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ROMA. SULLE ORME DI CARAVAGGIO 31 marzo – 19 giugno 2011 UN PERCORSO ATTRAVERSO IL CENTRO STORICO PER RIVIVERE LE VICENDE UMANE E ARTISTICHE DI CARAVAGGIO A ROMA Inizio percorso : S. Ivo alla Sapienza, corso Rinascimento 40 PRIMA TAPPA / I COMMITTENTI PIAZZA MADAMA Vita violenta: i nemici e le aggressioni Affaccio -> PIAZZA NAVONA SECONDA TAPPA / LE GRANDI OPERE PIAZZA SAN LUIGI DEI FRANCESI Cappella Contarelli e il Ciclo Di San Matteo TERZA TAPPA / LE GRANDI OPERE PIAZZA SANT’AGOSTINO E LA MADONNA DEI PELLEGRINI QUARTA TAPPA / L’APPRENDISTATO A ROMA VIA DELLA SCROFA Bottega del garzone barbiere Pietro Paolo, del sellaio, del pasticciere, del pellaio Sinibaldi, stufa di Sant’Agostino, bottega di Lorenzo Carli. QUINTA TAPPA / GLI AMORI SANTI AMBROGIO E CARLO AL CORSO – ZONA DETTA “ALLI PANTANI” Casa di Maddalena Antognetti detta Lena “Donna del Caravaggio” SESTA TAPPA/ I NEMICI E LE AGGRESSIONI PIAZZA DI SAN LORENZO IN LUCINA Apprendistato a Roma Sosta -> PIAZZA DELLA TORRETTA SETTIMA TAPPA / VITA QUOTIDIANA VICOLO DIVINO AMORE L’uccisone di Ranuccio Tomassoni Sosta -> PIAZZA FIRENZE Vita violenta: i nemici e le aggressioni Sosta -> VIA DELLA MADDALENA Vita violenta: i nemici e le aggressioni Sosta -> PIAZZA DELLA MINERVA Vita violenta: il processo i nemici e le aggressioni Sosta -> CHIESA DEL GESÙ Fine percorso : palazzo Venezia, via del Plebiscito 1

Percorso. Roma sulle orme di Caravaggio

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Page 1: Percorso. Roma sulle orme di Caravaggio

ROMA. SULLE ORME DI CARAVAGGIO 31 marzo – 19 giugno 2011 

UN PERCORSO ATTRAVERSO IL CENTRO STORICO  PER RIVIVERE LE VICENDE UMANE E ARTISTICHE DI CARAVAGGIO A ROMA  

  

Inizio percorso: S. Ivo alla Sapienza, corso Rinascimento 40  

PRIMA TAPPA / I COMMITTENTI PIAZZA MADAMA 

 

Vita violenta: i nemici e le aggressioni Affaccio -> PIAZZA NAVONA

 SECONDA TAPPA / LE GRANDI OPERE PIAZZA SAN LUIGI DEI FRANCESI Cappella Contarelli e il Ciclo Di San Matteo 

 TERZA TAPPA / LE GRANDI OPERE 

PIAZZA SANT’AGOSTINO E LA MADONNA DEI PELLEGRINI  

 QUARTA TAPPA / L’APPRENDISTATO A ROMA 

VIA DELLA SCROFA Bottega del garzone barbiere Pietro Paolo, del sellaio, del pasticciere, del pellaio Sinibaldi, stufa di Sant’Agostino, bottega di Lorenzo Carli. 

 QUINTA TAPPA / GLI AMORI 

SANTI AMBROGIO E CARLO AL CORSO – ZONA DETTA “ALLI PANTANI” Casa di Maddalena Antognetti ‐ detta Lena ‐ “Donna del Caravaggio” 

SESTA  TAPPA/ I NEMICI E LE AGGRESSIONI PIAZZA DI SAN LORENZO IN LUCINA 

 Apprendistato a Roma

Sosta -> PIAZZA DELLA TORRETTA   

SETTIMA TAPPA / VITA QUOTIDIANA VICOLO DIVINO AMORE 

L’uccisone di Ranuccio Tomassoni

Sosta -> PIAZZA FIRENZE

Vita violenta: i nemici e le aggressioni Sosta -> VIA DELLA MADDALENA

Vita violenta: i nemici e le aggressioni

Sosta -> PIAZZA DELLA MINERVA

Vita violenta: il processo i nemici e le aggressioni Sosta -> CHIESA DEL GESÙ

 

Fine percorso: palazzo Venezia, via del Plebiscito 

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 I GRANDI TEMI DEL PERCORSO 

 

I COMMITTENTI • Piazza Madama “dimora del Caradinal del Monte” (prima tappa) 

Vicolo del Salvatore – via Della Dogana Vecchia   

LE GRANDI OPERE • Piazza San Luigi dei Francesi (seconda tappa) 

• Piazza Sant’Agostino (quarta tappa)  

APPRENDISTATO A ROMA • Via della Scrofa  “bottega Lorenzo Carli  e Antiveduto Gramatica” (terza tappa) 

Piazza della Torretta “bottega del Cavalier d’Arpino”  

VITA VIOLENTA: I NEMICI E LE AGGRESSIONI • Piazza di San Lorenzo in Lucina  (sesta tappa) 

Piazza Firenze “l’uccisione di Ranuccio Tomassoni” Via della Maddalena Piazza della Minerva 

Chiesa del Gesù  

VITA QUOTIDIANA Via della Lupa, 10 “Osteria della Lupa” 

• Vicolo Divino Amore, 19, casa di abitazione e bottega (settima tappa)   

GLI AMORI • Santi Ambrogio e Carlo al Corso (quinta tappa) 

 

 

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Page 3: Percorso. Roma sulle orme di Caravaggio

