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Pico Della Mirandola - Conte Di Concordia

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LA VITA

Giovanni Pico della Mirandola nacque da famiglia principesca nel castello dei signori di Mirandola e Concordia il 24 febbraio 1463. Rivelò precocemente una straordinaria capacità di apprendere, che gli diede come un ansia tumultuosa di abbracciare tutto il conoscibile per conquistare la verità. Studiò diritto canonico a Bologna nel 1477-78, si recò a Ferrara nel '79, poi a Padova dove frequentò quello Studio nel 1480-82, e l' anno seguente a Pavia. Nel 1484 è a Firenze, dove stringe rapporti di amicizia con Lorenzo de Medici, col Poliziano e con Marsilio Ficino. http://goo.gl/hc42W http://goo.gl/uQDO9 Passando dal clima della filosofia scolastica, aristotelica e avverroistica di Padova, a quello della filosofia platonica instaurato dal Ficino a Firenze e di qui radiantesi per l'Italia e per l'Europa, Pico non si pone il problema della scelta tra le due filosofie, ma piuttosto quello di una loro possibile conciliazione. Insofferente delle eleganze stilistiche del latino nell' uso degli umanisti italiani, nell' 85 lascia Firenze per andare a familiarizzarsi a Parigi con lo stile aspro dei filosofi e teologi della Sorbona, ma l'anno appresso è di nuovo a Firenzecon un immenso, anche se ancora incomposto, correedo di cognizioni sul pensiero filosofico e teologico non solo della tradizione cristiana, ma dei Greci, Latini, Ebrei- dei quali in particolar modo gli apparvero rivelatori i libri cabalistici-, Caldei, Egizi. Pico ha la convinzione di scoprire che, sotto un'apparente diversità di manifestazioni di pensiero di popoli diversi e lontani fra loro, si cela un senso unico che attesta la dignità dell' uomo e il suo valore predominante nell' universo, l' amore universale che lega le creature fra di loro e le creature a Dio, l' immensa varietà delle cose in tutto il creato come segni della parola di Dio. A 23 anni gli pare di poter trarre il frutto delle sue meditazioni nella proposta di novecento tesi da discutere in un convegno di dotti da radunare a sue spese a Roma il 7 gennaio 1487. Ma il convegno non potrà aver luogo perchè la pubblicaziopne della sua tesi provoca la condanna da parte di una commissione di teologi e di giuristi, che le giudica eretiche, e l' apertura di un processo a carico di Pico. L'atto di sottomissione che fece il 31 luglio dell' 87 non gli lasciò tranquilla la coscienza, si ribellò apertamente e, per sfuggire alla cattura, lasciò Roma, mettendosi in viaggio per la Francia. Il suo arresto quando era già in territorio francese, vicino a Lione, suscitò clamorose proteste a Parigi, anche alla Sorbona, e Pico fu liberato con l' obbligo di lasciare il suolo francese nell' estate del 1488. Se ne tornò a Firenze, accettando l' invito di Lorenzo, che si adoperò inutilmente fino agli ultimi giorni della sua vita a fargli ottenere il perdono da Innocenzo VIII. L'assoluzione dall' eresia gli verra da Alessandro VI il 18 giugno 1493. Vivrà ancora poco più di un anno (morì il 17 novembre 1494), dedito agli studi e a pratiche religiose col conforto e l' amicizia del Savonarola. Di non grande rilievo quel poco che Pico scrisse in volgare: dei sonetti e un commento in prosa a una canzone dottrinale di Girolamo Benivieni sull' amore divino, ispirata alle teorie di Marsilio Ficino. Il momento più fervido delle sue meditazioni filosofiche e teologiche è consacrato nell'orazione De hominis dignitate che Pico avrebbe dovuto pronunziare al convegno dei dotti del 7 gennaio 1487, e che fu stampata solo dopo la sua morte. La dignità dell' uomo, dominatore della natura e responsabile del suo destino, vi è affermata con trasporto lirico sorretto dalla profonda e meditata convinzione che nella storia umana di titti i popoli si attua un cincorde sforzo d'amore che conduce verso la luce divina. Una risposta fortemente polemica all' accusa di ersia è l'Apologia, composta e divulgata prima della fuga verso la Francia. Del 1489 è l'Heptaplus, dedicato a Lorenzo, nel quale interpreta il Genesi col metodo cabalistico, che rivelerebbe l' esistenza dell' universo di quattro mondi: il mondo intellettuale che è di Dio e degli angeli, il mondo celeste che è quello delle sfere, il mondo sublunare che è degli elementi, e finalmente il mondo dell' uomo che partecipa di tutti e tre i mondi precedenti e che è simile a Dio perchè anche l' uomo ha facoltà creatrici. Di un'opera di grande impegno che doveva dimostrare la concordia sostanziale dei sistemi filosofici diversi, pubblicò soltanto il libro De ente et uno dedicato al Poliziano (1491). Fra le opere a cui attendeva, e che la morte gli impedì di condurre a

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termine, fu ritrovata fra le sue carte un' ampia trattazione in dodici libri, De astrologia, in cui si dimostra l' inconsistenza scientifica delle divinazioni del futuro fondate sul corso degli astri. IL PENSIERO

Giovanni Pico della Mirandola inizia propriamente i suoi studi filosofici nelle università di Bologna, Ferrara e Padova. Qui egli si convince della validità della tradizione scolastica e della sua conciliabilità con gli orientamenti filosofici successivi. Ciò lo conduce al dissenso nei confronti di alcune tendenze artificiosamente esasperate della filologia umanistica. E' il caso

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della polemica con Ermolao Barbaro ( 1453-1493 ) , duramente critico verso i filosofi della tarda Scolastica a causa del loro linguaggio astrusamente tecnico, che rappresenta una degenerazione del latino classico. All'umanista veneto Pico ribatte che al di là della forma, la quale sola pare interessare ad Ermolao, occorre guardare ai contenuti del discorso filosofico , che valgono indipendentemente dall' espressione letteraria e non sono attaccabili dalla critica filologica: Pico scrive un'epistola all'amico-avversario Ermolao per rivendicare la nobiltà della ricerca filosofica: la contrapposizione tra retorica e filosofia é contrapposizione tra " lingua " e " cuore "; Pico immagina che siano quegli stessi filosofi ritenuti barbari da molti umanisti a parlare in propria difesa. L'idea della conciliabilità e della continuità tra i diversi orientamenti di pensiero matura ulteriormente in Pico dopo il periodo di studi a Parigi. Nasce così l' intento di realizzare una concordia filosofica, all'interno della quale ciascuna tradizione speculativa può essere considerata come depositaria di una parte di verità. Il grande progetto culturale di Pico avrebbe dovuto concretizzarsi in una sorta di " congresso " nel quale intellettuali di ogni formazione e provenienza si sarebbero confrontati in un dibattito su 900 tesi ( cioè brevi proposizioni riassuntive ) che egli stesso aveva catalogato desumendole dalle filosofie di cui era a conoscenza. Il progetto non ebbe realizzazione pratica, poichè alcune proposizioni , sulle quali gravavano forti sospetti di eresia , imponevano maggiori cautele. Pico comunque sviluppò autonomamente gli argomenti proposti nelle 900 tesi, ma i risultati di questo lavoro videro la luce soltanto nelle " Conclusiones " apparse dopo la morte del loro autore. Durante la vita di Pico, il quale finì poi per stabilirsi definitivamente a Firenze dove si mantenne in stretto contatto con l'ambiente ficiniano dell' Accademia platonica, http://goo.gl/nLFI2 http://goo.gl/C8lBb fu invece pubblicata l'Orazione sulla dignità dell'uomo, che avrebbe dovuto fungere da introduzione al dibattito progettato. Qui vengono celebrate le capacità di autodeterminazione dell'uomo, cioè quelle facoltà intellettuali che lo conducono a scegliere liberamente tra più o meno nobili generi di vita; ma dell'Orazione parleremo in seguito. Del resto, il progetto di sintesi filosofica di Pico della Mirandola vuol essere un'esaltazione della potenza intellettuale umana, considerata nel dispiegarsi delle sue manifestazioni storiche. Mentre Ficino aveva tracciato le linee di una storia del progresso intellettuale garantita dal concorso, con pari dignità, di rivelazione e filosofia, Pico intende porre in rilievo come l'avanzamento culturale dell' umanità sia reso possibile dal continuo succedersi di scuole di pensiero che, nelle loro differenze, non si contraddicono, ma si integrano l'una con l' altra. Su questo fondamento, che nulla toglie al valore della rivelazione, si realizza la pace filosofica alla quale l'umanità deve aspirare . Sempre nella prospettiva della capacità dell' uomo di autodeterminarsi, Pico opera una netta distinzione tra magia e astrologia, che la cultura del tempo tendeva ad accomunare in unico giudizio positivo. Nel pensiero rinascimentale, come ad esempio in Ficino, le due pratiche sono considerate non già manifestazioni di superstizione, ma tecniche pienamente legittime, rivolte o allo studio dell' ordine naturale ( nel caso dell'astrologia ) o alla realizzazione del dominio dell'uomo sulla natura ( nel caso della magia ). Pico, invece, reputa l'astrologia una dottrina che limita pericolosamente la libertà dell'uomo, ricercando le cause del suo agire in fattori indipendenti dalla volontà umana: se gli astri determinano l'uomo, ossia se esercitano su di lui una grande influenza, l'uomo perde così la possibilità di autodeterminarsi, in altri termini perde il libero arbitrio. Al contrario, la magia intesa tradizionalmente come capacità di controllo della natura da parte dell' uomo, non inficia minimamente le capacità di autodeterminazione dell' essere umano e può quindi essere pienamente giustificata. Allo stesso modo, come tecnica per indagare il significato recondito della Sacra Scrittura, é legittima la cabala, cioè l'antica dottrina esoterica ebraica che , stabilendo una corrispondenza tra lettere e numeri, consentirebbe di passare da una composizione in lettere di un testo scritturale a una composizione numerica, e poi da questa a una nuova composizione in lettere nella quale risiederebbe il significato occulto.

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Oltre che per la diversa valutazione di astrologia e magia, Pico della Mirandola si differenzia da Ficino anche perchè rivela una grande attenzione all'oggettività della ricostruzione storico-filosofica. L'acribia era infatti del tutto assente nella tradizione ficiniana della perenne catena di rivelazione e filosofia, la quale più che a restituire la verità ai fatti badava a dimostrare la tesi della conciliabilità tra platonismo e filosofia. Viceversa, una più precisa consapevolezza storica e una più fedele analisi della dottrina platonica rivelano a Pico l'impossibilità di essere un vero platonico rimanendo nel contempo un buon cristiano. Questo atteggiamento di Pico si manifesta chiaramente nel diverso modo in cui egli concepisce la dottrina platonica dell'amore. Nel " Commento alla Canzone d'amore di Girolamo Benivieni ", prima alludendo genericamente ad " alcuni platonici del suo tempo, poi riferendosi esplicitamente a Ficino, Pico contesta la pretesa di parlare " platonicamente " del Dio cristiano. Se si vuole essere fedeli a Platone occorre

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concepire l' amore come desiderio di bellezza, come desiderio di ciò di cui si manca. Ma la divinità, se può essere oggetto d'amore, non può esserne soggetto, poichè essa non é manchevole di nulla: viene così a cadere la reciprocità amorosa tra Creatore e creatura ammessa da Ficino. Per di più non é neppure possibile riferire alla divinità l'attributo della bellezza; infatti, la bellezza non é che armonia, la quale a sua volta risulta dalla consonanza di più parti differenti. Un cristiano non può nè riconoscere una manchevolezza nel suo Dio, nè attribuirgli una natura composta di parti, anzichè assolutamente semplice e unitaria: non é dunque possibile essere insieme cristiani e platonici. Se la conciliazione e l'integrazione tra filosofia ( platonica ) e religione costituivano uno dei nuclei fondamentali del pensiero di Ficino, per Pico della Mirandola viceversa un Platone cristianizzato é un Platone travisato e un cristianesimo platonizzante é un cristianesimo contradditorio: mentre é possibile realizzare la concordia tra le diverse filosofie , si rivela insuperabile il divario tra filosofia e religione.

ORATIO DE HOMINIS DIGNITATE

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Pico della Mirandola, indubbiamente uno degli ingegni più vivaci dell'Accademia platonica, dotato di una cultura immensa e disordinata e di una memoria divenuta proverbiale, riecheggia nell'orazione " de hominis dignitate " gli argomenti già in parte trattati dall' umanista Giannozzo Manetti, tuttavia con quella consapevolezza di natura teoretica che difettava nello scrittore precedente. Pico esalta l'uomo per una delle sue caratteristiche specifiche, il libero arbitrio, la libertà di innalzarsi sino a Dio oppure discendere sino ai bruti. Tale libertà gli é assicurata dal fatto che il Creatore provvide all'uomo sul finire dell'opera creativa, e lo pose perciò nel " centro indistinto " dell' universo, unico essere a cui fosse concesse di determinare da se stesso il proprio destino. Pare opportuno osservare che osservazioni come quelle dell' Oratio de hominis dignitate, sebbene ispirate ad una religiosità piuttosto astratta e generica , tale che permette la citazione così della Bibbia, come del Timeo e del Corano, non potevano neppure immaginarsi senza l'esperienza cristiana. Certe concise e solenni affermazioni degli umanisti sono incomprensibili senza la parola nuova del Vangelo: l'esaltazione dell' uomo é troppo più alta di quello che fosse possibile ai pagani. Interessante é l'epiteto che Pico attribuisce a Dio, chiamandolo " architectus ", che risulta molto simile a quello usato da Platone a riguardo dal Demiurgo, " che sempre geometrizza ". L'uomo non é stato fatto nè mortale nè immortale, nè celeste nè terreno perchè lui stesso possa scegliere la forma che gli é più cara, quasi come se " libero e sovrano artefice " del suo destino. Non sarebbe stato degno di Dio all'ultimo del generare, quasi per esaurimento venir meno: e così egli diede il meglio di sè creando l'uomo, decidendo che a lui non poteva essere dato nulla di proprio e che quindi gli fosse comune tutto ciò che alle singole creature era stato dato di particolare. Ecco qui il testo dell' orazione: Già il sommo Padre, già l'architetto divino aveva costruito, con le leggi della sua arcana sapienza, questa dimora terrena, questo tempio augustissimo della divinità, che è il nostro mondo. Già aveva posto gli spiriti ad ornamento della regione superna; già aveva seminato di anime immortali i globi eterei e riempito di ogni genere di animali le impure e lercie parti del mondo inferiore. Ma compiuta la sua opera, l'artefice divino vide che mancava qualcuno che considerasse il significato di così tanto lavoro, ne amasse la bellezza, ne ammirasse la grandezza. Avendo, quindi, terminata la sua opera, pensò da ultimo - come attestano Mosè e Timeo- di produrre l'uomo. [...] Ormai tutto era pieno, tutto era stato occupato negli ordini più alti, nei medii e negl'infimi. [...] Stabilì, dunque, il sommo Artefice, dato che non poteva dargli nulla in proprio, che avesse in comune ciò che era stato dato in particolare ai singoli. Prese pertanto l'uomo, fattura priva di un'immagine precisa e, postolo in mezzo al mondo, così parlò: «Adamo, non ti diedi una stabile dimora, né un'immagine propria, né alcuna peculiare prerogativa, perché tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua volontà quella dimora, quell'immagine, quella prerogativa che avrai scelto da te stesso. Una volta definita la natura alle restanti cose, sarà pure contenuta entro prescritte leggi. Ma tu senz'essere costretto da nessuna limitazione, potrai determinarla da te medesimo, secondo quell'arbitrio che ho posto nelle tue mani. Ti ho collocato al centro del mondo perché potessi così contemplare più comodamente tutto quanto è nel mondo. Non ti ho fatto del tutto né celeste né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai degenerare sino alle cose inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi, sino alle creature superne, alle divine.» O somma liberalità di Dio Padre, somma e ammirabile felicità dell'uomo! Al quale è dato di poter avere ciò che desidera, ed essere ciò che vuole. I bruti nascendo, assorbono dal seno materno ciò che possederanno. Gli spiriti superiori furono invece, sin dall'origine, o poco di poi, ciò che saranno eternamente. Il Padre infuse all'uomo, sin dalla nascita, ogni specie di semi e ogni germe di vita. Quali di questi saranno da lui coltivati cresceranno e daranno i loro frutti: se i vegetali, sarà come pianta, se i sensuali, diventerà simile a un bruto, se i razionali, da animale si trasformerà in celeste; se gl'intellettuali, diverrà angelo e

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figlio di Dio. E se di nessuna creatura rimarrà pago, rientrerà nel centro della sua unità, e lo spirito, fatto uno con Dio, verrà assunto nell'umbratile solitudine del Padre che s'aderge sempre al di sopra di ogni cosa. Chi ammira questo nostro camaleonte, o, anzi chi altri può ammirare di più?

