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Perugia, maggio 2013
© Enrico Carloni
LEZIONE 13
L’Open data government
Dal riutilizzo delle informazioni all’agenda digitale
Sommario: 1. Principi e definizioni. – 2. Il “fenomeno open data” e il
Memorandum Obama. - 3. I paradigmi dell’open data.- 4. Le “leggi”
sull’open data government. - 5. Il riutilizzo delle informazioni di fonte
pubblica. - 6. Fruibilità e disponibilità dei dati nell’amministrazione digitale.
- 7. Open data e decreto trasparenza. - 8. Open data e qualità dei dati. - 9. Il
“problema” della privacy
1. Principi e definizioni
Per dare attuazione ai principi di trasparenza, partecipazione e
collaborazione propri della dottrina dell’Open Government è
necessario mettere il cittadino nelle condizioni di disporre degli
strumenti conoscitivi indispensabili per poter prendere decisioni o
comunque valutare le decisioni prese dall’Amministrazione.
Tali strumenti sono costituiti dai dati e dalle informazioni dei quali la
Pubblica Amministrazione dispone e che le sono indispensabili per la
gestione dei processi che gestisce nell’assolvimento dei suoi compiti
istituzionali e di servizio: dati ed informazioni, come visto, sempre più
spesso previsti come “pubblici”, vale a dire disponibili per chiunque e
suscettibili di essere diffusi da parte delle singole amministrazioni (o
per espresso obbligo legislativo, o per scelta delle stesse
amministrazioni). I “dati pubblici” compongono, nel loro complesso, il
patrimonio conoscitivo delle pubbliche amministrazioni e
costituiscono un fondamentale giacimento conoscitivo, dal quale è
possibile ricavare conoscenza per finalità di trasparenza ma anche per
finalità di tipo economico.
I dati detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni rappresentano un
enorme patrimonio e stanno acquisendo un'importanza sempre
crescente; infatti, grazie all'uso delle tecnologie info-telematiche, è
possibile sia utilizzarli per rendere l'Amministrazione più trasparente
ed erogare servizi ancor più efficienti sia riutilizzarli in ambiti
differenti da quelli per i quali sono stati raccolti.
In passato, questi dati dovevano rimanere relegati nell’ambito dei
procedimenti amministrativi per i quali erano stati formati; in tempi
più recenti, invece, si è affermata a livello comunitario la tendenza a
rendere queste informazioni conoscibili anche ad altri soggetti.
Mettere a disposizione del cittadino e delle imprese l’insieme dei dati
pubblici gestiti dall’Amministrazione in formato aperto rappresenta un
passaggio culturale necessario per il rinnovamento delle istituzioni
nella direzione di apertura e trasparenza proprie dell’Open
Government, a tutti i livelli amministrativi. La prospettiva è in primo
luogo, ma non esclusivamente, quella di un controllo continuo e
costante sull’operato e sui processi decisionali dei soggetti
istituzionali. Attraverso l’attuazione di politiche di apertura reale delle
informazioni e dei dati pubblici, i cittadini sono in condizione di
verificare l’efficienza dell’apparato burocratico.
In questo contesto, l’open data costituisce uno sviluppo della
trasparenza, dal momento che la disponibilità di informazioni consente
forme di collaborazione e di rielaborazione della conoscenza.
Distribuire i dati pubblici in un formato aperto e libero da restrizioni
sia dal punto di vista dell’accesso che dell’integrazione e del riutilizzo,
rappresenta, infatti, il presupposto di base affinché possa svilupparsi un
vero e proprio processo di collaborazione tra le istituzioni e la
comunità dei cittadini sulle scelte di governo, anche la rielaborazione
in forma nuova e diversa dei dati messi a disposizione.
È dunque bene differenziare il concetto di trasparenza da quello di
apertura (openess). Il concetto di apertura include quello di
trasparenza, ma non necessariamente è vero il contrario. In altri
termini, non è sufficiente la trasparenza così come definita nel nostro
ordinamento giuridico perché si possa parlare di Open data.
I dati aperti, comunemente chiamati con il termine inglese open
data anche nel contesto italiano, sono alcune tipologie di dati
liberamente accessibili a tutti, privi di brevetti o altre forme di
controllo che ne limitino la riproduzione e le cui restrizioni
di copyright eventualmente si limitano ad obbligare di citare la fonte o
al rilascio delle modifiche allo stesso modo.
