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COMUNE DI CASTELLO DI CISTERNA

PIANO COMUNALE

DI EMERGENZA

per le attività di previsione, prevenzione e soccorso in

materia di Protezione Civile

N° ELAB.

EL.1

Il Responsabile del Procedimento

DATA

2015

PROVINCIA DI NAPOLI

D A T A 2 0 1 5

RELAZIONE TECNICO-ILLUSTRATIVA

Il Progettista

ELABORATI DESCRITTIVI

Sommario

PREMESSA.......................................................................................................................................................... 3

Quadro Normativo di Riferimento Nazionale ................................................................................................ 8

Quadro Normativo di Riferimento Regionale ................................................................................................ 9

Documentazione ......................................................................................................................................... 10

PARTE GENERALE ............................................................................................................................................. 11

Dati di base territoriali ................................................................................................................................. 11

Popolazione ................................................................................................................................................. 12

Infrastrutture di trasporto ........................................................................................................................... 17

Infrastrutture dell’energia e Servizi Essenziali ............................................................................................ 17

Clima ............................................................................................................................................................ 19

Edifici strategici, di interesse pubblico e sensibili ....................................................................................... 22

Geologia e geomorfologia del territorio comunale2 ................................................................................... 25

Carta geomorfologica e della stabilità’ ........................................................................................................ 29

Caratteristiche idrogeologiche e idrologiche .............................................................................................. 30

Carta idrogeologica ...................................................................................................................................... 33

Caratteristiche geologiche del territorio comunale .................................................................................... 35

Carta dell’uso ............................................................................................................................................... 40

La legenda della carta dell’uso agricolo del suolo ....................................................................................... 42

Stima degli alloggi esistenti sul territorio comunale2 .................................................................................. 44

RISCHIO E PERICOLO ........................................................................................................................................ 46

RISCHIO INCENDI BOSCHIVI ............................................................................................................................. 49

RISCHIO INCENDI DI INTERFACCIA ................................................................................................................... 53

RISCHIO VULCANICO ........................................................................................................................................ 63

Prime indicazioni per la determinazione dei carichi verticali conseguenti alla ricaduta di ceneri vulcaniche

..................................................................................................................................................................... 65

RISCHIO SISMICO ............................................................................................................................................. 67

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Caratterizzazione sismica e zonazione del territorio in prospettiva sismica * ........................................... 67

CARTA MICROZONAZIONE SISMICA ............................................................................................................ 78

IL RISCHIO IDROGEOLOGICO ........................................................................................................................... 81

RISCHIO INDUSTRIALE RILEVANTE ................................................................................................................... 88

INQUADRAMENTO NORMATIVO ................................................................................................................. 90

INDUSTRIE A RISCHIO RILEVANTE SUL TERRITORIO DI CASTELLO DI CISTERNA ......................................... 93

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PREMESSA

Il Piano di Emergenza Comunale di Protezione Civile è il documento che descrive il modello

organizzativo della risposta operativa ad eventi che, nell’ambito del territorio comunale,

possono produrre effetti dannosi nei confronti delle persone, dell’ambiente e del patrimonio.

Il Piano, sulla base di modelli di riferimento, determina le strategie dirette alla riduzione del

danno, al soccorso ed al superamento dell'emergenza.

La stesura completa di un Piano di Emergenza Comunale richiede uno studio dettagliato del

territorio con l’individuazione delle aree soggette ai rischi, nonché la conoscenza del

patrimonio edilizio esistente, sia pubblico che privato.

Altro aspetto fondamentale è la possibilità di poter disporre di attrezzature idonee al

rilevamento delle soglie di rischio e dei “fenomeni precursori” degli eventi, essenziali ai fini

della prevenzione e di una migliore tempestività degli interventi.

Tenuto conto che l’Ente comunale di Castello di Cisterna (NA), ad oggi, non è a conoscenza di

tutti i dati basilari per la stesura del Piano (quelli reperiti andrebbero poi verificati) e

nemmeno è dotato di una struttura in grado di effettuare il rilievo degli stessi, nella redazione

del presente Piano di Emergenza si è proceduto con l’intento di dotare questa

Amministrazione di uno strumento che indichi l’organizzazione necessaria affinché il

personale delle strutture operative, possa fronteggiare al meglio le varie fasi emergenziali.

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L’aspetto principe per una buona utilizzazione del Piano redatto, resta in ogni caso la sua

divulgazione capillare alla popolazione, la quale, nei casi emergenziali, potrà partecipare

fattivamente e in modo collaborativo.

In conformità all’art. 15 della Legge 225/1992 ed all’art. 108 del D. Lgs. 112/1998, il Sindaco è

l’Autorità comunale di Protezione Civile e, pertanto, ha il compito di gestire e coordinare i

soccorsi e l’assistenza alla popolazione, dando attuazione alla pianificazione di Protezione

Civile.

In quest’ottica ogni Comune, secondo la normativa italiana, ha l’onere di predisporre un Piano

di Protezione Civile, i cui obiettivi prioritari sono i seguenti:

1. Individuare i rischi presenti nel proprio territorio, attraverso l’analisi di dettaglio delle

caratteristiche ambientali ed antropiche della zona. Tale attività permette di individuare degli

scenari di riferimento sui quali basare la risposta di Protezione Civile.

2. Affidare responsabilità e competenze, che vuol dire saper rispondere alla domanda “chi

fa/che cosa”. L’individuazione dei responsabili, se pianificata, permette di non trovarsi

impreparati al momento dell’emergenza e di diminuire considerevolmente i tempi di

intervento.

3. Definire la catena di comando e controllo e le modalità del coordinamento organizzativo,

tramite apposite procedure operative, specifiche per ogni tipologia di rischio, necessarie

all’individuazione ed all’attuazione degli interventi urgenti. Definire la catena di comando e

controllo significa identificare: chi prende le decisioni, a chi devono essere comunicate, chi

bisogna attivare e quali enti/strutture devono essere coinvolti.

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4. Istaurare un sistema di allertamento, cioè definire le modalità di segnalazione di

un’emergenza e di attivazione delle diverse fasi di allarme, per ciascuna tipologia di rischio.

Tale attività è connessa all’organizzazione del presidio operativo.

5. Individuare le risorse umane e materiali necessarie per fronteggiare e superare la

situazione di emergenza: quali e quante risorse sono disponibili e come possono essere

attivate.

Come accennato in premessa, tra la normativa regionale è doveroso aggiungere la Delibera di

Giunta Regionale della Campania n.146 del 27/05/2013 che tra l’altro approva le Linee Guida

per la Redazione dei Piani di Emergenza Comunali.

Nell'ambito del quadro ordinamentale, di cui alla normativa vigente in materia di autonomie

locali alla Prefettura spetta, nell’ambito del territorio provinciale, la direzione dei servizi di

soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite dalla calamità ed inoltre essa coordina le

attività svolte da tutte le amministrazioni pubbliche, dagli enti e dai privati.

Il Prefetto, fermo restando quanto previsto dall’art. 14 della legge 225/1992 e s.m.i., che in

sede locale rappresenta il Governo, assicurerà agli enti territoriali il concorso dello Stato e le

relative strutture periferiche per l’attuazione degli interventi urgenti di protezione civile,

attivando tutti quei mezzi ed i poteri di competenza statale, e realizzando in tal modo quella

insostituibile funzione di “cerniera” con le ulteriori risorse facenti capo agli altri enti pubblici.

Al Prefetto spetta, altresì, la competenza esclusiva nella pianificazione dell’emergenza esterna

per il rischio industriale e nelle emergenze di difesa civile (attività di emergenza poste in

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essere in occasione di crisi causate da situazioni che mettono in pericolo la sicurezza dello

Stato, fino all’ipotesi estrema della guerra).

Le Regioni possono approvare con propria deliberazione il piano regionale di protezione civile,

che può prevedere criteri e modalità di intervento da seguire in caso di emergenza sulla base

delle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile e il ricorso a un

piano di prevenzione dei rischi. Il piano regionale di protezione civile può prevedere,

nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l’istituzione di un fondo, iscritto nel

bilancio regionale, per la messa in atto degli interventi previsti dal medesimo piano per

fronteggiare le prime fasi dell’emergenza. Alla Regione spetta, inoltre, la competenza in

ordine all’attività di predisposizione dei programmi di previsione, prevenzione ed attuazione

degli interventi urgenti in caso di calamità e di quelli necessari a garantire il ritorno alle

normali condizioni di vita, unitamente alla formulazione degli indirizzi per la predisposizione

dei piani comunali di emergenza; svolge, altresì, le funzioni relative allo spegnimento degli

incendi boschivi. Gestisce gli interventi per l’organizzazione e l’utilizzo del volontariato di

protezione civile, per il quale è previsto un apposito albo regionale.

La Provincia spetta la competenza in ordine all’attuazione delle attività di previsione e

prevenzione previste dai relativi piani regionali, oltre che la vigilanza sulla predisposizione dei

servizi urgenti, anche di natura tecnica, da parte delle strutture provinciali di Protezione Civile.

Ai Comuni spetta l’attribuzione, nell’ambito territoriale di competenza ed in quello

intercomunale, di funzioni analoghe a quelle conferite alle amministrazioni provinciali, nonché

l’ulteriore compito relativo all’attivazione dei primi soccorsi necessari a fronteggiare

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l’emergenza. In modo particolare provvedono alla predisposizione ed all’attuazione, sulla base

degli indirizzi regionali, dei piani comunali di emergenza ed alla predisposizione di misure atte

a favorire la costituzione e lo sviluppo, sul proprio territorio, dei gruppi comunali e delle

associazioni di volontariato di Protezione Civile. Per quanto riguarda le aziende a rischio di

incidente rilevante, i comuni sono tenuti a fornire l’informazione alla popolazione sulle

procedure da seguire in caso di evento che interessi l’area esterna agli stabilimenti individuati

dalla pianificazione di emergenza.

Il Sindaco rappresenta l'autorità comunale di Protezione Civile. Al verificarsi dell'emergenza

nell'ambito del territorio comunale, il Sindaco assume la direzione e il coordinamento dei

servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite e provvede agli interventi necessari

dandone immediata comunicazione al Prefetto e al Presidente della Giunta Regionale.

Quando la calamità naturale o l'evento non possono essere fronteggiati con i mezzi a

disposizione del Comune, il Sindaco chiede l'intervento di altre forze e strutture al Prefetto ed

al sistema di Protezione Civile, che adotta i provvedimenti di competenza, coordinando i

propri interventi con quelli dell'autorità comunale di Protezione Civile. Il Sindaco si avvale del

Centro Operativo Comunale C.O.C. per la direzione ed il coordinamento dei servizi di soccorso

e di assistenza alla popolazione colpita.

Il C.O.C., così come meglio specificato e descritto in seguito, segnala alle Autorità competenti

l’evolversi degli eventi e delle necessità, coordina gli interventi delle squadre operative

comunali e dei volontari ed informa la popolazione. Il C.O.C. è composto da dipendenti del

Comune che, per le ordinarie funzioni svolte, per la professionalità acquisita nei vari e distinti

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ruoli ricoperti, per la tipologia dei servizi erogati e per la gestione delle risorse e delle

infrastrutture comunali, rispondono al meglio per ricoprire le funzioni di supporto della

Pianificazione Comunale.

Quadro Normativo di Riferimento Nazionale

Legge 8 dicembre 1970, n° 996 – Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite

da calamità –Protezione Civile.

D.P.R. 6 febbraio 1981, n° 66 – Regolamento di esecuzione della Legge 996/70, recante

norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità.

Legge 11 agosto 1991, n° 266 – Legge Quadro sul Volontariato.

D.P.R. 194/2001;

Legge 24 febbraio1992, n° 225 – Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile.

D. lgs. 31 marzo 1998, n° 112 – Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello

Stato alle Regioni ed agli Enti Locali, in attuazione della L. 15 marzo 1997, n°59;

Titolo III–Territorio, Ambiente e Infrastrutture

Capo I – Art. 51; Capo VIII – Protezione Civile – Art. 108; Capo IX – Disposizioni finali – Art.

111. Servizio meteorologico nazionale distribuito;

Titolo IV– Servizi alla Persona e alla Comunità;

Capo I – Tutela della salute – Art. 117 - Interventi d'urgenza.

Legge 21 novembre 2000, n. 353 – Legge quadro in materia d’incendi boschivi;

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Decreto Legge n° 343 del 7 settembre 2001 - convertito con la Legge 9 novembre 2001, n°

401, “Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte

alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa

civile”;

DPCM 20 dicembre 2001 – Linee guida ai piani regionali per la lotta agli incendi boschivi;

Decreto Legge n° 90 del 31 maggio 2005, convertito in Legge 152 del 26 luglio 2005;

Atto del Presidente del Consiglio dei Ministri, recante ”Indirizzi operativi per fronteggiare il

rischio incendi boschivi” per la stagione estiva 2007 (Prot. Nr. 1947/2007/PCM)

OPCM 3606/2007 – Incendi d’interfaccia.

Decreto Legge n. 59 del 15 maggio 2012 convertito dalla legge n. 100 del 12 luglio 2012-

Disposizioni urgenti per il riordino dell a Protezione Civile.

Quadro Normativo di Riferimento Regionale

DPR 554/99 art. 147;

Legge Regionale 11 agosto 2001, n. 10- Art.63 commi 1,2 e 3; sostituita dalla L.R. n°3/2007

art. 18;

Nota del 6 marzo 2002 prot. n.291 S.P. dell'Assessore alla Protezione Civile della Regione

Campania, in attuazione delle delibere di Giunta Regionale n.6931 e n. 6940 del 21 dicembre

2001, ha attivato la "Sala Operativa Regionale Unificata di Protezione Civile";

Delibera di Giunta Regionale n° 6932 del 21 dicembre 2002 – individuazione dei Settori ed

Uffici Regionali attuatori del Sistema Regionale di Protezione Civile;

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Delibera di Giunta Regionale n° 854 del 7 marzo 2003 – Procedure di attivazione delle

situazioni di preemergenza ed emergenza e disposizioni per il concorso e coordinamento delle

strutture regionali della Campania;

D.P.G.R. n. 299/2005 – Sistema di allertamento regionale per il rischio idrogeologico e delle

frane;

DGR n. 1094 del 22 giugno 2007- Piano Regionale per la Programmazione delle Attività di

Previsione Prevenzione e Lotta Attiva contro gli Incendi Boschivi.

Linee Guida per la Redazione dei Piani di Emergenza Comunale –Delibera Giunta Regionale

della Campania n. 146 del 27/05/2013.

Documentazione

“Metodo Augustus” –Linee guida per la pianificazione di Protezione Civile a livello

provinciale e comunale – Dipartimento della Protezione Civile (1998);

“Criteri di massima per la pianificazione provinciale e comunale di emergenza” –

Dipartimento della Protezione Civile, 2000;

Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Napoli;

Piano Urbanistico Comunale

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PARTE GENERALE

Dati di base territoriali

Castello di Cisterna è un comune campano, in provincia di Napoli, con più di settemila abitanti.

Sorge fra il Lagno Campagna, il Lagno Spirito Santo e il Lagno di Somma, canali dei bacini di

bonifica del fiume Clanio nel cuore della pianura campana.

Il territorio Comunale di Castello di Cisterna in Provincia di Napoli ha una Estensione territoriale di

3,97 kmq. Il territorio comunale è situato al una altezza s.l.m minima di 26 m e massima di 58 m

Figura 1 Dati dei confini amministrativi dei Comuni d’Italia in formato shapefile forniti gratuitamente dall’Istat

relativi al censimento della popolazione 2001 nel sistema di riferimento ED_1950_UTM zona 32

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Il comune di Castello di Cisterna confina ad est con Brusciano, a Nord con Acerra, a Sud Somma

Vesuviana e ad Ovest Pomigliano d'Arco.

