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Piero di Cosimo: sbrogliando la matassa Maurizio Calvesi La pittura paesaggistica quale nasce, in Italia, tra la fine del Quattro e gli inizi del Cinquecento ha un pioniere, già prima di Giorgione, nel Giambel- lino, in dipinti che associano lo spettacolo della natura all’elogio della solitudine meditativa e alla rievocazione del romitaggio dei Santi, come mo- stra anche la Sacra allegoria degli Uffizi. Ma altresì nell’Italia centrale, all’incirca negli stessi anni, il nuovo genere fa una delle sue prime apparizioni, con la pittura di Piero di Cosimo (e anche in qualche modo del Pinturicchio). Vasari 1 già loda Piero per un paesaggio (di sfondo) che avrebbe eseguito a complemento di un affresco di Cosimo Rosselli, nella Cappella Sistina. Però l’invenzione paesistica di Piero si manifesta a pieno nei dipinti che egli dedica, più tardi, a sto- rie dell’umanità primitiva: primissimo approccio a quel “primitivismo” che tanta parte avrà, in altre forme, nella cultura artistica moderna. Al pari del tema eremitico, questo precoce interesse primitivistico (che risente del “selvatico” proprio della pittura tedesca) si sposa a uno sguardo a tutto campo sulla natura, si apre anzi a una simbiosi più profonda, con essa, nel fervore non agiografico e religioso, ma laico e incipientemente storicistico, di ricostruire i primordi dell’uomo; e non più tra gli stereotipi giardinaggi del paradiso terrestre, ma nel contatto aspro e nudo con gli spazi, le insidie e le ri- sorse di una aperta e tutta terrestre natura. Erano anni che seguivano alla scoperta del- l’America; è vago ma tentante chiedersi se l’or- mai dilatata immaginazione del mondo potesse ripercuotersi in pittura con un’attenzione più ampia a spazi e orizzonti; è probabile comunque che i racconti di Colombo e dei suoi sulla vita e i costumi dei selvaggi abbiano stimolato quell’in- teresse e soprattutto quella fantasia nei confronti dei primitivi che i dipinti di Piero (datazione per- mettendo) fanno così improvvisamente incon- trare. Pur nella descrizione di eventi cruenti, in queste opere si può cogliere un’adesione generosa ai conati dell’umana stirpe, agli esordi del suo in- gegnoso cammino: tra nascita della caccia, della navigazione, dell’agricoltura e della metallurgia; e affiora un’attenzione simpatizzante persino verso la sua brada evoluzione e gli inquietanti svi- luppi delle sue promiscuità: contagiata da esseri semiferini e semiumani, ma nella conquistata su- premazia sullo stesso regno animale, ridotto a ri- sorsa di selvaggina o a sussidio del lavoro. La caccia, la navigazione, l’agricoltura Brani celebri di autori come Lucrezio e Vitruvio fanno da sfondo, prontamente rievocati in uno dei più noti saggi iconologici di Erwin Panofsky: quello appunto che sotto il titolo Preistoria umana in due cicli pittorici di Piero di Cosimo esamina le opere a tema “primitivistico” del mae- stro fiorentino. 2 Abilmente congegnato, ricco di dottrina e di convincenti spunti interpretativi (come nel caso dei due dipinti a pendant della Scoperta del miele e delle Disavventure di Si- leno), in altre parti lascia aperti sostanziosi e ap- petitosi spiragli a contestazioni e rettifiche. 9

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Piero di Cosimo: sbrogliando la matassa

Maurizio Calvesi

La pittura paesaggistica quale nasce, in Italia, trala fine del Quattro e gli inizi del Cinquecento haun pioniere, già prima di Giorgione, nel Giambel-lino, in dipinti che associano lo spettacolo dellanatura all’elogio della solitudine meditativa e allarievocazione del romitaggio dei Santi, come mo-stra anche la Sacra allegoria degli Uffizi.Ma altresì nell’Italia centrale, all’incirca neglistessi anni, il nuovo genere fa una delle sue primeapparizioni, con la pittura di Piero di Cosimo (eanche in qualche modo del Pinturicchio). Vasari1

già loda Piero per un paesaggio (di sfondo) cheavrebbe eseguito a complemento di un affrescodi Cosimo Rosselli, nella Cappella Sistina. Peròl’invenzione paesistica di Piero si manifesta apieno nei dipinti che egli dedica, più tardi, a sto-rie dell’umanità primitiva: primissimo approccioa quel “primitivismo” che tanta parte avrà, inaltre forme, nella cultura artistica moderna.Al pari del tema eremitico, questo precoce interesseprimitivistico (che risente del “selvatico” propriodella pittura tedesca) si sposa a uno sguardo a tuttocampo sulla natura, si apre anzi a una simbiosi piùprofonda, con essa, nel fervore non agiografico ereligioso, ma laico e incipientemente storicistico,di ricostruire i primordi dell’uomo; e non più tra glistereotipi giardinaggi del paradiso terrestre, ma nelcontatto aspro e nudo con gli spazi, le insidie e le ri-sorse di una aperta e tutta terrestre natura.Erano anni che seguivano alla scoperta del-l’America; è vago ma tentante chiedersi se l’or-mai dilatata immaginazione del mondo potesseripercuotersi in pittura con un’attenzione più

ampia a spazi e orizzonti; è probabile comunqueche i racconti di Colombo e dei suoi sulla vita e icostumi dei selvaggi abbiano stimolato quell’in-teresse e soprattutto quella fantasia nei confrontidei primitivi che i dipinti di Piero (datazione per-mettendo) fanno così improvvisamente incon-trare. Pur nella descrizione di eventi cruenti, inqueste opere si può cogliere un’adesione generosaai conati dell’umana stirpe, agli esordi del suo in-gegnoso cammino: tra nascita della caccia, dellanavigazione, dell’agricoltura e della metallurgia;e affiora un’attenzione simpatizzante persinoverso la sua brada evoluzione e gli inquietanti svi-luppi delle sue promiscuità: contagiata da esserisemiferini e semiumani, ma nella conquistata su-premazia sullo stesso regno animale, ridotto a ri-sorsa di selvaggina o a sussidio del lavoro.

La caccia, la navigazione, l’agricoltura

Brani celebri di autori come Lucrezio e Vitruviofanno da sfondo, prontamente rievocati in unodei più noti saggi iconologici di Erwin Panofsky:quello appunto che sotto il titolo Preistoriaumana in due cicli pittorici di Piero di Cosimoesamina le opere a tema “primitivistico” del mae-stro fiorentino.2 Abilmente congegnato, ricco didottrina e di convincenti spunti interpretativi(come nel caso dei due dipinti a pendant dellaScoperta del miele e delle Disavventure di Si-leno), in altre parti lascia aperti sostanziosi e ap-petitosi spiragli a contestazioni e rettifiche.

