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NUMERO 1 - 2019 Chiuso in redazione il 31/01/2019 *Copia ad uso interno POLITICHE PER LE DISABILITÀ NEWS PERIODICO TELEMATICO A CURA DELL'UFFICIO POLITICHE PER LE DISABILITÀ CGIL CORSO D'ITALIA, 25 00198 ROMA E-MAIL [email protected] MANIFESTAZIONE NAZIONALE CGIL - CISL -CISL Roma - 9 febbraio 2019 #Futuroal Lavoro (pag. 42) NOTIZIE PRINCIPALI DISABILI E QUOTE LAVORO: MINISTERI FUORILEGGE – pag. 5 SCONTRO SULLE PENSIONI DI INVALIDITÀ – pag. 7 IL GOVERNO DIMENTICA UN MILIONE DI DISABILI – pag. 8 NOTIZIE LAVORO: DA PAG. 8 SCUOLA: DA PAG. 13 WELFARE: DA PAG. 18 DAL TERRITORIO DA PAG. 22 INTERNAZIONALE: DA PAG. 25 VARIE DA PAG. 37

POLITICHE PER LE DISABILITÀ NEWS · definito il Progetto Personalizzato di Inserimento in armonia e ad integrazione del PEI scolastico. 8. Inizia successivamente la fase di accompagnamento

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Page 1: POLITICHE PER LE DISABILITÀ NEWS · definito il Progetto Personalizzato di Inserimento in armonia e ad integrazione del PEI scolastico. 8. Inizia successivamente la fase di accompagnamento

NUMERO 1 - 2019Chiuso in redazione il 31/01/2019*Copia ad uso interno

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POLITICHE PER LE DISABILITÀ NEWS

PERIODICO TELEMATICO A CURADELL'UFFICIO POLITICHE PER LE

DISABILITÀ CGIL

CORSO D'ITALIA, 25

00198 ROMA

[email protected]

MANIFESTAZIONENAZIONALE

CGIL - CISL -CISL

Roma - 9 febbraio 2019

#Futuroal Lavoro

(pag. 42)

NOTIZIE PRINCIPALI

DISABILI E QUOTE LAVORO: MINISTERI FUORILEGGE – pag. 5

SCONTRO SULLE PENSIONI DI INVALIDITÀ – pag. 7

IL GOVERNO DIMENTICA UN MILIONE DI DISABILI – pag. 8

NOTIZIE

LAVORO: DA PAG. 8

SCUOLA: DA PAG. 13

WELFARE: DA PAG. 18

DAL TERRITORIO DA PAG. 22

INTERNAZIONALE: DA PAG. 25

VARIE DA PAG. 37

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INDICE

LAVORO

IL LAVORO COME PROSPETTIVA DI VITA AUTONOMA 9

NON VA DISCRIMINATA QUELLA LAVORATRICE CHE ACCUDISCE LA FIGLIA CON

DISABILITÀ

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SCUOLA PAGINA

ALUNNI DISABILI, MENO DI UNA SCUOLA SU TRE È ACCESSIBILE 13

ERASMUS E DISABILITÀ: I NUMERI DI UN'ESPERIENZA SENZA BARRIERE 14

SOSTEGNO SCOLASTICO, UNA SENTENZA "SPARTIACQUE" PER CONTRASTARE LA

PRECARIETÀ

16

REPORT ISTAT SU INCLUSIONE SCOLASTICA 17

WELFARE PAGINA

L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ E L’AUTISMO 18

REDDITO DI CITTADINANZA E DISABILITÀ: COSA C'È, COSA MANCA 20

DAL TERRITORIO

DISABILITÀ, TAGLI AI SERVIZI. LE FAMIGLIE: "NON LASCIATE A CASA I NOSTRIFIGLI"

22

DISABILITÀ, IN TOSCANA NASCE IL FORUM DELLE ASSOCIAZIONI 24

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INTERNAZIONALE PAGINA

INTEGRAZIONE, INCLUSIONE ED EQUITÀ: LE POLITICHE EUROPEE

SULL’ISTRUZIONE

25

CARTA EUROPEA DELLA DISABILITÀ, NELLA LEGGE DI BILANCIO 2019 33

POTRANNO VERAMENTE VOTARE TUTTE LE PERSONE CON DISABILITÀ? 35

IL DIRITTO DI VIVERE IN MODO INDIPENDENTE DEV’ESSERE RESO ESIGIBILE E

LIBERO

36

VARIE PAGINA

ACCESSIBILE IN TUTTI I SENSI! 37

UNA DIFFUSIONE CAPILLARE DEL MANIFESTO SUI DIRITTI DELLE DONNE CONDISABILITÀ

38

CASO STELLA MARIS, ANMIC PARTE CIVILE AL PROCESSO PER MALTRATTAMENTISUI DISABILI

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LAVORO

IL LAVORO COME PROSPETTIVA DI VITA AUTONOMA

di Moreno Orlandelli

«Non può essere una responsabilità delegata esclusivamente all’istituzione famiglia – scriveMoreno Orlandelli – quella di garantire ai giovani un avvenire in termini di sostenibilità eautonomia, in particolare se parliamo di ragazzi con particolari fragilità o disabilità. La nostraComunità, costituita da dieci Comuni del Viadanese, in Provincia di Mantova, sta tentando unprocesso di avvicinamento tra il mondo della formazione e quello del lavoro, con un progettosperimentale partito nel 2016 e intitolato “Scuola – Territorio: il lavoro come prospettiva di vitaautonoma”»