Nonostante la pratica e l'ideologia che caratterizzano i dati aperti siano
da anni ben consolidate, con la locuzione "open data" si identifica una
nuova accezione piuttosto recente e maggiormente legata a Internet
come canale principale di diffusione dei dati stessi.
Open Knowledge Foundation utilizza la seguente frase per definire dati
(e contenuti) aperti: “un contenuto o un dato si definisce aperto se
chiunque è in grado di utilizzarlo, ri-utilizzarlo e ridistribuirlo,
soggetto, al massimo, alla richiesta di attribuzione e condivisione allo
stesso modo”.
Il contesto culturale, e giuridico, entro il quale inserire il tema
dell’open data è quello del crescente ruolo dei cittadini e dei privati
(singoli ed associati, con finalità puramente solidaristiche o
commerciali) nello svolgimento di attività che rivestono un interesse
pubblico, o “generale”. Il tema si inserisce, dunque, pienamente dentro
le riflessioni intorno all’idea di sussidiarietà (orizzontale), ma anche in
quella di libera iniziativa (anche economica) dei privati, da favorire (da
parte dei soggetti pubblici) perché foriera di assicurare, anche se non
sempre direttamente, ma comunque “complessivamente”, una migliore
realizzazione di taluni interessi della collettività nel suo complesso.
Alcune delle più interessanti riflessioni sul fenomeno open data lo
collocano dentro un contesto che è fatto non solo di “amministrazione
aperta”, ma di “società aperta” (open society)
In estrema sintesi si possono individuare alcuni aspetti che
caratterizzano un insieme di dati come "aperto":
i dati aperti devono essere indicizzati dai motori di ricerca;
i dati aperti devono essere disponibili in un formato aperto,
standardizzato e leggibile da un'applicazione informatica per
facilitare la loro consultazione ed incentivare il loro riutilizzo
anche in modo creativo ;
i dati aperti devono essere rilasciati attraverso licenze libere che
non impediscano la diffusione e il riutilizzo da parte di tutti i
soggetti interessati.
L’evoluzione del fenomeno si articola su basi tecnologiche, esperienze
comparate, sollecitazioni per via legislativa, politiche promosse da
istituzioni pubbliche: è soprattutto a queste ultime prospettive che
faremo riferimento, ed in questo quadro va evidenziato il collegamento
tra le questioni del “riutilizzo dei dati” e quelle dell’ “open data
government”.
2. Il “fenomeno open data” e il Memorandum Obama.
Una significativa spinta all'affermarsi del movimento Open data in
ambito governativo è stata data dall'attuale presidente degli Stati Uniti
d'America, Obama, con la promulgazione della Direttiva sull'Open
government nel dicembre 2009 nella quale si legge testualmente:
“Fin dove possibile e sottostando alle sole restrizioni valide, le agenzie
devono pubblicare le informazioni on line utilizzando un formato
aperto (open) che possa cioè essere recuperato, soggetto ad azioni di
download, indicizzato e ricercato attraverso le applicazioni di ricerca
web più comunemente utilizzate. Per formato open si intende un
formato indipendente rispetto alla piattaforma, leggibile
dall’elaboratore e reso disponibile al pubblico senza che sia impedito
il riuso dell’informazione veicolata”
Alla direttiva sopra citata è stato dato un seguito attraverso il sito
pubblico Data.gov, lanciato nel maggio 2009 dal "Chief nformation
Officer" (CIO) dell'amministrazione pubblica statunitense Vivek
Kundra. Il sito è stato creato con l'obiettivo principale di raccogliere in
un unico portale tutte le informazioni rese disponibili dagli enti
statunitensi in formato aperto.
Questa politica di diffusione di dati e promozione dell’open
government è stata recentemente integrata da un nuovo executive order
del Presidente (del 9 maggio 2013), cd. Memorandum open data
(Executive Order -- Making Open and Machine Readable the New
Default for Government Information).
In questo Memorandum sono definite le caratteristiche essenziali degli
Open Data (che devono essere accessibili, cioè disponibili in “non-
proprietary formats”; documentati, anche attraverso “data
dictionaries”; riusabili, completi, “with the finest possible level of
granularity”), tempestivi ed aggiornati (“timely”). Vengono, inoltre,
anche indicati i principi per la costruzione di sistemi informativi in
grado di supportare l’interoperabilità e l’accessibilità delle
informazioni: tali sistemi devono consentire dia massimizzare “data
reuse opportunities and incorporation of future application or
technology capabilities”.
