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PLURALISMO INFORMATIVO

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relazione dedicata alla situazione italiana

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IL PLURALISMO INFORMATIVO

Citazione di un classico del costituzionalismo moderno, A. DETOCQUEVILLE, “La democrazia in America”1835-1840: la sovranità del popolo e la libertà di stampa sono due cose del tutto correlate; la censura e il suffragio universale sono al contrario due cose che si contraddicono reciprocamente. Chi afferma l'una deve accettare anche l'altra, in tutte le sue possibili manifestazioni.Ed è per questo che la costituzione Americana, quella a cui guardava Tocqueville, qualifica la libertà di stampa come assoluta e mai limitabile per legge, tanto che i limiti sono individuati solamente dalla giurisprudenza.Nei paesi totalitari, le vetrine sono sempre in ordine; andate a Washington, invece, e vedete di tutto, non si nasconde nulla, e la sua stampa è lì a garantire questa visibilità; ecco perché secondo T., nulla è più raro in questo paese, che vedere un procedimento giudiziario contro un giornale.La ragione è semplice:gli Americani, ammettendo il dogma della sovranità del popolo, l'hanno sinceramente applicato.Sono citazioni di due secoli fa circa, ma che mantengono una straordinaria attualità: CHE COSA CI DICONO QUESTE CITAZIONI?-fra mezzi di comunicazione, controllo del potere e organizzazione del consenso c'è un nesso strettissimo;-tra la libertà d'informazione e la democraticità dell'ordinamento esiste un rapporto simbiotico;-la democrazia si fonda sul consenso e il consenso politico, non diversamente dal consenso ai trattamenti medici, per essere tale deve essere informato: ecco perché non c'è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell'informazione1.Ecco perché la Corte Costituzionale ha definito la libertà di manifestazione del pensiero pietra angolare dell'ordinamento costituzionale.Guardiamo la giurisprudenza costituzionale sul punto:la costante in questa materia è sempre stata quella di assicurare, soprattutto nel settore televisivo,il valore fondamentale del cosiddetto pluralismo informativo.La cosa bizzarra è che se voi consultate i 139 articoli di cui è composta la costituzione, questa parola non la trovate mai, eppure la Corte ragione su questo tema, ma addirittura ha iscritto questo valore in un club esclusivo, quello dei “principi supremi dell'ordinamento giuridico; come noi abbiamo un dna, anche la Costituzione ha un genoma: in questo sono iscritti pochi principi,fra questi c'è proprio il pluralismo informativo.Concretamente questo vuol dire che una maggioranza, nemmeno qualificata, può mai abrogare il principio del pluralismo informativo né può limitarne l'ambito di applicazione.QUAL è LA GENEALOGIA DI QUESTO PRINCIPIO?Dobbiamo guardare l'art.21 della Costituzione: tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di comunicazione.Alla lettera questo comma garantisce e tutela la comunicazione del singolo verso un'altra persona, cioè la libertà di informare, ma non ci dice nulla circa il diritto dell'altra persona di essere informato; questo secondo aspetto, il diritto di essere informato, si aggancia ad un altro comma dell'art.21, il c.5: la legge può stabilire con norme di carattere generale che 1 Cit. Carlo Azeglio Ciampi, nel messaggio alle camere del 23 luglio 2002 sul tema dell'informazione.

