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ARACNE Pietro Abelardo e la riscoperta della filosofia Percorsi intellettuali nel XII secolo tra teologia e cosmologia Concetto Martello

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ARACNE

Pietro Abelardoe la riscoperta della filosofia

Percorsi intellettualinel XII secolo tra teologia e cosmologia

Concetto Martello

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Copyright © MMVIIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2052–4

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: settembre 2008

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Per Adriana e Pietro

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Indice

Prologo p. 9 SEZIONE PRIMA – Percorsi filosofici di Pietro Abelardo p. 19 1. Logica e teologia p. 21

1.1. Dalla dialettica alla teologia p. 21 1.2. Uno “scandalo” verosimile p. 44

1.2.1. Theologia christiana. Razionalità del dogma p. 44 1.2.2. Sigillum ereum. Un’immagine del mistero p. 66

1.3. Onnipotenza divina e arbitrio creaturale p. 74 1.3.1. Necessità e libertà p. 74 1.3.2. Sapienza ed esperienza del male p. 95 1.3.3. Volontà e peccato p. 103

2. Anima mundi p. 113

2.1. Testimonia philosophorum p. 113 2.1.1. Filosofia e teologia p. 113 2.1.2. Platone testimone p. 127

2.2. Dalla teologia alla cosmologia p. 147 2.2.1. L’interpretazione del Timeo p. 147 2.2.2. L’esegesi del Genesi p. 152

SEZIONE SECONDA – Unitarietà del sapere filosofico p. 167 3. La Summa sententiarum attribuita a Ottone da Lucca p. 169

3.1. Il testo e il suo autore. Status quaestionis p. 169 3.2. Le fonti e il metodo p. 177

3.2.1. Ugo di S. Vittore interlocutore di Abelardo p. 177 3.2.2. Autorità e ragione. Eredità anselmiana p. 190

3.3. Pluralità e necessità. La logica del mistero p. 201 3.3.1. Substantia e proprietas. Pensare la trinità p. 201 3.3.2. Volontà e verità p. 217

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4. Teologia e cosmologia in Teodorico di Chartres p. 227 4.1. Esperienza e ragione. Teodorico e Abelardo p. 227 4.2. Onto-teologia e analisi logica p. 241

4.2.1. L’“uso teologico” del “trivio” p. 241 4.2.2. L’“essere in relazione” p. 255

4.3. Esegesi e filosofia. Teologia e cosmologia p. 268 4.3.1. L’“uso teologico” del “quadrivio” p. 268 4.3.2. L’universo meccanico p. 283

Epilogo p. 299 Bibliografia p. 309 1. Abbreviazioni p. 309 2. Fonti p. 312 3. Atti di convegni, opere collettive e di consultazione p. 321 4. Letteratura critica p. 325 Indice degli autori citati p. 341 1. Autori antichi e medievali p. 341 2. Autori moderni p. 345

Indice

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Prologo

In conseguenza del consolidamento, nell’Occidente latino, del pro-cesso di identificazione di ratio e dialectica, che contraddistingue l’aggrovigliato intreccio tra interessi logico-linguistici e pensiero cri-stiano, si rafforza, nella prima metà del XII secolo, l’idea secondo cui il campo di applicazione della ragione dialettica, che propriamente è costituito dalla natura sensibile e dai suoi princìpi, può essere legitti-mamente allargato fino a comprendere i dogmi della fede, quali sono la creazione, la trinità e l’onnipotenza. Si tratta evidentemente di a-spetti, pur diversi, di un fenomeno unico o quanto meno unitario, co-stituito dalle molteplici e non sempre uniformi risposte alla domanda di razionalità dei saperi, di razionalizzazione delle tecniche e di “indi-vidualizzazione” delle pratiche civili, emblematicamente rappresentate dalle discussioni sul significato dei termini universali e dalla consape-volezza che ne consegue di una convergenza di pluralità e singolarità e dell’inerenza, sia sul piano ontologico sia in senso logico-linguistico, dell’universale al particolare; si tratta quindi di un unico processo, che coinvolge per intero la parte più “avanzata” della generazione di mae-stri e uomini di cultura attivi dall’inizio degli anni Venti alla fine dei Quaranta, ciascuno con la propria propensione e sulla scia della sua formazione intellettuale. Peraltro la risposta degli ambienti culturali conservatori più “illuminati” non è mai “antifilosofica”, cioè ostile in linea di principio alla dialettica e alla filosofia della natura, delle quali non nega l’utilità in ordine alla crescente domanda di sapere e di tec-nica, in una società che tende a diventare sempre più complessa.