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Cinque opere di Piero sono prese in esame dal Pa-nofsky come facenti parte di un ciclo unitario in-torno ai primi anni Novanta, destinato, secondo lostudioso, a Francesco Del Pugliese: si tratta del-l’Incendio della foresta di Oxford (Ashmolean Mu-seum), della Scena di caccia e del Ritorno dalla cac-cia di New York (Metropolitan Museum), nonché didue dipinti che il Panofsky interpreta come Ritro-vamento di Vulcano (Hartford, Wadsworth Athe-neum) e Vulcano ed Eolo maestri dell’umanità (Ot-tawa, National Gallery of Canada). I primi trepannelli (forse già dell’ultimo decennio del Quat-trocento) dovrebbero raffigurare «la fase della sto-ria umana che precedette gli sviluppi tecnici e socialiindotti dall’insegnamento di Vulcano» (era AnteVulcanum), mentre gli ultimi due rappresentereb-bero «la primissima ‘fase tecnologica’ della civiltàumana» conseguente alla scoperta del fuoco e quindisotto il segno di Vulcano (era Sub Vulcano).3

I dipinti della presunta serie Ante Vulcanum(FIGG. 1-3) sono accomunati da un motivo, quellodell’incendio della foresta: a quel tempo, il fuoco eracausato soltanto da eventi, come il fulmine, estraneialla volontà dell’uomo; Panofsky è di questo avviso.Il fuoco infuria nei boschi, «mentre l’uomo, non an-cora stretto di amicizia con lui, condivide le passionie i terrori degli animali e dei mostri ibridi».4

Il ricorrente tema dell’incendio della foresta atte-sterebbe appunto l’ignoranza della natura del fuoco,da parte dell’uomo, e del modo di produrlo. I pan-nelli di Oxford e New York «avrebbero tutti e tre incomune l’assenza delle conquiste accentuate nelquadro di Ottawa» (dove il ferro destinato a ferrarei cavalli viene forgiato alla fiamma, FIG. 7):

I dettagli dell’esistenza veramente primitiva del-l’uomo, quando questi tuttora ignorava i vari usi delfuoco, vengono elaborati da Piero con la medesima co-

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FIG. 1 Piero di Cosimo, Incendio nella foresta. Oxford, Ashmolean Museum

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scienziosità archeologica o, piuttosto, paleontologica,che egli ha impiegato nel rendere l’esistenza umana sottoVulcano. Non vi sono utensili o armi di metallo; di con-seguenza, i tronchi che servono da alberi per le barche ele zattere di giunchi del Ritorno dalla caccia non solonon sono squadrati per mancanza di pialle, ma anche,per mancanza di seghe, non sono regolari. (Si notino irami che ne escono e le estremità non rifinite). Non visono materiali intessuti per le vesti o per comodità; diconseguenza, la gente va nuda, o vestita di pelli o dicuoio. Non vi sono animali domestici, non veri edifici ,non vita familiare. Il principio dominante di questa con-dizione aborigena, precisamente l’ignoranza dell’uma-nità circa l’uso del fuoco, è visibilmente accentuata daquanto potremmo chiamare il leitmotiv di tutta la serie:l’incendio della foresta, che può vedersi devastare i bo-schi e atterrire gli animali in tutti e tre i pannelli; in duedi essi appare persino ripetutamente. La ricorrenza per-sistente di questo motivo non può spiegarsi con una sem-

plice fantasia pittorica. Si tratta, nel modo più evidente,di un attributo iconografico piuttosto che di un concettocapriccioso, poiché è identico al famoso incendio dellaforesta che ha perseguitato la fantasia di Lucrezio, Dio-doro Siculo, Plinio, Vitruvio e Boccaccio.5

In realtà, nel dipinto di Oxford, potremmo rile-vare una prima contraddizione: la capanna sullosfondo appare costruita ad arte, e il giogo chel’uomo porta sulle spalle è un legno ben lavoratocon appropriati strumenti (FIG. 1).Quanto ai brani citati come fonti, effettivamenteLucrezio spiega l’origine del fuoco in terra con lacaduta di un fulmine («fulmen detulit in terrammortalibus ignem») oppure con un fenomeno diautocombustione;6 Plinio e Vitruvio (riportato daBoccaccio) optano per l’autocombustione, Dio-doro Siculo per la folgore.7

Sfuggono tuttavia, allo studioso, altri passi da cui

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FIG. 2 Piero di Cosimo, Caccia primitiva. New York, Metropolitan Museum of Art

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può discendere una diversa interpretazione del rap-porto tra l’uomo e l’incendio: a cominciare dallostesso Lucrezio che nel brano scelto dal Panofskyparla dell’origine del “fuoco in terra” ma non di fo-reste incendiate, mentre ne parla più avanti (V,1241-1251) e in termini che presuppongono la co-noscenza del fuoco da parte dell’uomo:

In antico furono mani unghie e denti le armi degli uo-mini, poi le pietre e i rami schiantati dei boschi, poi, nonappena noti, la fiamma ed il fuoco. [...] Per il resto, furonotrovati il bronzo, l’oro ed il ferro, ed il forte piombo, el’argento pesante dopo che il fuoco ebbe incendiato e di-strutto sugli alti monti le immense foreste [ignis ubi in-gentis silvas ardore cremarat montibus in magnis], siache dal cielo cadesse il fulmine, sia che gli uomini vi get-tassero il fuoco per far paura ai nemici, quando nei boschiguerreggiavano tra loro, sia che volessero, attratti dallabontà del terreno, allargare pingui maggesi e rendere si-curi i pascoli, o dare morte alle fiere ed arricchirsi dipreda: chè si cacciò colla fossa e il fuoco, prima di sten-dere reti intorno ai boschi e di frugarli coi cani [sive quodinducti terrae bonitate volebant / pandere agros pinguiset pascua reddere rura, / sive feras interficere et ditescerepraeda: / nam fovea atque igni prius est venarier ortum/ quam saepire plagis saltum canibusque ciere].

Più o meno negli anni in cui Piero lavorava nellaSistina, pensieri come questi di Lucrezio (e di Vi-truvio, secondo cui il fuoco, spaventò dapprima

gli uomini poi li attirò provocando le prime adu-nanze, nelle quali nacquero la comunicazione e illinguaggio) erano ripresi a Roma, nel pubblico in-segnamento, da Pomponio Leto, come attestanoalmeno due passi dei manoscritti vaticani. Ecco(in traduzione) il primo, dipendente da Vitruvio:

Gli uomini ignoravano l’uso della parola; erra-bondi, senza vesti, essi non avevano il fuoco, né ilmodo di procurarselo: quando, nelle selve scite, lospirar dei venti fece divampare le prime fiamme, unbranco di gente nuda e rude si radunò tutt’intorno; lealimentarono colle legna, le custodirono: raccoltisi ingran folla, essi finirono coll’intendersi tra di loro permezzo di suoni articolati.

Il secondo è memore anche di Lucrezio:

Il genere umano, duro ed orrido, viveva bestial-mente, senza curarsi né dell’aratro, né della propriacasa, né delle armi: gli bastavano le unghie ed identi.[...] Il caso, un fulmine, fa nascere il fuoco: at-torno alle sue vampate si congrega la società umana,si forma una lingua. Il fuoco, la parola: ecco le dueforze motrici della civiltà. Col fuoco, incendiando leselve, si dava la caccia alle bestie e si facevano sgor-gare dal suolo, vinto dal calore, metalli preziosi.8

Il fatto che nella Scena di caccia (FIG. 2) l’in-cendio sia abbinato appunto all’attività venato-

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FIG. 3 Piero di Cosimo, Ritorno dalla caccia. New York, Metropolitan Museum of Art