La Yates cerca il filo conduttore della filosofia occulta attraverso il rinascimento e la controriforma, il risultato é un'affascinante cavalcata con la tensione di un romanzo di spionaggio. La cabbala di cui si interessa il libro è la cabbala cristiana, nata in Spagna con Raimondo Lullo prima della diaspora sefardita; Lullo crea una "arte" attraverso la quale, combinando le nove Dignità di Dio, i quattro elementi, le sfere celesti, la geometria e quant'altro, si poteva descrivere il mondo naturale e celeste arrivando ad una più alta comprensione della Creazione e di Dio stesso. Il Lullismo mirava a dimostrare come la Verità risiedesse nel Cristianesimo, in modo da convertire le altre religioni, ma lo faceva con un metodo scientifico e sincretico. Giovanni Pico della Mirandola unì la filosofia neo-platonica con la cabbala ebraica di Abraham Abulafia e creò la cabbala cristiana, mentre Lullo non utilizzava l'alfabeto ebraico, Pico lo fa e nelle cinquantadue "Conclusiones" (nella quattordicesima) dimostra come manipolando cabbalisticamente il nome di Gesù si stabilisce che è il figlio di Dio, l'argomento fu così convincente da portare a numerose conversioni. Per Pico, unendo la magia ermetica con la cabbala si poteva raggiungere un contatto con le sfere angeliche senza rischio di evocare demoni. Johannes Reuchlin viaggiò in Italia, conobbe Pico e le

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sue idee, nei suoi De verbo mirifico e De arte cabalistica fa sue le tesi di Pico sulla cabbala cristiana combinandola con la numerologia pitagorica e propone questo connubio come filosofia cristiana "nuova" da sostituire alla Scolastica.

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Francesco Giorgi, frate francescano veneziano, scrisse il trattato De harmonia mundi in cui riprende le tesi cabalistiche di Pico e la tradizione numerologica pitagorico-platonica e le unisce alle idee sull'armonia universale ed alla teoria de ll'architettura di Vitruvio. Giorgi mette in relazione le gerarchie angeliche con i pianeti, ed i loro influssi, ma senza annullare il libero arbitrio, fornendo solo una classificazione degli "umori" planetari riscontrabili all'interno dell'individuo e fornendo un metodo magico per contattare gli angeli corrispondenti. Giorgi fu anche contattato da Richard Croke, inviato da Enrico VIII, perché fornisse un parere sulla legittimità del matrimonio con la vedova del proprio fratello; Giorgi fu contattato come insigne ebraicista e diede parere favorevole al sovrano, questo contribuì a fare la fortuna delle sue idee a Londra. Enrico Cornelio Agrippa von Nettesheim http://goo.gl/pDVKx http://goo.gl/zFl6W è il negromante per eccellenza, ma la sua opera De occulta philosophia non fa altro che riprendere le tesi dei suoi predecessori, egli punta ad una riforma del cristianesimo in senso evangelico come il contemporaneo Erasmo, anzi Agrippa ed Erasmo furono in contatto ma il secondo lo pregò di non coinvolgerlo nelle sue grane. Come Giorgi, anche Agrippa venne coinvolto nel divorzio di Enrico VIII come difensore di Caterina D'Aragona, ma rifiutò l'incarico. Agrippa scrisse anche un saggio erasmiano: De vanitate scientiarum , come nel Morae

Encomium tutte le conoscenze naturali ed occulte sono ridicolizzate ed è indicato il Vangelo come unica verità; ma, come Erasmo non smise gli studi umanistici, così Agrippa non smise i suoi studi occulti ed il suo De occulta philosophia è in sostanza un manuale tecnico di magia bianca. Agrippa descrive anche i tre stati della melanconia, l'umore di saturno, che è la caratteristica dei pensatori; attraverso l'allontanarsi dai sensi e dalle cose del mondo il genio è preso da "furor" e, a seconda che si concentri sull'immaginazione, sulla ragione o sull'intelletto, egli raggiungerà l'apice nelle arti, nella politica o nella religione. Dürer esemplificò i tre stati della melanconia in tre incisioni.

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In Melencolia I la figura alata è in atteggiamento pensoso, attorno a lei giacciono gli arnesi della sua perizia nel calcolo e nelle arti, i sensi, nella figurazione di un cane, dormono e alle sue spalle una scala sale ve rso il cielo. In "San Gerolamo nello studio" (probabile Melencolia III), la figura pensosa del santo è al centro di un ambiente ordinato e rigorosamente geometrico, così come al terzo livello della melanconia, il saturnino, arriva alla comprensione delle cose celesti e della geometria che regola il creato. Una simile scuola di pensiero non poteva essere senza nemici, infatti, sia negli ambienti della Riforma sia in quelli della Controriforma si formò un partito della stregoneria che bollò come stregoni e servitori del demonio tutti quelli che, da Pico in poi, avevano propagandato la teoria della magia bianca ermetica - cabbalistica. Esemplare è il caso francese; negli ultimi anni del '500 si formano due partiti politici - filosofici

- religiosi. Il partito "politique" raccolto intorno al principe d'Alençon fece sua la posizione sincretica dei cabalisti cristiani, Guy Le Fevre de la Boderie, segretario del principe, tradusse in francese l'opera di Giorgi, che ben si accordava alle idee di tolleranza del partito. All'opposto dei fratelli La Boderie si pose Jean Bodin, fino ad un certo periodo vicino al partito del Principe D'Alençon, lo accompagnò in Inghilterra nel tentativo di sposare Elisabetta I, passò poi dalla parte della Lega Cattolica; scrisse De la demonomanie des sorciers in cui attacca tutto il pensiero occulto da Pico in poi, denunciandolo come adorazione del demonio e bollando Agrippa come arcimago e negromante, stranamente si dimentica dell'opera di Giorgi pur essendo stata da poco tradotta in francese dai suoi ex-amici "politiques". Tutto questo lungo preambolo per descrivere le influenze che caratterizzarono il pensiero occulto elisabettiano. Il perno intorno al quale ruota il rinascimento inglese è sicuramente John Dee, filosofo, matematico, occultista, stregone; Dee era il filosofo del partito del Conte di Leicester, comprendente Sir Philip Sidney, Sir Walter Raleigh e Edmund Spenser. La vita di Dee si può dividere in tre periodi. Nel primo periodo Dee si pone come guida del rinascimento elisabettiano, la sua biblioteca, che comprende tutti gli autori precedentemente elencati, è il luogo di ritrovo per il circolo del Conte di Leicester. Durante questo periodo Dee produce opere che riprendono la tradizione ermetica - cabbalistica, insieme a opere di applicazione pratica, per esempio: General and rare memorials

pertayning to the perfect art of navigation. Dee dispiegò tutto il suo sapere in favore dell'idea del destino imperiale dell'Inghilterra, nei suoi intendimenti sia la scienza naturale sia quella occulta dovevano favorire le mire espansionistiche inglesi, così come era negli intendimenti del circolo di Leicester.

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Dee vedeva se stesso come il melanconico di secondo tipo, quello che riesce ad eccellere nelle arti politiche, confidando anche nella magia cabalistica di Agrippa per entrare in contatto con le sfere angeliche ed avere così visioni del futuro. Nel 1583 Dee si recò in continente e finì alla corte dell'Imperatore Rodolfo II, anni prima Dee aveva pubblicato la Monas hieroglyphica dedicandola al padre di Rodolfo: Massimiliano II; la Monas, secondo Dee, era un potente simbolo magico che racchiudeva tutta la tradizione di magia bianca. La missione di Dee a Praga era sicuramente di tipo diplomatico, contemporaneamente Leicester tentava l'invasione dei Paesi Bassi, e di tipo missionario, per conquistare l'imperatore all'amicizia con l'Inghilterra ma soprattutto per conquistarlo alla scuola occultistica di Dee. La missione fallì ed al suo ritorno in Inghilterra Dee si trovò in disgrazia e abbandonato. Dee venne attaccato come stregone e mandato al confino a Manchester, cercò invano di ritornare nelle grazie della corte appellandosi, prima all'Arcivescovo di Canterbury, poi a Giacomo I, senza nessun risultato; tra l'altro Giacomo VI di Scozia (poi Primo di Inghilterra) aveva pubblicato nel 1597 la sua Demonologie in cui rimanda all'opera di Bodin, era quindi la persona meno indicata per riabilitare un seguace di Agrippa qual era Dee. Molta della letteratura inglese del periodo può in qualche misura ricollegarsi alla figura di Dee, al suo circolo ed alle idee da esso propugnate. Edmund Spenser fu il Poeta del circolo, la sua Faerie Queene è la rappresentazione in forma epica della tradizione ermetica (Ermete Trismegisto) http://goo.gl/k1qB1 http://goo.gl/dIQWT - cabbalistica, ci si ritrovano i pianeti, le loro influenze, la magia egiziana e quella cabbalistica - cristiana. Tutta la costruzione della Faerie Queene , e degli Hymnes è basata sull' Harmonia mundi di Giorgi; in più vi è aggiunta la componente leggendaria Britannica (Re Artù) e la venerazione di Elisabetta I. Purtroppo l'opera di Spenser fu pubblicata solo nel 1590, quando ormai il circolo di Leicester era in eclisse è l'idea imperiale ridimensionata; Spenser finì al confino come i suoi amici Dee e Raleigh. Se Spenser è il propagandista del circolo di Leicester, allora Christopher Marlowe è il suo alter

ego tra i nemici di Leicester (forse Robert Cecil, conte di Salsbury ?). In tre opere di Marlowe ci sono chiari attacchi a Dee ed all'occultismo. Il Doctor Faustus è chiaramente una caricatura di Dee e di tutto il cabbalismo cristiano, specialmente Agrippa. In Tamerlano critica l'idea di Impero buono e giusto, il sogno del circolo di Dee, creando un tiranno sanguinario nato sotto l'influsso di Saturno e Venere, due influssi benefici secondo Giorgi, che nella sua pompa ricorda le sfilate della corte elisabettiana. Ne L'Ebreo di malta l'obiettivo sono proprio gli ebrei, ma quali ebrei visto che in Inghilterra non ve n'erano ? In effetti, l'obiettivo è sempre il Conte di Leicester accusato da altri di avere ai propri servizi ebrei, stregoni e avvelenatori. Simili accenti aveva la propaganda della Lega Cattolica contro Enrico III. Se Marlowe è da una parte, Shakespeare non può che stare dall'altra. Ne Il Mercante di Venezia Shylock è ben distante da Barabba, le sue richieste sono nel giusto secondo l'Antica Legge e Porzia cerca di convertirlo alla misericordia della Nuova Legge, non ci riuscirà, ma Lorenzo convertirà la figlia di Shylock anche ricorrendo all'Armonia Universale di Giorgi; quindi gli ebrei possono essere convertiti alla Verità usando gli argomenti della "nuova filosofia". In Pene

d'amor perdute una delle tre fanciulle è una mora, Shakespeare si dilunga sulla bellezza del suo colore in contrapposizione alla cattiva fama come colore infernale (lo stesso si può forse ravvisare nella Dark Lady dei Sonetti, mia interpolazione), la facies nigra è una delle caratteristiche della melanconia secondo Agrippa. Anche Re Lear può essere letto come un'allegoria della caduta di

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Dee; Dee si proclama discendente di Bruto e degli antichi re britanni come Lear, come Lear era stato falsamente accusato di vedere i demoni e come Lear era vittima dell'ingratitudine della corte. In occasione del matrimonio della principessa Elisabetta (figlia di Giacomo I) con l'Elettore Palatino, venne rappresentata La Tempesta e proprio in questa commedia Shakespeare crea il personaggio che più ricorda Dee: Prospero. Prospero è un mago bianco, saldamente in controllo della sua arte, e la sua magia è chiaramente agrippiana. Molte speranze erano appuntate su questa coppia come campione della Riforma, l'Elettore Palatino tenterà di strappare la Boemia agli Asburgo, ma fu una speranza di breve durata, l'ascesa al trono di Carlo I al posto dello sfortunato Enrico, protettore dei rimasugli del circolo di Leicester, portò al potere il partito neutralista. Negli stessi anni in cui Shakespeare scriveva La Tempesta, Ben Jonson scriveva L'Alchimista , il suo Sottile è ancora una volta una parodia di Dee e per tutta la commedia Jonson mette in ridicolo la filosofia occulta; come Bodin prima di lui, Jonson all'inizio scrisse delle masques per il principe Enrico di gusto fiabesco e spenseriano, poi cambiò partito e si schierò con Giacomo I, favorevole ad una pacificazione con la Spagna e contrario alla rinascita elisabettiana di cui Enrico era campione, per questo passò poi al dileggio della tradizione occultistica. Uno dei protetti di Enrico era Gorge Chapman, la cui poesia The Shadow of Night permette, forse, di fare luce sulla Melencolia II di Dürer. Nella prima parte dello Hymnus in Noctem viene descritta una scena che è esattamente la Melencolia I, successivamente viene descritta una contrapposizione tra giorno e notte che è esattamente uguale ad un dipinto di Matthias Gerung, in cui una figura melanconica presiede ad una concitata rappresentazione di vita diurna, mentre la notte sta scacciando il sole dal cielo ed uno studioso saturnino si prepara a misurare il globo; questo tipo di simbologia si adatta perfettamente al secondo livello della melanconia descritta da Agrippa, potrebbe darsi che il dipinto di Gerung sia ispirato all'incisione mancante di Dürer. Gli ultimo fili di questa trama si collegano poi con i Rosacroce, con Milton ed i Puritani e con il ritorno degli ebrei in Inghilterra.

L'insegnamento non è opera di una persona, ma di un gran numero di Iniziati che si sono succeduti attraverso i secoli. Risulta dal lavoro che i mistici hanno sempre svolto per penetrare i misteri dell'universo, della natura e dell'uomo, fin dalla più remota Antichità. Come abbiamo affermato precedentemente, ha la sua fonte nell'eredità sacra che l'A.M.O.R.C. ha ricevuto dalle scuole di misteri dell'antico Egitto, soprattutto durante la 18° dinastia.