In questo contesto si colloca l’esperienza intellettuale di Pietro A-belardo, sulla quale è incentrata l’idea di fondo esposta nella prima se-zione di questo libro, secondo cui il pensiero del Palatino rappresenta, in qualche modo, tale carattere integrato e organico del lavoro filoso-fico del suo tempo, palesando le comuni radici e le implicazioni razio-nali di tutte le religioni e costituendo un influente modello teorico e un

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Prologo

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indirizzo metodologico per la sua stessa generazione di uomini colti e quelle immediatamente successive. Il significato di fondo, e comun-que più visibile, del pensiero dell’autore della Dialectica è riconduci-bile alla sua partecipazione, attraverso gli studi e l’insegnamento delle arti del “trivio”, alla “scoperta dell’individuo” che caratterizza, paral-lelamente ai, e per certi aspetti in conseguenza dei, processi di forma-zione delle funzioni e delle aspirazioni “borghesi” nella società, il di-battito filosofico nella prima metà del XII secolo francese, per il suo coinvolgimento nella disputa sui termini universali, che di per sé ali-menta l’indagine sui criteri per determinare l’individualità, intesa co-me tratto distintivo dell’ente, in quanto unico e indivisibile, e per la sua posizione “non realista” nell’ambito di tale controversia. Tuttavia egli “investe” le conoscenze e le competenze acquisite lungo il suo apprendistato filosofico e durante le prime esperienze di insegnamento della dialettica nello studio della teologia, intesa come scienza razio-nale della natura di Dio e nella quale confluiscono, tra l’altro, la “let-tura” delle opere agostiniane più prossime ai modelli teoretici della tarda antichità e l’influenza del metodo svolto sola ratione da Ansel-mo, e nella delineazione di un’etica della responsabilità soggettiva, per così dire, in quanto basata sull’idea di peccato come adesione vo-lontaria al vizio e non come mancata corrispondenza dell’azione a modelli comportamentali codificati, teoria in virtù della quale si può anche legittimamente considerare il padre della nozione psicologico-morale di individuo, connessa, oltre che alla più ampia “domanda di soggettività” cui facevo sopra riferimento, alla sua inclinazione a met-tere in evidenza, e in gioco, la propria esperienza esistenziale, anche attraverso la pratica intellettuale dell’autobiografia.

Tale impegno in ambito teologico ed etico conduce Abelardo a un duplice confronto polemico: da un lato con i custodi delle tradizionali pratiche esegetiche, i quali non rinunciano alla certezza coscienziale come condizione discriminante della fede dalle semplici opinioni in-fondate e non capiscono, prima ancora di non condividere, la sua idea di “neutralità” della filosofia rispetto alle diverse unilateralità confes-sionali; dall’altro lato con coloro che danno adito a una “fuga in avan-ti” di stampo “deista”, per così dire, assimilando la sapienza cristiana alla certezza “oggettiva” della scienza. Alle verità degli uni e degli al-tri il Palatino contrappone la cauta consapevolezza che il compito del

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teologo non va oltre la formulazione di ipotesi verosimili, che, rispetto ai primi, esprimono un bisogno di razionalizzazione dei dogmi e di comprensione del sermo della fede, ricavato dalle Scritture e dalla let-teratura patristica, e, relativamente ai secondi, ne ridimensionano l’ambizione di conoscere “propriamente” l’essenza di Dio. Sulla base di questa impostazione, Abelardo afferma, nelle tre edizioni e nelle molteplici stesure della sua Theologia, la pensabilità della natura di Dio attraverso l’analisi logica del linguaggio teologico e dei suoi ter-mini-chiave, come idem, diversus e persona per quanto riguarda la tri-nità, facere e posse per quanto riguarda l’onnipotenza, e delle sue “fi-gure”, sia sacre, come quella dell’uomo creato “a immagine e somi-glianza” di Dio, la quale ispira e legittima la concezione agostiniana della tripartizione dell’anima umana in quanto partecipe della volontà, della cognizione e della carità del suo creatore, sia profane, come la metafora, ex philosophis sumpta, del sigillo di bronzo, in grado di as-similare all’esperienza l’identità delle tre persone divine, come quella del bronzo e del sigillo, e di chiarire le relazioni intertrinitarie, costi-tuite dalla generazione del Figlio da parte del Padre e dalla “proces-sione” dello Spirito santo da entrambi, mediante la costatazione della derivazione del sigillo dal bronzo e da ambedue dell’atto del sigillare.