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ria, chiarisce che ad appiccarlo erano stati i cac-ciatori, tutt’altro che ignari della sua natura e delsuo uso. Nello sfondo, la vegetazione brucia; glianimali fuggono spaventati allontanandosi dallaforesta, ma alcuni vengono intercettati e uccisida un’umanità primitiva, mista di satiri dallezampe selvatiche e veri uomini.A riprova della connessione tra caccia e incendio(provocato ad arte dall’uomo), ecco che nel Ri-torno dalla caccia (FIG. 3) la stessa umanità sca-rica dalle rozze navi il bottino di prede cacciate inquel lembo di terra che appare in lontananza, e dalquale si vede ancora salire il fumo dell’incendio.La suggestiva tesi panofskiana dell’umanità AnteVulcanum ne viene inficiata: il fuoco è voluta-mente destato dall’uomo e a riprova vediamo chenella Scena di caccia sono i soli animali a fuggire,non gli uomini; altrettanto dicasi per l’Incendiodella foresta di Oxford, dove, di nuovo, sono sol-tanto gli uccelli e gli animali terrestri a darsi allafuga, mentre le figure umane visibili in lontananzaattendono tranquillamente al loro lavoro, o addi-tano senza spavento l’incendio; il personaggio piùprossimo al primo piano, poi, sembra aver inter-cettato due buoi, verso cui si dirige tenendo sullespalle un giogo: il che rivela la sua intenzione diaddomesticarli. Un terzo bue, probabilmente untoro, stagliato in primo piano, sembra invece sfug-gito alla cattura. In questo caso l’incendio appic-cato dall’uomo è tornato utile all’agricoltura,

avendo reso possibile la cattura dei due bovini epromettendo l’allargamento dei «pingui maggesi»,secondo le parole di Lucrezio.I tre pannelli sembrano in ultimo rappresentaretre attività dell’uomo primitivo: la caccia, la na-vigazione e l’agricoltura.Anche la guerra è un’altra di queste attività, epuò essere nel giusto Claudia Cieri9 quando as-socia ai tre pannelli, come in unico ciclo, anchela Battaglia fra i Centauri e i Lapiti, della Natio-nal Gallery di Londra (FIG. 4): opera che il Pa-nofsky escludeva dalla serie Ante Vulcanumevidentemente perché vi compaiono frecce e, inabbondanza, vari manufatti: le stoviglie delpranzo di nozze, divenute armi. Ma la presuntaserie Ante Vulcanum non è tale; è possibilissimoquindi che l’opera avesse un nesso con i tre pan-nelli già esaminati, cui, tra l’altro, è accomunatada un’altezza di 71 cm. Dello stesso avviso dellaCieri era già stato F. J. Mather.10 Secondo la Cieri«i due pannelli di New York e la Battaglia diLondra dovevano comporre un unico ciclo nar-rativo e possono essere identificati con la serieche, stando al Vasari, decorava la casa del Pu-gliese. Queste opere possono datarsi nell’ultimadecade del ‘400, qualche anno dopo l’assunzionedi Francesco del Pugliese alla carica di priore diFirenze (1491)». Ovvero negli anni in cui Co-lombo è tornato dall’impresa e, nel 1492, spedi-sce da Lisbona un suo rapporto sulla scoperta

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della “Nuova India”, subito pubblicato e nelmaggio 1493 tradotto a Roma in Latino.Mentre nei tre pannelli i semiuomini (satiri e cen-tauri) collaboravano con i veri uomini, il dipinto di

Londra sembra registrare il momento in cui le dueparti vengono a collisione. Sulla disposizione deiquattro dipinti, è difficile fare congetture: comune atutti è, come ripeto, l’altezza, ma solo la Scena di

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FIG. 4 Piero di Cosimo, Battaglia fra i Centauri e i Lapiti (part.). Londra, National Gallery

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caccia e il Ritorno dalla caccia sono di lunghezzapressochè pari (cm 168 e cm 169), mentre il dipintodi Oxford misura cm 203 e quello di Londra cm 260.

I dipinti di Hartford e di Ottawa

Federico Zeri,11 infine, collegava i tre pannelli aldipinto di Sarasota che esamineremo in chiusura;ma la proposta è, come vedremo, da escludere.Si direbbero altresì indipendenti dalla serie ap-pena descritta, i due dipinti di Hartford e di Ot-tawa, in cui Panofsky vede ritratta l’era subVulcano. Le loro dimensioni, peraltro, sono di cm155 x 174 e cm 155,6 x 166,4; ciò potrebbe con-fermare (il secondo avendo subìto una lieve ri-duzione in larghezza) il rapporto intercorrente trai due quadri: ma non necessariamente tra i duequadri e la serie in precedenza esaminata.Fu Panofsky a riunire le due opere, individuando inentrambe la figura di Vulcano: la prima, fin dallasua apparizione in Gran Bretagna alla fine del XIX

secolo, passava sotto il titolo, che credo originale,di Ila rapito dalle ninfe, e lo studioso vi vide in-vece la Caduta di Vulcano (FIG. 6). Ila era un gio-vane bellissimo, che accompagnò Eracle nellaspedizione degli Argonauti. Ma durante una sostain Misia ecco che Ila, recatosi ad attingere acquanel bosco, viene intercettato e trattentuto dalle lo-cali ninfe, come narra Apollonio di Rodi.12

Alcuni momenti della storia sono omessi nel-l’immagine di Hartford: il giovane effigiato neldipinto non ha con sé alcun recipiente, inoltre ilratto di Ila avvenne di notte. Ma nella versione diApollodoro13 il dettaglio della notte manca: «Ila[...] inviato ad attingere acqua fu rapito dalle ninfea causa della sua bellezza».14 Come può esserenata questa composizione? Certamente da un ac-costamento al pannello in pietre dure già nella Ba-silica di Giunio Basso a Roma (oggi nel Museodei Conservatori), pannello che presenta Ila tra leninfe, con una gamba piegata contro un sasso(FIG. 5). L’analoga posizione della gamba con-ferma l’interpretazione, che dunque resta alta-

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FIG. 5 Arte romana, Ila rapito dalle ninfe. Roma, Museo dei Conservatori

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FIG. 6 Piero di Cosimo, Il ratto di Ila. Hartford, Wadsworth Athenaeum

mente probabile: il ginocchio piantato contro laroccia nel pannello di Roma, già conosciuto nelRinascimento, vuole indicare un atteggiamento diresistenza alla presa delle ninfe, e così il ginoc-chio piantato sul terreno nel dipinto di Hartford.Panofsky propose, invece, di leggervi la Cadutadi Vulcano. Scaraventato giù dall’Olimpo dalpadre Giove, il giovane dio cadde infatti nel-l’isola di Lemno, dove fu, come scrive Servio,“nutritus ab Sintiis”.Essendo sconosciuti, alla letteratura latina, i Sin-tii, le trascrizioni e derivazioni da Servio propo-sero varie letture alternative, come “ab simiis”

(cioè, fu allevato dalle scimmie) o anche “ab nim-phis”. Il dipinto rappresenterebbe quindi Vulcanoche, precipitato sull’isola e rimasto zoppo a causadella caduta, è soccorso dalle ninfe di Lemno.Giustamente la critica non è stata unamine nel-l’accogliere la ingegnosa lettura del Panofsky, chetuttavia non trova agganci pienamente soddisfa-centi nel quadro. In particolare R. Langton Dou-glas15 rifutò la nuova interpretazione di Panofsky,insistendo su quella tradizionale e dando luogo auno scambio di lettere con il collega.16 Ma Pa-nofsky individuava la figura di Vulcano anchenel dipinto, considerato “gemello”, di Ottawa

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FIG. 7 Piero di Cosimo, La famiglia di Tubalcain. Ottawa, National Gallery of Canada

