia, a livello globale, si prevede che il numero complessivo dei casi dovrebbe aumentare se la

popolazione continuerà ad essere esposta ai fattori di rischio e proseguirà il processo di

invecchiamento progressivo della stessa (6).

Nelle zone socio-economicamente più svantaggiate del paese, una persona su 32 viene

indicata come sofferente di BPCO, rispetto a una su 98 nelle zone più ricche (7). Negli Stati Uniti,

la stima di prevalenza di BPCO nella popolazione generale è pari al 6.3% (circa 15 milioni di

persone) (8) In Europa è compresa tra il 4% e il 6% (9,10) mentre in Italia ammonta a circa il 5%

(10). Però, se riferita a particolari e circoscritte aree geografiche essa varia dallo 0,2% in Giappone

al 37% negli Stati Uniti a causa di: oggettive differenze esistenti tra i paesi e le popolazioni, diverse

fonti di dati, metodiche diagnostiche impiegate e fasce di età analizzate (11).

Nel Veneto la situazione non è diversa. La prevalenza di BPCO, rilevata tramite la cartella dei

MMG nella popolazione di almeno 45 anni, risulta essere pari al 4.9% (5.1% per i maschi e 3.8%

per le femmine), ma è più bassa rispetto ad una stima ricavata da uno studio epidemiologico su

campione casuale eseguito in una città del Veneto. In detto studio, denominato “Scopri il Respiro di

Verona” la prevalenza è stata infatti stimata tra l’8.8% e l’11.7% a seconda della metodologia

utilizzata (Low Limit of Normal e linee guida GOLD) (10,12).

La BPCO è la quarta causa di morte in Europa e negli USA (almeno 65.000 morti all'anno

(13). Studi recenti hanno evidenziato un aumento della mortalità per BPCO tale da prevedere che

diverrà la terza causa di morte entro il 2020 (14,15). Tra il 1990 e il 2010, il numero di morti per

BPCO è leggermente diminuito, da 3.1 a 2.9 milioni (16). In alcuni paesi, la mortalità è diminuita

negli uomini ma è aumentata nelle donne (11). Ciò probabilmente si spiega con i tassi di tabagismo

che sono diventati simili nei due sessi (17).

Globalmente, a partire dal 2010, si stima che la BPCO comporti costi economici per 2.100

miliardi di dollari, metà dei quali a carico dei paesi in via di sviluppo (18). Tra questi, una cifra

stimata di 1.900 miliardi di dollari sono costi diretti quali l'assistenza sanitaria, mentre 200 miliardi

di dollari sono costi indiretti, come quelli relativi alla perdita del lavoro (19). Queste cifre

dovrebbero più che raddoppiare nei prossimi 20 anni (18). In Europa, la BPCO rappresenta il 3%

della spesa sanitaria complessiva (4). Negli Stati Uniti, i costi della malattia sono stimati in 50

miliardi di dollari, la maggior parte dei quali dovuti alle riacutizzazioni (3). Nel 2011, la BPCO è

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risultata essere tra le condizioni più costose affrontate negli ospedali degli Stati Uniti, con un costo

complessivo di circa 5,7 miliardi di dollari (20).

Non esistono attualmente studi italiani o veneti relativi all’impatto economico della BPCO e

quindi in previsione del crescente onere che graverà sui sistemi sanitari è necessario identificare

precocemente i pazienti con BPCO attraverso interventi preventivi e di indagine epidemiologica

inseriti in una prospettiva di ricerca, che preveda l'integrazione professionale tra cure primarie e

medicina specialistica.

Bibliografia

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TERAPIA DELLA FASE STABILE: Fumo e stili di vita

1. FUMO

A) Lotta al tabagismo e counselling

Gli interventi per la sospensione del fumo, dal punto di vista della Sanità Pubblica, hanno

un’assoluta rilevanza e tutte le Linee Guida riconoscono loro un ruolo cruciale nel trattamento dei

pazienti con BPCO e fumatori. Nonostante ciò, però, nella pratica: 1) la somministrazione dei

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14

sostituti della nicotina e/o degli altri farmaci contro il tabagismo occupano un posto ancora piuttosto

marginale nella pratica clinica quotidiana dello Specialista, e 2) il counselling e gli interventi di

supporto al tabagista che intende smettere di fumare o che è in fase di sospensione non è

sufficientemente diffuso, incentivato e finanziato.

Anche se è molto frequente riscontrare delle ricadute (nei primi 12 mesi circa 50%), esistono

ragioni molto valide per incoraggiare i pazienti a riprovare a smettere di fumare utilizzando tutti gli

strumenti di cui si dispone [1]. Infatti, nel Lung Health Study (LHS) [2, 3, 4], pazienti con età media di

48 anni e esposizione al fumo di 40 pack/years venivano trattati con un preparato nicotinico

(gomma da masticare) + counselling per un numero di 12 sessioni distribuite in un arco di tempo di

3 mesi. Nei 5 anni successivi venivano contattati ogni 4 mesi ed i pazienti ricaduti venivano

ritrattati. Questo tipo d’intervento ha prodotto: 1) tasso di sospensione dal fumo del 35% a 1 anno e

del 22% a 5 anni contro rispettivamente 10% e 5% nel gruppo controllo; 2) declino totale del FEV1

di 72 ml in 5 anni nel gruppo trattato contro 301 ml nel gruppo di controllo; 3) tasso di sospensione

a 11 anni nei trattati ancora del 22% contro il 6% nel gruppo di controllo; 4) mortalità per tumore

del polmone, cause cardiovascolari e malattie respiratorie nel gruppo trattato a 14.5 anni pari a 8.83

per 1000 persone trattate/anno rispetto a 10.38 nel gruppo non trattato. Pertanto, tutti gli operatori

della sanità, e in particolare quelli impegnati nella cura delle malattie respiratorie, dovrebbero

essere in grado di fornire ad un tabagista almeno il counselling di base.

Già la semplice consegna di materiale informativo sui danni del fumo e i vantaggi di smettere può

indurre un significativo, ancorché piccolo, effetto e di conseguenza determinare un tasso di

cessazione dal fumo stimabile intorno all’1% circa. Il counselling breve di durata inferiore a 3

minuti, fornito da un MMG o da un’altra figura sanitaria adeguatamente formata, a sua volta è in

grado determinare un tasso di sospensione di circa il 2,5% [5] [6].

Anche il counselling telefonico si è dimostrato efficace [7] e può essere sfruttato, sia come

supplemento sia come sostituto d’incontri frontali. Il tabagismo è peraltro a tutti gli effetti una

dipendenza complessa e, per ottenere buone quote di sospensione, sono necessarie competenze di

tipo psicologico-motivazionale-comportamentale, e non solo di ordine farmacologico, che

difficilmente sono patrimonio di un unico professionista. Di conseguenza, i risultati migliori nella

lotta al tabagismo si ottengono con équipe multiprofessionali, in cui, combinando un adeguato

supporto psicologico con un’appropriata terapia farmacologica, è possibile ottenere tassi di

sospensione a 3 mesi fino al 50 - 60% [5, 6]. Dall’interazione e cooperazione di più sanitari (medico,

infermiere, psicologo, ecc) deriva un effetto virtuoso. In ambienti ambulatoriali si potrebbe pensare

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15

a un intervento del medico che dà il primo impulso, seguito poi da quello dell’infermiere o di altra

figura sanitaria con competenze di counselling.

Nel counselling c’è in ogni caso un effetto dose-risposta che dipende dal numero delle sedute e

dalla durata di ciascuna di esse. Sembra particolarmente efficace un programma di 4 o più sessioni e

lo scenario ottimale potrebbe essere rappresentato quindi da 4 sessioni di 10-15 minuti da tenersi

durante i primi 3 mesi dalla data della sospensione con questa cadenza: 1° incontro dopo 1-2

settimane; 2° incontro dopo 3-4 settimane; 3° incontro a 6 settimane; 4° incontro dopo 10-12

settimane [5].

La terapia di gruppo strutturata in corsi per smettere di fumare e in gruppi di auto-aiuto sembra

efficace come il counselling individuale.

B) Interventi farmacologici contro il fumo

I farmaci per smettere di fumare normalmente vengono usati per un arco di tempo limitato che si

conclude dopo 2 - 3 mesi dal momento della sospensione del fumo. Essi servono infatti per ridurre

l’impatto dei sintomi legati alla sospensione della nicotina e il loro dosaggio è a scalare con il

tempo. Hanno una solida base scientifica e una ben documentata efficacia clinica [1,5,8]. Sono

rappresentati da:

I. Preparati a base di nicotina

II. Vareniclina

III. Bupropione

I. - Preparati a base di Nicotina

Si trovano sotto forma di gomme da masticare, compresse sublinguali, cerotti, inalatori nasali e

orali. Vengono usati dal fumatore astinente per 6 – 12 settimane, riducendo il loro dosaggio mano a

mano che si riducono i sintomi dell’astinenza. Poiché soprattutto gomma da masticare e cerotti

assicurano livelli plasmatici senza picchi, i preparati a base di nicotina rispondono poco agli aspetti

impulsivi della dipendenza da nicotina. Hanno però il grande pregio di essere praticamente privi di

effetti indesiderati severi.

Il tasso medio di successo a 1 anno è intorno al 27% (circa 50-70% in più rispetto al placebo) [8].

II. – Vareniclina

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16

Tra i farmaci per la cessazione del fumo, la Vareniclina è il più efficace [1], ma è gravato da effetti

indesiderati non trascurabili e da un profilo di sicurezza non ottimale [9].

Con maggior frequenza vengono riportati nausea, incubi, infezioni del tratto respiratorio superiore e

insonnia [9]. All’analisi di un ampio database di soggetti sottoposti a trattamento per la cessazione

dal fumo (80.660 pazienti, di cui 63.265 trattati con derivati della nicotina, 10.973 con vareniclina e

6.422 con bupropione) raccolto da medici inglesi [10], pur essendo risultati simili gli eventi avversi di

tipo psichiatrico e senza raggiungere la significatività statistica, nel gruppo dei trattati con

vareniclina è stato comunque osservato un maggior numero di eventi di auto-danneggiamento

(anche grave). Il rischio di autolesionismo serio indotto dalla Vareniclina rispetto ai preparati

contenenti nicotina è risultato pari a 1.12 (quello del Bupropione pari a 1.17), per cui la Vareniclina

è controindicata nelle sindromi depressive.

Nonostante gli eventi avversi sopra ricordati, nell’opinione degli esperti e nelle raccomandazioni

contenute nelle linee guida per smettere di fumare [1,5,9] la Vareniclina rimane comunque, in virtù

della sua elevata efficacia, il farmaco di prima scelta nei programmi per la cessazione del fumo, con

tasso medio di successo a 1 anno intorno al 33% (circa 127% in più rispetto al placebo) [9,11,12]. In

combinazione con il counselling, i tassi di sospensione raggiunti con la Vareniclina sono da 2 a 3

volte superiori al solo counselling + placebo.

III. - Bupropione

È un vecchio antidepressivo con un effetto sulla cessazione dal fumo indipendente dalla sua azione

antidepressiva. Offre i risultati migliori in combinazione con i preparati a base di Nicotina. Il tasso

medio di successo a 1 anno è intorno al 24% (circa 69% in più rispetto al placebo) [13]. Può dare più

spesso insonnia e bocca secca, ma gli effetti avversi sono numerosi e non rarissimi (da 0.1 a 2%).

Ha varie controindicazioni per cui occupa un posto di secondo piano rispetto alla Vareniclina ed il

suo uso va riservato a mani esperte.

C. L’Ambulatorio per smettere di fumare

Già da molti anni la Regione Veneto appoggia e finanzia numerose iniziative per la Lotta al

Tabagismo, impegnando la maggior parte delle risorse nella prevenzione e rivolgendosi in

particolare ai giovani e alle gravide. Fin dagli anni ‘90, la Regione Veneto aveva iniziato a

finanziare anche progetti di cura del Tabagismo, nel 2005 ha promosso/deciso l’istituzione in ogni

Azienda U.L.S.S. di un Ambulatorio di Secondo Livello per smettere di fumare [14]. In esso

confluiscono competenze di ordine specialistico variabile a seconda della storia di ciascuna

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17

U.L.S.S., ma quasi sempre rappresentato da combinazioni di interventi di tipo pneumologico,

cardiologico o psichiatrico (il Tabagismo è a tutti gli effetti una dipendenza), e di sostegno

psicologico. È pensato per farvi afferire pazienti selezionati in base a criteri di particolare gravità o

difficoltà d’approccio, ed è in grado di trattare, con le risorse attuali, relativamente pochi e

selezionati pazienti.

Trattandosi di struttura non standardizzata in modo uniforme nella Regione, in molte realtà soffre

ancora di scarsa circolazione d’informazione in merito alle sue pratiche ed ai suoi meccanismi

d’accesso, quasi sempre diversi da U.L.S.S. ad U.L.S.S. L’Ambulatorio di Secondo Livello

rappresenta invece una risorsa importante nell’ambito della lotta al Tabagismo e ad esso

potrebbero/dovrebbero accedere, o per lo meno essere avviati, molti più pazienti BPCO e tabagisti

complessi.

D. La sigaretta elettronica (e-cig)

La sigaretta elettronica (electronic cigarette, e-cig) è un prodotto commerciale inventato in Cina nel

2003 che imita il sistema di inalazione della nicotina proprio della sigaretta tradizionale. Esistono

attualmente non solo molti tipi di sigarette elettroniche con cartucce per il funzionamento

contenenti miscele di sostanze che vengono vaporizzate e che possono contenere nicotina e/o aromi

vari, ma anche sigari e pipe elettroniche (in questo caso si parla di Electronic Nicotine Delivery

Systems o ENDS). Poco si sa della composizione chimica dei liquidi usati, dei vapori prodotti e

delle particelle sottili (PM) emessi nell’ambiente dalle e-cig, anche se non sembrerebbe emergere la

presenza in quantità rilevanti di sostanze cancerogene note. In particolare sono assenti i prodotti

della combustione (CO e catrame). La nicotina e l’aerosol di particelle emesse nell’ambiente

possono però essere inalate passivamente dai vicini e quindi dare origine ad effetti simili a quelli del

fumo passivo.