Ma egli non si limita a riconoscere il carattere filosofico della sacra doctrina e compie un ulteriore “passaggio”, palesando che la filosofia, oltre a essere logica, che è il frutto delle arti del “trivio” ed è costituita dell’analisi del sermo, cioè del linguaggio significativo, teologia, che è scienza razionale della natura di Dio in quanto viene applicata la logi-ca a ciò che è dato come oggetto di fede, ed etica, che, in quanto si ri-cava anch’essa dalla ragione naturale, è subordinata alla logica e, in quanto è garantita nei suoi fondamenti dalla volontà, dalla sapienza e dalla carità di Dio, dipende dalla teologia, è anche fisica, intesa fon-damentalmente come cosmologia, cioè scienza dell’universo sensibile nel suo insieme organico e integrato di elementi semplici e composti, sorretta dalle discipline “matematiche” del “quadrivio”. Certo Abelar-do non ha spiccate attitudini per gli studi naturalistici e non è in gene-rale interessato a tematiche meramente scientifiche, essendo convinto del primato della dialettica, e, in senso più ampio, dell’analisi logico-linguistica nella conoscenza; e tuttavia mostra di essere consapevole dell’omogeneità di logica discorsiva e rigore fisico-matematico, e cioè

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Prologo

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che le arti liberali sono le basi strumentali e razionali, sia linguistiche sia numeriche, della filosofia. In altri termini, la sua opera è esempio tra i più chiari, quanto meno il più autorevole, dell’unitarietà del sape-re profano e dell’insieme delle pratiche filosofiche, così come l’uno e le altre sono determinate e percepite dal ceto colto più “avanzato” nel-la prima metà del XII secolo, pur ricco di figure poliedriche, alcune delle quali si trovano a proprio agio in egual misura utilizzando sia le discipline del “trivio” sia quelle del “quadrivio” e con queste ultime manifestano una dimestichezza maggiore di quella nel complesso mo-strata dal Palatino.

Sono questi i riferimenti storici e gli elementi teorici che stanno al-la base delle ricerche e della riflessione di cui qui presento i risultati, riguardanti i “nodi” concettuali e problematici della teologia abelar-diana e l’“apertura” del maestro di Le Pallet nei confronti della filoso-fia della natura, pensata come “sbocco” naturale degli interessi logico-linguistici ma anche come esito dell’esegesi letterale e della teologia razionale, all’interno di una visione della scienza in grado di coglierne il carattere unitario e integrato e sulla scia della “riscoperta” e della ri-valutazione della tradizione filosofica, che permeano il “clima” cultu-rale dei secoli XI e XII, affiancando la riforma ecclesiastica in atto e talvolta contrariandone gli esponenti più influenti, e alle quali egli par-tecipa con originalità e una qualche spregiudicatezza. Alla luce di tutto ciò, credo sia chiaro che questo lavoro non manifesta la pretesa e non persegue la finalità di proporre l’ennesima interpretazione del pensiero di Abelardo, troppo spesso nel passato “piegato” alle esigenze dettate dall’attualità filosofica e culturale, e quindi visto ora come baluardo, magari non del tutto compreso dai contemporanei, della tradizione dottrinale cristiana, ora come anticipazione e modello del razionali-smo moderno; piuttosto esprime l’intento di operare una “ricognizio-ne” delle motivazioni e delle ragioni che sorreggono le esperienze cul-turali del Palatino, così come delle conseguenze prodotte dalle rela-zioni che intrattiene negli ambienti, sia scolastici sia monastici, fre-quentati. E ancora, questo lavoro esprime l’esigenza di utilizzare l’iti-nerario intellettuale di Abelardo come rappresentazione emblematica del “clima” culturale e degli interessi che “percorrono” il mondo degli studi filosofici, piccolo ma in rapida espansione, caratterizzato uni-formemente dalla ferma volontà di offrire risposte adeguate alla do-

