100

Players 17

  • Upload
    players

  • View
    236

  • Download
    0

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Players è intrattenimento per menti sveglie e affamate. Con un'attitudine vagamente geek, gusto per il bello e una sincera volontà di proporre contenuti di qualità, Players è un magazine di media, sopra la media.

Citation preview

Page 1: Players 17
Page 4: Players 17
Page 5: Players 17
Page 6: Players 17
Page 7: Players 17
Page 8: Players 17

ISSUESEVENTEEN

PLAYERS 17 PAGINA 8

Page 9: Players 17

progETTo EdITorIalEAndrea Chirichelli, Tommaso De Benetti

CopErTINaEolo Perfido

progETTo grafICoFederico RescaldaniCristina LanziEugenio LainoMatteo FerraraGianluca CorcioneElodie Maulucci

EdITINg TESTIAlessandro Franchini, Michele Siface, Giovanni Quaglia

arEa wEbLuca Tenneriello

rEdazIoNEAndrea Chirichelli, Tommaso De Benetti,Emilio Bellu, Federico Rescaldani, Alberto Li Vigni, Piero Ciccioli, Dario Oropallo, Marco Passarello, Matteo DelBo, Claudio Magistrelli, Leonardo Ruffin,Cristina Lanzi, Eugenio Laino, Matteo Ferrara, Gianluca Corcione, Elodie Maulucci

HaNNo CollaboraToMauro Zucconi, ITHINKP.! aka Panfilia,Jessica De Giudici, Fiaba di Martino,Matteo Bittanti, Marco Andreoletti

SITo wEbwww.playersmagazine.it

INfo & pUbblICITà[email protected]

CopylEfT2010/2011/2012 Players Magazine

lICENzaPlayers è rilasciato sotto la licenza Crea-tive Commons Attribuzione-Non com-merciale-Non opere derivate 3.0Unported. Per leggere una copia della li-cenza visita il sito web www.creative-commons.org/licenses/ o spedisci unalettera a Creative Commons, 171 SecondStreet, Suite 300, San Francisco, Califor-nia, 94105, USA.

PLAYERS 17 PAGINA 9

Page 10: Players 17

ARTE

PLAYERS 17 PAGINA

Es plos ioned i color i

2veinte non è una singola persona mauno studio di design e grafica ubicatoa Buenos Aires in Argentina, opera-

tivo dal 2007. Lavora principalmente per i settori della

pubblicità, della televisione e delle agenziedi comunicazione (le realtà sudamericanestanno diventando più importanti di quelleamericane). Tra i loro clienti si possono an-noverare MTV, Nickelodeon, VH1, Simon &Schuster, UTV Action, Viva UK, Sony Spin,Coca Cola, AXN, Cinecanal, Tr3s, TyC Sportse FoxRetro.

Il loro sito è http://www.2veinte.com.ar/

di Andrea Chirichelli

2veinte

10

Page 11: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 11

Page 12: Players 17

74

rivoluzione digitalevittoria oscuraterrence malick: la naturadella meravigliail discreto fascino di westrasferta a hollywoodplayers grindhouse 12

44

Vittoria Oscura

Il discreto fascino di Wes

38

28

34

La natura della meraviglia

22 SCREENS

LETTERATURAGRAMOPHONE

VISUAL

2veinterobbie augspurgereolo perfidolarissa haily aguado

10

baronessmarina and the diamondsturbonegrokatatonia

Trasferta a Hollywood

PLAYERS 17 PAGINA 12

la solitudine dei registi italianitre volte all’albale periziemarvel now

66 PAGES

Terrence Malick:

Page 13: Players 17

80

Sulle strade di SimCity

7876

Rivoluzione Digitale

22 82

piattaforme passate e presentisulle strade di sim city, lamappa è il territorio

GAMES

stories

PLAYERS 17 PAGINA 13

KatatoniaMarina and The Diamonds

SUPERSTIZIONI di mauro zucconi14

Page 14: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

STORIES

ITHINKP.! aka PanfiliaGraphic Designerhttp://www.ithinkpworld.com/

14

Page 15: Players 17

MAURO ZUCCONI

PLAYERS 17 PAGINA

SUPERSTIZIONI

Mia madre era molto supersti-ziosa, adesso non lo è più, e laparte interessante è che sonostato io a farle passare la suasuperstiziosità, lei che era su-perstiziosa da sempre, da bam-bina, quando, per farle passare

l’insonnia, sua madre e sua zia le avevano preso illetto, l’avevano portato nel cortile sul retro e gli ave-vano dato fuoco.

Allora mia madre era una di quelle persone che siimpongono di fare determinate cose in un determi-nato ordine per far sì che tutto vada bene. Personeche, da quel poco che ne so – ma in fondo anch’io inun certo senso sono così –, non riescono a tolleraredi essere in balia del caso o, ancora peggio, credonoin forze maligne che, se non si proteggono adegua-tamente, per qualche ragione vogliono distruggerle.

Non ho mai indagato quali fossero queste deter-minate cose da fare in un determinato ordine chemia madre faceva per proteggersi dalla volontà didistruzione della sua personale entità maligna, nonabbiamo mai approfondito l’argomento e anzi, nonfosse stato per certi suoi comportamenti bizzarriche hanno attirato la mia attenzione, non me nesarei nemmeno accorto. Però, insomma, cose come:essere l’ultima a uscire di casa, stendere i panni inuna certa sequenza e così via. Adesso che ci penso,molte volte non riesco a spiegarmi le reali motiva-zioni che stanno dietro ai comportamenti di miamadre. Io riesco a percepire in maniera nettaquando lei sta mentendo, quando mi sta dicendoche non vuole fare una cosa per un motivo, anche sein realtà è chiaro che non la vuole fare per un altro,oppure riesco a percepire quando non vuole fareuna cosa ma non vuole ammettere di non volerlafare, si sente insomma che ha delle motivazioni e hosempre pensato che fossero delle preferenze e hocercato di farle capire che lei queste preferenze po-teva dirle liberamente, le ho sempre detto che mi ir-ritava non tanto il fatto che non volesse fare unacosa, quanto il fatto che non volesse ammettere dinon volerla fare o che non volesse dire la vera ra-gione, il vero motivo per cui non voleva farla, e misono sempre lasciato irritare moltissimo dal suo ne-gare, dal suo nascondere le sue reali motivazioni e i

suoi reali desideri, e non ho mai capito perché dia-volo si comportasse in una maniera così irritante,finché poi, sì, poi ho cominciato a pensare che il mo-tivo poteva essere il fatto di essere dominata dallasuperstizione, di essere dominata dalla supersti-zione e di vergognarsene e, dunque, di non volerloammettere.

Comunque, a sentirla, un giorno questa supersti-zione è passata, e, come ho detto, la parte più inte-ressante, almeno per me, è che sono stato io afargliela passare, e questo fatto mi ha impressionatomolto, perché io ho sempre pensato che fossemolto difficile se non impossibile guarire da una de-viazione mentale quale certamente è la supersti-zione, l’essere superstiziosi, ho sempre pensato checi volesse perlomeno uno psichiatra, ma che in ge-nerale la persona superstiziosa non abbia la minimaintenzione di andare da uno psichiatra per farsi to-gliere la sua superstiziosità, perché naturalmentequest’ultima le permette nientemeno che di con-trollare il mondo, controllare il mondo è il sogno diogni essere umano e la persona superstiziosa riescea farlo, ha l’illusione di poterlo fare e dunque è con-vinta di poterlo fare e dunque lo fa, se tocco questooggetto quattro volte non mi verrà il cancro, pensa,se accendo e spengo e accendo e spengo e accendoe spengo la luce in soggiorno prima di uscire di casanon mi verrà il cancro, si ripete, e se il cancro effetti-vamente poi non le viene allora la superstizione hafunzionato e, ogni giorno in cui il cancro non leviene, la superstizione oltre ad aver funzionato sirafforza e diventa più radicata, sempre più radicata equindi difficile da estirpare, e se invece il cancro leviene allora non è che si sia rivelata inutile, un com-portamento folle e inutile frutto di una mente de-viata e irrazionale e malata, ma, pensa la personasuperstiziosa di fronte al fallimento della sua super-stizione, forse è stata eseguita male, oppure non erala superstizione giusta oppure comunque ormai chise ne frega, visto che tanto tra poco non ce ne saràpiù bisogno e a dire il vero non ci sarà più nemmenoil cervello che ora lo sta pensando.

Ma se uno è superstizioso per settant’anni e inquesto modo si difende dal cancro per settant’annie il cancro gli viene solo dopo i settant'anni di su-perstizione, beh, fino a settant’anni quella persona

15

Page 16: Players 17

STORIES

PLAYERS 17 PAGINA

non avrà la minima intenzione diandare da uno psichiatra che laprivi della sua capacità di difen-dersi dal cancro toccando quat-tro volte l’angolo di un tavolo oaccendendo e spegnendo quat-tro o cinque volte la luce del sog-giorno, in effetti è un sistemapreventivo molto più semplice emolto più comodo e certamentemolto meno disgustoso di man-giarsi carote e broccoli crudi obolliti, a voler guardare. E cosìper mia madre, penso.

Ma poi un giorno siamo a ta-vola e stiamo parlando per qual-che motivo di superstizione edell’essere superstiziosi e miamadre se ne viene fuori dicendo“io ero molto superstiziosa maadesso non lo sono più e questograzie a te”, e io rimango sbalor-dito, perché, primo, non sapevoche mia madre fosse supersti-ziosa a un livello tale da, comesubito dopo mi ha detto, impie-gare un’ora a stendere i panniperché convinta che il modo incui stendeva i panni poteva de-terminare la salvezza o la distru-zione della sua famiglia e dellasua vita, e poi perché, secondo,sono riuscito a fare una cosa cosìbella e difficile e di cui certa-mente potrei andare fiero per ilresto della mia vita, cioè guariremia madre dalla superstizione. Eneanche me ne sono accorto,non mi sono accorto neanche diaverci provato, le dico.

“Ma eri superstiziosa?”, lechiedo, e qui lei mi rivela che ineffetti era molto superstiziosa,così superstiziosa da impiegareper l’appunto anche un’ora astendere i panni in cortile, per-ché incapace di liberarsi dellaconvinzione o del sospetto che ilmodo in cui avrebbe steso i

panni avrebbe anche determi-nato la salvezza o la distruzionedella sua famiglia e della sua vita,e questa rivelazione che miamadre a un certo punto ha de-ciso di farmi mi ha sconvolto,perché io ho un ricordo molto ni-tido di mia madre in cortile chestende i panni, è direi un’imma-gine tipica della mia giovinezza,del periodo in cui vivevo con imiei genitori e insomma del pe-riodo non necessariamente piùfelice della mia vita ma del pe-riodo nel quale mi sono sentitopiù al sicuro e più al riparo dal-l’ansia e dall’angoscia esisten-ziali, non saprei come altrimentichiamarle, e quest’immagine dimia madre in cortile impegnata astendere i panni, mia madre incortile che serenamente stende ipanni, al pari dell’immagine dimio padre in officina che serena-mente monta i suoi infissi, è perme una delle immagini che me-glio rappresentano la quiete e latranquillità e la felicità famigliari,e adesso mi sconvolge pensareche quella donna, che in qualchemodo era il simbolo e il guar-diano della mia tranquillità,quella donna che con la sua tran-quillità era il simbolo e il guar-diano della mia, adesso misconvolge pensare che in realtà,mentre era fuori, da sola, in silen-zio, che serenamente stendeva ipanni in cortile, in realtà era tor-mentata dal pensiero che terribilidisgrazie potessero abbattersisulla nostra famiglia, mi scon-volge pensare questo, che miamadre fosse una persona tor-mentata, quando io ho semprepensato che fosse una personafelice, perché questa sua felicità,questa sua evidente e incrollabilefelicità mi ha sempre garantito

una evidente e incrollabile feli-cità, una fiducia nei confrontidella vita e del futuro, e ora sco-pro che mia madre in realtà stavadifendendo me, la sua famiglia ela sua vita da terribili sciagureescogitando personali e oggetti-vamente folli disposizioni deglioggetti, o sequenze di azioni daripetere alla nausea, e prigioniedi procedimenti simmetrici, tuttoquesto affollava la sua mentequando io pensavo che nella suamente ci fossero soltanto il pen-siero di quello che stava facendo– stendere i panni – e la sempliceconvinzione del perché lo stessefacendo – i panni erano bagnatie dovevano asciugare prima diessere stirati, poi indossati e poilavati di nuovo – e nient’altro.

Dopo questa confessione,però, mia madre mi dice che, gra-zie a me, dalla superstizione èguarita. Io di questo fatto prodi-gioso non ho alcun ricordo, maquando le dico “e come?” e lei co-mincia a dirmi come, nella miamente si evoca in effetti un’im-magine, una vaga sembianza diuna situazione, una situazioneche a poco a poco mi torna inmente, e allora sì, quando lei midice che una volta io, vedendoche lei aveva corretto la disposi-zione delle posate sul tavolo dalmomento che queste posate for-mavano una croce e che lei,come tutti abbiamo sempre sa-puto, le croci le odiava, le avevodetto, sapendo della sua forte re-ligiosità e della sua fede in Dio epensando che questa potesse es-sere una buona osservazione dafare ma senza pensare di otte-nere un effetto così strabiliante eistantaneo, le avevo detto“mamma, devi scegliere: o crediin Dio o credi nella supersti-