Un elemento di specifico interesse di questa iniziativa risiede nel
“metodo” proposto per realizzare questa nuova Open Data Policy: si
prevede, infatti, un’elaborazione condivisa e decentrata delle sue
specifiche operative e delle sue concrete applicazioni. Per assistere
questa evoluzione l’Order del presidente prevede, infatti, la
pubblicazione di “an open online repository of tools and best practices
to assist agencies in integrating the Open Data Policy into their
operations”.
3. I paradigmi dell’open data.
[Da Vademecum Open Data]
Partendo dal concetto di conoscenza aperta così come delineato dalla
Open Knowledge Foundation 4, anche l’Open Data può essere
caratterizzato dai seguenti principi:
- Disponibilità e accesso: i dati devono essere disponibili nel loro
complesso, per un prezzo non superiore a un ragionevole costo di
riproduzione, preferibilmente mediante scaricamento da Internet. I
dati devono essere inoltre disponibili in un formato utile e
modificabile.
- Riutilizzo e ridistribuzione: i dati devono essere forniti a condizioni
tali da permetterne il riutilizzo e la ridistribuzione. Ciò comprende la
possibilità di combinarli con altre basi di dati.
- Partecipazione universale: tutti devono essere in grado di usare,
riutilizzare e ridistribuire i dati. Non devono essere poste
discriminazioni di ambiti di iniziativa in riferimento a soggetti o gruppi.
Per esempio, il divieto di utilizzare i dati per scopi commerciali o le
restrizioni che permettono l’uso solo per determinati fini (quale
quello educativo) non sono contemplabili.
Per garantire i principi sopra elencati è necessario che i dati – per
considerarsi aperti in base agli standard internazionali – siano:
Completi. I dati devono comprendere tutte le componenti (metadati)
che consentano di esportarli, utilizzarli on line e off line, integrarli e
aggregarli con altre risorse e diffonderli in rete.
che i dati siano presentati in maniera sufficientemente granulare, così
che possano essere utilizzate dagli utenti per integrarle e aggregarle
con altri dati e contenuti in formato digitale;
- Tempestivi. Gli utenti devono essere messi in condizione di accedere
e utilizzare i dati presenti in rete in modo rapido e immediato,
massimizzando il valore e l’utilità derivanti da accesso e uso di queste
risorse;
- Accessibili. I dati devono essere resi disponibili al maggior numero
possibile di utenti senza barriere all’utilizzo, quindi preferibilmente
attraverso il solo protocollo Hypertext Transfer Protocol (HTTP) e
senza il ricorso a piattaforme proprietarie. Devono essere inoltre resi
disponibili senza alcuna sottoscrizione di contratto, pagamento,
registrazione o richiesta.
- Leggibili da computer. Per garantire agli utenti la piena libertà di
accesso e soprattutto di utilizzo e integrazione dei contenuti digitali, è
necessario che i dati siano machine-readable, ovvero processabili in
automatico dal computer In formati non proprietari. I dati devono
essere codificati in formati aperti e pubblici, sui quali non vi siano
entità (aziende o organizzazioni) che ne abbiano il controllo esclusivo.
Sono preferibili i formati con le codifiche più semplici e maggiormente
supportati.
- Liberi da licenze che ne limitino l’uso. I dati aperti devono essere
caratterizzati da licenze che non ne limitino l’uso, la diffusione o la
redistribuzione.
- Riutilizzabili. Affinché i dati siano effettivamente aperti, gli utenti
devono essere messi in condizione di riutilizzarli e integrarli, fino a
creare nuove risorse, applicazioni e servizi di pubblica utilità.
- Ricercabili. I dati devono essere facilmente identificabili in rete,
grazie a cataloghi e archivi facilmente indicizzabili dai motori di
ricerca.
- Permanenti. Le peculiarità fino ad ora descritte devono
caratterizzare i dati nel corso del loro intero ciclo di vita.
Per mettere a disposizione del pubblico i dati di un’Amministrazione
può essere utilizzata una grande varietà di formati. Non tutti, tuttavia,
rispondono ai prerequisiti elencati nel paragrafo precedente.
Qualora l’Amministrazione si trovi nella possibilità di scegliere il
formato nel quale pubblicare i dati da aprire, è bene che identifichi
formati che siano rispondenti al maggior numero di requisiti possibile.