Inizio percorso: S. Ivo alla Sapienza, corso Rinascimento 40    I committenti 1. PIAZZA MADAMA   Il potente  cardinale Francesco Maria Del Monte  accolse Caravaggio nella  sua dimora  a palazzo Madama,  attuale  sede  del  Senato,  dove  il  pittore  si  fermò  dall’estate  del  1597  al  1600  circa.  Il palazzo, denominato “Madama” perché vi abitò per molti anni Margherita d’Austria, vedova di Alessandro  de Medici,  tornò  dal  1586  fra  le  proprietà  della  famiglia Medici  che  lo  destinò  a residenza romana degli ospiti e alti prelati della casa, fra i quali il cardinal Del Monte. Da sempre legato  a  Ferdinando  de’ Medici, Del Monte  era  impegnato  a  curare  presso  la  curia  romana  la politica medicea  coltivando,  contemporaneamente, anche  la  sua passione per  le arti. Noto  come collezionista  e mecenate  d’artisti,  il  cardinale  aveva  ammirato  e  probabilmente  acquistato  dal mercante d’arte Costantino Spata, che aveva bottega nella vicina piazza S. Luigi dei Francesi,  due opere  di  Caravaggio:  I  bari,  oggi  a  Forth Worth,  e  La  buona  ventura  dei Musei  Capitolini. Nel palazzo di Del Monte Caravaggio assapora finalmente un periodo di tranquillità dopo le difficoltà finanziarie  dei    primi  anni  romani  descritte  dai  biografi  secenteschi  e  ha modo  di  entrare  in contatto con gli  intellettuali e  i mecenati più  illustri, come  il potente cardinale Alessandro Peretti Montalto, nipote di Sisto V, il cardinale Federico Borromeo,  Vincenzo e Benedetto Giustianiani, il banchiere  ligure Ottavio Costa,  nonché  le  famiglie Aldobrandini, Mattei,  o Crescenzi,  solo  per citarne alcune. Riflesso della vita colta che circonda Caravaggio sono le tele a soggetto musicale che rispecchiano gli  interessi per musica  e  canto del  cardinale Del Monte;  fra  queste  I musici  oggi  a New York, dipinto espressamente per il porporato, e il Suonatore di liuto, di cui furono eseguite due versioni, una per Del Monte e una per Giustiniani (conservate rispettivamente al Metropolitan di New York e  all’Hermitage  di  San  Pietroburgo).  All’epoca  della  sua  permanenza  in  casa  Del  Monte, Caravaggio  dovette  eseguire  anche  il  San  Francesco  riceve  le  stimmate  acquistato  dal  banchiere Ottavio Costa  nonché  il  Bacco  degli Uffizi  ed  ebbe modo  di  cimentarsi  nella  pittura  su  parete, l’unico  caso conosciuto della  sua carriera:  si  tratta della  raffigurazione ad olio  su muro di Giove Nettuno Plutone nella stanza dedicata all’alchimia del Casino Ludovisi, a quel tempo proprietà del cardinale Del Monte. Agli anni conclusivi del secolo possono riferirsi altre due opere che riflettono il  contatto  con  un  ambiente  ricco  di  sollecitazioni,  ovvero  la  Medusa  e  la  Canestra:  la  prima destinata  dal  cardinale  al Granduca  di  Toscana  e  oggi  agli Uffizi  e  la  seconda  per  il  cardinale Federico Borromeo, conservata nella pinacoteca Ambrosiana. Ancora per Del Monte Caravaggio dipinse,  tra  il 1598 e  il 1600, un capolavoro assoluto  in cui  raggiunge  il vertice della sua pittura giovanile:  la  Santa  Caterina  d’Alessandria  oggi  a  Madrid,  alla  quale  si  accostano  per  ragioni stilistiche  la Marta  e Maddalena di Detroit,  che una parte della  critica  individua  in  collezione di Olimpia Aldobrandini  fin dal 1606, e la Giuditta e Oloferne Barberini per Ottavio Costa.  E’  nell’ambito  di  fine  secolo,  fra  luoghi  familiari  al  pittore  concentrati  intorno  al  palazzo  del cardinale  Del  Monte,  quello  della  famiglia  Crescenzi  nei  dintorni  del  Pantheon  e  il  palazzo Giustiniani di fronte alla chiesa di San Luigi dei Francesi, che prende corpo la prima commissione pubblica. Forse grazie allo stesso Del Monte, Caravaggio nel 1599 ottenne il contratto per dipingere i  quadri  laterali della  cappella Contarelli  in  San Luigi dei  Francesi  raffiguranti  la Vocazione  e  il Martirio di  San Matteo; poco dopo, nel  1602  il pittore  realizzerà  anche  la pala d’altare  con  San Matteo e l’Angelo.     

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Vita violenta: i nemici e le aggressioni → Affaccio su PIAZZA NAVONA   Ai margini  del mondo  artistico  ufficiale  e  dei  palazzi  cardinalizi,  innumerevoli  pittori vivevano  senza  protezione  dipendendo  dai mercanti  che  rivendevano  le  loro merci  in piccole botteghe nei rioni Parione e Campo Marzio, o sui banchi di Piazza Navona.  Ed è proprio qui, in uno dei mercati più floridi dell’Urbe, che vivono ed operano alcuni dei personaggi, fra artigiani, artisti e committenti, legati a Caravaggio. Fra questi c’è Ottaviano Gabrielli,  libraio  e  amico  del  pittore  che  nella  piazza  gestisce  la  propria  attività  e probabilmente, nel 1605, ospita la cortigiana Maddalena Antognetti, detta Lena, amante di Caravaggio,  per  darle  protezione.  E’  forse  lo  stesso  Caravaggio  a  chiedere  il  favore all’amico,  a  seguito  di  un  litigio  avvenuto  qualche  giorno  prima  con  il  notaio Mariano Pasqualoni. Il 29 luglio, infatti, il giovane notaio denuncia di essere stato assalito alle spalle e colpito in testa con una spada; pur non avendo visto l’aggressore egli è convinto si tratti di Caravaggio, probabilmente  già  ai  ferri  corti  con  lui  a  causa della  cortigiana Lena. La donna, probabilmente modella della Madonna dei Pellegrini e della Madonna dei Palafrenieri, aveva  rifiutato  la proposta di matrimonio del notaio e  lo aveva  reso oggetto di scherni e diffamazioni. A seguito di una querela, il tribunale aveva vietato la frequentazione fra Lena e  Caravaggio  ed  è  possibile  che  l’ordine  sia  stato  recapitato  al  Merisi  proprio  dal Pasqualone, impiegato presso uno degli uffici legali del cardinale vicario di Roma. Dopo il reato, Caravaggio fugge e si trattiene qualche giorno a Genova, prima di rientrare a Roma e stipulare con  il  funzionario una pace  firmata nel Palazzo del Quirinale dei Borghese  il 26 agosto 1605.  Aggressivo e spavaldo Caravaggio è spesso coinvolto in risse o arresti, come quello  avvenuto  nella  notte  del  3 maggio  1598.  In  quell’occasione  il  pittore  è  arrestato vicinissimo a casa Del Monte, tra Piazza Navona e Piazza Madama, per detenzione abusiva di armi (una spada e due compassi), e portato in carcere a Tor di Nona dove passa la notte. Interrogato dal magistrato il giorno dopo, dichiara di essere pittore del cardinal del Monte, di vivere  in casa  sua e di essere  iscritto nella  lista dei  suoi  familiari,  cosa che  lo avrebbe esentato dal divieto di portare armi in strada. È questa la prova del buon livello sociale ed economico  raggiunto  allora  dall’artista,  che  purtroppo  le  intemperanze  del  suo  difficile carattere non gli avrebbero consentito di mantenere a lungo.  Qualche  anno  dopo,  l’11  di  settembre  1603,  Caravaggio  è  arrestato  di  nuovo  in  Piazza Navona dopo  la denuncia del pittore Giovanni Baglione. La denuncia diede  inizio ad un famoso  processo  che  vide  imputati    l’architetto Onorio  Longhi  e  i  pittori Michelangelo Merisi da Caravaggio, Orazio Gentileschi, e Filippo Trisegni, di aver diffuso versi offensivi contro la sua persona. Alla base della diffamazione, sostiene il Baglione, ci sarebbe l’invidia suscitata dallo scoprimento dell’enorme tela con  la Resurrezione,   realizzata dall’artista per la Chiesa del   Gesù.  Interrogato, Caravaggio dichiara di non conoscere  la causa della sua incarcerazione,  si  dice  del  tutto  estraneo  alla  vicenda  delle  poesie  infamanti  e  risponde puntualmente alle domande che gli sono poste relative alla sua professione e allʹambiente artistico da lui frequentato. Quanto alla Resurrezione del Baglione, Caravaggio afferma che “Quella pittura della resurrettione lì al Giesù a me non me piace perché è goffa et l’ho per la peggio che habbia fatta, et detta pittura  io non  l’ho  intesa  lodare da nessun pittore et con quanti pittori  io  ho parlato  a  nessuno  ha piaciuto”. Nel  carcere di Tor di Nona  l’artista viene trattenuto per tutto il tempo del processo e liberato il 25 settembre 1603. 