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manda di razionalità, principalmente tecnica ma anche teoretica ed e-tica, che si forma nella società urbana, e quindi che proviene dai nuo-vi, o rinnovati, ceti “borghesi”, dal populus che, pure all’interno della società feudale, si “distanzia” dalla rete di relazioni fondamentali della sua struttura tripartita, costituendo pratiche produttive e forme di con-vivenza precipuamente “civili”. Su questa base traspare anche il pro-posito di fare emergere e di chiarire, seppure solo indirettamente, le motivazioni teoriche, consistenti nella preservazione della fede dal procedimento astrattivo e universalizzante e dalle distinzioni della dia-lettica, e “politiche”, riconducibili alla difesa del ruolo “apicale” della chiesa e dei suoi ministri nella “città dell’uomo”, di chi avversa la theologia e l’etica abelardiane, “ragioni” che concorrono, insieme all’impegno dei novatores, alla formazione del “quadro” complessivo degli interessi e dei moventi culturali nella prima metà del XII secolo.

Sulla scorta di tale esame, prende forma la figura di un coerente promotore dell’idea professionale di filosofia, come d’altronde lo sono molti dei maestri che operano nella “rete” sempre più fitta di scuole urbane; uno strenuo difensore della “neutralità” della scienza e della razionalità di teologia ed etica, il quale, nella lunga esperienza mona-stica cui è costretto a causa dell’evirazione subita per la scoperta della sua relazione amorosa con l’allieva Eloisa da parte dello zio di lei Fulberto, mutilazione e previo rapporto erotico-affettivo di cui egli stesso ci fornisce un dettagliato resoconto nella lunga epistola Ad ami-cum suum nota col titolo di Historia calamitatum mearum, trova una continuità attitudinale e “ideologica” col precedente magistero e i suoi contenuti. Egli si mostra dunque intimamente legato al suo tempo, “stretto”, come ho già avuto modo di puntualizzare, tra due “confini”: infatti, sul versante dell’innovazione, la sua posizione è delimitata e distinta da quella dei dialettici radicali, che attribuiscono un carattere pienamente veritativo alla teologia razionale; dall’altro lato è costretto a difendersi dall’accusa, proveniente da ambienti conservatori, di ec-cessiva razionalizzazione della fede, e quindi di essere egli stesso un dialettico radicale. Tra gli uni e gli altri, Abelardo è indirizzato nello stretto “alveo” delle dispute teologiche, nel quale i suoi interessi filo-sofici rimangono penalizzati e le sue idee trovano un’inappellabile condanna; e tuttavia vale la pena di considerare in tutta la loro am-piezza, che comprende l’intero ambito della scienza, tali tendenze di

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Prologo

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studio e dottrine, di cui il “riverbero” delle competenze logiche e del probabile apprendistato “matematico”, seppure meno solido e motiva-to, del Palatino rivelano lo “spessore” filosofico e le potenzialità epi-stemiche, evidenti nella consapevolezza dell’ordine “meccanico-razionale”, per così dire, dell’universo fisico, concezione che peraltro fa riferimento alla tradizione cosmologico-musicale dell’alto medioe-vo neoplatonizzante.

Liberare lo studio della teologia abelardiana dall’angusta “gabbia” costituita dai contrasti con i suoi accusatori e avversari, pur senza i-gnorarne la valenza in ordine alle precisazioni e ai chiarimenti cui il Palatino si sente chiamato lungo tutto l’“arco” della sua esperienza in-tellettuale, e quindi alla progressiva maturazione della sua riflessione sul divino, si “traduce” nell’evidenziazione del ruolo “nodale” di que-st’ultima nel percorso filosofico lungo il quale risaltano la curiosità e la vivacità dell’autore delle Theologiae, per cui si può dire che nella teologia confluiscono i saperi riconducibili alle arti del “trivio”, che per Abelardo sono da considerare condizione necessaria e sufficiente e contenuto qualificante della filosofia, e che dalla teologia, che è “filo-sofia prima” in quanto si occupa dell’essere in generale e di come le strutture logico-ontologiche, che sono funzioni della conoscenza ra-zionale dell’essere finito sulla base dell’esperienza, possono rivelarsi utili alla pensabilità, seppure meramente congetturale, dell’essere di Dio, si dipartono “sentieri” che conducono all’etica e, in particolare dalla cosmogonia platonica e dal racconto mosaico della creazione, al-la filosofia della natura, quanto meno alla fissazione di alcuni fonda-mentali “tratti” del cosmo sensibile, ritenuti importanti non solo sul piano teoretico ma anche per la luce che “gettano” sui testi sacri. Infi-ne questa prospettiva rivela l’opportunità di guardare “oltre” il pensie-ro di Abelardo, e quindi l’influenza che esso esercita, o quanto meno le reazioni e i ripensamenti ai quali “costringe” chi, seppure non in li-nea con le sue posizioni, non è parte integrante dello schieramento che gli è dichiaratamente avverso e comunque aderisce pienamente al pun-to di vista filosofico che egli inequivocabilmente rappresenta.