Se tuttavia la scelta fosse tra il pubblicare dati non completamente
rispondenti ai requisiti indicati o non pubblicarli affatto, allora la
logica dell’Open Data indirizza la risposta verso latra il pubblicare dati
non completamente rispondenti ai requisiti indicati o non pubblicarli
affatto, allora la logica dell’Open Data indirizza la risposta verso la
prima soluzione (per questo si usa l’espressione Raw Data Now, a
significare che nella peggiore delle ipotesi, quella di disporre di dati
non aperti, è comunque preferibile distribuirli, anche se – appunto –
in formato raw, cioè grezzo). L’auspicio è che se i dati pubblicati sono
sufficientemente interessanti, la comunità degli utenti si preoccuperà
di identificare un processo di conversione efficace (si parla, in questo
caso, di data scraping).
Per distinguere i diversi formati utilizzabili nella codifica dei set di dati,
è stato proposto in seno al W3C7 un modello di catalogazione che li
classifica in base alle loro caratteristiche su una scala di valori da 1
(una stella) a 5 (cinque stelle) a seconda della facilità di fruizione e
riutilizzo.
4. Le “leggi” sull’open data government
A livello legislativo, i principi dell’open data government e la
“tensione” verso un’amministrazione che coniughi trasparenza e
riutilizzabilità delle informazioni, favorendo forme di partecipazione e
collaborazione a vantaggio di un ampliamento della conoscenza
(pubblica e privata), si affermano nel corso dell’ultimo decennio,
andando componendosi intorno a tre architravi.
La prima, è la normativa in materia di riutilizzo dei documenti e delle
informazioni del settore pubblico (Public sector information – PSI),
posta, sulla base di una direttiva comunitaria del 2003, dal d.lgs. n. 36
del 2006.
La seconda, è il Codice dell’amministrazione digitale, nel cui contesto
troviamo (anche in virtù delle modifiche del codice via via
intervenute), alcune delle premesse fondamentali per una fruizione
aperta dei dati sia tra amministrazioni che da parte dei cittadini. In
questo contesto si inseriscono, dopo le recenti riforme, anche le regole
dell’agenda digitale, nel cui ambito si pongono le premesse
organizzative dell’open data, attraverso il ruolo riconosciuto, in
particolare, all’Agenzia per l’Italia digitale.
La terza, decisiva, è la disciplina relativa alla “trasparenza totale”:
sviluppando le premesse già presenti nelle riforme “Brunetta”, il
Codice della trasparenza (d.lgs. n. 33 del 2013) pone regole volte
espressamente a favorire l’affermazione di un modello di
amministrazione aperta rispondente ai paradigmi dell’open data
governement.
5. Il riutilizzo delle informazioni di fonte pubblica..
A livello comunitario, al fine di agevolare il riutilizzo delle
informazioni in possesso degli enti pubblici degli Stati membri,
l’Unione Europea ha adottato la Direttiva 2003/98/CE del 17
novembre 2003 (recepita dall’ordinamento italiano con il Decreto
Legislativo 24 gennaio 2006 n. 36, “Attuazione della direttiva
2003/98/CE relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico”)
che ha attribuito a ciascuna Amministrazione la possibilità di
autorizzare il riutilizzo delle informazioni che vengono raccolte,
prodotte, e diffuse nell’ambito del perseguimento dei propri compiti
istituzionali.
L’ottica del decreto n. 36 è quella di una valorizzazione delle
informazioni pubbliche, sia di tipo economico che conoscitivo (e,
quindi, di un loro riutilizzo a fini commerciali e non).
Per riutilizzo s’intende “l’uso di documenti in possesso di enti pubblici
da parte di persone fisiche o giuridiche a fini commerciali o non
commerciali diversi dallo scopo iniziale nell’ambito dei compiti di
servizio pubblico per i quali i documenti sono stati prodotti. Lo
scambio di documenti tra enti pubblici esclusivamente in adempimento
dei loro compiti di servizio pubblico non costituisce riutilizzo” (art. 2,
comma 1, lett. e) D. Lgs. n. 36/2006).
Ai sensi del decreto, le pubbliche amministrazioni devono favorire il
maggiore riutilizzo di informazioni e documenti, ma resta rimessa alle
singole amministrazioni la scelta: infatti (art. 1, comma 2) “Le
pubbliche amministrazioni e gli organismi di diritto pubblico non
hanno l'obbligo di consentire il riutilizzo dei documenti” dal momento
che “la decisione di consentire o meno tale riutilizzo spetta
all'amministrazione”. Nell’esercizio del proprio potere di consentire o
meno il riutilizzo, le amministrazioni assicurano, in ogni caso, “parità
di trattamento tra tutti i riutilizzatori” (art. 1, comma 3) e “perseguono
la finalità di rendere riutilizzabile il maggior numero di informazioni,
in base a modalità che assicurino condizioni eque, adeguate e non
discriminatorie”.