16

Page 17: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 17

Page 18: Players 17

STORIES

zione”, quando lei mi dice que-sto io in effetti mi ricordo diaverglielo detto, quanti anni sa-ranno passati?, mi chiedo, forsedieci o quindici, e ora mi sembrastraordinario il fatto che unafrase detta così, tanto per direuna cosa arguta o per metterein contraddizione una personache da un lato aveva fede nellavolontà del Signore e dall’altrocercava di procurarsi uno scudoo una protezione dalle sciaguremanipolando l’interruttore dicasa, abbia potuto ottenere unsimile risultato, un risultato chenemmeno uno psichiatra forseavrebbe raggiunto, e mi rin-cuora l’idea di aver curato miamadre da un simile morbo, diaverla liberata dalla sua prigio-nia e dal suo tormento, mi fasentire bene e mi fa sentire rea-lizzato aver dato a mia madre unsimile beneficio, questo magarinon ci rimette in pari ma se nonaltro io sono servito a qualcosa,lei mi ha messo al mondo e iosono riuscito a guarirla da unadisturbo mentale che la condi-zionava e che la angosciava, maquasi non faccio in tempo acompiacermi di questo risultato,che subito un pensiero mi vienein mente, e cioè che se c’era unacosa che non riuscivo a spie-garmi di mia madre, una cosache non riuscivo a spiegarmi eche alla fine mi ero spiegatosemplicemente attribuendolaall’età, all’avanzare dell’età e al-l’avvicinarsi alla morte, era la suacrescente religiosità, il fatto chela sua normale religiosità negliultimi anni fosse cresciuta inmodo esponenziale e, dal miopunto di vista, essendo io ateoe, per quanto possibile, razio-nale e non-metafisico, grotte-sco, da qualche anno a questaparte mia madre è diventatasempre più religiosa, ha comin-

ciato a fare cose che prima nonfaceva, ha riempito la casa dicrocifissi, di immagini sante, dimadonne e di statuette piene dipozioni miracolose, ha comin-ciato ad andare a messa più fre-quentemente, a guardare lamessa alla televisione, ad ascol-tare la radio dove dicono tutto ilgiorno le preghiere, ha comin-ciato lei stessa a dire le pre-ghiere, mi ricordo una volta diessere entrato in una stanza e diaverla trovata in piedi appog-giata a un tavolino e rivolta inpratica verso un muro spoglio edi averla sentita borbottarequalcosa, di avere avuto l’im-pressione, entrando all’improv-viso, che fosse lì a borbottare, enella mia ingenuità e nella miavisione poco realistica della re-altà, non mi è venuto da pen-sare “ma certo, sta pregando”,non mi è venuto da pensareniente, a dire il vero, e soltantodopo ho capito che cosa stessefacendo lì rivolta a quel muro,solo dopo mi sono reso contoche la sua religiosità stava cre-scendo a dismisura, e così la suasuscettibilità rispetto a questoargomento, il suo non tollerarepiù le mie battute su questo ar-gomento, cosa che prima invecetollerava piuttosto bene, da unpo’ di anni lei non tollera più cheio scherzi su Dio e sulla reli-gione, e questo cambiamento,questa maggiore suscettibilità,così come i viaggi a scopo reli-gioso e i suoi pellegrinaggi neisantuari e le sue nuove frequen-tazioni e certi suoi discorsi dal-l’aria profetica e leggermenteinvasata, io tutto questo l’avevoattribuito all’avanzare dell’età, enon me ne preoccupavo, ma nelmomento in cui lei mi ha dettoche era “guarita” dalla supersti-zione, nel momento in cui mi harivelato il modo in cui è guarita

dalla superstizione, e cioè graziealla mia frase “devi scegliere: ocredi in Dio o nella supersti-zione”, in quel preciso momentoio, che di solito ci metto un po’ acapire le cose, a uscire dalla miavisione poco realistica della re-altà, in quel momento, dicevo,ho capito subito che cosa erasuccesso, perché in un attimotutto è andato al suo posto,tutto spiegava tutto, mia madreche era patologicamente super-stiziosa e che poi improvvisa-mente ha smesso di esserlo eche, nel frattempo, ha avutoun’escalation mistica e fideistica,e allora ecco dov’è finita la su-perstizione, ho pensato, eccoche cosa ho fatto realmente,non l’ho guarita dalla supersti-zione, cosa che di fatto, per imotivi accennati sopra, non ri-tengo possibile, ma ho solo con-tribuito a convogliare lasuperstizione pagana in quellareligiosa, ho semplicementesuggerito al suo cervello comerisolvere un conflitto tra due dif-ferenti divinità, e da questa riso-luzione di questo conflitto èuscita una religiosità, una super-stizione, dal mio punto di vista,ancora più forte, ancora più ra-dicale e ancora più difficile daestirpare, e mia madre è diven-tata ancora più convinta e piùtestarda e più chiusa nel suomondo dove, rispettando le sueregole, riesce a gestire in qual-che modo il suo tormento, e ame non resta altro che la conso-lazione di aver finalmente unquadro più chiaro di comestanno le cose e di come sonostate le cose ai tempi in cuiguardavo mia madre stendere ipanni in cortile e pensavo che, adifferenza di tutti, noi eravamouna famiglia perfettamente se-rena e razionale.

PLAYERS 17 PAGINA 18

Page 19: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 19

Page 22: Players 17

tronRegistasteven lisbergerSceneggiatoristeven lisberger, bonnie macbirdProduttoriwalt disney productions, lisberger/kushnerAttoriJeff bridges, bruce boxleitner, david warnerProvenienzaUSAVersioneoriginale

RIVOLUZIONE

screens | cinema

digitale

PLAYERS 17 PAGINA 22

Page 23: Players 17

Nel 1976StevenLisber-ger, unregistadi car-toni ani-

mati per la sua societàomonima, vide un reeld’esempio e potè provareuna copia di Pong su uncomputer del MAGI (Ma-thematical ApplicationGroup, Inc.). “Negli anni’70 molti utilizzavano labacklit animation. Pensaia cosa sarebbe successose avessi creato questopersonaggio formato dalinee di neon, il guerrieroTron. Vedendo Pong dissi:bene, questa è la suaarena. Nel frattempo erointeressato alle primeforme di animazione rea-lizzata al computer cheavevo visto [...], avevo in-contrato alcuni dei pro-grammatori che ci lavo-ravano. Loro mi diederogrande ispirazione, datoche credevano ferma-mente in questo nuovomondo”. Queste le parolecon cui Lisberger spiegala scelta di realizzare unfilm che mostrasse que-sta nuova frontiera algrande pubblico: con ilsocio Donald Kushner al-lestì uno studio d’anima-zione in cui creare Tron,inizialmente immaginato

come un film d’anima-zione con alcune se-quenze live-action. Lapreparazione di questa“versione beta” costò tre-cento mila dollari, eaveva assicurato unasomma di circa cinquemilioni d’investimenti pri-vati quando giunse a unpunto morto. A questopunto Lisberger e Ku-shner decisero di presen-tare storyboard edesempi generati al com-puter a svariate majorhollywoodiane tra lequali c’era la Walt DisneyProductions: l’acco-glienza, ricorda Kushner,non fu particolarmentecalorosa perché “era unaffronto al centro opera-tivo, il dipartimentod’animazione. Ci vede-vano come il germe dal-l’esterno. [...] La Disney èun gruppo chiuso”.La produzione del film

cominciò nel 1981 e coin-volse un eccellente trio didesigner: Jean “Moebius”Giraud, Syd Mead e PeterLloyd. Per la creazionedelle sequenze digitali siricorse all’aiuto dei leaderdella computer grafica diallora: la Information In-ternational Inc.; il MAGI diElmsford; la Robert Abeland Associates e la Digi-tal Effects. Tron è statouno dei primi film a utiliz-

digitale

PLAYERS 17 PAGINA

di Dario Oropallo

23

Page 24: Players 17

screens | cinema

PLAYERS 17 PAGINA

tron: uprisingRegistaCharlie BeanSceneggiatoreEdward Kitsis, Adam HorowitzCreatoriSteven Lisberger, Bonnie MacBirdProduttoriSean Bailey Productions, Disney Television Animation,Disney XD Original Productions, Polygon PicturesAttoriElijah Wood, Lance Henriksen, Bruce BoxleitnerProvenienzaStati UnitiVersioneoriginaleEpisodi previsti18

24

Page 25: Players 17

zare l’animazione digitaleed è perciò celebratocome una pietra miliarenell’evoluzione tecnicadel cinema, ma anche perl’originalità dell’ambien-tazione che ha ispiratoscrittori, registi e musici-sti.L’uscita di un sequel è

stata ipotizzata per moltotempo; con l’uscita del vi-deogioco Tron 2.0 (2003,Monolith Productions,PC), i rumor si erano fattipiù insistenti. Fino al tea-ser mostrato al Comic-Con del 2008 in cui il filmera chiamato Tr2n: inter-vistato da Sci-Fi Wire, JeffBridges stesso confermòche il trailer rappresen-tava l’intenzione di Di-sney di rispolverare ilprogetto. Il regista Jo-seph Kosinski evitò diemulare altri film: il suoobiettivo era di creare unmondo virtuale che po-tesse sembrare reale e altempo stesso alieno. Dal1988, il mondo di Tron siè sviluppato indipenden-temente da influenzeesterne, assumendo con-notati unici: il passaggiotra i due mondi è sottoli-neato con la stereoscopiae dai brani della colonnasonora. Composta daiDaft Punk, la soundtrackè l’elemento più riuscito

del film: i brani orche-strali e i pezzi elettronicisi susseguono frenetica-mente, con alcuni mo-menti eccezionali comeOverture o Derezzed .Purtroppo l’estetica diTron: Legacy non soppe-risce a una sceneggiaturablanda e scontata. For-tuna che c’è Tron: Upri-sing.

TRON UPRISINGTron: Uprising è l’operapiù vicina all’idea origi-nale di Steven Lisberger,tornato per l’occasionenel ruolo di creatore delsetting della serie. Il castche ha lavorato al pro-getto conta anche altridue assi nella manica: lasceneggiatura, curata daEdward Kitsis e Adam Ho-rowitz (Lost, Birds of Preye Popular), e il doppiag-gio, che coinvolge attoricome Elijah Wood, LanceHenriksen e Bruce Box-leitner – che, a distanzadi trent’anni, riveste nuo-vamente i panni di Tron.Breve sinossi: Beck è un

giovane software che di-venta il leader della rivo-luzione di Argon. Il suoobiettivo è liberare lacittà dalla tirannia instau-rata dalle truppe di Cluguidate dal generale Te-sler. Beck diventerà al-

PLAYERS 17 PAGINA 25

Page 26: Players 17

screens | cinema

PLAYERS 17 PAGINA 26

Page 27: Players 17

lievo di Tron che non saràsolo il suo maestro, maanche una guida che gliinsegnerà a essere unvero leader. Destinato adiventare il nuovo Tron,Beck diviene il maggioravversario della dittatura.Realizzata per il canale

Disney XD, la serie pre-senta particolare curanell’unire temi già trattatiin Tron a nuovi spunti diriflessione, ispirati daipersonaggi presentati edai rapporti che intrat-tengono tra di loro: Beckè un programma co-mune e, in quanto tale,commette spesso deglierrori; è noto come “TheRenegade”, suscitandol’ammirazione di alcuniperso-naggi e l’odio o l’invidiadi altri, anche tra i suoiamici Zed e Mara, e de-terminando la rivalità trai due luogotenenti di Te-sler, Pavel e Paige (la cuistoria personale è splen-didamente raccontatanel sesto episodio) e ilruolo di Tron, sconfittoche tenta di cambiare undestino ineluttabile. Temiesaltati da una sceneg-giatura qualitativamenteimpressionante: l’azioneè incalzante, esaltata dainquadrature fantastichesia nelle scene d’azioneche nei campi lunghi:

l’estetica della serie, cu-rata da Alberto Miego eRobert Valley (BeatlesRock Band), ricorda vaga-mente Star Wars: TheClone Wars, Thundercatse soprattutto Aeon Flux,presentando personaggibidimensionali dal lookstilizzato e panorami av-venieristici. A questo siaffianca l’ottimo lavoro diPolygon Pictures (Ghostin the Shell 2: Innocence,The Sky Crawlers) nellescenografie tridimensio-nali: perfettamente inte-grate con il trattobidimensionale e stupe-facenti per uso dei colorie degli effetti d’illumina-zione. La colonna sonoradi Joseph Trapanese, giàcollaboratore dei DaftPunk per Tron: Legacy, èesaltante: temi orche-strali e brani elettronicisuperano il lavoro dellacoppia francese, conpezzi altamente evoca-tivi.Con diciotto episodi in

lavorazione, di cui due inuscita a Ottobre, Tron:Uprising è una delle mi-gliori serie del 2012 e deimigliori cartoni animatidel decennio: un’uscitaitaliana non è ancoraprevista, ma il nostroconsiglio è di recuperareimmediatamente la seriein lingua originale.

PLAYERS 17 PAGINA 27

Page 28: Players 17

screens | speciale

PLAYERS 17 PAGINA

Nella storiadella mu-sica il ter-mine“british in-vasion” de-nota il

fenomeno per cui artisti ori-ginari del Regno Unito, so-prattutto britannici,divennero particolarmenteconosciuti negli Stati Uniti,in Canada e successiva-mente in altri paesi. Tale defi-nizione è usata anche nelmondo del fumetto per indi-care un folto gruppo di au-tori inglesi che cominciò alavorare nell’industria dei co-mics statunitensi alla finedegli anni ’80: rientrano inquesto gruppo artisti comeDave Gibbons, Alan Moore eDavid McKean. Anche Chri-stopher Nolan ha origini bri-tanniche; il suo primo film,Following, è stato girato nelRegno Unito. Dopo lo speri-mentale Memento rag-giunge il successo con ilrifacimento statunitense diInsomnia di Erik Skjoldbjærg,distribuito negli Stati Unitida Warner Bros Pictures. Lastessa major che ingaggerà ilregista per girare un nuovofilm dedicato a Batman, dalui definito “il più credibile erealistico dei supereroi, [Bat-man] ha la più complicatapsicologia umana”. Un’affer-mazione che, letta oggi,sembra una dichiarazione

d’intenti.La trilogia racconta il ten-

tativo di un uomo, BruceWayne, di affrontare e scon-figgere gli spettri delle suetragedie personali attraversouna maschera che racchiudeil potere, la volontà di reagiree le paure, i timori dell’or-fano. In Batman Begins que-sti temi sono introdottiraccontando il concepi-mento dell’idea, l’uomo cheè dietro di essa ed i suoiideali: le influenze subitedalle figure paterne (ThomasWayne, Alfred Pennyworth,Lucius Fox ed anche R’as alGhul) e dall’ambiente che locirconda; si conclude con lanascita dell’eroe e la sua vit-toria che plasma definitiva-mente un simbolo di spe-ranza. Batman Begins è unfilm di formazione ed un’in-troduzione che scaccia mo-mentaneamente gli spettridella paura e del potere: unsimbolo veglia su Gotham,un simbolo per cui non biso-gnerà mai ringraziare.Come previsto dal tenente

Gordon, il simbolo è cosìforte da creare un’antitesi:un contrasto che si palesanei panni del Joker in TheDark Knight. Il potere e lapaura assumono due formela cui contrapposizione ra-senta il manicheismo ma c’èun elemento che accomunail clown ed il pipistrello:l’anormalità. I due avversari

di Dario Oropallo

28

Page 29: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

VITTORIAOSCURA

BATMAN BEGINS THE DARK KNIGHT THE DARK KNIGHT RISES

29

Page 30: Players 17

screens | speciale

PLAYERS 17 PAGINA

possono agire al di fuoridalla legge non solo inquanto simboli, ma perchéabietti dalle convenzioni so-ciali; fermo sostenitore diquesta tesi, Joker agisce inmodo da giustificare e con-vincere Batman della sua ve-ridicità. L’uomo pipistrello siarrenderà ad essa per sven-tare i piani del suo avversa-rio, attivando un radar concui può controllare le teleco-municazioni dell’intera Go-tham; ma lo scaccomatto diJoker è la trasformazione diHarvey Dent. Il personaggioha un duplice valore: primarappresenta il risultato dellasperanza nata dal simboloed il risveglio del potere co-stituito contro il crimine;dopo fuoriesce dalla norma-lità per agire al di là di essa.Anche se in cattività, Joker èriuscito a dimostrare la suatesi, distruggendo la spe-ranza; l’unico modo per nonperdere quanto ottenuto èsacrificare il proprio sim-bolo, fatto di potere e paura,in favore di un simbolo disperanza: il cavaliere oscurosceglie di scomparire pur diraggiungere il suo obiettivo.La fuga, accompagnatadalle parole di speranza diJim Gordon, è la catarsi dellatragedia.Tragedia i cui effetti si

concretizzano nei primi mi-nuti de The Dark KnightRises. Grazie ad HarveyDent, a ciò che ha fatto e ciòche è stato dopo esser de-funto, il crimine è stato de-bellato da Gotham. BruceWayne si è ritirato, Batman èsolo un’ombra del passato. A

questo punto arriva Bane,un uomo che somatizza ilpotere e la paura: eppureegli svelerà la menzogna sucui è costruita la pace, di-struggendo la speranza deicittadini di Gotham. Il po-tere e la paura riemergonodal pozzo del passato diBruce, ma il flagello è un av-versario nuovo: egli è unuomo plasmato dalla fedenel simbolo in cui crede, lasetta delle ombre, mentreBruce non crede più nel sim-bolo che lui ha creato ed è.La sconfitta è accompa-gnata dalla detenzione edall’onta di vedere il sognodi Gotham crollare senzapoter reagire: l’anormale di-viene abietto, rinchiuso al difuori della città e condan-nato all’oblio. Ma è nelleombre del pozzo che il sim-bolo rinasce, trovando forzanell’oscurità da cui è nato,primo trauma vissuto daBruce: Batman risorge. Lasperanza è ancora viva ed èrappresentata dall’impegnodi uomini comuni, personecome Jim Gordon, JohnBlake, Selina Kyle. Ridiven-tato simbolo, Batman sce-glie di applicare il potere edaffrontare la paura piùgrande di un uomo: scegliedi sacrificarsi per salvare Go-tham. L’alba illumina il sim-bolo che diventa mito. Mal’uomo dietro di esso non ècaduto: è sopravvisuto epuò realizzare così il sogno,l’utopia immaginata da annidal padre adottivo, Alfred.Bruce Wayne è libero daisuoi fantasmi e può final-mente essere e vivere felice.