Le e-cig sono diventate molto popolari nei Paesi ad alto reddito e sono arrivate in Italia dal 2010. I

principali canali di vendita sono farmacie, supermercati, chioschi/edicole, internet ed altro (mercati,

bancarelle, bar e pub, casinò e Bingo..). Nel gennaio 2013 un analista della Wells Fargo Bank ha

definito le e-cig di oggi come la versione 1 dell’iPhone ed ha pronosticato che in 10 anni il consumo

di e-cig supererà il consumo di sigarette tradizionali [15].

L’evoluzione del fenomeno e-cig è avvenuto in assenza di un chiaro quadro di evidenze scientifiche

su eventuali rischi connessi e di criteri regolatori di sicurezza.

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18

Negli Usa è in atto una battaglia legale tra FDA e produttori di e-cig per stabilirne l’inquadramento

merceologico (se prodotto del tabacco, o comunque liberamente commerciabile, o se dispositivo

medico, o comunque prodotto farmaceutico) [16]. L’FDA [17, 18] ha dichiarato che in alcune sigarette

elettroniche sono state rilevate impurità [19], agenti tossici e sostanze cancerogene come nitrosamine

del tabacco e glicole dietilenico; ha intimato i fumatori a non utilizzare le e-cig per smettere di

fumare poiché non le ritiene sicure e innocue per la salute; e vorrebbe che le e-cig fossero

classificate come dispositivi medici. Una sentenza della Corte USA del Distretto di Columbia nel

2010 ha peraltro affermato che le e-cig possono essere disciplinate solo come prodotti del tabacco

[20]. A ciò l’FDA ha risposto ribadendo di considerare l’e-cig un prodotto nocivo e ha preso

provvedimenti coattivi contro i produttori di sigarette elettroniche, dichiarando che violano la legge

federale in materia di alimenti, farmaci e cosmetici [21]. Nello specifico, le violazioni

riguarderebbero: le buone pratiche di fabbricazione; affermazioni false e infondate sul prodotto,

presentato come un farmaco; e l’utilizzo di questi dispositivi per rilasciare sostanze

farmacologicamente attive.

Depongono a favore della sigaretta elettronica [22]:

• La mancanza di prodotti della combustione (migliaia, invece, nella sigaretta tradizionale) e di

catrame.

• La probabile scarsa o nulla cancerogenicità.

• L’elevato livello di gradimento di una larga fascia di fumatori, che trova appagamento alla

sensazione tattile, al gusto, al bisogno di ritualità.

• Le potenzialità di utilizzo come ausilio nel percorso di cessazione dal fumo.

Sono a sfavore della e-cig [22]:

• La mancanza di studi sulla loro pericolosità a lungo termine, sebbene anche quelli sui danni a

breve termine siano pochi e lacunosi.

• La scarsità di studi rigorosi (e indipendenti dalle case produttrici) che ne accertino l’efficacia

come strumento per la cessazione dal fumo.

• I dubbi sulla possibilità di sopperire effettivamente alla sindrome astinenziale e al craving da

tabacco, al di la degli effetti a breve termine.

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• Il rischio che i giovani possano avvicinarsi ad essa pensando che sia innocua e ne facciano,

invece, un elemento che facilita poi il passaggio alla sperimentazione della sigaretta

tradizionale.

• La mancanza di norme di produzione che ne garantiscano la sicurezza e ne standardizzino i

componenti.

In questo contesto, in cui mancano ancora certezze incontrovertibili [23], in poco tempo sono stati

pubblicati, da parte di Istituzioni, Enti Governativi, Organizzazioni Sanitarie e Società Medico-

Scientifiche, vari documenti, alcuni già sottoposti a revisione. L’OMS sostiene [24,25] che gli ENDS

debbano essere sottoposti alle medesime restrizioni imposte al fumo tradizionale di seconda mano,

che la sicurezza degli ENDS non è stata stabilita e che, sebbene i produttori vendano gli ENDS

come dispositivi efficaci per la cessazione del fumo, ad oggi non esistono prove di efficacia

sufficienti a stabilire la loro utilità e la loro sicurezza d’uso. L’uso emulativo acritico di e-cig da

parte di non fumatori, in particolare minori, potrebbe addirittura creare una dipendenza da nicotina.

Una posizione molto simile è quella presa da AIPO e SIMeR nel documento intersocietario [26].

L’estensione del divieto di fumo nei luoghi chiusi a questa categoria di prodotti è auspicata dalla

Società Italiana di Tabaccologia [22].

Vi è pertanto necessità di ulteriori studi, effettuati con fonti di finanziamento indipendenti dalle case

produttrici di e-cig. E si avverte forte la necessità di una normativa italiana, sia per regolamentare la

produzione, sia per chiarire gli ambiti in cui è possibile utilizzare l’e-cig. Infatti, se si vuole

perseguire la strada dell’uso terapeutico, è doveroso sottoporre il prodotto a tutte le fasi indicate

dalla normativa per dimostrare la mancanza di tossicità ed, infine, la validità nel campo clinico. Se

invece si volesse svincolare la vendita di questo dispositivo da ogni indicazione terapeutica, la sua

distribuzione dovrebbe comunque essere assoggettata a regole, anche pubblicitarie, adeguate.

Infatti, i messaggi pubblicitari attuali che incoraggiano il consumo di sigarette elettroniche si

prospettano come ingannevoli, sia perché non ne è stata provata l’innocuità a lungo termine, sia

perché il consumo di nicotina, quando presente nell’e-cig, è comunque dannoso per la salute, anche

se molto meno rispetto a quello derivato dalle sigarette normali.

2. INTERVENTI SU ALTRE ABITUDINI DI VITA

Nel paziente con BPCO, l’obesità rappresenta una condizione sfavorevole [27], in quanto può

aggiungere una componente di incapacità ventilatoria di tipo restrittivo a quella di tipo ostruttivo

propria della malattia e con ciò contribuire ad aumentare la dispnea. Inoltre, il paziente BPCO

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20

obeso che associ alla BPCO la Sindrome delle Apnee Notturne Ostruttive (OSAS) più facilmente e

più rapidamente può evolvere verso l’insufficienza respiratoria di tipo ipossiemico-ipercapnico.

• Anche l’eccessiva magrezza, sia che derivi da un ridotto apporto calorico sia che sia la

conseguenza di un eccessivo consumo calorico da parte di muscoli respiratori costretti a

lavorare in condizioni di scarsa efficienza meccanica, rappresenta una condizione sfavorevole

per il paziente con BPCO. Questo tipo di soggetto non solo lamenterà molto di più la dispnea,

ma anche correrà il rischio di infezioni respiratorie più gravi e più difficili da controllare rispetto

al soggetto normo-peso per le sue ridotte difese immunitarie.

• La sedentarietà è un’abitudine di vita che nel paziente BPCO va contrastata [27] in quanto alla

lunga porta al decondizionamento muscolare e all’aumento della dispnea per minore efficienza

della muscolatura respiratoria. La sedentarietà inoltre favorisce l’obesità, se non si presta

sufficiente attenzione alla dieta e alla riduzione dell’attività fisica non si fa accompagnare un

adeguato e parallelo minore introito calorico.

• Anche la depressione, che spesso accompagna un individuo limitato dalla dispnea nella propria

vita di relazione, può avere ripercussioni importanti sullo stato di salute del paziente BPCO [27],

se lo condiziona al punto di indurlo a rinchiudersi in casa e a diventare sedentario, o di dover

ricorrere a trattamenti con farmaci attivi sul tono dell’umore come le benzodiazepine.

• Molti malati di BPCO, soprattutto se anziani, trascorrono fino al 90% del loro tempo al chiuso,

spesso in casa. Nelle abitazioni e negli edifici sono presenti in varia combinazione molte

sostanze inquinanti potenzialmente nocive per gli individui con BPCO, in grado quindi di

aggravare o riacutizzare la BPCO. Esse includono il fumo di tabacco, anche passivo; i residui

della combustione di petrolio, gas, cherosene, carbone; materiali da costruzione, mobili e

complementi d'arredo fabbricati con legno pressato; residui della combustione alimentare;

prodotti per la pulizia domestica e sostanze dotate di odore irritante. In merito all’inquinamento

domestico, poco è noto al paziente BPCO, il quale tende a limitare il ricircolo d’aria nelle

abitazioni per una errata/esagerata “cultura” di evitare gli spifferi e le correnti d’aria, e con ciò

concorre all’accumulo nella casa di sostanze nocive aerodisperse..

Prima ancora degli specifici interventi farmacologici, una buona azione di informazione ed

educazione può prevenire e limitare le conseguenze delle abitudini di vita non corrette sopra

ricordate.

3. PRATICHE VACCINALI

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21

In coincidenza con i periodi di pandemia influenzale si osserva regolarmente un aumento di ricoveri

e decessi tra i pazienti BPCO. Nel corso della pandemia influenzale del 2009-2010, il 43% degli

adulti ricoverati negli USA soffriva di Malattie Croniche Respiratorie [28]. Le conseguenze

dell’infezione da virus influenzale potrebbero essere contrastate efficacemente dalla vaccinazione

anti-influenzale.

La vaccinazione anti-influenzale viene offerta gratuitamente dal SSN. Bisogna doverosamente

segnalare, però, che troppo spesso, anche per colpa della cattiva informazione, essa non ha la

diffusione che merita, spesso viene disattesa e le campagne anti-influenzali in Italia

conseguentemente danno risultati veramente modesti.

Per rappresentare quanto si possa fare a livello di buona informazione in merito alla vaccinazione

anti-influenzale, e quanto sia il margine di miglioramento, basti segnalare che in Italia la campagna

anti-influenzale del 2012-13 ha portato alla vaccinazione, tra le persone di età compresa tra 18 e 64

anni con condizioni di rischio, solo il 18% degli individui di tale popolazione; che tale valore

mostra un trend in calo costante negli ultimi 5 anni (partiva dal 32% del 2008-09); che,

disaggregando i dati per grandi capitoli di patologia, i vaccinati tra i soggetti a rischio per patologia

respiratoria cronica sono stati ancora meno della media generale: solo il 17% di quelli preventivati

[29].

La vaccinazione antipneumococcica si è dimostrata efficace nel ridurre frequenza e gravità di

infezioni respiratorie e riacutizzazioni nei pazienti con BPCO. Su queste basi SIMeR e AIPO

raccomandano l’uso del vaccino antipneumococcico coniugato 13-valente nelle seguenti condizioni

a rischio:

• età >65 anni,

• broncopneumopatia cronica ostruttiva,

• istituzionalizzazione,

• demenza,

• epilessia,

• scompenso cardiocircolatorio,

• patologia cerebrovascolare,

• anamnesi positiva per polmonite,

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• patologia cronica epatica,

• diabete mellito,

• asplenia funzionale o anatomica,

• derivazioni cerebrospinali

e supportano l’eventuale allargamento dell’indicazione a tutti i soggetti di età superiore ai 50 anni

[30].

La BPCO rientra quindi a pieno titolo tra le condizioni che beneficerebbero dalla vaccinazione

antipneumococcica, per la quale andrebbe incentivata una maggiore conoscenza mediatica.

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http://www.simernet.it/home/Download/2012/Supplemento.pdf

TERAPIA DELLA FASE STABILE: Il trattamento farmacologico stabile

Il trattamento farmacologico stabile nella BPCO ha l’obiettivo di ridurre o abolire i sintomi,

migliorare la capacità di esercizio fisico e diminuire la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni,

migliorando così lo stato globale di salute e la qualità di vita di questi pazienti. Molti aspetti del

trattamento della malattia possono essere standardizzati, ma ogni paziente può avere caratteristiche

diverse dagli altri. L’approccio terapeutico dovrebbe essere personalizzato su ogni singolo paziente

non tralasciando di considerare la gravità della malattia, che deve essere valutata non solo sulla

quantificazione del dato funzionale respiratorio di ostruzione del flusso nelle vie aeree, ma anche

sulla qualità e intensità dei sintomi percepiti dal paziente e l’impatto che possono avere sulla qualità

di vita, sulla frequenza delle riacutizzazioni e sulla presenza di complicazioni sistemiche e/o

comorbilità (1,2).

I broncodilatatori

I broncodilatatori rappresentano il cardine del trattamento nei pazienti con BPCO (1,2). I farmaci

appartenenti a questa classe attualmente disponibili sono rappresentati dai beta2-agonisti a lunga

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durata d’azione (LABA) e a breve durata d’azione (SABA), dagli anticolinergici a lunga durata

d’azione (LAMA) e a breve durata d’azione (SAMA) e dalla teofillina a lento rilascio. Questi

farmaci migliorano il calibro delle vie aeree riducendo l’iperinsufflazione polmonare e le resistenze

a carico delle vie aeree migliorando, attraverso questi meccanismi, i sintomi, la tolleranza allo

sforzo e la qualità della vita dei pazienti con BPCO. L’uso regolare dei broncodilatatori a lunga

durata d’azione è inoltre in grado di ridurre la frequenza delle riacutizzazioni nella BPCO, uno dei

principali eventi clinici che caratterizzano la storia naturale della malattia. Possono essere prescritti

sia al bisogno che in maniera regolare con la finalità di alleviare e/o prevenire i sintomi respiratori e

la scelta a del trattamento dipende sia dalla disponibilità dei farmaci che dalla risposta individuale

sia in termini di efficacia che di effetti collaterali (1-3).

Broncodilatatori per via inalatoria a breve durata di azione

Beta-2 agonisti (SABA)

Fanno parte di questa categoria di farmaci il salbutamolo, il fenoterolo e la terbutalina. Tali farmaci

agiscono sui recettori beta-2 adrenergici del muscolo liscio bronchiale determinando aumento del

calibro delle vie aeree e riducendo di conseguenza la dispnea e migliorando la qualità di vita dei

pazienti, mentre determinano solo un modesto miglioramento della funzionalità respiratoria (4). La

broncodilatazione ottenuta è rapida e la durata d’azione massima è di 4-6 ore, pertanto sono

prevalentemente indicati come farmaci al bisogno in tutti gli stadi della malattia.