Di seguito si riporta una sintesi dei dati generali (Tab. 1) del comune di Castello di Cisterna:

DATI GENERALI

Comune Castello di Cisterna

Provincia Napoli

Autorità di Bacino (L.183/89) Autorità di Bacino Napoli Nord Occidentale

Comunità Montana (Legge regionale del 30-09-2008 n.12)

Il comune non partecipa ad alcuna Comunità Montana

Consorzio di Bonifica (Legge regionale del 25-02-2003 n. 4).

CONSORZIO GENERALE DI BONIFICA DEL BACINO INFERIORE DEL VOLTURNO

Sezione CTR 448063; 448064; 448091; 448051; 448052; 448104

Estensione territoriale

3,97 kmq

Distribuzione altimetrica del territorio comunale e della popolazione

Da quota 0 a 200 m s.l.m

Altitudine della casa comunale (m slm) 34

Latitudine 40° 54' 57,96'' N

Longitudine 14° 24' 25,56'' E

Casa Municipale Comune di Castello di Cisterna Via Vittorio Emanuele 158 80030 Castello di Cisterna NA

Comuni Confinanti Brusciano- Acerra- Somma Vesuviana- Pomigliano d'Arco

N° Foglio IGM 1:50.000 Tabella 1 Dati generali Comune di Castello di Cisterna

Popolazione

Il Comune di Castello di Cisterna accoglie una popolazione di 7.726 abitanti (fonte censimento

ISTAT 2014) (Tabb. 2 – 4; Fig. 1). I dati di seguito riportati in forma tabellare e grafica sono tratti

dai dati ISTAT.

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DATI DEMOGRAFICI (Anno 2013)

Densità per km² 1.970,21 ab./km².

Popolazione residente (N.) 7.726

Numero di abitazioni 2.376

Maschi Femmine Totale

Popolazione anni 0-17 941 794 1735

Popolazione anni 18-64 2385 2577 4962

Popolazione oltre 65 anni 402 514 916

Famiglie (N.) 2.630

Maschi (%) 49

Femmine (%) 51

Stranieri (%) 2

Età Media (Anni) 36,6

Tabella 2 Dati demografici ISTAT del Comune di Castello di Cisterna al 2013

Figura 2 Suddivisione della popolazione di Castello di Cisterna per fasce d'età

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BILANCIO DEMOGRAFICO (Anno 2013)

Popolazione al 1 gen. 7.613

Nati 115

Morti 52

Saldo naturale[1] 63

Iscritti 425

Cancellati 375

Saldo Migratorio[2] 50

Saldo Totale[3] 113

Popolazione al 31° dic. 7.726

Tabella 3 Bilancio demografico all'anno 2013

TREND POPOLAZIONE

Anno Popolazione (N.) Variarione % su anno prec.

2001 6.713 -

2002 6.852 2,07

2003 6.872 0,29

2004 6.947 1,09

2005 6.990 0,62

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2006 6.972 -0,26

2007 6.956 -0,23

2008 7.069 1,62

2009 7.177 1,53

2010 7.435 3,59

2011 7.488 0,71

2012 7.613 1,67

2013 7.726 1,48

Tabella 4 Popolazione residente del Comune di Castello di Cisterna dal 2001 al 2013

TREND FAMIGLIE

Anno Famiglie (N.) Variazione % su anno prec. Componenti medi

2004 1.731 - 4,01

2005 1.742 0,64 4,01

2006 1.766 1,38 3,95

2007 1.798 1,81 3,87

2008 1.852 3 3,82

2009 1.916 3,46 3,75

2010 2.004 4,59 3,71

2011 2.467 23,1 3,04

2012 2.539 2,92 3

2013 2.630 3,58 2,94

Tabella 5 Famiglie residenti del Comune di Castello di Cisterna dal 2001 al 2013

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POPOLAZIONE PER ETÀ (Anno 2013)

MASCHI FEMMINE TOTALE

Classi (n.) % (n.) % (n.) %

0 - 2 anni 181 4,86 136 3,5 317 4,16

3 - 5 anni 154 4,13 150 3,86 304 3,99

6 - 11 anni 296 7,94 254 6,54 550 7,22

12 - 17 anni 310 8,32 254 6,54 564 7,41

18 - 24 anni 371 9,95 366 9,42 737 9,68

25 - 34 anni 526 14,11 617 15,88 1.143 15,01

35 - 44 anni 605 16,23 642 16,53 1.247 16,38

45 - 54 anni 501 13,44 543 13,98 1.044 13,71

55 - 64 anni 382 10,25 409 10,53 791 10,39

65 - 74 anni 277 7,43 311 8,01 588 7,72

75 e più 125 3,35 203 5,23 328 4,31

Totale 3.728 100 3.885 100 7.613 100 Tabella 6 Popolazione del Comune di Castello di Cisterna suddivisa per fasce d'età per l'anno 2013

Dalle tabelle e dai grafici riportati si denota come la popolazione sia cresciuta in maniera stabile

dal 2001 al 2013 (Tab.4), con un lieve calo dal 2006 al 2007 ed una ripresa fino al 2013.

La tabella sulla suddivisione per fasce d’età (Tab.6) evidenzia che la sommatoria tra over 65 ed

under 12 costituisce il 37% della popolazione a maggior necessità di aiuto in caso di eventuali

emergenze.

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Infrastrutture di trasporto

Di seguito si riportano i recapiti telefonici dei gestori delle principali società gestori della viabilità e servizi

annessi del territorio comunale di Castello di Cisterna:

Ente gestore Telefono Fax/e-mail

Comune di Castello di Cisterna – Ufficio

Polizia Municipale Via Vittorio Emanuele

222 - 80030 Castello Di Cisterna (NA)

081 8032228 081 8032228

e-mail:

[email protected]

Comune di Castello di Cisterna – Ufficio

Tecnico

081 8033810

081 8033384

081 3177439

[email protected]

Caserma carabinieri

Via Miccoli n°14

081 8844407

081 8844022

Circumvesuviana s.r.l. 800211388 Posta Elettronica Certificata:

[email protected]

ANAS S.p.A. 081 7356111 Fax: 081 7536224

Tabella 7 Elenco Enti gestori viabilità e servizi sicurezza del territorio comunale di Castello di Cisterna (NA).

Infrastrutture dell’energia e Servizi Essenziali

Sul territorio comunale sono presenti le seguenti reti tecnologiche di servizio all’urbanizzato e in

particolare:

rete fognaria;

rete di distribuzione idrica principale;

rete distribuzione elettrica;

rete telefonica.

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Di seguito si riporta una tabella riepilogativa degli Enti Gestori dei suddetti servizi nel territorio

comunale di Castello di Cisterna (Tab. 6):

Ente gestore Telefono Fax/e-mail

Rete acquedottistica e rete

fognaria. Servizio Idrico Integrato

GORI Gestione Ottimale Risorse

Idriche

Sede legale e direzione Generale:

Via Trentola, 211– 80056 Ercolano

N° verde emergenze 800218270 Fax della Sede Legale

e Direzione Generale:

081 7884560

Servizi elettrici

Terna S.P.A:

Via Aquilieia 8 - Napoli

Sede di Napoli – Tel: 0813454469

N° verde nazionale per emergenze:

800999666

Email: [email protected]

Servizi elettrici Utenze

ENEL Distribuzione S.P.A.

ENEL Distretto Campania

Centro Direzionale Isola G3

80143 - Napoli NA

N° verde nazionale 800 900 800

N° verde nazionale 803 500

N° Distretto Campania 081 783 11 11

Rete telefonica Servizi telefonici e

Telecomunicazioni Telecom Italia

S.p.A.

Centro Direzionale Isola F6

80143 Napoli NA

800315429: Numero Verde per

richieste di Spostamento pali – cavi ed

altre infrastrutture di Telecom Italia;

800415042: Numero Verde per

segnalazioni di Pericoli pali, cavi e

infrastrutture di Telecom Italia;

800133131: Numero Verde per

richieste Cartografie/sopralluogo per

segnalazione impianti Telecom Italia;

Tabella 8 Elenco Enti gestori Reti tecnologiche del territorio comunale di Castello di Cisterna (NA).

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COMUNE DI

CASTELLO DI CISTERNA (NA)

19

La GORI gestisce nel territorio comunale di Castello di Cisterna 25 km di rete idrica e 14 km di rete

fognaria per un numero di utenti pari a 2642. Il Comune di Castello di Cisterna viene alimentato

dall'acquedotto della Regione Campania con le acque provenienti da San Clemente.

Per la verifica della qualità delle acque distribuite nel comune di Castello di Cisterna si eseguono

periodici prelievi in diversi punti della rete idrica cittadina, concordati con l'Azienda Sanitaria

Locale Napoli 3 Sud.1

L’ENEL ha redatto per tutto il territorio nazionale il Piano Salva Black – Out - Piano di Emergenza

per la Sicurezza del Sistema Elettrico (PESSE) predisposto per ridurre, in caso di necessità, i carichi

di energia elettrica in maniera programmata, per evitare che si verifichino blackout incontrollati. Il

piano viene applicato da Enel Distribuzione su disposizione di Terna. Ad oggi il piano per il Comune

di Castello di Cisterna non risulta consultabile on – line al sito dell’ENEL

Clima

In generale le condizioni climatiche del territorio comunale di Castello di Cisterna sono quelle

tipiche delle regioni a clima mediterraneo, con una chiara bi – stagionalità caratterizzata da estati

calde e asciutte ed inverni miti e piovosi. Le medie invernali sono di poco superiori ai 10 °C, nelle

aree pianeggianti e costiere, fino a minimi eccezionali sottozero. Le medie estive si aggirano

intorno ai 26°C con valori massimi anche di 39°C. Le piogge sono ben distribuite nell’arco

dell’anno.

1 Dati reperiti sul sito della GORI http://www.goriacqua.com/

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COMUNE DI

CASTELLO DI CISTERNA (NA)

20

Il territorio comunale di Castello di Cisterna rientra nella zona climatica C (D.P.R. n. 412 del 26

agosto 1993 pg 135), ovvero in quella che interessa i Comuni che presentano un numero gradi-

giorno maggiore di 900 e non superiore ai 1400.

Più in dettaglio possiamo affermare che esiste maggiore piovosità in inverno che in estate. Il clima

è stato classificato come Csa secondo Köppen e Geiger.

Temperatura media di 15.7 °C.

Piovosità media annuale di 915 mm.

Il mese più secco è Luglio con 23 mm. Novembre è il mese con maggiore piovosità, avendo una

media di 141 mm. Con una temperatura media di 23.7 °C, Agosto è il mese più caldo dell'anno.

Con una temperatura media di 8.5 °C, Gennaio è il mese con la più bassa temperatura di tutto

l'anno. Se compariamo il mese più secco con quello più piovoso verifichiamo che esiste una differenza di

Precipitazioni di 118 mm. Le temperature medie variano di 15.2 °C durante l'anno.

CASTELLO DI

CISTERNA

Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Anno

T. max. media(°C) 13 13,5 15,7 18,1 23 26,7 29,9 30,3 26,6 22,1 17,1 14,1 20,8

T. min. media(°C) 4,4 4,5 6,3 8,4 12,6 16,2 18,8 19,1 16 12,1 7,8 5,6 11

Precipitazioni(mm) 92,1 95,3 77,9 98,6 59 32,8 28,5 35,5 88,9 135,5 152,1 112 1 008,2

Giorni di pioggia 9 9 9 9 6 3 2 4 6 9 10 10 86

Umidità relativa

media(%)

75 73 72 72 72 72 70 71 73 74 76 76

Tabella 9 Dati climatici ( Stazione metereologica di Capodichino). Elaborazione su base trentennale dal 1971 al 2000

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COMUNE DI

CASTELLO DI CISTERNA (NA)

21

CASTELLO DI

CISTERNA

Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Anno

T. max.

assoluta (°C)

21,2 23 27,8 31 34,8 37,4 39 40 37,6 31,5 29,4 24,4 40

-

2001

-

1960

-

1981

-

2013

-

1988

-

1982

-

2012

-

1981

-

1946

-

2000

-

2004

-2000

T. min.

assoluta(°C)

-5,6 -4,5 -4 -1 1 7,1 11 11,4 5,6 2,6 -3,4 -4,6 -5,6

-

1981

-

1956

-

1963

-

2003

-

1957

-

1962

-

1959

-

1969

-

1971

-

1972

-

1973

-1986

Tabella 10 Dati climatici (Stazione metereologica di Capodichino). Elaborazione su base sessantennale dal 1946-2013

Nella tabella 10 sono riportati i valori delle temperature estreme mensili registrate presso

la stazione meteorologica dal 1946 ad oggi. Nel periodo esaminato, la temperatura minima

assoluta ha toccato i -5,0 °C nel gennaio 1987, mentre la massima assoluta ha raggiunto i +40,0 °C

nell'agosto 1981.

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CASTELLO DI CISTERNA (NA)

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Edifici strategici, di interesse pubblico e sensibili

Gli edifici strategici sono quelle strutture all’interno delle quali vengono svolte funzioni nell’ambito

delle attività di Protezione Civile. Nel territorio comunale di Castello di Cisterna l’unico edifico

strategico è costituito dalla sede del Comune.

DENOMINAZIONE INDIRIZZO TELEFONO E FAX

SEDE COC

Casa Comunale Castello di

Cisterna

Via Vittorio Emanuele n° 158 081 8033810

Tabella 11 Edifici strategici

Gli edifici di interesse pubblico sono quegli edifici che, in caso di evento calamitoso e dopo

accertata fruibilità e funzionalità, sono potenzialmente utilizzabili per attività di Protezione Civile.

Per l’area di ammassamento e le aree di accoglienza sono state allegate delle schede di

approfondimento al presente lavoro. A questa categoria appartengono, ad esempio, edifici

scolastici, sedi di uffici comunali, strutture ricettive turistiche, impianti sportivi e di altro tipo come

ospedali, parcheggi privati, presidi ASL, Uffici Postali, etc.

DENOMINAZIONE TIPO INDIRIZZO TELEFONO CODICE

MECCANOGRAFICO

Deledda Ex 219 Scuola materna

(dell'infanzia)

Via Madonna

Stella Trav.