30

Page 31: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 31

Page 32: Players 17

screens | speciale

PLAYERS 17 PAGINA

I fumetti dietro la trilogia

A parte i temi affrontati, un altrodei pregi dell’opera di Nolan èl’attenzione nei confronti dellaletteratura fumettistica di Bat-man: la storia dei fumetti non èmai seguita pedissequamente,ma omaggiata, strumentalizzataai fini dell’opera. Abbiamo de-ciso di creare una piccola biblio-grafia degli albi citati nellatrilogia che speriamo possa aiu-tarvi nel caso vogliate leggerli –noi vi consigliamo vivamente difarlo.È lo stesso Nolan a presentare

come punto di partenza TheMan who Falls, storia del 1989 incui Dennis O’Neil e Dick Gior-dano riassumono e riunisconovarie versioni della genesi del-l’uomo pipistrello; tra queste vi èanche Batman: Year One, operain cui Frank Miller riscriveva lanascita di Batman inserendola inun contesto contemporaneo. Daquesta storia sono tratte alcunedelle scene più significative diBatman Begins – lo stormo di pi-pistrelli all’inizio del film o il lororichiamo durante la fuga da Ar-kham. Infine il discorso di Brucesull’aereo, riguardante l’aspettosimbolico di Batman, è quasi in-teramente tratto, come am-messo dallo sceneggiatoreDavid Goyer, da The Untold Le-gend of the Batman, miniserie diLen Wein, John Byrne e JimAparo.Altri due autori sono stati te-

nuti in particolare considera-zione nel reimmaginare ilBatman cinematografico: sitratta di Jeph Loeb e Tim Sale,coppia consolidata del fumettoamericano. Gli accenni ai loro la-vori presenti nel primo film di-ventano evidenti nel successivoThe Dark Knight: l’alleanza tra

Batman, Jim Gordon, HarveyDent, lo slogan del procuratoredistrettuale e l’aspetto di DueFacce sono solo alcuni elementitratti da The Long Halloween eDark Victory. L’altra storia che hainfluenzato la produzione è TheKilling Joke di Alan Moore:l’aspetto, il modo di agire e per-sino la filosofia presentata dalJoker sono ispirati ad una dellestorie più note ed amate dell’au-tore britannico. Un ultimo ap-punto: la scena dell’arresto diJoker richiama un episodio si-mile presente nella breve SoftTargets, scritta da Ed Brubaker eGreg Rucka e disegnata da Mi-chael Lark in collaborazione conStefano Gaudiano; è stata pub-blicata nei numeri 12-15 di Go-tham Central, serie minore digenere poliziesco dedicata alGotham City Police Department.I riferimenti di The Dark Knight

Rises sono perfettamente inte-grati con la sceneggiatura: no-tarli dona una piacevolesensazione di maestria. L’in-fluenza delle storyline KnightFalle No man’s Land, due dei princi-pali eventi che si susseguironosulle testate dedicate all’uomopipistrello negli anni ’90, è evi-dente. La prima narra dell’av-vento di Bane e della caduta delcavaliere oscuro, periodo nelquale sarà sostituito da un altropersonaggio (Jean Paul/Azrael);la seconda vede Gotham lasciataa sé stessa dalle autorità in se-guito ad un catastrofico terre-moto. Altri riferimentiriguardano The Dark Knight Re-turns, altra opera di Frank Millerche ha influenzato l’intera trilo-gia, e Batman: The Cult, miniseriedi Jim Starlin e Bernie Wrightsonin cui Bats indaga su un miste-rioso culto e sul suo creatore, ri-fugiatosi nelle fogne di Gotham.

32

Page 33: Players 17

33

Page 34: Players 17

screens | cinema

PLAYERS 17 PAGINA 34

Page 35: Players 17

la natUra Della

meraViGlia

terrence malick

Èun volano, l’occhiocinematografico, inmano a uno comeTerrence Malick.Una produzione, lasua, ondivaga neitempi ma stabil-

mente appagante nei risultati.Tra il 2010 e il 2012 la feconditàartistica del regista ha subìtoun’impennata con quattro filmin uscita, uno dei quali già ab-bondantemente passato al se-taccio di standing ovation olanci di pomodori (The tree oflife) e il secondo fresco di69esima Mostra del Cinema diVenezia e di polemiche ancorapiù ardite. Come ancora più ar-dito è il suo stile, il suo astrarreda una trama lineare e rigorosa,e come sono ancora più diretti iriferimenti a fede e misticismo.La linea di Malick prescinde

dal concetto di religione o, ad-dirittura, di cattolicesimo; sfociasemmai in una metafisica meta-linguistica, in una spiritualità or-ganicamente intesa: vitalistica,erratica, esistenziale. In To thewonder Malick spinge all’enne-sima potenza il proprio linguag-gio peculiare, in una regiaparadisiaca che s’insinua nel-l’immagine come se si trasfigu-rasse nel vento, in una farfalla,in un raggio di luce, in unabrezza estiva, nelle nuvole,nell’acqua, sublimandosi neicinque elementi e nella visione“divina” di trascendenza imma-nente che irrora le inquadraturein un moto perpetuo ed ellit-tico, ipnotico e sulfureo, etereoed eterno. To the wonder (che uscirà nei

cinema italiani il 14 dicembre) èun flusso poli(sin)fonico,un’estasi visiva. Sempre protesoin avanti, a cercare la meravigliain ogni gesto, la grazia e lo

PLAYERS 17 PAGINA

di Fiaba di Martino

35

Page 36: Players 17

screens | cinema

PLAYERS 17 PAGINA

splendore del tempo dell’amore,la foce dei sentimenti, mentre isuoi attori (che seguono un sem-plice canovaccio) sono corpi por-tatori di un fulgore infinito,percossi da un nitore stellato. Lefigure tratteggiate calcano la sti-lizzazione naif, l’eterea e bellis-sima Olga Kurylenko èsballottata da emozioni incon-trollate, il suo uomo della vita (oforse no) Ben Affleck si aggirapensoso e sfuggente, e alla ten-sione verso un’Unità cosmica sisostituisce – apparentemente –l’iconoclastia, nella figura di Ja-vier Bardem. Prete in crisi e ra-mingo fra i malati, è a rischioretorica ma questa viene solida-mente bandita dalla genuinaagilità di uno sguardo limpido eontologico, detersa dall’eleva-zione celeste dell’insieme. In bi-lico sulla soglia tra il sacro e ilprofano, il suo occhio esperien-ziale è al di sopra delle cose edegli accadimenti, sfiora e cogliecome un miracolo (ultra)terrenoogni momento della percezione,con il riflusso fluttuante dellesensazioni in un istante: è la cir-colarità dell’anima, un vortice diestremismo espressivo, la ricercaultraterrena di un sovrannaturalelaicamente inteso.To the wonder imbastisce un

discorso particolare universaliz-zandolo, laddove il precedenteThe tree of life trattava dell’uni-versale partendo dal particolare.E l’ultima pellicola di Malick è atutti gli effetti una branca (o me-glio un ramo) dell’Albero dellaVita che racchiudeva un caleido-scopio di strati e livelli di signifi-cato. The tree of life: alias la viadella natura e la via della grazia,che, come centro tematico e ne-vralgico, sono verità compene-trate. Al di là della religiositàintrinseca, Jessica Chastain, laMadre, chiede il perché della

morte del figlio all’universo in-tero, il dolore tracima nell’es-senza di tutto il mondo, come inun 2001 che prende la formapoetica dell’intimo. In uno slan-cio panteistico, che vede il di-vino come una forma che simanifesta fenomenologica-mente per poi estendersi all’es-senza stessa dell’esistenza. Lafamiglia, la casa, il fiume, i figlialla stessa maniera delle galas-sie, dei geyser, delle vallate, deidinosauri (colti in un attimo dipura pietas) sono espressionedell’anima mundi: l’effettoascendente della cupola di unachiesa dal vetro opalescente siconfonde con l’interno rocciosodi un canyon. È una filosofia del Tutto in

Uno, quella di Malick, e dell’Unonel Tutto. Dio non è in ognigesto, in ogni volo e in ognisguardo, Dio è gesto, ogni volo,ogni sguardo. Per la costante in-

36

Page 37: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

vocazione – quasi una litania – aun’entità superiore, The tree of lifeè stato tacciato di opera clericale,indottrinante, un anelito alla paceinteriore portata dalla grazia diDio dopo l’evento luttuoso per ec-cellenza. Il Paradiso finale, dovemadri, figli e padri si ritrovano e ri-conciliano, ha più i contorni di unlimbo: fuso tra acqua, sabbia ebrezza argentea, astrazione terra-gna a cui Sean Penn accede tra-mite un ascensore solitario.L’unione tra il prima e il dopo, lamorte e la vita, il divino e l’umano,è la radiografia di un sentire lecose con un amore infinito e con ildesiderio di nobilitarle donando-gli un senso (di trascendenzacome di materialità, di concre-tezza come di, sì, immortalità epurezza). È così che Terrence Ma-lick ci ha estenuato e benedettogli occhi: attraverso immagini dimorte e rinascita fuse in inquadra-ture pittoriche e implacabili. E im-prescindibilmente laiche.

37

Page 38: Players 17

Abbiamo dovutoaspettare tre anni.Neanche troppi in-fondo, ma più chesufficienti a fare cre-scere il giusto appe-tito per godere

appieno della sua ultima opera.Presente nelle sale americane e bri-

tanniche già da giugno, in Italia sidovrà aspettare il cinque dicembreper entrare nel regno della luna na-

scente di Moonrise Kingdom. Dopo ilfilm d’animazione Fantastic Mr. Fox,prodotto nel 2009, ecco quindil’opera ultima, nonché summa poe-tica, del quarantatreenne regista te-xano giunto al suo settimo lungo-metraggio. Anderson prende la farsamolto seriamente. Costruisce case dibambola dove fare agire i propri at-tori come perfetti burattini. Ci rendespettatori di una recita fatta da au-tomi in grado di aderire al copione

ma asciugati dall’odore - sudored’umanità, figure bidimensionali, in-teressanti per colori e azioni, le cuipsicologie restano più attaccate al co-pione che ai gesti. È paradossale il mondo di Ander-

son. Quasi sorprende vedere che isuoi abitanti siano fatti di sangue. Po-trebbero essere fatti di plastilina, in-fatti. O di cera. Il suo è un regno allaMadame Tussauds ed è proprio que-sta la sua bellezza. Non ci si può con-

screens | cinema

PLAYERS 17 PAGINA 38

il discretofascino di

WES

di Jessica De Giudici

Page 39: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 39

fondere, impossibile scambiarlo perqualcun altro. Anche se è poi vero che ha fatto

scuola e certe pellicole, vedi LittleMiss Sunshine e Juno su tutti, senzadi lui, non avrebbero mai trovato ispi-razione. Ma Anderson è sempre Anderson

ed è inconfondibile. Lo senti subitodai colori netti, dai rossi, dagli azzurri,dai gialli, lo riconosci dagli attori, col-lezionati come un esercito di soldatini

di piombo, film dopo film lungo unpercorso che dura da sedici anni. Lafamiglia Anderson è così cresciuta, siè fatta squadra, partendo da BottleRocket (1996) con i fratelli Wilson finoa giungere a Moonrise Kingdom conl’immancabile icona e feticcio BillMurray. Ti ricorda chi è in ogni singolainquadratura simmetrica e perfetta,zeppa di particolari tutti studiati,nelle grandangolari e nelle anamorfi-che, nella capitolazione da film muto,

rigorosamente in Futura. Ti trascinanel suo teatro, mentre proietta un si-lent movie, ma poi ti da anche l’audioe ti abbaglia di colori. La scena è fissa,l’azione buffa. Il body language ac-centuato. Proprio come nel cinemadegli esordi, grande influenza sullasua regia, ed egli ne restituisce il me-rito. La sua estrazione non accademica

lo rende una bestia strana, che giocad’autobiografismo misto a citazioni.

Page 40: Players 17

screens | cinema

PLAYERS 17 PAGINA 40

Non lascia intendere se la fissità dellamacchina da presa, divenuto suotratto distintivo, sia anche un’esi-genza dettata dall’essere autodidatta.Anderson è, infatti, un filosofo, un pit-tore precisionista divertito da se stes-so, un dio bambino specializzato inpsicanalisi.Il viaggio, l’unione, la solitudine ma

soprattutto i cerchi spezzati, carrierestoppate, o mai nate, e un contegnotra l’arreso e l’ozioso sono le ricor-

renze delle storie andersoniane chemai toccano temi sociali, ma ci apro-no a microcosmi, ecosistemi sinteticie chimici (nei colori e nelle geometriecristallizzate), cortocircuiti emotivi efamiliari. Ed è forse, proprio per que-sto suo focus particolare che ci parladella società, in modo speciale di unacerta società. Quella dell’upper-classbianca e nevrotica, ingarbugliata nel-la propria stessa comodità, abbron-zata alla luce dei neon o dei propri

abbacinanti Mac. Ed è qui che si sco-pre il tratto più strettamente autobio-grafico di tutta la filmografia anderso-niana, che parla di questa ristrettafetta d’umanità non per criticarla maperché è quella che meglio conosce,che più lo diverte, con le sue nevrosida cattività e le sue stranezze da giar-dino d’infanzia inamidato. Tale settingsi ritrova anche laddove i personagginon vi appartengano. È il caso di MaxFisher in Rushmore, Sam Shakusky in

Page 41: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 41

Moonrise Kingdom e perfino di Mr.Fox, volpe antropomorfizzata e resaalter ego registico attraverso una fisi-cità dinoccolata e filiforme. Outsiderdel bel mondo ma con un contegnod’alto bordo e il pass partou per acce-dervi, in un modo o nell’altro. Assieme a queste figure si mesco-

lano personaggi mai cresciuti, abitu-ati a un lusso non sudato ma garan-tito che tentano fughe, missioni im-possibili per il gusto stesso dell’im-

presa. E se il tema principale è, dun-que, il fascino discreto esercitato dallaborghesia, con la sua relativa inettitu-dine, va da sé che il modo stesso diaffrontarlo è basato su un’immagineapparecchiata e cristallina come unavetrina da salotto.Anderson ci affascina così col po-

tere plastificante e immortale dellaforma, ergendosi a padre di quellaperfezione data, se non dalla sosta-nza, dall’estetica. Non è un caso che i

suoi personaggi facciano tendenzadivenendo vere e proprie icone tra isedicenti hipster. Una moda questache eleva la nevrosi a status-symbol,sgrassata da quel contenuto tangibilee carnale dato dall’essere umani. Agli estremi di tale (h)ip(st)er ma-

nierismo troviamo comunque in An-derson sempre il riflesso di senti-menti e comportamenti profonda-mente umani. Si vive quindi una scis-sione quasi psicotica all’interno delle