Gli effetti collaterali provocati da tali farmaci, più o meno rilevanti, dipendono molto

dell’età e dalle comorbilità presenti nei pazienti affetti da BPCO. Uno degli effetti collaterali più

frequenti in relazione al loro uso è sicuramente la comparsa di episodi di tremore degli arti e/o di

tachicardia dose-dipendente. Altri effetti collaterali legati al loro utilizzo sono l’ipokaliemia (5) e

l’aumento del consumo di ossigeno (6) ma comunque non è stata dimostrata alcuna responsabilità di

questi farmaci riguardo all’aumento della mortalità nella BPCO.

Anticolinergici (SAMA)

Fanno parte di questa categoria di farmaci l’ipratropio bromuro e l’ossitropio bromuro. Tali farmaci

agiscono bloccando l’azione dell’acetilcolina sui recettori colinergici e determinando di

conseguenza broncodilatazione, riduzione della dispnea ed una migliore qualità di vita per i pazienti

affetti da BPCO. La durata di azione di questi farmaci è un po' più lunga di quella dei SABA ed è di

circa 8 ore (7). Gli effetti collaterali provocati da tali farmaci possono essere secchezza delle fauci,

possibili disturbi prostatici ed talvolta effetti negativi in portatori di glaucoma acuto.

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Associazioni con i broncodilatatori a breve durata d’azione

La somministrazione combinata di due broncodilatatori a breve durata di azione con meccanismo di

azione differenziato (beta-2 adrenergico e anticolinergico) determina una maggiore variazione

positiva dei parametri spirometrici rispetto a ognuno dei due componenti da soli, una minore

necessità di SABA al bisogno e un miglioramento della qualità di vita (8).

Broncodilatatori per via inalatoria a lunga durata di azione

Beta-2 agonisti a lunga durata d’azione (LABA)

I broncodilatatori beta-2 adrenergici a lunga durata di azione attualmente disponibili sono

formoterolo, salmeterolo e indacaterolo. Vari studi di confronto negli anni hanno dimostrato che tali

farmaci migliorano la funzionalità respiratoria, riducono la dispnea, e la necessità di SABA al

bisogno, migliorando pertanto la qualità di vita nei pazienti affetti da BPCO. Inoltre è stato

dimostrato che l’uso regolare di broncodilatatori a lunga durata d’azione riduce l’incidenza di

riacutizzazioni nella storia naturale di questa patologia (9-11).

L’effetto dei LABA è di durata maggiore rispetto ai SABA. La durata d’azione è di circa 12

ore per il formoterolo e il salmeterolo e di più di 24 ore per indacaterolo. In particolare indacaterolo

ha mostrato in recenti studi un’azione broncodilatatrice più rapida che si sviluppa entro 5 minuti

dall’inalazione e una superiorità come LABA in termini di funzionalità respiratoria, qualità di vita e

controllo della dispnea, rispetto al formoterolo (12) e al salmeterolo (13).

Anticolinergici a lunga durata d’azione (LAMA)

Gli anticolinergici a lunga durata d’azione hanno una maggiore selettività per i recettori colinergici

M3, che sono localizzati nel polmone sulla muscolatura liscia bronchiale, a livello endoteliale e

sulle ghiandole mucipare sottomucose e mediano la broncocostrizione, la produzione di muco e la

vasodilatazione. Tali farmaci agiscono riducendo il tono vagale colinergico che è aumentato nelle

vie aeree del paziente con BPCO e determinando pertanto broncodilatazione (14).

I LAMA attualmente disponibili sono il tiotropio bromuro, il glicopirronio e l’aclidinium.

Il tiotropio bromuro ha una durata di azione superiore alle 24 ore e agisce antagonizzando

competitivamente e reversibilmente soprattutto i recettori colinergici M1 e M3, ma anche gli M2 da

cui però si dissocia più rapidamente. Il suo uso regolare migliora la funzione respiratoria valutata in

termini di FEV1 e FVC, riduce i sintomi respiratori e la necessità di SABA al bisogno e migliora la

qualità di vita dei pazienti affetti da BPCO (15-17). Inoltre revisioni sistematiche (18) hanno

dimostrato che il tiotropio è in grado di ridurre significativamente il rischio di riacutizzazione e di

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ricovero per questa causa rispetto al placebo e dell’ipratropio bromuro, ma non diversamente dai

LABA, in pazienti con BPCO da moderata a grave. Nello studio UPLIFT (17), durato quattro anni,

che ha coinvolto un totale di quasi seimila pazienti BPCO è stato a sua volta confermata l’efficacia

del tiotropio, nei confronti del placebo, nel migliorare la funzionalità respiratoria e la qualità della

vita e nel ridurre l’incidenza delle riacutizzazioni e dei ricoveri correlati a tale patologia, sebbene

non si sia dimostrata una riduzione statisticamente significativa del declino del FEV1 funzione

respiratoria che si ha nella BPCO. Per quanto riguarda gli effetti collaterali della somministrazione

di tiotropio, nei vari studi gli eventi avversi sono risultati paragonabili a quelli registrati nei soggetti

di controllo che non assumevano tiotropio.

Tra l’altro il recentissimo studio TIOSPIR, uno dei più ampi studi internazionali mai

condotti, ha confermato l’equivalenza, in termini di sicurezza e di efficacia, per entrambe le

formulazioni disponibili di tiotropio, tiotropio handihalear 18 µg 1 erogazione o.d. e tiotropio

respimat 2.5µg due erogazoni o.d. (19).

Il glicopirronio, altro LAMA approvato dall’EMEA nel 2012, mostra una spiccata selettività

per i recettori M3 rispetto gli M2 (quattro volte maggiore) ed è in grado di raggiungere una

concentrazione plasmatica di picco (C max) entro 5 minuti dall’assunzione del farmaco. Il

glicopirronio ha una lunga durata d’azione (24 ore) con una sola somministrazione giornaliera. In

due importanti studi di fase III randomizzati (20,21) e controllati con placebo e con tiotropio (22), è

stata dimostrata la superiorità di glicopirronio versus placebo in termini di miglioramento della

funzionalità respiratoria, sia per quanto concerne l’end point primario (trough FEV1) che per quanto

concerne gli end point secondari funzionali. Inoltre si è riscontrato un miglioramento

statisticamente significativo per quanto concerne il SGRQ e il TDi rispetto placebo. Nei trial clinici

il glicopirronio ha diminuito l’uso di farmaci al bisogno e ha ridotto in maniera statisticamente

significativa il rischio di riacutizzazioni moderate severe del 34% (p= 0.001) di rispetto placebo.

Infine nello studio GLOW III (23), questo nuovo LAMA ha mostrato miglioramenti significativi

rispetto placebo in termini di tolleranza all’esercizio dopo 3 settimane di trattamento. Anche per

questo la maggior parte degli eventi avversi sono risultati di lieve-moderata gravità. L’incidenza di

eventi avversi anticolinergici e cardiaci è risultata bassa e simile al gruppo placebo.

Aclidinio è un anticolinergico a lunga durata d’azione approvato nel luglio 2012 per la

terapia dei paziente BPCO. Il dosaggio raccomandato è 400µg t.d. Questa nuova molecola ha

mostrato una maggiore selettività per i recettori M3 rispetto agli M2 determinando un significativo

effetto broncodilatatore con un numero non significativo di effetti avversi cardiovascolari. La

bronco dilatazione viene ottenuta già dopo 10-15 minuti dall’assunzione del farmaco e due recenti

studi, ATTAIN (24) e ACCORD COPD I (25), hanno di fatto dimostrato l’efficacia della molecola

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in termini di broncodilatazione e controllo della dispnea nonché nel miglioramento della qualità di

vita rispetto placebo nei pazienti con BPCO da moderata e grave. Inoltre l’analisi combinata dei due

studi di fase III sopra citati ha evidenziato che aclidinium ha diminuito in maniera significativa le

esacerbazioni moderate-severe del 29% (p=0.01) Il farmaco inoltre è risultato ben tollerato e la

maggior parte degli eventi avversi sono risultati di lieve–moderata gravità. L’incidenza di eventi

avversi anticolinergici e cardiaci è risultata bassa e simile al gruppo placebo.

Broncodilatatori per via orale: Metilxantine a lento rilascio

Oltre al rilascio del muscolo liscio bronchiale, i teofillinici, in genere somministrati come

formulazioni orali a lento rilascio, possono aumentare la forza di contrazione del diaframma,

interferire positivamente con la clearance delle vie aeree e aumentare l’output cardiaco, con benefici

per lo stato di salute nei pazienti con BPCO, ma il loro margine terapeutico è piuttosto ristretto a

causa della potenziale tossicità e delle interazioni con altri farmaci, per cui essi debbono essere

considerati di seconda scelta nel trattamento della fase stabile della malattia. Le metilxantine

possono essere indicate solamente nei pazienti che rimangono sintomatici nonostante la terapia con

broncodilatatori inalatori (1,2).

Inibitori delle fosfodiesterasi 4 (PDE-4)

Questa categoria di farmaci agisce aumentando la concentrazione cellulare dell’AMP ciclico e

riducendo l’infiammazione bronchiale. Roflumilast è il primo inibitore della fosfodiesterasi 4

approvato dall’EMEA, è un farmaco orale in monosomministrazione giornaliera, che pur non

avendo una azione broncodilatatrice diretta, migliora la funzionalità respiratoria (FEV1 e FVC) sia

in pazienti non trattati con broncodilatatori (26) che in pazienti in trattamento con salmeterolo e

tiotropio (27).

Al momento è indicato nel trattamento di pazienti BPCO in stadio III – in stadio IV, con

storia di bronchite cronica e frequenti riacutizzazioni poiché, oltre ad esplicare un’azione

antiinfiammatoria, riduce le riacutizzazione nei pazienti BPCO con tali caratteristiche. Tuttavia la

terapia con tale farmaco è associata a significativi effetti collaterali, in particolare diarrea, perdita di

peso (1,2).

Corticosteroidi

Il documento GOLD e le linee guida AGENAS sconsigliano la somministrazione dei soli

corticosteroidi inalatori nella BPCO e vengono raccomandati solo in combinazione con bronco

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dilatatoria a lunga durata d’azione nei pazienti BPCO (1,2). Le associazioni al momento a

disposizione per il trattamento della BPCO sono fluticasone/salmeterolo e budesonide/formoterolo.

I dati più solidi, sui quali si basano le attuali indicazioni delle linee guida si basano su numerosi

studi nei quali gli steroidi inalatori sono stati studiati in associazione con i LABA e confrontati con i

singoli monocomponenti (ICS e LABA) ed il placebo. Tra i primi Mahler e coll. (28) hanno

evidenziato che il trattamento con l’associazione fluticasone propionato e salmeterolo somministrati

con lo stesso erogatore induceva un incremento della funzionalità respiratoria maggiore di quello

indotto dagli stessi farmaci somministrati singolarmente. Analoghi risultati a favore della

combinazione sono stati anche evidenziati in altri studi in cui l’associazione salmeterolo 50

µg/fluticasone 500 µg, era in grado di incrementare maggiormente la funzione respiratoria e di

ridurre i sintomi e il numero di riacutizzazioni di più rispetto al trattamento con ì singoli

componenti somministrati da soli nei pazienti con BPCO (29).

Tuttavia la nuova prospettiva per il trattamento della BPCO nasce con lo studio TORCH

(Towards a Revolution in COPD Health) (30). Nessun studio sino ad allora aveva valutato l’effetto

della terapia inalatori nella BPCO sui parametri fondamentali della malattia, come la mortalità. Lo

studio TORCH è stato condotto per valutare se il trattamento con la combinazione salmeterolo 50

µg più fluticasone propionato µg, due volte al giorno riducesse la mortalità per qualsiasi causa nei

pazienti affetti da BPCO, rispetto al placebo. Nello studio è stato comparato il trattamento

con salmeterolo 50 mcg più fluticasone propionato 500 mcg (in regime di combinazione) con

ciascuno dei componenti dell’associazione somministrati singolarmente e con il placebo per ha

valutato per un periodo di 3 anni in pazienti BPCO con FEV1 pre-broncodilatatore < 60%. Il dato

più rilevante riguarda la riduzione del rischio di mortalità relativa che è del 17.5% nel gruppo in

trattamento con l’associazione rispetto al placebo, ancorché ai limiti della significatività statistica

(P=0.052). Tale riduzione del rischio di mortalità relativa è particolarmente rilevante se si considera

che la riduzione di mortalità ottenibile con la sospensione del fumo di sigaretta sia intorno al 12% e

che l’effetto di riduzione della mortalità data dalle statine sia del 12.8%. Lo studio ha confermato

l’efficacia della combinazione fluticasione/salmeterolo nel ridurre la frequenza delle riacutizzazioni,

comprese quelle riacutizzazioni che richiedono l’ospedalizzazione, nel migliorare la sintomatologia

e la qualità della vita nonché la funzione respiratoria. Tali effetti sono risultati migliori non solo

rispetto al placebo ma anche rispetto ai gruppi trattati con i singoli componenti dell’associazione

(salmeterolo o fluticasone solamente) indicando che la combinazione dei 2 farmaci (ICS e LABA) è

più vantaggiosa dei singoli componenti. Un’analisi post hoc del TORCH ha inoltre evidenziato che

il trattamento farmacologico con l’associazione steroide-broncodilatatore a lunga durata d’azione

per via inalatoria è in grado di ridurre il declino della funzione respiratoria (in termini di FEV1, cioè

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volume di aria espirata nel primo secondo) nei pazienti con BPCO da moderata o grave rallentando

così la progressione della malattia. Si è evidenziato che salmeterolo la combinazione riduce il

declino del FEV1 di 16 ml/anno rispetto al placebo (p< 0,001). I dati ottenuti hanno quindi

supportato l’uso di questa terapia in pazienti con gravità spirometrica minore (FEV1

prebroncodilatore <60% predetto) rispetto a quelli indicati Sulla base di tali studi pertanto le linee

guida attualmente consigliano l’utilizzo degli steroidi in associazione ad broncodilatatori a lunga

durata d’azione in pazienti con FEV1 ≤ 50% del teorico (FEV1 < 60% pre broncodilatatore se si

utilizza fluticasone propionato + salmeterolo) e storia di frequenti riacutizzazioni (1 o più all’anno

negli ultimi 3 anni).