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Ai nostri giorni l'esistenza di queste scuole è riconosciuta dalla maggior parte degli storici e degli egittologi. Alle conoscenze perpetuate dai saggi dell'antico Egitto, si sono aggiunti i concetti filosofici dei grandi pensatori dell'antica Grecia e, alcuni secoli più tardi, di quelli del neoplatonismo. Poi la gnosi segreta fu arricchita dai precetti degli alchimisti rosacrociani del Medioevo. Eminenti personaggi vissuti in epoche meno lontane hanno precisato e sviluppato alcuni aspetti dell'antico retaggio. Per citare solo alcuni nomi, personalità come Dante Alighieri, http://goo.gl/8kQH2 http://goo.gl/nLn9r Pico della Mirandola, Leonardo da Vinci, http://goo.gl/0sEPr http://goo.gl/k5A8x http://goo.gl/B5w8S http://goo.gl/wFGF5 Cornelio Agrippa, Paracelso, http://goo.gl/5UKGg http://goo.gl/yrvNb Francesco Rabelais, Giordano Bruno,

http://goo.gl/W4m7G http://goo.gl/XjvUn Francesco Bacone, http://goo.gl/Nbzy5 http://goo.gl/QSvu4 Jakob Boehme, Cartesio, http://goo.gl/viIBX http://goo.gl/u1RFL Isacco Newton, Goffredo Leibniz, Beniamino Franklin, il conte di Saint-Germain, Cagliostro,

http://goo.gl/a8qnl http://goo.gl/nv3xM Louis-Claude de Saint-Martin, Michael Faraday,

Giulio Verne, Giuseppe Mazzini, Claude Debussy, Eric Satie, sono stati membri dell'Ordine o in diretto contatto con esso. Dal 1909, inizio del ciclo attuale dell'A.M.O.R.C., altri Rosacrociani, eminenti autorità in vari campi del sapere, hanno dato il loro contributo all'insegnamento dell'Ordine. Tra essi troviamo quelli che hanno svolto o svolgono ancora delle funzioni in seno all'A.M.O.R.C. e membri che come fisici, chimici, biologi, medici o filosofi, lavorano costantemente per l'arricchimento culturale della Conoscenza rosacrociana Precisiamo "culturale" perché la dimensione spirituale della Tradizione iniziatica dell'A.M.O.R.C. è ciò che è sempre stata e sempre resterà. Ai nostri giorni l'insegnamento rosacrociano è diviso in dodici gradi e si presenta sotto forma di monografie inviate mensilmente ai membri dell'A.M.O.R.C. Ogni invio ne comprende quattro. Per quanto possibile devono essere studiate una alla settimana. Una monografia contiene da cinque a dieci pagine circa. L'elenco dettagliato dei soggetti studiati nell'Ordine sarebbe veramente troppo lungo per essere riportato in questa sede. Nelle prossime pagine diamo soltanto un breve excursus dei soggetti trattati nei primi nove gradi. Quadrati magici e pensiero occulto

Un quadrato magico è una matrice quadrata di numeri interi positivi da 1 a n2, tale che la somma degli n numeri in ciascuna riga, colonna e diagonale principale sia sempre lo stesso numero, chiamato costante di magia. Questo si calcola con la formula:

Così, ad esempio, nel quadrato magico di lato (ordine) n = 3, la costante di magia vale:

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Non è possibile costruire quadrati magici di ordine 2 con numeri non ripetuti, mentre quello di ordine 1 è banale, contenendo solo l’unità. Le costanti di magia per i quadrati magici costituiscono la successione A006003 dell'OEIS (Online Encyclopedia of Integer Sequences). I primi 15 elementi di questa successione sono: 1, 5, 15, 34, 65, 111, 175, 260, 369, 505, 671, 870, 1105, 1379, 1695. Se si sottrae da n2 + 1 ogni numero di un quadrato magico, si ottiene un altro quadrato magico, chiamato quadrato magico complementare:

Un quadrato che consiste di numeri consecutivi che iniziano da 1 viene talvolta definito quadrato magico “normale”. Entrambi i quadrati sopra rappresentati lo sono, anzi, essi sono considerati lo stesso quadrato magico, perché uno si può ottenere dall’altro per rotazione o riflessione: esiste un solo esempio di quadrato magico di ordine 3.

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Il quadrato magico di ordine 4 possiede la costante di magia M(4) = 34. Di esso sono possibili 880 configurazioni diverse senza rotazione o riflessione, come stabilì per primo Frénicle de Bessy nel 1693. Eccone un esempio, sul quale ritorneremo più tardi:

Il quadrato magico di ordine 5 possiede la costante di magia M(5) = 65. Di esso sono possibili 275.305.224 configurazioni diverse, come stabilito da R. Schroeppel in 1973 con l’ausilio del computer. Eccone un esempio:

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Non è ancora noto il numero di configurazioni possibili per i quadrati magici di ordine superiore a 5, anche se Pinn e Wieczerkowski (1998) stimano con metodi stastistici che per n = 6 possano essere (1,7745 ± 0,0016) × 1019! Resta tuttavia irrisolto il problema più generale di trovare una regola che consenta di determinare il numero di quadrati magici di un qualsiasi ordine n. Nel corso del tempo sono stati scoperti diversi tipi di quadrati magici oltre a quello normale, costruibili con criteri tra i più diversi.

I quadrati magici hanno una storia molto antica. Gli antichi Cinesi conoscevano l’unico quadrato di ordine 3, che chiamavano Lo Shu, al quale è associata una leggenda secondo la quale una disastrosa piena del fiume Lo, causata dall’ira dal dio del fiume contro la popolazione, ebbe fine solo la comparsa di una tartaruga con inciso sul guscio il triangolo magico, ad indicare di sacrificare a 15 divinità. La configurazione del Lo Shu era considerata simbolo di armonia e ispirava la pianta di templi e città, divisi in 3 × 3 settori. I quadrati magici, che erano noti anche in India e in Persia, giunsero in Europa relativamente tardi, attraverso la mediazione araba. Il grande matematico Thābit ibn Qurra, attivo a Baghdad, ne parlò all’inizio del IX secolo.

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Una lista di quadrati magici di ordine da 3 a 9 fu fornito intorno al 990 nelle Rasa`il, un repertorio di epistole di carattere enciclopedico e ispirazione neoplatonica compilato da un gruppo di eruditi arabi di Bassora noto con il nome di Ikhwan al-safa (“fratelli di purità”). Il luogo di trasmissione dal mondo arabo all’Europa sembra essere stato la Spagna, visto che il filosofo ed astrologo ebreo Abraham ben Meir ibn Ezra (ca. 1090-1167), che visse a Granada e tradusse molte opere dall’arabo in ebraico, ne parla nelle sue opere di numerologia. Egli viaggiò molto in Italia, e potrebbe essere stato uno dei primi pionieri dell’introduzione dei quadrati magici in Europa. Il primo riferimento ai quadrati magici nel mondo bizantino lo fornisce il retore e grammatico Manuel Moschopoulos che compilò un trattatello su di essi intorno al 1315, ma pare che l’influenza nella sua epoca sia stata minima, poiché l’opera andò persa e fu ritrovata a Parigi e tradotta dal geometra francese Philippe de la Hire solo all’inizio del Settecento. L’opera di Moschopoulos è importante perché per la prima volta sono esposti alcuni metodi per la costruzione dei quadrati magici di ordine dispari e di ordine pari purché multiplo di 4. Cenni ai quadrati magici si ritrovano nel ms. 2433 in lingua greca (datato giugno-agosto 1339) conservato alla Biblioteca Universitaria di Bologna, che contiene i quadrati di ordine 6 e di ordine 9.

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La vera riscoperta dei quadrati magici in Europa avvenne però nel Quattrocento, con la nascita in Italia del neoplatonismo rinascimentale. La caduta dell’Impero d’Oriente nel 1452 portò all’arrivo delle opere di Platone e dei neoplatonici, nuovamente rivelate all’Occidente tramite i manoscritti greci portati da Bisanzio. Il neoplatonismo rinascimentale, che ebbe il suo centro in Firenze e suo più alto esponente in Marsilio Ficino, fu un ricco amalgama di dottrine genuinamente platoniche, di neoplatonismo e di altri occultismi filosofici arcaici, come il Corpus

Hermeticum attribuito al mitico Ermete Trismegisto, o l’astrologia. A questo ermetismo si associò poco dopo l’assimilazione della Kabbalah e delle tecniche numerologiche e combinatorie

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del misticismo ebraico, che vennero introdotte nella sintesi rinascimentale da Giovanni Pico della Mirandola, sinceramente convinto della possibile convivenza delle sue idee con il cristianesimo. La cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492 diede poi nuovo linfa agli studi cabalistici in tutta Europa. Nacque così la figura del mago rinascimentale, figura di “dignità” elevata, dotata di poteri di intervento sul mondo mediante la conoscenza di saperi occulti derivanti dall’antico passato. Le correnti numerologiche sfociarono in una rinascita degli studi matematici, persino in persone lontane da tentazioni occultistiche, come il molto concreto Luca Pacioli, che tuttavia chiamò “divina” la proporzione fra due lunghezze disuguali, delle quali la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la somma delle due. Non sorprende pertanto che egli si occupasse di quadrati magici, nel manoscritto del De viribus quantitatis, redatto prima del 1510, nei problemi 90-96: De li numeri in forma quadrata disposti secondo lastronomi figure deli pianeti

cioe ch’per lato et diametri sempre fanno tanto, dove 3 a 9. si trovano quelli di ordine da 3 a 9. Si noti come il Pacioli associ i diversi quadrati magici ai pianeti allora conosciuti, secondo una tradizione già iniziata prima del loro arrivo in Europa. Un vero e proprio mago rinascimentale era invece il medico, algebrista, inventore e astrologo milanese Girolamo Cardano, a dimostrazione della grande influenza del pensiero magico sugli intellettuali del tempo.

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Cap 90 De li numeri in forma quadrata disposti secondo lastronomi figure deli pianeti cioe ch’per lati et diametri sempre fanno tanto cioe luno 15 de saturno con tutte gfile del abaco Purtroppo, anche per questa importante testimonianza sui quadrati magici, mancano le figure. Fortunatamente nel testo l’amanualense riporta le prime righe di ciascun quadrato, permettendone la ricostruzione. Il Pacioli indica come autori dei quadrati planetari alcuni astronomi del passato: ” A lastronomia summamente hanno mostrato li supremi di quella commo Ptolomeo, al bumasar ali, al fragano, Geber et gli altri tutti La forza et virtu de numeri eserli necessaria…” Noi sappiamo che l’introduzione di questi quadrati nel mondo occidentale risale al ~1315 con Manuel Moschopoulos, il suo manoscritto 2428 e’ conservato alla Biblioteque Nationale de Paris. Il manoscritto, in lingua greca, e’ la traduzione di un lavoro arabo. Gli arabi acquisirono queste conoscenze dalla Cina attraverso le Indie. Alla Biblioteca Universitaria di Bologna e’ conservato il manoscritto num.2433 datato giugno-agosto dell’anno 1339, dove si trovano 2 quadrati magici del Sole e della Luna. 04 09 02 03 05 07 08 01 06 Quadrato di Saturno Lo stesso dato da Cornelio Agrippa (1533) 16 03 02 13 05 10 11 08 09 06 07 12 04 15 14 01 Quadrato di Giove E’ lo stesso utilizzato da Durer nella Melancholia. E’ quasi certo che Pacioli e Durer si incontrarono a Bologna intorno al 1506. Agrippa lo capovolge alto-basso e scambia le 2 colonne centrali. 14 10 01 22 18 20 11 07 03 24 21 17 13 09 05 02 23 19 15 06 08 04 25 16 12 Quadrato di Marte Agrippa, con permutazioni di colonne e righe 01 32 34 03 35 06 30 08 27 28 11 07 20 24 25 16 13 23 19 17 21 22 18 14 10 26 12 09 29 25 31 04 02 33 05 36 Quadrato del Sole

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Identico a quello riprodotto nel manoscritto gia’ citato del 1339. ripreso poi anche da Agrippa, con scambio delle 2 colonne centrali. 04 35 10 41 16 47 22 29 11 42 17 48 23 05 12 36 18 49 24 06 30 37 19 43 25 07 31 13 20 44 26 01 32 14 38 45 27 02 33 08 39 21 28 03 34 09 40 15 46 Quadrato di Venere e’ fondamentalmente lo stesso che si trova in un antico trattato arabo dell’XI secolo. Vedi Jacques Sesiano “Un Traite’ Medieval sur les Carres Magiques” 1996 Agrippa da’ lo stesso (speculare) 04 07 59 60 61 62 02 05 49 15 54 12 53 51 10 16 Quadrato di Mercurio (da completare) 05 54 13 62 21 70 29 78 37 46 14 63 22 71 30 79 38 06 15 55 23 72 31 80 39 07 47 56 24 64 32 81 40 08 48 16 25 63 33 73 41 09 49 17 57 66 34 74 42 01 50 18 58 26 35 75 43 02 31 10 59 27 67 76 44 03 52 11 60 19 68 36 45 04 53 12 61 20 69 28 77

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Ben presto il movimento di pensiero maturato in Italia si diffuse oltre le Alpi, soprattutto tra coloro che avevano avuto modo di soggiornare nel nostro paese. Tra di essi vi fu l’avventuroso intellettuale e mago Cornelio Agrippa di Nettesheim (1486-1535). La sua opera più celebre, il De

Occulta Philosophia, che circolò manoscritta a partire dal 1510, è una vera e propria summa delle conoscenze indispensabili al mago rinascimentale, fortemente influenzata dal neoplatonismo, dall’astrologia e dalla Kabbalah, con velleità operative e cerimoniali. L’opera fu scritta con la revisione del dotto abate Tritemio (Johann Heidenberg), poliglotta, esoterista e crittografo, del quale era stato allievo. Per Agrippa, la matematica è arte magica per eccellenza: “Così, quando un mago è versato nella filosofia naturale e nella matematica e conosce le scienze

che ne derivano, l’aritmetica, la musica, la geometria, l’ottica, l’astronomia e quelle che si

esercitano a mezzo di pesi, di misure, di proporzioni, di giunzioni, nonché la meccanica, che è la

risultante di tutte queste discipline, può compiere cose meravigliose che stupiscono gli uomini più

colti”. Nel manoscritto del 1510 non compaiono tuttavia i quadrati magici, che saranno inseriti solo più tardi, nel lungo periodo di revisione dell’opera che precedette l’edizione a stampa del 1533. In questi due decenni abbondanti, Agrippa aveva viaggiato molto, in Inghilterra, in Francia, nei Paesi Bassi e in Italia. Qui studiò la tradizione ermetica e la Kabbalah con maestri che si consideravano eredi di Ficino e di Pico. E’ assai probabile che Agrippa e Pacioli si siano incontrati a Bologna nel 1507, durante il primo viaggio in Italia del tedesco. Non è escluso che da questi contatti possa aver maturato la scelta di inserire i quadrati magici nell’opera a stampa. Nell’edizione del 1533 i quadrati magici compaiono nel secondo libro, dedicato alla magia celeste, cioè al potere delle stelle e dei pianeti. Di ogni quadrato magico, Agrippa fornisce la descrizione in chiave planetaria, secondo il seguente schema: Ordine 3: quadrato di Saturno Ordine 4: quadrato di Giove Ordine 5: quadrato di Marte Ordine 6: quadrato del Sole Ordine 7: quadrato di Venere Ordine 8: quadrato di Mercurio Ordine 9: quadrato della Luna. Ecco ad esempio la descrizione della tavola contenente il quadrato del Sole (n = 6, M = 111):

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“La quarta tavola è attribuita al Sole e composta d’un quadrato a sei colonne con trentasei numeri, che danno su ogni linea un totale di centoundici e sommati insieme formano il numero seicentosessantasei. È governata dai nomi divini con una intelligenza per il bene e un demone per il male e se ne estraggono i caratteri del Sole e dei suoi Spiriti. Incisa su una placca d’oro con l’immagine del Sole trionfante, rende chi la porta con sé glorioso, amabile, piacevole, suscettibile di ottenere quanto desideri, simile ai re e ai principi. Ma, se l’immagine rappresenta un sole leso, vale a rendere tiranni, superbi, ambiziosi, incontentabili e a procacciare una cattiva fine.” Ogni quadrato è accompagnato dal suo corrispondente in caratteri ebraici (così almeno sostiene l’autore) e da un numero variabile da 1 a 3 di Segni o Caratteri, che a me sembrano tanto dei percorsi da seguire sullo schema. Ad esempio, la tavola del Sole porta questi simboli:

Come si vede dal commento e dai simboli, ciascun quadrato planetario può esercitare un influsso benefico oppure malefico in funzione dell’immagine che lo accompagna, secondo la tradizionale ambivalenza dei simboli. Come è noto, un quadrato magico di ordine 4 (quadrato di Giove) compare in una delle incisioni più famose del grande artista tedesco Albrecht Dürer (1471-1528), la Melencolia I, realizzata nel 1514. Esso si trova sulla parete dietro il soggetto, in alto a destra di chi guarda, sotto la campana. L’incisione è stata oggetto di diversi studi eruditi, che hanno messo in risalto come, secondo la dottrina medioevale degli umori, a ciascuno di essi corrispondono uno dei quattro elementi e quattro pianeti, secondo lo schema: umore sanguigno – aria - Giove umore collerico – fuoco - Marte umore flemmatico – acqua – Luna umore melanconico – terra – Saturno Come scrive Frances Yates in Cabbala e occultismo nell’età elisabettiana (PBE Einaudi, 1982), “Il più sfavorito e detestabile di tutti e quattro gli umori era la melanconia abbinata a Saturno. Il

melanconico era scuro di carnagione, nero di capelli e nel volto: la facies nigra o colorito livido

causato dall’atrabile della carnagione dei melanconici. La sua tipica posizione fisica, espressiva

di tristezza e depressione, era l’appoggiare la testa sulla mano. Anche i suoi “doni”, o attività

caratteristiche, non erano attraenti: riusciva bene nella misurazione, nel calcolo e nel conto – nel

misurare la terra e nel contare il denaro – ma come erano basse e terrene queste occupazioni in

confronto alle splendide qualità dell’uomo sanguigno di Giove, o alla grazia e all’avvenenza dei

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nati sotto Venere!” La Melencolia di Dürer presenta proprio i canoni descritti, facies nigra, posizione pensosa, regge un compasso per la misurazione e il calcolo, ha una borsa per contare il denaro ed è circondata da oggetti di forma geometrica, tra i quali uno strano poliedro che ha interessato generazioni di interpreti e matematici.