Il decreto n. 36 prevede una serie di limiti alla riutilizzabilità, sia
definendo una serie di informazioni e documenti che esulano dal
campo di applicazione del decreto (ad esempio, i dati e documenti
detenuti da biblioteche pubbliche, università, dalla Rai tv..: come
previsto dall’art. 3), sia individuando una serie di interessi che devono
in ogni caso non essere compromessi dal riutilizzo (privacy, copyright,
segreto e divieti di divulgazione: art. 4)
Per favorire il riutilizzo, le amministrazioni pubblicizzano i documenti
e le informazioni (i dataset) suscettibili di riutilizzo, e definiscono delle
licenze standard nelle quali sono definiti; a ben vedere, però, la
normativa contiene una serie di limiti che, rispetto alle aspettative ed
alla stessa direttiva comunitaria, hanno contribuito a rallentare i
fenomeni di riutilizzo. Detto in altri termini, il decreto si pone
l’obiettivo di regolare, più che di favorire, il riutilizzo: non incentiva in
modo significativo le amministrazioni a produrre dati e documenti in
formati più agevolmente riutilizzabili (art. 6: “Il titolare del dato mette
a disposizione i documenti richiesti nella forma in cui sono stati
prodotti.2. Il titolare del dato fornisce i documenti, ove possibile in
formato elettronico, nel rispetto delle regole tecniche di cui all'articolo
11, e non ha l'obbligo di adeguare i documenti o di crearne per
soddisfare la richiesta, né l'obbligo di fornire estratti di documenti se
ciò comporta attività eccedenti la semplice manipolazione”); prevede
un costo per il riutilizzo che comprende anche le spese sostenute per la
produzione dei documenti (“i costi di raccolta, di produzione, di
riproduzione e diffusione maggiorati, nel caso di riutilizzo per fini
commerciali, di un utile”), il che può disincentivare dal riutilizzare i
documenti.
Al fine di favorire il riutilizzo, in ogni caso (art. 9) “le pubbliche
amministrazioni […] promuovono forme di adeguata informazione e
comunicazione istituzionale relativamente ai documenti oggetto di
riutilizzo, anche attraverso i propri siti istituzionali e prevedono
modalità pratiche per facilitare la ricerca di documenti disponibili per
il riutilizzo quali elenchi, portali e repertori collegati ad elenchi
decentralizzati”: è anche su questa base che assistiamo, nel corso del
tempo, al diffondersi di repertori di dati riutilizzabili”.
6. Fruibilità e disponibilità dei dati nell’amministrazione digitale.
Un altro tassello fondamentale è, per più ragioni, il Codice
dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. n. 82/2005). Qui, come visto, è
stato introdotto l’importante principio di “disponibilità dei dati
pubblici” (enunciato all’art. 2, comma 1, e declinato dall’art. 50,
comma 1, dello stesso Codice) che consiste nella possibilità, per
soggetti pubblici e privati, “di accedere ai dati senza restrizioni non
riconducibili a esplicite norme di legge” (art.1, lett. o).
In questa ottica, con la riforma del Codice dell’Amministrazione
Digitale e più recentemente con il “decreto Crescita 2.0” (d.l. 179 del
2012), il Legislatore ha inteso recepire espressamente la dottrina
dell’Open Data, sollecitando le Amministrazioni ad aprire il proprio
patrimonio informativo; nella sua attuale formulazione, infatti, l’art.
52, comma 1-bis, D. Lgs. n. 82/2005, prevede espressamente che
“le pubbliche amministrazioni, al fine di valorizzare e rendere fruibili i
dati pubblici di cui sono titolari, promuovono progetti di elaborazione
e di diffusione degli stessi anche attraverso l’uso di strumenti di
finanza di progetto”, utilizzando formati aperti che ne consentano il
riutilizzo.
La disponibilità del dato in formato digitale presuppone, infatti, che lo
stesso dato sia formato, raccolto e conservato con l’uso delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione che consentano la
fruizione e riutilizzazione da parte di cittadini, imprese ed altri uffici
pubblici.