Per quanto concerne gli effetti collaterali della terapia con steroidi inalatori a lungo termine,

dati solidi sulla safety arrivano, ancora una volta, dallo studio TORCH, che per numerosità

coinvolge un numero di pazienti superiore a tutti gli studi precedenti con la stessa combinazione

ICS/LABA. In tale studio per quanto concerne l’associazione steroide-broncodilatatore a lunga

durata d’azione non sono emerse differenze rispetto al placebo riguardo al rischio di eventi

cardiovascolari, insorgenza di cataratta, fratture e variazioni in termini di osteopenia/osteoporosi

alla densitometria ossea (31-33).

In uno studio randomizzato di 12 mesi, anche l’associazione budesonide/formoterolo

(160/4.5 mcg) ha ridotto il numero di severe esacerbazioni per paziente/anno del 24% versus

placebo e 23% versus formoterolo (34). L’incremento del FEV1 è risultato del 15% versus placebo e

9% versus budesonide. Il miglioramento del PEF a favore dell’associazione si è mantenuto per tutti

i 12 mesi di osservazione. Budesonide/formoterolo ha ridotto i sintomi e l’uso di broncodilatatori al

bisogno e migliorato la qualità di vita.

In un ulteriore trial di 12 mesi (35), i soggetti trattati con budesonide/formoterolo avevavo

un tempo prolungato alla prima esacerbazione (254 versus 96 giorni) ed un miglioramento

significativo del FEV1 rispetto al placebo. La terapia di associazione si confermava in grado di

ridurre le esacerbazioni (1.38 versus 1.80 per paziente per anno) e di migliorare la qualità di vita.

Particolarmente discusso è stato il rischio di polmonite del trattamento prolungato con ICS,

che è emerso dallo studio TORCH (30), date le dimensioni del campione analizzato. L’incidenza

delle polmoniti nello studio, peraltro non confermate radiograficamente, non ha tuttavia determinato

un aumento nel numero dei decessi. Quantificando nel dettaglio il rischio pro-infettivo di un

trattamento cronico con una combinazione fluticasone/salmeterolo nei pazienti con BPCO dai

risultati dello studio TORCH emerge inoltre un dato contrastante: in corso di terapia con steroidi vi

è sì un aumento di patologie infettive come le polmoniti (3 su 100 pazienti/anno nel gruppo placebo

contro 7 su 100 pazienti nel gruppo trattato con la combinazione) ma si osserva anche una marcata

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riduzione delle riacutizzazioni (92/100 pazienti/anno nel gruppo placebo contro 67/100

pazienti/anno nel gruppo in trattamento con la combinazione steroide–broncodilatatore a lunga

durata d’azione) (31). Un'analisi a posteriori dello studio ha rilevato inoltre che i pazienti a

maggiore rischio di sviluppare polmonite, sono i soggetti più anziani, quelli con un indice di massa

corporea più basso (<25kg/m2) ed i pazienti affetti da una forma grave della malattia (FEV1 < 50%

del teorico) (36).

I risultati dello studio osservazionale “real-life” PATHOS (37) hanno dimostrato che il

trattamento con la combinazione fissa budesonide/formoterolo si associa ad una minore incidenza di

polmonite e decessi correlati, rispetto alla terapia a base di fluticasone/salmeterolo (37).

Il gruppo di pazienti trattati con fluticasone/salmeterolo ha avuto un’incidenza di polmoniti

superiore del 73%, con un numero di eventi pari ad 11,0 per 100 pazienti-anni in confronto a 6,4 per

100 pazienti-anni nel gruppo budesonide/formoterolo. Inoltre, la terapia con fluticasone/salmeterolo

è associata al 74% in più di ospedalizzazioni per polmonite rispetto al trattamento con

budesonide/formoterolo, con 7,4 ricoveri ospedalieri per 100 pazienti-anni nel gruppo trattato con

fluticasone/salmeterolo, rispetto a 4,3 ricoveri ospedalieri per 100 pazienti-anni nel gruppo trattato

con budesonide/formoterolo.

BPCO stabile. La scelta terapeutica

La scelta terapeutica deve essere adeguata per la singola persona e guidata dalla gravità del quadro

clinico, considerato nel suo complesso di sintomi, funzione respiratoria, complicanze, comorbilità e

dalle caratteristiche individuali (fenotipo) della persona che ne è affetta (1).

Nelle persone con diagnosi di BPCO che abbiano sintomi quali ad esempio la ridotta

tolleranza all’esercizio fisico e/o dispnea da sforzo (≥ grado 1 MMRC), anche in presenza di un

FEV1 pre-broncodilatatore > 80% del valore teorico si può considerare il trattamento con farmaci

broncodilatatori (38).

Nelle persone sintomatiche con diagnosi di BPCO e FEV1 pre-broncodilatatore < 80% del

valore teorico, attuare il trattamento regolare e continuativo con un broncodilatatore a lunga durata

d’azione (salmeterolo, formoterolo, indacaterolo, tiotropio, aclidinio, glicopirronio) per via

inalatoria (10-21, 39). Due studi clinici ad un anno hanno indicato una maggiore protezione verso le

riacutizzazioni del tiotropio rispetto ai LABA pur determinando entrambe le categorie una efficace

broncodilatazione (40-42). Inoltre, un studio clinico su una larga popolazione di pazienti ha

dimostrato la sicurezza clinica del tiotropio nelle formulazioni inalatorie e nei dosaggi disponibili

(19).

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34

Nelle persone in trattamento farmacologico regolare, ad ogni visita programmata si

dovrebbe valutare:

- la corretta e regolare assunzione della terapia inalatoria;

- la variazione dei sintomi ed in particolare, la tolleranza all’esercizio fisico e la dispnea da

sforzo;

- le modificazioni della funzione polmonare in termini non solo di FEV1 e di volumi

polmonari (in base al programma di controlli spirometrici);

- il ricorso ai broncodilatatori a breve durata d’azione come supporto occasionale;

- la frequenza e gravità degli episodi di riacutizzazione;

- la frequenza e la durata degli episodi di ospedalizzazione;

- gli eventuali eventi collaterali e/o avversi.

Nel caso di risultato giudicato insoddisfacente in termini di sintomatologia e/o funzionalità

polmonare da parte della persona con BPCO e/o dal medico curante, considerare:

- l’aumento della dose del singolo broncodilatatore se e come previsto nella scheda tecnica

del farmaco in uso (43-44);

- l’aggiunta di un secondo broncodilatatore a lunga durata d’azione, con meccanismo d’azione

differente (45-50);

- l’aggiunta di un corticosteroide per via inalatoria (CSI), nei pazienti con frequenti

riacutizzazioni e FEV1 < 60% (28-31,34,35).

Nelle persone con BPCO, sintomatiche nonostante l’uso regolare di broncodilatatori a lunga

durata d’azione, con FEV1 pre-broncodilatatore < 60% del valore teorico e storia di frequenti

riacutizzazioni (≥ 2/anno), considerare l’associazione LABA+CSI (2,31) 1 . L’utilizzo della

combinazione fissa può migliorare significativamente l’aderenza della persona alla terapia

(30,31,34,35).

- L’associazione LAMA+LABA+CSI, in persone sintomatiche con FEV1< 60% del valore teorico,

ha migliorato la funzione ventilatoria e la qualità della vita e ridotto il numero di ospedalizzazioni

(51-52).

- In pazienti con diagnosi di BPCO, FEV1 < 50%, bronchite cronica e frequenti riacutizzazioni (≥

2), l’aggiunta di un inibitore delle fosfodiesterasi-4 (roflumilast) alla terapia regolare con 1 Nota EMA-AIFA per salmeterolo 50/fluticasone 500 mcg bid “trattamento sintomatico di pazienti con BPCO, con FEV1 < 60% del normale previsto (pre-broncodilatatori) ed una storia di riacutizzazioni ripetute, che abbiano sintomi significativi nonostante la terapia regolare con broncodilatatori”.

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35

broncodilatatori a lunga durata d’azione (LAMA o LABA) migliora la funzione ventilatoria e

riduce la frequenza delle riacutizzazioni (26,27).

Scelta degli inalatori

La terapia inalatoria rappresenta il cardine del trattamento farmacologico della BPCO. A differenza

della terapia orale o endovena, la terapia inalatoria consente di somministrare i farmaci direttamente

nel lume delle vie aeree, ottenendo a questo livello concentrazioni consistenti del farmaco

riducendone al minimo l’esposizione sistemica. L’efficacia dei farmaci somministrati per via

inalatoria può variare, però, in relazione alla differente formulazione e alle caratteristiche dei

dispositivi usati per inalarli. Il successo della terapia inalatoria non dipende solamente dall’efficacia

del farmaco, ma anche dalla disponibilità di inalatori facili da usare e che assicurino elevate quantità

del farmaco nell’apparato respiratorio.

Le evidenze cliniche più recenti, sottolineate dalle principali società scientifiche

pneumologiche, richiamano l’attenzione sul fatto che la terapia inalatoria può risultare poco o per

niente efficace se non assunta in maniera adeguata. Si può affermare, quindi, che non si può parlare

solo dell’efficacia delle singole molecole, ma della combinazione tra molecola ed inalatore.

Esistono differenti tipi di device per la somministrazione inalatoria dei farmaci usati nel

trattamento dell’asma e della BPCO: i nebulizzatori, gli spray predosati (pressurized metered dose

inhaler, pMDI) e gli inalatori di polvere secca (dry powder inhalers, DPI).

Gli spray pre-dosati sono stati introdotti nella pratica clinica circa 50 anni fa, sono stati

progressivamente migliorati, in particolare per quanto riguarda la velocità dell’erogazione, il

diametro delle particelle, l’uso in soluzione anziché sospensione, i propellenti non più dannosi per

l’ambiente. Il limite maggiore rimane proprio la necessità di coordinare l’attuazione dello spray con

l’inspirio da parte del paziente. Lo sviluppo di nuove tecnologie e dispositivi inalatori ha consentito

lo sviluppo di formulazioni pMDI in soluzione che permettono di ridurre le dimensioni delle

particelle erogate e diminuire la velocità di erogazione. Gli MDI con propellente HFA migliorano la

coordinazione mano/respiro in quanto il plume prodotto dal MDI è meno veloce e questo offre al

paziente un maggior tempo per effettuare una corretta inspirazione.

I DPI possono essere: 1) a singola dose 2) multidose con dosi unitarie 3) multidose con

reservoir ed hanno eliminato rispetto ai tradizionali spray ogni necessità di coordinazione da parte

del paziente, poiché consentono di assumere la dose del farmaco inspirando direttamente

dall’inalatore. Il paziente deve tuttavia essere in grado di produrre un flusso inspiratorio sufficiente

a mobilizzare il farmaco. L’efficacia di un dispositivo DPI è funzionale al flusso inspiratorio

generato dal paziente. A parità di sforzo inspiratorio il dispositivo che genera al suo interno valori

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più elevati di Picco di Flusso Inspiratorio (PIF) garantisce erogazioni più precise e costanti di

farmaco.

Anche per i DPI, come già sottolineato per gli MDI, la deposizione polmonare dipende dalla

quota di frazione respirabile del farmaco, vale a dire la quantità di particelle con un diametro tra 5 -

2.5 um. DPI dotati di una resistenza particolarmente elevata possono essere utilizzati con difficoltà

da pazienti che possono effettuare un modesto sforzo inspiratorio come bambini, anziani, paziente

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TERAPIA DELLA FASE STABILE: La riabilitazione

Introduzione e definizione

La riabilitazione respiratoria è un'opzione terapeutica offerta ai pazienti affetti da BPCO, una

patologia sempre più diffusa. Essa aiuta a prevenire il decondizionamento e consente al paziente di

convivere al meglio con la sua malattia.

Il concetto di riabilitazione respiratoria si è evoluto negli ultimi decenni, anche se già nelle

definizioni degli anni Novanta compare sia la nozione di multidisciplinarietà sia l’obiettivo di

rendere il paziente il più possibile autonomo e indipendente in relazione alla sua condizione

patologica. La più recente definizione, apparsa nell’ultimo documento congiunto delle società

scientifiche ATS e ERS del 2013, la descrive come “un intervento globale basato su una valutazione

approfondita del paziente con prescrizione di terapie su misura, che includono, ma non sono limitate

a, l'esercizio fisico, l'educazione e il cambiamento di comportamento, finalizzate a migliorare la

condizione fisica e psicologica delle persone con malattie respiratorie croniche e promuovere

l'aderenza a lungo termine dei comportamenti che migliorano lo stato di salute”.

In questa articolata definizione rileviamo la presenza dei seguenti fattori:

- multidisciplinarietà: i programmi di riabilitazione polmonare utilizzano competenze di varie

discipline sanitarie, integrate in un programma globale;

- individualità: i pazienti con malattie polmonari invalidanti richiedono una valutazione

individuale delle loro specifiche esigenze e un programma progettato per soddisfare i singoli

obiettivi da raggiungere;

- attenzione alla funzione fisica e sociale: per avere successo, la riabilitazione polmonare non

può trascurare le dimensioni psicologica, emotiva e sociale né la disabilità fisica e deve

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contribuire a ottimizzare la terapia medica per migliorare la funzione polmonare e la

tolleranza allo sforzo.