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siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.Ecco i due aspetti:informare-diritto di essere informati; quanto poi, a quali sono i mezzi di comunicazione coperti dall'ombrello dell'art.21, il costituente ha pensato alla radio e alla stampa, ma quel riferimento ad ogni altro mezzo di diffusione è un finestra aperta su tutti gli altri mezzi di comunicazione (noi mettiamo oggi non solo la televisione , ma anche le comunicazioni elettroniche, internet).Dunque, lavorando su via interpretativa all'art.21, la Corte Costituzionale ha enucleato un principio supremo, il principio del pluralismo informativo, in linea peraltro con altra fonte trans-nazionali, che essendo più recenti della nostra costituzione, recepiscono il principio e l'attenzione al mezzo di comunicazione televisivo, penso ad es. all'art10 c.1 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo che così recita: ogni persona ha diritto alla libertà di espressione.Tale diritto include la libertà di opinione, la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna delle autorità pubbliche.L'ultima nata, la carta di Nizza, all'art.11 ricalca l'art. Della convenzione europea con un'aggiunta significativa: la libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.Quindi il costituzionalismo non è mai pietrificato, evolve nel tempo; e le norme costituzionali, arricchite da norme trans-nazionali ormai scolpiscono il principio del pluralismo informativoAllora, se dobbiamo parlare di pluralismo informativo, cerchiamo innanzitutto di capire cosa vuol dire:è alla giurisprudenza della Corte che dobbiamo guardare.Una giurisprudenza molto robusta e molto coerente,diversamente da altri settori tematici;declina il PLURALISMO INFORMATIVO N TRE MODI:sono tre differenti ma correlate accezioni, sono tre declinazioni complementari, non alternative, cioè devono esistere tutte e tre contemporaneamente,quali sono queste tre declinazioni?

1. Il Pluralismo interno (qualitativo): cioè il necessario rispetto da parte dei soggetti che si occupano del settore dell'informazione di tutte le diverse opinioni, tendenze politiche,ideologiche, culturali, religiose, presenti nel tessuto sociale.

2. Il pluralismo esterno (quantitativo): cioè presenza nel mercato dell'informazione del maggior numero possibile di giornali ed emittenti radio-televisive.

3. La libertà di scelta dei cittadini tra una pluralità di fonti d'informazione qualitativamente diversificate.

Tante voci possono anche dar vita ad un coro omogeneo, e dunque il pluralismo numerico da solo non conta, essenziale resta la diversità delle voci, ecco perché ci deve essere una pluralità di fonti qualitativamente diversificate.Qual è la conseguenza giuridica?Se la Costituzione è la fonte delle fonti, l'ordinamento legislativo e tutti i suoi atti legislativi devono essere coerenti con il principio del pluralismo informativo.Come si fa a tradurre in concreto l'astratto principio del pluralismo informativo?

1. Eliminare le posizioni dominanti nel settore informativo.2. Ripartire le risorse pubblicitarie all'interno dell'intero settore informativo.

Andiamo a vedere se così è nel nostro ordinamento.Cominciamo dal primo punto, serve una normativa anti-trust: è da mezzo secolo che la Corte Costituzionale invoca la necessità di una normativa contro la concentrazione proprietaria nel settore radio-televisivo

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Ha cominciato a richiederla con la sentenza n.59 del 1960: nel caso in questione, la Corte salva il monopolio televisivo pubblico, in forza della limitatezza delle frequenze e dei costi imprenditoriali che farebbero, altrimenti, della televisione via etere, un'attività predestinata, in regime di libera iniziativa, quantomeno all'oligopolio.Le sentenze che poi negli anni 70 portano la Corte a rompere il monopolio pubblico e ad ammettere nel 74 “le tv private di ambito locale via cavo” e nel 76 “le tv private via etere in ambito locale” si fermano però solo ad un'apertura in ambito locale, perché dati i costi e la limitata disponibilità del mezzo, se si aprisse il mercato televisivo all'ambito nazionale, ci sarebbe il pericolo di situazioni monopolistiche od oligopolistiche private.Quando con la l. n.10 (decreto Craxi) del 1985, la cosiddetta “legge Berlusconi”, quando si apre la televisione nazionale via etere anche ai privati, la Corte costituzionale fin dalle sentenza n.148 del 1981 e n.826 del 1988, ribadisce la necessità che il legislatore apporti un sistema di garanzie anti-trust.Questa cocciuta insistenza è del tutto giustificata, la posizione dominante di un soggetto o di un gruppo privato può alterare le regole della concorrenza, condurre ad una situazione di oligopolio che mette a rischio le altre voci; una posizione di dominanza nel settore privato permette di fare incetta delle risorse pubblicitarie, a scapito di altri operatori del settore destinati alla marginalità o alla morte.Ci sono una serie di luoghi comuni che possono essere oggetto di discussione:

● “una presenza dominante nell'emittenza privata s'impone quasi per legittima difesa per ragioni di mercato, a causa della presenza di un'emittente pubblica di eguali dimensioni”.