Page 42: Players 17

screens | cinema

PLAYERS 17 PAGINA 42

sue pellicole. Da una partestorie intense, dove senti-menti ed emozioni si mi-schiano e si portano agliestremi, dall’altro la rap-presentazione scenica èformale e contenuta comese i personaggi indossas-sero perennemente unamaschera teatrale. Nesegue che le risposte ri-chiamate siano diametral-mente opposte. Il suosapore a molti appare in-fatti troppo (poco?) forte einnaturale e finisce conl’avere lo stesso effettodella Marmite (NDR: unacrema spalmabile pertoast, molto utilizzata neipaesi anglosassoni, dalforte odore e dal saporecaratteristico che arriva adividere ferocementel’opinione dei consumatoritra estimatori e detrattori):o lo ami o lo odi. Il segretoper apprezzare la suaopera sta nel non aspet-tarsi altro se non quelloche lui è disposto a dare.Amare Anderson è quindiuna questione d’accetta-zione del suo sguardo daadulto-bambino cheprende e fa muovere mac-china da presa e pedine inun gioco con regole daegli stesso inventate. Sono favole strane le

sue. Ecco, Anderson èWoody Allen che raccontafavole per bambini. E ruba,ma lo fa come lo farebbeun bambino, e ogni bravoregista: per amore dellecose di per sè. Beninteso,

qui non si sta cercando didemolire o sezionare il la-voro di uno dei registi piùinteressanti dei nostri annima piuttosto di capire co-sa ci dà in pasto. Così, nelgioco del cosa saresti sefossi qualcosa da man-giare, Anderson è uno diquei piatti di nouvelle cui-sine coloratissimi e geo-metrici, che fanno goderel’occhio e lasciano la lin-gua a domandarsi cosa leè passato sopra. Un’espe-rienza unica, lontana dallaforma dell’ingrediente percome lo si trova in natura.Per questo, prima di as-saggiare strato dopo stra-to la millefoglie di Ander-son, i suoi lavori possonolasciare un sapore stranoin bocca. Soprattutto a chiama la carne al sangue.Anderson è per chi ha

già assaggiato e gustatofilmicamente (quasi) tutto.È per chi ama giocare d’ar-cheologia e scovare queimattoni che hanno erettouno ad uno l’edificio fil-mico. Il variopinto pat-chwork in pellicola. E mol-teplici sono infatti gli in-gredienti mescolati e ri-mescolati con la cura oni-rica di una memoria che èscrigno dei tesori cinema-tografici. Si incontrano inparata felliniana echi dipersonaggi che hanno se-gnato la storia del cinemae dell’immaginario collet-tivo. In Rushmore, perdirne una, la Nouvelle Va-gue cammina a fianco del

Page 43: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 43

filone Americano fine anni‘60. Max Fischer ha in-sieme lo sguardo smarritod’Antoine Doneil (il perso-naggio inventato dal regi-sta francese FrançoisTruffaut e protagonista dimolti suoi film) e il conte-gno serioso dell’esordienteHoffman ne Il Laureato. Ilnucleo andersoniano sicentra infatti attorno allalinea di confine in cui etàadulta ed infanzia si incon-trano e fondono. Non c’èadolescenza ma una crea-zione nuova, una chimera,che vede ragazzini com-portarsi da adulti edadulti, specialmente padri,non riuscire a scendere apatti col proprio ruolo.Se adulti e bambini si

trovano sullo stesso pianodi maturità sentimentalenon è dunque strana l’at-trazione di un ragazzo piùgiovane verso l’insegnantecome accade in Rushmore,strizzando l’occhio a quelcapolavoro del ‘71 che fuHarold e Maude (direttoda Hal Ashby e scritto daColin Higgins), né tanto-meno bambini che agi-scono col contegno diadulti mettendone in ulte-riore crisi il ruolo. Il giocodi rimandi si fa sottile, faleva sulla memoria dellospettatore senza, tuttavia,nulla sottrarre qualora lacitazione non venga colta.Esemplificativo è uno deimomenti più intensi dellafilmografia andersonianain cui la frase sussurrata daRichie Tenenbaum allo

specchio e a noi spettatori,“I’m going to kill myself to-morrow” è, nella sua sem-plicità, una ricercatacitazione di Fuoco Fatuo diMalle. Il fatto di saperlo omeno nulla toglie all’im-patto della scena. Anderson non fa che ri-

petere la stessa pellicola,ma lo fa talmente beneche non lo si può che per-donare. In fondo è la suafilosofia. Non a caso lamassima della naiveté pro-nunciata da Max Fisher èproprio: “il segreto dellafelicità è trovare una cosache ti piace e continuare afarla per tutta la vita”. Senel caso di Max è quindifrequentare la Rushmoreschool, per Wes è realiz-zare queste pellicolequirky, variazioni multi-formi di un’unica narra-zione. Così, dopo aspirantifuorilegge, geni falliti,esploratori acquatici evolpi parlanti, il libro dellefavole si apre sull’amore didue acerbi outsider che sidanno alla fuga per tro-vare se stessi. MoonriseKingdom si presenta cosìcome la nuova edizionedella parabola anderso-niana, migliorata, ampli-ata, con maggiore senti-mento. Un’altra storia,un’altro viaggio e un amo-re strampalato in grado diregalarci momenti di altis-sima estetica con sotto-fondo a base di FrançoiseHardy e Hank Williams.Buona Visione.

Page 44: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

SCREENS | cinema

44

Page 45: Players 17

di Marco Andreoletti

PLAYERS 17 PAGINA

Fin daglialboridella suastoria,Holly-wood hasempresfoggiatouna du-plice fi-sionomia.

Da un lato la macchina deisogni, fucina creativa dell’im-maginario mondiale perquasi un secolo, dall’altra laferoce bestia smodatamentevorace, figlia della competi-zione più spinta, capace di at-tirare le sue prede con ilustrini della mondanità, i pa-rametri produttivi imparago-nabili al resto del mondo el’irresistibile promessa del-l’immortalità, pronta ad assi-milare ogni stimolo e tenta-tivo di eversione rispetto alsuo ordine precostituito.In quest’ottica gli studi cali-

forniani incominciarono dasubito a importare i miglioriregisti da ogni continente. Trai primissimi autori finiti a gi-rare in America ricordiamo ilquartetto formato dai MaestriErnst Lubitsch, F. W. Murnau,Fritz Lang e Mauritz Stiller.Mostri sacri capaci di rivolu-zionare il cinema statunitensee di elevarlo a un livello di raf-finatezza ancora oggi difficil-mente eguagliabile. Evitiamodi citare Billy Wilder o OttoPreminger per via del fattoche la loro carriera è comin-ciata a tutti gli effetti negliUSA, mentre qui ci si vor-rebbe concentrare su autoriarrivati sulla costa occiden-tale del nuovo continentecon una carriera ben avviata

e una poetica già definita.A un livello più popolare,

impossibile non citare il terre-motante sbarco a Hollywooddi Sua Maestà Alfred Hit-chcock, capace perfino disdoganare le produzioni tvcon il telefilm Alfred Hitch-cock presenta. Pare, insom-ma, che si abbia sempreavuto un gran bisogno dellavecchia Europa e della prepa-razione dei suoi registi. Sonoanni di produzioni febbrili, lalibertà creativa concessa agliautori rende possibile lamessa in opera di un capola-voro dietro l’altro.Nel corso degli anni, però,

questo meccanismo si in-ceppa, spostando l’obiettivodi questa pratica da assimila-zione dei talenti stranieri alpiù brutale e risoluto soffoca-mento di possibili concor-renti. Uno dei pochissimi chein anni bui riesce a volgerequesta tendenza a suo favoreè l’olandese Paul Veroheven,già noto in patria per le suetendenze iconoclaste e la fa-scinazione verso l’infrangi-mento dei limiti imposti.Offrire a un regista simile co-pioni strabordanti effetti spe-ciali e grosse previsionid’incasso (ancora di più dopola coproduzione euro-statuni-tense Flesh & Blood) è un pa-radosso che lascia tutto lospazio di manovra necessarioal Nostro per farli aderirecompletamente al suo lin-guaggio.Si prendano quelli che forse

a oggi sono i due miglioriesempi dei suoi “blockbusterperturbanti”, Robocop e Star-ship Troopers. Completa-mente fuori controllo eppure

45

Page 46: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

screens | cinema

46

Page 47: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

venduti come il più classicodei giocattoloni da grandeschermo. Un trionfo su tuttala linea, ben diverso dal to-tale assorbimento di altrepersonalità europee. Vedi itedeschi Rolland Emmerich eWolfgang Petersen o il fran-cese Jean Pierre Jeunet, prati-camente anonimi shooterassunti solo perché solidiprofessionisti. O la bizzarraparabola di George Miller, daInterceptor ai pinguini balle-rini.Stessa storia per quanto ri-

guarda la scuola orientale.Per un Ang Lee totalmente asuo agio, capace di imporre lasua visione e poetica auto-riale, abbiamo assistito all’an-nichilimento di tutta la newwave del cinema di HongKong. Se John Woo almenoun paio di pellicole degne èriuscito a ritagliarsele, i suoicompari Tsui Hark e RingoLam non hanno avuto nean-che questa soddisfazione.Nonostante siano in molti (tracui il sottoscritto) a conside-rare Hong Kong – Colpo sucolpo un cult da tramandareai posteri. Delirante e sempresopra le righe, come a volersfottere dall’interno la ten-denza di Hollywood di inglo-bare mode e trend prove-nienti dall’estero (“Volevi l’ac-tion folle di HK? Eccotelo ser-vito!”, un po’ quanto fatto daHaneke nel girare il remakeUS del suo Funny Games pra-ticamente identico all’origi-nale). Stendiamo poi un velopietoso sulla sorte riservata aChing Siu Tung, uno dei padridel cinema d’intrattenimentomoderno, finito a girare STVcon Steven Seagal.

Nel corso degli anni il sus-seguirsi di grandi afferma-zioni e altrettanto celebridispersi si è andato a intensi-ficare. Alexandre Aja entradalla porta principale indovi-nando il primo film e diven-tando il simbolo del nuovocinema horror europeo in tra-sferta negli US, ma finiscepresto nel circolo asfittico deiremake. Per quanto ci si sforzidi considerare il suo Pirahna3D un film divertente, in re-altà non abbiamo tra le maniche pessima exploitationfuori tempo massimo. Allalista dei non pervenuti ag-giungiamo Florian Henckelvon Donnersmarck, passatodal monumentale La vitadegli altri a The Tourist.Sorte diversa per i due nor-

dici Nicolas Winding Refn eAlfredson. Poco male se a unprimo approccio il loro ci-nema è tutto quello che nonci si aspetterebbe dalla fra-cassona Hollywood. Sia Driveche Tinker Tailor Soldier Spysbancano da ogni punto divista, critica e pubblico li ado-rano, generando influenzeche andremo a percepire pertutti gli anni a venire.Anche il fronte australiano

promette bene, con John Hil-lcoat e Andrew Dominik im-pegnati a difendere la lorovisione dagli incassi non pro-priamente esaltanti dei loroesordi statunitensi. Scenarioironico se si considera comel’inglese Edgar Wright conti-nui invece a essere coccolatodagli studi nonostante abbiainfilato una serie di flop cheavrebbero stroncato la car-riera di chiunque. Forse per-ché anche nello spietato

47

Page 48: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

screens | cinema

48

Page 49: Players 17

PLAYERS 12 PAGINA

mondo delle produzionimajor non sono tutti cosìmiopi da non vedere gli infi-niti pregi di uno Scott Pil-grim o l’umorismo brillantedella sceneggiatura di Tin-Tin.Attesi alla prova del fuoco

il brasiliano Jose Padilha, acui hanno avuto la genialeintuizione di affidare il re-make di Robocop, e il suda-fricano Neil Blomkamp.Ancora top secret il suo pro-getto di fantascienza sociale.Dopo di che si arriva alla

questione sud coreana. Nelcorso del 2013 vedremol’esordio US di tutti e tre i Ba-ronetti del cinema d’altoprofilo di questa piccola na-zione orientale. Park Chan-wook, l’uomo dietro allaTrilogia della Vendetta,torna, dopo il catto-horror(ma non come ti aspetti)Thirst a dirci la sua circa ivampiri con il misteriosoStoker. Ci aspettiamo la con-sueta cura maniacale per lafotografia e l’ennesima sce-neggiatura capace di spac-ciare concetti orribili comeespressioni meravigliose del-l’animo umano.A ruota arriverà anche

l’alieno Bong Jo Hoon (nelsuo carnet il monster movieThe Host e il capolavoro Mo-ther) con una pellicola trattada una bande dessinée fran-cese. Snowpiercer ci parleràdi un’umanità costretta aconvivere all’interno di untreno in moto perpetuo,mentre fuori il mondo spro-fonda in una nuova era gla-ciale. Il microcosmo che si

verrà a creare tra gli scom-partimenti del mezzo pareterritorio perfetto per la con-sueta ottica antropologicacon cui Bong scandagliaogni genere. Basti ad esem-pio la piccola comunità ru-rale di Memories of Murder.Sembrerebbe di avere a

che fare con due progetti dicaratura autoriale quindi,dove potremmo quasi giàleggere i tipici tratti dei dueregisti.Ben diverso (o forse no?) il

discorso The Last Stand diJee-woon Kim. Da un registadiventato celebre per le sueiperboliche riletture dei varifiloni del cinema di genere(da vedersi assolutamente lospaghetti western The Good,The Bad, The Weird, l’heroicbloodshed di A BittersweetLife, il revenge movie di ISaw the Devil) non ci potevaaspettare di meglio che unaction dai risvolti umani. Pal-coscenico perfetto per le sueevoluzioni fuori scala e per lasua visione dello spettacolobigger than life, oltre che perla sua tecnica di direzione at-toriale di estrazione teatrale.Descritto dall’autore comeun incrocio tra Mezzogiornodi Fuoco e Die Hard, pro-mette toni ottimistici nono-stante sia incentrato sulconcetto di sacrificio.Sarà curioso vedere come

il regista, noto per selezio-nare sempre attori di altis-simo profilo, riuscirà alavorare con un recidivo Ar-nold Schwarzenegger. Nonproprio la risposta occiden-tale a Kang-ho Song.