Obiettivi e risultati nella BPCO

I principali obiettivi della riabilitazione respiratoria sono:

1- ridurre i sintomi;

2- ridurre la limitazione nelle attività quotidiane e la restrizione alla partecipazione alla vita

sociale;

3- ottenere il più elevato livello possibile di indipendenza funzionale;

4- migliorare la qualità della vita;

5- ottenere un cambiamento comportamentale a lungo termine finalizzato al miglioramento

dello stato di salute.

E’ noto infatti che i pazienti affetti da BPCO presentano spesso una riduzione della attività

fisica dovuta alla dispnea da sforzo. Il progressivo decondizionamento fisico associato alla iniziale

inattività è all'origine di un circolo vizioso che mantiene e gradualmente incrementa l’inattività. La

riabilitazione respiratoria aiuta a interrompere questo circolo.

Grazie infatti all’approccio multidisclipinare e alla personalizzazione dell’intervento, i

programmi di riabilitazione respiratoria rivolti ai pazienti affetti da BPCO si sono dimostrati

efficaci in ordine al raggiungimento dei seguenti risultati, confortati dal riscontro dell'evidenza

clinica:

- aumento della tolleranza allo sforzo

- riduzione della sensazione di fame d’aria

- miglioramento della qualità della vita

- riduzione delle ospedalizzazioni e dei giorni di degenza (riduzione indiretta dei costi

sanitari)

- riduzione dell’ansia e della depressione

- incremento dell’aderenza ai trattamenti raccomandati

- riduzione della frequenza e della gravità dei sintomi

- miglioramento dell’umore e della motivazione

- riduzione della dipendenza

- incremento della partecipazione alle decisioni terapeutiche mediante la costruzione di una

capacità di autogestione

- incremento della partecipazione alle attività quotidiana.

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Chi riabilitare e chi no

La riabilitazione respiratoria è indirizzata ai pazienti affetti da BPCO sintomatici, specialmente se

presentano:

- dispnea/stanchezza

- ridotta qualità della vita relativa allo stato di salute

- ridotto stato funzionale

- ridotta performance occupazionale

- difficoltà a effettuare le comuni attività quotidiane

- difficoltà con la terapia

- problemi psicologici correlati alla malattia respiratoria

- denutrizione

- aumentato uso di risorse sanitarie (p.e. frequenti riacutizzazioni, ricoveri, visite in pronto

soccorso, visite mediche)

- alterazioni dello scambio dei gas, inclusa l’ipossiemia.

Andranno esclusi invece i pazienti:

- con danno cognitivo

- con disturbi psicotici

- con patologie infettive rilevanti

- con patologie muscolo-scheletriche o neurologiche che impediscono l’esercizio fisico

- con malattia cardiovascolare instabile (angina instabile, malattia valvolare aortica,

ipertensione polmonare instabile).

Va segnalato come la motivazione e la convinzione dell’efficacia della riabilitazione da parte

del paziente risulti un criterio imprescindibile per il reclutamento dei pazienti, laddove età e sesso

non appaiono fattori limitanti; neppure la necessità di ossigenoterapia è discriminante.

Quando riabilitare (“Timing” della riabilitazione respiratoria)

La riabilitazione respiratoria può essere iniziata a qualsiasi stadio della malattia, durante periodi di

stabilità clinica oppure durante (o immediatamente dopo) una riacutizzazione.

Secondo l’orientamento delle più attuali linee guida, quanto più precocemente ha inizio il

trattamento, tanto maggiori saranno i benefici ottenuti. Nuove evidenze scientifiche indicano infatti

che i pazienti affetti da BPCO sintomatici con gradi più lievi di limitazione al flusso traggono dal

programma di riabilitazione respiratoria gli stessi miglioramenti nei sintomi, nella tolleranza allo

sforzo e nella qualità della vita dei pazienti con malattia più grave.

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In particolare, la riabilitazione respiratoria, dopo una ospedalizzazione per riacutizzazione di BPCO,

si è dimostrata clinicamente efficace, sicura e associata a una riduzione delle successive

riammissioni ospedaliere.

Inoltre la riabilitazione respiratoria gioca un ruolo importante nei pazienti affetti da BPCO

candidati ad intervento di resezione polmonare e nei pazienti già operati che presentano un recupero

clinico e funzionale respiratorio più lento del previsto.

Dove riabilitare

Secondo i più accreditati studi, la riabilitazione, effettuata in ospedale, in regime di ricovero

ordinario o di day hospital (ambulatorio integrato) oppure condotta a domicilio, ottiene risultati

comparabili. La scelta della sede è legata perciò ad altri fattori, quali problemi organizzativi,

difficoltà o meno negli spostamenti, presenza di comorbilità che necessitano di monitoraggio.

Chi riabilita

Poiché la riabilitazione respiratoria è una opzione terapeutica multidisciplinare, il team sarà

composto da diverse figure professionali tra cui: lo specialista pneumologo, esperto nel trattamento

delle patologie croniche respiratorie, il fisiatra, il fisioterapista respiratorio, l'infermiere

professionale, esperto di educazione sanitaria, lo psicologo, il nutrizionista e l'assistente sociale.

Come riabilitare

La riabilitazione respiratoria lavora su diversi fronti: allenamento all’esercizio fisico, rieducazione

respiratoria, fisioterapia respiratoria, educazione sanitaria e supporto psicologico.

La dispnea da sforzo nella BPCO ha infatti una origine multifattoriale, che riflette in parte la

disfunzione dei muscoli scheletrici, le conseguenze della iperinflazione dinamica, l’aumentato

carico di lavoro e/o i difetti nello scambio dei gas. Queste limitazioni sono aggravate poi dal

naturale declino funzionale correlato all’età e agli effetti del decondizionamento, cui si aggiungono

le comorbilità. Di fronte a questo scenario, l’allenamento allo sforzo rappresenta il mezzo più

efficace per migliorare la funzionalità muscolare attraverso la quale si riduce il sintomo dispnea

grazie all’interruzione del circolo vizioso dispnea-inabilità-decondizionamento, anche in assenza di

cambiamenti nella funzionalità polmonare.

Per massimizzare l’efficacia dell’intervento è necessario ottimizzare la terapia medica,

verificare la necessità di ossigenoterapia, trattare adeguatamente le comorbilità.

1. ALLENAMENTO

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44

L’allenamento allo sforzo si effettua con esercizi di tipo aerobico a carico costante (Endurance

training). La camminata libera (treadmil) e la bicicletta (cicloergometro) sono le modalità più

comuni. Non va escluso neppure il Nordic Walking che si è dimostrato particolarmente efficace

perché permette l’allenamento contemporaneo dei gruppi muscolari degli arti inferiori e superiori.

Gli esercizi aerobici vanno sostenuti con l’intensità più alta possibile, compatibilmente con

la capacità massima allo sforzo individuale (da un minimo di 50-60% fino all’80-85% di VO2max o

FC max) (Hight intensity training target). Per i pazienti ambulatoriali, la frequenza settimanale

prevista è di 2-3 sedute, cui vanno aggiunte 2 sedute domiciliari, per un totale di almeno 4 sedute

settimanali. Ai pazienti ricoverati si suggeriscono 5 sedute settimanali. La durata prevista della

seduta di allenamento è variabile ed è compresa normalmente tra i 20 e i 60 minuti.

I pazienti maggiormente compromessi possono ottenere analoghi risultati con sedute di

durata più breve e intervallate da pause di riposo, ma con una frequenza maggiore (Interval

training).

Si possono allenare anche i muscoli degli arti superiori (ergometro per braccia), il cui

aumento della funzionalità si è dimostrato efficace per i pazienti affetti da BPCO. Oltre

all’allenamento alla resistenza è previsto anche l’allenamento della forza muscolare

(Resitance/Strength training), tramite il sollevamento ripetitivo di carichi relativamente pesanti.

Questo tipo di esercizi è finalizzato all'aumento della massa muscolare.

La combinazione delle due metodiche di allenamento raggiunge risultati superiori rispetto a

quelli ottenibili con una sola strategia.

La stimolazione neuromuscolare elettrica transcutanea (NMES) dei muscoli scheletrici è

una tecnica riabilitatoria alternativa, nella quale l’allenamento muscolare si ottiene con la

stimolazione della contrazione di gruppi muscolari selezionati. La NMES migliora la forza dei

muscoli degli arti, la capacità allo sforzo e riduce la dispnea in pazienti con BPCO stabile e scarsa

tolleranza all’esercizio.

Le controindicazioni a questa metodica sono però molteplici: presenza di impianti elettrici

(p.e pacemaker, defibrillatori), epilessia, aritmie mal controllate, angina instabile, recente infarto

miocardio, clips intracraniche, artroprotesi d’anca o di ginocchio. Tale metodica può invece essere

utile in pazienti con importante compromissione muscolare, molto defedati e con difficoltà a

eseguire i normali esercizi fisici.

2. EDUCAZIONE

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Come parte del programma riabilitativo vanno identificati i bisogni educativi di base del paziente.

Durante il ciclo di riabilitazione respiratoria devono essere offerte sessioni educative che riguardano

i seguenti aspetti:

- meccanismi di fisiologia respiratoria

- spiegazione della fisiopatologia, delle cause e della terapia della BPCO

- autogestione

- ruolo degli esercizi e del rilassamento

- impatto psicologico e minimizzazione dei suoi effetti

- gestione della dispnea – ambulatori del fumo

- benefici di una regolare attività fisica e capacità di effettuare attività fisica con sicurezza ed

efficacia

- supporto nutrizionale e strategie alimentari.

3. RIEDUCAZIONE RESPIRATORIA – FISIOTERAPIA RESPIRATORIA

Le pratiche di rieducazione respiratoria, come la respirazione diaframmatica, il respiro a labbra

chiuse e l’allenamento dei muscoli respiratori (respirazione contro resistenza), hanno un ruolo

secondario, anche se, associate agli altri interventi, contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi

del progetto riabilitativo.

Le tecniche di fisioterapia respiratoria sono volte a facilitare la clearance delle secrezioni

che ristagnano nelle vie aeree. Tra queste ricordiamo il drenaggio posturale, le percussioni e

l’utilizzo di incentivatori della tosse. Tali pratiche vanno utilizzate in presenza di situazioni

patologiche caratterizzate da ipersecrezione bronchiale (p.e. Bronchiectasie).

Outcomes

E’ opportuno verificare l’efficacia dei programmi di riabilitazione respiratoria con la dimostrazione

clinica dei significativi miglioramenti nella capacità all’esercizio fisico, nella dispnea e nello stato

di salute. Per una valutazione completa è richiesto anche un feedback di soddisfazione da parte del

paziente.

Tra i risultati a breve termine da verificare si annoverano:

- miglioramento nel test del cammino (6MWT)

- miglioramento della qualità della vita in relazione allo stato di salute

- miglioramento dello stato funzionale

- riduzione dell’ansia e della depressione

- miglioramento della conoscenza e comprensione della condizione clinica.

Tra i risultati a lungo termine vi sono:

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46

- riduzione delle riacutizzazioni necessitanti valutazione specialistica e/o di ricovero

- miglioramento della capacità allo sforzo

- capacità di autogestione.

Tutti gli outcome andranno indagati con adeguati test scientificamente validati (MRC, SGRQ, Borg

scale, ecc).

Per quanto riabilitare

La durata della frequenza delle sessioni di riabilitazione respiratoria con supervisione non è stata

chiaramente dimostrata. Si ritiene che i programmi di riabilitazione dovrebbero comprendere un

minimo di tre-quattro settimane, mentre non vi sono limiti superiori. E' dimostrato che una durata

prolungata del ciclo riabilitativo assicura risultati migliori e un tempo più lungo di mantenimento

dei benefici raggiunti, che comunque tendono ad annullarsi dopo 6-12 mesi.

Mantenimento dei risultati

I pazienti che hanno completato un ciclo di riabilitazione respiratoria vanno incoraggiati a

continuare gli esercizi anche alla fine del programma, allo scopo di prolungare i benefici. E’

necessario inoltre raccomandare una regolare attività fisica cinque volte alla settimana per almeno

30 minuti.

La ripetizione del ciclo di riabilitazione respiratoria è certamente utile e sebbene non sia

ancora noto a livello internazionale l’intervallo di tempo ottimale da frapporre tra un ciclo e il

successivo, si può comunque ragionevolmente affermare che per ripristinare i benefici raggiunti con

il precedente ciclo riabilitativo possa essere indicata come opportuna una cadenza semestrale, per i

pazienti in stadio clinico più avanzato, e annuale in tutti gli altri casi.

Utilizzo risorse sanitarie

La riabilitazione respiratoria ha importanti implicazioni economiche. I costi sono variabili perché

dipendono dalla durata dei cicli, dalla loro frequenza e dalla sede dove vengono effettuati (ospedale

o territorio). Gli studi clinici che hanno comparato l’utilizzo delle risorse sanitarie prima e dopo la

riabilitazione respiratoria evidenziano una significativa riduzione del numero dei ricoveri

ospedalieri e dei giorni di ospedalizzazione. La riabilitazione respiratoria contribuisce inoltre al

contenimento dei costi sanitari riducendo gli accessi in pronto soccorso.

Conclusioni

La riabilitazione respiratoria si è dimostrata clinicamente efficace, è indice di corretta gestione

globale della BPCO e va considerata un approccio terapeutico imprescindibile nella gestione del

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47

malato affetto da BPCO (vedi tabella 3.5. del documento “Global strategies for the diagnosis,

management and prevention of chronic obstructive pulmonary disease, Update 2014”).

Di conseguenza, lo specialista dovrebbe impegnarsi a ridurre gli ostacoli che ancora

precludono l’accesso a questa metodica a una considerevole parte dei pazienti.

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TERAPIA DELLA FASE STABILE: Terapia non farmacologica. Ruolo della chirurgia e

della endoscopia

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Dobbiamo distinguere due aspetti del problema: la chirurgia nel paziente con BPCO e la terapia

chirurgica della BPCO.