Secondo il pensiero magico-astrologico rinascimentale, il temperamento malinconico derivante da Saturno poteva essere rivalutato, passare dal grado più basso degli umori a quello più alto, nel caso dei grandi pensatori, dei filosofi, dei profeti, dei veggenti. Essere malinconici poteva

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essere un segno di genialità (curioso che gli studi recenti abbiano sottolineato un legame tra genio e depressione) e Marsilio Ficino, nel De Triplici Vita (1489), dedicato alla magia astrale, rivolgendosi agli studiosi melanconici e saturnini, consiglia di aver cura di moderare la severità saturnina con gli influssi di Giove. Egli inoltre eleva l’accoppiata Giove-Saturno alla protezione delle attività intellettuali Ebbene, è proprio quanto avviene nell’opera di Dürer, in cui il quadrato di Giove sembra proprio avere la funzione di compensare gli effetti del dominio di Saturno.

Il quadrato di ordine 4 che compare nella Melancolia I possiede la particolarità, di certo non casuale, che le due caselle centrali dell’ultima riga portano i numeri 15 14, che è la data di realizzazione dell’opera, e che le due caselle poste alle estremità contengono i numeri 4 e 1, che corrispondono alle lettere D e A dell’alfabeto, le iniziali di Albrecht Dürer, proprio a mo’ di firma. Non fu di certo Ficino la fonte immediata dell’artista di Norimberga. E’ più probabile che egli abbia conosciuto il manoscritto del De Occulta Philosophia, che cominciò a circolare quattro anni prima dell’esecuzione della Melencolia e sicuramente circolava negli ambienti frequentati da Dürer. Secondo il classico studio di Klibansky, Panofsky, e Saxl, Saturno e la melanconia (Einaudi, 1964), l’opera potrebbe essere stata addirittura ispirata da un preciso passo del manoscritto di Agrippa del 1510, che i tre autori riproducono e traducono. Comunque sia andata,

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la presenza del quadrato di Giove nella bellissima incisione, una delle opere più conosciute del rinascimento tedesco, dimostra come la diffusione dei quadrati magici nell’Europa del Rinascimento non può essere separata dal successo del pensiero magico-ermetico che si era sviluppato a partire dalla metà del Quattrocento. Un quadrato magico è uno schieramento di numeri interi distinti in una tabella quadrata tale che la somma dei numeri presenti in ogni riga, in ogni colonna e in entrambe le diagonali dia sempre lo stesso numero; tale intero è denominato la costante di magia o costante magica o somma magica del quadrato. In matematica, una tabella quadrata è detta matrice quadrata. Un quadrato magico di ordine contenente tutti gli interi da 1 a è detto perfetto o normale. La costante magica di questi quadrati è data dalla formula:

I primi 15 componenti di questa successione sono: 1, 5, 15, 34, 65, 111, 175, 260, 369, 505, 671, 870, 1105, 1379, 1695 (successione A006003 dell'OEIS). Dettaglio di Melancholia I, di Albrecht Dürer. I due numeri nelle caselle centrali dell'ultima riga formano 1514, anno in cui venne fatta l'incisione. I quadrati magici erano noti già in Cina nei primi secoli dopo Cristo, e forse addirittura nel IV secolo a.C. Il quadrato 3 × 3 era chiamato Lo Shu; nel X secolo i cinesi conoscevano quadrati fino all'ordine 10, oltre a catene di cerchi e cubi magici non perfetti. Queste strutture giunsero in Europa relativamente tardi: il bizantino Manuel Moschopulos (circa 1265 – 1316) fu tra i primi a scrivere su di essi. Uno dei primi matematici ad approfondire l'argomento fu Cornelio Agrippa (1486 – 1535), il quale li definì "tavole sacre dei pianeti e dotate di grandi virtù, poiché

rappresentano la ragione divina, o forma dei numeri celesti". Molti quadrati magici si supponevano dotati di particolari virtù magiche e venivano utilizzati per costruire dei talismani: ad es. le loro incisioni su placche d'oro o d'argento venivano impiegate come rimedi, dalla peste al mal d'amore. Uno tra più noti quadrati magici è sicuramente quello che compare nell'incisione di Albrecht Dürer intitolata "Melancholia I". Frenicle de Bessy (1605-1665), matematico francese amico di Cartesio (des Cartes) http://goo.gl/viIBX http://goo.gl/u1RFL e di Pierre de Fermat, nel 1663 calcolò il numero dei quadrati magici perfetti del quarto ordine: 880, con somma costante 34, su righe, colonne e diagonali. Solo grazie al computer si riuscì ad estendere il risultato, nel 1973, agli ordini superiori: i quadrati magici di ordine 5 sono 275.305.224. Non è noto il numero preciso dei quadrati magici di ordine 6, anche se molti sono impegnati nella sua determinazione. Secondo alcune indagini, il loro numero è nell'ordine di 1.7754 × 1019. Resta comunque insoluto il problema più generale di trovare la regola che permetta di determinare il numero di quadrati magici di ordine n. Parente stretto del quadrato è il cubo magico, costruito in Europa per la prima volta solo nel 1866. Il primo cubo perfetto, di ordine 7 e quindi contenente i primi 73 = 343 interi positivi fu ottenuto da un missionario appassionato di matematica. In seguito si estese la ricerca a ipercubi di dimensione m ed ordine n, ognuno composto da numeri interi.

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Pico della Mirandola conosciuto semplicemente come Conte della Concordia (1463-1494), è stato un un noto umanista e filosofo italiano. È l'esponente più conosciuto della famiglia Pico. Giovanni nacque a Mirandola, presso Modena, il figlio più giovane di Francesco I, Signore di Mirandola e Conte della Concordia (1415-1467), e sua moglie Giulia, figlia di Feltrino Boiardo, Conte di Scandiano. La famiglia aveva a lungo abitato il Castello di Mirandola, città che si era resa indipendente nel XIV secolo e aveva ricevuto nel 1414 dall'imperatore Sigismondo il feudo di Concordia.La storia dei Pico e' di per se abbastanza sui generis anche se dato che all'epoca governarono come sovrani indipendenti piuttosto che come nobili vassalli e non e' poco. Pensate che all'epoca il vassallaggio verso nobili piu' potenti e sopratutto verso l'imperatore era una cosa normale dato che gli imperatori del sacro romano impero all'epoca non permettevano a quasi a nessun nobile di autogestirsi e governarsi. Questa nobile famiglia invece abbe sovranita' che ebbe sul Ducato di Mirandola e su altri territori vicini, come Concordia, per oltre quattro secoli, finché i loro domini non vennero annessi dagli Estensi di Modena solo nel 1711. Insomma quasi 300 anni di indipendenza e sovranita' la dice parecchio sulla "eccentricita' storico-politica" dell'epoca della famiglia Pico. Pico della Mirandola era un esoterista, e uno studioso di cabala. ll pensiero di Pico della Mirandola si riallaccia al pensiero neoplatonico di Marsilio Ficino, mescolando ad esso la come per esempio la tradizione misterica di Ermete Trismegisto e della cabala. Pico nel suo d De ente et uno, cerca ricostruire i lineamenti di una filosofia universale, che nasca dalla concordia fra tutte le diverse correnti di pensiero sorte sin dall'antichità, accomunate dall'aspirazione al divino e alla sapienza e culminanti nel messaggio della Rivelazione cristiana. In questo suo ecumenismo universale filosofico, oltre che religioso, vengono accolti non solo i teologi cristiani ed esoterici insieme a Platone, Aristotele, i neoplatonici e tutto il sapere gnostico ed ermetico proprio della filosofia greca, ma anche il pensiero islamico, quello ebraico e appunto cabbalistico, nonché di vari mistici e ermetisti di varie epoche storiche. Come vedete ritorna il pensiero di un organismo unico che raccolga religioni, pensieri filosofici e letterari in un unico calderone. Gli Illuminati attinsero molto da questa filosofia e tutt'ora tengono massimo rispetto per Pico della Mirandola Precursore del loro Novus Ordo Seclorum Organizzo addirittura a Roma un congresso per esporre i suoi pensieri sulla "pace filosofica" avrebbe dovuto inserirsi proprio in questo progetto culturale basato su una concezione della verità (la loro verita' e l'unica verita' che ci propugnano oggi) come princìpio eterno ed universale. In seguito tuttavia ai vari contrasti che gli si presentarono, a causa della difficoltà di una tale conciliazione, Pico si accorse che il suo ideale era difficilmente perseguibile; ad esso, a poco a poco, si sostituirà nella sua mente il proposito riformatore di Girolamo Savonarola, rivolto al rinnovamento morale, più che culturale della città di Firenze. Questa immancabile disfatta da parte di ideologie universalizzanti (come amo chiamarle) rappresentano il fulcro degli ermetisti, dei cabalisti e degli esoteristi: annichilire le diversita' a vantaggio di una unica componente "universale fraterna" dove si nasconde in realta' una insidia pericolosa, l'omologazione universale ad un pensiero unico e senza rispetto di cio' che le differenze portano con se, ovvero arricchiscono il genere umano, invece di impoverirlo. Va da se che le differenze filosofiche, ideologiche o religiose, possano come e' normale portare a scontri ideologici, ma siamo tutti diversi e in questo nostro universo, piu' che l'unificazione vediamo chiaramente che si preferisce la diversita'. Solo in apparenza le cose sembrano uguali nell'universo, in realta' sotto regole fisiche, biologiche e matematiche ci sono differenze sostanziali in tutto cio' che vediamo, sentiamo e tocchiamo. E' la differenza che ci rende uomini ed e' la differenza che ci rende liberi, ma questo sia per gli Illuminati, sia per Pico della Mirandola all'epoca e' qualcosa di insuperabile. L'ordine, la omologazione, la pianificazione e le strutture rigide sono elementi che ci fanno riconoscere cio' che e' malvagio da cio' che non lo e'. Il voler sintetizzare, omologare e trasformare e una attrazione perfida e astuta che gli Illuminati e tanti filosofi oscuri (come Pico)

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vogliono presentare al mondo. Questa finta fratellanza universale, che in realta' nasconde la morte, la distruzione e la schiavitu' perpetua e l'unica cosa che queste persone percepiscono ma che presentano su un piatto d'argento apparentemente innocuo.

pagina del documento Apologia del 1487

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Pico la Magia e la Cabala Pico della Mirandola aveva un interesse quasi ossessivo per cabala, che vedeva specioso e viene da lui visto come una importatissima fonte di sapienza a cui attingere per decifrare il mistero dell'universo del mondo, nel quale Dio e lontano e oscuro e non a caso, pico usa l'aggettivazione Oscuro piu' che invisibile , in quanto apparentemente irraggiungibile dalla ragione; ma l'uomo

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può ricavare la massima luce da tale oscurità Connessa alla sapienza cabbalistica con magia: infatti, il mago, per Pico, opererebbe attraverso una "verita' e realta'"assoluta che è oltre il visibile e il ponderabile e partendo da questi strumenti, può giungere a conoscere tale sfera invisibile attraverso la conoscenza della struttura matematica che è il fondamento simbolico della Natura. Mirandola dichiara nell’Apologia: «Credo di essere stato il primo ad aver fatto esplicita menzione della cabala». «Non vi è scienza che ci dia maggiori certezze della divinità del Cristo della magia e della cabala». Come Reuchlin riferisce, dopo Pico della Mirandola, «la sola parola cabala è parsa così orribile alle orecchie dei dotti che questi hanno potuto pensare che si trattava non di uomini, ma piuttosto d’ircocervi, di centauri o di simili altri mostri. Nel corso di una conversazione, avendo qualcuno chiesto cos’era la cabala, gli fu risposto che si trattava di un uomo perfido e diabolico che aveva molto scritto contro il Cristo, ed erano i suoi discepoli che erano chiamati cabalisti». «Ci sarebbe da ridere», esclamava Pico con Orazio. Ma si lanciava anche in lunghe spiegazioni, avvisando che «chi le leggerà troppo in fretta vi troverà invece di un Edipo, misteri ed enigmi». Nota bibliografica tratto dal libro François Secret Les Kabbalistes Chrétiens de la Renaissance. Pico della mirandola in oltre dichiara (lavoro di analisi del Professor Saverio Marchignoli citazione bibliografica):

In realtà non soltanto i misteri mosaici o cristiani, bensì anche la teologia degli antichi ci mostra

l'utilità e la dignità delle arti liberali di cui sono qui venuto a discutere.

A cos'altro mirava infatti l'osservanza, nei misteri greci, dei diversi gradi iniziatici? Solo dopo

essersi purificati tramite quelle arti che, dicevamo, sono in certo modo espiatorie, e cioè la morale

e la dialettica, gli iniziati ottenevano l'ammissione ai misteri. La quale in che altro può consistere

se non nell'interpretazione della natura più recondita per il tramite della filosofia? A questo

punto erano finalmente preparati al sopraggiungere dell'epopteia, cioè dell'intima visione delle

cose divine mediante il lume della teologia. Chi non desiderebbe di venire iniziato a tali sacri

rituali? Chi, messa da parte ogni umana sollecitudine, disprezzando i beni della fortuna e

trascurando il corpo, non vorrebbe divenire, mentre ancora si trova qui sulla terra, commensale

degli dèi, e madido del nettare dell'eternità ricevere, animale mortale, il dono dell'immortalità?

Chi non vorrebbe venir pervaso dall'afflato di quei furori socratici che Platone celebra nel Fedro,

ed esserne trasportato, dopo rapidissimo viaggio, nella Gerusalemme celeste, fuggendo

prontamente in un remeggio d'ali e di piedi da qui - ossia da questo mondo, che è consegnato al

maligno?Verremo condotti via, o Padri, verremo condotti via dai furori socratici, che a tal segno ci

faranno uscir di mente, da porre la nostra mente e noi stessi in Dio. Verremo condotti via da essi,

comunque, solo se prima avremo condotto a termine noi stessi quello che sta in noi; infatti se da

un lato, mediante la morale, le forze delle passioni saranno state opportunamente tese, nelle

debite proporzioni, secondo le misure armoniche, così da accordarsi l'una all'altra in perdurante

consonanza, e se dall'altro lato la ragione, mediante la dialettica, procederà a tempo nel suo

cammino, allora, eccitati dal furore delle muse, attraverso l'udito interiore berremo la celeste

armonia. Allora Bacco, condottiero delle Muse, nei suoi misteri (cioè tramite segni visibili della

natura) mostrerà a noi che filosofiamo le cose invisibili di Dio, e ci inebrierà dell'abbondanza

della casa di Dio, dove se in tutto saremo fedeli come Mosé, la santissima teologia a noi

accostandosi ci animerà di un duplice furore.