49

Page 50: Players 17

SCREENS | cinema

Il successo di The Toxic Aven-ger viene cavalcato da Kauf-man e Herz nel più genuinostile Troma, dosando sapien-temente strategie commer-ciali spudorate e follecreatività. Nel solo 1989 ven-

gono prodotti due seguiti del film,che consolidano la popolarità delVendicatore Tossico, senza, però,scadere nel già visto. In The ToxicAvenger Part II, Toxie sbarca in Giap-pone portando con sé la sua parti-colarissima idea di giustizialismosplatter, che sfocia in una mattanzadi criminali così violenta e strava-gante da “guadagnarsi” l’attenzionedi Gou Nagai (il celebre creatore diMazinga, Devilman e company), ilquale, divertito dalla stramberia delsoggetto, accetta di coprire una pic-

cola parte nel film. Con The ToxicAvenger Part III: The Last Temptationof Toxie, invece, il supereroe attra-versa il calvario umano della disoc-cupazione e dell’emarginazione,sino ad arrivare a confrontarsi con ilDiavolo in persona, assumendo, nelcomplesso, i connotati di una sortadi messia cristiano e alzando il te-nore politically incorrect della seriedi diverse tacche.Nello stesso periodo, i due decani

di Troma si accorgono che alcunedelle tematiche alla base di TheToxic Avenger possono essere svi-luppate per sfruttare il crescente fe-nomeno dei supereroi mutanti, natosulla scia del successo di TeenageMutant Ninja Turtles (Players #12).Così, nel 1991, viene creata la serie acartoni animati per ragazzi The ToxicCrusaders, dove un Toxie più edul-corato e altri quattro mutanti eccen-trici combattono insieme contro ungruppo di supercriminali, che incar-nano l’inquinamento industriale. Latematica ambientalista e l’adegua-mento del personaggio originaleagli stilemi introdotti dalle Tartaru-ghe Ninja nell’ambito dell’intratteni-mento per teenager fanno sì che ilcartoon venga trasmesso sul canaleFox con discreto successo, dandoadito alla produzione di merchandi-sing a tema, come una linea di ac-tion figure, un videogioco per Sega

Megadrive e un adattamento a fu-metti griffato Marvel. Si tratta delprimo caso eclatante di sfrutta-mento in ambito mainstream di unprodotto nato nella nicchia dei B-movie più scapestrati, che ricon-ferma l’abilità di Kaufman e Herz nelsaper vendere l’invendibile.Come al solito, i ricavati ottenuti

dai prodotti maggiormente com-merciali vengono utilizzati per fi-nanziare film sempre più assurdi eliberi da qualsivoglia restrizioneconcettuale. Così, grazie al successodi The Toxic Avenger e delle sue suc-cessive incarnazioni, possono ve-dere la luce progetti come la serie diClass of Nuke ‘Em High (1986-1994)e Troma’s War (1986). La prima è unatrilogia di film che parodia i B-moviepostatomici (Players #13 e #14) eprosegue l’irriverente satira versol’energia nucleare, inscenando unassurdo teen drama scolastico am-bientato in una Tromaville del dopo-bomba, dove i liceali teppistelli sonodei predoni punk, in stile Mad Max,mentre le svampite cheerleader,dopo avere fumato marijuana con-taminata e avere fatto sesso senzaprecauzioni, partoriscono una spe-cie di uomini-salamandra. Troma’sWar, invece, ironizza sugli actionmovie reaganiani a base di com-mando, che cercano di promuovereideali militaristi attraverso il machi-

playersdi piero ciccioliGRIND HOUSE 12

TROMALICIOUS!I GRAND GOURMET

DEL CATTIVO GUSTO

PARTE 2

PLAYERS 17 PAGINA 50

Page 51: Players 17

playersGRIND HOUSE

>> >>

Nel 1987, presi da un impulso iconoclasta, Kaufman e Herz arrivano apresentare un film Troma al Festival di Cannes, si tratta di Surf NazisMust Die, una sorta di versione weird di 1997: Fuga da New York, conuna postapocalittica Los Angeles in mano ad assurde band criminali, tracui spicca, appunto, quella dei Surfisti Nazisti. Il film, ovviamente, vienestroncato dalla critica, ma diventa un cult tra gli amanti del cinetrash

PLAYERS 17 PAGINA

Nel novero dei talenti scoperti da Troma figura anche ilco-creatore di South Park Trey Parker, esordito dirigendoil folle Cannibal! The Musical (1993), che riscrive la storiadel celebre cannibale Alfred Packer, tra balletti strampa-lati, pellerossa armati di katana e ciclopi (!)

51

Page 52: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

SCREENS | cinema

Esaurito il ciclo di Toxic Avenger, le due mentidi Troma provano a proseguire il filone supere-roistico con Sgt. Kabukiman N.Y.P.D. (1990). Ilfilm, sponsorizzato dalla celebre softwarehouse nipponica Namco, vede un ispettore dipolizia di New York trasformarsi in un carneva-lesco super-samurai con pitture facciali kabukie armamento a tema (come ventaglioni checreano uragani)

> >

smo esasperato e l’estetizzazionedella guerra. Così, Kaufman ed Herzmandano in scena una task force didisabili e sventurati (tra cui unacieca, un obeso e un punk), che an-nienta da sola un’intera organizza-zione militare, capitanata da duegemelli siamesi uniti per la testa eintenta a trasformare il mondo inuna megadittatura marziale.Troma potenzia anche il fran-

gente della distribuzione, suppor-tando i progetti più bizzarri chevengono sottoposti a Kaufman eHerz da cineasti indipendenti, atti-rati dalla fama ambigua della ditta.In questo modo, il carniere diTroma si gonfia di titoli consapevol-mente weird, come A NymphoidBarbarian in Dinosaur Hell (un fan-tasy demenziale, con un’amazzoneche combatte dinosauri, draghi evermi giganti di gomma, animaticon un anacronistico stop-motion àla Ray Harryhausen) o Rabid Gran-nies (uno splatter belga, dove duevecchiette benestanti si trasfor-mano in demoni cannibali, persbranare gli avidi parenti che tra-mano per ottenere la loro eredità).Sebbene queste pellicole non ne-cessitino delle fantasiose trovatepromozionali di Troma per attirarespettatori, Kaufman e Herz nonsmettono di titillare il pubblico congadget tematici, come spille che ri-portano il volto di Toxie o campio-nicini di profumo alla fragranza di“Aroma du Troma”.A dispetto delle produzioni a bas-

sissimo budget e degli efficaciespedienti pubblicitari, la casa diproduzione si trova costantementein difficoltà finanziarie. Il fatto è chei due proprietari agiscono presso-ché senza fini di lucro, investendotutti i guadagni per produrre e di-stribuire altri film, secondo un ap-proccio liminale alla follia, ma senzadubbio appassionato e lodevole.Del resto, grazie a questo modusoperandi, Troma ha fatto muovere iprimi passi ad attori del calibro di

52

Page 53: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

Marisa Tomei (The Toxic Avenger,1985), Samuel L. Jackson (Def by Tem-ptation, 1990) o Billy Bob Thornton(Chopper Chicks in Zombietown,1989). Nondimeno, la ditta ha patroci-nato l’esordio di vari registi, comeJames Gunn, che debutta con Tromeo& Juliet (1996), un’elaborazione po-stmoderna e gore della tragedia sha-kespeariana (con gang rivali, falliantropomorfi, mutanti, piercingestremi e Lemmy dei Motörheadcome narratore), decisamente più ori-ginale e trasgressiva del coevoRomeo + Juliet di Baz Luhrmann. A metà degli anni Novanta, però, i

valori produttivi che possono per-mettersi Kaufman e Herz sono ampia-mente al di sotto dello standardraggiunto dalle pellicole per il grandeschermo. Così, il duo ripiega sulla di-stribuzione direct-to-video, anche se,senza la carnevalesca messinscenaassociata alle proiezioni cinematogra-fiche, i prodotti Troma cominciano aperdere rapidamente popolarità. Ilduo di cineasti, però, non si da pervinto e, nel 1999, crea TromaDance,una rassegna internazionale di film

indipendenti, che viene fatta caderein contemporanea con il celebre Sun-dance Festival, per sottolineare in ma-niera ironica e anche un po’ polemicala propria natura genuinamenteindie. La manifestazione è no profit e,pur privilegiando pellicole splatter,sperimentali e sopra le righe, non di-sdegna generi più impegnativi. Sitratta, soprattutto, di un’efficace mo-dernizzazione della politica di Kauf-man e Herz, che garantisce alsemplice spettatore l’atmosfera sur-reale delle classiche premiere Tromae, al contempo, dà un’opportunità acineasti esordienti di vedere in futuroi propri film distribuiti dalla casa diToxie. In tal senso, Troma è ancoraoggi uno dei più brillanti e puriesempi di Exploitation, che, anche aldi là del (cattivo) gusto personale, col-pisce per la passione con cui pro-muove attivamente la via dellacreatività, dell’indipendenza intellet-tuale e delle idee fuori dagli schemi.Non si può, quindi, che augurare aquesti due eterni Peter Pan del cine-trash altri «40 years of reel indepen-dence»!

53

Page 54: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

STILL

MoonriseKingdom?

54

Page 55: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

Peoria, Illinois: in una notte buia etempestosa nasce Robbie Augspur-ger, che aspetterà dodici anni primadi ricevere come regalo una mac-china fotografica. Da allora la suavita non sarà più la stessa. Col pas-sare degli anni la sua tecnica si af-fina e una volta trasferitosi aPortland, dove vive tutt'ora, Robbieinizia a lavorare come fotografoprofessionista, fondando anche ilcollettivo Wolf Choir che spaziadalla multimedia art, ai video, dallamusica alle illustrazioni. I suoi scatti,che non dispiacerebbero a Wes An-derson, li potete trovare sul suo sito,http://www.robbieaugspurger.com/

a cura di Andrea Chirichelli

Robbie Augpurger

55

Page 56: Players 17

STILL

PLAYERS 17 PAGINA 56

Page 57: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 57

Page 58: Players 17

STILL

PLAYERS 17 PAGINA 58

Page 59: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 59

Page 60: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

STILL

60

Page 61: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

La fotografia è arrivata abbastanza tardinella mia vita ma per fortuna le passioninon hanno tempo, così a 28 anni hopreso in mano la macchina fotograficasenza sapere che dopo un momento ilmio desiderio sarebbe stato quello ditenerla là per sempre. Fare fotografie èdiventato per me qualcosa che va oltrela semplice realizzazione di immagini eha profondamente cambiato il miomodo di fare esperienza nella vita e direlazionarmi con gli altri. Negli ultimi 12 anni ho lavorato per

diversi organismi internazionali e clienticome JWT, Saatchi & Saatchi, Leo Bur-nett, BBDO, Corbis, Pepsi Cola, Kraft, Ga-torade, Novartis.Le mie immagini sono apparse su nu-

merose riviste e magazines, come TheNew York Times, Communication Arts,Panorama First, Vision, Vogue Russia,GQ Russia, L'espresso, Arti grafiche, percitarne alcuni. Negli ultimi anni hoavuto anche l'onore di collaborare sulcampo con fotografi di fama internazio-nale, tra i quali Steve McCurry, Elliott Er-witt e James Natchwey in molte dei loroshootings in Europa, Africa, Asia e SudAmerica. Sono nato in Francia, in una piccolacittà chiamata Cognac. Vivo a Roma e lavoro in tutto ilmondo.Il mio sito è www.eoloperfido.com

Eolo Perfido è rappresentato da Su-dest57 http://www.sudest57.com/

a cura di Andrea Chirichelli

EOLO PERFIDO

61

Page 62: Players 17

STILL

PLAYERS 17 PAGINA 62

Page 63: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 63

Page 64: Players 17

STILL

PLAYERS 17 PAGINA 64

Page 65: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA 65

Page 66: Players 17

pages | libri

PLAYERS 17 PAGINA

di Federico Rescaldani

la solitudine dei registi italiani

Titolo libro: Hanno tutti ragione

Autore: Paolo Sorrentino

Editore: Feltrinelli

Anno: 2010

Paolo Sorrentino conoscela solitudine. Quella pro-fonda, asfissiante, freddae umida, che penetra finsotto la pelle lacerandoti

dal di dentro. La conosce bene,com’è ovvio dalla non comune em-patia che dimostra nel raccontare isuoi personaggi, tutti, chi più chimeno, chi in una maniera chi inun’altra, irrimediabilmente soli. Solicome Antonio e “Tony” Pisapia delsuo esordio cinematograficoL’uomo in più; soli come il serioso

Titta di Girolamo de Le Conse-guenze dell’Amore; soli comel’Amico di Famiglia Geremia, solicome il Cheyenne di This Must Bethe Place. Soli, ovviamente, comel’apparentemente immortale GiulioAndreotti, in arte Il Divo.

Soli, in modo disperato, rasse-gnato, tremendo e inconfessabile,come Tony Pagoda: cantante neo-melodico napoletano, ispirato –stando alle parole dello stesso Sor-rentino, al personaggio quasi ana-logo interpretato da Tony Servillo

nell’Uomo in più. Tony Pagoda èper Sorrentino quasi un’icona, cheattraverso il passaggio dalla pelli-cola alla carta stampata si rein-venta, mantenendo inalterate leproprie caratteristiche principalima arricchendosi di un backgroundsfaccettato e denso, che trovaposto nella prosa tumultuosa del-l’autore riempiendo un lungoflusso di coscienza, un monologosu se stesso e rivolto a se stesso.Solitudine profonda e patologica,quasi genetica, e una vita fatta di

Paolo Sorrentino

66

Page 67: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

Titolo libro: Tony Pagoda e

i suoi amiciAutore:

Paolo SorrentinoEditore:

FeltrinelliAnno: 2012

eccessi, brutture e pochi momentiautentici per riempire il vuoto: TonyPagoda consuma cocaina in quan-tità industriali, alcol e soprattuttosesso – a pagamento e non – comese non esistesse nient’altro. Ma il do-lore che c’ha dentro, per citarel’amorevole cognato e pure laquarta di copertina di Tony Pagodae i suoi amici (Feltrinelli, 156 PG, €14), quello non lo racconta mai. Cosanon vera, a dirla tutta, perché Hannotutti Ragione (Feltrinelli, 300 PG, €18), dalla prima all’ultima pagina èl’autobiografia struggente e insiemesgradevole di questa sconfinata soli-tudine. Tony è un uomo ripugnante,altezzoso, abituato a prendersi ciòche vuole e a disprezzare il prossimoquasi in linea di principio. Un perso-naggio per il quale non è facile pro-vare empatia, un antieroe ego-centrico che sputa sentenze sullavita in gradazioni variabili di negati-vità: Chi l’ha inventata la vita? Un sa-dico. Fatto di coca tagliata malis-simo. Ma basta addentrarsi un pocotra le pagine gravide di questo libroper scoprire l’umanità residua, inso-spettabile, talvolta sorprendente,che schizza fuori improvvisa scon-fessando un’apparenza meschina eglaciale: un pianto incontrollato, in-giustificato, nel corridoio di un hotel

durante la notte di capodanno,senza vergogna perché “autentico”,raro momento in un’esistenza a ca-vallo tra superficialità e strumentali-smo.

Tony Pagoda è ben più di un can-tante di night cocainomane e play-boy. Le sue riflessioni sulla societàitaliana, sul valore dei rapporti so-ciali e degli affetti, sulla vita in gene-rale, regalano non pochi brividi,dimostrando un’acutezza di sguardoe un sentire non comuni. Dietro lelenti scure dei suoi occhiali non puònon fare capolino quel volto insiemeannoiato e attento, quello sguardointelligente e vagamente snob cheha così fortemente caratterizzato ilcinema italiano degli ultimi anni.Paolo Sorrentino narra il passato e laquotidianità dandone un ritratto lu-cido, disilluso e tendenzialmente ne-gativo, ma (quasi) mai disfattista. Lasua prosa si pone curiosamente inantitesi con il suo stile registico: agliimpeccabili e chirurgici movimentidi macchina, alla rigidissima perfe-zione formale esibita in ogni inqua-dratura dei suoi film, si contrapponeuna prosa densa e voluttuosa, impe-tuosa, conformata al discorso direttoe alla parlata non del tutto orto-dossa del suo protagonista. Abbon-dano le iperboli, gli aggettivi

inusuali, le costruzioni lessicali piùfantasiose. Tanto il suo cinema sicompiace della perfezione formale,tanto la sua prosa gode della propriaeterogenea abbondanza. Non èqualcosa che può piacere a tutti, vadetto, ma il suo stile letterario dimo-stra una padronanza della lingua euna fantasia lessicale caratteristici.

Nei suoi film come nei suoi libri,dunque, Paolo Sorrentino raccontala solitudine, ed è impossibile per luinon confondersi con i suoi perso-naggi, tanto è evidente la profondaconoscenza di ogni loro statod’animo. Ed è lui stesso a dircelo, neiringraziamenti alla fine di Tony Pa-goda e i suoi amici: “avevo messo inconto tutto, ma non la felicità”.

Hanno tutti ragione e Tony Pa-goda e i suoi amici sono libri carichidi umanità, forse fin troppo intrisi dinegatività, ma ricchi di intelligenza esentimento. A onor del vero va dettoche il secondo volume, composto datredici racconti dove Tony si con-fronta con altrettanti personaggi in-contrati nel corso della sua vita(dalla propria madre al mago Silvan,passando per Maurizio Costanzo eAntonello Venditti), è una letturagradevole ma non fondamentale,che poco aggiunge al personaggio ealla sua storia.