Sempre l’art. 52 del Cad, nella prospettiva di favorire l’accesso ai dati
ed il loro riutilizzo, prevede che le pubbliche amministrazioni
pubblichino nel loro sito web “il catalogo dei dati, dei metadati e delle
relative banche dati in loro possesso ed i regolamenti che ne
disciplinano l'esercizio della facoltà di accesso telematico e il
riutilizzo” (comma 1). In sostanza, attraverso il proprio sito ogni
amministrazione dovrebbe rendere conoscibili i dataset che detiene, e
le condizioni per la loro fruizione. Sempre per favorire al massimo il
riutilizzo dei dati, si prevede che, salva diversa espressa indicazione
(della necessità di una apposita licenza), “i dati e i documenti che le
amministrazioni titolari pubblicano […] si intendono rilasciati come
dati di tipo aperto”.
Si tratta di uno sviluppo delle previsioni del decreto n. 36 del 2006, sia
perché la disponibilità di dataset ha la prospettiva dell’accesso oltre
che quella del riutilizzo, sia perché è più marcata la
responsabilizzazione delle p.a. verso la messa a disposizione di
informazioni e dati. Su questa base si innestano iniziative del Ministero
per la funzione pubblica (si v. il sito dati.gov.it) che ha promosso la
definizione di licenze open data (Open Data License - IODL) volte alla
“liberazione” e valorizzazione dei dati pubblici.
In questo contesto, l’Agenzia per l'Italia digitale svolge un ruolo
rilevante, dal momento che il Codice dell’amministrazione digitale
(sempre all’art. 52) le affida il compito di promuovere “le politiche di
valorizzazione del patrimonio informativo pubblico nazionale”, ed in
tal senso ogni anno “definisce contenuti e gli obiettivi delle politiche
di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico e un rapporto
annuale sullo stato del processo di valorizzazione in Italia”.
Scorrendo l’elenco dei dataset disponibili, e delle applicazioni per la
loro fruizione (a fini commerciali e non: sempre in dati.gov.it) si può
meglio cogliere la portata di queste previsioni, in primo luogo per lo
sviluppo di iniziative imprenditoriali ma non meno in un’ottica di
trasparenza (pensiamo, in quest’ultimo senso, ad esperienze di data
gov come “wheremymoneygoes.com”).
Il codice dell’amministrazione digitale, infine, all’art. 68 fornisce una
serie di definizioni (tra le quali quella di “dato aperto”, utili per
comprendere la normativa ma anche il fenomeno in sé).
Art. 68, comma 3. “Ai fini del presente decreto si intende:
“b) dati di tipo aperto, i dati che presentano le seguenti
caratteristiche:
1) sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta
l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in
formato disaggregato;
2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della
comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in
formati aperti ai sensi della lettera a), sono adatti all'utilizzo
automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei
relativi metadati;
3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie
dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti
telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi
marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione. L'Agenzia
per l'Italia digitale deve stabilire, con propria deliberazione, i casi
eccezionali, individuati secondo criteri oggettivi, trasparenti e
verificabili, in cui essi sono resi disponibili a tariffe superiori ai costi
marginali”
7. Open data e decreto trasparenza
Il recente “decreto trasparenza” articola ulteriormente le prospettive
dell’open data government, sia rinforzando la prospettiva di un’ampia
disponibilità di informazioni fruibili da chiunque, sia definendo il
regime di questa forma di pubblicità on line: un regime coerente con i
paradigmi dell’open data government.
In termini di principio, il nuovo concetto di trasparenza, che “concorre
ad attuare i principi costituzionali” (di eguaglianza, imparzialità, buon
andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di
risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione), “é
condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché
dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona
amministrazione e concorre alla realizzazione di una
amministrazione aperta, al servizio del cittadino” (art. 1, comma 2).
Una trasparenza, dunque, strumento dell’amministrazione aperta, che
si traduce nel diritto di chiunque di disporre dei dati pubblici: tutti i
dati e documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria in base al
decreto sono pubblici, ed assoggettati ad un regime che comporta (art.
3) il fatto che “chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne
gratuitamente e di utilizzarli e riutilizzarli”.
Questa “riutilizzabilità” è più ampiamente regolata dall’art. 7 (titolato
“Dati aperti e riutilizzo”):
Art. 7, comma 1. “I documenti, le informazioni e i dati oggetto di
pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente, resi
disponibili anche a seguito dell'accesso civico di cui all'articolo 5,
sono pubblicati in formato di tipo aperto ai sensi dell'articolo 68
del Codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo
7 marzo 2005, n. 82, e sono riutilizzabili ai sensi del decreto
legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, del decreto legislativo 7 marzo
2005, n. 82, e del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, senza
ulteriori restrizioni diverse dall'obbligo di citare la fonte e di
rispettarne l'integrità”.