Chirurgia nel paziente con BPCO

Il paziente con BPCO ha un rischio di 2,7-4,7 volte aumentato di complicanze respiratorie dopo un

intervento chirurgico; la più comune è la polmonite, associata ad un rischio significativo di

mortalità (20% entro un mese dall’intervento) (1). Le complicazioni si riducono quanto più lontana

dal diaframma è la procedura; l’anestesia epidurale o spinale comporta un rischio minore rispetto

alla anestesia generale. Lo studio funzionale pre-operatorio ha un ruolo non ben definito; la

semplice spirometria è tuttavia utile, in quanto in presenza di un tracciato anomalo il rischio relativo

aumenta mediamente di 2 volte (2). Sono importanti la cessazione del fumo 4-8 settimane prima

dell'intervento, la ottimizzazione della terapia, la mobilizzazione precoce, i respiri profondi, l'uso di

IPPB e di spirometria incentivante, una buona analgesia, anche se il peso relativo dei singoli

provvedimenti non è stato ben studiato (3). L'intervento va rinviato in presenza di riacutizzazione

(1, 4).

Per gli interventi di resezione polmonare, vanno attentamente identificati i fattori di rischio;

sono importanti anamnesi, esame fisico, rx torace, spirometria con test di broncodilatazione, volumi

polmonari statici, DLCO, EGA, scintigrafia perfusoria. Il rischio è aumentato in pazienti con

ppoFEV1 o DLCO <60%. Se il valore di uno di questi 2 parametri è compreso tra 30 e 60% è utile

eseguire un 6MWT. Nel caso questo sia alterato o uno o entrambi i valori siano <30% è indicato un

test da sforzo cardiorespiratorio. Una VO2 < 10 ml/Kg/min o < 35% comporta un rischio molto

elevato. La decisione finale va discussa con il chirurgo, lo pneumologo, il curante e il paziente (5).

Chirurgia per la BPCO

La terapia chirurgica della BPCO è stata proposta per la prima volta nelle linee guida sul

trattamento della BPCO del 2004: “Standards for the diagnosis and treatment of patients with

COPD: a summary of the ATS/ERS position paper” con osservazioni sulla chirurgia nel paziente

con BPCO e sui trattamenti chirurgici possibili come trattamento della BPCO.

Gli interventi che possono migliorare spirometria, volumi polmonari, capacità di esercizio,

dispnea, qualità di vita e possibilmente sopravvivenza in pazienti altamente selezionati sono la

bullectomia, la riduzione volumetrica chirurgica (LVRS), la riduzione volumetrica endoscopica

(ELVR) ed il trapianto polmonare.

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50

Bullectomia

In pazienti molto selezionati, la procedura può essere efficace nell’alleviare la dispnea e migliorare

la funzione respiratoria (1, 6). Se una bolla occupa meno del 30% di un emitorace, la dispnea non è

probabilmente correlata con questa; pertanto l’indicazione chirurgica va posta per bolle che

occupano almeno il 30-50% di un emitorace, determinando compressione del rimanente

parenchima, che deve essere sano (7).

Nella tabella 6 di Celli BR et al. (1) vengono elencati i parametri favorevoli e sfavorevoli

alla procedura.

LVRS

Lo studio NETT (National Enphysema Therapy Trial) ha dimostrato che i pazienti con enfisema

polmonare non omogeneo, prevalente ai lobi superiori, con FEV1 o DLCO >20% e con scarsa

capacità di esercizio dopo un trattamento riabilitativo preoperatorio, avevano una migliore

sopravvivenza e una migliore qualità di vita (8) dopo un intervento di resezione chirurgica delle

zone enfisematose; il follow-up a lungo termine conferma un miglioramento della sopravvivenza a

5 anni (9). La procedura è molto costosa e va valutata con molta attenzione.

La riduzione volumetrica del polmone può essere ottenuta anche per via endoscopica

(ELVR) con l’impiego di tecniche e devices diversi. Dai dati dello studio multicentrico prospettico

randomizzato VENT (Endobronchial Valve for Emphysema Palliation Trial) (10) si evince che il

trattamento endoscopico tramite l’impiego di valvole Zephyr produce una buona risposta in termini

di FEV1 e 6MWT in caso di enfisema disomogeneo dei lobi superiori, con scissure interlobari

integre e assenza di ventilazione collaterale. Sono tuttavia necessari studi randomizzati controllati

prima che tali procedure, il cui costo è assimilabile a quello dell’intervento chirurgico, possano

essere raccomandate (11); fino ad allora, esse dovrebbero essere erogate all’interno di progetti

definiti e controllati dalle Società Scientifiche (12).

Trapianto polmonare

E’ una opzione che migliora la funzione polmonare, la qualità di vita e la capacità di esercizio, ma

gli effetti sulla sopravvivenza sono del 75% ad un anno e 50% a 5 anni. I pazienti dovrebbero essere

proposti per il trapianto quando il punteggio BODE è > 5 (10,13); un BODE index di 7-10 è

associato ad una mediana di sopravvivenza di 3 anni, inferiore a quella attesa dopo un trapianto

polmonare. Pazienti con un BODE di 5-6 probabilmente non trarrebbero beneficio da un trapianto,

ma potrebbero già essere inseriti in lista di attesa (13). I criteri per il trapianto comprendono FEV1

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51

<20%, DLCO <20%, pCO2 >50 mmHg, distribuzione omogenea dell’enfisema, ipertensione

polmonare secondaria (6) (vedi Orens et al. (13)).

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RIACUTIZZAZIONI

Definizione

Peggioramento acuto e persistente (più di 24 ore) dei sintomi respiratori del paziente, di entità

superiore alla variabilità spontanea e che spesso richiede una variazione della terapia (1-3).

I sintomi comunemente riferiti sono: aumento della dispnea, della tosse, della quantità

dell’espettorato e cambiamento del colore.

Diagnosi

La diagnosi si basa esclusivamente sui criteri clinici sovraesposti.

Diagnosi differenziale

Devono essere considerate in diagnosi differenziale altre condizioni patologiche che potrebbero

mimare e/o aggravare le riacutizzazioni, come lo scompenso cardiaco acuto, la polmonite, l’embolia

polmonare, le aritmie cardiache, l’anemia, lo pneumotorace e i versamenti pleurici.

Pertanto, in alcune situazioni, è opportuno far ricorso ad indagini diagnostiche, con strategie

differenziate per i pazienti valutati in ambito ospedaliero o in comunità.

Indagini diagnostiche per i pazienti in comunità

1- Saturimetria (per valutare la necessità di ossigenoterapia supplementare e di invio in Ospedale)

(Non è raccomandato l’esame colturale dell’escreato in caso di espettorazione purulenta)

Indagini diagnostiche per i pazienti inviati in Ospedale

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1- Radiografia del torace

2- EGA (specificando la FiO2)

3- ECG

4- Emocromo completo con formula, azotemia, creatinina ed elettroliti

5- Se l’espettorato è purulento, va raccolto un campione per esami microbiologici

6- Se il paziente è febbrile, va eseguita almeno un’emocoltura

Valutazione di gravità

I seguenti fattori dovrebbero essere presi in considerazione per decidere se la riacutizzazione può

essere gestita in ambiente ospedaliero o ambulatoriale (Tabella 1):

Fattore Cure domiciliari Ricovero Ospedaliero

Capacità di gestione domiciliare SI NO

Dispnea Lieve Severa

Condizioni generali Buone Scadute/in deterioramento

Livello di attività Buono Scarso/confinato a letto

Cianosi No Si

Edemi periferici in aumento No Si

Livello di coscienza Normale Compromesso

Già in O2 terapia (LTOT) No Si

Confusione acuta No Si

Comorbilità (CHF, diabete) No Si

SpO2

< 90 % No Si

Variazioni Rx Torace No Si

pH < 7,35 No Si

PaO2 < 55 mmHg No Si

Tabella 1

Le prove di funzionalità respiratoria non sono raccomandate durante un episodio di riacutizzazione,

perché

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in fase acuta può risultare difficoltosa la corretta esecuzione e pertanto le misurazioni non sono

accurate (1,2).

Terapia

Non esistono markers biologici (siero, escreato) che abbiano una sufficiente sensibilità e specificità

nell’individuare la causa della riacutizzazione; pertanto il trattamento della riacutizzazione è su base

empirica.

Lo scopo del trattamento delle riacutizzazioni della BPCO consiste in:

- ottimizzare la funzionalità polmonare somministrando broncodilatatori e altri farmaci

- assicurare una adeguata ossigenazione e la clearance delle secrezioni

- evitare l’intubazione, se possibile

- prevenire le complicanze dell’immobilità, quali la malattia tromboembolica e il

decondizionamento

- valutare e soddisfare i bisogni nutrizionali

Terapia farmacologica

Broncodilatatori a breve durata d’azione

Anche se non esistono studi controllati, i β2-agonisti a breve durata d’azione (SABA) associati o

meno agli anticolinergici a breve durata d’azione (SAMA) sono i broncodilatatori preferiti nel

trattamento delle riacutizzazioni della BPCO.

Possono essere utilizzati i nebulizzatori (elettrici o ad aria compressa) o gli spray/polveri

predosati. La scelta del sistema di inalazione dipende dalla dose richiesta, dalla capacità del

paziente di usare adeguatamente il device inalatorio e dalle possibilità di supervisione.

Le dosi tipiche di salbutamolo per questa indicazione sono 2.5 mg (diluiti con SF a 3 ml)

con nebulizzatore ogni 1-4 ore secondo necessità oppure 4-8 puffs (100 mcg per puff) con spray

predosato attraverso distanziatore ogni 1-4 ore (4).

Gli anticolinergici a breve durata d’azione (ipratropio) sono usati in associazione con i

beta2agonisti a breve durata sulla base di numerosi studi che ne hanno evidenziato un effetto

sinergico, anche se ciò non sempre si verifica durante una riacutizzazione di BPCO (5).

Le dosi tipiche dell’ipratropio per questa indicazione sono 500 mcg con nebulizzatore ogni 4

ore secondo necessità.

Glucocorticoidi

Gli steroidi sistemici, in associazione ai broncodilatatori inalatori, migliorano i sintomi e la

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funzionalità polmonare riducendo la durata dell’ospedalizzazione (6). Pertanto, in assenza di

importanti controindicazioni, gli steroidi sistemici dovrebbero essere utilizzati in tutti i pazienti

ospedalizzati per una riacutizzazione di BPCO, come pure nei pazienti ambulatoriali con un

significativo incremento della dispnea tale da interferire con l’attività della vita quotidiana.

La via di somministrazione preferibile è l’endovenosa nelle riacutizzazioni gravi o quando i pazienti

non sono in grado di assumere il farmaco per os; nella maggior parte delle riacutizzazioni la via

orale garantisce una efficacia analoga alla via endovenosa; l’utilizzo della via inalatoria durante le

riacutizzazioni non è mai stato studiato in trial randomizzati e pertanto gli steroidi inalatori non

devono essere usati come sostituti degli steroidi sistemici.

La dose raccomandata è pari a 30-40 mg/die di prednisone per 7-14 giorni.

La durata del trattamento non dovrebbe essere superiore ai 14 giorni, perché non ci sono vantaggi

dalla terapia prolungata; per durate di trattamento inferiori a tre settimane, lo steroide può essere

sospeso piuttosto che ridotto gradualmente.

Antibiotici

Si pensa che la maggioranza (70-80%) delle riacutizzazioni sia infettiva, anche se la natura

dell’infezione è spesso non chiara. Metà circa delle riacutizzazioni infettive sono su base virale e

metà ad eziologia batterica, in un quarto dei casi vi è una coinfezione batterica e virale. Nella

restante percentuale di riacutizzazioni (20-30%) sono verosimilmente coinvolti triggers ambientali

(inquinamento, variazioni di temperatura…).

Vi sono prove a sostegno dell’uso degli antibiotici nelle riacutizzazioni quando i pazienti

presentano segni clinici di infezione batterica, cioè un aumento della purulenza dell’espettorato (7).

La scelta dell’antibiotico dovrebbe basarsi sulle resistenze batteriche locali e sulla gravità

clinica della BPCO (3).

Ossigenoterapia

L’ossigenoterapia è un componente critico della terapia della riacutizzazione.

L’obiettivo dell’ossigenoterapia è di ottenere una PaO2 fra 60 e 70 mmHg (con SpO2=90-94%);

nella maggior parte delle riacutizzazioni di BPCO non è richiesta una elevata FiO2 per correggere

l’ipossiemia. L’incapacità di correggere l’ipossiemia con una FiO2 relativamente bassa (ad es 4

l/min con cannule nasali o 35% con maschera di Venturi) dovrebbe far pensare alla possibilità di

embolia polmonare, ARDS, edema polmonare o polmonite severa.

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56

Ventiloterapia

La ventilazione non –invasiva (NIV) è il trattamento di scelta per l’insufficienza respiratoria con

ipercapnia persistente nonostante terapia medica ottimale.

La ventilazione meccanica invasiva dovrebbe essere utilizzata in caso di fallimento o

intolleranza della NIV, o quando la NIV è controindicata.

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LE COMORBILITA’

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57

La prevalenza di BPCO a livello europeo si attesta intorno al 4-7%, con il genere maschile e le età

più avanzate maggiormente interessate da tale condizione patologica (1). Negli anziani spesso

coesistono più patologie (2); essendo il paziente con BPCO solitamente anziano è quindi comune la

concomitanza di più patologie. La presenza o lo sviluppo di altre malattie (comorbilità) nella

persona con BPCO ha un impatto significativo sulla gravità e prognosi del singolo paziente (3).

Le comorbilità possono essere classificate come: con-causali, quando condividono con la

BPCO fattori di rischio (per es., fumo, età); complicanti, quando rappresentano effetti

extrapolmonari della BPCO; concomitanti, ovvero malattie croniche coesistenti senza relazione

causale nota con la BPCO (4).

La BPCO si associa, in una significativa popolazione dei paziento, ma non in tutti, ad uno

stato infiammatorio sistemico, spesso non eccessivo (low level systemic inflammation). I rapporti

eziopatogenetici di tale infiammazione con la BPCO non sono ancora del tutto chiariti (5). Tuttavia,

la presenza di alcune comorbilità in corso di BPCO è stata posta in rapporto con l’infiammazione

sistemica (6).