     

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Le grandi opere 2. PIAZZA SAN LUIGI DEI FRANCESI  CAPPELLA CONTARELLI  E IL CICLO DI SAN MATTEO  Durante il XVI secolo la zona compresa tra la chiesa di Sant’Agostino e piazza S. Luigi dei Francesi fu oggetto di importanti trasformazioni che videro l’innalzamento o il consolidamento di imprese edilizie di notevole rilievo. Molti degli edifici che sorgevano nell’area fra piazza Navona e piazza della Rotonda, sui resti delle  terme neroniano‐alessandrine,  furono acquistati dai personaggi più facoltosi  e  importanti  della  corte  pontificia,  dai  Giustiniani  ai  Medici,  dai  Crescenzi  agli Aldobrandini,  che  li mutarono  in magnifici  palazzi  sul  finire  del  secolo.  Il  fulcro  delle  nuove costruzioni è l’edificazione della chiesa di S. Luigi dei Francesi (1519‐1589) costruita sulle rovine di antichissime chiesette e posta non lontano da palazzo Madama, residenza del cardinale Del Monte. La  facciata,  decorata  dall’architetto  Domenico  Fontana  su  progetto  di  Giacomo  della  Porta, abbelliva  lo  spiazzo  in  cui  terminava  via  della  Scrofa  e  rappresentava  il  segno  tangibile dell’alleanza fra la famiglia Medici e la nazione Francese a cui la chiesa appartiene tutt’ora.  Dopo dieci anni dalla sua  inaugurazione,  la chiesa veniva arricchita  internamente con  tre dipinti destinati alla cappella Contarelli  richiesti a Michelangelo Merisi da Caravaggio. La commissione, ottenuta probabilmente attraverso  l’aiuto del  cardinale Del Monte  rappresenta per Caravaggio  il debutto sulla scena artistica romana. Nel contratto firmato il  23 luglio 1599, lʹartista si impegna con la Congregazione della Chiesa, a realizzare entro l’anno, due grandi quadri raffiguranti Storie di San Matteo. La somma pattuita è notevole:  400 scudi complessivi, la stessa cifra offerta quasi due anni prima per lo stesso lavoro al Cavalier d’Arpino, un pittore, cioè, all’apice della sua fama. Il contratto viene rogato nel palazzo di Pietropaolo Crescenzi posto al Pantheon, poco lontano dalla chiesa di S. Luigi dei Francesi, da palazzo Giustiniani e da palazzo Madama. Caravaggio lavora inizialmente al Martirio  di  San Matteo  confrontandosi  per  la  prima  volta  con  una  composizione  su  larga  scala animata da un gran numero di figure, ma il risultato non dovette soddisfarlo troppo perchè ricoprì  la prima versione dipingendovi sopra la composizione definitiva che oggi è visibile nella cappella. Dipinta negli stessi mesi del Martirio, la Vocazione di San Matteo  appare nelle sue modalità esecutive molto  diversa  e  più matura,  segno  che  Caravaggio  è  ormai  consapevole  delle  sue  potenzialità espressive anche in dimensioni monumentali.  Qualche  anno  dopo,  il  7  febbraio  1602,  Caravaggio  firma  un  contratto  con  l’abate  Giacomo Crescenzi per l’esecuzione della pala raffigurante San Matteo con lʹangelo da collocarsi sopra lʹaltare della cappella Contarelli; la somma concordata è di 150 scudi. Questa prima versione (già a Berlino, poi distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale) non trova effettiva sistemazione nella cappella e viene acquistata dal marchese Vincenzo Giustiniani, che dell’artista è uno dei massimi collezionisti: nel  suo palazzo nei pressi di  San Luigi dei Francesi,  ora  sede del  Senato,  arriverà  a possederne quindici  opere.  Michelangelo  realizza  una  nuova  tela  nei  mesi  seguenti,  cui  si  riferisce probabilmente il saldo di 65 scudi da parte di Francesco Contarelli, datato 22 settembre 1602. L’area  di  San  Luigi  sancisce  per  certi  versi  la  consacrazione  pubblica  di  Caravaggio  ma curiosamente,  la stessa zona, aveva assistito anche al  tentativo del pittore di  imporsi sulla scena romana all’epoca del suo arrivo nell’Urbe: qui  infatti nell’isolato di  fronte all’angolo della chiesa nel 1597 aveva bottega Costantino Spata, rivenditore di quadri, “attaccato alla Madonella acanto a san  Luisci”  Secondo  le  fonti  secentesche  Spada  avrebbe  esposto  nel  proprio  negozio  alcune primissime  opere  di  Caravaggio,  subito  notate  dal  cardinal  Del Monte.  Sentito  dalle  autorità giudiziarie sul caso dei barbieri di SantʹAgostino, nel 1597, Costantino afferma di avere la bottega da quattro anni e di viverci sopra insieme alla moglie, Caterina Gori, e a quattro figli.      