Infatti sollevati fino alla sua altissima specola, di lì commisurando all'indivisa eternità le cose

che sono, che sono state e che saranno, e rimirando la primeva bellezza, di quelle saremo i febei

vati, di questa saremo gli alati amanti, e infine, sospinti, come da un estro, da ineffabile amore,

trovandoci fuori di noi stessi quasi fossimo Serafini ardenti, ricolmi della divinità, ormai non

saremo più noi stessi, ma quegli stesso che ci fece.

I sacri nomi di Apollo, se indaghiamo i loro significati e i misteri in essi celati, mostrano a

sufficienza come quel dio sia, non meno che vate, filosofo. Ma avendo Ammonio su questo

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argomento già detto quanto basta, non ho motivo di trattarne ora altrimenti; rivolgiamo invece il

nostro pensiero, o Padri, ai tre precetti delfici,9 assolutamente necessari a coloro che intendono

entrare nel tempio, sacrosanto e augustissimo, non del falso, ma del vero Apollo che illumina ogni

anima che viene in questo mondo; vi accorgerete che essi a null'altro ci esortano, se non ad

abbracciare con tutte le nostre forze la filosofia tripartita della quale stiamo qui

discutendo.Infatti il celebre meden agan («nulla di troppo») giustamente prescrive quale regola e

norma di ogni virtù il criterio della medietà, di cui tratta la morale. segue poi il famoso gnothi

seauton («conosci te stesso»), che ci incita e ci sprona alla conoscenza della natura tutta, della

quale la natura dell'uomo costituisce l'elemento intermedio e per così dire la miscela. Chi infatti

conosce se stesso, in se stesso conosce ogni cosa, come ebbero a scrivere prima Zoroastro e poi

Platone nell'Alcibiade. Da ultimo, una volta che la filosofia naturale ci abbia illuminati con

questa conoscenza, ormai vicinissimi a Dio, dicendo ei («tu sei») ci rivolgeremo al vero Apollo con

un saluto teologico, chiamandolo così con espressione familiare e del pari felice.

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Insomma credo che sia abbastanza chiaro che Pico della Mirandola, ermetista, mago e cabalista

fu uno dei principali precursori della cosidetta "filosofia" universalista e mondialista che gli Illuminati di Baviera stanno cercando di imporre alla intera razza umana, legandoci per sempre ad una oscura dittatura, di natura ermetica, filosofica e magica, un abbraccio velenoso e mortale che porterebbe tutti noi ad una schiavitu' perpetua presentata in modo innocuo e solo apparentemente benevola ma bensi, perfida e maligna. Essere e non Apparire, trasformato oggi in Apparire per Essere. Madonna nei suoi video rappresenta la stessa magia cabalistica ed e' una che propaganda la cabala dappertutto. Vedete come certi legami addiritturano attraversano la storia. Dal potere filosofico intellettuale stiamo passando al potere temporale degli Illuminati e al loro Nuovo Ordine mondiale. Quello che pensava ieri Pico della Mirandola oggi Gli Illuminati di Baviera lo vogliono per tutti noi con la forza

Magia

Con il termine magia si indica una tecnica che si prefigge lo scopo di influenzare gli eventi e dominare i fenomeni fisici, nonché l'essere umano, servendosi di mezzi soprannaturali o

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paranormali e rituali appropriati. L'etimologia del vocabolo "magia" (in greco ?a?e?a) deriva dal termine con cui venivano indicati i "magi" (?????), antichi sacedoti Zoroastriani. Tecniche della magia Il mago utilizza il suo sapere magico con pratiche rituali o con intenti benefici ("magia bianca", positiva) o con intenti malefici ("magia nera", negativa). La scienza magica agisce in genere attraverso simboli, siano essi parole, pensieri, figure, gesti, danza o suoni. Le tecniche magiche possono essere raggruppate convenzionalmente in quattro categorie:

1 La cosiddetta magia simpatetica o omeopatica, in cui l'effetto magico è perseguito tramite l'utilizzo di immagini od oggetti (amuleti e talismani), che possono essere usati, ad esempio, come rappresentazione simbolica della persona cui si vuole nuocere (come nel Voodoo). 2 La magia da contatto è caratterizzata dalla preparazione di pozioni e filtri magici con ingredienti più o meno naturali. 3 La terza forma di pratica magica è l'incantesimo, che agisce tramite parole (un esempio tipico è abracadabra) o formule magiche.

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4 La quarta categoria è quella della divinazione, utilizzata per ricevere informazioni, come nell'astrologia, nella cartomanzia o nei tarocchi, nel presagio o nella preveggenza. Solitamente i riti magici utilizzano una combinazione tra le diverse forme. Nei casi in cui il mago durante una pratica rituale ricorre all'intervento di un entità soprannaturale si entra nei campi della negromanzia, dello spiritismo e della demonologia. Storia della magia nella cultura occidentale Nella maggior parte delle culture antiche, fin dagli albori della civiltà, sono esistite credenze e pratiche magiche, con caratteristiche sostanzialmente simili anche se formalmente diverse, che si possono trovare in relazione ad aspetti tipici dell'occultismo, della superstizione e della stregoneria. Alcune scene di pitture del paleolitico superiore trovate nelle caverne francesi sono state interpretate come aventi finalità magiche, come il successo nella caccia.

La magia in Egitto

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La società dell'antico Egitto è fortemente intrisa di credenze occulte. Nel pantheon egizio, oltre a Weret-Hekau, la dea della magia, anche Iside e Thot sono caratterizzati da poteri magici. Sono stati trovati molti papiri magici, scritti in greco, copto e demotico, che contengono formule ritenute capaci di prolungare la vita, fornire aiuto in questioni amorose e combattere i mali. È attestata anche la credenza nella cerimonia magica dell'apertura della bocca per mezzo della quale si riteneva possibile conferire un'anima a statuette, utilizzate come controfigure magiche dei defunti. La magia in Medio Oriente

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In Mesopotamia, nelle culture accadica, caldea e sumera, come anche in Persia, la terra d'origine dei Magi, si trovano numerose attestazioni di rituali di magia cerimoniale. Tutte le fonti antiche riportano esempi di pratiche magiche, come: 1 l'utilizzo di "parole magiche" che hanno il potere di comandare gli spiriti; 2 l'uso di bacchette ed altri oggetti rituali; 3 il ricorrere a un cerchio magico per difendere il mago contro gli spiriti invocati; 4 l'utilizzo di simboli misteriosi o sigilli per invocare gli spiriti; 5 l'uso di amuleti che rappresentano l'immagine del demone per esorcizzarlo. Comunque il più grande apporto culturale del Medio Oriente consistè nell'astrologia: l'osservazione degli astri era non solo magicamente inscindibile dal computo del tempo, ma anche strettamente legata ad ogni evento naturale. La magia nel mondo greco-romano

In Grecia fu Erodoto http://goo.gl/LysLG http://goo.gl/n2TZS http://goo.gl/bVBsD http://goo.gl/VdaxH a coniare il termine "mago" per indicare un sacerdote di una tribù della Persia antica.

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Dal IV secolo AC il vocabolo "mageia" cominciò ad essere utilizzato per indicare un insieme di dottrine nate dalla commistione di tradizioni arcaiche e le pratiche rituali ereditate dai Persiani. Fu comunque nella koinè culturale ellenistica che ebbe luogo quella fusione dei riti magici con elementi astrologici e alchimistici, che sarà alla base di tutta la speculazione magica dei secoli successivi.

Nella letteratura latina si trovano numerose testimonianze relative a tutta una serie di attività occulte. Esperimenti di negromanzia, uccisioni a distanza, animali parlanti, statue che camminano, filtri d'amore, metamorfosi, divinazioni, talismani che curano le malattie, sono solamente alcuni degli oggetti e dei rituali magici adoperati dai maghi che compaiono nelle opere di Orazio, Porfirio, Plinio il Vecchio e Virgilio. http://goo.gl/Mxn8w http://goo.gl/kSDKA Nel panorama letterario di magia latina un posto di prim'ordine spetta alle "Metamorfosi" (anche conosciuto come "L'asino d'oro") di Apuleio. L'opera, l'unico romanzo della letteratura latina pervenutoci intero, si compone di undici libri, nei quali viene narrata la storia di Lucio, un giovane trasformato per magia in asino, che, dopo varie peripezie, ritorna uomo per intercessione della dea Iside. Da ricordare che lo stesso Apuleio fu processato per aver costretto con la magia una ricca vedova a sposarlo per impadronirsi della dote. Del resto, nel diritto romano le leggi antiche prevedevano pene severe per quanti utilizzavano mezzi magici per conseguire scopi criminali.

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La magia nel Medio Evo

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Nonostante la polemica antimagica di alcuni scrittori cristiani, come Origene, Sant'Agostino e Tommaso d'Aquino, e l'ostilità della Chiesa nei riguardi delle arti occulte, il substrato culturale della magia medievale ebbe una certa rilevanza. La produzione letteraria di carattere magico, soprattutto in età umanistica, fu molto ricca, grazie anche alla mediazione di scrittori arabi. Alcune opere, come il Tetrabiblos di Claudio Tolomeo, l'Introductiorum di Albumasar, il Liber Vaccae (o Libro degli esperimenti) ed il famoso Picatrix, ebbero una enorme influenza sulla speculazione magica dell'età rinascimentale. Anche se alcuni autori, come Isidoro da Siviglia e più tardi Ugo da San Vittore, accomunano la magia all'idolatria, in quanto scienza conferita dai demoni, è nel XIII secolo con Guglielmo d'Alvernia e Alberto Magno, che si iniziò a porre l'accento sulla categoria della magia naturale, che tanta fortuna ebbe nei secoli immediatamente successivi. La magia nel Rinascimento

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Il periodo che va dal XV agli inizi del XVII secolo segna la grande rinascita della magia. L'inizio di questa rivoluzione magica può essere considerata l'opera di traduzione che alcuni umanisti, il più importante dei quali fu Marsilio Ficino, fecero delle quattoridici opere che formavano il cosiddetto "Corpus Hermeticum ", degli "Oracoli Caldaici" e degli "Inni Orfici". Queste opere, attribuite dagli studiosi rinascimentali rispettivamente ad Ermes Trismegisto, Zoroastro ed Orfeo, erano in realtà raccolte di testi nate in età ellenistica, che combinavano elementi neoplatonici, dottrine magico-teurgiche e forme di gnosi mistico-magica. Nel Rinascimento sul substrato colto di dottrine neoplatoniche, neopitagoriche ed ermetiche si incardinò la riflessione speculativa magico-astrologica-alchemica, arricchita da idee derivanti dalla Cabala, come testimoniano emblematicamente le figure di Pico della Mirandola e Giordano Bruno. Il compendio forse più interessante per la magia rinascimentale è il "De occulta philosophia" di

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Cornelio Agrippa von Nettesheim. In questa opera il medico, astrologo, filosofo e alchimista tedesco definisce la magia "la scienza più perfetta", e la divide in tre tipi: naturale, celeste e cerimoniale, dove i primi due rappresentano la magia bianca, ed il terzo quella nera o negromantica. Queste argomentazioni saranno riprese più tardi nel "Magia naturalis sive de miraculis rerum naturalium" del napoletano Giovanni Battista Della Porta, il quale vede nella magia naturale il culmine della filosofia naturale, e nel "Del senso delle cose e della magia" di Tommaso Campanella. Altra importante figura nel contesto magico-alchemico rinascimentale è quella di Paracelso, la cui iatrochimica risente della simbiosi tra magia naturale e scienza sperimentale, tipica del XVI secolo.

La sola parola Kabala

Parlando di cabala implicita, il giovane Conte nella sua Apologia ci teneva a richiamarsi agli antenati. Tra le tredici tesi sospette, esaminate dalla commissione riunita da Innocenzo VIII, appariva in effetti la nona della serie delle Conclusioni magiche secondo la sua opinione: «Non vi è scienza che ci dia maggiori certezze della divinità del Cristo della magia e della cabala». Come Reuchlin riferisce, dopo Pico della Mirandola, «la sola parola cabala è parsa così orribile alle orecchie dei dotti che questi hanno potuto pensare che si trattava non di uomini, ma piuttosto d’ircocervi, di centauri o di simili altri mostri. Nel corso di una conversazione, avendo qualcuno chiesto cos’era la cabala, gli fu risposto che si trattava di un uomo perfido e diabolico che aveva molto scritto contro il Cristo, ed erano i suoi discepoli che erano chiamati cabalisti». «Ci sarebbe

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da ridere», esclamava Pico con Orazio. Ma si lanciava anche in lunghe spiegazioni, avvisando che «chi le leggerà troppo in fretta vi troverà invece di un Edipo, misteri Spiegava allora: Bisogna dunque sapere che non soltanto secondo Rabi Eliazar, Rabi Moyse d’Egitto, Rabi Simeon ben Lagis, Rabi Ismael, Rabi Jodah e Rabi Nachiman e innumerevoli altri saggi ebrei, ma anche secondo i nostri stessi dottori, come illustrerò più avanti, Dio diede sulla montagna, a Mosè, oltre alla Legge che fu messa per iscritto nel Pentateuco, la vera spiegazione della Legge con la manifestazione di tutti i misteri che sono contenuti sotto la crosta e l’apparenza grossolana delle parole. Questa duplice legge letterale e spirituale, Mosè ricevette da Dio l’ordine di mettere la prima per iscritto e di comunicarla al popolo, ma di guardarsi dallo scrivere la seconda, e di affidarla ai soli saggi in numero di settanta, scelti da Mosè per ordine di Dio allo scopo di conservare la Legge. Mosè fece a quei saggi la stessa raccomandazione di non scriverla, ma di rivelarla a viva voce ai loro successori affinché questi, a loro volta, facessero lo stesso. Il giovane Conte aveva, è vero, dichiarato nell’Apologia, scritta per difendere le tesi che stavano allarmando l’opinione romana: «Credo di essere stato il primo ad aver fatto esplicita Sin dal 1516, Johannes Reuchlin, nel suo trattato sull’Arte della Cabala, faceva dire al principale interlocutore del dialogo, l’ebreo Simeone, che «quelli che in ebraico sono chiamati Mekablim sono designati in latino con i termini di Cabalisti o Cabalici, dopo Giovanni Pico della Mirandola, prima del quale questo nome era sconosciuto nella lingua dei Romani». Nel 1517, in un trattato di Cabala dedicato al cardinale de’ Medici, il futuro Clemente VII, il cardinale Gillio da Viterbo, che ammirava peraltro meno la scienza di Pico di quella di Reuchlin, gli riconosceva il primato in Cabala, ed è quanto ripeteva il francescano Pierre Galatin nel trattato De arcanis catholicæ veritatis, scritto per difendere Reuchlin e pubblicato nel 1518. Il duraturo successo delle opere di Reuchlin e di Galatin, spesso ristampate insieme, determinò la tradizione.

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Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), la «Fenice della sua era», il «grazioso principe del Rinascimento», è entrato molto presto nella leggenda. Quando nacque apparve una sfera di fuoco nella camera di sua madre. La sua memoria era tale che dopo la lettura di un poema poteva recitarlo anche cominciando dal suo ultimo versetto, e prima che s’illustrasse del suo caso la teoria della metempsicosi, Postel, che si specchiava in lui, parlava «del divino o veramente angelico e più che umano spirito che dimorò dentro il signor Pico della Mirandola». A quattordici anni abbandona il diritto canonico per la filosofia e le lingue, ed è nota la carriera folgorante che lo porta da Bologna a Ferrara, a Padova, a Parigi, a Firenze. Avido di tutto conoscere, Greci e Latini, Arabi ed Ebrei, propone a ventitré anni le sue 900 tesi «de omni scibili». Il suo prestigio fu tale che uno storico come L. Febvre scrisse «che sciorinava i suoi sogni in molti grossi volumi», quando la parte di Giovanni Pico della Mirandola costituisce il più piccolo degli in-folio che riuniscono le opere dello zio e del nipote, Giovanni Francesco, col quale ancora sovente lo si confonde. Ed è così che la tradizione attribuì a Pico della Mirandola la gloria di aver introdotto, in campo umanista, la cabala. Se a più di un titolo Pico della Mirandola merita di rimanere l’eroe della cabala cristiana, in verità si capirebbe male l’apparizione della cabala in ambiente umanista e la sua evoluzione senza tener conto della famosa dichiarazione di Pico e dell’ambiente in cui egli stesso sviluppò il suo pensiero. È il modo di trasmettere questa scienza come eredità, ricevendola cioè da un maestro, che ha fatto dare a questa scienza il nome di cabala, che significa ricevimento... Che sia proprio così: che Dio diede a Mosè la Legge letterale perché la consegnasse per iscritto, e che Dio rivelò inoltre i misteri contenuti nella Legge, ho cinque testimoni tra i nostri: Esdra, Paolo, Origene, Ilario e il Vangelo.