Cimabue

081 8033 415 NAAA84901P

I.C. Scuola materna

(dell'infanzia)

Via Selva 57/59 Tel 081 8034111

Fax 081 8846060

NAAA84900N

I.C. Rodari Scuola elementare

(primaria)

Via Manzoni 081 8846 925 NAEE84901X

I.C. Sciascia Scuola elementare

(primaria)

Via Giovanni XXIII NAEE849021

Alcide de Gaspari Scuola media

(secondaria di I

Via Selva n° 57/59 081 8034111 NAMM84901V

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23

grado)

I.C Scuola Superiore Via Selva n° 57/59 Tel 081 8034111

Fax 081 8846060

NAIC84900T

Ente Religioso

Vittime Espiatrici

Principessa Di

Piemonte

Scuola materna

(dell'infanzia)

Paritaria

Via Madonna

Stella n° 9

Tel 081 8841608

Fax 081 8841608

NA1A60600G

Tabella 12 Scuole

NOME INDIRIZZO TELEFONO E FAX CODICE

Farmacia Terracciano Pasquale Corso Vittorio Emanuele n° 65 081 8841785 12003

Tabella 13 Farmacie

Stazione Indirizzo Gestore

Castello di Cisterna (NA) Via Sandro Pertini Circumvesuviana

Tabella 14 Stazioni ferroviarie

NOME INDIRIZZO TELEFONO E FAX

Carabinieri Comando

Compagnia di Castello di

Cisterna

Via Cosimo Miccoli n°14 081 8844407

081 8844022

Comando Polizia Municipale Corso Vittorio Emanuele n° 222 081 8032228

Tabella 15 Forze dell'ordine

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24

DENOMINAZIONE INDIRIZZO

Centro polisportivo ex Delphinia Provinciale Madonna Stella

Campo da Calcio Comunale Via Selva

Tabella 16 Impianti sportivi

NOME INDIRIZZO TELEFONO E FAX

Hotel Quadrifoglio viale Kennedy n° 8

(presso l’ area Industriale di Pomigliano d’Arco )

Tel 081 8844222

Fax 081 8842090

Tabella 17 Strutture Ricettive

DENOMINAZIONE INDIRIZZO TELEFONO E FAX

Ufficio postale Via Vittorio Emanuele, 274-278 081 8841401

Tabella 18 Uffici postali

DENOMINAZIONE INDIRIZZO TELEFONO E FAX

S. Nicola Di Bari Via Parrocchia 081 8846287

Tabella 19 Edifici di culto

DENOMINAZIONE INDIRIZZO TELEFONO E FAX

Biblioteca Comunale Via Passariello ex plesso Romano 081 8848560

Tabella 20 Biblioteca

Gli edifici sensibili sono quei complessi edilizi che in caso di evento necessitano di particolare

attenzione per il controllo e l’evacuazione di beni e persone in essi presenti ad esempio scuole,

Uffici Postali, edifici di culto.

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25

Geologia e geomorfologia del territorio comunale2

Il territorio comunale di Castello di Cisterna si estende al raccordo tra le estreme pendici del

Monte Somma e la piana dei Regi Lagni. Da un punto di vista morfologico il profilo del rilievo si

presenta piuttosto regolare e generalmente con acclività molto bassa. Si distinguono nel

monotono andamento generale la blanda scarpata nel settore centro storico, a valle della ex via

Nazionale delle Puglie, e opere antropiche quali i rilevati stradali o gli scavi, ove non colmati, dalle

vecchie cave a fossa.

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26

L’evoluzione del paesaggio in quest’area è stato condizionato in modo determinante dai seguenti

effetti: accumulo dei prodotti dall’attività vulcanica del Somma-Vesuvio, protrattasi fino al 1944,

ora entrato in una fase di quiescenza. Alcuni depositi piroclastici non sono sedimentati

direttamente dall’evento esplosivo.

L’accumulo e le modalità di messa in posto di molti prodotti vulcanici, in particolare quelli per

scorrimento al suolo, anche per fenomeni di accumulo post-deposizionali (lahar), comportano il

transito e la deposizione lungo e allo sbocco di preesistenti settori di impluvio con l’occultamento

delle preesistenti linee di drenaggio. Le nuove linee tendono a ristabilirsi nel tempo sovente ai

margini del corpo di deposito. Il sovrapporsi di episodi deposizionali comporta quindi migrazioni e

deviazioni delle linee di deflusso con alterazione e modificazione ripetuta del reticolo idrografico e

dei settori di impluvio-displuvio. Per questi motivi nella parte bassa della pendice vulcanica,

l’azione di modellamento delle acque è risultata poco efficace nell’individuare linee di deflusso

incanalato nette e stabili e, di conseguenza,sottobacini morfo-idrografici sufficientemente definiti.

Il drenaggio è stato quindi storicamente demandato a canalizzazioni o percorsi preferenziali

artificiali.

Forme legate ad opere antropiche:

le aree di cave a fossa (Cava di Chiana, Cava del Passariello, Cava lungo la strada per

Somma Vesuviana, Cave presenti lungo il Corso V. Emanuele) che erano coltivate per il

prelievo di lava utilizzata come pietra per l’edilizia. Tale cave sono state riempite

parzialmente o totalmente ma non è possibile risalire all’effettiva estensione delle aree

cavate;

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CASTELLO DI CISTERNA (NA)

27

gli importanti rilevati dei principali assi stradali e altri rilevati minori dellaviabilità

provinciale, intercomunale e comunale (autostrada A3 Napoli-Bari, variante della S.S. n.

7bis, raccordi e gli svincoli per la zona industriale di Pomigliano-Acerra, gli assi mediani, il

Cis e l’autostrada AI Napoli-Roma);

gli interventi di riporto nei settori urbani e aree di accumulo di materiali di

discarica;interventi di terrazzamento e scavi in trincea (piccolo tratto della vecchia linea

Circumvesuviana a valle del centro storico e la linea Circumvesuviana nel tratto verso gli

stabilimenti Alfa-Lancia.

Il territorio comunale può essere suddiviso in alcuni settori morfologicamente omogenei:

Settore Meridionale è genericamente individuabile tra l’autostrada A30, Napoli Bari ei

confini meridionali (loc. Passariello) con quote del terreno prevalentemente comprese tra

60 e 45 m. s.l.m. e acclività medie naturali raramenti superiori al 2%;

Settore tra il rilevato dell’autostrada e il centro abitato rappresenta una morfologia

tabulare e acclività molto basse, inferiori al 2%, compreso tra quote che oscillano dai circa

46 m. a monte ai 38 m. nel settore orientale (loc. Chiana);

Settore del centro storico costituisce una fascia compresa tra il corso V. Emanuele e poco

oltre il vecchio tracciato della linea Circumvesuviana, caratterizzata dalla presenza di una

modesta scarpata naturale in corrispondenza della quale si registra un incremento delle

acclività talora marcato da piccoli salti morfologici terrazzati o rotture di pendenza. Questa

scarpata, poco leggibile a O dopo l’Autostrada, dove si passa da quote di circa 40 m. s.l.m. a

35 m. raggiunge il massimo differenziale all’altezza di via Roma dove tra il corso e l’area a

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28

valle della ferrovia dove si passa da circa 38 m. s.l.m. a 30 m.. Le quote più elevate,

superiori ai 42 m. si trova nell’area compresa a nord tra il municipio e la chiesa;

Settore settentrionale comprende la zona che termina sulla strada provinciale per Acerra e

presenta quote che oscillano prevalentemente tra 26 m. s.l.m. a nord e circa31 m. s.l.m. a

sud (loc. “Padulella”, “Cimminola”, “Tirone”). In questo settore le acclività medie naturali

non sono superiori al 5 per mille e si rinvengono alcune linee di drenaggio superficiale

connesse al sistema principale dei Regi Lagni.

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29

Carta geomorfologica e della stabilità’2

Tale carta è stata realizzata sintetizzando i risultati degli studi effettuati e inoltre la recepisce

integralmente la perimetrazione contenuta nel P.S.A.I.“Rischio Idraulico” redatto dall’Autorità di

Bacino Nord Occidentale. Il territorio comunale è stato, pertanto, diviso in zone con un differente

grado di stabilità rispetto alla presenza o meno di problematiche di tipo idrogeologico-

geomorfologico. Sono state, quindi, identificate:

• Aree stabili;

• Aree non caratterizzate da rischio idraulico.

Figura 3 Carta Geomorfologica e della stabilità (PUC)

Aree stabili- Rientra in questa area la totalità del territorio comunale caratterizzata da una

morfologia superficiale pianeggiante con leggero declivio verso sud. La stabilità dei terreni, pur di

natura sciolta, è assicurata dalle condizioni di giacitura ed i fenomeni erosivi, a causa delle

modeste pendenze e della regimazione efficiente delle acque superficiali, sono praticamente

assenti e le acque ruscellanti in superficie, non assorbite dai terreni permeabili, vengono

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30

incanalate in parte nelle fogne comunali ed in parte nel Lagno della Campagna che trova recapito

nei Regi Lagni.

Zone caratterizzate da rischio idraulico- Lungo il tracciato del Lagno Campagna si ha la presenza di

“punti di crisi idraulica” cioè una riduzione della sezione dell’alveo, in corrispondenza del Ponte

Cisterna, degli attraversamenti della strada statale N162 e della zona ASI. Qualsiasi intervento da

eseguire su l’area racchiusa in una circonferenza di diametro pari a 200 m. con centro nel punto di

crisi idraulica, tali zone saranno soggette a studi di compatibilità idraulica con rilievi e indagini di

dettaglio per accertare il livello di pericolosità ed il relativo grado di rischio.

Zone non caratterizzate da rischio idraulico- Rientrano tra queste le aree agricole prospicienti il

canale dei Regi Lagni caratterizzate da una probabilità di esondazione di moderata intensità, così

perimetrate nel P.S.A.I. Rischio Idraulico da esondazione dell’Autorità di Bacino Nord Occidentale.

Come si può osservare dalla carta stralcio il territorio comunale di Castello di Cisterna non rientra

in questo rischio infatti dopo la linea di confine rappresentata dal “Lagno del Confine” le aree

appartenenti al Comune di Acerra sono soggetti a rischio idraulico moderato.

Caratteristiche idrogeologiche e idrologiche2

Dal punto di vista idrogeologico la Piana Campana, in cui è inserita la zona esaminata, è un’unità

idrogeologica costituita da una spessa coltre di depositi vulcanici, alluvionali e marini, con

caratteristiche litologiche ed idrogeologiche molto diverse tra loro (figura n. 3). Questa

configurazione lito-stratigrafica connessa alla presenza delle strutture vulcaniche dei Campi Flegrei

e del Somma - Vesuvio, porta all’instaurarsi di flussi sotterranei complessi con presenza di più

falde sovrapposte e molte volte intercomunicanti. Le recenti ricerche strutturali, idrogeologiche e

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31

idrogeochimiche nell’area vesuviana hanno consentito distinguere ( CELICO et alii, 1997) un

“acquifero superficiale “ corrispondente all’area strettamente vulcanica ed un “acquifero

profondo “corrispondente ai rilievi carbonatici fratturati e carnificati.

L’acquifero superficiale vulcanico presenta un deflusso radiale che in generale si adatta alla

morfologia del vulcano. Gli orizzonti acquiferi corrispondono ai livelli di lava fratturata, di scorie, di

pomici e lapillo. Alla periferia del vulcano è possibile ipotizzare un certo interscambio idrico

sotterraneo. L’acquifero profondo e/o principale è alimentato dalla ”Unità dei Monti di Avella-

Monte Vergine- Pizzo d’Alvano” posta a NE del territorio comunale. La predetta unità è troncata al

piede , lungo la direttrice Maddaloni–Cancello–Nola, da importanti linee tettoniche, che mettono

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CASTELLO DI CISTERNA (NA)

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in contatto l’acquifero calcareo con i depositi pliocenici e quaternari della Piana Campana.

L'acquifero principale della parte di “ piana” posta a NE di Napoli, dove è localizzato il territorio

studiato, è alimentato dalla struttura carbonatica dei monti di Avella, dall’infiltrazione diretta e

dalla struttura vulcanica del Somma - Vesuvio. Esso trova sede nel forte spessore di piroclastiti

sciolte, costituite da banchi di pomici, scorie, litici e sabbie grossolane che generalmente si

rinvengono a letto del "tufo grigio campano" che,quando presente, a causa del minor grado di

permeabilità relativo di esso rispetto ai restanti litotipi, si comporta da elemento di

semiconfinamento. Il territorio comunale di Castello di Cisterna sono presenti acque di falda

freaticache si rinvengono a profondità comprese tra 36 m. e poco meno di 5 m. di profondità

rispettivamente spostandosi da sud verso nord. Ad alimentare la falda nel nostro settore concorre

il complesso montuoso Somma-Vesuviano dove le acque di infiltrazione hanno deflusso

sotterraneo tendenzialmente radiale e centrifugo rispetto al settore calderico.

Da un punto di vista idrologico il settore di piana non presenta un declivio naturale e il suo

drenaggio è stato attuato con la realizzazione delle canalizzazione di bonifica dei Regi Lagni il cui

avvio risale al XVI secolo. Il drenaggio delle acque nell’area comunale di Castello di Cisterna

avviene attraverso canalizzazioni che, distribuite e raggiera,concorrono nel Lagno della Campagna;

questo proviene dall’area nolana, attraversa da NNE a SSW il territorio comunale, per poi deviare a

nord all’altezza degli svincoli Fiat-Alfa e dirigersi, in territorio di Acerra, verso il canale principale

dei “Regi Lagni”. In questo lagno hanno il loro recapito altri canali minori quali il “Lagno di Mezzo”

e il“Lagnolo” che corrono, quasi affiancati, in località Padulella e il “Lagno del Confine” che decorre

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CASTELLO DI CISTERNA (NA)

33

appunto lungo il confine con il territorio di Acerra. Il solo Lagno della Campagna è sede di deflusso

semipersistente di acque.

Carta idrogeologica2

Il risultato delle misure sono riportate sotto forma di isobate della falda freatica riferite al piano

campagna. L’andamento delle isobate ricostruite mostra quindi un decremento abbastanza

regolare della profondità passando dalle zone a monte a quelle a valle del territorio comunale.

Nella Carta idrogeologica (allegato n. 2 e figura n°4) viene stimato il grado di permeabilità

complessivo delle Unità litostratigrafiche e quindi nel sottosuolo comunale si possono distinguere

due settori: – uno meridionale più prossimo al Somma - Vesuvio, caratterizzato da una falda unica

in generale di tipo freatico, in cui gli acquiferi sono localizzati nei litotipi aventi permeabilità

relativa più elevata, in particolare i livelli lavici permeabili per fratturazione ed i livelli di pomici,

scorie e sabbioni vulcanici permeabili per porosità; tale falda a luoghi si rinviene in condizioni di

semiconfinamento quando il banco di lava, oltre essere poco fratturato, ha una potenza maggiore

di 20 metri.

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34

Figura 4 carta idrogeologica (PUC)

Il settore meridionale si caratterizza per un grado di permeabilità variabile da “medio - bassa” a

“medio - alto” . – uno settentrionale in cui la circolazione idrica sotterranea avviene nei livelli di

pomici, scorie, brecce vulcaniche e sabbie permeabili per porosità. In questa parte del territorio

comunale la presenza della formazione del tufo grigio campano, caratterizzato da un minor grado

di permeabilità relativa rispetto agli altri termini litologici, consente di distinguere due falde, una

in condizioni freatiche localizzata al di sopra del banco di tufo grigio e l’altra in condizioni di

semiconfinamento a letto del banco di tufo grigio stesso. L'alternanza, spesso disordinata, di

terreni a permeabilità medio - alta (sabbie, ghiaie, ecc.) con altri a permeabilità bassa (limi,

paleosuoli, ecc.), determina una circolazione idrica sotterranea "per falde sovrapposte"; la

distinzione delle falde non è sempre possibile in quanto esse sono tra loro interconnesse sia

attraverso il “flusso di drenanza” che attraverso le soluzioni di continuità dei sedimenti meno

permeabili. In realtà i corpi idrici più consistenti si rinvengono, il più superficiale, freatico, con

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CASTELLO DI CISTERNA (NA)

35

livello piezometrico compreso tra 20 e 23 metri slm ed il più profondo, semiconfinato, a

profondità comprese tra i 55 ed i 60 metri. I pozzi, ormai, attingono alle falde sottostanti il banco

di “tufo grigio campano” che in genere presentano una buona produttività e spesso hanno

caratteri di artesianità. La distinzione tra falde poste a diversa profondità è praticamente

impossibile a causa della non omogeneità che contraddistingue lo spessore, la granulometria, la

giacitura e l’estensione dei singoli strati che è conseguenza delle modalità di deposizione dei

terreni (carattere di unicità della falda).