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Le grandi opere 3. PIAZZA SANT’AGOSTINO E LA MADONNA DEI PELLEGRINI  Tra  i  luoghi  che  videro  protagonista  Caravaggio  durante  la  sua  parabola  romana,  l’Isola  di Sant’Agostino è quello che ne  rappresenta  lo snodo essenziale. La zona occupava una posizione strategica trovandosi a nord di piazza Navona, dove si svolgeva un vivace mercato settimanale, e a monte  del  Porto  di  Ripetta,  scalo  fluviale  delle  merci.  Oggetto  di  eccezionale  sviluppo  fin dall’inizio del Cinquecento, l’area aveva subito interventi di riqualificazione da parte dei pontefici Giulio  II  e  Leone  X  che  avevano  favorito  l’apertura  della  via  Leonina  (via  della  Scrofa)  con l’obiettivo  di  ripopolare  un’area  in  gran  parte  disabitata.  La  costruzione  del  nuovo  asse  viario assunse  l’aspetto  di  una  grande  operazione  immobiliare  poiché  tutte  le  aree  edificabili appartenenti  agli  agostiniani Osservanti di Lombardia  vennero  vendute  e  gli  acquirenti  furono prevalentemente architetti e muratori lombardi. La nuova via aveva lo scopo anche di collegare le chiese agostiniane di S. Maria del Popolo e S. Agostino e, più in generale, la zona nord di Roma. I lavori  contribuirono  a  trasformare  definitivamente  l’aspetto  dell’abitato,  in  gran  parte  ancora medievale,  in  una  struttura  moderna  e  funzionale  e  la  sistemazione  del  nuovo  asse  viario determinò la riconversione della zona, ora eletta luogo privilegiato da nobili e ricchi mercanti che qui sceglievano di edificare la propria residenza. Nella  chiesa  di  S. Agostino,  la  famiglia  del marchese  Ermete Cavalletti, morto  nel  1602,  aveva acquistato nel settembre del 1603 una cappella per ornarla, secondo le volontà del defunto, di un dipinto che onorasse la Madonna di Loreto, cui il loro congiunto era particolarmente devoto. Verso la fine dello stesso anno Caravaggio cominciò dunque a dipingere, per il primo altare sulla sinistra della chiesa, la famosa immagine della Madonna che con il Bambino in braccio si affaccia sull’uscio della porta della Santa Casa – che la tradizione vuole portata in volo dagli angeli da Nazareth per metterla al riparo dai pericoli della guerra, approdando a Loreto – e accoglie i due umili pellegrini. Il dipinto pone l’accento non tanto sulla casa, in cui si credeva la Vergine avesse vissuto,  quanto sul pellegrinaggio rappresentato dai due personaggi in primo piano. Devotamente inginocchiati e rappresentati realisticamente con i piedi scalzi e sporchi, i pellegrini accedono al ricompensa della visione  divina.  Il  quadro  non  venne  rifiutato,  anzi  probabilmente  ne  fu  apprezzato  lo  spirito pauperistico della scena, ma la scena dei pellegrini lasciò qualche perplessità e, a detta dei biografi, anche proteste da parte dei contemporanei.  L’apprendistato a Roma 4. VIA DELLA SCROFA   Posta  nel  Rione  Colonna,  a  confine  con  Campo Marzio,  la  contrada  della  Scrofa  si  articolava intorno all’omonima piazza, al centro del quale era posta una fontana pubblica decorata con una piccola  scrofa,  attualmente  murata  nel  fianco  del  convento  degli  agostiniani.  Dalla  piazza  si dipartivano  i  vicoli  diretti  verso  il  palazzo  dell’ambasciatore  fiorentino,  mentre  la  contrada raggiungeva gli  isolati  tra piazza Firenze, vicolo e piazza della Lupa e via dei Prefetti. La strada inoltre ospitava l’Osteria della Scrofa, ma non quella in cui si recarono Caravaggio e compagni la sera dell’8 luglio 1597 quando venne aggredito il musico Angelo Zanconi; l’osteria che li ospitò era quella della Lupa indicata però dai compagni con il toponimo “alla Scrofa”. A proposito della  sera dell’8  luglio, vale  la pena  soffermarsi  sui  fatti accaduti  in quanto  trattasi delle prime vicende giudiziarie note  in cui Caravaggio è coinvolto dopo  l’arrivo a Roma. Quella sera,  dunque,  il musico  Zanconi  è  aggredito mentre  stava  tornando  a  casa  in  via  Pozzo  delle Cornacchie,  vicino  a  S. Agostino,  e  nella  colluttazione  perde  il mantello. Nei  pressi  si  trovava Caravaggio, in compagnia del mercante Costantino Spata e dall’amico/pittore  Prospero Orsi, con i quali era stato a cena. I tre stavano tornando alle rispettive abitazioni verso S. Luigi dei Francesi e stando alle deposizioni, appena passata la chiesa di S. Trifone  sentirono dei rumori verso S. Luigi 

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e all’altezza delle  scale di S. Agostino  sentirono   un uomo che gridava correndo verso via della Scrofa.  Camminando  verso  S.  Luigi  davanti  alla  bottega  di  barbiere  “che  va  alla  rotonda” trovarono per terra un mantello, Caravaggio  lo raccolse e  lo consegnò a Pietropaolo, garzone del barbiere Marco.  Particolarmente  interessante è  la descrizione di Caravaggio fornita dai  testimoni  interrogati sulla vicenda: Luca, figlio del barbiere Marco, riferisce che “Questo pittore è un giovenaccio grande di vinti o vinticinque anni con poca di barba negra grassotto con ciglia grosse et occhio negro, che va vestito di negro non troppo bene in ordine che portava un paro di calzette negre un poco stracciate che porta li capelli grandi longhi dinanzi…”. Il garzone Pietropaolo  è ancora più preciso: “Questo Michelangelo pittore è di età di 28 anni incirca, di giusta statura più presto grande che altrimente grassotto, non molto biancho  in  faccia ne anco bruno, et ha un poco di barba negra ma poca, e veste di negro di mezza rascia negra non troppo bene in ordine et alle volte va bene in ordine alle volte no et porta un cappello di  feltro negro. Questo pittore che me dette  il  ferraiolo si dimanda Michelangelo,  che  al  parlare  tengo  sia milanese  […] mettete  lombardo,  per  che  lui  parla  alla lombarda, et lo cognosco da questa quaresima prossima   passata   ha   fatto   l’anno,   con occasione  che  praticava  nella  bottegha  di  un  pittore  che  stava  in  su  la  strada  per  andare alla Scrofa,  vicino  alla  bottegha  di  mastro  Marco  barbiero,  mio  padrone,  accanto  un  sellaro,  qual morse  questa  quaresima  prossima passata  che  si  chiamava  mastro  Lorenzo…” Proprio su via della Scrofa, all’incrocio con il vicolo della Stufa di S. Agostino, era situata la bottega del pittore siciliano Lorenzo Carli, che accolse Caravaggio subito dopo il suo arrivo a Roma, e dove il pittore lavorò fra 1596 e 1597 dipingendo “teste”. Altro particolare  interessante nel  tessuto viario era costituito dalla cosiddetta Stufa dei  frati di S. Agostino posta poco  lontano dalla bottega del Carli: si trattava di un esercizio, gestito da privati che pagavano un affitto ai padri agostiniani, volto alla cura e all’igiene della persona, un punto di ritrovo per gli abitanti che non avevano la possibilità di lavarsi in casa. In questa zona, oltre a quella del Carli si aprivano le botteghe di diversi personaggi noti attraverso le vicende caravaggesche come quella del barbiere Pietropaolo, o del più noto pittore Antiveduto Gramatica, mentre a pochi  isolati si  trovava  la bottega anche del Cavalier d’Arpino situata “alla Torretta”.  Gli amori 5. SANTI AMBROGIO E CARLO AL CORSO – ZONA DETTA “ALLI PANTANI”   La zona era notoriamente conosciuta come luogo di malaffare, frequentato da balordi e cortigiane alcune  delle  quali,  di  alto  rango,  erano  persino  riuscite  a  comprare  una  dimora. A  Piazza  del Monte d’Oro vi era un muro con due porte, chiuso ad ore fisse per regolamentare il controllo sulla prostituzione, mentre verso  il Mausoleo di Augusto si  trovavano  i cosiddetti “ortacci” e  i campi della Pallacorda. Gli “ortacci” erano  i quartieri abitati dalle prostitute, un vero e proprio ghetto chiuso, molte donne frequentate da Caravaggio hanno abitato in queste zone.  I documenti parrocchiali della  chiesa di Santa Maria del Popolo  registrano dal 1602 al 1606, nei pressi della chiesa di Sant’Ambrogio,  la casa della cortigiana Maddalena Antognetti, detta Lena, amante di Caravaggio.  “Figlia dʹarte”, dato  che  anche  sua madre  e  sua  sorella  si prostituivano, Lena è un bella ragazza romana, e come tale appare nei panni della Madonna di Loreto e, forse, della Madonna dei Palafrenieri, eseguite da Caravaggio per  la chiese di SantʹAgostino e di San Pietro  in Vaticano.  Lena non è l’unica cortigiana a far da modella a Caravaggio. Molti studiosi hanno ipotizzato che a posare per la Maddalena (Doria) e per la figura della Madonna nel Riposo dalla fuga in Egitto (Doria) sia stata Anna Bianchini, curiale romana di origine senese. Non ci sono documenti che dimostrino la conoscenza e la frequentazione di Caravaggio con Anna, è però significativo il fatto che la donna fosse arrivata  in città  in compagnia di Fillide Melandroni,  in seguito  in contatto con  il Merisi. Le 