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Abbiamo per cominciare questo testo di Esdra al quale il Signore si rivolse in questi termini: «Ho fatto la mia rivelazione nel roveto, ed ho parlato a Mosè, quando il mio popolo era schiavo in Egitto. E l’ho fatto uscire dall’Egitto. E l’ho fatto salire sul Sinai, dove l’ho trattenuto vicino a me per molti giorni. E l’ho fatto partecipe di molte delle mie meraviglie. E gli ho mostrato i segreti e la fine dei tempi. E gli ho ordinato: «Queste parole dichiarale, quest’altre, celale». Abbiamo poi il parere autorevole di Origene, la cui testimonianza per le tesi che la Chiesa accoglie è molto forte, in quanto là ove è buona, non v’è uomo migliore. Origene dunque, su questo passaggio di Paolo, al capitolo III dell’Epistola «Qual è dunque la superiorità dei Giudei, o qual è l’utilità della circoncisione? Anzitutto perché a loro furono affidate le promesse divine». Origene afferma che occorre prenderli in considerazione, non perché si tratta della lettera scritta, ma in quanto sono gli oracoli di Dio. Da questo testo di Origene ricaviamo che oltre alla Legge letterale, qualcos’altro fu trasmesso ai Giudei, che Paolo chiama gli oracoli di Dio. La lettera, cioè la legge letterale, nessuno nega che fu loro rivelata. Ma essa non è per nulla una prerogativa, in quanto per se stessa la lettera uccide; se non è vivificata dallo spirito è di per sé completamente morta. Ma oltre a questa legge furono loro dati gli oracoli di Dio, di cui si vantano a ragione e che non sono che ciò che gli Ebrei chiamano Cabala, cioè il vero senso della Legge ricevuta dalla viva voce. L’espressione «Torah scebealpe», che troviamo in loro, significa legge della bocca che, essendo ricevuta in eredità, si chiama cabala. Che questa scienza ricevuta da Dio Mosè l’abbia in seguito comunicata ai soli 70 anziani, Ilario lo testimonia chiaramente nella spiegazione del salmo II: «Perché si sono mobilitate le genti...». Scrive: «C’erano già, dai tempi di Mosè, 70 dottori prima dell’istituzione della Sinagoga. In quanto Mosè stesso, che aveva consegnato per iscritto le parole dell’Antico Testamento, affidò a parte alcuni dei più segreti misteri dei segreti della Legge ai 70 anziani che ebbero dei successori. Il Signore stesso ricorda questa dottrina quando dice: «Gli scribi ed i Farisei si sono assisi sulla cattedra di Mosè. Fate dunque ed osservate tutto ciò che essi dicono, ma non imitate le loro azioni». La loro dottrina passò ai loro successori. Queste sono le parole di Ilario. Allora, secondo la testimonianza specifica di questo Padre, vi fu oltre alla Legge scritta, un’altra dottrina più segreta che Mosè aveva «consegnato» ai 70 saggi.

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Che questa dottrina più santa e più vera che spiegava i misteri della Legge non sia stata resa pubblica ma soltanto rivelata da Dio a Mosè, e da Mosè ai 70 saggi, Origene ne dà testimonianza ancche nel prosieguo del passaggio che ho citato. È da quelli che sono loro simili che bisogna ascoltare le parole «ai quali furono confidati gli oracoli di Dio». Attraverso questi ammirevoli consiglieri, occorre ascoltare quelli che gli Ebrei chiamano Senedrin, cioè quei 70 anziani, che Mosè elesse su ordine di Dio.

Mi sembrano aver rivestito il ruolo tenuto ai nostri giorni dai cardinali della nostra Chiesa. E conformemente al loro numero di 70, come dichiareremo ora, i misteri della Cabala furono redatti in 70 libri principali al tempo di Esdras. Infatti fino ad allora nulla era stato messo per iscritto di questa dottrina che, come ho detto, era trasmessa per ricezione ereditaria, da cui il termine di cabalistica. Quando gli Ebrei furono liberati da Ciro dalla schiavitù di Babilonia, ed il tempio restaurato sotto Zorobabele, Esdras, che presiedeva la Sinagoga, dopo aver riordinato i

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testi dell’Antico Testamento, volle anche redigere i segreti oracoli di Dio, per evitare che la tradizione andasse perduta nel corso delle vicissitudini della storia del suo popolo. Esdras fece dunque redigere in 70 libri dai 70 anziani i misteri che non furono peraltro in seguito confidati che ai soli saggi. Sono le parole stesse di Esdras: «Dopo quaranta giorni, l’Altissimo parlò e disse: «Le prime cose che hai scritto consegnale al pubblico; che le leggano i degni e gli indegni. Ma conserverai i 70 ultimi libri per affidarli ai saggi del tuo popolo, in quanto in questi libri si trovano i fondamenti dell’intelligenza, la sorgente della saggezza ed il fiume della scienza. Pico della Mirandola riprendeva qui i termini dell’Oratio, che doveva pronunciare all’apertura della discussione delle sue 900 tesi, e ritorneremo su questi 70 libri che credette aver ritrovati, acquistando dei manoscritti di cabala. A queste autorità ne aggiunse delle altre, come quella di San Girolamo, che fa spesso riferimento all’opinione dei suoi maestri ebrei. A coloro che obiettavano che poteva trattarsi di altri autori ebrei, rispondeva: «Non si può dubitare che Girolamo parli dei dottori della cabala, cosa che si può dimostrare in maniera evidente. Tutta la scuola degli Ebrei si divide infatti in tre sette: filosofi, cabalisti e talmudisti. Non si può credere dottori si siano rapportati ai talmudisti, in quanto Clemente e molti altri che citano gli Ebrei vissero prima della composizione del Talmud, redatto più di 150 anni dopo la morte del Cristo e perché la dottrina del Talmud è interamente costruita contro di noi dagli Ebrei, nostri nemici.

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Pertanto i nostri dottori non avrebbero concesso un tale onore a questa dottrina. É altrettanto certo che non si riferiscono ai filosofi, in quanto quelli che cominciarono ad esporre la Bibbia secondo la filosofia lo fecero recentemente. Il primo fu Rabi Moïse d’Egitto, contemporaneo di Averroès di Cordoba, morto da 300 anni...» Nell’Heptaplus Pico riprenderà ancora questa regola degli antichi ebrei, ricordata da Girolamo, che nessuno poteva trattare della creazione del mondo, il Ma’ase Bereshithh, prima di aver raggiunto la maturità.

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I successori di Pico della Mirandola non tralasciarono di riprendere queste autorità, all’occasione aggiungendovene delle altre. Girolamo, nelle sue opere, ricorda che ogni parola, sillaba, segno, punto delle divine Scritture sono pieni di sensi. Infatti sulla Genesi, a proposito di Abraham e di Sarah, scrive: «Gli ebrei affermano che Dio trasse dal suo nome di quattro lettere la «He» per aggiungerla a quelli di Abraham e di Sarah. Abraham si chiamava prima Abram, che si interpreta: Padre elevato; fu in seguito chiamato Abraham, che è tradotto: Padre di molte nazioni». Non tralasceremo di citare l’esegesi del versetto 26 del capitolo XXV di Geremia: «E il re Sesac berrà dopo di loro», dove Sesac significa Babilonia: «Come Babilonia, che si dice in ebraico Babal, può essere compresa nel nome di Sesac, colui che avrà qualche conoscenza dell’ebraico lo capirà senza difficoltà. Allo stesso modo che da noi l’alfabeto greco, che si legge dalla prima all’ultima lettera, Alpha, Beta, ecc., sino all’Omega, si può leggere al contrario, unendo la prima all’ultima: Alpha Omega, Beta Psi, per aiutare i bambini a ricordarlo, così presso gli Ebrei, dove la prima lettera è Aleph, la seconda Beth, la terza Gimel, fino alla ventiduesima ed ultima, Tau, e la penultima, Shin; leggiamo Aleph Tau, Beth Shin, per arrivare al centro dove la così per Babel, leggiamo, cambiando l’ordine delle lettere, Sesach». Ciò che è uno degli alfabeti, chiamato Ath-Basch, che Reuchlin spiegherà.

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Ed è a chi ricorderà l’osservazione di Girolamo a proposito di Ezechiele, che con l’inizio della Genesi non può essere studiata prima dell’età matura, o la lista dei dieci nomi di Dio: «El, Elohim, Tsevaoth, Elim, Eser, Ehie, He, Vau, He, Shadai». E uno dei testi maggiormente riprodotti fu quello dove Girolamo dava il senso dell’alfabeto ebraico. Per quanto differisse da quello proposto da Eusebio, certi cabalisti cristiani non temettero di farne una sintesi, come C. Duret, che raccoglie tutta l’eredità del secolo nel suo Thrésor de l’histoire des langues, pubblicato nel 1613: «Per quanto concerne la spiegazione o l’interpretazione dei sensi e misteri che sono compresi sotto la scorza degli alfabeti, diremo che Eusebio, libro 10, capitolo 2 e libro 11, capitolo 4 della sua Préparation, e nella sua prefazione dei commentari sulle Lamentazioni si beffa a buon diritto dei Greci i quali, con tutta la loro sufficienza ed impeto nell’esaltazione della loro lingua, non saprebbero trovare alcun significato dal loro alfabeto, così come fanno i bambini degli ebrei in quello della loro lingua ebraica, ai quali se si chiede cosa significa Aleph, immediatamente rispondono che è disciplina, Beth una casa, intendendo con queste parole la casa di disciplina, come se si intendesse una disciplina di dottrina, di economia e di spesa; Gimel pienezza di voce, Daleth dei libri, He, l’insieme che è stato detto precedentemente...».

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A Girolamo ed Eusebio si aggiungeva Ireneo che riportava un’esegesi del nome di Gesù: «Secondo la lingua degli ebrei, il nome di Gesù si compone di due lettere e mezzo, come dicono i loro dottori, e significa che è il maestro che contiene il cielo e la terra». Così che un esegeta della fine del secolo, Drusius, spiegava: «Cosa che sembra più oscura di un enigma. Ma non serve un Edipo. Io Davus, lo spiegherò: jsv ha tre lettere di cui la prima Ioth è chiamata semilettera, in quanto non raggiunge che il centro delle altre lettere. Queste lettere significano ihwh con Maestro. Shin è messa per Semaim, il cielo, e Vau per Vearets, e la terra. E si ha: maestro del cielo e della terra». Alcuni trovarono il termine di cabala dove non c’era, in un testo di Tertulliano contro Marco e Colorbasius, eretici, che «giocando con le lettere, avevano tratto innumerevoli dogmi insulsi e pericolosi, abusando di quanto il Cristo aveva detto nell’Apocalisse: «Io sono l’Alfa e l’Omega». Declino della magia

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Proprio mentre la tradizione magica è al suo culmine, nel XVII secolo si iniziano a vedere le avvisaglie della polemica contro la cultura magico-alchimistica, che caratterizzerà maggiormente il secolo dei lumi. Il precursore della condanna delle varie dottrine magiche in nome del sapere scientifico è da considerarsi Francis Bacon. A partire da questo momento la magia inizierà un lento declino, favorito da pensatori come Cartesio e Hobbes e dallo sviluppo delle correnti filosofiche del meccanicismo, del razionalismo e dell'empirismo. Nel XVIII secolo, con l'avvento dell'Illuminismo, la magia, definitivamente sconfitta nell'ambito della cultura dominante, venne relegata in un limbo, nel quale tuttavia riuscì in qualche modo a sopravvivere. La magia nel XIX secolo

La seconda metà dell'Ottocento è caratterizzata da un rinnovato interesse nei confronti dell'occultismo e dell'esoterismo magico. La figura che meglio incarna il revival delle scienze occulte nel XIX secolo è il mago Eliphas Lévi, nato Alphonse Louis Constant. http://goo.gl/szzUm http://goo.gl/g4U1m La cui ricca produzione letteraria influenzò grandemente la speculazione occultista del secolo successivo. L'ultimo scorcio del secolo vide anche il sorgere di organizzazioni dal sapore magico, come l'Hermetic Order of the Golden Dawn e la Società Teosofica.

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La magia oggi

Il panorama della magia contemporanea è molto variegato e di difficile analisi sistematica, soprattutto a causa del coacervo sincretistico che caratterizza la maggior parte delle odierne dottrine magiche, esoteriche e occultistiche. In genere il substrato comune è costituito da alcune teorie che si riallacciano alle tradizioni neoplatoniche, gnostiche, ermetiche, cabalistiche, astrologiche, alchimistiche e mitologiche antiche. Su queste e sul pensiero dei moderni occultisti, da Madame Blavatsky ad Aleister Crowley, http://goo.gl/6sbn8 http://goo.gl/FnICN da G. I. Gurdjieff a Gerald Gardner, a Djon Fortune, sono nate tutta una serie di associazioni e gruppi esoterici, più o meno influenzati dalle nuove correnti della New Age, della Wicca e del Neopaganesimo.

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Interpretazioni della magia

La magia, in quanto fenomeno ubiquitario che ha accompagnato la civiltà umana dagli albori, è stata ed è oggetto di studio da parte delle scienze sociali, prime fra tutte l'antropologia culturale, l'etnologia e la psicologia. Le tematiche affrontate nello studio della magia solitamente riguardano la sua relazione con la scienza e la religione, la sua funzione sociali e la natura del suo pensiero.

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Evoluzionismo

Nel 1871 Edward Tylor nella Cultura dei primitivi arrivò alla conclusione che la magia fosse una "scienza sbagliata" in quanto non in grado di distinguere i rapporti causa-effetto da quelli propriamente temporali. Vicino alla posizione tyloriana fu James George Frazer, il quale, nel Ramo d'oro, pur considerando la magia un primo stadio nello sviluppo della civiltà, ebbe il merito di fornire una prima classificazione della magia. Egli distinse i processi magici in simpatetici (il simile agisce sul simile) e contigui (le cose che sono state in contatto possono continuare ad interagire anche se distanti). Psicologia La natura della magia è stata studiata anche dal punto di vista psicologico. Basandosi sulle teorie evoluzioniste del Frazer, studiosi come Wilhelm Wundt, Gerardus van der Leeuw e soprattutto Sigmund Freud accostarono il pensiero magico dell'uomo primitivo a quello del bambino, il quale ritiene che la realtà è influenzabile secondo i suoi pensieri ed i suoi desideri. Più recentemente anche Ernesto De Martino ne Il mondo magico pone l'accento su alcuni fenomeni tipici di pratiche sciamaniche, quali la spersonalizzazione e lo scatenamento di impulsi incontrollabili. La magia

La magia è l’arte di agire sulla natura, su uomini o animali, sia con la forza del pensiero diretto dalla volontà sia con pratiche occulte più o meno lecite. Tra le varie origini della parola, la magia sembra provenire dall’antico persiano magh, che significa interiore; magos voleva dire sapiente e con questo termine s’indicava il sacerdote, depositario di tutte le conoscenze di allora, inclusa l’astrologia e ogni altra forma di divinazione. Magia e stregoneria sono presenti in ogni tempo e in ogni luogo, così come l’istinto religioso. Gli antropologi hanno stabilito che l’Homo Sapiens è, contemporaneamente, Homo Magicus e Homo Religiosus, in quanto magia e religione hanno numerosi punti in comune. In sintesi possiamo dire che la religione è il complesso di credenze, di culti e di rituali atti a stabilire un

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contatto fra l’uomo e le entità superiori, in particolare con la divinità. Allo stesso modo la magia tende a stabilire un legame con una o più forze superiori all’uomo, e successivamente a propiziarsele. Rituali, offerte o sacrifici vengono fatti per compiacere la divinità la quale, se è benefica, si accontenterà di preghiere, rinunzie e obbedienza mentre se è malefica può venir blandita in uno di questi modi: con la forza del comando o con offerte di sacrifici cruenti. Da ciò si deduce che magia e religione implicitamente riconoscono agli avvenimenti della natura una elasticità potenziale e non una rigida ineluttabilità. Questa elasticità potenziale oggi viene anche confermata dalla fisica delle particelle la quale asserisce che il mondo dell’infinitamente piccolo si determina sempre all’ultimo momento. Insomma il tutto è relativamente determinato, per cui avremmo la possibilità di modificare le cose che non ci piacciono. Però, mentre l’uomo religioso cerca di indurre la divinità a modificare un evento a suo vantaggio mediante le preghiere, le offerte e le suppliche, l’uomo magico impiega una coercizione sulle forze della natura con l’ausilio del comando, dell’offerta sacrificale e dell’invocazione alle forze benefiche se fa il mago bianco, o a quelle malefiche se fa il mago nero.