Questo sillogismo è fallace: perché?Il ruolo della RAI è diverso, per meglio dire dovrebbe essere diverso da quello delle televisioni private;il pluralismo interno è un obbligo giuridico che grava sulla RAI, non grava in pieno sull'emittenza privata, dove c'è un imprenditore televisivo che è titolare di un diritto di manifestazione del proprio pensiero e dell'iniziativa economica privata.La tv privata non rientra solo all'interno dell'art.21 della Cost. ma anche nell'art.41 che tutela la libertà d'iniziativa privata economica, quindi il pluralismo qualitativo informativo è tendenziale nelle tv private, mentre è massimo in quelle pubbliche.Se così è, allora il pluralismo esterno deve essere massimo; in ragione di questa asimmetria tra tv pubblica e private s'impone, s. n.826 del 1988, la necessità di garantire al massimo il pluralismo esterno onde soddisfare attraverso una pluralità di voci concorrenti il diritto del cittadino di informazione.La tesi per cui se ci sono tre canali rai ci devono essere tre reti mediaset, non tiene giuridicamente proprio perchè la tv privata ha un vincolo tendenziale al pluralismo qualitativo, si deve garantire il massimo del pluralismo esterno nelle emittenti private.Altra conseguenza attiene alla ripartizione delle risorse pubblicitarie nell'intero settore dell'informazione: lo spot non è infatti una libera manifestazione del pensiero, non rientra sotto l'ombrello dell'art.21, è semplicemente la fonte di finanziamento dell'intero comparto dell'informazione, dunque rientra nell'art.41, libertà d'iniziativa privata che può essere limitata per legge a tutela dell'utente consumatore oppure per fini di utilità sociale.Ecco perché è costituzionalmente legittimo porre dei vincoli quantitativi alla pubblicità (indici di affollamento); accanto a limiti quantitativi, la legge può fissare anche dei limiti modali alla pubblicità (es:netta separazione fra spot e programma), che garantiscano l'utente consumatore.