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due donne, avviate alla professione di cortigiane, vivono insieme in via dell’Armata (una traversa di via Giulia verso  il Tevere,  tuttora esistente) e  insieme  sono arrestate nel 1594 per essere state sorprese  fuori  dalla  zona  riservata  alle  prostitute:  all’epoca Anna  ha  quattordici  anni  e  Fillide tredici. Mentre Anna intraprende ben presto un percorso in discesa, Fillide riesce, già nel 1603, ad affrancarsi dalla vita di  strada come dimostrano gli  spostamenti di casa verso Trinità dei Monti precisamente tra via del Gambero e via Belsiana dove nella Pasqua del 1603, la si trova condividere lʹabitazione con la zia e il fratello. Segni della sua ascesa sociale si concretizzano nella conquista di un protettore:  si  tratta di Ulisse Masetti, uomo al  servizio del  cardinale Benedetto Giustiniani  e amico di Ranuccio Tomassoni, col quale ebbe, come affermò la stessa Fillide “conoscenza carnale”, ricevendone  in  dono  un  abito  di  taffetà  “color  fiamma”. Masetti  in  una  deposizione  resa  in tribunale nel 1601 dichiarava che  la  loro relazione era finita da un paio di anni, ma quattro mesi prima aveva pranzato con lei e con Ranuccio Tomassoni. Nella zona dei SS. Ambrogio e Carlo al Corso, Caravaggio è arrestato per due volte nel giro di tre mesi: la prima volta è sorpreso davanti alla basilica dei SS. Ambrogio e Carlo nella notte tra il 27 e il 28 maggio 1605, e arrestato per porto d’armi abusivo. Trasferito a Tor di Nona e  interrogato,  il pittore  dichiara  di  aver  ricevuto  dal Governatore  di  Roma,    allʹepoca  il  cremonese monsignor Benedetto Ala,  per  il  quale dipinse  un  intenso  s.  Francesco,  lʹautorizzazione  “verbale”  a  girare armato. Il 19  luglio 1605 Caravaggio danneggia  la porta dell’abitazione di Laura e Isabella della Vecchia, sulla medesima  strada e viene  rinchiuso nel  carcere di Tor di Nona, ma ne  esce  il giorno dopo dietro la garanzia, e sotto la pena di 100 scudi, degli amici Cherubino Alberti, Girolamo Crocicchia, Prospero Orsi e Ottaviano Gabrielli. Un’altra delle prostitute con cui ha a che fare Caravaggio è Domenica Calvi, detta Menicuccia che risulta  abitare  in una  grande  casa  sulla  strada  vicino  al Collegio dei Greci  come  confermano  il testamento della Calvi,  rogato  il 1 marzo 1601,  e  il  rinnovo del  suo  contratto di affitto datato 3 aprile 1602. La donna non eʹ chiaramente rintracciabile nei quadri di Caravaggio e di lei non si sa molto: un documento rende noto il suo arresto la sera del 9 agosto 1601 quando viene fermata in carrozza dal Bargello  a Porta Pinciana  “incontro  la porta della  vigna del Cardinal del Monte”.  Menicuccia si trova in compagnia di ad altre due donne e tutte vengono arrestate, forse, mentre si dirigevano proprio al casino di caccia di Del Monte. Nel suo interrogatorio Menicuccia riferisce di aver trascorso il pomeriggio nel giardino dei Medici in compagnia di alcuni gentiluomini e del loro seguito  e  tra  questi  annovera  Caravaggio.  L’episodio  attesta  il  giro  di  rispettabilissime frequentazioni, tra nobili e alti prelati, tra cui ruotano le “oneste cortigiane” del tempo. Qualche  anno  dopo  sembra  che  Caravaggio  frequenti  ancora Menicuccia.  L’episodio  si  svolge allʹaltezza di via dei Greci dove  il pittore viene arrestato  la notte tra  il 19 e  il 20 ottobre 1604 per aver  scagliato  delle  pietre  insieme  ad  alcuni  amici,  tra  i  quali  il  libraio Ottaviano Gabrielli,  il profumiere Alessandro Tonti, operante a Tor  Sanguigna, e Pietro Paolo Martinelli, corriere e servo del cardinal Aldobrandini, detto Spaventa. Secondo  le  sue dichiarazioni, Caravaggio, dopo aver cenato allʹosteria della Torretta, si era diretto verso il Popolo con Spaventa e Onorio Longhi e verso SantʹAndrea  aveva  incontrato  Ottaviano  e  un  altro.  “Quando  io  intesi  tirare  li  sassi  stavo  a raggionare  con Menicuccia  che  sta  in  detta  strada  et  li  sassi  furno  tirati  avanti  che  io  credevo fussero  tirati alli miei compagni”. Durante  l’arresto Caravaggio  insulta  i gendarmi, anche se, nel corso  dellʹinterrogatorio,  sostiene  che  si  tratta  dellʹillazione  di  un  caporale  suo  nemico,  tale Malanno, che “sempre quando me  trova me  fa di queste  insolentie” e nega decisamente di aver detto agli sbirri “né che l’havevo in culo né che leccava la lume né cosa nesuna”.      