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(FIG. 7): il dio sarebbe ritratto nel fabbro in primopiano, che attende a forgiare dei ferri da cavallo.Davanti a lui un personaggio seduto (Eolo se-condo Panofsky) manovra due otri di cuoio a mo’di mantici. (Il pittore doveva ignorare che l’usodi ferrare i cavalli era ignoto ai primitivi, e che leprime protezioni degli zoccoli non furono in me-tallo). Più in là quattro uomini muniti di martelloe clava si industriano a costruire una rudimentalecasa, secondo i nuovi insegnamenti dello stessoVulcano: questo sarebbe lo stadio Sub Vulcano,appunto, della preistoria umana.L’astrattezza della lettura panofskiana lascia per-

plessi. In realtà, nelle stesse Argonautiche che nar-rano il ratto di Ila, troviamo l’indicazione utile acomprendere il reale significato della scena. È al-lorché nel secondo libro vengono descritti, su litoraledel Mar Nero, i paesi dei Calibi e dei Mossineci.Il paese dei Calibi era ricco di miniere da cui si ri-cavava il ferro. La tradizione greca in effetti attri-buisce l’invenzione del ferro ai Calibi (Chalibes),la cui rocciosa regione era dotata anche di una terracontenente ossido di ferro;ed ecco che nelle Argo-nautiche (II, 374-381) è menzionato «il paese deiCalibi, gli uomini più travagliati, che lavorano unsuolo durissimo ed aspro, e ne estraggono il ferro»,

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mentre i Mossineci «là vicino, nella piana boscosa,ai piedi del monte, costruiscono delle capanne contronchi di legno e dei solidi recinti». Ai compagni di Polifemo che andava, nella Misia,alla disperata ricerca di Ila, così disse, profetiz-zando, Glauco (I, 1321-1323): «Polifemo è desti-nato a [...] terminare i suoi giorni nell’immensopaese dei Calibi. Di Ila si è innamorata una ninfa,e l’ha fatto suo sposo» (come dire che Ila era finitonel paese dei Calibi?); inutile quindi proseguire laricerca. Più avanti infatti (IV, 1472-1475) Poli-femo, «dopo aver fondato un’illustre città nellaMisia, / ansioso di compiere il viaggio, andò allaricerca di Argo [la nave di cui aveva perduto letracce mentre ricercava Ila] / lungamente, finchéarrivò sul mare, al paese dei Calibi, e qui il destinogli diede la morte». Si può dire che i due quadri diHartford e di Ottawa collegano il momento in cuiPolifemo perde Ila e la meta finale della sua in-fruttuosa ricerca ovvero il paese dei Calibi.Ma dunque i Mossineci, attigui ai Calibi, «là vi-

cino [...] costruiscono delle capanne con tronchi dilegno». E nel dipinto di Piero, ecco appunto degliuomini che costruiscono un’abitazione con tronchidi legno: siamo prossimi al paese dei Calibi, in-ventori del ferro e non sorprende quindi di vedereall’opera, accanto ai primitivi cotruttori, un fabbro. Ma chi è questo fabbro? È senz’altro Tubalcain,che nel Genesi (4, 22) è ricordato come «mallea-tor et faber in cuncta opera aeris et ferri» (abilenel lavorare con il martello, e fabbro in tutte leopere forgiate nel rame e nel ferro), mentre FlavioGiuseppe (Antiquitates Judaicae) testimonia che«fu il primo ad inventare la lavorazione dei me-talli».17 I Tubal (Tubalcain vuol dire Tubal di-scendente di Caino) vivevano anch’essi tra il MarNero e il Mar Caspio, non sembra quindi impro-prio collocare il capostipite dei fabbri nel paesedei Calibi, inventori e produttori del ferro. Il Genesi (4, 19-22) descrive la famiglia di Tu-balcain: che nacque, come la sorella Noama, daSilla, moglie di Lamec; questi, trisnipote di

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FIG. 8 Dosso Dossi, Tubal-cain. Firenze, Coll. Horne

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FIG. 9 Organo medievaleFIG. 10 Da Gafurius, De musica

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Caino, bigamo e padre di 77 figli, da un altro ma-trimonio con Ada aveva avuto Jubal «padre ditutti quelli che suonano la chitarra e l’organo»(pater canentium cithara et organo )18 e Jabal,«padre di tutti quelli che vivono sotto la tende edei pastori» («pater habitantium in tentoris atquepastorum»).19 Nelle formelle esagonali apparte-nenti all’ordine inferiore del campanile di Giotto,opera di Andrea Pisano, che illustrano le attivitàumane, sono presenti entro distinte formelle esa-gonali Jabal (la Pastorizia), Jubal (la Musica),Tubalcain (l’arte del fabbro). Dosso Dossi, nelnoto dipinto della collezione Horne di Firenze,ritrae Tubalcain con accanto due donne, che ilGibbons pensa di poter identificare nella madreSilla e in Ada (o Noama)20 (FIG. 8). Vero è co-munque che in due manoscritti del British Mu-seum è presentata la famiglia di Tubalcain: lamadre e la sorella (o Ada) e in uno di essi ancheil vecchio padre Lamech.21

Ecco dunque che i personaggi che nel quadro diOttawa attorniano Tubalcain (non dunque, al-meno qui, Vulcano, come alcuni hanno voluto so-stenere per il Dosso di Firenze),22 possono essere

individuati con forti probabilità per non dire concertezza: al centro il fratellastro di Tubalcain, Ja-bal, che vive con il bestiame e governa infatti duecavalli; a sinistra Jubal (padre dell’organo) che hanelle mani due mantici, elementi costitutivi degliorgani medievali. A destra Silla e Lamec (oAda?), mentre Noama potrebbe essere il puttonelle braccia di Silla. A meno di non pensare(ipotesi affascinante) che l’uomo e la donna sianoIla e la consorte! Ila si sarebbe sposato nel paesedei Calibi come sembrerebbe dire Glauco nellagià citata profezia? (Incerta resta l’identità delgiovane addormentato alle spalle di Tubalcain.Un suo figlio?)23

Come noto Tubalcain fu considerato anche l’in-ventore della Musica (grazie ai suoni prodotticon il martello) e come tale lo avrebbe raffiguratoDosso Dossi nel quadro citato. Infatti Isidoro diSiviglia24 accreditò Tubalcain come inventore diquesta arte: «Moyses dicit repertoriun Musicaeartis fuisse Tubal, qui fuit de stirpe Caim ante di-luvium». Attribuì però a Pitagora la stessa inven-zione presso i greci. Nel Cappellone degli Spa-gnoli nei chiostri di S. Maria Novella, Tubalcain

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appare fra le Arti Liberali come rappresentantedella Musica; e così nel ciclo delle Arti Liberalidi Orvieto e in altri cicli consimili.25

Tuttavia in altri testi come la Historia scholasticadi Petrus Comestor26 l’invenzione della Musicaè riferita a Jubal, e la stessa cosa dice Vincent deBeauvais nello Speculum doctrinale,27 in adesioneal testo biblico e alle rappresentazioni apparse nelcampanile di Giotto. Anche nel De Musica di Ga-

furio28 l’invenzione della Musica è riferita a Jubal(forse però confuso con Tubal, perché ha davantia sé una serie di martellatori) (FIG. 10).Considerata quindi la variabilità di ruoli, ritengoche nel dipinto di Ottawa la musica vada confer-mata a Jubal, mentre Tubalcain è presentatocome capostipite dei fabbri o fabbro per eccel-lenza, e a Jabal va il primato nella pastorizia.Volendo entrare nell’ottica di Panofsky, non c’è

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FIG. 11 Anonimo, Mosaico del Nilo (part.) . Palestrina, Museo

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dubbio che qui siamo effettivamente di fronte auna fase più avanzata della civiltà umana; allacaccia, alla navigazione, all’agricoltura, allaguerra evocati nei pannelli con incendi e centauridell’umanità primitiva, qui si aggiungono la mu-sica, la metallurgia e la pastorizia.