Per questa ragione presento qui una seconda sezione, fondata anch’essa sulle due idee attorno a cui “ruota” l’intera indagine, la “ri-scoperta” della filosofia come sapere razionale e professionale nella Francia centro-settentrionale del XII secolo e l’unitarietà della scienza,

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attraverso cui la parte più avanzata del ceto colto risponde alla nuova domanda sociale di “saper fare”. Tale seconda parte è articolata in due capitoli: il primo è incentrato sulla riflessione teologica probabilmente più prestigiosa degli anni Trenta e Quaranta del XII secolo e più in-fluente sulla maturazione dell’approccio metodologico e sull’in-sorgenza di nuovi generi letterari, da Ugo di S. Vittore, che con Abe-lardo “domina” il dibattito teologico degli anni segnati dalla seconda fase della riforma ecclesiastica, considerato, anche dai contemporanei, suo principale contraltare ma di fatto incline a tener conto dei risultati della sua indagine razionale nella rivisitazione dei misteri e dei sacra-menti che costituisce il “cuore” della teologia “mondana”, all’autore della Summa sententiarum, modello della successiva letteratura teolo-gica, il quale trova nell’opera di Ugo e del Palatino il “materiale” con-cettuale su cui si basa; il secondo è dedicato agli interessi filosofici e teologici di Teodorico di Chartres, legati alla sua attività di maestro e “speculari” rispetto a quelli del Palatino, in quanto incentrati sugli a-spetti onto-teologici del suo pensiero ma coinvolgenti le arti liberali e il loro oggetto, cioè il linguaggio e la natura; interessi che, proprio perché “speculari” rispetto a quelli di Abelardo, ne riproducono l’e-stensione complessiva e la “cornice” ma ne sono, in qualche modo, l’immagine capovolta, nel senso che in gran parte confluiscono nelle discipline “matematiche” e nella filosofia della natura, che nell’opera abelardiana hanno uno spazio limitato, ancorché significativo. Si tratta di autori la cui riflessione ridimensiona e nel contempo complessiva-mente corrobora l’idea, qui assunta come “chiave di lettura” dell’intero percorso filosofico di Abelardo, secondo la quale è ricono-scibile una certa continuità tra la tradizione filosofica e il pensiero cri-stiano. Per tale “via”, la prima è ripensata e rivalutata come “attuale” e parte integrante del patrimonio intellettuale degli uomini colti; per quanto riguarda il secondo, si può dire che, quanto più si propone co-me pensiero universale, tanto più si rivela omogeneo ai saperi univer-salizzanti e “culmine” di essi in una visione sintetica e unitaria, che ha più compiutezza di ciascuno di essi, come l’idea generale rispetto ai particolari che ne partecipano, e scorge i nessi che li collegano tra loro e con le problematiche dell’unità e trinità di Dio e dell’onnipotenza, ma non aggiunge nulla al loro valore teorico e spirituale. Si tratta in ogni caso di interlocutori autorevoli, la produzione e gli interessi dei

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Prologo

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quali non dipendono in linea generale da Abelardo e sono il frutto del-la ricezione delle molteplici sollecitazioni intellettuali che essi ricevo-no dall’ambiente culturale, monastico o “scolastico” e comunque ur-bano, in cui operano; e tuttavia il rapporto col Palatino e con le sue opere costutuisce un aspetto significativo del loro pensiero e soprattut-to una circostanza non secondaria della storia filosofica che si svolge nella Francia centro-settentrionale nel trentennio che prende avvio dal-la “pubblicazione” della prima “edizione” della Theologia abelardiana e si conclude con la stesura, da parte di Teodorico di Chartres, dei commenti al De Trinitate boeziano e dell’esegesi letterale del Genesi.