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Possiamo se volete sviluppare un importante Teorema: Il Bene che diventa Male e il Male che diventa Bene, V.I.T.R.I.O.L. Visita Interiora Terrae

Rectificando Invenies Occultum Lapidem Veram Medicinam, che significa “Visita l’interno della terra, e rettificando troverai la pietra nascosta che è la vera medicina”. Cambiando la nostra pelle potremo sviluppare questa equazione e capire cose importanti su ciò che ho scritto …Vedrete il cosiddetto Male con occhio diverso Provate e così dicasi per il Bene e vedrete ma sappiate che è molto faticoso e non tutti ci arrivano. Buon lavoro a tutti.

Le teorie magiche

Il mago opera perché sa che ogni cosa pensata intensamente ed emotivamente acquista una realtà effettiva, piegandosi ed obbedendo ai suoi ordini. Ma il mago, soprattutto, sa che il pensiero magico assume una forza ancora più grande se viene accompagnato dalla parola, quindi

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dal suono, vibrazione di grandissima potenza di cui troviamo chiara menzione anche nel Vangelo di Giovanni: “ In principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio”. La magia considera l’intero universo come un essere vivente, compenetrato da forze che interagiscono fra loro, intrecciate in un ordine perfetto ma non immutabile. Essa si basa sul principio che il simile produce il suo simile (un albero di arance non produrrà mai delle mele) e che l’effetto rimane sempre legato alla causa che lo ha prodotto. Cosicché il mago opera per imitazione, convinto che ogni cosa fatta a un oggetto materiale che evochi la persona o che sia appartenuto ad essa, (una ciocca di capelli, una cintura, un fazzoletto...) influenzerà per simpatia sulla persona stessa. In virtù di questa magia “simpatica”, ogni popolo del globo ha avuto i suoi maghi, bianchi per togliere i malefici e per dare la prosperità, la salute, l’amore, e neri per danneggiare il nemico e, molto spesso, per ucciderlo. Piccole curiosità Già quattromila anni fa si facevano sortilegi ed incantesimi in India, in Persia, a Babilonia o in Grecia e ancora oggi gli stessi sortilegi si fanno tra i selvaggi d’Australia, i peruviani, gli africani, oltre che nel nostro mondo occidentale. Tuttora i peruviani modellano una piccola immagine fatta di grasso e di chicchi di grano, che sta a rappresentare la persona che si vuole eliminare, e poi la bruciano sulla strada dove la vittima dovrà passare. In Arabia, maghi bianchi fanno indossare alle donne sterili gli indumenti di un’altra donna che ha molti figli affinché la prima, assieme alla veste, acquisti anche la fertilità che le manca. In una zona d’Australia, quando una donna vuol tessere o ricamare con particolare abilità, consiglia il marito di catturare un grosso serpente che poi accarezzerà lungo il dorso, sugli occhi e sulla fronte, affinché diventi capace di ricami belli quanto la pelle del rettile. Inutile sorridere di questi rituali primitivi. Ognuno di noi inconsapevolmente ne pratica tanti altri, magari quando ha cura di non passare sotto una scala o di non farsi attraversare la strada da un gatto nero. Ogni volta che, mediante azioni o mezzi non razionali, cerchiamo di propiziarci la fortuna o di evitare la sfortuna, in realtà noi facciamo magia. Secondo alcuni studiosi la magia risalirebbe al paleolitico superiore, sebbene all’inizio veniva impiegata esclusivamente per l’utile del singolo e della collettività.

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A cosa serve una Bambola Voodoo? Questo oggetto viene associato erroneamente solo alla magia nera, ma in realtà viene adoperato

per ogni sorta di incantesimo benigno o malefico ed anche nei riti religiosi per onorare le divinità

Voodoo.

La funzione della bambola voodoo è quella di rappresentare la persona o la Divinità su cui si

concentra il rituale; quindi possono essere impiegate per “attaccare” un nemico , guarire o far

innamorare le persone amate o invocare la presenza della Divinità.

Come posso costruire una Bambola Voodoo? Le bambole tradizionali di New Orleans sono costruite sistemando a croce due rami, creando il

corpo con dell’ erba magica adatta al rito e oggetti appartenenti alla persona bersaglio o con il

sigillo dello spirito. Il tutto viene avvolto con della stoffa colorata e si procede alla decorazione. Tradizionalmente i colori sono:

Bianco: per la magia bianca, spiritualità. Nero: per la magia nera, per proteggersi da negatività. Rosso: amore, attacco, passione, potere Verde: denaro, fertilità, serenità Blu: serenità, riposo, fortuna Rosa: amore Viola: spiritualità, spirito dei defunti Giallo: allegria, soldi, mente.

Come si usa una Bambola Voodoo? Non esiste un unico rito perché questo dipende dalla natura dell’ incantesimo e dello spirito

invocato, nonché dalle tradizioni locali.Prima di eseguire l’ incantesimo, l’ officiante si accinge ad

un bagno purificatore e in seguito purifica anche l’ area in cui verrà svolto il rito. Questo viene

fatto spruzzando rum o dell’ acqua benedetta.

Il rito inizia con una preghiera a Papa Legba affinché apra le porte tra il regno umano e quello

degli spiriti.Poi, si tracci il sigillo della Divinità di cui si chiede l’ aiuto utilizzando farina di

mais o polvere “cascarilla”. Si ripeta la formula di invocazione finche se ne avverta la presenza.

Sul sigillo si ponga l’ offerta per propiziarsi lo spirito e soddisfarlo, la bambolina o gli oggetti

necessari a costruirla.

A questo punto, l’ officiante simula con la bambola ciò che si vuole che accada all’ altra persona e

lo si chiede a voce allo spirito invocato. Dal momento in cui viene usata, la bambola non deve

essere più chiamata tale, ma col nome della persona che rappresenta. Al termine viene ringrazia

lo spirito e lo si congeda, spesso con un’ altra offerta. Segue una preghiera a Papa Legba pere

chiudere il portale e si spazza via il sigillo tracciato con la farina o la polvere.

Se invece la bambola voodoo serve a invocare la presenza della Divinità nella casa, in un luogo o

per esserci vicino, la bambola deve essere costruita secondo l’ immagine e i gusti dello spirito per

esempio: una bambola di Damballa sarà decorata con serpenti e nei suoi colori sacri e conserverà

all’ interno il suo sigillo. Durante il rito si chiederà allo spirito di abitare la bambolina.

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Ricordate il Bene che diventa Male e il Male che diventa Bene

Alla base della magia, come detto, vi sono due modi di operare: attraverso il comando o attraverso la preghiera. Il primo modo appartiene anzitutto alla magia nera, che si avvale di spiriti impuri, démoni e forze negative dell’universo, per modificare e piegare le leggi della natura. Il secondo appartiene alla magia bianca e quindi si rivolge soprattutto agli spiriti angelici, superiori, inclusi gli angeli e gli arcangeli. La magia rossa evoca esclusivamente le forze diaboliche allo scopo di ottenere vantaggi terreni, anche a costo della dannazione eterna, come nella leggenda di Faust. La magia bianca, benefica, col tempo è stata in gran parte assorbita dal culto religioso mentre quella nera o malefica è rimasta tuttora in antagonismo sia con la prima che con la religione stessa. La Magia, bianca o nera, è stata temuta e stigmatizzata in ogni tempo. Già duemila anni prima di Cristo il Codice di Hannurabi, in Mesopotamia, condannava maghe e streghe. In Egitto, su per giù nello stesso periodo, alcuni personaggi accusati di aver fatto ricorso alla stregoneria in un complotto di palazzo, utilizzando delle statuette simili a quelle tanto reclamizzate oggi per nuocere a chi non amiamo, vennero addirittura messi a morte. A quei tempi la magia nera era severamente proibita e chi veniva scoperto a praticarla rischiava la vita. Per secoli le pratiche occulte sono però state accettate come un dato di fatto. In Grecia si formerà tuttavia una magia filosofica o scientifica che trarrà buona parte delle sue credenze da alcune dottrine gnostiche, neoplatoniche, cabbalistiche e astrologiche. Questa magia “colta” verrà praticata da molti grandi personaggi passati o recenti e affrontata come studio dei fluidi terrestri e magnetici, umani e vitali, cosmici o planetari. Essendo stata accettata dalla casta sapienziale come una magia “naturale”, essa verrà in buona parte tollerata anche dalla religione. Salomone, Mosè, Virgilio sono i grandi maghi dell’antichità, Cornelio Agrippa, Nostradamus, http://goo.gl/uQKa3 http://goo.gl/CA0Hj Pico della Mirandola o Cagliostro sono solo alcuni del periodo rinascimentale che hanno tentato di costringere, o hanno costretto, le potenze invisibili dei diversi ordini di natura ad agire secondo la loro volontà. Salomone ebbe fama di possedere poteri illimitati. Col suo anello magico piegava ai suoi voleri la natura, gli uomini e gli animali, mentre con la sua coppa otteneva la visione del futuro. Virgilio fu considerato un grande mago grazie al ritrovamento d’un orcio con dentro un folletto che, per essere liberato, gli dette in cambio tutta la magia contenuta nei libri di Salomone. Giambattista della Porta, scienziato e occultista, era così diviso tra la scienza e la magia da venir accusato di stregoneria a causa del suo scritto Magia Naturalis e a stento ne uscì prosciolto. Pico della Mirandola, coltissimo uomo del Rinascimento, asseriva che il mago era capace di dominare ogni attività della natura. Cagliostro, alchimista, medico e mago, sosteneva di possedere la Pietra Filosofale che gli permetteva di viaggiare nel tempo e che gli avrebbe donato l’immortalità!

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Pietra Filosofale

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La tradizione magica cammina quindi indisturbata da Babilonia alla Grecia, dall’antica Roma al nostro Medio Evo, confondendosi con la stregoneria o la superstizione soltanto nel popolino incolto. L’Alta Magia, praticata dai cervelloni di allora, è sempre partita dal presupposto che, nel cosmo, circolano energie intelligenti, sebbene nascoste, che permeano ogni cosa, e che tali energie possono essere governate a proprio piacimento con l’esercizio della volontà, della parola e del comando! Ecco perché molti si sentono visceralmente attratti dalle pratiche magiche e sono anche convinti che qualsiasi ostacolo si pari loro dinanzi sia l’effetto d’un sortilegio o d’una fattura a loro danno. Il nostro uomo ci abbandona? Certamente qualche rivale sconosciuta sarà andata dalla fattucchiera per portarcelo via. Abbiamo una salute cagionevole? Qualcuno di sicuro si sta adoperando con bamboline ricoperte di spilli e evocazioni diaboliche perché ci vuole morti. Il lavoro manca? Un nemico nascosto cerca di mandarci sul lastrico con l’aiuto del mago! Ma è saggio avere un simile comportamento di fronte ai problemi che ogni essere umano si trova a dover affrontare, o siamo ancora tanto ingenui e poco evoluti da pensare che ad ogni angolo di strada vi sia un Mago pronto a togliere e a mettere fatture al prossimo? Benché i poteri mentali siano oramai riconosciuti come un dato di fatto, è sacrosantemente vero che l’uomo molto di rado li usa nel modo migliore, preferendo pascersi di timori e di vittimismo perché è più facile accusare l’ambiente, la famiglia, la società o la maga di tutto quel che ci capita piuttosto che riconoscere le nostre manchevolezze quando le cose non vanno. Insomma, è difficile rendersi conto che non siamo in “questa valle di lacrime” per soddisfare ogni nostro desiderio, ma soprattutto per evolverci e perfezionarci. Invece un ingenuo egoismo ci porta a credere che tutto ci è dovuto, bellezza, ricchezza, amore, popolarità, salute e poi ci fa tentare la via dell’invisibile, mondo che certamente investe i poteri spirituali, per piegarlo alle nostre esigenze materiali! Però, se proprio siamo appassionati di magia, rivolgiamoci almeno a quelle persone dove possiamo trovare la maggiore Professionalità.

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La magia brasiliana: la macumba

Sebbene l’America ci appaia come un paese molto più avanzato e moderno dell’Europa, in seguito all’enorme numero di negri nei secoli scorsi strappati con forza alle loro terre, trascinati in catene in un continente sconosciuto e ridotti in schiavitù per ottenere manodopera gratuita, in realtà un pezzetto di Africa batte ancora nel cuore della Grande America e conserva intatti i suoi riti, i suoi culti, le sue credenze. Per chi non lo sapesse, la tratta degli schiavi venne consigliata da fra’ Bartolomeo de las Casas, frate domenicano spagnuolo, per la ben riconosciuta vigoria fisica di quella razza. Si calcola che tra il 1530, inizio dell’esodo forzato, e il 1850 che segna la fine dell’importazione di braccia negre, siano stati catturati circa 18 milioni di africani! Questo è uno dei motivi per cui Brasile, Colombia, Uruguay e Haiti ancora oggi sono paesi pochissimo toccati dal prestigio della scienza e della razionalità moderne e le popolazioni tuttora credono negli spiriti, nella negromanzia, nella magia bianca e nera. Queste cose, per loro, non appartengono al demonio come per noi, ma fanno semplicemente parte delle manifestazioni della natura così come la rosolia e il morbillo, il caldo della canicola e il gelo dell’inverno. E’ stato proprio questo atteggiamento istintivo e naturale a far presa su molti cristiani bianchi che già avevano accettato lo spiritismo nel secolo scorso, eredi per di più della stregoneria europea la quale talvolta non ha niente da invidiare, per potenza, al vudù haitiano o alla macumba brasiliana... Però bisogna soprattutto chiedersi come mai nella macumba o nei vudù non credano soltanto i poveri e gli ignoranti bensì milioni di bianchi, fra cui un buon numero di scienziati, intellettuali, uomini politici e industriali! D’altronde se, all’inizio, gli studi tradizionali sulla magia si erano limitati a indagare soltanto sul lato culturale e etnologico del fenomeno, senza considerare assolutamente possibile un effetto reale di esso, oggi un’abbondante casistica raccolta sia dai viaggiatori che dai missionari, osservatori diretti delle pratiche di queste popolazioni primitive, assicura che codesti maghi il più delle volte raggiungono effettivamente il loro scopo. La macumba si autodefinisce spiritismo e coloro che la seguono asseriscono di essere circondati da un numero infinito di spiriti, molti dei quali con atteggiamenti piuttosto capricciosi nei nostri riguardi, o perfino ostili, così come talvolta venivano presentati alcuni dèi greci. In Brasile la Macumba è legalmente riconosciuta o tollerata come un qualsiasi movimento religioso, per cui nessuno corre il rischio di essere accusato di stregoneria o di satanismo, come potrebbe accadere qui in Europa. Benché essa venga praticata anche in molte altre regioni d’America, la vera macumba bisogna studiarla in Brasile. Ciò dipende probabilmente dal fatto che il popolo negro ha un concetto di spiritualità che differisce dalle altre razze: il lato corporeo-fisico non è mai visto come parte negativa di quello spirituale bensì come l’altra faccia del secondo. La cultura africana fonde in tutt’uno la danza, la parola, la musica e il ritmo. Per l’africano tutto è a immagine del sacro, dal grande al piccolo, inclusa la parola, o la frase che, lo si sappia o no, contiene un potere magico. La parola ha il potere di “creare ciò che evoca”. E l’uomo africano, per essere ben certo di aver raggiunto il suo fine, deve poter contare sull’evidenza. Ecco perché egli si lascia possedere dagli spiriti che egli stesso evoca, divenendo, con la trance, lo strumento di forze superiori e, nel contempo, il tramite di queste forze che, alla fine, lo arricchiscono e lo rendono ancora più potente sul piano vitale. LA MAGIA: IL SENSO E IL FUNZIONAMENTO