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Vita violenta: i nemici e le aggressioni 6. PIAZZA DI SAN LORENZO IN LUCINA  La zona è nota per aver ospitato la residenza di Gian Francesco, fratello di Ranuccio Tomassoni, e caporione di Campo Marzio. Il 21 agosto del 1604 Ranuccio e i suoi fratelli vengono arrestati sulla piazza per episodi di violenza.  L’esterno  della  chiesa  di  San  Lorenzo  accoglie  la  sepoltura  della  cortigiana  Fillide Melandroni, morta nel  luglio 1618 e precedentemente residente “alla strada de Borgognoni”;  la donna è nota per  aver posato  come modella di Caravaggio per  il   Ritratto  di Cortigiana  (già Berlino, distrutto nella  Seconda  Guerra Mondiale).  Fillide  venne  tumulata  fuori  del  sagrato  della  chiesa  perché rifiuta la confessione e la comunione, e dunque non può trovare sepoltura all’interno dell’edificio sacro. Di Fillide Melandroni è noto il testamento (8 ottobre 1614) e l’inventario dei beni, redatto il 3 luglio 1618 dopo la sua morte; in esso sono descritti gli orecchini pendenti in oro con due perle che la donna indossa nel quadro di Caravaggio, il quale dipingeva dal vero anche l’abbigliamento dei suoi modelli. Fillide dichiara di avere in casa sua un ritratto di mano di Caravaggio che appartiene a  Giulio  Strozzi  al  quale  deve  essere  restituito.  Lo  Strozzi  era  uno  scrittore  fiorentino,  un documento  lo  definisce  addirittura  nobile,  dunque  Fillide  era  una  cortigiana  di  alto  livello, frequentava letterati. Il Ritratto di Fillide Melandroni compare nell’inventario di quadri del Marchese Giustiniani del 1638, custoditi nel suo palazzo a San Luigi dei Francesi. Forse il marchese ottenne il quadro da  Giulio Strozzi o forse lo comperò sul mercato antiquario dopo la morte della cortigiana. L’intreccio di  conoscenze è  senz’altro  curioso: Fillide  fu  infatti  l’amante di Ranuccio Tomassoni, l’uomo ucciso dal Caravaggio nel 1606 e il marchese Giustiniani fu forse il più grande ammiratore e mecenate di Caravaggio, arrivando ad avere nel suo palazzo ben quindici opere del pittore.  

Apprendistato a Roma sosta → PIAZZA DELLA TORRETTA   Si  trova  in questa zona  la bottega del pittore Giuseppe Cesari detto  il Cavalier d’Arpino, uno  dei  protagonisti  assoluti  sulla  scena  artistica  romana  all’epoca  di  Clemente  VIII. Potente e rispettato  il Cesari aveva creato una bottega numerosa,  in grado di aiutarlo nei numerosi  impegni  di  cantiere  e  in  cui  si  distinguevano  pittori  specialisti  di  paesaggi  e nature morte. Nella casa‐bottega del Cavaliere, che viveva  in modo molto agiato tanto da riuscire a comprarsi un palazzetto sulla via del Corso, erano presenti anche quadretti da vendersi  sul mercato e  si eseguivano  copie di opere  famose. Degli otto mesi  trascorsi da Caravaggio  nella  bottega  del  Cesari  non  è  noto  nulla  e  sono  ricostruibili  solo  in  via ipotetica, sulla base unicamente delle due  tele che è noto con certezza essere nello studio dell’arpinate.  Si  tratta  del  Bacchino  malato  e  del  ragazzo  con  canestra  di  frutta  (galleria Borghese) arrivate in collezione Borghese a seguito della confisca dei beni subita dal Cesari nel 1607. Il  primo  marzo  1607,  infatti,  il  Cavalier  d’Arpino  è  improvvisamente  coinvolto  in  un procedimento  giudiziario  con  l’accusa  di  avere  organizzato  il  ferimento  del  pittore Cristoforo Roncalli detto Pomarancio. La questione  risaliva probabilmente  alla manovra, intentata  da  Roncalli,  di  sostituirsi  al  Cesari  nella  direzione  dei mosaici  che  si  stavano mettendo  in opera nella cupola di S. Pietro dal 1603.  Il procedimento giudiziario  finì nel sequestro, da parte del Fiscale di Paolo V, dei beni di proprietà del Cesari, ovvero della sua preziosa collezione di dipinti che includeva anche opere di altri artisti fra le quali i dipinti giovanili  di  Caravaggio,  eseguiti  durante  il  soggiorno  nella  bottega  arpinate  e  confluiti quindi nella raccolta di Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V. Interessante è rilevare che il Cesari, assolto dal sospetto di ferimento del Roncalli, è comunque incriminato per la detenzione di due pistole proibite in casa, reato per il quale era prevista la pena capitale e 

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soprattutto ‐ cosa a cui puntava Scipione Borghese ‐ la confisca del patrimonio Il periodo di duro apprendistato di Caravaggio presso  il Cesari si sarebbe protratto circa otto mesi, durante i quali Michelangelo avrebbe dormito su un pagliericcio. A interrompere la  collaborazione,  oltre  all’inevitabile  insofferenza  del  pittore,  potrebbe  essere  stato  il ferimento piuttosto grave dell’artista ad una gamba, forse dovuto a una caduta da cavallo: necessitando di cure, Caravaggio viene ricoverato per diversi giorni presso l’ospedale della Consolazione.  Dopo quest’oscuro episodio non fece più ritorno nella bottega di D’Arpino con il quale si interruppero i rapporti. Solo anni dopo, secondo quanto riporta Sandrart nel 1675 i due si incontrarono: “…accadde che Giuseppe d’Arpino, andando a corte a cavallo, incontrò Michelangelo da Caravaggio, il quale gli si accostò dicendo: “E’ il momento giusto per sistemare la nostra lite, dato che siamo entrambi armati” e gli ingiunse di smontare da cavallo e prepararsi a combattere. Ma Giuseppe rispose che come Cavaliere del papa non poteva degnarsi di combattere con uno che non era di quel rango. Questa risposta formale ferì  il Caravaggio più profondamente di quanto  avrebbe  fatto un  affondo di  spada,  e  lo turbò e  infuriò a  tal punto che  immediatamente  (poiché non voleva por  tempo  in mezzo) vendette in contanti tutti i suoi beni agli Ebrei è partì per Malta per farsi nominare cavaliere dal Gran Maestro”.

 Vita quotidiana  7. VICOLO DEL DIVINO AMORE ‐ VIA DEI PREFETTI  L’8 maggio 1604 Caravaggio affitta una casa in vicolo S. Biagio (ora via del Divino Amore n. 19), stradina che costeggiava il palazzo dellʹAmbasciatore di Firenze; il vicolo prendeva il nome dal suo affaccio sulla chiesa dei SS. Cecilia e Biagio; nell’Ottocento  la chiesa fu affidata alla Confraternita del Divino Amore e il vicolo assunse l’omonimo nome della confraternita.  Tra le registrazioni degli Stati delle Anime della chiesa di S. Nicola dei prefetti nel giugno 1605 si trova  citata  la  casa  presa  in  affitto  da  Caravaggio,  i  documenti  parrocchiali  menzionano  la presenza  del  pittore  e  del  suo  garzone  Francesco. Dalla  ricostruzione  del  percorso  seguito  dal parroco si evince che, dopo la prima casa posta sul lato destro del vicolo, venendo da S. Nicola dei Prefetti, si trova l’ abitazione di Prudenzia Bruni e che a fianco è la residenza di Caravaggio e del proprio aiutante. La casa era costituita da una sala con camere, scale, cantine, cortile, orto e pozzo.  L’abitazione  in  realtà  è di proprietà di Laerzio Cherubini  ‐  il giureconsulto  che aveva ordinato all’artista  la Morte della Vergine  ‐ ma  l’usufruttuaria è una donna di nome Prudenzia Bruni che  i documenti dicono sposata una prima volta con Pietro Forni bolognese, speziale a Tor Sanguigna e una seconda volta con Bonifacio Sinibaldi calzolaio, poi mercante di polli. Sinibaldi  conosceva  il  marchese  Vincenzo  Giustiniani  in  casa  del  quale  il  calzolaio  estinse  il proprio debito per i lavori edilizi nella casa in vicolo San Biagio; i coniugi erano anche in rapporti con Pietropaolo Pellegrini garzone di Marco, barbiere a S. Agostino  la  cui bottega  si  trovava di fronte a quella di Sinibaldi. È possibile anche che il tramite fra l’artista e l’affittuaria Prudenzia sia stato proprio il giurista Laerzio Cherubini proprietario della casa. Sappiamo  la casa subì  lavori di  ristrutturazione  tra  il 1601 e  il 1604 e che venne adattata  in due appartamenti per una rendita certa. L’8 maggio 1604 Prudenzia affittava così metà dell’abitazione al  pittore  con  un  atto  di  affitto  e  dietro  pagamento  anticipato  del  canone  del  primo  trimestre. Curiosamente, dal contratto si apprende che Merisi volle mettere per iscritto la richiesta di scoprire la metà della sala e che la Bruni acconsentì tutelando però i suoi interessi garantendosi, al termine della  locazione,  il  ripristino degli ambienti a spese del pittore. Caravaggio versò  regolarmente  il canone fino a gennaio 1605 poi, non si sa perché, smise; dopo sei mesi, da febbraio a luglio 1605, il suo  debito  ammontava  a  22,50  scudi.  Per  questo  la  Bruni  si  rivolse  al  tribunale  chiedendo  e ottenendo un mandato di sequestro degli oggetti del pittore presenti in casa come risarcimento per gli affitti mancanti. 