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Se tali vincoli, quantitativi e modali non esistessero o fossero inconsistenti, è facile immaginare cosa accadrebbe:accadrebbe ciò che accade oggi con la SIPRA e PUBBLITALIA, le due concessionarie pubblicitarie dominanti nel mercato, la prima riconducibile alla rai mentre la seconda a mediaset.Esse si trovano nella condizione di offrire pacchetti di spot su più reti, di convincere i clienti a non fare spot su altri emittenti televisive, di abbassare i prezzi per stroncare la concorrenza, di influire sugli investimenti pubblicitari relativi alla stampa, alle radio decretando la vita o la morte delle voci gradite o sgradite, insomma di fare il bello e il cattivo tempo attraverso l'accorpamento delle risorse pubblicitarie nel sistema informativo.In questa situazione di duopolio, che resiste nonostante i tentativi di scardinarlo di la7 e sky, dovrebbe essere chiara a tutti, considerando gli inviti di Berlusconi rivolti alla platea di confindustria, di non stipulare contratti pubblicitari a favore di talune testate giornalistiche o televisive responsabile, a suo dire, di seminare pessimismo sull'Italia e sull'attuale situazione economica.Sono stati approvati i provvedimenti legislativi, nel nostro ordinamento, miranti a realizzare queste due condizioni?Sì, ma non si sono rilevati efficaci. Qualche esempio:l.n.223 del 1990 (legge Mammì), che viene dichiarata incostituzionale (s.n.420 del 1994) dalla Corte che colpisce l'art.15, il quale diceva: un privato poteva controllare fino a tre reti televisive su nove assegnabili ai privati oltre alle tre assegnate alla rai.Cade la legge Mammì e se ne fa un'altra, la l. n.249 del 1997, nota come legge Maccanico, la quale crea l'autorità garante per le telecomunicazioni e introduce per la prima volta una normativa anti-trust con dei tetti, il 30% del mercato televisivo e il 20% delle frequenze, con una piccola postilla, che questi tetti anti-trust non si applicano subito ma vengono rinviati al momento in cui si sarà creato un congruo mercato alternativo di parabole e di satellite.Dopo la legge Maccanico abbiamo una terza legge, quella attualmente in vigore la n.112 del 2004, nota come la legge Gasparri, che in materia di anti-trust recita: i tetti stabiliti sono più severi in termini di percentuale numerica della legge Maccanico, ma finiscono per poi essere più generosi, come mai?Perché il nuovo limite anti-trust del 20% viene rapportato ad un'enorme paniere di risorse, al sistema integrato delle telecomunicazioni.Tale sistema abbraccia tutte le risorse rispetto alle quali una televisione non può superare il 20%, quali sono le risorse che rientrano in questo paniere?Canone radio-televisivo, pubblicità nazionale e locale, sponsorizzazioni,televendite, investimenti da parte di enti e imprese, provvidenze pubbliche ecc..In questo modo in realtà, il legislatore fa il gioco delle tre carte: se io restringo il numeratore, il limite anti-trust, ma contemporaneamente allargo il denominatore, cioè il mercato pubblicitario, la frazione che ottengo è più grande e così il nuovo tetto della legge Gasparri, numericamente più basso, finisce invece per non spaventare nessuno.La legge inoltra eleva al 20% l'indice degli affollamenti pubblicitari, cioè li rende più alti, questo alle tv private al fine di permettere loro di svolgere le cosiddette telepromozioni, una torta di fatturato pubblicitario che solo nel 2004 valeva da sola 500 milioni di euro l'anno.Questa norma ha fatto infuriare la FIEG, la federazione Italiana degli editori e dei giornalistiperché questi soldi, che diventano appetibili per le tv, sono risorse sottratta alla carta stampata, rispetto alla quale la legge Gasparri rimuove il divieto di acquisizioni di testate giornalistiche da parte di chi possiede più di una rete nazionale, il che favorisce la

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formazione di quelle posizioni dominanti, non solo nelle tv ma anche nei giornali, che andrebbero prevenute e, se del caso, severamente colpite.Dopo l'analisi di questi 3 provvedimenti, si può giungere ad una conclusione: c'è un principio costituzionale ce richiede due cose,anti-trust e ripartizione delle risorse pubblicitarie, abbiamo avuto negli anni provvedimenti legislativi che non hanno garantito ne l'una né l'altra condizione essenziale.Per quali ragioni non è possibile avere in Italia nel mercato dell'informazione una seria legislazione anti-trust e una seria legislazione che impedisca la razzia del fatturato pubblicitario?Rispondere a questa domanda permette di sfatare una serie di leggende che popolano il dibattito pubblico sul sistema radio-televisivo:

● severe misura anti-trust sarebbero un vero e proprio esproprio a danno del principale imprenditore televisivo del panorama italiano, una legge contra personam.

Giuridicamente questa è una bugia, che per quanto venga ripetuta resta una bugia, perché?Berlusconi è proprietario delle telecamere, è proprietario degli studi di Cologno Monzese, ma non è proprietario dell'etere, attraverso il quale le sue televisioni trasmettono, perché l'etere è un bene pubblico, limitato in natura.Ne rimangono 12 per irradiare canali televisivi:ecco perchè assegnare una frequenza a Tizio piuttosto che a Caio obbliga il passaggio di un regime concessorio pubblico, e il privato rispetto a questo ha un mero interesse legittimo e il riordino del numero delle concessioni, asservibili ai privati, non solo è possibile ma è costituzionalmente obbligato se imposto dal principio del pluralismo informativo.