Questa previsione si integra, peraltro, con quanto previsto in via
generale dall’art. 3.
Art. 3, comma 1. “Tutti i documenti, le informazioni e i dati
oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa
vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di
fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi
dell'articolo 7”.
In sostanza, rispetto alle limitazioni che caratterizzano il riutilizzo
come definito in via generale dal d.lgs. 36 del 2006, i dati
obbligatoriamente “pubblici” perché assoggettati al regime di
trasparenza totale del d.lgs. 33 del 2013: per questi dati vengono meno
i “difetti” del regime del riutilizzo (il fatto di dipendere da scelte delle
singole amministrazioni, di essere “nel formato in cui si trovano”, di
essere soggetti a licenze anche eccessivamente onerose): i dati
individuati dal decreto 33 sono, infatti “pubblicati in formato di tipo
aperto” e riutilizzabili senza restrizioni (sostanzialmente, sulla base di
limitati vincoli propri delle esperienze di creative commons: i soli
obblighi di citare la fonte e rispettare l’integrità del dato).
Dei paradigmi dell’open data, il decreto riprende quindi tanto la
“partecipazione universale” (chiunque ha diritto di disporre dei dati
pubblici), la piena “riutilizzabilità” (“senza ulteriori restrizioni diverse
dall’obbligo di citare la fonte e di rispettarne l’integrità”), in formato
che ne renda agevole la fruizione (un “formato di tipo aperto”).
8. Open data e qualità dei dati pubblici
Perché sia possibile, e fruttuosa, una strategia di riutilizzo ed open data
(sia per finalità di trasparenza che di valorizzazione anche economica
dei dati), è necessario disporre di dati “di qualità”. Questa questione è
rilevante sotto più prospettive: in primo luogo, la qualità va intesa
come effettiva, agevole e semplice riutilizzabilità, ed in questo senso
integra i paradigmi dell’open data (come linked oper data).
La qualità va intesa, inoltre, come standardizzazione ed omogeneità,
dal momento che questo è condizione di confrontabilità delle diverse
situazioni (a fini di trasparenza), integrazione delle basi di dati,
costruzione di un sistema di informazioni relative ad un ambito che
vada oltre il “recinto” delle singole amministrazione.
L’Agenzia per l’Italia digitale svolge un ruolo importante in questa
prospettiva, dal momento che “definisce e aggiorna annualmente le
linee guida nazionali che individuano gli standard tecnici, compresa la
determinazione delle ontologie dei servizi e dei dati, le procedure e le
modalità di attuazione […] l'obiettivo di rendere il processo omogeneo
a livello nazionale, efficiente ed efficace. Le pubbliche amministrazioni
[…] si uniformano alle suddette linee guida”. Complessivamente,
rispetto a queste tematiche risulta decisiva la definizione delle “regole
tecniche” previste dall’art. 71 del Codice dell’amministrazione
digitale.
La qualità comprende, infine, tutti i requisiti “attesi” da parte dei
fruitori delle informazioni (che, nella prospettiva del decreto
trasparenza sono in primo luogo i cittadini, ma possono essere anche le
altre amministrazioni od operatori economici). Rientrano in
quest’ambito la completezza, l’integrità, l’aggiornamento dei dati, la
loro semplicità di consultazione.
Quanto alle questioni relative all’aggiornamento ed alla “stabilità” dei
dati, l’art. 8 del decreto trasparenza prevede che i documenti oggetto di
pubblicazione obbligatoria “sono pubblicati tempestivamente sul sito
istituzionale dell'amministrazione”, sono “pubblicati e mantenuti
aggiornati” e restano pubblici “per un periodo di 5 anni, decorrenti dal
1° gennaio dell'anno successivo a quello da cui decorre l'obbligo di
pubblicazione” (art. 8 del d.lgs. n. 33 del 2013).