67

Page 68: Players 17

Akash Narayan, personaggio se-

condario (ma nemmeno tanto)

del precedente romanzo di Ba-

ricco – Mr Gwyn, è il presuntoautore del libro Tre Volte Al-

l’Alba. In Mr Gwyn il libro in questione vienemenzionato solo di sfuggita, in una frase

che fa così: “L’avevano trovato tra le carte diun vecchio maestro di musica, un indiano cheera morto qualche anno prima. A nessuno ri-sultava che avesse mai scritto alcunché, maspuntò fuori quella specie di racconto. Lo tro-varono bello e lo pubblicarono, sarà un paiod’anni fa. Ma un migliaio di copie, anchemeno. Una cosa da nulla.”Fatto sta che Baricco quel racconto ha de-

ciso di scriverlo davvero: un libretto che si

legge tranquillamente nel corso di un viag-

gio in treno, tre capitoli cronologicamente

non consecutivi legati fra loro da altrettanti

elementi: hall di alberghi, cose che succe-

dono alle prime luci dell’alba e un perso-

naggio chiamato Malcom.

Le situazioni sono singolari: un dialogo

con una sconosciuta che si protrae per tutta

la notte, nell’indecisione fra il fuggire dal

passato e la certezza di avere trovato qual-

cosa di bello per cui vale la pena rimanere.

Un viaggio verso il mare per incontrare un

nuovo genitore adottivo, o qualcuno che gli

si avvicina molto. Il salvataggio di una ra-

gazza giovane e cattiva da un destino fatto

di botte e infelicità. Cose apparentemente

non in relazione, ma che prima dell’ultima

pagina si incastrano perfettamente per sve-

lare tre eventi chiave della vita del protago-

nista.

Un libro sostanzialmente indipendente da

Mr Gwyn, con cui però condivide la fascina-zione per la luce giusta, e racconta di come

questa luce riesca a illuminare l’anima delle

persone meglio di qualsiasi descrizione. TreVolte all’Alba è in pratica un lungo dialogofra archetipi, inframmezzato da qualche mi-

nimale indicazione sul contesto, 96 pagine

per dilatare la sensazione che non ci sia lucemigliore per sentirsi puliti di quella al sorgeredel sole.

pages | libri

PLAYERS 17 PAGINA

• Titolo prodotto: Tre Volte All’Alba

• Artista: Alessandro Baricco

• Editore: Feltrinelli

• Pagine: 96

• Prezzo di copertina: 10 Euro

68

Page 70: Players 17

pages | libri

PLAYERS 17 PAGINA

di Alberto Li Vigni

Le perizieWilliam GaddisMondadori195516,00 €1661Italiana

Titolo libro:

Autore:

Editore:

Anno:

Prezzo di copertina:

Pagine:

Versione:

70

Page 71: Players 17

Qualche anno fa, nellacollana “I classici mo-derni mondadori,” fecela sua apparizione unmastodontico libro, pe-

raltro diviso in due volumi, chiamatoLe Perizie.Si trattava di una scelta piuttosto

inusuale visto che normalmente all’in-terno della serie venivano pubblicateopere già note al pubblico. E invece,non si sa come, questa volta toccò adun autore, William Gaddis, il qualeaveva dovuto faticare anche in patriaper incontrare il favore della critica.

The recognitions, questo era il titolooriginale, venne infatti pubblicato inAmerica nel 1955 tra l’incompresionegenerale di un’epoca che celebravasoprattutto il realismo in letteratura,avendo ormai dimenticato le rarefattevisioni moderniste di Joyce e Eliot.Ma oltre a citare splendidamente il

passato, Le perizie anticipava ideal-mente anche gli esperimenti e le am-bizioni enciclopediche del romanzopostmoderno che sarebbe esploso dilì a poco.Le prime pagine introducono per-

fettamente le idee chiave del libro, fa-cendoci assistere ad un tragicoesempio di inautenticità che sembragià condannare spiritualmentel’ignaro protagonista Wyatt Gwyon.Mentre questi era ancora piccolo, in-fatti, la madre rimane uccisa inun’operazione d’appendicite ese-guita da un finto medico. Wyatt cre-sce quindi con la soffocante fedecalvinista del padre, trovando unospiraglio di libertà solamente attra-verso le sue precoci attitudini artisti-che.Anni dopo lo troviamo a Parigi a

dipingere, ma dopo aver rifiutato dipagare un critico, Cremer, per otte-nere recensioni favorevoli, nonvende più quadri. Si sposta cosi aNew York, dove tuttavia si ritrovaprima a creare disegni che poi sa-ranno firmati da altri, e poi a pro-durre copie per un mercante d’arte,Recktall Brawn, il quale li vendecome originali.

Concepita originariamente dall’au-tore come parodia moderna del Faust,incentrata sulla contraffazione nel-l’arte, l’opera ha avuto un lungo pe-riodo di gestazione, nel quale si èimbevuta di un ampio spettro di in-fluenze che si ritrovano nel romanzostesso: dai viaggi in Europa con ilbreve soggiorno al Village di Gaddis, ainumerosi riferimenti filosofici, religiosie letterari, passando per eventi media-tici come la scoperta delle imitazionidi Van Meegeren. Tutto ciò ha lenta-mente dato forma ad una grottesca vi-sione della cultura moderna, in cui lafinzione, sia a livello intellettuale chenei rapporti umani, è la regola.Per evidenziare maggiormente

questa tesi, e dare la sensazione diuna civiltà sull’orlo del caos, lo scrit-tore americano ha optato per unastruttura particolarmente frammenta-ria, disponendo la miriade di perso-naggi, molti dei quali fanno solo breviapparizioni, in piccole sequenze nar-rative dalle continue variazioni stilisti-che e prospettiche, creando l’illusionedi un quadro osservabile da più puntidi vista come le raffigurazioni deimaestri fiamminghi del quattocento

(“Non c’è una sola prospettiva, comel’occhio della macchina fotografica,quello dal quale ora guardiamo tutti,e che chiamiamo realismo, là… nemetto cinque o sei o dieci… il pittorefiammingo ci metteva venti prospet-tive, se voleva”).Proprio quest’ultimi, con la loro con-

cezione autentica dell’arte, rappresen-tano lo specchio estetico su cui farriflettere l’ambiguità e la decadenzadel presente. L’impossibile ricerca mo-rale dei protagonisti si sublima nellaperdita progressiva dell’identità -spesso essi si ripresentano sotto unaltro nome -, nel recupero di antichereligioni, nonchè in decessi altamentesimbolici come quello memorabileche chiude l’opera.Ma ne Le Perizie Gaddis ci dimostra

che c’e un misterioso splendore anchenella fine: nel suo libro la finzione as-sume le sembianze di un’affascinantee complessa mitologia.L’autore americano creerà altri titoli

pregevoli come Gotico Americano e JR,anti-romanzi composti quasi esclusi-vamente da dialoghi, ma non riusciràpiù a raggiungere i vertici della suamagnum opus.

PLAYERS 17 PAGINA 71

Page 72: Players 17

pages | comics

PLAYERS 17 PAGINA 72

Page 73: Players 17

Aun anno di distanza dal re-boot della concorrente DCComics [Players #10] che haazzerato il proprio universoeditoriale rilanciando dal #1

il suo intero parco testate, tornando cosìdopo lungo tempo in vetta alle classifi-che di vendita, è arrivata come da previ-sione la risposta da parte della Marvel.Non si tratterà però in questo caso di unreset, strada già solcata nel 2007 nelquadro di una strategia di rilancio di Spi-der-man [se ne parlerà nel prossimo nu-mero in occasione del 50° compleannodell’arrampicamuri], bensì di un rime-scolamento delle sue figure di spiccodentro e fuori le pagine dei fumetti, bat-tezzato MarvelNOW!. Se da un lato in-fatti si assisterà a diversi cambiamentinelle fila di Avengers e X-Men, le novitàprincipali si avverranno al tavolo dascrittura, col passaggio di testimonedelle testate cardine dell’universo narra-tivo a un nuovo gruppo di scrittori tracui spiccano Rick Remender, cui verrà af-fidata la nuova Uncanny Avengers, e Jo-nathan Hickman, penna titolare su TheAvengers, due autori giovani entrambiformatisi come scrittori alla Image primadi essere notati dalla Marvel.

Si chiude dunque l’era di Bendis, sce-neggiatore anch’egli proveniente dallaImage, che grazie agli unanimi consensiottenuti su Ultimate Spider-man è riu-scito a divenire il principale architetto

dell’impalcatura narrativa in casa Marveldegli ultimi dieci anni. Sotto la sua ge-stione gli Avengers sono divenuti eroimoderni, e non solo per merito dei dialo-ghi brillanti che paiono usciti diretta-mente da una serie TV, marchio difabbrica del suo stile di scrittura che haprofondamente diviso i fans, ma ancheper una connessione con la realtà che vaben oltre la rappresentazione di un presi-dente di colore nella sala ovale. I suoi su-pereroi vivono nello stesso clima politicoe sociale dei loro lettori, dove la manipo-lazione dei media può permettere a uncriminale come Norman Osborn di racco-gliere un team di super-villain e farli pas-sare per eroi migliori degli Avengersgrazie a un’attenta strategia di comuni-cazione, mentre il governo esige di poterdisporre a propria discrezione dei servigidei superumani, troppo potenti e impre-vedibili per poter disporre della più to-tale autonomia goduta in passato. Così inuna realtà in cui la crisi economica ri-chiede sacrifici e genera frustrazioni eansie, anche i migliori eroi della terrasono stati costretti a rispondere delleloro azioni di fronte alla folla inferocita.Pur trattandosi di idee mutuate da altrisuoi colleghi – Warren Ellis e i suoi Thun-derbolts per l’influsso dei media e i fon-damentali Ultimates di Mark Millar per lepretese governative sui super-esseri –Bendis ha avuto il merito di espanderle esvilupparle sulle testate cardine dell’uni-

verso narrativo Marvel, rendendole difatto tematiche trasversali in grado dicondizionare le storie di tutti gli altri per-sonaggi, anche se non sempre questasuggestiva coordinazione è avvenutacon successo.

Difficile però non scorgere l’influsso diquesta filosofia nelle vicende di nume-rosi altri personaggi. Emblematico inquesto senso il percorso evolutivo degliX-Men, auto-esiliatisi sull’isola-Stato diUtopia, nome profondamente significa-tivo a testimonianza del definitivo tra-monto del sogno di una pacificaconvivenza tra razze diverse su cui ilgruppo poggiava la propria ragione d’es-sere, dove vivono ormai come un eser-cito in difesa della razza mutante.Per ora non è dato sapere se il nuovocorso della Casa delle Idee proseguirà suquesta linea o se virerà in una direzionepiù classica e avventurosa, ma le atteserestano comunque altissime.

A convincere a prescindere infatti sonoi nomi coinvolti nel rilancio che inclu-dono numerosi giovani autori sullarampa di lancio già capaci di sorprenderecon idee innovative e audaci, a cui è con-cessa l’opportunità di affermarsi definiti-vamente nell’olimpo del fumettomainstream a stelle e strisce.

PLAYERS 17 PAGINA 73

Page 74: Players 17

Selezionati per voi: Take My Bones Away, Cocainium, Psalms Alive

musica | recensioni

Non è facile parlare di Yel-low & Green, il doppioalbum che John Baizley e

soci hanno dato alle stampe è si-curamente il disco più controversodell’anno e il terremoto più rile-vante nell’ambiente.Band relativamente giovane, i

Baroness, sono diventati subito iportabandiera di quella che è statapresto definita una vera e propriascena in quel di Savannah, gra-ziosa (?) cittadina americana cheha cominciato a sfornare gruppiaccomunati da una certa pesan-tezza dei suoni e dalle molte barbedei componenti.C’è da dire che i nostri non sono

nuovi alla pratica di rimescolare lecarte in tavola, già con il Blue Re-cord avevano dato prova di essere

in grado di mettersi in gioco, spo-standosi dallo sludge dell’esordio aun disco le cui coordinate eranopiù facilmente rintracciabili nelmetal e nel thrash più classico,senza però scontentare i fan dellaprima ora, lasciando inalterataquella tipica pesantezza paludosa.Con Yellow & Green si abban-

dona praticamente del tutto la pa-lude che forse era lecito aspettarsiper sconfinare in lidi decisamentepiù ariosi e melodici; Yellow, laprima parte del disco e quella piùpesante, è composta principal-mente da pezzi in costante bilicofra il rock anni ‘90 e il progressiveanni ‘70, avvolti da una evidentepatina pop, una combinazione chespiazza sin da Take My Bone Away,pezzo che ci consegna un inedito

Baizley dietro il microfono inquello che è il suo nuovo modo dicantare, abbandonando del tuttogrowl e urla ferine con i quali erasolito esprimersi. Incredibile a dirsima, per quanto mi riguarda, Yel-low funziona. Certo bisogna pren-dere un bel respiro e dimenticarsiper un attimo che in copertina c’e’scritto Baroness, operazione nonsempre facilissima per i fan, mafunziona.La seconda parte, Green, è deci-

samente più malinconica, speri-mentale e liquida ed è quella chefarà incazzare (ancora) di più i fan,gli stessi fan che solitamente la-mentano l’immobilità artistica deipropri idoli e si trovano completa-mente spiazzati e delusi quandoosano, come in questo caso dove

BARONESS

-YELLOW &

GREEN-RELAPSE

Lasciate ogni speranzavoi che entratedi Matteo Del Bo

PLAYERS 17 PAGINA >>ASCOLTA IN STREAMING THE GRAMOPHONE <<74

Page 75: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA >>ASCOLTA IN STREAMING THE GRAMOPHONE <<

Selezionati per voi: Take My Bones Away, Cocainium, Psalms Alive

rari spunti di aggressività sono af-fogati in un mare di melodiefluenti e sognanti.A discapito di quello che sarà o

meno il successo del disco, i Baro-ness hanno detto la loro. Ascol-tando attentamente Yellow &Green si riuscirà a sentire, nono-stante fuori dai canoni che ci siaspettasse, che hanno fatto undisco che solo loro potevano fare eche in una certa maniera suonacomunque come un disco dei Ba-roness. Non è certo un opera priva di di-

fetti: da un lato ci sono un paio dicanzoni che appaiono buttate lìtroppo in fretta, giusto per far nu-mero e concretizzare l’idea deldoppio album (che con un paio dipezzi in meno sarebbe stato tran-

quillamente su un disco unico) edall’altro una produzione che nonvalorizza abbastanza il basso senon in qualche sporadico episo-dio. Nel suo insieme mi vienespontaneo dire che i Baroness ab-biano spuntato la più difficile delleprove: rivoluzionarsi completa-mente e imboccare una nuovastrada senza avere paura e senzaincertezze.Se sicuramente i fan avranno già

sentito e giudicato il disco è pursempre vero che una ripartenzadel genere merita attenzioneanche a chi non è solito ascoltare iBaroness, qualche ascoltatore dirock alternativo potrebbe trovarequesto disco interessante e po-trebbe pure, con un percorso a ri-troso, scoprirsi piacevolmente

sorpreso da sonorità che non co-nosceva o pensava non interessar-gli. Il disco e’ tutto in streaming su

http://baroness.bandcamp.com/provate a dargli una possibilità sesiete dei neofiti o provate a dargliuna seconda, terza, quarta possibi-lità se siete del gruppo dei delusifan della prima ora, potreste sco-prire che non è poi così tantomale. In chiusura c’è da segnalare che

quest’estate, durante il tour di pro-mozione del disco, il bus dei Baro-ness ha subito un incidenteabbastanza pesante ma tutta laciurma si è ripresa alla grande e,seppure con qualche ammacca-tura di troppo, sono di nuovo tuttiin piedi: forza e coraggio!