Quadrupedi dal volto umano

Torniamo ora alla serie precedente, per chiederciinvece dove Piero può aver attinto il suggerimentodei mostri ibridi che la popolano e che è compostada centauri e satiri, figure ricorrenti nella letteratura

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FIG. 12 Piero di Cosimo, Mito di Prometeo. Monaco di Baviera, Alte Pinakotek

FIG. 13 Piero di Cosimo, Mito di Prometeo. Strasburgo, Musée dea Beaux Art

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classica; ma anche, nel dipinto di Oxford (FIG. 1), dadue più singolari e rari quadrupedi dal volto umano.Il Panofsky pensa, come fonte, a Lucrezio:29

La foresta è ancora gremita delle strane creature de-rivanti dall’accoppiamento promiscuo tra uomini e animali,poiché la scrofa con volto di donna e la capra con voltod’uomo non sono minimamente fantasmi alla maniera diBosch; mirano a recare testimonianza di una teoria estre-mamente seria: contestata, e così facendo efficacementetrasmessa, in non meno di trentuno versi lucreziani.

Ma Lucrezio, per l’appunto, esclude nel modopiù drastico che in un tempo antico siano esistitecreature ibride, come Centauri, Scille

ed altri mostri del genere, di cui vediamo che lemembra non sono d’accordo tra loro. [...] Chi sognadunque che siano potuti nascere dalla terra ancornuova e dal cielo fresco siffatti animali con questosolo argomento, vano, che il mondo era giovane, puòspifferare dalla bocca molte sciocchezze.30

Pensare che Piero di Cosimo sia rimasto sugge-stionato, anche in questo caso, dalle descrizioni diLucrezio, rovesciandone il pensiero, non sembraverosimile. Né, per l’appunto, si tratta di fantasie“boschiane” o di “grilli”. In realtà, come ho di-mostrato in altre occasioni, il modello dei quadru-pedi con testa umana, e con contorno di uccellaccisvolazzanti (FIG. 1), si trova nell’affresco del Niloa Palestrina (FIG. 11), che Piero potè conoscere dadisegni, o perché invitato sul posto dal proprieta-rio Francesco Colonna.31 Va notato, peraltro, chel’antico mosaico presenta in alto, tra le montagne,scene di caccia da parte di popolazioni aborigene,anche se già con l’uso di archi e frecce.Il più che probabile contatto di Piero con l’autoredella Hypnerotomachia rende ben verosimile ancheun’introduzione nell’ambiente di Pomponio Leto espiegherebbe il ricorso del pittore alle sue parole,circa la funzionalità degli incendi alla caccia.Proprio a Roma, peraltro, negli anni in cui Pieropresumibilmente attendeva alla serie dell’umanitàprimitiva, il tema della nascita dell’agricoltura, gra-zie a Osiride che insegna all’umanità aratura, viti-cultura e frutticultura, trovava un posto d’onore nei

Palazzi Vaticani, per commissione di Alessandro VIal Pinturicchio. I due pittori avevano lavorato fiancoa fianco nella Sistina, nel precedente decennio.La versione di Piero di Cosimo è, come si vede,assai più “laica”, scollegata dagli intenti celebratividel toro Borgia che condizionano il racconto delPinturicchio e la sua ubicazione in Egitto. Restadifficile capire se la citazione di Piero di Cosimodal mosaico nilotico abbia anch’essa la finalità, inaderenza a una diffusa opinione, di ambientare lanascita dell’agricoltura in quella terra, o se invecesia, sotto questo aspetto, puramente casuale.

Il mito di Prometeo

Nel suo saggio Panofsky prende in esame anchei due dipinti dedicati da Piero di Cosimo al mitodi Prometeo, a Monaco di Baviera (Alte Pinako-thek) e a Strasburgo (Musèe des Beaux Arts).32

Di dimensioni pressochè uguali (cm 68 x 120 ecm 64 x 116), la storia che narrano si sviluppadall’uno all’altro (FIGG. 12-13).Nel primo il cugino di Zeus, inginocchiato come incontemplazione meravigliata della propria opera,guarda l’uomo da lui plasmato nella creta, che sem-bra stia alzandosi con l’aiuto di Epimeteo, fratellodi Prometeo. Nel centro l’uomo è issato su una basea mo’ di scultura e addita il cielo con il braccio de-stro alzato, in direzione di Prometeo e Atena chestanno levandosi in volo. Infatti, in basso a destra,Atena si congratula con il demiurgo, che le chiede diessere portato in cielo, come si vede subito sopra. Nel secondo dipinto Prometeo, raggiunta l’al-tezza, ruba il fuoco dalle ruote del carro del sole.Tornato sulla terra (e ripetuta l’operazione nellagrotta di Vulcano, come sembra di vedere a sini-stra), Prometeo si serve del sacro fuoco così sot-tratto agli dei per animare il suo uomo di argilla.E nel mezzo, ecco la punizione che Zeus riserva agliuomini, e quella che riserva allo stesso Prometeo. Ilcastigo degli uomini è … la creazione della donna:Pandora, offerta in dono da Zeus a Epimeteo. Ben-ché il fratello gli avesse raccomandato di non accet-tare nessun regalo da Giove, lo sciagurato Epimeteoinvece l’accoglie, sedotto dal fascino della nuovacreatura, la femmina modellata per l’occasione da

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Mercurio e da Atena. (Pandora, in quanto donna bu-giarda, astuta e curiosa, sarà l’origine di ogni sven-tura per gli uomini e infatti per prima cosa volleguardare dentro a un vaso che conteneva tutti i mali,e togliendogli il coperchio li diffuse nel mondo).È ben probabile, benchè siano state avanzate an-che altre, ma improbabili, interpretazioni, che lascena centrale rappresenti appunto l’offerta diZeus a Epimeteo, riconoscibile quest’ultimo dallestesse vesti che indossa nel precedente dipinto.A destra, è effigiato poi il noto castigo di Prometeo,legato a un albero (versioni più tarde del mito dirannoa una roccia) ed esposto ai morsi di un’aquila che glidivora il fegato, quotidianamente riformantesi.Secondo Panofsky i due dipinti (che «potrebberoconsiderarsi un poscritto ritardato all’epica diVulcano»), descrivono «una fase della civiltàumana che ha superato definitivamente lo stadioprimitivo rappresentato nel quadro di Vulcano».Ovvero in quello di Ottawa.

L’organizzazione tecnica e sociale della vita [proseguelo studioso] hanno ormai raggiunto alti livelli, gli edificinon sono più costruiti con tronchi d’albero e rami, la gentenon vive più in gruppi familiari dispersi. La fase ‘tecno-logica’ dell’evoluzione umana è stata completata, e ilprossimo passo da compiere non potrà condurre che al-l’anelito dell’autonomia mentale che, usurpando i dirittidegli dei, significa deificazione più che umanizzazione.33

Viene da chiedersi come sia possibile tutto ciò, se quel-lo creato da Prometeo fu il primo uomo, dunque ve-nuto alla luce ben prima dell’umanità primitiva.L’incongruenza sembra sussistere anche neglistessi dipinti di Piero, nel cui sfondo si vedonocittà vere e proprie, con edifici a cupola, a torre econ cinta muraria. Ma la spiegazione è nel mito,ecco ad esempio la versione fornita dal Conti:

Hic ipse Prometheus [...] primus templa Deis, pri-mus qui condidit urbes. Suscepit ex alia Nymphaetiam Theben, quae nomen dedit Thebane urbi. Hicfertur homines primum è luto finxisse, et universi ge-neris hominum fuisse parens, vel potius artifex.34