Fondamentale, nella prospettiva delle garanzie di “qualità”, l’art. 6 del
decreto 33, che prevede undici requisiti di qualità:
Art. 6, comma 1. “Le pubbliche amministrazioni garantiscono la
qualità delle informazioni riportate nei siti istituzionali nel rispetto
degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge,
assicurandone l'integrità, il costante aggiornamento, la
completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione, la
comprensibilità, l'omogeneità, la facile accessibilità, nonché la
conformità ai documenti originali in possesso dell'amministrazione,
l'indicazione della loro provenienza e la riutilizzabilità secondo
quanto previsto dall'articolo 7”
Interessante, nella prospettiva della trasparenza ma anche in quella
dell’open data, la previsione contenuta nel secondo comma dello stesso
art. 6, in base alla quale, mutuando il linguaggio del Vademecun Open
data, potremmo dire che è preferibile un dato realmente “aperto”
(linked open data), ma comunque l’importante è che il dato, ancorché
“grezzo”, ci sia (Raw data now). Qui il ragionamento è più generale,
non relativo al solo carattere “aperto” dei dati, ma la linea di riflessione
pare analoga:
Art. 6, comma 2. “L'esigenza di assicurare adeguata qualità delle
informazioni diffuse non può, in ogni caso, costituire motivo per
l'omessa o ritardata pubblicazione dei dati, delle informazioni e dei
documenti”.
.
9. Il “problema” della privacy
Disponibilità dei dati pubblici non significa però automatica
condivisione di tutte le informazioni o accesso indiscriminato alle
stesse. I limiti alla conoscibilità dei dati rimangono quelli previsti dalle
leggi e dai regolamenti vigenti anche con riferimento alla riservatezza
dei soggetti a cui i dati si riferiscono (che andrà garantita ai sensi del
D. Lgs. n. 196/2003, Codice in materia di protezione dei dati
personali). Il rispetto della riservatezza degli individui e delle imprese
è infatti una condizione per assicurare l’approvazione da parte dei
cittadini per le operazioni di apertura dei dati pubblici, oltre che
presupposto per conservare la fiducia degli individui nei confronti
delle istituzioni.
Tuttavia, la privacy non deve essere vissuta come un ostacolo
insormontabile nel processo di apertura delle informazioni del settore
pubblico. Infatti, la gran parte dei dati pubblici (basti pensare alle
cartografie, oppure alle informazioni relative all’inquinamento) non
possono essere classificati come personali, in quanto - cioè - non
riconducibili ad un soggetto. In tutti gli altri casi, la privacy può essere
efficacemente tutelata pubblicando i dati in forma anonima o
comunque adottando tutte le cautele idonee a evitare che i soggetti cui
i dati si riferiscono (siano essi individui, imprese, associazioni e Enti)
possano essere identificati.
Tale impostazione è confermata da quanto affermato dal Garante
Privacy nel provvedimento n. 88/2011 (le Linee guida che abbiamo già
esaminato) nel quale è confermato che il perseguimento della finalità
di trasparenza dell'attività delle Pubbliche Amministrazioni può
avvenire anche senza l'utilizzo di dati personali.
Secondo il Garante, infatti, “non si ravvisa la necessità di adottare
alcuna specifica cautela qualora le pubbliche amministrazioni
ritengano di pubblicare sul sito web informazioni non riconducibili a
persone identificate o identificabili”.
Di conseguenza, è opportuno che le Amministrazioni – nell’attività di
apertura dei dati che detengono - valutino quali accorgimenti porre in
essere al fine di evitare la diffusione di dati personali, senza
pregiudicare le finalità di trasparenza e di comunicazione alla base
dell’Open Data.
Una soluzione che salvaguardia maggiormente le ragioni della
“openess” rispetto a quelle della privacy si presenta con riferimento al
regime dei dati “pubblici” perché oggetto di previsioni di legge che ne
impongono la pubblicazione obbligatoria (di cui al decreto 33 del
2013).
Rispetto alle indicazioni elaborate dal garante, che nei suoi documenti
(per tutti, nelle Linee guida del 2011) mostra grande resistenza a
meccanismi propri del fenomeno open data, come la rintracciabilità
mediante motori di ricerca, il decreto “trasparenza”, n. 33 del 2013,
pone un solido riferimento a favore dell’apertura dei dati pubblici,
anche laddove il dato oggetto di pubblicazione obbligatoria sia, al
contempo, “personale” (purché non sensibile o giudiziario).
Secondo l’art. 4 del decreto, infatti, gli obblighi di pubblicazione dei
dati personali diversi dai dati sensibili e dai dati giudiziari, non solo
comportano la possibilità di una diffusione dei dati attraverso siti
istituzionali, ma anche “il loro trattamento secondo modalità che ne
consentono la indicizzazione e la rintracciabilità tramite i motori di
ricerca web ed il loro riutilizzo” .