75

Page 76: Players 17

Selezionati per voi: Primadonna, Power Control, Fear and Loathing

musica | recensioni

Si dice spesso che il secondoalbum/film/opera in gene-rale, per un artista, è sempre

il più difficile. La regola valeanche per Marina Lambrini Dia-mandis meglio nota col nomed’arte di Marina and the Dia-monds (nota: i diamanti del casonon sono la sua band d’accompa-gnamento ma i suoi fan) chedopo aver sbalordito il mondodella pop music intelligente (sì,esiste) con lo strepitoso The Fa-mily Jewels, uscito in sordina nel2008 e assurto a rango di cultodopo pochi mesi, con ElectraHeart ha fatto il passo più lungodella gamba. Affascinante e biz-zarra come si conviene ad unapopstar moderna, Marina con ilsuo primo album aveva centrato il

perfetto connubio tra musica, unpop elaborato che pur essendo difacile presa mostra il suo spessoresolo dopo plurimi ascolti, testi ef-ficacissimi e immagini, con duevideo originali ed intriganti.Stavolta vuoi per le enormi

aspettative che si erano venute acreare attorno alla cantante gal-lese di origine greca, vuoi per unascelta rischiosa, quella di presen-tare il nuovo album con un’operaunica divisa in più parti, interpre-tate da una alter-ego della prota-gonista, che si propone, paroledell’artista come “un mix tra Mari-lyn Monroe, Madonna e Maria An-tonietta”, il risultato è buono manon eccezionale. Certo alcunipezzi, come Power & Control sem-brano provenire direttamente

dalla parte buona degli anni ‘80 ealtri, come Primadonna e Fearand Loathing dimostrano unacerta maturità da parte della no-stra eroina in fase di scrittura, magemme iconoclaste e spiazzanticome erano state Mowgli’s Road,Obsessions e Hollywood, capi-saldi della precedente opera, sta-volta non sono presenti nellatracklist. Intendiamoci, siamovarie spanne sopra le Katy Perrydel caso (non che ci voglia molto,in effetti), ma dopo un esordiocosì folgorante, forse era lecitoaspettarsi un passo netto inavanti e non questa smarcata la-terale. Al prossimo lavoro il com-pito di stabilire se la bella Marinasia stata o meno un fuoco di pa-glia bruciato troppo in fretta.

marina and

the diamonds

-ELEKTRA EARTH-

La primadonnadel popdi Andrea Chirichelli

PLAYERS 17 PAGINA >>ASCOLTA IN STREAMING THE GRAMOPHONE <<76

Page 77: Players 17

Selezionati per voi: Shake Your Shit Machine, Dude Without a Face, Mister Sister

ITurbonegro sono uno di queigruppi che non si dimenticafacilmente quando li si incro-

cia (e a tutti gli ascoltatori di mu-sica dura&pesante capita primao poi di incrociare la loro strada);tutto colpisce al primo impatto: ilmonicker, i membri, il loro imma-ginario e, soprattutto, la musica.In giro dal 1989, alfieri scandi-

navi del rock e di quel dea-thpunk che hanno contribuito acreare, investiti da un successoincredibile all’uscita di Apoca-lypse Dudes nel ‘98, hanno su-bìto un paio di battute d’arrestonel corso della loro carriera masono sempre tornati più forti chemai, costruendo una discografiaa colpi di dischi dalla qualità invi-diabile.

Nel 2010 arriva la separazionecon lo storico cantante Hank vonHelvete e in seguito l’annunciodi aver trovato un degno sosti-tuto in Tony Sylvester, membrofondatore del fan club ufficialedei nostri in quel di Londra e inforza ai The Duke of Nothing; perdirla con parole sue: “un sognoche si avvera”. Dopo una serie di date live di

rodaggio, tornano ora con que-sto nuovo album, Sexual Haras-sment, che se da un lato registrala perdita della vena più punkishche da sempre contraddistingueil loro suono, dall’altro ci regaladieci canzoni di puro e sangui-nante rock’n’roll. Il disco, che èstato il mio personalissimo discodell’estate e probabilmente

dell’anno, è un disco che anchese non riesce a bissare l’impor-tanza dei classici della band,come Asscobra o ApocalypseDudes, piazza comunque unagenerosa manciata di instantclassic. Difficile l’impresa di citareun pezzo che spicca, mi ritrovereia riscrivere la tracklist e sprecareaggettivi superlativi per ognicanzone; già sceglierne solo treper metterli nel nuovo volume diaudioPLAYER(S) è stata una sof-ferenza.Di solito non è facile sostituire

un membro chiave come il can-tante, eppure i Turbonegro sisono rimboccati le manicheanche questa volta e hanno ti-rato fuori un disco divertente ediretto. Chapeau.

turbonegro

-SEXUAL

HARASSMENT-UNIVERSAL / VOLCOM

Ritorno in grandedi Matteo Del Bo

PLAYERS 17 PAGINA >>ASCOLTA IN STREAMING THE GRAMOPHONE <<

Selezionati per voi: Primadonna, Power Control, Fear and Loathing

77

Page 78: Players 17

Selezionati per voi: Hypnone, The Racing Heart, Leech

musica | recensioni

Partiamo da un fatto incon-trovertibile: i Katatonia,metal band svedese in atti-

vità dal lontano 1991, non sba-gliano un album praticamente daBrave Murder Day, secondo discoin una carriera che conta noveuscite principali e almeno dodiciEP. Qualcuno potrebbe conside-rare il primo Dance of DecemberSouls un prodotto primitivo e nonancora in grado di riflettere la veraanima melodica del gruppo, macercherò di cavarmela dicendoche si tratta fondalmentamente digusti e di apprezzamento (omeno) del cantato growl. 20 annidopo, Dead End Kings si inseriscealla perfezione in quel periododella carriera dei Katatonia ini-ziato con Last fair Deal Gone

Down: ancora una volta abbiamoun disco granitico, cantato com-pletamente in voce pulita, quasi-concept (su Stoccolma) e capacedi riflettere alla perfezione i colorie le sfumature degli inquietantiartwork di Travis Smith, questavolta ossessionato da unostrambo immaginario aviario-in-dustriale.Dopo due dischi consecutivi

dalle tinte simili, The Great ColdDistance e Night is the New Day,Dead End Kings afferma la suaidentità sterzando quanto piùpossibile verso desolati panoramiprog che piaceranno agli amantidei Tool, in pezzi sì melodici mache intenzionalmente mancanol’approcciabilità di quelli di VivaEmptiness, forse il disco più orec-

chiabile del lotto.I pezzi vivono di personalità

propria alternando fasi più tran-quille (The Racing Heart, Lethean)ad altre pesanti come una cascatadi cemento (Buildings), che mal siprestano ad un ascolto superfi-ciale. Nei testi tornano alcuni temigià esplorati in passato, ma a que-sto giro purtroppo Renske sembraincapace di far davvero male.Dead End Kings è comunque

uno di quei dischi da sentire e ri-sentire, e perfino da toccare e sfo-gliare se siete fra i fortunatipossessori dell’edizione formatolibro con vinili, DVD 5.1 e (due ve-ramente ottime) bonus tracks.Con un po’ di impegno, i passaggipiù ostici vi sveleranno cosa si celain fondo ai vicoli ciechi scandinavi.

katatonia

-DEAD END

KINGS-PEACEVILLE

di Tommaso De Benetti

PLAYERS 17 PAGINA >>ASCOLTA IN STREAMING THE GRAMOPHONE <<78

Page 80: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

GAMES | SPEcIALE

Prima che l’industria deivideogiochi assumesseun’importanzapreponderantenell’economia

dell’intrattenimento e che siformasse quello che potremmodefinire uno star system ludicocontemporaneo, in cui al nomeCall of Duty è associato un FPSbellico, i produttori di videogiochitentavano già di conquistare ilpubblico con simbologieaccattivanti e d’effetto: lemascotte. I primi esempi dipersonaggi-simbolo erano nati percaso e a causa di limitazionitecniche (come nel famigeratocaso di Mario), ma con ilmiglioramento delle capacitàhardware delle console erapossibile fare di più: era necessario

impegnarsi nel creare unpersonaggio accattivante, chesapesse conquistare il pubblico. Ilprimo esemplare di questa nuovaspecie divenne rapidamente ilprincipale avversario dell’idraulicoNintendo: il suo nome era Sonic.Con l’assottigliarsi dei contendentinello sviluppo hardware, lemascotte divennero i simboli dellerispettive software house: Rayman,Crash, Spyro, ecc.. Cosa accomunatutti questi personaggi da noicitati? Il genere a cuiappartenevano i videogiochi di cuiessi erano protagonisti: i giochi dipiattaforme, comunemente noticome platform.La definizione di questo genere

non è facile: in sintesi, potremmodescrivere un platform come ungioco in cui il giocatore controlla

un personaggio che si muoveattraverso un percorso accidentatoper giungere da un punto A ad unpunto B, recuperando oggettibonus ed evitando ostacoli di varianatura (nemici, trabocchetti,precipizi); ogni gioco puòpresentare elementi peculiari chepossono alterare la natura di giocoanche in maniera notevole,creando ibridi di varia natura. Sitratta di uno dei generi più longevied apprezzati dal pubblico: DonkeyKong, considerato il padre delgenere, è del 1981. Da allora ogniconsole ha potuto contare sul suogioco di piattaforme principale,con le opere Nintendo e SEGA aparadigmi del genere; esempi diun’evoluzione in cui la tecnologiaera spesso al servizio

piattaforme

passate

e presenti di Dario Oropallo

80

Page 81: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

del gameplay: si pensiall’importanza di Super Mario 64nell’esplorazione della terzadimensione, con l’introduzionedello stick analogico.Già l’era PlayStation mostrava i

primi segnali di un fortecambiamento: Tomb Raider, perimportanza paragonabile all’operadi Miyamoto, presentava una forteibridazione con elementi d’azione.Con l’avanzamento dellatecnologia il genere subì un forteridimensionameto, soprattuttodurante la generazione 128-bit:l’assenza di sostanziali novità nelgenere e la nascita (ed il successo)di ibridi come i giochi action-adventure e open worlddeterminò una debacle del genere,apparentemente destinato ad un

lento declino.Durante l’ultima generazione di

console la situazione sembraessersi ribaltata: New Super MarioBros 2 è solo l’ultimo (ed il menoriuscito) videogioco di una listache conta Rayman Origins, SuperMario 3D Land, Skylanders: operesia mainstream che indipendentiche tentano e spesso riescono amostrare un’estetica ed ungameplay originali, diversi dalmachismo o dalle ambizionirealistiche di altri generi. I platformdi questa generazione presentanole reminescenze di una storiaventennale, come nel caso di SuperMario Galaxy, FEZ o Mirror’s Edge:l’aspetto tecnico diventa unprolungamento di un gameplayche tenta soluzioni inusuali ed

inaspettate, ponendo il giocatoredi fronte a situazioni inedite o soloapparentemente familiari; daquesto punto di vista i miglioriplatform usciti in questi anni sonodei veri e propri manuali di designdei videogiochi, rispondendo conintelligenza alle esigenze delgiocatori moderno senza ricorrerea scene scriptate o ad inutiliforzatura drammatiche. D’altrondel’eredità dei platform sopravviveanche in altre forme: cosasarebbero action-adventure comeAssassin’s Creed o Uncharted, senzauna parete da scalare? Anche secon alcune lacune ed una notevolesemplificazione, anche il generepiù popolare di questagenerazione ha come genitore uncarpentiere ed uno scimmione.

81

Page 82: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

di Matteo Bittanti

games

Sulle strade diSimCity, la mappaè il territorio

Lo confesso. Ho pas-sato i migliori annidella mia vita a Sim-City. Di giorno so-pravvivevo a stentoa Milano. Di notte,con la pazienza di

Penelope, costruivo e ri-costruivouna città (im)possibile. Hai pre-sente Dark City? SimCity rappre-sentava un’alternativa, l’unicapossibile, alla Milano degli alienie degli alienati. Sperimentavo, informa vicaria, situazioni urbaneche il capoluogo lombardo nonera – non è – in grado di offrire.Cancellavo, a colpi di click, i bugdi sistema. Aria tossica, trafficopersistente, automobili sui mar-

ciapiedi, soundtrack del clacson,consumo compulsivo [OBEY! BUYMORE! CONSUME! WATCH TELEVI-SION!], sporcizia e incuria, cantieriinfiniti, status symbol coatti, ipubblicitari e i marchettari, il tra-gico rituale dell’aperitivo... Creavoparchi e piste ciclabili. Zone pe-donali. Scuole e biblioteche. Can-cellavo d’amblé centricommerciali e vie della moda. L’il-lusione di onnipotenza offertadalla simulazione elettronicacompensava il senso di reale im-potenza che provavo cammi-nando per le vie di Milano.

San Francisco è una città video-ludica. Da dieci anni risiedo, psi-cologicamente e geografica-

mente, a SimCity. Hai presenteTron? Sono l’avatar della miastessa fantasia virtuale, la fantasiache ho costruito sullo schermo.Nell’ultima decade sono cam-biate molte cose. Prendi i video-giochi, in crisi creativa da almenoun lustro. Le ragioni dell’impassesono numerose. Cito tre fattoricorrelati: l’avvento del cosiddettoweb 2.0, che ha introdotto formeludiche partecipative e costrut-tive di fruizione nelle dinamichedella rete; il crescente successo dipiattaforme mobili come smar-tphone e tablet che hanno resopossibili nuove modalità di inte-razione con gli spazi urbani. In-fine, il fenomeno della ludi-

82

Page 83: Players 17

Sulle strade diSimCity, la mappaè il territorio

cizzazione del quotidiano, che haintrodotto prassi giocose in con-testi non ricreativi.

Con “prassi giocose in contestinon ricreativi” mi riferisco a feno-meni riconducibili tanto alla pai-dia quanto al ludus, per usare ladistinzione di Roger Caillois delclassico Gli uomini e i giochi. Lamaschera e la vertigine (1958). Iltermine paidia indica pratichegiocose non strutturate, sponta-nee, imprevedibili, non definite inmodo rigoroso. Il ludus invececontraddistingue giochi regolatida istruzioni non negoziabili.Esempio: gli scacchi.

I nostri nuovi giocattoli - smar-tphone in primis - facilitano la ri-

configurazione del quotidiano at-traverso il filtro ludico. Per ragionidi spazio, in questa sede cito unsolo esempio: il camminare. Que-sta attività offre, per lo meno inpotenza, innumerevoli possibilitàgiocose. Una di queste è la moda-lità “psicogeografica”. Nella defini-zione dei Situazionisti, lapsicogeografia studia “[G]li effettiprecisi dell’ambiente geografico,disposto coscientemente omeno, che agisce direttamentesul comportamento affettivodegli individui” come si legge nelprimo numero dell’InternazionaleSituazionista (1958). Lo scopo diquesto approccio è portare inprimo piano le strategie coerci-

tive da parte delle classi domi-nanti e dei loro funzionari - dagliurbanisti alle forze dell’ordine, maanche delle corporation e dalmarketing, perché Essi vivono - aidanni dei cittadini. Applicare tat-tiche psicogeografiche significaoperare una decostruzione criticadegli spazi urbani finalizzata a)alla ridefinizione concettualeprima ancora che architettonicadegli ambienti esistenti e b) al-l’ideazione di possibili alternative.