In questo senso, si può dire che gli autori di cui qui discuto le opere sono rappresentativi dei tre fondamentali e diversi atteggiamenti pale-sati, nei confronti dell’autore della Theologia, dagli esponenti della cultura più “avanzata”, e come tale incline alla “riscoperta” e alla riva-lutazione degli studi filosofici, della prima metà del XII secolo. In primo luogo, Ugo di S. Vittore esprime un punto di vista alternativo e consapevolmente competitivo rispetto a quello di Abelardo, ancorché non assimilabile alle motivazioni “antidialettiche”, per così dire, e alle intenzioni censorie dei cistercensi; per questo motivo la direzione spi-ritualizzante e ascetizzante che egli attribuisce e imprime agli studi è accompagnata dall’esigenza di partecipare alla riqualificazione e al rinnovamento delle scienze, non solo sacre ma anche profane, funzio-nale a quell’indirizzo mistico ma nel contempo attento alla domanda di razionalità e di razionalizzazione che è posta dall’ambiente civile e culturale in cui si svolgono il suo lavoro intellettuale e il suo magiste-ro e che coinvolge sia la conoscenza della natura sia l’applicazione degli strumenti logico-linguistici alla comprensione del dogma e della scrittura rivelata, come base imprescindibile dell’esperienza spirituale. In secondo luogo, l’autore della Summa sententiarum, attribuita a Ot-tone da Lucca, sembra esprimere la convinzione che Abelardo e Ugo rappresentino i momenti più “alti” e i modelli principali del pensiero teologico del loro tempo, non in alternativa tra loro ma interpreti com-plementari dell’eredità anselmiana, l’uno capace di indicare e percor-rere la “via” che conduce ai misteri, cioè di praticare la scienza razio-nale, ma mai definita, dell’essenza di Dio, l’altro indagatore dei sa-cramenti, segni sacri della storia e della liturgia, proposti come gli e-lementi che contraddistinguono l’esperienza spirituale ed etica dei cri-

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stiani, e quindi come condizione di una “cifra” e di una funzione per-cepite come radicalmente innovative rispetto al passato pre-cristiano. Infine, Teodorico di Chartres è il più vicino alla prospettiva abelardia-na, per l’“orizzonte” mondano che egli riconosce al sapere, nel senso che attribuisce alla filosofia un ruolo privilegiato, in quanto strumento esclusivo ed esaustivo della conoscenza e del governo della volontà, nella riflessione teologica e nella formazione della coscienza cristiana, e tuttavia in quest’ambito mostra una maggiore cautela del Palatino, evitando i “nervi sensibili” della mentalità ecclesiastica, “scoperti” dal dibattito teologico recente, ma anche individuando elementi teorici i-donei a rafforzare e, in qualche modo, “tranquillizzare” tale sensibili-tà.

Non ho inteso quindi proporre una trattazione esauriente delle mol-teplici posizioni teoriche e dei complessi intrecci che hanno caratteriz-zato il dibattito che si è sviluppato nella Francia centro-settentrionale a partire dall’attività intellettuale di Abelardo; piuttosto ho cercato di mettere in evidenza, attraverso l’individuazione, per quanto inevita-bilmente arbitraria, di tre prospettive teoriche esemplificative dei pre-valenti interessi “di scuola”, la valenza filosofica delle reazioni alla riflessione teologica ed etica del Palatino, in virtù della quale non si disperde il contributo di quest’ultimo alla consapevolezza dell’unita-rietà dei saperi e del saper fare e quindi alla loro effettiva e proficua crescita in funzione dell’universalizzazione delle esperienze cognitive, siano esse teoretiche, pratiche o tecniche, e dei processi di “laicizza-zione” dei rapporti sociali. Tutt’e tre tali punti di vista, pur diversi, implicano lo stesso atteggiamento critico nei confronti della theologia di Abelardo, e della sua concezione dei rapporti di quest’ultima con la filosofia, basato sulla condivisa convinzione che il cristianesimo non è riducibile al pensiero classico, non solo sul piano fattuale ma anche dal punto di vista teorico, cioè non solo perché prende avvio da fatti estranei alla civiltà e alla cultura della Grecia antica ma anche in quan-to comprende una “cornice” ed elementi teorici, di carattere sia teore-tico sia etico, originali e peculiari, come l’intuizione della trinità e l’affermazione del primato delle virtù cristiane sulle “cardinali”. Spin-ti dall’esigenza di conciliare l’“assolutismo” gnoseologico ed etico del pensiero cristiano con l’universalismo della filosofia, fino ad assegna-re a quest’ultima, soprattutto da parte di Teodorico ma in modo non