Questo ultimo fatto è messo in evidenza dalla sufficiente concordanza dei livelli piezometrici dei

pozzi che pescano a diverse profondità. Nelle aree settentrionali del territorio comunale, cioè

quelle più prossime ai Regi Lagni, il "tufo grigio campano" risulta a luoghi assente in quanto

asportato da fenomeni erosivi e, in conseguenza, l'acquifero principale tende a raggiungere il

piano campagna ed a mescolarsi con l’acquifero vulcanico. Nelle stesse aree, peraltro, la presenza

diffusa di terreni fini di origine fluviopalustre tende a creare frequenti anche se discontinui

fenomeni di semiconfinamento. Anche qui la falda si presenta in più livelli (falde sovrapposte) in

corrispondenza dei terreni più grossolani variamente interconnessi. Il settore settentrionale si

caratterizza per un grado di permeabilità variabile da “bassa” a “medio - bassa” .

Caratteristiche geologiche del territorio comunale2

Il territorio del Comune di Castello di Cisterna é riportato nel Foglio 184 (Napoli)della carta

geologica d'Italia e si estende tra le estreme pendici settentrionali del complesso vulcanico Somma

- Vesuvio e il bacino dei Regi Lagni che occupa il settore sud-orientale della Piana Campana, al

margine occidentale della catena sud-appenninica. La costituzione geolitologica e l’assetto

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CASTELLO DI CISTERNA (NA)

36

tettonico del comune, come è stato già detto, derivano dai processi tettonici che hanno dato

origine alla “Piana Campana” e dall’attività dei campi Flegrei e del Somma-Vesuvio. Si rinvengono,

infatti, alternati e/o interdigitati prodotti , sia di deposizione primaria che secondaria, dei Campi

Flegrei e del Somma - Vesuvio nonché, nella parte settentrionale del territorio, sedimenti di facies

palustre e lacustre con terre nere, torbifere, ricche talvolta di molluschi dolcicoli.La predetta

variabilità, per quanto non consenta di ricostruire una successione di terreni unica per tutto il

territorio comunale, permette di ravvisare una certa omogeneità nella costituzione delle

successioni stratigrafiche.

Nelle successioni stratigrafiche del territorio comunale, infatti, possono essere individuati almeno

tre livelli guida: la cinerite addensata presente nei primi 3 metri di profondità, la tefrite leucitica

(ottavianite) presente nel settore centro-meridionale, secondo quanto emerso dai sondaggi a c.c.,

tra 2e 30 metri e l’Ignibrite Campana (Tufo Grigio Campano) del I periodo Flegreo presente in larga

parte del territorio comunale a profondità comprese tra 12 e 28 metri.

Tali livelli e le correlazioni tra i vari orizzonti piroclastici ricostruite con l’aiuto dei “paleosuoli”

consentono una migliore comprensione della geologia del territorio comunale. L’Ignibrite

Campana e’ presente in almeno l’ 85% del territorio comunale. Essa, Infatti, è presente in quasi

tutta la parte di territorio posta a sud mentre è localmente assente nelle parti più depresse del

territorio comunale in quanto probabilmente asportata da fenomeni erosivi. Essa ha generalmente

una consistenza litoide anche se non mancano sacche non litificate o scarsamente litificate; nelle

parti più profonde del banco prevale il colore grigio scuro con pomici grossolane nere mentre nelle

parti più superficiali il colore è giallo (zeolitizzazione).A partire dal Lagno della Campagna e man

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mano che si scende verso i Regi Lagni il tufosi rinviene talvolta degradato e scarsamente litificato;

il banco già assottigliato è a luoghi assente man mano che si procede verso le parti più depresse

del territorio.

Dal punto di vista litologico l’Ignibrite è costituita da una pasta cineritica, che in volume supera il

50%del volume totale, da pomici grigie di dimensioni di qualche centimetro nella parte più

superficiale e nere di dimensioni fino a un decimetro nelle parti più profonde del banco,da scorie e

subordinatamente da litici e cristalli di sanidino , plagioclasio, clinopirosseni e biotite. La tefrite

leucitica (lava) si rinviene nel settore centro-meridionale a profondità comprese tra 2 e 30 metri, a

tetto del tufo grigio campano( sondaggi S1, S2, S3). Per l’inquadramento stratigrafico della tefrite

leucitica si può far riferimento a scavi per estrazione di materiale sciolto eseguiti nel territorio.

Nei predetti scavi sono state osservate, purtroppo per brevi periodi, sezioni che dal piano di cava

presentano una colata di tefritica leucitica, scoriacea in sommità, che passa verso l’alto, con

l’interposizione di un paleosuolo, ad una sabbia addensata grigia con elementi lapidei riferibile alle

eruzioni del II Periodo Flegreo ( facies grigia del Tufo Giallo Napoletano).

La successione stratigrafica delle predette cave continua verso l’alto, con l’interposizione di un

paleosuolo, con le pomici di Agnano e di Astroni separate da paleosuoli. La serie continua verso

l’alto con un paleosuolo a cui segue una cinerite pisolitica addensata con aletto pomici grigio

verdognole e grigie (formazione delle pomici di Avellino) a cui segue ancora verso l’alto, separata

da un paleosuolo, una successione di piroclastiti riferibili all’attività più recente del Somma –

Vesuvio.

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La predetta successione conferma che la colata lavica appartiene con molta probabilità ad una

delle ultime effusioni del Somma Recente che secondo studi recenti sarebbero avvenute

antecedentemente alla deposizione del tufo giallo napoletano ( 12.000 b.p.). In mancanza di dati

più certi si può dire che la predetta lava è stata messa in posto, se come è stato accertato si

rinviene a letto del tufo giallo napoletano in facies grigia ( II periodo flegreo) ed a tetto del tufo

grigio campano,in un periodo compreso tra 39.000 e 12.000 anni fa. La lava, una tefrite leucitica a

tendenza basanitica (ottavianite), in sommità si presenta scoriacea e fratturata; osservata

macroscopicamente si notano in una massa di fondo grigio scura cristalli di leucite, augite, olivina.

La cinerite addensata (terramascolo) è presente in almeno il 75% del territorio comunale ad una

profondità compresa tra 1,50 e 3,00 metri; si tratta di una cenere pisolitica molto compatta che

presenta a letto, con l’intervallo di un “paleosuolo” di pochi centimetri, uno strato di pomici e

lapillo potente da 0.50 a 1,00 metri.

Nella tradizione edilizia locale la cinerite addensata rappresenta un tradizionale ed ottimo piano

fondale. Tale livello sembra riconducibile alla cosiddetta formazione delle pomici di Avellino (3.700

a. bp.). Nell’intervallo tra il tetto delI’Ignibrite Campana ed il letto della cinerite pisolitica

addensata si rinvengono i prodotti del II e del III Periodo Flegreo.

I prodotti del II Periodo Flegreo si presentano sotto forma di cinerite sabbiosa e/o sabbia limosa

con pomici e lapillo mentre i prodotti del III Periodo Flegreo più tipici sono le pomici di Agnano e

quelle di Astroni, presenti nel territorio comunale a profondità comprese tra 4 e 9 metri, separate

da un livello di limo sabbioso humificato. Nelle successioni stratigrafiche, infine, sono chiaramente

riconoscibili almeno n. 3 livelli humificati (paleosuoli ). Per quanto riguarda i terreni in

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affioramento, la costituzione geolitologica del territorio presenta poche variazioni da luogo a

luogo in quanto,trattandosi sempre di materiali rimaneggiati, la differenziazione è sempre

problematica e può con larga approssimazione essere tentata solo riferendosi alle condizioni

ambientali di deposizione e alla granulometria.

Nella parte di territorio centro-meridionale sono presenti prodotti piroclastici sciolti sabbioso

limosi e/o limoso sabbiosi più o meno rimaneggiati del Somma–Vesuvio e dell’attività più recente

dei Campi Flegrei; nella parte più meridionale del territorio prevalgono i prodotti rimaneggiati

prevalentemente del Somma - Vesuvio. Al di sotto dei predetti terreni ed entro la profondità di

3.50 metri è presente un livello di cinerite addensata pisolitica seguita, con l’interposizione di un

livello ossidato (paleosuolo), da pomici in matrice sabbiosa avente spessore compreso tra 0.30 e

1.50 m.

E’ presente,inoltre, a profondità compresa tra 2,0 m. e 30 m., un banco di tefrite leucitica a

tendenza basanitica con a tetto prima sabbia cineritica generalmente grigia e/o giallastra (facies

grigia del tufo giallo napoletano, II periodo flegreo) e dopo livelli di pomici in matrice sabbiosa e/o

sabbioso limosa separati da paleosuoli (pomici di Agnano e di Astroni, III periodo flegreo). A letto

della tefrite leucitica, infine, si rinviene generalmente un banco di tufo grigio campano ( I periodo

flegreo).

Nella parte di territorio settentrionale sono presenti prodotti piroclastici sciolti limosi e/o limoso

sabbiosi più o meno rimaneggiati del Somma - Vesuvio e dell’attività più recente dei Campi Flegrei;

nella parte più settentrionale dell’area prevalgono i prodotti limosi.

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Al di sotto dei predetti terreni si rinvengono terreni piroclastici, in sede e/o rimaneggiati,limosi

e/o sabbioso limosi e/o ghiaiosi con l’interposizione di livelli humificati (paleosuoli) con a letto, tra

le profondità di 13,00 e 18,00 metri, un banco di tufo grigio campano. In pratica, a parte l’assenza

del banco di tefrite leucitica, si ripete la successione stratigrafica dell’area posta più a sud.

Nell’area il livello di cinerite addensata pisolitica è presente entro i primi 2,50 m. metri di

profondità con uno spessore compreso tra 0.20 e 1.20 m. ed è seguito da un livello ossidato

(paleosuolo).

Nella parte più settentrionale del territorio, infine, i terreni affioranti sono costituiti da terreni

piroclastici limosi di deposizione secondaria e subordinatamente primaria e/o terre nere palustri

talvolta con molluschi dolcicoli con a letto un livello di cinerite addensata, avente spessore di pochi

decimetri, entro i primi 2.50 metri di profondità.

I terreni della parte di territorio testé descritta, infine, a partire dalla profondità di circa 3.00 metri,

si trovano immersi in falda.

Carta dell’uso2

La Carta dell’uso agricolo del territorio costituisce uno strumento indispensabile per valutare

l’impatto ambientale delle scelte urbanistiche, in riferimento alle caratteristiche produttive del

settore agricolo. Essa fornisce indicazioni utili per la fase programmatica di indirizzo ed espansione

colturale di determinate aree.

Con il presente studio, dopo aver delineato le caratteristiche del territorio e dell’agricoltura di

Castello di Cisterna, è stato esaminato lo sviluppo agricolo sulla base dei dati ISTAT dal 1982 al

2010. Il quadro che emerge è quello di un interesse sempre più scarso per il settore agricolo che,

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per la maggior parte delle superfici utilizzate, si conferma legato a metodologie produttive

tradizionali.

Al di là del leggero incremento nell’ultimo decennio della SAU censita e delle dimensioni medie

delle aziende, a fronte della riduzione del numero delle stesse, non emergono particolari iniziative

da parte di giovani e soprattutto, nuovi imprenditori. Si tratta di un’agricoltura estremamente

povera, principalmente non esercitata a titolo principale, ma al fine di incrementare i redditi da

altre attività. I rilievi effettuati, nel fare emergere notevoli differenze di superficie a favore dell’uso

agricolo, rendono certamente il quadro complessivo meno disastroso di quanto non faccia l’ultimo

Censimento.

Infatti, rispetto alla Superficie territoriale comunale, si passa dal 7,62% al 40,08% di SAU. Se si

considera che tale percentuale va ridotta degli incolti e di tutte quelle superfici complesse che

poco significano in termini produttivi, si può ancora affermare che la superficie agricola interessa

circa 1/4 della superficie territoriale comunale. Per contro, circa l’utilizzazione dei terreni agricoli

rappresentata nell'elaborato grafico, prevalgono le colture ortive e industriali di pieno campo (il

46% della SAU), chiara espressione dello scarso livello di investimento, del più semplice indirizzo

verso canali commerciali tradizionali, e della propensione ad un basso rischio principalmente

legato ai limitati costi produttivi. Scarsissime le utilizzazioni floricole (sia in piena aria, che in

regime protetto), l’alto livello di produttività delle stesse per unità di superficie disponibile non

riesce a prevalere sulla scarsa propensione ad investire e ad aumentare il grado di specializzazione.

Il comparto frutticolo, sia in coltura specializzata che mista, arricchisce certamente la modesta

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utilizzazione agricola del suolo, con colture legate soprattutto alla tradizione locale, ma che

scontano la crisi generale che, negli ultimi tempi, sta caratterizzando il comparto stesso.

La situazione che si è andata delineando per il Comune di Castello di Cisterna, da un punto di vista

evolutivo del settore agricolo, certamente non dà adito a grosse prospettive di rilancio per il

futuro.

In una tale condizione, nell’ottica di una gestione responsabile del territorio, emerge la necessità

di salvaguardare l’agricoltura guardandone i soli effetti positivi sull’ambiente e sul paesaggio.

Appare, dunque, opportuno a tal fine, favorire l’attuazione degli interventi, sia pubblici che privati,

tesi a consolidare quanto più possibile il patrimonio agricolo, utilizzando anche le risorse recate

dalla mano pubblica.

La legenda della carta dell’uso agricolo del suolo2

In euritmia con gli indirizzi definiti nelle Linee guida per il paesaggio

in Campania, che sono parte integrante del Piano Territoriale

Regionale (PTR) si sono individuate le seguenti unità cartografiche:

A1 - Colture orticole e industriali di pieno campo

A2 - Arboreti specializzati

A3 – Arboreti tradizionali promiscui

A4 - Sistemi particellari complessi e colture promiscue

A5 - Colture protette con copertura fissa

A6 - Colture protette con copertura temporanea

A7 - Incolti produttivi

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A8 - Aree con evidenze di disturbo antropico

B1 - Aree verdi di pertinenza della rete idrografica superficiale

B2 - Aree verdi di pertinenza della rete infrastrutturale

B3 - Aree verdi di pertinenza di impianti sportivi e attrezzature pubbliche

C1 - Filari alberati

C2 - Parchi e giardini

C3 – Superfici residuali

D1 - Piazzali e superfici scoperte in ambito urbano

D2 - Superfici scoperte di pertinenza degli impianti tecnologici e produttivi

E1 - Corpi idrici

Figura 5 Carta d'Uso del Suolo (PUC)

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Quadro sinottico dell’utilizzazione dei suoli non urbanizzati e relative estensioni2

Stima degli alloggi esistenti sul territorio comunale2

Abitazioni occupate da residenti

Tab. – Censimento 2011 Popolazione/Abitazioni http://dati-censimentopopolazione.istat.it/

Numero di Abitazioni

(valore assoluto)

Superficie per occupante

delle abitazioni (mq.)

(valore medio)

Superficie delle

abitazioni (mq.)