La magia è conosciuta prevalentemente per luoghi comuni, in genere come un retaggio del passato surclassato dall’efficienza esplicita della tecnica nella storia. Molti studiosi e studi nel tempo hanno rafforzato queste opinioni, come nel "Ramo D’Oro" del Frazer:

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"Magia: insieme di pratiche che poggiano sulla credenza di leggi di simpatia e antipatia della natura. […] La magia agisce su tali forze occulte per tentare di asservirle." E altrove: "La concezione magica della natura è ritenuta una maniera irrazionale per interpretare la realtà prima dell’avvento della rivoluzione scientifica." E ancora: "In occidente la società è progredita per effetto della scienza e non della magia. Le possibilità si sono ampliate per effetto della scoperte scientifiche, la vita stessa è più sana e più lunga grazie alla medicina scientifica." Poi: "La magia è proibita perché è un tentativo di uscire dai limiti imposti dalla natura e dagli schemi giuridici ed etici […] Questi tentativi di superare il reale e il razionale sono legati a condizioni sociali, sfidare i limiti e i tabù è rischioso e vi si rivolgono solo chi non ha più da perdere nulla […] Dunque persone insoddisfatte che cercano piacere e potenza. […] L’ansia demoniaca nasce dal bisogno di evadere da una realtà spiacevole, ma finisce sempre con la tragica delusione della scoperta di altri limiti o al massimo nell’incoscienza dell’estasi e della follia." Tutto questo per quanto acuto e non del tutto scorretto è palesemente incompleto e basato su supposizioni proprie di chi non ha mai esercitato l’arte suprema. A tratti i più severi studiosi censori sembrano dirci che la Magia è occupazione di sciocchi primitivi "tuffati in un lungo sogno" da cui solo il razionalismo empirico ci aiuta a risvegliarci. Col tempo altre teorie si sono sviluppate ma mai affermate tanto per spodestare il diffuso positivismo moderno. Nei prossimi passi tenterò, molto concisamente, di fare un sunto esplicativo di una visione quasi rivoluzionaria della Magia, integrata con alcune idee sviluppate personalmente e, nel caso di errori o insulsaggini, da non imputare alla fonte da cui ho tratto ispirazione.

1) La Magia è proibita perché tocca il sacro, cioè ciò che riguarda il divino (sacro come beatificante), e più generalmente l’intoccabile (da notare che la parola tabù viene dal polinesiano "tapu" che stava ad indicare la proprietà privata, quindi da non toccare). Da questa ipotesi viene fuori un interessante ragionamento: la Magia per essere intoccabile deve avere conseguenze terrificanti per scoraggiare e punire coloro che sbagliano, sia fisicamente che spiritualmente ed è questa l’aura terrifica che circonda la Magia, ma anche le deità mostruose e le raffigurazioni

teriomorfiche dell'aldilà. E questo è anche il fondamento del fascino del mistero: l’intuizione

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(intuor=toccare) del legame col sacro, che da una parte ci beatifica, ma ci punirebbe crudelmente se tentassimo di svelarlo, ad esempio come l’ira del Jawhe nell’antico testamento (specialmente nella scacciata dall’Eden e la caduta di Babilonia). Il sacrilego (colui che ha toccato il sacro) ha trasgredito le regole sociali ed etiche sottaciute perché palesi nel nostro intimo, e il contatto col divino separa l'Io dal contatto di sè, provocando l’estasi e la follia. Il Sacer-dote (dotto del sacro) è il custode del contatto col divino: religione è l’insieme di pratiche divinastiche accettate, la Magia è l’insieme di pratiche non ortodosse (da qui la nascita successiva della magia nera). Cosa succede al giorno d’oggi? Quando tutto lo spazio è profano si possono violare i codici ma non incontrare il sacro. 2) La Magia non è una prescienza (come è quasi universalmente pensato), usata da coloro che ignorano le leggi naturali o metodi empirici più razionali con spiegazioni ben più convincenti, bensì una metascienza: ovvero una pratica che va oltre la scienza nota. Ad esempio si è notato che popolazioni primitive coltivano la terra conoscendo perfettamente il meccanismo causa-effetto dei concimi, della selezione delle piante, dei cicli di stagione e l’effetto climatico, degli innesti e incroci senza doversi affidare a capricciose divinità ma bensì a ferree e consolidate leggi naturali.Ma anche la medicina non è da meno. Ci sono tre gradi di medicina primitiva: la prima riguarda i malanni leggeri, è praticata in famiglia usando erbe precise in dosi esatte, in estratti e distillati e pomate rudimentali, ma perfettamente meccanicisti. Nel caso di aggravio si passa a medicinali più forti, fabbricati da esperti. Se il malato non guarisce significa che l’origine non è fisico-corporea ma demoniaca, e allora, ma solo allora, ci si rivolge allo sciamano che deve capire presenze o meno di spiriti, cattive azioni, malocchi ecc, ecc... e porvi rimedio.

In realtà durante il Rinascimento Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Giordano Bruno, Gi ambattista della Porta e Cornelio Agrippa su una base teorica che fondeva neoplatonismo con astrologia/alchimia/magia (magia celeste) e filosofia ellenistica con quella ebraico cristiana (magia naturale) hanno tutti operato nella pratica lo studio e l’osservazione della natura per trarne le segrete leggi universali in guisa di protoscienziati, ma vennero spazzati via dal ferreo razionalismo di Descartes/Cartesio e Bacone che bollava (giustamente) come incongruenti, fallaci, ingenui i risultati ottenuti coinvolgendo indagine della natura e il discorso mistico religioso. Purtroppo piano piano l’intero concetto di sacro è

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stato coinvolto nell’operazione di pulizia, i cui effetti sono ampiamente visibili al giorno d’oggi. 3) Cosa e’ dunque la magia? Secondo J. Michelet: "il luogo di espressione delle attese e delle aspirazioni collettive." Quindi la Magia ruota attorno a questi due concetti: espressione ed aspirazione. Ovvero l’espressione, culturalmente condivisa e significante, dell’aspirazione del "cliente" a possedere l’oggetto del desiderio. Nell’immaginario collettivo si esprime la forza e la potenza col rituale magico (che deve essere una rappresentazione simbolica microcosmica dell’evento reale che è in scala più grande, il cosiddetto macrocosmo, per effetto della legge di simpatia). Hubert e Mauss: "La dimensione collettiva del pensiero magico è riferito alla volontà e alla speranza dei gruppi umani che ritengono di dominare la realtà esterna con rituali simbolici". Nella sua generalità/eterogeneità la magia è una sfera di comunicazione simbolica: - Formulazione del messaggio (basato sul simbolo) - Possibilità di comunicare, nell’ambito del gruppo sociale, il proprio messaggio Mauss: "Affinché la magia esista bisogna che la società sia presente". Sulla scia di Malinowski: I fatti magici hanno carattere simbolico/espressivo anziché sperimentale (così come nell’alchimia l’importante è la trasformazione piuttosto che l’oggetto metamorfico). L’atto magico dunque è, al di là delle stesse intenzioni coscienti del soggetto, l’espressione di un desiderio in termini simbolici. Il rito è ritenuto efficace in sè indipendentemente dalle sostanze usate nel rito stesso cioè il pensiero magico rende efficace la procedura rituale e non i singoli elementi di essa. Dunque sono tentato di formulare due principi per il nostro studio: - la Magia non esiste - la Magia funziona

I due non sono in contraddizione perché anche se si afferma che i risultati non sono dovuti a potenze occulte ma bensì a forze razionalizzabili ed esplicabili (quindi la Magia non esiste), non ci si deve scordare che il pensiero magico si basa non tanto sul mezzo (che quindi può essere

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ininfluentemente descritto in qualsivoglia modo) ma sul messaggio, che se efficacemente diffuso ha esiti positivi (la Magia funziona). Infatti non dimentichiamo che la Magia è una disciplina che è perdurata per secoli e questo non sarebbe avvenuto che non ci fossero esiti positivi. La descrizione del mezzo magico è una sorta di "equivalenza agli effetti esterni" (detto nel gergo dell’elettronica): essa consiste nel fornire un oggetto semplificato, ma che sia del tutto identico in termini di effetti visti dall’esterno, ad un altro, dal cui interno siamo esclusi. Se questi due oggetti fanno esattamente le stesse cose e si comportano allo stesso modo, essi sono perfettamente interscambiabili, pur potendo essere internamente diversi (ma non possiamo saperlo).

Un esempio chiarificatore può essere i raggi della morte degli stregoni Australiani, che quando sono lanciati uccidono effettivamente i malcapitati! Questo mortifero incantesimo è anche descrivibile come infarto per attacco d’ansia, ma alla fine quale che sia la spiegazione, il nostro amico sempre cadavere rimane. (Chi si chiede come possa essere possibile pensate di essere voi il colpito: A) tutti le persone prima di voi sono morte. B) tutti i vostri parenti stanno preparando il funerale e già vi considerano spacciato. C) incominciate a somatizzare il panico ed amplificare qualsiasi disagio che avete. Oppure più concretamente, se il primario di un ospedale vi dicesse che vostra madre sta per morire di tumore: penso proprio che lei si logorerebbe anche se non ha assolutamente niente). 4) La scienza è erroneamente vista come alfiere della Verità, l’unico motore efficiente del mondo umano, e secondo certe persone o le cose sono logica o non sono niente. Per cui numeri, forme geometriche ed addirittura le "leggi della fisica" divengono entità astratte perfettissime, idee platoniche di cui noi abbiamo solo una rappresentazione fisica imperfetta, secondo una assai diffusa filosofia dei numeri. Ebbene, ciò è sbagliato: la scienza propone modelli, in genere matematici quando può, funzionanti perché basati sui dati empirci di cui tentano di riprodurne

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gli effetti stessi (in primis la medicina). Ma un modello NON è la realtà: ad esempio Newton nel ‘700 propose come forza il prodotto di massa per accelerazione. Nascono dei problemi con la forza centrifuga che non è una forza, perché non c’è nessuno che compia un lavoro su di noi, ma ci appare come tale perché provvisti di massa e di una accelerazione. Ma non solo, il

modello matematico Newto niano così ingegnoso da sembrar poter spiegare efficacemente tutto l’universo fu soppiantato allegramente nei primi del ‘900 dalla meccanica quantistica, che non permette mai una visione "idraulica" dell’universo. Un modello matematico semplicemente sovrappone una proprietà non intrinseca nell’oggetto per poterci facilitare la vita. Ancora un esempio: una griglia di 64 caselle è del tutto occupabile da tasselli del domino, che occupano due caselle alla volta. Ma se togliessimo la prima in alto a dx e l’ultima in basso a sx, è ancora completamente copribile? Non è semplice dirlo, visto che rimanendo 62 caselle in linea teorica posso essere coperte due a du e. Ma se assegnassimo l’attributo colore alla griglia, diventando una scacchiera, togliere le due caselle significa togliere due caselle nere, così ho 30 nere e 32 bianche, e non è copribile con un tassello che usa sempre una coppia bianco nero. Abbiamo assegnato una proprietà alla griglia esattamente come noi assegniamo una etichetta quando contiamo. Già Leibniz (contemporaneo ed antagonista di Newton) fece notare che i problemi matematici non possono non tornare poiché siamo noi che facciamo le regole, ed esse portano univocamente ad unico risultato (e questo vale anche per le corrispondenze e le

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proprietà "magiche" dei numeri). Per semplicità e facilita’ usiamo la matematica ovunque, anche nei campi più inaspettati: una conoscenza di questo tipo permette di sapere cosa è la schizofrenia, ma non di parlare con uno schizofrenico. E questo perché sinceramente è fuori dagli obiettivi del modello, che è una conoscenza solo della forma, usando forme predefinite e standard, come numeri, linee e figure. Esattamente è come tentare di capire una lingua misurando e descrivendo le lettere.

5) La scienza opera su modelli approssimati, ma funzionanti, della realtà; la magia opera sulla percezione della realtà. E questo in un’ottica Kantiana di Noumeno (la cosa in sè, irraggiungibile ed inconoscibile) e Fenomeno (la cosa come appare, l’unica cosa che i nostri sensi permettono di conoscere), la Magia opera sulla realtà senza toccarla, cioè sul fenomeno non sul noumeno, ovvero la magia non esiste ma funziona perché i nostri sensi sono l’unica realtà conoscibile. L’agente alterante nella Magia è il rito (ma anche la mitologia) sia terrificante che denso di speranza e di fiducia, tale da o far cambiare le nostre aspettative e i nostri ragionamenti in conformità con le nostre speranze e credenze (in fondo si vede solo ciò che si vuole vedere) oppure sfrutta fenomeni che non possiamo vedere direttamente. Ci sono molte ipotesi su questi fenomeni, un modello è quello magico, come abbiamo visto, ma forse è interessante anche sapere come razionalmente ci sia una spiegazione ad esempio alle guarigioni miracolose (da notare che Schroedinger fa notare, col

suo noto paradosso, che finché non assistiamo ad un evento qualsiasi ipotesi è assolutamente identica all’altra, in un limbo di incertezza inscioglibile!). L’effetto placebo sfrutta la fiducia che noi riponiamo in certi rimedi da indurre noi stessi gli effetti sperati. Però, basandosi su una forte personalità esso non funziona su animali o bambini, ignari della situazione. Invece è stato notato che un coniglio sottoposto più volte ad una cura associandolo ad una sostanza dolce, alla fine la sola assunzione della sostanza dolce permetteva il risanamento, con una associazione tipicamente Pavloviana, ma a livello cellulare! Con questi strane e non del tutto note risorse del nostro corpo, la medicina rituale ha forti possibilità di funzionare effettivamente a patto che ci sia una e reciproca e consensuale fiducia nel metodo. Conclusioni: alla fin fine di tutte queste supposizioni (perché altro non sono), posso affermare che scienza e magia (ma anche altre scienze non matematiche sono mal viste) non sono affatto opposte, semplicemente parlano linguaggi differenti su argomenti diversi, per cui in effetti non conciliabili perché complementari.

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Queste immagini si riferiscono alla Piccola Chiave di Salomone con i 72 nomi dei demoni...

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PENTACOLO COSMICO DELLA VITA È l'unico ed il più potente. Guardiano della fortuna, delle vincite a tutti i giochi, dell'amore, degli affari, del commercio, contro i nemici e tutte le forze negative soprannaturali.

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LE ORE PLANETARIE

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I 7 sigilli

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Il sigillo della Ronda degli Arcangeli

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Questa ricerca viene lasciata come compito al lettore al fine di sviluppare il suo personale THELEMA, la sua personale strada per rendere se stesso una divinità.

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Come avere successo con la Magia? Credo di avere scritto tutto, dovete solo cercare e applicarvi molto, non posso garantirvi che ci riuscirete, ma vi ho fornito molti strumenti e pensieri positivi che sicuramente vi aiuteranno, sforzatevi di usare le chiavi, la chiave di destra o la chiave di sinistra? Il Bene o il Male? Ma se il Bene diventa Male e il Male diventa Bene come sceglierete?

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E adesso Buon lavoro a tutti Claudio Mi auguro che questo documento vi piaccia, nel caso vogliate leggere altri documenti che trattano questi particolari argomenti e conoscere altri studiosi del passato, consultate i miei siti Web http://www.bantan-sensitivo.com/ http://www.cartomante-bantan.com/