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Prologo

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equivocabile anche nell’opera di Ugo e nella Summa sententiarum, una funzione vitale e rinnovata in ambito profano, a fronte di un ruolo “ancillare” nei confronti della teologia spirituale, ma anche sollecitati a prendere le distanze dagli “errori” teologici attribuiti ad Abelardo e a lui imputati nei concili di Soissons del 1121 e di Sens del 1140, gli in-terlocutori del Palatino fondamentalmente gli rimproverano la sua so-stanziale identificazione di filosofia e pensiero cristiano, coincidenza che oggettivamente indebolisce la capacità di “attrazione” delle co-scienze e l’autorevolezza delle istituzioni ecclesiastiche e che essi “percepiscono” come incapacità di cogliere le ragioni filosofiche, oltre che le motivazioni dettate dalla fede, di una rigorosa distinzione di scienza e spiritualità, a garanzia di quest’ultima dall’illegittima inge-renza dell’analisi logico-linguistica ma anche dell’autonomia, per quanto parziale, della stessa scienza, che progressivamente precisa il proprio oggetto ma approfondisce la sua funzione epistemica e amplia il suo campo di applicazione. In ogni caso, da questo dibattito emerge un’idea di filosofia come sapere razionale ed esclusivo strumento del-la certezza oggettiva, articolato, in quanto comprende sia le scienze sia le arti, che delle scienze sono strumento applicativo, e ancora sia le di-scipline radicalmente profane, come le arti logiche o la cosmologia, sia la teologia razionale e l’etica naturale, che si avvalgono di un me-todo profano ma inevitabilmente “sconfinano” nell’oggetto sacro, e tuttavia sapere unitario, reso tale dal metodo dialettico, comune a tutte le scienze, e per questo disciplina disciplinarum, e causa di fecondi intrecci tra le diverse scienze, come quello tra teologia e cosmologia, tra la pratica del pensare non contraddittoriamente ciò che dei misteri di Dio ricaviamo dalla ragione e dalla rivelazione e i “giudizi determi-nanti” della filosofia della natura fisica, “trame” concettuali che nella prima metà del XII secolo fanno del pensiero cristiano e delle istitu-zioni ecclesiastiche un terreno idoneo alla crescita degli interessi e de-gli studi filosofici.

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SEZIONE PRIMA

Percorsi filosofici di Pietro Abelardo

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Capitolo 1

Logica e teologia

1.1. Dalla dialettica alla teologia

Pietro Abelardo elabora e difende una teologia trinitaria razionale, che tuttavia non disconosca il primato della fede, ponendosi sulla scia di Agostino, attraverso Anselmo, e integrando il “paradigma raziona-le” tardoantico e altomedievale, alla luce del quale la ratio risulta es-sere “organo” dell’adeguazione del pensiero all’essere, cioè di una mediazione oggettiva tra ordine comunicativo e ordine del creato, con il metodo dialettico “coltivato” nelle scuole urbane dei secoli XI e XII, per cui la ratio è riconosciuta strumento di analisi, e quindi di adegua-zione dell’essere al pensiero, esterna al suo oggetto e non necessaria-mente analoga a esso. Egli comunque riceve questo retaggio intellet-tuale rendendosi conto pienamente della maturazione, rispetto agli an-ni in cui opera l’Aostano, di strumenti e metodi appropriati per soddi-sfare la domanda, sempre crescente, di razionalità, ma anche con co-raggio e ferma coerenza, in un contesto inasprito dalla crescente con-flittualità tra gli innovatori del metodo teologico nel senso della razio-nalizzazione della scientia divinarum rerum, ottenuta attraverso l’ap-plicazione a essa dei saperi profani, e coloro che assumono il ruolo di custodi della tradizione culturale cristiana, così come è stata prevalen-temente interpretata e si è consolidata negli ultimi due secoli. Ma in virtù della complessità della sua personalità e dell’ampiezza dei suoi interessi, Abelardo non è soltanto un maestro di dialettica che applica con genialità e senso di responsabilità alla teologia, cui si accosta non prima del 11131, all’età di trentaquattro anni, il sapere di cui è compe-

1 Sulla cronologia della vita e degli scritti di Pietro Abelardo, cf. C.J. MEWS, On Dating

the Works of Peter Abelard, in «AHDLMA» 52, a. LX (1985), pp. 130-132; J. JOLIVET, Abelar-do. Dialettica e mistero, Jaca Book, Milano 1996, pp. 11-12.