(valore assoluto)

Numero di altri tipi di

alloggio

(valore assoluto)

2.393 29,69 220.403 7

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I dati riferiti ai modelli ISTAT, trasmessi dai cittadini via web, forniti dall’Ufficio Anagrafe, sono:

ABITAZIONI N° COMPONENTI N°

Abitazioni composte da 1 stanza 84 Componenti che vivono in alloggi

composti da 1 stanza

161

Abitazioni composte da 2 stanza 358 Componenti che vivono in alloggi

composti da 2 stanza

949

Abitazioni composte da 3 stanza 725 Componenti che vivono in alloggi

composti da 3 stanza

2366

Abitazioni composte da 4 stanza 394 Componenti che vivono in alloggi

composti da 4 stanza

1343

Abitazioni composte da 5 stanza 96 Componenti che vivono in alloggi

composti da 5 stanza

341

Abitazioni composte da 6 stanza e oltre 27 Componenti che vivono in alloggi

composti da 6 stanza e oltre

94

Con riferimento ai dati complessivi del Censimento 2011 relativi al numero di alloggi occupati (2400) e al

numero di famiglie che li occupano (2468) si evidenzia, in prima istanza, un deficit di 68 alloggi (2468

famiglie meno 2400 alloggi) rispetto al rapporto di 1 alloggio/famiglia da ritenersi ottimale e, quindi,

auspicabile.

_______________________________________________________________________________________

1 Dalla redazione dello studio geologico/tecnico del geol. Alessandro Amato nell’ambito delle

attività poste in essere dall’Amministrazione Comunale di Castello di Cisterna finalizzate alla redazione del

nuovo Piano Urbanistico Comunale.

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RISCHIO E PERICOLO

E’ noto che terremoti, alluvioni, eruzioni vulcaniche, frane, si manifestano quasi sempre, nei

territori dove in passato tali eventi hanno causato sistematiche distruzioni e disagi di ogni tipo alla

popolazione. Se la ciclicità è un fattore costante per un fenomeno calamitoso, l’entità del danno e

il tipo di soccorsi sono parametri variabili; per questo si dice che le emergenze non sono mai uguali

fra loro a parità di intensità dell’evento che si manifesta. Presupposto fondamentale dell’attività

di protezione civile è pervenire ad un adeguato livello di conoscenza dei fenomeni che interessano

il territorio, dei possibili scenari di evento ad essi collegati, dei rischi che questi comportano e della

possibilità di prevenire gli effetti sulla popolazione e sui beni. Ai fini dell’attività di protezione

civile, vengono presi in considerazione tutti i fenomeni, di origine naturale o antropica, in grado di

arrecare danno alla popolazione, alle attività, alle strutture e infrastrutture, al territorio. Gli eventi

emergenziali attesi, ovvero i fenomeni dannosi che ci si aspetta possano accadere in una certa

porzione del territorio entro un determinato periodo di tempo (tempo di ritorno), possono essere

distinti in due macrocategorie sulla base della possibilità di prevederne, con sufficiente

approssimazione e con il necessario anticipo, il verificarsi:

- evento non prevedibile: l’avvicinarsi o il verificarsi di tali eventi non è preceduto da alcun

fenomeno (indicatore di evento) che ne consenta la previsione.

- evento prevedibile: un evento si definisce prevedibile quando è preceduto da fenomeni

precursori.

Tale distinzione orienta fortemente l’azione di Protezione civile. Per gli eventi prevedibili, infatti, è

possibile agire già dalla fase di previsione sulla base degli indicatori di evento, ovvero dall’esame

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dell’insieme dei fenomeni precursori e dei dati di monitoraggio disponibili, per gli eventi attesi,

ma non prevedibili, la risposta di Protezione Civile può essere orientata esclusivamente alla

gestione dell’emergenza. Tra gli eventi prevedibili si annoverano principalmente quelli connessi

alle condizioni meteorologiche (alluvioni, gelate, ondate di calore, mareggiate), ma anche il rischio

vulcanico. Gli eventi imprevedibili sono di solito maggiormente connessi all’azione antropica

(incidente rilevante, incendi di interfaccia) oppure sono eventi di origine naturale per i quali le

attuali conoscenze scientifiche non consentono l’individuazione di fenomeni precursori

sufficientemente prossimi all’evento e/o attendibili (rischio sismico). La tabella seguente riporta

una classificazione degli eventi operata sulla base della durata del fenomeno e del tempo di

preallarme durante il quale è possibile osservare precursori di evento ed attivare misure di

intervento di carattere preventivo.

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Il territorio comunale è esposto a rischi di origine naturale ed antropica.

Per rischio del territorio si intende la possibilità che fenomeni naturali o indotti dalle attività

dell’uomo causino effetti dannosi sulla popolazione, agli insediamenti abitativi e produttivi, alle

infrastrutture di trasporto e di servizio all'interno di una particolare area in un determinato

periodo di tempo.

Il concetto di rischio non passa solo per la capacità di calcolare la probabilità che un evento

“pericoloso” accada, ma anche per quella di definire la quantità di danno provocato. Rischio e

pericolo, infatti, non sono la stessa cosa: il pericolo è rappresentato dall’evento calamitoso che

può colpire una certa area (la causa); il rischio è rappresentato dalle sue possibili conseguenze,

ovvero dal danno che ci si può attendere (l’effetto). Per valutare concretamente un rischio

pertanto, non è sufficiente conoscere il pericolo, ma occorre anche stimare attentamente il

“valore esposto” ovvero le differenti tipologie di beni presenti sul territorio che possono essere

coinvolte da un evento.

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RISCHIO INCENDI BOSCHIVI

La Legge Quadro n°353 del 21 novembre 2000 sugli incendi boschivi introduce i Piani Regionali per

la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi

boschivi, le cui linee guida sono state emanate con il DPCM 20 dicembre 2001 predisposto dal

Dipartimento della Protezione Civile.

Tale norma definisce incendio boschivo “un fuoco con suscettività ad espandersi su aree boscate,

cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture ed infrastrutture antropizzate poste

all’interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree”.

Oltre agli effetti diretti più noti di un incendio, può essere rappresentato dalla distruzione di

vegetazione e manufatti, gravi perdite faunistiche e non di rado da vittime umane, la caratteristica

degli incendi boschivi è di provocare conseguenze durature nel tempo.

La rimozione del soprassuolo vegetale espone il terreno all’azione battente della pioggia e il forte

riscaldamento dei primi centimetri di suolo provoca la distruzione della capacità di aggregazione

delle particelle di terreno favorendo i fenomeni di erosione idrica superficiale e modificando il

tempo di corrivazione all’interno dei bacini idrogeologici.

Il fuoco è il risultato di una rapida combinazione di combustibile, ossigeno (comburente) e

temperatura, necessaria per innescare il fenomeno. Tutti e tre i componenti sono necessari

contemporaneamente perché possa svilupparsi il fuoco.

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La lotta al fuoco deve concentrarsi sull’eliminazione di uno o più di questi fattori. Essendo la

disponibilità di ossigeno illimitata sulla superficie terrestre, la diffusione degli incendi viene

influenzata principalmente da tre fattori:

le condizioni metereologiche,

la morfologia del terreno,

il combustibile.

Le condizioni metereologiche che più influenzano la propagazione delle fiamme sono

rappresentate dal vento, dall’umidità e dalla temperatura.

Il vento in particolare ha generalmente influenze negative sullo spegnimento degli incendi:

apporta aria e quindi ossigeno che alimenta le fiamme; rimuove l’umidità; trasporta piccole

particelle vegetali in combustione attiva (provocando i cosiddetti “salti di faville”); rende

pericolosa, per l’imprevedibilità delle dinamiche della sua direzione e delle turbolenze, l’attività di

contrasto, spesso frastagliando l’incendio in diverse lingue. Rispetto al focolaio iniziale la presenza

di vento modifica la velocità di avanzamento del fronte del fuoco (o testa dell’incendio), che si

propaga più velocemente nella direzione del vento rispetto ad un fuoco che si sviluppa in assenza

di vento. Si noti che questo non significa che la velocità in controvento, in coda o lateralmente sia

nulla. Elevati tassi di umidità nel combustibile rendono difficile la combustione. Da ciò deriva che

di notte, quando l’umidità è assorbita dai vegetali ed i venti diminuiscono, il rischio diminuisce. In

presenza di rilievi le temperature influenzano gli incendi in stretta connessione con la morfologia

dei terreni e l’esposizione diretta dei versanti all’irraggiamento solare.

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L’irraggiamento diretto influisce fortemente sulle temperature e sull’umidità, generando

significative differenze tra i versanti dei rilievi esposti a sud e a ovest, che risultano generalmente i

più pericolosi rispetto a quelli esposti a nord ed a est. La pendenza del terreno genera una

diffusione del fuoco più rapida che in pianura. I motivi concorrenti a tale situazione sono diversi: la

massa vegetale sovrastante a quella che sta bruciando viene preriscaldata dalle fiamme a valle; il

dislivello genera un effetto camino alimentando meglio le fiamme; a causa delle pendenze il

materiale infiammato può rotolare o cadere a valle. Di solito il fuoco si propaga più velocemente in

salita che in discesa. I combustibili possono essere divisi in due gruppi: rapidi o lenti. I primi sono

soprattutto l’erba e le foglie secche, gli arbusti e le giovani piante resinose. I secondi le ceppaie e

ed i tronchi di diametro maggiore. In considerazione di tali elementi si comprende come da un lato

i periodi a maggior rischio di incendi boschivi per l’area di interesse siano quelli relativi a stagioni

climatiche secche, ovvero in estate, e che le zone più colpite siano quelle collinari del territorio

comunale dove più sono intensi i venti e l’irraggiamento solare.

Le cause principali degli incendi boschivi possono essere suddivise in due tipologie principali,

quelle che dipendono dalla presenza dell’uomo e quelle indipendenti dalla presenza dell’uomo (o

naturali). Le cause indipendenti dalla presenza dell’uomo più frequenti, anche se nel complesso

piuttosto rare, sono dovute alla caduta dei fulmini ed alle eruzioni vulcaniche. Le cause dipendenti

dalla presenza dell’uomo possono essere di tipo doloso o volontario o di tipo colposo o

involontario.

L’analisi storica degli incendi boschivi sul territorio comunale di Castello di Cisterna è stata

effettuata sulla scorta dei dati relativi al catasto incendi boschivi reperibile su internet al sito:

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http://sit.regione.campania.it/IncendiCampania/UtenteCittadino.jsp

la cartografia riportata in figura testimonia che dall’anno 2000 all’anno 2008 le aree dell’intero

territorio comunale non sono state interessate dall’innescarsi di incendi boschivi.

Pertanto il Territorio comunale di Castello di Cisterna (NA) non ha una particolare predisposizione al rischio

incendi boschivi desunti dalla storicità dei dati a disposizione e dalla orografia del territorio.

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RISCHIO INCENDI DI INTERFACCIA

Alcuni dei problemi più complessi della lotta agli incendi boschivi riguardano le zone periurbane, le

quali rappresentano luoghi di interfaccia tra i centri urbanizzati e le zone forestali o gli edifici

isolati. In questi contesti alcune situazioni possono divenire seriamente pericolose, non solo per i

beni colpiti dalle fiamme, ma anche per l’incolumità umana: il fuoco può arrivare alle abitazioni e

le abitazioni possono infiammarsi; le vie di allontanamento e di avvicinamento agli edifici possono

essere non percorribili a causa delle fiamme, inoltre possono non esserci adeguate scorte idriche

raggiungibili nelle vicinanze.

In tali zone l’incendio, può avere origine sia in prossimità dell’insediamento (ad es. per

abbruciamento di residui vegetali, per accensione di fuochi durante attività ricreative in parchi

urbani e/o periurbani, ecc.), sia come incendio propriamente boschivo per poi interessare le zone

di interfaccia.

Per interfaccia urbano-rurale si definiscono quelle zone, aree o fasce, nelle quali

l’interconnessione tra strutture antropiche e aree naturali è molto stretta; sono cioè quei luoghi

geografici dove il sistema urbano e quello rurale si incontrano ed interagiscono, così da

considerarsi a rischio d’incendio di interfaccia, potendo venire rapidamente in contatto con la

possibile propagazione di un incendio originato da vegetazione combustibile.

Nel presente piano, fatte salve le procedure per la lotta attiva agli incendi boschivi di cui alla

L.353/2000, l’attenzione sarà focalizzata sugli incendi di interfaccia, per pianificare sia i possibili

scenari di rischio derivanti da tale tipologia di incendi, sia il corrispondente modello di intervento

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per fronteggiare la pericolosità e controllarne le conseguenze sull’integrità della popolazione, dei

beni e delle infrastrutture esposte.

Gli obiettivi specifici di questo “settore” sono quindi quelli di definire ed accompagnare i diversi

soggetti coinvolti negli incendi di interfaccia per la predisposizione di strumenti speditivi e

procedure per:

a) Estendere fino alla scala comunale il sistema preposto alla previsione della suscettività

all’innesco e della pericolosità degli incendi boschivi ed al conseguente allertamento;

b) Individuare e comunicare il momento e le condizioni per cui l’incendio boschivo potrebbe

trasformarsi o manifestarsi quale incendio di interfaccia determinando situazioni di rischio elevato,

da affrontare come emergenza di protezione civile;

c) Fornire al responsabile di tali attività emergenziali un quadro chiaro ed univoco dell’evolversi

delle situazioni al fine di poter perseguire una tempestiva e coordinata attivazione e progressivo

coinvolgimento di tutte le componenti di protezione civile, istituzionalmente preposte e

necessarie all’intervento;

d) Determinare sinergie e coordinamento tra le funzioni:

1. di controllo e spegnimento dell’incendio boschivo prioritariamente in capo al Corpo Forestale

dello Stato ed ai Corpi Forestali Regionali; .

2. di pianificazione preventiva, controllo, contrasto e spegnimento dell’incendio nelle strette

vicinanze di strutture abitative, sociali ed industriali, nonché di infrastrutture strategiche e critiche,

prioritariamente in capo al C.N.VV.F.;

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3. di Protezione Civile per la gestione dell’emergenza prioritariamente all’autorità comunale in

stretto coordinamento con le altre autorità di protezione civile ai diversi livelli territoriali.

Le attività di previsione delle condizioni favorevoli all’innesco e alla propagazione degli incendi

boschivi, destinate ad indirizzare i servizi di vigilanza del territorio, di avvistamento degli incendi,

nonché di schieramento e predisposizione all’operatività della flotta antincendio statale, hanno

trovato piena collocazione all’interno del sistema di allertamento Nazionale. La responsabilità di

fornire quotidianamente e a livello nazionale indicazioni sintetiche su tali condizioni, grava sul

Dipartimento della Protezione civile che ogni giorno, attraverso il Centro Funzionale Centrale, ed

entro le ore 16:00, emana uno specifico Bollettino, reso accessibile alle Regioni e Province

Autonome, Prefetture-UTG, Corpo Forestale dello Stato, Corpi Forestali Regionali e Corpo

Nazionale Vigili del Fuoco. Le previsioni in esso contenute sono predisposte dal Centro Funzionale

Centrale, non solo sulla base delle condizioni meteo climatiche, ma anche sulla base dello stato

della vegetazione, dello stato fisico e di uso del suolo, nonché della morfologia e

dell’organizzazione del territorio e si limita ad una previsione fino alla scala provinciale, stimando il

valore medio della suscettività all’innesco su tale scala, nonché su un arco temporale utile per le

successive 24 ore ed in tendenza per le successive 48 ore.