● Una normativa contro le concentrazioni proprietarie in materia radio-televisiva sarebbe un unilaterale attacco ad un'azienda, mediaset,una legge contra una impresa.

Questa considerazione si basa su una trama molto suadente: bisogna differenziare la concentrazione proprietaria dal trust; la prima è fisiologica a un mercato, perchè il mercato premia il più bravo.Il trust, invece, è l'aberrazione della logica del mercato, è un abuso della posizione dominante, dunque se così stanno le cose per eliminare il trust bisogna creare mercati,e si deve innanzitutto smantellare la rai, che opera sul mercato senza rispondere alle leggi sul mercato(ha canone, tre reti riservate, provvedimenti ad hoc).Dove sta lo sbaglio?Così ragionando, si confonde la tutela della concorrenza con la tutela del pluralismo, che non sono la stessa cosa:produrre informazione televisiva è qualcosa di particolare, i valori del pluralismo dell'informazione sono diversi da qualunque altra impresa imprenditoriale;questo si riflette sulla norma costituzionale da applicare e sulle leggi che danno attuazione alla normativa costituzionale.Una disciplina anti-trust, cioè il divieto di abuso di posizione dominante si muove entro l'articolo 41 della costituzione, che tutela la libera iniziativa economica privata; qui è in gioco l'interesse del consumatore.La disciplina anti-trust nel settore televisivo invece, chiama in causa non solo l'art.41 ma anche l'art.21 della costituzione, esige che venga vietato non l'abuso di posizione dominante, ma prima ancora che si formi una qualunque posizione dominante, qui è in gioco il diritto all'informazione del cittadino, il processo di formazione del consenso e dell'opinione pubblica.

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● Praterie della nuova tecnologia digitale, è con il digitale terrestre che vi saranno tanti canali e quindi avremo realizzato l'agoniato pluralismo.

Questa considerazione è stata fatta propria dalla legge Gasparri, che nel titolo V si dedica proprio a questo.Dove sta lo sbaglio?C'è un alibi e un equivoco: si contrabbanda illegittimamente la mancanza del pluralismo attuale con la promessa futura di un maggior pluralismo informativo.L'equivoco sta invece nel fatto che il vero problema del pluralismo informativo non è dato dalla possibilità teorica di accesso ai canali digitali, che certo saranno numerosissimi, il problema è l'accesso alle risorse pubblicitarie; e queste risorse pubblicitarie rimangono in mano saldamente alle due concessionarie dominanti, SIPRE e PUBLIITALIA di rai e mediaset.

● C'è oligopolio nella situazione televisiva, però in Italia abbiamo tante testate giornalistiche, tanti quotidiani, tanti periodici di carta stampata numerosa e questo bilancia ampiamente il settore televisivo, quindi permette il massimo di pluralismo possibile.