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Si può pensare che  tra  i motivi   della richiesta di Caravaggio di voler “scoprire metà della sala” c’era certo lo scopo era ottenere una luce più intensa sfruttando le finestre delle soffitte, ma anche una maggiore altezza nell’ambiente per consentire la sistemazione di tele di grandi dimensioni. A quest’epoca Caravaggio    si  apprestava  ad  iniziare  la Morte  della Vergine  commissionatagli  il  14 giugno 1601 proprio dal giurista Laerzio Cherubini,  lo stesso che è proprietario della casa  in cui vive  il pittore e che potrebbe aver  favorito  la nuova sistemazione mosso dal desiderio di vedere finalmente terminato  il dipinto che attendeva da ben tre anni. Creando  le condizioni  ideali per  il compimento del quadro, Cherubini sperava forse, in questa maniera, di ottenere qualche diritto di precedenza su altre commissioni. 

L’uccisone di Ranuccio Tomassoni sosta → PIAZZA FIRENZE  La zona adiacente piazza Firenze è  teatro di una delle ultime azioni di Caravaggio nella città papale, un omicidio, dopo il quale il pittore non potrà farvi mai più ritorno. L’area è nota, oltre che per  la presenza di palazzo Firenze, di proprietà di Ferdinando de’ Medici e dimora dell’ambasciatore fiorentino a Roma, anche per l’esistenza di campi per il gioco della pallacorda. Questi ultimi si  trovavano nella via che ora porta  lo stesso nome, adiacenti al palazzo:  l’episodio “criminoso” più noto del Caravaggio avviene proprio qui forse, ma non è certo, a seguito di una discussione per una partita di pallacorda  in cui  il pittore uccide Ranuccio Tomassoni. Una prima notizia è fornita da un documento che porta la data del 28 maggio 1606 e che racconta come il duello insorga tra gli otto partecipanti al gioco, quattro per parte, mentre tutta Roma festeggia il primo anno del pontificato di Paolo V  Borghese. Nella  squadra  di  Caravaggio  compaiono Onorio  Longhi,  Petronio  Troppa, soldato a Castel Sant’Angelo, e un quarto uomo non identificato. Nella banda di Ranuccio, i cognati Ignazio e Federico Iugoli e il fratello Gian Francesco, caporione di Campo Marzio.  Non è possibile ad oggi stabilire le reali motivazioni che portarono alla morte di Ranuccio Tomassoni, dalle testimonianze e i pochi documenti sappiamo che egli fu ferito gravemente alla coscia e che ebbe appena il tempo di confessarsi per poi essere seppellito quello stesso giorno nella chiesa di Santa Maria ad Martyres, al Pantheon.  Michelangelo fugge verso i feudi Colonna a nord di Roma. Lʹazione penale prende il via dal mese dopo ma, tranne il Troppa, tutti gli imputati risultano contumaci e pertanto non viene celebrato un regolare processo. La pena per tutti è l’esilio, mentre per Caravaggio, ormai in fuga, è la condanna alla pena capitale.  È  difficile  dire  se  si  trattò  di  delitto  premeditato  o  di  un  infelice  tentativo  di  umiliare ulteriormente un avversario che già giaceva a terra; è possibile però che di premeditato ci fosse lo scontro poiché i magistrati sospettarono che il Troppa fosse stato assoldato dunque ci  si  attendeva un  combattimento pericoloso. Per  il momento  i documenti  rinvenuti non permettono di dirimere  la questione quindi  l’omicidio del Tomassoni resta “solo” uno dei tanti casi in cui all’epoca si arrivava al sanguinoso regolamento dei conti privato.    Vita violenta: i nemici e le aggressioni sosta → VIA DELLA MADDALENA   A via della Maddalena “nella  strada  che  va  dalla  Rotonda  a  Campo  Marzo” era posta l’Osteria del Moro dove il 24 aprile 1604  ha luogo uno degli episodi violenti che riflettono maggiormente il carattere iroso di Caravaggio: l’aggressione del garzone Pietro da Fusaccia contro  cui  il pittore  scaglia un piatto di  carciofi.  Stando  a un  testimone,  il Merisi  aveva domandato  allʹinserviente,  sopraggiunto  con  le  pietanze,  se  i  carciofi  erano  allʹolio  o  al burro essendo  tutti  in un piatto. Il garzone disse di non saperlo “et ne pigliò uno et se  lo 