Tali scale spaziali e temporali, pur non evidenziando il possibile manifestarsi di situazioni critiche a

scala comunale, forniscono un’informazione più che sufficiente, equilibrata ed omogenea sia per

modulare i livelli di allertamento che per predisporre l’impiego della flotta aerea statale. Il

Bollettino, oltre ad una parte testuale che raccoglie sia una previsione sulle condizioni meteo

climatiche attese che una sintesi tabellare delle previsioni delle condizioni favorevoli all’innesco ed

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alla propagazione degli incendi su ciascuna provincia, rappresenta anche in forma grafica la

mappatura dei livelli di pericolosità: bassa (celeste), media (giallo), alta (rosso).

Ai tre livelli di pericolosità si possono far corrispondere tre diverse situazioni:

- pericolosità bassa: le condizioni sono tali che ad innesco avvenuto l’evento può essere

fronteggiato con i soli mezzi ordinari e senza particolari dispiegamenti di forze per contrastarlo;

- pericolosità media: le condizioni sono tali che ad innesco avvenuto l’evento deve essere

fronteggiato con una rapida ed efficace risposta del sistema di lotta attiva, senza la quale potrebbe

essere necessario un dispiegamento di ulteriori forze per contrastarlo rafforzando le squadre a

terra e impiegando piccoli e medi mezzi aerei ad ala rotante;

- pericolosità alta: le condizioni sono tali che ad innesco avvenuto l’evento è atteso raggiungere

dimensioni tali da renderlo difficilmente contrastabile con le sole forze ordinarie, ancorché

rinforzate, richiedendo quasi certamente il concorso della flotta aerea statale.

Le Regioni e quindi le Prefetture-UTG dovranno assicurare che il Bollettino giornaliero o le

informazioni in esso contenute siano adeguatamente ed opportunamente rese disponibili

rispettivamente: - alla Provincia - ai Comandi Provinciali del C.N.VV.F., del CFS e del CFR; - ai

Comuni - ai responsabili delle organizzazioni di volontariato qualora coinvolte nel modello di

intervento o nelle attività di vigilanza. Per la valutazione del rischio è stata applicata la

metodologia suggerita dal Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei

Ministri attraverso il “Manuale operativo per la predisposizione di un piano comunale o

intercomunale di protezione civile” (ottobre 2007).

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Per poter individuare le aree a rischio incendi di interfaccia si è utilizzata una metodologia

operativa che funge inoltre da supporto nell’individuazione dei possibili scenari di evento sia in

fase di pianificazione che in fase si gestione dell’emergenza.

Innanzitutto si definisce la fascia di interfaccia in senso stretto, nel seguito denominata

“interfaccia”, quella fascia di contiguità tra le strutture antropiche e la vegetazione ad essa

adiacente. In via di approssimazione la larghezza adottata per tale fascia è stimabile tra i 25-50

metri e comunque estremamente variabile in considerazione delle caratteristiche fisiche del

territorio, nonché della configurazione della tipologia degli insediamenti.

Per la valutazione degli scenari di rischio da incendi di interfaccia è indispensabile effettuare una

perimetrazione delle aree del territorio comunale, in funzione dei rapporti tra la superficie boscata

e le strutture urbane. In generale è possibile distinguere tre differenti configurazioni di contiguità

e contatto tra aree con dominante presenza vegetale ed aree antropizzate:

- Interfaccia classica: frammistione tra strutture ravvicinate fra loro e la vegetazione (es. periferie

dei centri urbani);

- Interfaccia mista: presenza di molte strutture isolate e sparse nell’ambito del territorio ricoperto

da vegetazione combustibile;

-Interfaccia occlusa: zone con vegetazione combustibile limitate e circondate da strutture

prevalentemente urbane (es. parchi o aree verdi nei centri urbani).

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Figura 6 Individuazione fasce a rischio incendio di interfaccia

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Per valutare il rischio conseguente agli incendi di interfaccia e prioritariamente necessario definire

la pericolosità nella porzione di territorio ritenuta potenzialmente interessata dai possibili eventi

calamitosi ed esterna al perimetro della fascia di interfaccia, nonché la vulnerabilità degli esposti

presenti in tale fascia.

Per la perimetrazione di predette aree si sono create delle aggregazioni degli esposti finalizzate

alla riduzione della discontinuità fra gli elementi presenti, raggruppando tutte le strutture la cui

distanza relativa non sia superiore a 50 metri. Intorno a tali aree è stato poi tracciato un perimetro

di contorno di larghezza di circa 200 metri. Tale fascia sarà utilizzata per la valutazione sia della

pericolosità che delle fasi di allerta da porre in essere così come descritto nelle procedure di

allertamento. Per la determinazione della pericolosità, con il supporto delle carte tecniche

regionali, della carta forestale e di quella dell’uso del suolo, sono state valutate le diverse

caratteristiche vegetazionali predominanti nella fascia perimetrale, individuando così delle sotto

aree di tale fascia omogenee sia con presenza e diverso tipo di vegetazione, nonché sull’analisi

comparata nell’ambito di tali sotto aree di sei fattori, di seguito descritti, cui è stato attribuito un

peso diverso a seconda dell’incidenza che ognuno di questi ha sulla dinamica dell’incendio. I

parametri presi in considerazione sono3:

Tipo di vegetazione: le formazioni vegetali hanno comportamenti diversi nei confronti

dell’evoluzione degli incendi a seconda del tipo di specie presenti, della loro mescolanza,

della stratificazione verticale dei popolamenti e delle condizioni fitosanitarie.

3 Manuale operativo per la predisposizione di un piano di emergenza comunale o intercomunale di Protezione Civile

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Vegetazione CRITERI VALORE NUMERICO

Coltivi e pascoli 0

Coltivi e pascoli abbandonati 2

Boschi di latifoglie e conifere montane 3

Boschi di conifere mediterranee e macchia

4

Tabella 21 Tipo di vegetazione

Densità della vegetazione: rappresenta il carico di combustibile che contribuisce a

determinare l’intensità e la velocità dei fronti di fiamma.

Densità vegetazione

CRITERI VALORE NUMERICO

Rada 2

colma 4 Tabella 22 Densità della vegetazione

Pendenza : la pendenza del terreno ha effetti sulla velocità di propagazione dell’incendio:

il calore salendo preriscalda la vegetazione sovrastante, favorisce la perdita di umidità dei

tessuti, facilita in pratica l’avanzamento dell’incendio verso le zone più alte.

Pendenza CRITERI VALORE NUMERICO

assente 0

Moderata o terrazzamento 1

accentuata 2 Tabella 23 Pendenza

Tipo di contatto : contati delle sotto aree con aree boscate o incolti senza soluzione di

continuità influiscono in maniera determinante sulla pericolosità dell’evento, lo stesso

dicasi per la localizzazione della linea di contatto che comporta velocità di propagazione

ben diverse.

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Contatto con aree boscate

CRITERI VALORE NUMERICO

nessun contatto 0

contatto discontinuo o limitato 1

contatto continuo a monte o laterale 2 2

Contatto continua a valle; nucleo completamente circondato

4

Tabella 24 Tipo di contatto

Incendi pregressi : particolare attenzione è stata posta alla serie storica degli incendi

pregressi che hanno interessato il nucleo insediativo e la relativa distanza a cui sono stati

fermati. Maggior peso sarà attribuito a quegli incendi che si sono avvicinati con una

distanza inferiore ai 100 metri dagli insediamenti. L’assenza di informazioni è considerata

equivalente ad assenza di incendi pregressi.

Distanza dagli insediamenti degli incendi pregressi

CRITERI VALORE NUMERICO

Assenza di incendi 0

100 m < evento <200 m 4

Evento < 100 m 8 Tabella 25 Incendi pregressi

Classificazione del piano AIB : è la classificazione dei comuni per classi di rischio contenuta

nel piano regionale di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi

redatta ai sensi della 353/2000. L’assenza di informazioni è considerata equivalente ad una

classe bassa di rischio

Classificazione piano A.I.B.

CRITERI VALORE NUMERICO

Basso 0

Medio 2

alto 4 Tabella 26 Classificazione del piano AIB

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La seguente tabella riepilogativa dovrà essere compilata per ogni singola area individuata

all’interno della fascia perimetrale.

Parametro analizzato Valore numerico di pericolosità

Tipo di vegetazione 0

Densità della vegetazione 2

Pendenza del terreno 0

Contatto con aree boscate 0

Distanza dagli insediamenti degli incendi pregressi 0

Classificazione del comune nel Piano A.I.B. 0

Totale 2

Tabella 27 Tabella riepilogativa

Dal momento che i parametri analizzabili all'interno delle differenti fasce individuate in fase di

analisi del rischio (figura 6) sono pressoché costanti e confrontando i risultati ottenuti da questa

analisi con la tabella 28, possiamo affermare che per tutte queste aree si può parlare di grado di

pericolosità basso.

PERICOLOSITA’ INTERVALLI NUMERICI

Bassa X ≤ 10

Media 11 ≤ X ≤ 18

Alta X ≥ 19

Tabella 28 Parametri di riferimento

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RISCHIO VULCANICO

Il 9 febbraio 2015 con Delibera di Giunta n. 29 la Regione Campania ha approvato con una delibera

la nuova delimitazione della zona gialla nell'area vesuviana. Quest’area, esterna alla zona rossa, è

esposta a una significativa ricaduta di cenere vulcanica e di materiali piroclastici che potrebbero

causare il collasso dei tetti.

Allegato 1

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64

La delibera accoglie la delimitazione proposta dal Dipartimento della protezione civile, sulla base

di indicazioni della Comunità scientifica, e in raccordo con la Regione Campania. Con la stessa

delibera, sono state fornite indicazioni per la redazione di piani di emergenza ai comuni della zona

gialla e anche a quelli esterni alla stessa ma comunque interessati, anche se in misura minore,

dalla ricaduta di ceneri vulcaniche che potrebbero provocare, a livello locale, altre conseguenze

(come l’intasamento delle fognature, la difficoltà di circolazione degli automezzi, l’interruzione di

linee elettriche e di comunicazione).

Sono 63 i Comuni inclusi nella nuova zona Gialla del Vesuvio insieme ai quartieri di Barra, San

Giovanni e Ponticelli del Comune di Napoli" (Allegato 1).

"La zona gialla - -include i Comuni che ricadono all'interno o sono intersecati dalla curva di

probabilità di superamento del 5% del carico di 300 kg/mq determinato dall’accumulo di ceneri

vulcaniche (Allegato 2). La definizione di quest’area, cui si è giunti in raccordo con il Dipartimento

della Protezione civile, si basa su recenti studi e simulazioni della distribuzione a terra di ceneri

vulcaniche prodotte da un’eruzione sub-Pliniana, in funzione della direzione variabile del vento.

L’emissione delle ceneri vulcaniche all’inizio dell’eruzione è molto abbondante e, in poche ore,

porta ad accumuli considerevoli a 10-15 Km dal vulcano. Spessori di deposito maggiori di 10 cm

possono coprire aree a distanza di 20-50 km dal vulcano; ovviamente, l’estensione dell’area

esposta alla ricaduta di ceneri dipende dall’altezza della colonna eruttiva e dalla direzione dei venti

al momento dell’eruzione".

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Allegato 2

Prime indicazioni per la determinazione dei carichi verticali conseguenti alla ricaduta di ceneri

vulcaniche

1. Per la progettazione degli interventi strutturali e la verifica delle strutture esistenti in “Zona

rossa” e “Zona gialla” del Piano Nazionale di Emergenza del Vesuvio si suggerisce di considerare

anche il carico verticale conseguente all’accumulo di ceneri vulcaniche.

2. Il carico da cenere è una “azione eccezionale”, così come definita al paragrafo 3.6 delle Norme

Tecniche per le Costruzioni di cui al D.M. del 14 gennaio 2008.

3. I valori di calcolo si definiscono in base allo scenario subpliniano di riferimento, considerando il

carico da cenere asciutta, riportato nella cartografia di cui all’Allegato 4, che ha probabilità di

superamento del 10%, così come valutato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)

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e dal Centro Studi Plinivs dell’Università di Napoli Federico II – Centro di Competenza del

Dipartimento della Protezione Civile (DPC) - in base alle statistiche del vento in quota.

4. Il carico da cenere asciutta deve essere opportunamente maggiorato per tener conto

dell’effetto di possibili piogge concomitanti o successive all’eruzione vulcanica. Tale incremento è

pari a 1,5 KN/mq, ovvero al corrispondente carico da cenere asciutta se inferiore.

5. Per tener conto degli effetti delle pendenze delle coperture, si applicano le medesime regole

che le Norme Tecniche indicano per il carico da neve.

Allegato 3

Rif. : Delibera di Giunta la Regione Campania Il 9 febbraio 2015

Delimitazione della zona Gialla del Piano di Emergenza dell'area vesuviana

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RISCHIO SISMICO

Caratterizzazione sismica e zonazione del territorio in prospettiva sismica *

La regione mediterranea è una regione geologicamente molto attiva, che sta subendo una

deformazione piuttosto rapida ed è caratterizzata da una sismicità diffusa che non è ristretta solo

lungo i bordi delle zolle (Vannucci et alii, 2004). L’evoluzione geodinamica del Mediterraneo

centrale costituisce da diversi decenni l’oggetto di un intenso dibattito scientifico. In questo

settore della crosta terrestre il processo di raccorciamento, provocato nell'ambito del sistema

Europa, Africa, e Adria dall'apertura del Bacino Oceanico Tirrenico, è responsabile della

formazione di strutture geologiche di natura ed evoluzione assai differente.

Accanto alle catene montuose, naturale prodotto dei processi di collisione, il Mediterraneo

centrale ha visto la nascita e la progressiva evoluzione di bacini marini di limitate dimensioni,

caratterizzati, come il Tirreno, dalla formazione di nuova crosta, simile a quella presente nel fondo

dei grandi oceani. Nei primi anni settanta la struttura del Mediterraneo è stata interpretata come

un mosaico di frammenti di litosfera (microplacche), i cui processi di rotazione e di traslazione

erano la causa dell’apertura di nuovi bacini oceanici e del corrugamento delle catene montuose.

In particolare, l’Appennino Meridionale è interessato, fin da epoche storiche, da un’intensa e

frequente tettonica attiva collegata ad un regime estensionale legato alla divergenza di Adria, che

è subentrato ad un regime compressivo inattivo (Meletti et alii, 2000). Gli eventi sismici che

interessano l’Appennino Meridionale presentano una profondità ipocentrale generalmente

compresa tra i 10 e i 12 Km. Essi sono localizzati prevalentemente lungo una ristretta fascia che

coincide con l’aree più elevate delle catena, e sono caratterizzati da meccanismi focali

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prevalentemente di tipo estensionale (Vannucci et alii, 2004). Dalla consultazione del Database

Macrosismico Italiano (2011) si evince che il territorio comunale di Castello di Cisterna è stato

interessato da diversi eventi sismici. La sismicità storica è stata documentata a partire dal 1452

con il terremoto ubicato nell’area molisana di magnitudo momento (MW) pari a 6.62. Come si

evince dalla tabella 1 le aree epicentrali dei terremoti di interesse per Castello di Cisterna sono

localizzate nell’Appennino meridionale nell’area compresa tra il Molise e l’Irpinia.