A prescindere dalla relazione esistente tra BPCO e comorbilità queste dovrebbero essere

identificate e trattate. Le comorbilità sono presenti in ogni stadio di gravità della BPCO e sono

importanti determinanti della mortalità (7).

La causa di mortalità nella BPCO è diversificata a seconda del grado di ostruzione presente.

Nella BPCO con ostruzione bronchiale lieve o moderata le cause più frequenti sono il cancro

polmonare e le malattie cardiovascolari, mentre nelle forme con FEV1 <60-50%, la causa

predominante è l’insufficienza respiratoria (8).

La presenza di comorbilità a elevato rischio (polmonite, aritmia cardiaca, insufficienza

cardiaca congestizia, diabete mellito, insufficienza epatica o renale) rientra nei criteri che

definiscono l’appropriatezza dei ricoveri ospedalieri per riacutizzazione di BPCO (9). La

riacutizzazione della BPCO con presenza di multiple comorbilità (3+ malattie), può richiedere un

periodo prolungato di ospedalizzazione (10). Nella riacutizzazione le comorbilità cardiovascolari

sono importanti nel determinare la mortalità a breve e a lungo termine (11).

Malattie cardiovascolari

La comorbilità cardiovascolare nella BPCO è probabilmente la più frequente (12). E’ presente non

solo a causa dell’infiammazione sistemica (5), ma anche per il tabagismo e l'inquinamento

ambientale, che è un comune fattore di rischio. Circa un terzo dei pazienti con BPCO ha patologie

cardiache associate, in circa la metà dei casi una cardiopatia ischemica (13). Un aumento di

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mortalità è rilevabile nei pazienti con infarto miocardico acuto (IMA) (14). Anche nel caso di

rivascolarizzazione coronarica la presenza di BPCO determina un aumento della mortalità.

Nei soggetti con BPCO il rischio di aritmie è risultato aumentato del 76%, di infarto e angina

del 61%, di scompenso cardiaco (SC) di circa 4 volte e di embolia polmonare di oltre 5 volte.

Lo Scompenso Cardiaco (SC) è una comorbilità comune nella BPCO. Il rischio di sviluppare

uno SC è considerevolmente superiore nei soggetti con BPCO rispetto alla popolazione generale. La

stima della prevalenza della BPCO nello SC è determinata sia dalla popolazione che viene presa in

esaminata, sia dai criteri diagnostici che vengono utilizzati. La prevalenza di BPCO in pazienti con

scompenso cardiaco con riduzione della frazione di eiezione ventricolare sinistra è stata valutata

attorno al 39%. In circa il 30% dei soggetti anziani con BPCO stabile si è riscontrato SC (15). La

dispnea è un sintomo presente in entrambe le malattie e la diagnosi differenziale tra le due

condizioni può non essere semplice (2).

Il trattamento dello SC in un soggetto con BPCO si può basare sulle correnti indicazioni, che

prevedono come opzioni terapeutiche principali i diuretici, i beta-bloccanti, gli ACE-inibitori, i

sartani, antagonisti dell’aldosterone e la digitale.

Il trattamento con beta-bloccanti nella BPCO è consentito sia in presenza di cardiopatia

ischemica, sia di SC; viene consigliato l’utilizzo dei farmaci selettivi sui

recettori ß1: bisoprololo, metoprololo succinato, o nebivololo) (16).

Il trattamento farmacologico della BPCO in presenza di cardiopatia ischemica, SC,

fibrillazione atriale (FA) ed ipertensione arteriosa non prevede modificazione dei consigliati schemi

terapeutici. E’ indicata cautela nell’uso dei farmaci inalatori beta2-agonisti nell'angina instabile,

evitando le alte dosi. Teofillina e farmaci inalatori beta2-agonisti, possono rendere difficile il

controllo della risposta ventricolare, si consiglia pertanto attenzione nell’utilizzo di alte dosi di

beta2-agonisti nei casi di BPCO con Fibrillazione Atriale.

L’ipertensione arteriosa in presenza di BPCO deve essere trattata in accordo con le attuali

indicazioni; non è richiesta una variazione della terapia per la BPCO.

Osteoporosi

Osteoporosi e osteopenia sono di comune osservazione nella BPCO (17). La gravità del deficit

funzionale respiratorio è correlato con la gravità dell’osteoporosi. La prevalenza della patologia

ossea è elevata anche nei maschi. Le fratture osteoporotiche possono causare molte complicanze nel

soggetto con BPCO, anche compromettendo la funzione ventilatoria. Le fratture dell'anca, vertebre

e avambraccio sono le più comuni fratture nei pazienti con osteoporosi. Spesso l’osteoporosi è

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associata con una diminuzione dell’indice di massa corporea e con una bassa massa magra.

L’osteoporosi in corso di BPCO deve essere trattata in accordo con le attuali indicazioni (18).

L’uso di corticosteroidi per via sistemica per periodi prolungati determina osteoporosi. Il loro

ripetuto uso in corso di riacutizzazione della BPCO dovrebbe, se possibile, essere evitato. Alte dosi

di corticosteroidi per via inalatoria sembrano aumentare la perdita di massa ossea, ma l'entità di

questo effetto è ancora discusso, perché è difficile distinguere tra l'effetto della dose del tipo di

corticosteroide inalatorio utilizzato ed altri fattori di rischio. Nella BPCO occorre bilanciare

attentamente i rischi a lungo termine di corticosteroidi per via inalatoria contro i loro benefici (19).

Alterazioni del muscolo scheletrico

L’insufficienza respiratoria, l’inattività fisica, un’inadeguata nutrizione e l’infiammazione cronica

possono determinare nella BPCO una concomitante disfunzione muscolare (20). Tale condizione

può essere aggravata dall’invecchiamento, dagli steroidi e da comorbilità come lo scompenso

cardiaco. Anche la sedentarietà determina la riduzione della massa muscolare. In queste condizioni

cliniche trova indicazione la riabilitazione respiratoria (21).

Depressione e ansia

Le stime della prevalenza di ansia e depressione nella BPCO sono ampiamente variabili, ma

generalmente risultano superiori a quelle riportate in altre malattie croniche in fase avanzata (22).

La depressione complica la BPCO non solo in fase avanzata. La riabilitazione respiratoria può

determinare un miglioramento sia dell’ansia, sia dei sintomi depressivi. Occasionalmente può essere

necessaria una terapia farmacologica: gli antidepressivi intervengono nella percezione di sintomi

(dispnea) e possono migliorare la qualità della vita.

Cancro polmonare

L’insorgenza del cancro del polmone è aumentata nella BPCO, sia nei soggetti fumatori, sia nei non

fumatori (23). Nella BPCO il rischio di contrarre il cancro del polmone può essere ridotto solo con

la cessazione completa dell’abitudine tabagica.

La US Preventive Services Task Force (USPSTF) raccomanda lo screening annuale con low

dose computerized tomography (LDCT) negli adulti di età compresa tra i 55 e gli 80 anni con una

storia di fumo di almeno 30 pacchetti-anno e che continuano a fumare, o hanno smesso da meno di

15 anni. In Italia non esistono indicazioni ufficiali per la diagnosi precoce del tumore polmonare

con la tomografia computerizzata.

Diabete e sindrome metabolica

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60

Il diabete mellito e la sindrome metabolica sono comorbilità comuni della BPCO (24). E’ stato

segnalato un modesto aumento del rischio di sviluppare diabete e di progressione della malattia con

l'uso di corticosteroidi inalatori. Questo rischio risulta più pronunciato con i dosaggi elevati. La

prescrizione dei corticosteroidi inalatori ad alte dosi deve attenersi alle specifiche indicazioni.

Sindrome delle apnee nel sonno

Si stima che nel 10% dei casi di BPCO siano presenti apnee ostruttive nel sonno (overlap

syndrome). Tra le due malattie non vi è rapporto causale ma di semplice coesistenza, visto il loro

forte impatto epidemiologico.

La presenza di una sindrome delle apnee del sonno aggrava l’insufficienza respiratoria sia

notturna che diurna del paziente con BPCO, nonché la frequenza e gravità dell’ipertensione

polmonare.

La frequenza di gravi riacutizzazioni e la mortalità dei pazienti con sindrome da overlap, a

parità di età e funzione polmonare, è maggiore rispetto ai pazienti con sola BPCO. Nei pazienti con

sindrome da overlap la terapia con CPAP migliora l’insufficienza respiratoria e diminuisce la

frequenza di riacutizzazioni e mortalità, soprattutto cardiovascolare.

Ipertensione arteriosa polmonare

Nei pazienti con BPCO grave e insufficienza respiratoria si può sviluppare ipertensione polmonare

secondaria dovuta in parte all’ipossia e in parte alla distruzione parenchimale.

Particolare attenzione va prestata a valori di ipertensione polmonare apparentemente “out of

proportion” rispetto al quadro clinico funzionale complessivo.

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INSUFFICIENZA RESPIRATORIA

Definizione e fisiopatologia

L’insufficienza respiratoria è definita da una alterazione degli scambi gassosi che causa una

disfunzione dell’ossigenazione, dell’eliminazione dell’anidride carbonica o di entrambi i processi

(1).

L’insufficienza respiratoria viene definita in base ad una pressione arteriosa di ossigeno

(PaO2) inferiore a 60 mmHg (PaO2/FiO2 < 300 mmHg) e/o una pressione arteriosa di anidride

carbonica (PaCO2) superiore a 45 mmHg.

Da un punto di vista fisiopatologico il sistema respiratorio è costituito da due principali

componenti: il polmone, organo scambiatore di gas e la pompa ventilatoria. Si distinguono pertanto

(2):

1. insufficienza (polmonare) respiratoria ipossiemica, causata da un deficit degli scambi

gassosi e caratterizzata da ipossiemia, associata a livelli normali o ridotti di PaCO2 (in

conseguenza di un aumento compensatorio della ventilazione)

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2. insufficienza (ventilatoria) respiratoria ipercapnica, causata da un deficit di pompa

ventilatoria e caratterizzata da un aumento di PaCO2; nella BPCO può essere determinata

da alterazioni meccaniche conseguenti all’iperinflazione alveolare.

3. insufficienza respiratoria caratterizzata da ipossiemia ed ipercapnia, associata ad acidosi

respiratoria (pH<7,36) nella fase acuta e ad acidosi respiratoria compensata (HCO3-

>26mol/L) nella fase cronica.

Nella BPCO l’insufficienza respiratoria può manifestarsi in forma acuta, in forma cronica o in

forma acuta su cronica. La disomogeneità della distribuzione del rapporto ventilazione/perfusione e

l’iperinsufflazione polmonare rappresentano il principale fattore nella patogenesi dell’insufficienza

respiratoria, associandosi ad una riduzione dell’efficienza muscolare diaframmatica e all’incremento

della spesa energetica per la respirazione3. In altre parole, l’iperinsufflazione polmonare causa un

aumento del lavoro respiratorio ed una riduzione della capacità di generare pressione dei muscoli

inspiratori. In queste condizioni si crea una situazione di rischio di “fatica” dei muscoli inspiratori e

la ventilazione diventa più frequente e si riduce il volume corrente: rapid shallow breathing.

L’aumento del rapporto VD/VT nell’equazione: PaCO2 = K V’CO2/V’E x (1 - VD/VT).

Nella BPCO grave con marcata riduzione della riserva funzionale, l’insufficienza respiratoria

acuta può peggiorare la preesistente insufficienza respiratoria cronica. Ciò può avvenire quando una

riacutizzazione di malattia determini un addizionale carico per il sistema respiratorio e la

preesistente compromissione ventilatoria venga aggravata dall’iperinsufflazione alveolare

conseguente ad intrappolamento aereo (3).

Trattamento

1- Ossigenoterapia

Indicazioni

La necessità di avvio di ossigenoterapia dovrebbe essere valutata nei pazienti che presentino le

seguenti caratteristiche (4):

- severa broncoostruzione (FEV1< 30%)

- cianosi

- policitemia

- edemi periferici

- turgore giugulare

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- saturazione ossiemoglobinica ≤ 92% in aria ambiente

Ossigenoterapia a lungo termine

Indicazioni (4,5,7,8)

- Pazienti con BPCO stabile e PaO2 < 55 mmHg

- Pazienti con BPCO stabile e PaO2 < 60 mmHg ed almeno uno dei seguenti fattori:

o in presenza di segni di scompenso

cardiaco (edemi bilaterali)

o ipertensione polmonare

o policitemia secondaria

(ematocrito > 56%)

o ipossiemia notturna (saturazione ossiemoglobinica < 90% per una durata >

del 30% del tempo di registrazione)

o cardiopatia ischemica (5)

o peggioramento dello stato

mentale da sofferenza ipossica tissutale (5)

Modalità attuative

- almeno 15 ore al giorno (6); studi in letteratura hanno dimostrato come i benefici

dell’ossigenoterapia siano dose dipendente: maggiore è la durata giornaliera del trattamento,

maggiore risulta l’efficacia in termini di miglioramento della sopravvivenza (8).

- supplementazione adeguata per consentire una saturazione ossiemoglobinica ≥90%

(4,9,10) (88-92% in corso di riacutizzazione (11)).

Valutazione iniziale e monitoraggio

- La valutazione del Paziente per l’avvio all’ossigenoterapia si basa sull’emogasanalisi

arteriosa, con almeno due rilevazioni a distanza di almeno 3 settimane, in corso di malattia

stabile in trattamento farmacologico ottimale (4).

- A seguito dell’attivazione dell’ossigenoterapia continuativa, è necessaria una

rivalutazione con emogasanalisi arteriosa a 30-90 giorni (5,6).

- La rivalutazione dei Pazienti in ossigenoterapia domiciliare dovrebbe avvenire

almeno una volta l’anno da parte di personale medico esperto nella gestione dell’ossigenoterapia

(4).