Per quanto mi riguarda, l’ap-peal della psicogeografia risiedenel suo approccio irriverente esbarazzino. Guy Debord e RudolfVaneigem hanno proposto tecni-che di esplorazione psicogeogra-

83

Page 84: Players 17

fica attraverso performance lu-diche. E’ il caso della dérive (de-riva), termine che definisce unatipologia particolare di movi-menti pedestri sul territorio ur-bano. Debord ha fornito alcunisuggerimenti per portare a ter-mine con successo una derivapsicogeografica:

“Per fare una deriva, andate ingiro a piedi senza meta od ora-rio. Scegliete man mano il per-corso non in base a ciò chesapete, ma in base a ciò che ve-dete intorno. Dovete essere stra-niati e guardare ogni cosa comese fosse la prima volta. Un modoper agevolarlo è camminare conpasso cadenzato e sguardo leg-germente inclinato verso l’alto,in modo da portare al centro delcampo visivo l’architettura e la-sciare il piano stradale al mar-gine inferiore della vista. Dovetepercepire lo spazio come un in-sieme unitario e lasciarvi at-trarre dai particolari.” (1956)1

L’attuale revival della psicogeo-grafia risponde all’esigenza,anzi, urgenza, di ripensare le di-namiche di socializzazione neglispazi urbani in un’era di crisi[ambientale, economica, ideolo-gica]. In aggiunta alle brillantiiniziative di neo-psicogeograficome Will Self e Ian Sinclair, il re-vival è ravvisabile in fenomenisolo apparentemente perifericicome la proliferazione di appper smartphone che coniuganole strategie debordiane con lepossibilità di interazione offertedalle nuove tecnologie. Unadelle più interessanti si chiama,non a caso, Dérive. Dérivechiede al giocatore di portare atermine obiettivi casuali all’in-

terno della propria città se-guendo alla lettera istruzioni te-stuali visualizzate sullo schermodel proprio smartphone a inter-valli di tre minuti. Creata dall’ar-chitetto Eduardo Cachuco diEFRC Design, l’app s’ispira a DriftDeck, un mazzo di carte creatonel 2008 da Near Future Labora-tory che sollecita modalità di in-terazione con gli spazimetropolitane attraverso strate-gie che si fondano sulla sponta-neità2. L’app ci sollecita adomandare alla prima personache incontriamo per stradaquale sia “il suo luogo preferito”oppure a “perdere tempo inmodo consapevole e delibe-rato”, spendendo due intermina-bili minuti seduti su unapanchina. Queste pratiche ap-parentemente sciocche ci invi-tano a prestare attenzione a ciòche ci circonda, per diventarepienamente consapevoli del-l’ambiente di gioco, per cosìdire, ed interagire con altri NPC.

Una seconda app per smar-tphone, Serendipitor arricchisceil deambulare cittadino permezzo di tattiche psicogeografi-che3. Nello specifico, consentedi “individuare qualcosa mentresi cerca qualcos’altro”. Dopo averdefinito il punto di partenza e diarrivo di una passeggiata, Se-rendipitor suggerisce possibilitraiettorie, visualizzando unaserie di istruzioni sulla mappa diGoogle. Le “istruzioni” si ispiranoalle pratiche di artisti come VitoAcconci, Fluxus e Yoko Ono eprevedono obiettivi quali il pe-dinamento di un individuo cheindossa un capo di abbiglia-mento di colore verde oppurel’osservazione delle nuvole, dafotografare con il proprio smar-

PLAYERS 17 PAGINA

games

84

Page 85: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

(in questa pagina e nelle altre)Matteo Bittanti, “Tour psicogeografico di San Francisco”, 2012.

85

Page 86: Players 17

tphone. Nel 1969, Acconci avevaintrapreso una nuova fase dellasua sperimentazione, coniu-gando performance art e foto-grafia. Una delle sueperformance più interessantis’intitola “Following Piece”: nelcorso di un mese, Acconci segueun individuo selezionato inmodo casuale per le strade diNew York, fino a quando il “ber-saglio” entra in un’abitazioneprivata. Documenta il surrealestalking con la macchina foto-grafica. Attraverso questa per-formance, l’artista riflette sulproprio ruolo, sulla propria iden-tità. “Il mio ego diventa un quasi“non-ego”. Mi metto al serviziodi questo schema”, leggiamonelle sue note. In altre parole,Acconci subordina la propriaagenza e autonomia alle regoledel gioco che egli stesso ha defi-nito. Il gioco in questione è, altempo stesso, una performanceartistica. Non c’è da sorpren-dersi: tutti gli artisti sono gioca-tori, anche se non tutti igiocatori sono artisti. Oggi, gra-zie a Serendipitor posso diven-tare l’avatar di Acconci. Meglioancora, il mio alter ego. Un altrocomando mi sollecita ad “en-trare nel palazzo più alto e rag-giungere l’ultimo pianodell’edificio con l’ascensore”. Op-pure a “sorridere alla prima per-sona che incontriamo perstrada”. Cammino e annoto, os-servo, immortalo. In altre parole,l’app propone una forma di na-vigazione “alternativa”, fondatasulla imprevedibilità invece chesull’efficienza, la puntualità e laproduttività. La complessitàdell’itinerario è influenzata dafattori quali il tempo a disposi-zione per portare a termine la

“missione” – un fattore negozia-bile dall’utente. Con Serendipi-tor, divento un quasi non io e mimetto al servizio del piccoloschermo dello smartphone.

Una terza app, Drift (tradu-zione inglese del termine dé-rive), mi aiuta a perdermi inluoghi familiari. La sensazioneperturbante prodotta dalla sco-perta dell’inaspettato e dell’im-previsto produce un susseguirsidi epifanie. A scanso di equivoci,ci tengo a precisare che non sitratta di squallida gamification.Non sono previsti check-in idiotimodello FourSquare. O la rac-colta punti Nikefuel. Nè ricom-pense economiche modelloGigWalk. Tanto le gratificazioniquanto gli obiettivi sono intrin-seci alla pratica ludica. Detto al-trimenti: il gioco è fine a sestesso. Sviluppata dal canadeseJustin Langlois in collaborazionecon Broken City Lab, Drift atte-sta che la psicogeografia è quiper restare.

I miei tour psicogeograficihanno luogo nelle zone più in-dustriali di San Francisco, nellearee in trasformazione, in quelleche stanno vivendo massicciprocessi di gentrification: Mis-sion District, Potrero, ChinaBasin, senza dimenticare quar-tieri socialmente reietti, comeBay View e Hunter’s Point, lon-tani dai quartieri turistici e po-polari fotografati da milioni dituristi. Aggiungo, en passant,che per orientarmi nella BayArea mi servo della mappa diSan Fierro, il doppelgangerludo-urbano di Rockstar Games.Niente di nuovo. Dopo tutto, i si-tuazionisti esploravano Amster-dam con la mappa di Berlino.

In tutti i casi, le mie avventure

PLAYERS 17 PAGINA

games

86

Page 87: Players 17

peripatetiche hanno inizio sulloschermo. Mi servo infatti diGoogle Maps (2004) e di GoogleStreet View (2007) per pianifi-care possibili traiettorie, indivi-duare possibili obiettivi,studiare possibili pattern... Salvosovvertirli sul campo – o meglio,in strada – grazie alle summen-zionate app, Dérive, Serendipi-tor, Drift e al mood delmomento. Del resto, il cheatingè parte integrante dell’espe-rienza ludica. Google Maps eStreet View hanno raccolto l’ere-dità di SimCity. L’imperativo pa-nottico del software toy di WillWright ha trovato una sublimeridefinizione nello strumentocartografico dell’azienda diMountain View che ha fatto lasua prima apparizione in rete auna decade di distanza dallapubblicazione di SimCity 4. Lasimulazione indoor ha lasciato ilposto a un’esperienza iper-reali-stica outdoor. A Milano creavouna città alternativa attraversoSimCity. A San Francisco giococon Google Maps & Street View,esplorando il territorio urbanoin modo creativo usando Cittàdi vetro di Paul Auster comeguida spirituale.

Mappare San Francisco con glistrumenti cartografici di Googlemi ricorda le modalità di visionedescritte da Michel De Certeaunel celebre saggio “Cammi-nando nella città”, incluso nel-l’invenzione del quotidiano(1980). In apertura, l’intellettualefrancese descrive la New Yorkche vede da una posizione privi-legiata: la cima del World TradeCenter. La visuale dall’alto, om-nicomprensiva restituisce la co-siddetta “città concetto”: lametropoli geometrica ed

astratta, definita ex ante dalleistituzioni, dagli architetti, dagliurbanisti e dagli interessi econo-mici. SimCity.

Quindi De Certeau scende perstrada e “scopre” un’altra città,quella che esiste “ad altezzauomo”, quella dei pedoni che sispostano all’interno di un tes-suto urbano che non hanno po-tuto progettare, determinare,modificare. Il pedone, tuttavia,non è impotente, perché il suodeambulare non è definito inmodo perentorio dalle istitu-zioni. Al contrario, vaga a piaci-mento senza meta, “perdendotempo”, praticando scorciatoie,rifiutando l’impostazione votataall’efficienza degli urbanisti. Se-condo De Certeau, il camminarepuò diventare un’attività dibracconaggio nel momento incui il soggetto mette in atto unasovversione consapevole e deli-berata delle “regole del gioco”definite dai game master. GrandTheft Auto.

Google Maps e SimCity pro-ducono città-concetto. Spazigeometrici, visualizzati dall’alto,fotografati dall’occhio elettro-nico delle macchine (computer,satelliti). Per converso, StreetView, restituisce l’immagine diuna città ad altezza uomo o,meglio, della vettura di Google4

che scatta fotografie in automa-tico. clickclickclick. Attraverso lafotografia ci impossessiamodella città. La facciamo nostra.La comprendiamo meglio. Lacondividiamo con altri [insta-gram, flickr etc]. Negli spara-tutto, to shoot significa sparare.Il fucile è una videocamera vir-tuale che distrugge ciò che mo-stra. Nel videogame della realtà,to shoot significa catturare im-

PLAYERS 17 PAGINA 87

Page 88: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

games

1 Guy Debord, Théorie de la dérive,in Les Lèvres nues, n. 9, Bruxelles, novembre1956. Ripubblicato senza le due appendici in:Internationale Situationniste, n. 2, Paris, dé-cembre 1958; trad. it.: Internazionale Situa-zionista, Nautilus, Torino.2 Cachuco ha sviluppato un set diistruzioni per città come Parigi e Biella (!).Altre città previste sono Londra, Johanne-sburg, Istanbul, Rio De Janeiro, Barcellona eMilano. Trattandosi di un progetto di naturaartistica ed aperta, l’architetto sollecita formedi consumo partecipativo e incoraggia modcreativi.3 Sviluppata da Mark Shepard pressoil V2_ Institute for the Unstable Media du-rante una residenza all’Eyebeam Art+Te-chnology Center, Serendipitor fa parte delprogetto di Creative Capital, Sentient CitySurvival Kit. Inaugurato nel 2008, CreativeCapital consiste in una serie di esperimenti disousveillance e di personal tracking cartogra-fico finalizzati a ripensare le logiche della vitaurbana nel ventunesimo secolo.4 Presto interamente cibernetica.5 Nel 2010, Microsoft è stata accu-sata di aver sviluppato un’app “razzista” per isuoi smartphone. Soprannominata “ghettoapp”, questa opzione per il Bing Maps Mobilevisualizzava le “zone pericolose” per i pedoni,dove la pericolosità è misurata su fattori dinatura razziale e socio-economica, il che si-gnifica che le “aree a rischio” sono per lo piùabitate da afro-americani, ispanici e altre mi-noranze.

Doug Rickard, “A New American Picture”, 2011.

88

Page 89: Players 17

magini. Da un lato distruzionecreativa. Dall’altro creazione po-tenzialmente distruttiva. Losmartphone mostra e insiemecolleziona. L’iPhone è, contem-poraneamente, una mappa in-terattiva, una videocamera, unamacchina fotografica, un blocconotes, un dispositivo sovversivoquando diventa, per esempio,uno strumento di sousveillance.Lo smartphone è la migliore in-terfaccia per giocare con glispazi urbani. Ci permette di ve-dere meglio. Di creare nuove re-altà.

Alcuni fotografi hanno sfrut-tato Google Maps e Street Viewper portare in primo piano lecontraddizioni tipiche di unatecnologia che insieme illuminaed oscura le tensioni e le dina-miche di potere del quotidiano.Non mi riferisco tanto agli ubi-qui Jon Rafman e Michael Wolf,quanto a Doug Rickard, autoredi progetti come “American Su-burb X” e “These Americans”, ar-chivi fotografici accessibili inrete che documentano i suoiviaggi personali nelle comunitàpovere e pericolose, emarginatee neglette, reiette e maledettedell’America contemporanea.Dal 2009, Rickard usa GoogleStreet View come se si trattassedella sua macchina fotograficadigitale, immortalando i ghetti ei quartiere poveri delle metro-poli in declino: Atlanta, New Or-leans, Jersey City, Durham,Houston, Watts (Los Angeles) eCamden. E poi le cittadine diWaco, Artesia, Dothan e Macon5.“A New American Picture” è unviaggio virtuale, un road tripstatico. Il fotografo ha scanda-

gliato oltre quindicimila istanta-nee, pari a svariati terabyte didati, selezionando un’ottantinadi opere per un’esibizione alMoMA.

A differenza di Rickard, la miaesplorazione urbana non è limi-tata allo schermo. Scendo fisica-mente in strada, scattandofotografie con una macchina di-gitale Canon punta-e-scatta.Modifico successivamente leimmagini ottenute con il filtroHDR di Google Picasa, ma illook-and-feel è quello del-l’iPhone, il filtro estetico dellacontemporaneità. Queste im-magini “ad alta definizione” ri-flettono la mia percezione diSan Francisco, una città definitadalla fiction, e nello specificodagli immaginari videoludici, ci-nematografici e televisivi. Inten-diamoci: è solo un gioco, undivertissement. Pura paidia. Mami spinge a guardare meglio. Aguardare di più. A osservarequello che mi circonda. A inter-rogarmi sulle trasformazioni inatto. Per progettare possibilicambiamenti. Sul campo, nonsemplicemente sullo schermo.Le fantasie forniscono il sostratoontologico del reale, comesanno benissimo i giocatori piùaccaniti e gli psicogeografi vir-tuali. Senza le fantasie, il quoti-diano imploderebbe. Unasocietà che non gioca è una so-cietà incapace di sognare. Ri-nunciare al gioco significaaccettare passivamente lo sta-tus quo. Oggi possiamo diven-tare i game designer dellanostra esistenza. Metterci ingioco. Senza attendere istru-zioni da Electronic Arts.

PLAYERS 17 PAGINA 89

Page 90: Players 17

ARTE

PLAYERS 17 PAGINA

Larissa HailyAguado nasce aBahia Blanca, Ar-gentina, nel 1975.Finite le superiorisi trasferisce a

Buenos Aires dove fre-quenta la facoltà di architet-tura e design presso la

locale università. Dopoavere speso parecchi annilavorando come insegnantedi graphic design e desi-gner, decide di cambiarestile e approfondire la tec-nica del collage. Il suo primoprogetto in quest'ottica è“Life is a collage”, datato

La vita

di Andrea Chirichelli

è

collage

un

90

Page 91: Players 17

PLAYERS 17 PAGINA

2008. Il ritorno al lavoromanuale inteso in sensolato, tagliare la carta, so-vrapporre le figure, crearenuove immagini utiliz-zando foto e illustrazioni,le permette di sperimen-tare nuove tecniche e ap-procci al mondo della

grafica. Dal mouse e dalletavolette grafiche Larissapassa alla colla, alle forbicie alla carta: i suoi lavori,molto apprezzati sulle rivi-ste di moda più importantidel mondo, si possono tro-vare sul suo sito,www.larissahailyaguado.com

LarissaHaily

Aguado

91

Page 92: Players 17
Page 93: Players 17
Page 94: Players 17
Page 95: Players 17
Page 96: Players 17
Page 97: Players 17
Page 99: Players 17

18

Page 100: Players 17