I terremoti storici documentati, con MW compresa tra 4.40 e 7.22 e localizzati ad una distanza

variabile tra 4 e 111 km hanno interessato l’abitato di Castello di Cisterna con intensità

macrosismiche (IS) della scala Mercalli – Cancani –Sielberg (MCS) comprese tra 4 e 7. La massima

Intensità pari a 7 è stata riscontrata in occasione degli eventi sismici del 12/05/1456 (Molise), del

23/07/1930 (Irpinia) e del 23/11/1980 (Irpinia – Basilicata); gli epicentri di tali eventi sono

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localizzati rispettivamente a 40 Km e 80 km. Nel 2003 con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio

dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003 relativa a “Primi elementi in materia di criteri generali per

la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona

sismica” (G.U. n. 105 del 8.5.2003), viene adottata la nuova classificazione sismica del territorio

nazionale che recepisce i risultati raggiunti dal Gruppo di lavoro. In base alla nuova normativa, la

pericolosità viene espressa come l’accelerazione orizzontale al suolo (ag) che ha una probabilità

del 10% di essere superata in 50 anni, e che rappresenta l’accelerazione a cui gli edifici devono

resistere senza collassare. Tutto il territorio nazionale viene ripartito in quattro zone (Allegato 1

dell’OPCM, n° 3274 2003), nelle quali applicare, in modo differenziato, le norme tecniche per la

progettazione, la valutazione e l’adeguamento sismico degli edifici. Nella Tabella sono riportati il

valore di picco orizzontale del suolo (ag) espresso in percentuale di g ed i valori dell’accelerazione

orizzontale di ancoraggio dello spettro di risposta elastico nelle norme tecniche sulle costruzioni.

Tali valori sono riferiti alle accelerazioni attese in seguito ad un evento sismico in siti su roccia o

suolo molto rigido (con Vs > 800 m/s). Le valutazioni di ag sono state effettuate mediante:

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l’identificazione delle aree sismogenetiche, in base a dati geologici, geofisici, e ai cataloghi

sismologici, sia storici che strumentali;

la determinazione del periodo di ritorno di terremoti di diversa intensità per ogni zona

sismogenetica;

la valutazione di ag per ogni area di 0.05° di lato del territorio nazionale, utilizzando

leggi medie di attenuazione dell’energia sismica con la distanza.

In base alla nuova normativa (All. 1, 2b dell’OPCM, n° 3274 2003) è stata prodotta una nuova

mappa della classificazione sismica del territorio nazionale, in termini di accelerazione massima

(amax) con probabilità di superamento del 10% in 50 anni riferiti a siti su roccia o suolo molto

rigido (Categoria A, con Vs > 800 m/s) (Figura 4), affidando alle Regioni l'individuazione, la

formazione ed l’aggiornamento dell'elenco delle zone sismiche sulla base dei criteri generali

dell'Allegato (Figura 4).

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Dall’analisi della mappa della classificazione sismica del territorio nazionale si evince che tutto il

territorio nazionale è considerato sismico, in particolare il 9,2% della superficie nazionale ha un

livello di sismicità alta e il 31,9% ha un livello di sismicità minima. La regione maggiormente

esposta è la Calabria che presenta il 100% della superficie classificata a livello alto e medio;

seguono poi l’Abruzzo, la Campania e la Sicilia. Invece le regioni con gran parte della superficie a

sismicità minima sono la Sardegna e la Valle d’Aosta. In seguito all’O.P.C.M. n. 3274 del 20

marzo 2003, è stata realizzata anche una mappa di pericolosità sismica (Figura 5), che rappresenta

un riferimento per l’individuazione delle zone sismiche.

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72

Per la realizzazione di questa mappa sono stati utilizzati ed elaborati un gran numero di dati, ed in

particolare:

è stata elaborata una nuova zonazione sismogenetica, denominata ZS9;

è stata prodotta una versione aggiornata del catalogo CPTI (Gdl CPTI, 1999) detta CPTI2;

sono state verificate, alla luce dei dati dei terremoti più recenti, le relazioni di

attenuazione di amax definite a scala nazionale ed europea.

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73

La zonazione ZS9 comprende 42 zone-sorgente, che sono state identificate con un numero (da

901 a 936) o con una lettera (da A ad F).

Nel processo di realizzazione di ZS9, l’unione di più zone ZS4 è avvenuta in base alle

caratteristiche del dominio cinematico al quale ognuna delle zone veniva attribuita. La geometria

delle sorgenti sismogenetiche (Figura 7)

della Campania e, più in generale, l’Appennino Meridionale (zone da 56 a 64 in ZS4 e zone da 924

a 928 in ZS9), in seguito alla realizzazione della zonazione sismogenetica ZS9, è stata

sensibilmente modificata rispetto a ZS4 (Rapolla, 2005).

In particolare l’attuale zona 927 (Sannio-Irpinia-Basilicata) comprende tutte le precedenti zone di

ZS4 coincidenti con il settore assiale della catena, fino al massiccio del Pollino, al confine calabro-

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lucano Essa racchiude l’area caratterizzata dal massimo rilascio di energia legata alla distensione

generalizzata che, da circa 0.7 ma sta interessando l’Appennino meridionale. Il meccanismo di

fagliazione individuato per questa zona è normale e le profondità ipocentrali sono comprese tra

gli 8 e 12 km. La zona 57 di ZS4, corrispondente alla costa tirrenica, è stata quasi integralmente

cancellata, in quanto il GdL INGV (2004) ritiene che la sismicità di questa area non è tale da

permettere una valutazione affidabile dei tassi di sismicità e, comunque, il contributo che

verrebbe da tale zona sarebbe trascurabile rispetto agli effetti su questa stessa area delle sorgenti

nella zona 927.

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La parte rimanente della zona 57, insieme alla zona 56 sono attualmente rappresentate dalla zona

928 (Ischia-Vesuvio), che include l’area vulcanica napoletana, con profondità ipocentrali comprese

nei primi 5 km. Nell’area al confine tra la catena e la Puglia, cioè l’area dell’avanfossa e

dell’avampaese apulo, le nuove conoscenze sulla sismicità locale, suggerite dalla sequenza sismica

del Molise del 2002 (Di Bucci e Mazzoli, 2003; Valensise et al., 2004), hanno comportato scelte

che cambiano notevolmente le caratteristiche sismogenetiche dell’area ed hanno permesso di

identificare sorgenti con direzione E-W, caratterizzate da cinematica trascorrente. E’ stata così

identificata:

nell’area garganica una zona 924 (Molise-Gargano) orientata E-W, che include tutta la

sismicità dell’area e la faglia di Mattinata, generalmente ritenuta attiva;

una zona 925 (Ofanto) la cui geometria trae in parte spunto dalla zona 62 di ZS4, ad

andamento WNW-ESE;

la zona 926 (Basento) ad andamento E-W, definita dall’allineamento di terremoti a

sismicità medio-bassa nell’area di Potenza.

La carta della pericolosità sismica calcolata in base alle distribuzioni di amax con probabilità di

superamento del 10% in 50 anni, effettuata dal GdL INGV (2004) e redatta in conformità alle

disposizione dell’Ordinanza PCM 3519 (28/04/2006), prevede per la Campania la presenza di 8

classi di amax, con valori che variano gradualmente tra 0.075g lungo la costa a 0.275 nell’area

dell’Irpinia, ad eccezione delle aree vulcaniche Vesuvio- Ischia-Campi Flegrei dove si hanno valori

mediamente compresi tra 0.175g e 0.200g (Figura 8). Per quanto riguarda la distribuzione

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dell’84mo percentile, anche qui sono presenti in Campania 8 classi di amax, con valori che variano

tra 0.075g e 0.300g. Le differenze tra le due mappe sono in genere inferiori a 0.020g, fatta

eccezione di una ristretta fascia al confine con la Puglia, dove si raggiungono valori compresi tra

0.040g e 0.050g. La classificazione sismica della Regione Campania, è stata aggiornata in seguito

alla Delibera G.R. 7-11-2002 n.° 5447 (Figura 9).

Dalla classificazione dei comuni riportata nella delibera si evince che circa il 65% dei comuni della

Campania rientra nella seconda categoria, circa il 23% in prima categoria, e l’11% in terza

categoria.

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Le aree che ricadono in prima categoria sono il Sannio-Matese e l’Irpinia, mentre le zone

vulcaniche del napoletano sono classificate in seconda categoria. La classificazione sismica del

territorio tiene conto non solo dell’ubicazione delle sorgenti sismiche, ma anche della

propagazione dell’energia sismica con la distanza dalla sorgente e della eventuale amplificazione

locale delle oscillazioni sismiche, prodotte dalle caratteristiche del terreno. Il territorio di Castello

di Cisterna, oltre ad essere interessato dalla sismicità legata all’attività dei Campi Flegrei e del

Somma-Vesuvio, è influenzato dall’attività sismogenetica dell’Appennino Meridionale; esso già

classificato sismico di terza categoria, con delibera di Giunta Regionale della Campania n. 5447 del

07-11-2002, è stato, alla luce delle tre “macrozone” individuate dal D.M. 16-01-1996, riclassificato

sismico di seconda categoria. Il territorio del Castello di Cisterna è stato inserito nella “zona 2”

caratterizzata da un’accelerazione orizzontale massima su suolo di categoria “A” ag = 0.25g. Il 4

febbraio 2008 sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale le nuove Norme Tecniche per le

Costruzioni elaborate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. L'allegato A di tali Norme

prevede che l'azione sismica di riferimento per la progettazione (paragrafo 3.2.3) venga definita

sulla base dei valori di pericolosità sismica proposti dal Progetto S1 dell’Istituto Nazionale di

Geofisica e Vulcanologia. Di seguito si riporta la mappa di sintesi di pericolosità sismica di

riferimento proposta dall’INGV (figura 8). Queste stime di pericolosità sismica sono state

successivamente elaborate dal Consiglio Superiore per ottenere i parametri che determinano la

forma dello spettro di risposta elastica; tali parametri sono proposti nell'allegato A del Decreto

Ministeriale. In riferimento alla mappa del territorio nazionale per la pericolosità sismica

derivante dal progetto S1 dell’INGV, disponibile on-line sul sito dell’INGV, si indica che il territorio

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comunale di Castello di Cisterna rientra nelle celle contraddistinte da valori di ag di riferimento

compresi tra 0.150g e 0.175g (punti della griglia riferiti a: parametro dello scuotimento ag;

probabilità in 50 anni 10%; percentile 50). Le prove sismiche eseguite sul territorio di Castello di

Cisterna sono state finalizzate alla caratterizzazione sismica dei terreni e alla elaborazione della

Carta di “microzonazione sismica”. La microzonazione sismica è un criterio volto a prevedere e

mitigare gli effetti sismici in un territorio di limitata estensione. Le indagini di microzonazione

sismica, pertanto, hanno lo scopo di riconoscere, a scala di dettaglio, le condizioni di sito

(microzone) che possono modificare sensibilmente le caratteristiche del moto sismico atteso

(moto sismico di riferimento) o produrre effetti cosismici rilevanti (fratture, liquefazioni, ecc.).

Nel nostro caso sono state individuate zone, nel territorio compreso nei limiti amministrativi del

comune di Castello di Cisterna, a comportamento omogeneo dal punto di vista sismico.

CARTA MICROZONAZIONE SISMICA

Nel presente studio si è investigato riguardo gli ambiti geologici del territorio comunale di Castello

di Cisterna, a partire da conoscenze pregresse e da documentazione tecnica già disponibile,

riveduta ed aggiornata sulla base di dettagliati rilievi geologici e geomorfologici di superficie ex-

novo, integrati da una mirata campagna di indagini geognostiche, nel rispetto del quadro

normativo vigente. Del resto dato il carattere generale di orientamento ed indirizzo di questo

studio, seppur specialistico e specifico, nei confronti della suscettività d’uso dei vari ambiti

geologici, si rimanda alle fasi di attuazione di questo livello di pianificazione, per l’esecuzione di

ulteriori rilevamenti sia di superficie che attraverso l’ausilio di indagini geognostiche, dirette ed

indirette, finalizzati a caratterizzare la litostratigrafia locale, gli aspetti geotecnici del volume

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significativo del sottosuolo investito dalle strutture, le condizioni geomorfologiche al contorno, la

risposta sismica del singolo sito con l’individuazione dei fattori di amplificazione delle onde

sismiche. Pertanto, sulla base dei risultati scaturiti dal presente studio, ai fini del corretto uso del

territorio, si riportano le seguenti prescrizioni per le diverse aree così perimetrate e classificate

nella Tav. 3 “Carta della Stabilità” e nella tavola di sintesi n. 4 “Carta della Microzonazione

Sismica” del PUC.

Aree Stabili: sono consentiti qualsiasi tipo di intervento previa acquisizione dei parametri

geologico-geotecnici-geofisici secondo le modalità previste dalla normativa vigente.

Aree Potenzialmente Instabili: prima di qualsiasi intervento saranno espletate indagini geologiche

e geotecniche finalizzate alla definizione puntuale della stratigrafia del sottosuolo e delle

caratteristiche tecniche dei terreni almeno fino alla prof. di 30.00 metri dal piano campagna o dal

piano di posa delle fondazioni di una eventuale struttura edificanda al fine di verificare l’eventuale

esistenza di cavità sotterranee. Saranno valutate le condizioni di stabilità derivanti dall’interazione

terrreno – struttura.

Aree caratterizzate da rischio idraulico “punti di crisi idraulica” prima di qualsiasi intervento da

eseguire su un’area racchiusa in una circonferenza di diametro pari a 200 m. con centro nel punto

di crisi idraulica, tali zone saranno soggette a studi di compatibilità idraulica con rilievi e indagini

di dettaglio per accertare il livello di pericolosità ed il relativo grado di rischio.

Aree Potenzialmente liquefacibili: prima di qualsiasi intervento saranno espletate indagini

geognostiche e prove di laboratorio volte alla individuazione degli eventuali depositi liquefacibili e

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alla valutazione dell’indice di liquefazione. Si segnala la necessità che nelle Norme di Attuazione

dello strumento urbanistico venga esplicitamente richiesto che nelle relazioni tecniche progettuali

sia dichiarato che sono state tenute in considerazione le risultanze della microzonazione sismica

del territorio.

Le aree di emergenza comunale sono state identificate sovrapponendo la Tav. 3 “Carta della

Stabilità” e la tavola di sintesi n. 4 “Carta della Microzonazione Sismica” allegate al PUC.

*Dalla redazione dello studio geologico/tecnico del geol. Alessandro Amato nell’ambito delle attività poste in essere dall’Amministrazione Comunale di Castello di Cisterna finalizzate alla redazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale.

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IL RISCHIO IDROGEOLOGICO

Il rischio idrogeologico R è definito come “l’entità del danno atteso in una data area in un certo

intervallo di tempo, in seguito al verificarsi di un particolare evento calamitoso”. Per un dato

elemento a rischio l’entità dei danni attesi può essere valutata attraverso:

la pericolosità (H): la probabilità di occorrenza dell’evento geologico – idraulico entro

un certo intervallo di tempo ed in una zona tale da influenzare l’elemento a rischio;

la vulnerabilità (V): il grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di

elementi esposti a rischio, risultante dal verificarsi dell’evento temuto;

il valore dell’elemento a rischio (E) (espresso in termini monetari o di quantità di unità

esposte) della popolazione, delle proprietà e delle attività economiche, inclusi i servizi

pubblici, a rischio in una data area.

Sotto determinate ipotesi il rischio può essere espresso semplicemente dalla seguente

espressione, nota come “equazione del rischio”:

R = H x V x E

Spesso è difficile giungere ad una stima quantitativa del rischio per la difficoltà di

parametrizzazione, in termini probabilistici, della pericolosità e della vulnerabilità e, in termini

monetari, del valore degli elementi a rischio. Si può ricorrere a delle sintesi parziali delle

informazioni valutando anziché il rischio totale R, il cosiddetto “rischio specifico” Rs o il “danno

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potenziale” D, definiti come segue: Rischio specifico Rs: grado di perdita atteso quale conseguenza

di un particolare fenomeno naturale. Può essere espresso da:

Rs = H x V

Danno potenziale D: l’entità potenziale delle perdite nel caso del verificarsi dell’evento temuto.