Cioè Prometeo fu il primo ad erigere templi agli deie a fondare città, tra cui Tebe, dove creò gli uomini

dall’argilla. La città visibile nello sfondo dei due di-pinti dovrebbe quindi essere Tebe. E la preistoriaquale ritratta da Piero nei pannelli dedicati all’in-cendio della foresta, è paradossalmente precedutada questa immagine, nella cronologia del mito. Mal’artista evidentemente (se la datazione tarda deidue dipinti è corretta) non si poneva il problema, néarchitettava, da un dipinto all’altro, o da una serieall’altra, quelle connessioni e progressioni che il Pa-nofsky ha amato leggervi: un’umanità Ante Vulca-num, Sub Vulcano, Sub Prometheo. Sono, queste,progressioni ricavate a posteriori, e a forza, dal cri-tico, che peccherebbero oltretutto di anacronismo.Infatti Prometeo, cugino di Zeus, precede (e i mito-grafi lo sottolineano)35 il “nipote” Vulcano, che diGiove è figlio, anche se di simili precedenze, al-meno in un caso, Piero non sembra preoccuparsi.Dove il Panofsky ha indubbiamente ragione è nelrimarcare il forte mutamento di stile e di accenti daipannelli con storie dell’umanità primitiva al rac-conto di Prometeo. Piero è pittore “realista” in queipannelli, e le forme si adeguano con l’asprezza delsegno all’asprezza della “verità”, una verità comu-nicata e resa attuale, forse anche (ripeto) dai rac-conti dei reduci colombiani, che avevano assistitopersino a episodi di cannibalismo. È invece pittore del mito nei dipinti dedicati aPrometeo (ma eseguiti quando?), dove cielo eterra sono intercambiabili teatri dell’azione del-l’eroe, le figure risentono di un certo allunga-mento idealizzante e, indubbiamente, il fuoco hauna valenza ben diversa: la fiamma celeste chePrometeo, guidato da Minerva, sottrae con unafragile canna al carro del sole non è l’elementomateriale che agisce sulle materie, ma è un fuocointeriore che agisce nel petto dell’uomo, è la suaanima, la sua coscienza, la sua sapienza, il suoanelito metafisico, è quella facoltà che lo rendesimile agli dei e rivolto al loro pensiero. Comeriporta il Conti dalle Opinioni di Teofrasto:36

At Theophrastus […] scriptum reliquit, Prome-theum dictum fuisse ignem ad homines è coelo detu-lisse, quia rerum divinarum et philosophiae cognitio-nem primus omnium mortalium hominibus ostenderit,primusque oculos illorum ad illa coelestia et sempi-terna corpora speculanda erexerit.

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FIG. 14 Piero di Cosimo, Costruzione del Tempio di Salomone. Sarasota, John and Mable Ringling Museum of Art

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Il dipinto di Piero mostra però, di sua invenzione,un duplice furto: dal cielo, e dalla caverna di Vul-cano. Come mai? La risposta credo debba essereche il secondo fuoco dotò l’uomo dell’anima“sensitiva et vegetativa”, come dice Boccaccio,37

il primo invece dell’anima spirituale e celeste.

La Tavola di Sarasota

La cronologia delle opere di Piero di Cosimo è in-certa. La grande tavola di Sarasota (cm 83 x 200)risale probabilmente al periodo tardo (secondo de-

cennio del Cinquecento); rappresenta una folla dioperai intenti al lavoro davanti a una grande ar-chitettura isolata nel paesaggio (FIG. 14).I dipinti più celebri di Piero di Cosimo sono le giàcommentate Storie dell’umanità primitiva, divisetra il Metropolitan Museum di New York el’Ashmolean Museum di Oxford. Si è pensato chela tavola facesse parte della serie o di una delle se-rie prima esaminate, documentando l’attività edilecome ultima fase del processo di civilizzazione.Scartata poi questa ipotesi che è contraddetta dallediverse dimensioni dei dipinti, sono state propostevarie identificazioni della solenne costruzione con

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edifici dell’antichità: nessuno dei quali tuttavia,corrisponde alla descrizione tramandata.Questo soggetto «particolarmente ostico» (comeè stato scritto ) continua così a passare sotto titoligenerici come Costruzione di un palazzo, dandoin ogni caso per scontato che il sorgente edificiosia quello che l’artista ha delineato.Ma il disguido nasce proprio di qui. Il palazzo inquestione è già bello e costruito, rifinito in ogniparticolare e addirittura solcato da una crepa, al-l’estremità sinistra del portico, crepa che dimo-stra i suoi anni. Dunque ciò che si sta progettandodi costruire deve essere altro, qualcosa cui è de-

stinata l’area ancora vuota, che non a caso oc-cupa una parte così ampia del dipinto. Sono, valea dire, rappresentati i preparativi di un’impor-tante costruzione.Costruzione che sarà non già di un altro palazzo, madi un tempio. Nel primo Libro dei Re (5, 19 - 32)sono descritti, in termini che combaciano con la no-stra tavola, i preparativi per l’erezione del Tempiodi Salomone o Casa di Jahvè. Per la sua fabbbrica,il grande sapiente chiese aiuto all’amico re Hiram,che gli mandò a dire: «Adempirò pienamente il tuodesiderio a riguardo dei legni di cedro e dei legni dicipresso. I miei servi li trasporteranno dal Libano al

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mare e io li caricherò sulle zatteresul mare fino al luogo che tu miavrai indicato, ivi li slegherò e tuli prenderai» [il corsivo è nostro].Salomone radunò allora manod’opera da tutta la terra di Israele:

Aveva settantamila portatori dipesi e ottantamila tagliatori sullamontagna, oltre i capi dei prefettipreposti alla direzione dei lavori,che erano tremilatrecento, i qualicomandavano il popolo impiegatonei lavori. Il re dette ordine che siestraessero pietre grandi, pietre la-vorate per gettare le fondamentadella casa e pietre scalpellate. I co-struttori di Salomone, i costruttoridi Hiram e i Gibliti tagliavano epreparavano il legno e le pietre perla costruzione della casa.

Nel dipinto riconosciamo quasitutti i particolari: grandi pietre epezzi di marmo sparsi all’intorno;in primo piano, a sinistra, unblocco di pietra trasportato da uncarro e sopra di esso un uomo che«lo slega»; vari operai che taglianoi legni con l’accetta o con lasega; altri che li trasportano amano; altri ancora che si indu-striano attorno a una vasca di rac-colta per la calce (presente anchenella miniatura vaticana che ha persoggetto la ricostruzione del Tem-pio di Gerusalemme, FIG. 15). In-torno si vedono, a terra, frammentidi trabeazione, capitelli e colon-ne, forse materiali da riuso, non-ché un simulacro di marmo ro-vesciato e un altro trascinato su uncarretto, forse per ricavarne la cal-ce. A sinistra, nello sfondo, si de-lineano poi, diretti verso la mon-tagna, carri, asini, muli e coppiedi buoi, per il trasporto dei mate-

FIG. 15 Anonimo del XV sec., Ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, dal ms.Urb. lat. 1. Roma, Biblioteca VaticanaFIG. 16 Benozzo Gozzoli, Costruzione della Torre di Babele (part.). Già Pisa, Camposanto

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riali dalle cave. I «prefetti», a ca-vallo, coordinano i lavori.A questi preparativi per la co-struzione del Tempio, le SacreScritture danno particolare im-portanza e dai libri dei Paralipo-meni apprendiamo che eranostati intrapresi già da David, pa-dre dell’ancora adolescente Sa-lomone. È a lui, infatti, che Jahvèaveva ordinato di edificare un al-tare in suo onore «nell’aia delGebuseo Ornan». David avevaappositamente acquistato il ter-reno,38 decidendo poi di erigervila casa di Dio e cominciando adallestire il necessario:

Stabilì scalpellini per quadrarpietre per edificare la casa di Dio.Poi David preparò ferro in abbon-danza [...], nonché bronzo in quan-tità incalcolabile. Anche il legnamedi cedro era incalcolabile, perché iSidoni e i Tiri ne avevano inviato aDavid in abbondanza.