Per sfatarlo si affronta il pluralismo informativo dei giornali: stampa e tv sono fenomeni profondamente diversi, lo sono innanzitutto sotto il profilo tecnico; per la stampa non c'è un problema di scarsità di mezzo;per la tv esiste un problema di scarsità del mezzo, le frequenze attraversano un bene pubblico, l'etere.Seconda differenza: la stampa è un mezzo di comunicazione freddo, cioè richiede una pacata riflessione da parte del lettore e questo da conto del fatto è un mezzo meno penetrante e meno persuasivo.Differenza di regime giuridico: l'art.21 al c.4 vieta qualunque autorizzazione preventiva e qualunque censura sulla stampa, non sono possibili interventi preventivi dell'autorità pubblica sui giornali.Viceversa la tv è invece sottoposta a un intervento preventivo della pubblica amministrazione, la concessione della frequenza, limiti modali di trasmissione fissati dalla legge ecc., ci sono dei costi elevatissimi, tutto questo diverso regime giuridico fa sì che inevitabilmente le emittenti che siano in grado di trasmettere in chiaro sono in numero limitato.Poi anche differenza di diffusione:l'Italia è un Paese dove poco si legge e pare che i numeri di vendita siano gonfiati.La tv invece bussa alle porte di tutti ed entra nelle case di milioni di individui, tutte queste motivazioni ci spiegano come il principio pluralistico operi in modo diverso nei confronti dei giornalisti della carta stampata rispetto ai giornalisti della televisione.Il diritto all'informazione non può farsi valere nei confronti dei giornali e dei loro giornalisti , un giornale ha la sua linea editoriale, ha dei giornalisti che danno esecuzione a quella linea editoriale e scelgono sempre come e quando dare la notizia.Il diritto all'informazione, invece, è proprio un dovere giuridico, per le emittenti tv e per i giornalisti della televisione, nei confronti dell'emittente di stato questo dovere giuridico è massimo. Parlare di bilanciamento fra tv e stampa non ha senso, sono due mezzi completamente diversi.Soffermiamoci sul rapporto tra pluralismo informativo e stampa:anche qui c'è un luogo comune.

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● La stampa sarebbe il quarto potere, chiamato ad esercitare attraverso la sua attività di controllo e di denuncia, una funzione democratica; in campo giuridico non è possibile, sostenerlo è l'anticamera di possibili limitazioni all'esercizio della libertà di stampa.

Carlo Esposito spiega che la Costituzione Italiana conosce e tutela la libertà di manifestazione del pensiero nella sua natura individualistica, per dire che il diritto di manifestare il proprio pensiero è garantito al singolo come tale indipendentemente dai vantaggi e dagli svantaggi che possano derivarne allo Stato.Questa è una linea che va preservata, perché se diciamo che la libertà di stampa non è individuale ma funzionale alla democrazia, qual è la conseguenza?Che la manifestazione del pensiero anti-democratiche sono vietate, e ogni forza al potere, qualunque essa sia, tende sempre a qualificare le idee antagoniste alle proprie come anti-democratiche.Ecco perchè è un boomerang ricostruire la libertà di stampa come finalizzata ad interessi generali.Si deve metter in conto che giornali vicino al potere possono omettere notizie sgradite, possono presentarle in una luce diversa da quella adottata dalle testate di opposizione, ma questo è la sola possibilità di rendere possibile anche il contrario e solo facendo leva sulla natura individualistica della libertà di manifestazione del pensiero che noi possiamo dire che è illegittimo che l'autorità pubblica invochi il silenzio stampa per motivi di interesse generale, oppure che è illegittimo che l'autorità pubblica imponga la pubblicazione di notizie gradite al potere con la scusa che sono di interesse generale.Tutto questo significa che la stampa non ha dei limiti?Può fare quello che vuole?Ovvio che ci siano dei limiti, ma questi vanno interpretati restrittivamente, più restringo il limite più amplio l'esercizio della libertà.La Cassazione, nel 1984,ha scolpito quelli che i giuristi definiscono i comandamenti, cioè ha indicato quali sono i paletti che il diritto di cronaca non deve travolgere:

1. deve rispettare la realtà oggettiva o putativa dei fatti esposti2. ci deve essere interesse pubblico della notizia3. ci deve essere esposizione civile dei fatti

nel primo caso , ad essere vietate sono solo le manifestazioni soggettivamente false, non anche quelle oggettivamente erronee (il giornalista deve verificare le fonti e deve essere in buonafede).Il reato di diffamazione sussista anche quando ciò che viene narrato è vero, ma è raccontato offensivamente (va evitata la falsificazione personale, le insinuazioni).Ultima osservazione:continuiamo a d avere la legge n.69 del 1993 che prevede l'ordine dei giornalisti e un albo ad iscrizione obbligatoria per lo svolgimento della professione;questa è una strozzatura del pluralismo quantitativo (esterno).

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