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Osservazioni

La pulsossimetria può essere utilizzata per il monitoraggio del paziente con insufficienza

respiratoria come surrogato dell’emogasanalisi arteriosa. Considerando la relazione tra la

saturazione ossiemoglobinica e la pressione arteriosa di ossigeno, una PaO2 inferiore a 55 mmHg

approssimativamente corrisponde ad una saturazione ossiemoglobinica circa pari a 88% (5).

Ossigenoterapia notturna

Indicazioni

- Saturazione ossiemoglobinica (SpO2) < 90% per almeno il 30% del tempo di

registrazione nel corso di un monitoraggio notturno della durata di almeno 6 ore (5)

associata a:

- significativo miglioramento dell’ipossiemia in corso di ossigenoterapia (SpO2 ≥ 90%

per > 80% del tempo della registrazione) (5).

Monitoraggio

Per verificare l’appropriatezza della prescrizione, l’adesione ai criteri prescrittivi va confermata con

ripetizione delle indagini sopra riportate a 90 giorni dalla prescrizione iniziale (5).

Osservazioni

Studi in letteratura non hanno evidenziato un miglioramento della sopravvivenza nei pazienti trattati

con ossigenoterapia per insufficienza notturna isolata. Attualmente non vi sono evidenze univoche

che supportino l’uso di ossigenoterapia nei pazienti con insufficienza respiratoria notturna isolata

(5).

Ossigenoterapia durante esercizio fisico

Indicazioni

- riscontro pulsossimetrico durante test del cammino in 6 minuti di desaturazione

ossiemoglobinica confermata da emogasanalisi arteriosa con PaO2 < 55 mmHg (5), e

- supplementazione di ossigeno durante test del cammino che innalzi stabilmente la

SpO2 al di sopra del 90% (5).

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Monitoraggio

Per verificare l’appropriatezza della prescrizione, l’adesione ai criteri prescrittivi va confermata con

ripetizione delle indagini sopra riportate a 90 giorni dalla prescrizione iniziale (5).

Osservazioni

L’ossigenoterapia a lungo termine anche con erogatore portatile (stroller) dovrebbe essere presa in

considerazione nei Pazienti con desaturazione durante esercizio fisico in cui sia stato documentato

un miglioramento della tolleranza all’esercizio o della dispnea e che presentino un’adeguata

motivazione all’assunzione dell’ossigenoterapia al di fuori del proprio domicilio (4,6).

2- Ventilazione meccanica

L’approccio ventilatorio garantisce un supporto meccanico allo scopo di incrementare la

ventilazione alveolare e/o ridurre il carico sui muscoli respiratori. In fase acuta la ventilazione

meccanica può essere somministrata per via invasiva, in reparto di terapia intensiva generale o

respiratoria, oppure per via non invasiva a pressione positiva (NIMV); viene talora indicata per il

trattamento domiciliare a lungo termine. Molteplici sono le interfacce per la somministrazione della

ventilazione meccanica. E’ preferibile un sistema combinato per consentire un maggiore comfort ed

aumentare la compliance (13).

Ventilazione meccanica non invasiva nell’insufficienza respiratoria acuta

Indicazioni

- insufficienza respiratoria di II tipo con pH inferiore a 7.35 (e tendenzialmente

maggiore di 7.25) in presenza di PaCO2 > 45 mmHg (2).

- trattamento di scelta nell’insufficienza respiratoria ipercapnica persistente in corso di

riacutizzazioni di BPCO, non responsiva alla terapia farmacologica massimale (4).

- è suggerita fortemente nei Pazienti che abbiano manifestato la volontà a non essere

intubati (5).

Alcuni criteri possono offrire ulteriori indicazioni circa la definizione dei pazienti eligibili a

ventilazione meccanica non invasiva, sulla base della potenziale efficacia, come riportato nella

tabella sottostante (Tabella 1) (5,6,9).

Tab.1 CRITERI ORIENTATIVI NELLA SELEZIONE DEI PAZIENTI PER VENTILAZIONE MECCANICA

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NON INVASIVA criteri orientativi per efficacia criteri orientativi per mancanza di efficacia segni di distress respiratorio riacutizzazioni lievi frequenza respiratoria > 25 atti/min uso della muscolatura respiratoria accessoria

pH > 7.35 lieve distress respiratorio

segni di acidosi respiratoria riacutizzazioni gravi pH < 7.35 PaCO2 > 45 mmHg

pH< 7.20 sonnolenza mancata risposta a NIMV frequenza respiratoria invariata o aumentata pH invariato o peggiorato eccessivo ingombro secretivo

Controindicazioni relative ed assolute alla ventiloterapia non invasiva

Esistono controindicazioni assolute e relative alla ventiloterapia meccanica, come schematizzate

nella tabella sottostante (Tabella 2) (2).

Tab.2 CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE E RELATIVE ALLA VENTILAZIONE MECCANICA (2) nell’insufficienza respiratoria acuta nell’insufficienza respiratoria cronica

instabilità emodinamica ed arresto cardiaco non motivazione o scarsa aderenza alla terapia

arresto respiratorio evidente o imminente intolleranza alla maschera (claustrofobia/dimorfismi faciali)

gravi alterazioni dello stato di coscienza ingombro secretivo importante e/o rischio di inalazione

stato di agitazione psicomotoria non controllata gravi comorbilità

sanguinamento gastrointestinale massivo motivazioni etiche

ostruzione delle vie aeree superiori grave compromissione cognitiva (demenza)

trauma o chirurgia faciale mancata evidenza di efficacia oggettiva/soggettiva

significativo rischio di inalazione o ingombro secretivo

Modalità attuative

- La ventilazione meccanica non invasiva deve essere somministrata in un contesto

sanitario adeguato che consenta uno stretto monitoraggio cardiorespiratorio ed un rapido

accesso alla terapia intensiva (4,5).

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- Deve essere previsto un attento e definito percorso terapeutico da attuare in caso di

peggioramento e/o assente risposta terapeutica (4).

- Varie sono le modalità di erogazione delle pressioni positive in corso di ventilazione

meccanica non invasiva. La combinazione pressione positiva di fine espirio (es. 4-8 cmH2O)

combinata con pressione di supporto (es 10-15 cmH20) si è rivelata essere una modalità

particolarmente efficace e ben tollerata (6).

- In caso di pH < 7.25 la ventilazione meccanica non invasiva dovrebbe essere

somministrata in ambiente di Terapia Intensiva con eventuale pronta disponibilità di

intubazione (6).

Benefici

- La mortalità ad un anno nei pazienti trattati con NIMV in corso di riacutizzazione si

è rivelata essere inferiore rispetto a pazienti trattati con sola terapia farmacologica o con

ventilazione meccanica invasiva (6).

- In letteratura numerosi lavori hanno dimostrato che il potenziamento dell’usuale

approccio di cura mediante ventilazione meccanica non invasiva ha determinato una riduzione

della mortalità e della necessità di intubazione (14-17).

- La ventilazione meccanica non invasiva offre significativi vantaggi rispetto alla

tecnica invasiva, eludendo numerose gravi complicazioni che possono verificarsi in seguito ad

intubazione o a confezionamento di tracheotomia. Tali complicazioni includono la possibilità di

danni polmonari da baro o volutrauma e l’incremento di infezioni respiratorie associate a

ventilazione (18).

La ventilazione meccanica non invasiva dovrebbe essere interrotta per avviare ventilazione

meccanica invasiva in caso di:

- mancata efficacia:

o peggioramento della PaCO2 o del pH nelle 2 ore successive all’avvio di

NIMV

o mancato miglioramento della PaCO2 o del pH nelle 4 ore successive all’avvio

di NIMV

- grave acidosi (pH < 7.25 e PaCO2 < 60 mmHg)

- ipossiemia grave (rapporto PaO2/FiO2 < 200 mmHg)

- tachipnea (FR > 35 atti/min) (6).

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Predittori di efficacia nella ventilazione meccanica non invasiva

La risposta alla ventilazione meccanica non invasiva in corso di riacutizzazione di BPCO non

sempre risulta adeguata. La grave acidosi respiratoria è uno dei principali predittori di fallimento

terapeutico della ventilazione meccanica non invasiva (19) costituendo un fattore prognostico

negativo per mortalità di per sé (19,20). Il risultato più favorevole della ventilazione meccanica non

invasiva in corso di riacutizzazione evidenzia quando la ventilazione venga applicata in fase

precoce, in Pazienti con moderata acidosi respiratoria (pH 7.25-7.35) (2). La presenza di

comorbilità incrementa il rischio di fallimento della ventilazione meccanica non invasiva (21) come

pure altri fattori (Tabella 3).

Tab.3 PRINCIPALI FATTORI PREDITTIVI DI EFFICACIA DELLA VENTILAZIONE MECCANICA NON INVASIVA NELL’INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA IPERCAPNICA (2,22) Predittori di efficacia Predittori di fallimento pH 7.25-7.35 con PaCO2 > 45 mmHg pH < 7.25 GCS > 14 GCS ≤ 11 APACHE – II score < 29 APACHE – II score > 29 frequenza respiratoria 24-30 atti/min frequenza respiratoria > 30 atti/min risposta alla NIMV entro 1-2 ore gravi comorbilità staff con esperienza/familiarità per NIMV gravi perdite d’aria dall’interfaccia protocollo standardizzato di trattamento con NIMV asincronia paziente-ventilatore

trigger inefficace agitazione/intolleranza encefalopatia incapacità a drenare le secrezioni

Ventilazione meccanica domiciliare a lungo termine nell’insufficienza respiratoria cronica

Indicazioni

In accordo con la recente letteratura, un persistente incremento diurno della PaCO2 viene

riconosciuto come indicatore per avviare la ventilazione meccanica domiciliare (10). Si noti che

tuttora non esiste concordanza sui livelli soglia di ipercapnia per avviare la ventilazione meccanica.

Una Consensus Conference del 1999 suggeriva l’avvio di ventilazione meccanica quando, in fase di

stabilità, nonostante ottimizzazione terapeutica ed eventuale supplementazione di ossigeno,

persistessero livelli di PaCO2 superiori a 55 mmHg. Parimenti viene consigliata ventilazione

meccanica in caso di minori livelli di ipercapnia (50-54) in presenza di ipoventilazione notturna

(Tabella 4).

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Tab.4 INDICAZIONI ALL’AVVIO DI VENTILOTERAPIA NON INVASIVA DOMICILIARE NELLA BPCO (2) secondo linee guida del Consensus Conference Report 1999 sintomi clinici (dispnea, cefalea mattutina, sonnolenza diurna) dopo ottimizzazione terapeutica, incluso ossigenoterapia E PaCO2 ≥ 55 mmHg O PaCO2 50-54 mmHg + desaturazione notturna < 88% ≥ 5 min nonostante OTLT ≥ 2 L/min oppure ≥ 2 ospedalizzazioni in un anno per insufficienza respiratoria acuta In base a studi osservazionali ventilazione meccanica prolungata in fase acuta (23) riacutizzazioni a rischio fatale (24) alto rischio di morte, sulla base di fattori di rischio noti (12)

Benefici

- Nella BPCO grave la ventilazione meccanica domiciliare è in grado di influenzare

positivamente il pattern ventilatorio, riducendo il lavoro respiratorio e migliorando la riserva

funzionale (25).

- L’uso di ventilazione meccanica domiciliare può costituire un importante strumento

nel fronteggiare tempestivamente gli episodi di insufficienza respiratoria acuta su cronica.

- L’utilizzo continuativo di ventilazione meccanica non invasiva domiciliare si è

rivelato associarsi ad una miglior sopravvivenza a seguito di difficoltoso e prolungato

svezzamento dalla ventilazione meccanica invasiva, indipendentemente dall’età del Paziente e

dalla durata del ricovero (4,23).

- La ventilazione meccanica non invasiva domiciliare si è dimostrata efficace nella

gestione dei Pazienti con BPCO con insufficienza respiratoria cronica quando introdotta durante

le ore notturne rispetto alla sola ossigenoterapia, determinando un miglioramento della dispnea

e della qualità di vita (26).

In conclusione, le indicazioni all’utilizzo di ventilazione meccanica domiciliare dovrebbero

essere orientate su un’analisi dei fattori di rischio individuali in ogni singolo paziente (2).

Osservazioni

Dal punto di vista economico, un recente studio osservazionale italiano ha riscontrato come la

gestione a lungo termine del paziente con BPCO grave ed insufficienza respiratoria cronica con

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ventilazione meccanica non invasiva non ha determinato un incremento della spesa sanitaria

confrontato con il trattamento con sola ossigenoterapia (27).

In sintesi, il ricorso a NIMV domiciliare non è al momento raccomandabile come

trattamento di routine nella BPCO grave in fase stabile, ma è piuttosto proponibile in pazienti

altamente selezionati con ipercapnia diurna stabile e frequenti riacutizzazioni e ammissioni in UTI

(28).

Conclusioni

- L’insufficienza respiratoria rappresenta per il Paziente con BPCO una condizione

correlata a grave peggioramento delle condizioni cliniche e della prognosi, nonché ad un

incremento significativo della spesa sanitaria.

- Nelle riacutizzazioni gravi di BPCO con insufficienza respiratoria acuta, la

supplementazione di ossigeno è un approccio ragionevole ed efficace per migliorare i sintomi,

contrastare l’ipossiemia e ridurre il lavoro respiratorio. In presenza di ipercapnia, la ventilazione

meccanica è altamente raccomandata, in particolare nei Pazienti con acidosi respiratoria

moderata.

- Nella BPCO con persistente, stabile ipossiemia, l’ossigenoterapia a lungo termine è

fortemente indicata per migliorare i parametri emodinamici, la prognosi a lungo termine e la

qualità di vita correlata allo stato di salute.

- Nella BPCO con acidosi respiratoria cronica il ruolo della ventilazione meccanica

domiciliare non è univocamente definito, pur essendo disponibili dati a favore di una

regressione dell’ipercapnia e del miglioramento della dispnea e della qualità di vita.

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