Diceva David:

Salomone, mio figlio, è gio-vane e in tenera età mentre la casada costruire in nome di Jahvè de-v’essere maestosa. [...] Per ciò iodevo fare dei preparativi per lui.39

La tavola di Sarasota sembra ispirarsi piuttosto alpasso citato dal primo Libro dei Re che non a que-sto dei Paralipomeni. Ma tiene presente l’interocontesto: è molto probabile infatti che il gruppoin primo piano a destra, un uomo a cavallo vestito“all’antica” con un ragazzo che ha il capo avvoltoin un turbante, voglia rappresentare proprio Da-vid che porta il figlio Salomone sul luogo desti-nato al Tempio.Sappiamo comunque che il sacro edificio sta persorgere per volontà di David nell’aia da lui pre-disposta. Il che aiuta a comprendere cosa sia il pa-

lazzo che domina lo sfondo: è la “casa di David”,o “città di David”, ovvero la fortezza di Gerusa-lemme che David aveva espugnato, costruendovisopra la propria reggia (dotata, come sappiamo, diuna “terrazza”) e trasportandovi l’Arca dell’Alle-anza.40 Un confronto di questa “casa con terrazza”nel dipinto di Artemisia e collaboratori che rap-presenta appunto David mentre guarda Betsabeadall’alto, proprio, della sua terrazza, confermaquesta identificazione, data anche la spartizione indue del palazzo (FIG. 17). Le fonti non dicono cheil Tempio di Salomone fosse davanti alla casa di

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FIG. 17 Artemisia Gentileschi, David guarda Betsabea dalla propria casa (part.).Londra, Matthiesen

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David; ma il collegamento, ovviamente, è simbo-lico, tra questa casa e quella di Jahvè.Un singolare dettaglio merita di essere approfon-dito: a ridosso del palazzo, si erge una gru del tipodescritto da Vitruvio, con argano mosso da unaruota; sostenuto da un sistena di corde, il palo vaa raggiungere una delle statue di bronzo dorato chedecorano la sommità del portico. Questa statua èpriva della cornucopia tenuta in mano dalle altreed è legata, trovandosi così sospesa sulla base:dunque sembra - e così la critica ha interpretato -che la statua sia stata fatta salire grazie al conge-gno e stia per essere collocata sul palazzo. Ma inrealtà sta per essere rimossa e calata a terra: essainfatti vuol rappresentare, molto probabilmente, ilbronzo (e l’oro) di cui David priva la sua casa perdestinarlo alla costruzione del Tempio.

Con mia gran fatica [sono sue parole] ho messoda parte per la casa di Jahvè [...] bronzo e ferro da nonpoter calcolare.41

[E ancora:] In base a tutte le mie forze ho fatto ipreparativi per la casa del mio Dio, l’oro per gli uten-sili d’oro, l’argento per gli utensili d’argento, ilbronzo per gli utensili di bronzo [...]. E inoltre per ilmio attaccamento alla casa del mio Dio, ciò che è dimia proprietà, sia in oro che in argento, l’ho donatoper la casa del mio Dio.42

Il popolo si rallegrò per queste offerte43 e il di-pinto sembra evocare un’atmosfera di festa, coni particolari dei ragazzi che giocano e dei cava-lieri che innalzano i vessilli e suonano le trombe.Anche Salomone, terminati i lavori «fece festa»e i sudditi erano «allegri e contenti».44

La spiegazione della scena potrebbe concludersiqui; ma la pratica dell’iconologia insegna chenelle rappresentazioni tratte dall’Antico Testa-mento gli artisti rinascimentali, sulla traccia deiPadri della Chiesa, cercavano spesso significati“profondi” e allegorici, di prefigurazione delNuovo. La “casa di David”, spaziosamente esimbolicamente riprodotta nel dipinto, assumenel secondo libro di Samuele un doppio signifi-cato, come dimora del re, ma anche come suastirpe e discendenza (casata), con una allusioneche si credeva rivolta al Messia. Quando infatti

David manifesta l’intenzione di costruire il Tem-pio, Jahvè gli manda a dire tramite Natan:

Sei forse tu che costruirai una casa perché io viabiti? [...]. È a te che Jahvè ha fatto sapere che ti farà unacasa. Quando saranno completi i tuoi giorni e tu riposeraicon i padri tuoi, io susciterò dopo di te il tuo seme, quelloche uscirà dalle tue viscere e ne farò stabile il regno. [...]Perciò la tua casa e il tuo regno saranno eterni al mio co-spetto; il trono tuo durerà in eterno.45

Questa “profezia”, nota quale profezia di Natan,fu unanimemente interpretata come annunciodella venuta del Cristo, stirpe di David e del suoeterno regno. Ecco perché nella tavola di Sarasotala “casa di David”, simbolo della sua “casata” edella sua stirpe, assume una così vistosa impor-tanza, di fronte all’area dove sorgerà il Tempio(naturalmente allusivo alla Chiesa).Si tinge allora di una luce allegorica anche ilgruppo in primo piano del falegname e del suo aiu-tante che segano un asse di legno, mentre un fan-ciullo chino sembra raccogliere i trucioli in una ce-sta. È costui il figlio del falegname? Lo è di certose il falegname rappresenta il più celebre fale-gname delle Sacre Scritture, che alla “casa di Da-vid” apparteneva, «Giuseppe della casa di Da-vid», padre di Gesù. Sulle spalle del piccolo pendel’asse di legno, probabile “figura” della Croce.Perfettamente in asse con lui, si staglia poi contro la“casa di David” la già descritta gru il cui terminale,non a caso, è a croce, quasi una solenne conclusioneascensionale dell’allegoria di Cristo martire.Queste implicazioni di significato, congenialialla “profezia di Natan”, possono non conside-rarsi certe, ma sono a mio avviso altamente pro-babili, come è altresì possibile che la “casa diDavid”, con i due padiglioni gemelli, intenda fi-gurare l’Antico e il Nuovo Testamento, che essaabbraccia, estendendosi la stirpe di David da unoall’altro. E ci potremmo spiegare anche il perchédi quella singolare crepa che si nota sul margineestremo del portico, a sinistra: un segno di “vec-chiaia” per la parte dell’edificio che simboleggiaappunto la vecchia Alleanza, mentre dall’altrolato si profila la gru-croce. Le cornucopie sor-rette dalle statue, e quelle che decorano il fregio,

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alludono alla ricchezza di David, ma anche al-l’abbondanza della Grazia divina.Pensiamo ora al contesto storico: il Tempio di Sa-lomone era un simbolo della Chiesa e Sisto IV ave-va ristrutturato sul suo modello la Cappella che por-ta il suo nome. Ma negli anni in cui Piero di Cosi-mo dipinge la tavola di Sarasota, si stava costruen-do la nuova basilica di San Pietro, con il contribu-to di offerte in denaro e in materiali che, in cambiodelle “indulgenze” (“abbuoni” sulla pena da scon-tare nell’al di là), giungevano da tutta la cristianità.Lutero (1518) si oppose a queste elargizioni, togliendocredito alle indulgenze e creando il più pericolosomovimento di separazione dalla Chiesa di Roma.