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Capitolo 1

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tente, con chiara consapevolezza dei suoi limiti; egli partecipa anche alla preparazione del “terreno” in cui confluiscono e si congiungono i due principali filoni del rinnovamento delle idee attraverso la riscoper-ta della filosofia come sapere “attuale”: gli studi logico-linguistici e gli interessi filosofico-naturalistici. Gli uni e gli altri formano non due percorsi indipendenti e paralleli ma un unico ambito culturale, caratte-rizzato dalla prossimità e dall’incontro di personaggi apparentemente molto diversi, dall’intreccio delle loro vicende esistenziali e dei loro “itinerari” intellettuali, dalla loro comune attenzione per le arti liberali, concepite come parte integrante della filosofia, o almeno come neces-saria precondizione del sapere filosofico2. Se la dialettica è infatti con-siderata dai novatores organo della teologia razionale, in quanto lo è della filosofia, e la teologia è riconosciuta disciplina filosofica, la scienza della natura è modello di pensabilità e di razionalizzazione del dogma, soprattutto in relazione all’esegesi del Genesi, letto “in paral-lelo” al Timeo di Platone3. Abelardo preferisce, per formazione e per inclinazione, le arti logico-discorsive del “trivio” a quelle matematico-naturalistiche del “quadrivio” e le sue opere teologiche rappresentano emblematicamente e ai massimi livelli la riflessione sul rapporto tra risorse razionali e pensiero cristiano4; ma in tali opere mostra una competente attenzione anche nei confronti della cosmogonia platoni-

2 Sul significato complessivo della filosofia di Abelardo, cf. A. CROCCO, Abelardo. L’altro versante del medioevo, Liguori, Napoli 1979, pp. 7-81; J. MARENBON, The Philosophy of Peter Abelard, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1997, pp. 233-250; sui due fondamenta-li modelli di razionalità scientifica e sui loro rapporti con la teologia, cf. M. DREYER, Raziona-lità scientifica e teologia nei secoli XI e XII, Jaca Book, Milano 2001, pp. 123-128; sulla con-cezione della filosofia e sul ruolo delle arti liberali, cf. T. GREGORY, La conception de la phi-losophie au moyen âge, in Actas del V Congreso Internacional de Filosofia Medieval, Editora Nacional, Madrid 1979, pp. 49-57, C. MARTELLO, Il risveglio di “Mnêmosunê”. La filosofia e la sua divisione nel XII secolo, in Neoplatonismo pagano vs neoplatonismo cristiano. Identità e intersezioni, Atti del Seminario (Catania, 24-28 sett. 2004), a cura di M. DI PASQUALE BAR-BANTI – C. Martello, CUECM, Catania 2006, pp. 131-170.

3 Cf. T. GREGORY, L’idea di natura nella filosofia medievale prima dell’ingresso della fi-sica di Aristotele. Il secolo XII, in La filosofia della natura nel medioevo, Atti del III Congres-so Int. di Filosofia Medioevale (Passo della Mendola, 31 agosto - 5 sett. 1964), Milano 1966, pp. 27-65; G.C. GARFAGNINI, Cosmologie medievali, Loescher, Torino 1978, pp. 93-199; T. GREGORY, Nature, in Dictionnaire raisonné de l’Occident médiéval, éd. par J. LE GOFF et J.-C. SCHMITT, Fayard, Paris 1999, trad. it. 2 voll., Einaudi, Torino 2004, pp. 801-815.

4 Cf. C.J. MEWS, In Search of a Name and Its Significance. A Twelfth-Century Anecdote about Thierry and Peter Abaelard, in «Traditio» 44 (1988), pp. 183-185; J. MARENBON, The Philosophy of Peter Abelard, cit., pp. 7-95.