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mise al naso”. Il gesto fa infuriare Caravaggio, che non riesce a trattenersi e ed alzandosi in piedi  incollerito  apostrofa  al garzone:  “Se ben mi pare,  becco,  fottuto,  ti  credi di  servire qualche barone”, quindi afferra il piatto e lo tira in faccia al malcapitato. Denunciato dal cameriere spaventato, che asserì di essere stato minacciato dal pittore con una  spada, Caravaggio venne processato, ma  riuscì a non ottenere  sanzione,  forse grazie all’appoggio del potente cardinale Del Monte. Roma era campo di discordie e  tumulti e durante  l’autunno 1604, mentre  le strade erano pervase  da  un’atmosfera  violenta  e  brutale,  la  vita  di  Caravaggio  divenne  sempre  più agitata, dominata da un clima di inquietudine che porterà spesso l’artista a incorrere in seri guai  con  la  legge. Dopo  l’episodio  all’Osteria del Moro,  tra  il  19  e  il  20  ottobre  l’artista venne  imprigionato nel carcere di Tor di Nona  insieme con altri compagni per aver tirato pietre alla polizia in via dei Greci e il 18 novembre è di nuovo in galera per aver insultato un ufficiale alla chiavica del Bufalo che gli aveva chiesto se aveva il porto d’armi, ma dopo averlo prodotto, il pittore aveva sciorinato contro la guardia pesanti insulti  “Ho in culo te e quanti par tui si trovano” tanto che poi si ritrovò nella prigione di Tor di Nona.  Vita violenta: i nemici e le aggressioni sosta → PIAZZA DELLA MINERVA  Il  16 novembre  1603 durante  la messa mattutina nella  chiesa di  S. Maria della Minerva, volano  ingiurie da parte dell’architetto Onorio Longhi  contro  i pittori Tommaso  Salini  e Giovanni  Baglione.  Tullio,  luogotenente  del  Bargello  il  16  novembre  depone  di  aver arrestato in seguito a querela Onorio Longhi, colpevole di aver insultato, in compagnia di Andrea Rufetti, Salini e Baglione durante la messa e di averli minacciati anche con la spada fuori dalla  chiesa e  sulla porta di  casa del Salini. Alcuni  testimoni,  tra  i quali  lo  scultore Tommaso  della  Porta  oltre  al  barbiere  Lazaro  Visca  e  al merciaio  Giuseppe  Veneroso, riferiscono (18 novembre) di aver visto il Longhi con la spada in mano. L’episodio  è  certo  uno  strascico del  processo  intentato  qualche mese prima da Baglione contro Longhi, Caravaggio, Orazio Gentileschi  e  Filippo Trisegni,  per  aver diffuso  versi offensivi contro la sua persona. In questo momento Caravaggio è impegnato a soddisfare le richieste dei suoi ormai numerosi committenti; nella tarda primavera del 1601  il pittore si era  trasferito a palazzo Mattei dove  rimase probabilmente  fino al 1602‐103  in  tempo per eseguire, fra 1601 e 1603, diverse tele per Ciriaco Mattei come la Cena in Emmaus (Londra, National  Gallery),  un  San  Giovanni  Battista  (Pinacoteca  Capitolina)  e  la  Presa  di  Cristo nell’orto  (Dublino, National Gallery). Dopo  il  1600,  Caravaggio  è  al  lavoro  anche  per  il marchese  Vincenzo  Giustiniani  e  per  suo  fratello,  il  cardinale  Benedetto:  in  tutto  ben quindici  tele,  purtroppo  non  tutte  pervenute. Al  Suonatore  di  liuto dipinto  qualche  anno prima,  si  aggiungono  fra  1601  e  1604  anche  un  Incredulità  di  San  Tommaso  (Potsdam), l’Amore Vincitore  (Berlino),  l’’Incoronazione di  spine  (Vienna) e un San Gerolamo  identificato da alcuni con l’esemplare conservato a Barcellona (Abbazia di S. Maria di Montserrat). Il  suo  stile  è  ormai  consolidato,  ammirato  e  imitato  da  artisti  che  resero  permeabile  la propria pittura alle novità naturalistiche e luministiche rivelate dall’arte del maestro di cui intuirono, con acuta  lungimiranza,  le possibilità espressive adottandone  forme e modelli, restando però spesso lontani da una reale e totale comprensione di essi. La breve esperienza caravaggesca di Baglione, pittore perlopiù tardo manierista, interrotta bruscamente  dal  famoso  processo  del  1603  che  segnò  il  definitivo  allontanamento  del pittore dall’ambiente naturalistico, aveva portato alla creazione di opere come l’Amore sacro e  Amore  profano  (Barberini)  del  1602,  eseguita  per  il  cardinale  Benedetto  Giustiniani  in aperta competizione con l’Amore vincitore del Merisi.  

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Fra  i primi seguaci di Caravaggio, quelli cioè già attivi anteriormente al 1610, non è  raro trovare  personalità di formazione tardo manieristica, con esperienze maturate nell’ambito dei vivaci cantieri sistini e clementini come lo stesso Giovanni Baglione. Altri pittori come Antiveduto  Grammatica,  Carlo  Saraceni  e  Orazio  Borgianni  pur  appartenendo  ai caravaggeschi  di  prima  generazione  aderiscono  al  naturalismo  comprendendone  le potenzialità del messaggio, ma  raramente  riescono ad attuarlo a pieno optando piuttosto per un’originale sintesi pittorica che vede la commistione del nuovo linguaggio con moduli compositivi tardo cinquecenteschi e con personali reminiscenze pittoriche di base. Tutto ciò riveste un’importanza fondamentale per capire appieno quale fu la reale influenza causata dalla maniera di Caravaggio e il tipo di risultati raggiunti sulla scena artistica romana nei primi anni del secolo. 

 Vita violenta: il processo  i nemici e le aggressioni sosta → CHIESA DEL GESÙ  Di pari passo  col  crescere della  fama  e  l’intensificarsi della produzione  artistica  tuttavia aumentano  anche  gli  episodi  di  violenza  e  i  guai  giudiziari  in  cui Caravaggio  si  lascia coinvolgere. E’ del 1603 il processo che il Baglione intentò contro il Merisi, ritenuto autore di scritti diffamatori contro di lui, uno di questi inizia con “Giovan Bagaglia tu non sai un ah le tue pitture son pituresse volo vedere con esse che non guadagnerai mai una patacca” e ancora “Gioan Coglion senza dubio dir si puole quel che biasimar si mette altrui che può cento anni essere mastro di lui”. Dissapori tra i due artisti ce n’erano già stati in occasione della competizione artistica tra  l’Amor vincitore e  le due versioni dell’Amore sacro e Amore profano, che Baglione aveva eseguito per il cardinale Benedetto Giustiniani e che gli aveva fruttato, oltre ad una  collana d’oro,  la  commissione di una Resurrezione per  la  chiesa del Gesù. A proposito del dono uno dei versetti sottolinea “..perdonami dipintore  se io non ti adulo  che della  collana  che  tu porti  indegno  sei  et della pittura vituperio”.  Il  lavoro più ambizioso  di  Baglione,  eseguito  probabilmente  in  quest’atmosfera  d’invidia  e  accesa rivalità, fu esposto a Pasqua del 1603 e subito coperto di insulti da Caravaggio e dalla sua cricca,  che misero  in  atto  una  vera  e  propria  campagna diffamatoria  a mezzo  di  poesie scurrili e offensive contro Baglione e il suo amico Tommaso (detto Mao) Salini.  L’artista offeso querelò per diffamazione Caravaggio, Onorio Longhi e Orazio Gentileschi quali  autori  dei  versi,  aggiungendo  in  seguito  Filippo  Trisegni,  che  aveva  dato  i  testi  a Salini. La posta in gioco era la supremazia nell’ambiente artistico romano e le testimonianze del processo, in questa luce, appaiono come un regolamento di conti fra artisti in un clima di accesa rivalità e competizioni, di liti violente e bruciante invidia.  Ed è proprio l’invidia, secondo quanto dichiarerà Baglione nella deposizione del 28 agosto 1603, ad aver mosso Caravaggio  irritato e deluso di non aver ottenuto  lui  la commissione della Resurrezione. La tela “incriminata” verrà sostituita nel XVII secolo dal dipinto di Carlo Maratta, ancora in loco.   

 → Fine percorso: palazzo Venezia, via del Plebiscito  

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