Raffaello affrescò allora nelle Stanze Vaticane lascena di Carlo Magno incoronato in San Pietro cheinvia doni destinati alla basilica, con allusione,probabilmente, a Carlo V e certamente alle nuovedonazioni che erano richieste per la costruzione.È verosimile che Piero di Cosimo (morto nel1521) abbia concepito la tavola di Sarasota neglianni estremi della sua attività, volendo alludereanch’egli ai generosi contributi che, al tempo diSalomone, erano giunti dai popoli confinanti perl’erezione del suo Tempio. Essendo il ponteficeun fiorentino, un Medici (Leone X), è ben spie-gabile che un pittore suo conterraneo si impe-gnasse in questo tema di scottante attualità.

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1 G. Vasari, Le vite ..., ed. Milanesi, 1906, p. 189.2 E. Panofsky, Preistoria umana in due cicli pittoricidi Piero di Cosimo in Studi di iconologia, Torino 1975,pp. 39 ss. (Titolo originale Studies in Iconology, Oxford-New York 1939).3 Ibidem, pp. 55, 69.4 Ibidem, p. 74.5 Ibidem, pp. 69-70.6 Lucrezio, De Rerum Naturae, V, 1091-1100.7 Plinio, Nat. hist., II, III (107); Diodoro Siculo, Bibl.,I, 13.8 P. Leto, ms. Vat. Lat. 5337 foll. 106r-122r. Si veda inV. Zabughin, Giulio Pomponio Leto, Grottaferrata 1910,II, pp. 115-116, 158.9 C. Cieri Via, Per una revisione del tema del primiti-vismo nell’opera di Piero di Cosimo, “Storia dell’Arte”29, genn.-apr. 1977, p. 5. 10 F. J. Mather, Cassone-Fronts in American Collecions:Two panels by Piero di Cosimo, Burl M 1907, pp. 332sgg.11 F. Zeri, Rivedendo Piero di Cosimo, Paragone, 1959.12 Le Argonautiche, ed. Milano 1986, I 1229-1239.13 Biblioteca, Ed. Adelphi 1995, p. 29.14 Su Ila vedi anche Teocrito, 13; Antonino Liberale,Metam., 25; Orph. Argon., 646 sgg.; Valerio Flacco,Argon., 30, 521 sgg.; Properzio, I, 20, 19 sgg.; Igino,Fab., 14; Mythographia latina, I, pp. 18, 140.15 R. Langton Douglas, Piero di Cosimo, Chicago 1946,pp. 2 sgg.16 in Art Bullettin XXVIII, 1946, pp. 27 sgg. e Ibidem,XXIX, 1947 pp. 143 sgg., 284.17 Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, Torino 1998,I, p. 58. In questa opera Tubalcain è chiamato Jubel, che

«inventò la lavorazione dei metalli».18 Nelle Antichitò Giudaiche (ibidem) Jubal «coltivò lamusica e inventò il salterio e la citara». 19 Nelle Antiquitates (ibidem) Jabal è chiamato Jobelche «si diede alla pastorizia».20 F. Gibbons, Dosso and Battista Court Painters atFerrara, Princeton 1968, pp. 92 ss., figg. 108,110.21 British Museum, Claudius B IV fol. 10 r; Eger-ton1984. (Vedi M.R. James, Illustrations of the Genesis,Oxford 1921, tav. 2 b).22 Si veda A. Bayer (a cura di) cat. della mostra DossoDossi Pittore di Corte a Ferrara nel Rinascimento, Fer-rara 1998, pp. 154 ss.23 Il Panofsky spiega questi ultimi particolari come unascena di primissimo mattino (il giovane ancora dorme, lafamiglia si è appena risvegliata), introdotta dal pittore soloallo scopo di mostrare che Vulcano era solito accingersicosì di buon’ora alle sue fatiche; e a dimostrazione citaun passo dell’Eneide in cui il dio viene descritto mentre sileva nel mezzo della notte per mettersi al lavoro. Ma inquesti peraltro celebri versi il poeta, in realtà, prende ingiro il dio, che (eccezionalmente) si era levato tanto pre-sto come un’industriosa ancella, per esaudire un desideriodell’amata Venere: dopo che questa, allo scopo di indurloa fabbricare le armi per il figlio Enea, gli si era concessa.La forzatura è evidente tanto più che la luce, nel dipinto,non è notturna né d’alba, bensì di giorno fatto.24 Isidoro di Siviglia, Opera omnia quae extant, Paris1601, Etymologiarum, III, 15.25 Vedi Gibbons, cit., pp.92 ss.26 P. Comestor, Historia scholastica, Cologne, fine sec.XV, pp. 11v-12.27 Vincent de Beauvais, Speculum doctrinale, XVII, 25.

Note

Page 22: Piero di Cosimo: sbrogliando la matassa ricorrente tema dell’incendio ... e del modo di produrlo. I pan-nelli di Oxford e New York ... i cavalli viene forgiato alla fiamma, FIG

28 Franchino Gafurio, Theorica Musicae, ed. Cesari,Roma 1934, I, 7.29 Panofsky, cit., p. 60.30 Lucrezio, cit., V, 893-94, 906-909.31 Si veda M. Calvesi, Francesco Colonna verso la cul-tura fiorentina, “Storia dell’Arte”, 109, 2004, p. 16.32 Panofsky, cit., pp. 61 ss.33 Ibidem.34 Natalis Comes, Mythologiae, Venetiis 1567, p. 98a.35 Ibidem, p. 48a: «multo antiquior Vulcano fuit Prome-theus».36 Ibidem, p. 103b.37 Si veda C. Volpi (Le imagini degli dèi di VincenzoCartari, Roma 1996, pp. 431-432): «Al mito di Prome-teo si associa strettamente quello di Vulcano; entrambiinfatti erano considerati gli inventori del fuoco, ma men-tre Vulcano rappresentava l’«ignis elementatus», il fuoco

fisico che consente di realizzare le conquiste tecniche,Prometeo era il portatore del fuoco in quanto illumina-zione della coscienza». La Volpi cita Boccaccio (Ge-nealogiae ..., IV, pp. 76v, 77r): «L’uomo naturale ècreato primo da Iddio dal fango della terra [...] onde difango Prometheo, cioè questo primo havendolo formato;soffiò in lui l’anima vivente: la quale io intendo la ra-tionale; et con questa la sensitiva, et vegetativa poten-tie, overo secondo alcuni anime».38 1 Par. 21, 18-25.39 Ibidem, 22, 2,5.40 2 Sa, 5, 7-9; 6, 12; 11, 2.41 1 Par., 22, 14.42 1 Par., 29, 2-3.43 1 Par., 29, 9.44 1 Re, 8, 65-66.45 2 Sa., 7, 4, 12-13.

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COMPENDIO

L’autore dimostra che i dipinti di Piero raccolti dal Panofsky sotto la formula dell’età Ante Vulcanum non sono inrealtà riferibili a questa fase della civiltà umana. Gli incendi rappresentati in alcuni di essi attestano un uso del fuocogià conosciuto dall’uomo, che se ne serve per la caccia e l’agricoltura. Non c'è intenzione da parte del pittore di di-stinguere questi dipinti dalla Battaglia tra Centauri e Lapiti, che fa parte della stessa serie. Quanto al dipinto bat-tezzato dal Panofsky come caduta di Vulcano, l’autore ritiene che sussistano sufficienti elementi per confermare,invece, il vecchio titolo relativo al ratto di Ila. L’altro dipinto nel quale Panofsky vede ancora Vulcano, rappresentaprobabilmente la famiglia di Tubalcain nel paese dei Calibi, dove fu ricercato Ila. Il dipinto intitolato genericamenteCostruzione di un edificio rappresenta invece i preparativi per la costruzione del Tempio di Salomone.