Sotto determinate ipotesi può essere espresso da:

D = V x E

La valutazione del rischio consiste nell’analisi dei rapporti che intercorrono fra i vari fattori di

vulnerabilità del territorio e le diverse forme di pericolosità possibili. La mitigazione del rischio può

essere attuata, a seconda dei casi, intervenendo nei confronti della pericolosità, della

vulnerabilità, o del valore degli elementi a rischio. Sia la valutazione che la mitigazione del rischio

richiedono quindi l’acquisizione di informazioni territoriali sui caratteri geologico – ambientali e su

quelli socio – economici dell’area in esame. L’obiettivo del presente piano di emergenza è quello di

identificare le aree a rischio e delineare degli scenari di evento per i casi di frana ed alluvione più

significativi. Le competenze in materia di rischio idrogeologico, per la raccolta ed elaborazione dei

dati in materia di dissesti di versante e di caratterizzazione geologico - geomorfologica del

territorio sono svariate e pertanto si è reso necessario fare una scelta che fosse guidata dallo

specifico obiettivo della pianificazione dell’emergenza. I dati disponibili sono i seguenti:

Piano stralcio per l’assetto idrogeologico (PSAI)

Progetto AVI – catalogo nazionale delle località colpite da frane e da inondazioni;

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Progetto dell'Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del Consiglio

Nazionale delle Ricerche (CNR) di Perugia;

Relazione Geologica allegata al Piano urbanistico Comunale vigente a firma del dott.

geol. Alessandro Amato;

Informazioni varie da fonti differenti.

Fra quelli citati gli strumenti di riferimento più idonei allo scopo sono ovviamente i PSAI delle

Autorità di Bacino competenti sul territorio comunale. Per l’analisi dettagliata sono state utilizzate

preliminarmente le carte di pericolosità idraulica, anche e soprattutto ai fini della pianificazione

delle aree di emergenza ai fini di Protezione Civile. In un secondo momento sono state utilizzate

anche le cartografie relative ai rischi, per una definizione dettagliata di alcuni scenari di rischio

particolarmente significativi.

Tali elaborati sono allegati al presente piano ed evidenziano chiaramente come il comune di

Castello di Cisterna sia definibile come poco suscettibile a questo tipo di rischi.

Il territorio del Comune di Castello di Cisterna ricade nel Piano Stralcio dell’ Autorità di Bacino

Nord-Occidentale della Campania. Una possibile criticità idraulica è determinata della presenza di

un alveo denominato “Lagno della campagna” come si evince dalla Tav. RI448050 del Piano

Stralcio posto in essere. Lungo tale alveo, vi sono dei punti di possibile crisi idraulica

localizzata/diffusa : - fitta vegetazione in alveo; - presenza di rifiuti solidi; - riduzione sezione; -

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sponte danneggiate. L’alveo in questione attraversa tutta la fascia di rispetto della zona ASI

presente sul territorio comunale di Castello di Cisterna.

Nell'allegato "linee guida" viene comunque esplicitato il modello di intervento relazionato al

Rischio idrogeologico nel caso in cui si dovessero verificare in situazioni eccezionali di criticità

meteorologica, eventi che possono rappresentare un pericolo per la incolumità dei cittadini

L'Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche

(CNR) di Perugia ha sviluppato un Server Geografico ("Internet Map Server" -

http://maps.irpi.cnr.it), dal quale è possibile accedere a dei WebGIS che rendono disponibili su

Internet una serie di informazioni riguardanti frane ed inondazioni in Italia.

Figura 7 Densità di alluvioni e frane nel Comune di Castello di Cisterna

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Figura 8 Numero di alluvioni nel Comune di Castello di Cisterna

Figura 9 Danni conseguenti alluvioni nel Comune di Castello di Cisterna

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Figura 10 Numero di frane nel Comune di Castello di Cisterna

Figura 11 Probabilità che si verifichino nell'arco di 25 anni alluvioni e frane nel Comune di Castello di Cisterna

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Figura 12 Suscettibilità del territorio al rischio frane

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RISCHIO INDUSTRIALE RILEVANTE

Il rischio industriale è la probabilità che si verifichi un incidente rilevante così definito: un

avvenimento, quale un’emissione, un incendio o un’esplosione di rilievo, connessi ad uno sviluppo

incontrollato di un’attività industriale, che dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito,

per l’uomo, all’interno o all’esterno dello stabilimento, e per l’ambiente e che comporti l’uso di

una o più sostanze pericolose.

La pianificazione d’emergenza comporta in generale l’individuazione delle zone su cui

complessivamente va posta l’attenzione e la programmazione delle azioni da intraprendere in

relazione ai diversi tipi di zone. Queste zone hanno generalmente forma circolare con centro

nell’impianto e raggio pari ad una distanza particolare determinata in riferimento alle normative o

sulla scorta delle indicazioni tecniche fornite da enti pubblici o privati, nazionali o internazionali.

In tale ottica, il D. Lgs. 334/99 – Legge Seveso - bis - fa riferimento alle linee guida fornite dal

Dipartimento della Protezione Civile nel 1992: “Pianificazione di emergenza esterna per impianti

industriali a rischio di incidente rilevante”. Tali linee guida propongono uno strumento che rende

possibile alle Autorità di Protezione Civile la pianificazione dell’emergenza esterna agli impianti

industriali, e la relativa informazione alla popolazione, in tempi brevi. Le zone di pianificazione

definite dal Dipartimento della Protezione Civile sono basate su valori di soglia analoghi ai valori di

soglia definiti nel Decreto Ministeriale sui Lavori Pubblici del 9 maggio 2001:

I) Prima zona - Zona di sicuro impatto, è la zona caratterizzata da effetti sanitari che comportano

un’elevata probabilità di letalità anche per le persone mediamente sane;

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II) Seconda zona – Zona di danno, è la zona - esterna alla prima - caratterizzata da possibili danni

gravi ed irreversibili per persone mediamente sane, che non intraprendano le corrette misure di

auto protezione, oppure da possibili danni letali per persone maggiormente vulnerabili. In questa

zona non è esclusa comunque l’eventualità di danni letali anche per individui sani;

III) Terza zona – Zona di attenzione, è la zona caratterizzata dal possibile verificarsi di danni,

generalmente non gravi su soggetti particolarmente vulnerabili, o comunque reazioni fisiologiche

che possono determinare situazioni di turbamento tali da richiedere provvedimenti anche di

ordine pubblico, nella valutazione da parte delle autorità locali. Solo nella prima zona o in alcuni

punti critici delle altre zone, eccetto casi particolari (incidente non in atto e a sviluppo prevedibile

oppure rilascio tossico di durata tale da rendere inefficace il rifugio al chiuso) e comunque solo nel

caso di un numero esiguo di individui, è prevista l’evacuazione della popolazione, spontanea o

assistita. Gli eventi incidentali primari possono essere così suddivisi:

RILASCIO DI SOSTANZE: diffusione di gas, vapori, liquidi, polveri; si tratta di emissioni di sostanze

tossiche, infiammabili, esplosive o radioattive. Le conseguenze dannose sono legate alla modalità

di diffusione nell’atmosfera al suolo o nel sottosuolo per infiltrazione.

INCENDIO DI NOTEVOLI DIMENSIONI: a seguito di incendi, quali scoppi e versamenti in cui sono

coinvolte sostanze infiammabili possono verificarsi incendi di notevoli dimensioni.

ESPLOSIONI: sono combustioni rapidissime che, per effetto della quantità di calore prodotto in

tempi brevissimi ed il conseguente aumento di temperatura di gas coinvolti, provocano notevoli

aumenti di pressioni.

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INQUADRAMENTO NORMATIVO

La valutazione dei rischi di origine antropica include l’analisi dell’impatto sul territorio delle

industrie a rischio di incidente rilevante ai sensi del Decreto Legislativo n. 334 del 17 agosto 1999

(comunemente denominata legge Severo - bis), e dei suoi decreti attuativi. Il presente decreto è

stato modificato ed integrato dal D.lgs.238/05. Decreto Legislativo 334/99 La Direttiva Europea

96/82/CE è stata recepita in Italia attraverso il Decreto Legislativo n. 334 del 17 agosto 1999,

Supplemento Ordinario n. 177/L alla Gazzetta ufficiale n. 228 del 28 settembre 1999 (“legge

Severo - bis”), in sostituzione della precedente direttiva 82/501/CEE sui rischi di incidenti rilevanti

connessi con determinate attività industriali (già recepita nell’ordinamento nazionale con il D.P.R.

n. 175 del 17 maggio 1988). Il D.lgs. 334/99 ha modificato la normativa di settore: uno degli

obblighi da parte dei gestori degli stabilimenti prevede la comunicazione a vari Soggetti, del

rientro nel campo di applicazione del Decreto e la trasmissione del rapporto di sicurezza. Al

Sindaco spetta l’azione di informare la popolazione. Viceversa, per gli impianti più pericolosi, viene

assegnato al Prefetto, d’intesa con gli Enti Locali, il compito di redigere i PIANI DI EMERGENZA

ESTERNI, che devono prevedere il coinvolgimento e l’informazione dei cittadini. Modifica del

D.lgs. 334/99: D.lgs. 238/05 Il Decreto Legislativo 21 settembre 2005, n.238 recante modifica del

D.lgs. 334/99 è basato essenzialmente su: definizione delle modifiche necessarie per recepire la

direttiva 2003/105/CE, che ha modificato la direttiva 96/82/CE

correzioni volte a superare i rilievi formulati dalla Commissione europea nella procedura

d'infrazione avviata per non conforme recepimento della direttiva 96/82/CE.

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correzione di errori presenti nella precedente stesura normativa L’impianto generale del

D.lgs. 334/99 non viene modificato, salvo l’abolizione dell’art. 5 comma 3.

Questa abolizione modifica significativamente il quadro degli adempimenti, dato che elimina dal

campo di applicazione della normativa sui rischi di incidente rilevante un numero significativo di

stabilimenti. Resta peraltro in vigore l’art. 5 comma 2 per cui la valutazione del rischio deve essere

effettuata anche dagli stabilimenti con sostanze al di sotto delle soglie di cui all’art. 6 del D.lgs.

334/99 (colonna 2 Allegato I parti 1 e 2). Un’ulteriore modifica significativa viene introdotto

nell’art. 22, per cui cade l’obbligatorietà dell’informazione alla popolazione da parte del Sindaco

che deve invece procedere “nei limiti delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a

legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. D.M. Lavori Pubblici 9

maggio 2001 - Requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale

per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante Il Decreto del Ministero dei

Lavori Pubblici del 9/5/2001, Supplemento ordinario n.151 alla Gazzetta Ufficiale n.138 del 16

giugno 2001, è stato emanato in attuazione all’art. 14 comma 1 del D.lgs. 334/99 e stabilisce i

requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone in cui

sorgono stabilimenti a rischio di incidente rilevante, con lo scopo di prevenire gli incidenti rilevanti

e limitare le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente. Il DM 9/5/2001 prende in considerazione la

destinazione e l’utilizzazione dei suoli tenendo conto della necessità di mantenere le opportune

distanze tra gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante e le zone residenziali, considerando

anche gli obiettivi di prevenzione e la limitazione delle conseguenze connesse agli incidenti.

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Il decreto fornisce, inoltre, orientamenti comuni ai soggetti competenti in materia di pianificazione

urbanistica e territoriale e di salvaguardia dell’ambiente, per semplificare e riordinare i

procedimenti, oltre che raccordare le leggi e i regolamenti in materia ambientale con le norme di

governo del territorio. Le Province e le Città metropolitane, ove già costituite, con l’ausilio dei

Comuni, hanno il compito di individuare, all’interno degli strumenti di pianificazione territoriale, le

aree sulle quali ricadono gli effetti prodotti dagli stabilimenti soggetti al D.lgs. 334/99 (art. 3

comma 1). Nella parte relativa al Controllo dell’urbanizzazione (art. 5), il decreto stabilisce che le

autorità competenti in materia di pianificazione territoriale e urbanistica devono utilizzare le

seguenti informazioni: per gli stabilimenti soggetti all’art. 8 del D.lgs. 334/99, le valutazioni

effettuate dall’autorità competente di cui all’art. 21 del D.lgs. 334/99 (cioè dal Comitato Tecnico

Regionale fino all’emanazione di uno specifico decreto); per gli stabilimenti soggetti all’art. 6

del D.lgs. 334/99, le informazioni fornite dal gestore. Le concessioni e le autorizzazioni edilizie

sono soggette al parere del Comitato Tecnico Regionale. Tale parere é formulato sulla base delle

informazioni fornite dai gestori degli stabilimenti soggetti agli artt. 6 e 8 del predetto decreto

legislativo, secondo le specificazioni e le modalità contenute nell’allegato al decreto (art. 5 comma

4). Nel caso di stabilimenti soggetti all’art. 6 del D.lgs. 334/99 si può richiedere al Comitato Tecnico

Regionale un parere consultivo per predisporre varianti urbanistiche. Per la determinazione delle

aree di danno, ai fini del controllo urbanistico, il Decreto ritiene sufficiente effettuare una

trattazione semplificata, basata sul superamento di un valore di soglia, al di sotto del quale si

ritiene convenzionalmente che il danno non accada, e al di sopra del quale viceversa si ritiene che

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il danno possa accadere. I valori di soglia riportati nella seguente Tabella rappresentano i criteri

che i gestori degli stabilimenti adottano per definire le aree di danno:

• DANNO SIGNIFICATIVO, danno per il quale gli interventi di bonifica e ripristino ambientale ai siti

inquinati, a seguito dell’evento incidentale, possono essere portati a conclusione presumibilmente

nell’arco di due anni dall’inizio degli interventi stessi;

• DANNO GRAVE, danno per il quale gli interventi di bonifica e ripristino ambientale ai siti

inquinati, a seguito dell’evento incidentale, possono essere portati a conclusione presumibilmente

in un periodo superiore ai due anni dall’inizio degli interventi stessi. Il Decreto stabilisce che la

valutazione della compatibilità ambientale non preveda in alcun caso l’ipotesi di danno grave

ambientale. In caso contrario, il Comune può procedere (art. 14, comma 6 del D.lgs. 334/99)

invitando il gestore a trasmettere alle autorità competenti (art. 21, comma 1 del D.lgs. 334/99)

misure complementari atte a ridurre il rischio di danno ambientale.

INDUSTRIE A RISCHIO RILEVANTE SUL TERRITORIO DI CASTELLO DI CISTERNA

Sul territorio comunale di Castello di Cisterna (NA) ricade un’azienda (SAMAGAS S.r . l . Deposito

di gas liquefatti.

SAMAGAS S.r.l La SAMAGAS ITALIA S.r.l. è subentrata alla gestione dello stabilimento della

SAMAGAS s.p.a. Essa esercisce la propria attività di ricezione e stoccaggio, travaso e

imbottigliamento GPL nel Comune di Castello di Cisterna, su un’area di circa 20000mq con accesso

da Via Selva 120.

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Dalla documentazione pubblicata dal Ministero dell’Ambiente all’Ottobre 2010, emerge che nel

Comune di Castello di Cisterna sono attualmente insediati impianti produttivi agli art. 8

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L’attività esercitata dalla società prevede uno stoccaggio di GPL superiore a 200 ton, per questo

motivo rientra nelle attività a 2Rischio Rilevante del D.Lgs 334/99 come modificato dal D.Lgs

238/2005.