I problemi dei giovani meritano una particolare attenzione da parte delle comunità di appartenenza.Una società “generativa”, infatti, ha la responsabilità di fornire radici solide e di traghettare nelfuturo le nuove generazioni. Non può essere una responsabilità delegata esclusivamenteall’istituzione famiglia quella di garantire ai giovani un avvenire in termini di sostenibilità eautonomia, in particolare se parliamo di ragazzi con particolari fragilità o disabilità. Il mondo dellavoro, in questa società dell’incertezza, è criptico e inaffidabile e l’autonomia rimane un miraggiolontano.Per chi ha la necessità di essere sostenuto e accompagnato, il passaggio dal mondo della scuola aquello del lavoro è come un salto nel vuoto. I progetti di alternanza scuola lavoro, pienamenteoperativi solo dall’anno scolastico 2017-2018, presentano ancora molte criticità e non si può, adoggi, parlare di una reale opportunità ai fini occupazionali. Per i ragazzi con disabilità è ancora piùcomplicato poter sfruttare appieno i vantaggi di un’ occasione di conoscenza diretta del mondo dellavoro, senza un accompagnamento effettuato da figure specializzate. La scuola, in molti casi,rappresenta ancora un sistema protetto e autoreferenziale dal quale si esce con un titolo di studionon sempre spendibile nel mondo del lavoro e con un bagaglio esperienziale ancora troppo “vuoto”.L’esame di maturità rimane un rito di passaggio, se pur spogliato della consapevolezza che possasignificare un reale cambiamento di status da studente a membro attivo della società produttiva. Inquesto particolare momento di transizione, il ragazzo e la famiglia hanno la necessità di essereguidati e accompagnati nella scelta del percorso da intraprendere, all’insegna di un welfaregenerativo che presupponga una condivisione da parte dell’intera comunità – rappresentata dalleistituzioni pubbliche (scuola e servizi territoriali), ma anche dalle imprese sociali,dall’associazionismo e dal mondo produttivo – della responsabilità di organizzare sistemi efficaci di“traghettamento”.

La Comunità Viadanese, Ambito Distrettuale costituito da dieci Comuni della Provincia diMantova, per una popolazione complessiva di circa 48.000 abitanti, sta tentando un processo diavvicinamento tra il mondo della formazione e quello del lavoro, con la realizzazione di un progettosperimentale partito nel 2016 e finanziato come Azione di Sistema del Piano Disabili dellaProvincia di Mantova, dal titolo Scuola – Territorio: il lavoro come prospettiva di vita autonoma.L’iniziativa nasce da un lavoro svolto nel 2013 da un Gruppo di Coordinamento Tecnico istituito dalConsorzio Pubblico Servizio alla Persona, che riunisce appunto i dieci Comuni dell’AmbitoViadanese. Questa équipe (composta da operatori del CEAD-Centro per l’Assistenza Domiciliare:Comuni/ASL; Neuropsichiatra Infantile e Adolescenziale Territoriale: operatori del Centro Psico

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Sociale Territoriale; referente dell’Ufficio Scolastico Provinciale; operatori del NIL-NucleoInserimenti Lavorativi) ha approfondito temi importanti quali la necessità di condividere princìpi difondo, finalità e un metodo operativo. Il percorso ha prodotto il documento intitolato Linee Guidaper la definizione di percorsi assistenziali che favoriscano l’integrazione ed il coordinamento dellefunzioni sociali, sanitarie ed educative nel settore della disabilità adulta, da cui emerge unamodalità operativa che prevede una presa in carico altamente personalizzata, condivisa tra glioperatori dei Servizi e le Istituzioni e con il pieno coinvolgimento degli interessati (persona efamiglia).Le azioni proposte hanno riguardato la delicata fase dell’adolescenza e in particolare il momento incui si conclude il percorso formativo che va presidiato con particolare attenzione. Fonted’ispirazione è stato il Piano d’azione regionale della Lombardia per le politiche in favore dellepersone con disabilità del 15 dicembre 2010, soprattutto laddove afferma che «è indispensabile chel’organizzazione dei servizi evolva sempre più verso un modello strutturato in funzione dellenecessità della persona, basato sulla “presa in carico” del soggetto, intesa non come una merasomma di prestazioni, ma come un unico processo, ininterrotto e condiviso, di ascolto delladomanda, orientato ad assicurare la continuità e la qualità delle risposte».

È ormai patrimonio di conoscenza comune l’importanza di lavorare insieme alla creazione di talipresupposti, per poter raggiungere, in modo concreto e duraturo e in un numero di casi sempremaggiore, l’obiettivo dell’inclusione socio-lavorativa. Il Progetto SCUOLA – TERRITORIO ci hapermesso di garantire continuità al lavoro svolto dando una risposta ai bisogni evidenziati, secondoi princìpi condivisi. I partner del Progetto, ad oggi, sono:

– gli Istituti di Istruzione superiore di Viadana;

– i Comuni dell’ambito viadanese;

– l’Associazione Temporanea di Scopo tra gli Enti accreditati per i Servizi al Lavoro e laFormazione, ovvero: IAL (Innovazione Apprendimento Lavoro Lombardia Srl – Impresa Sociale,sede di Viadana), UMANA (Agenzia per il Lavoro con una estesa rete di filiali su tutto il territorionazionale, autorizzata dal Ministero del Lavoro) e NIL (Nucleo Inserimenti Lavorativi delConsorzio Pubblico Servizio alla Persona di Viadana).

Aderisce inoltre al progetto – oltre al privato sociale e ai servizi territoriali – anche Confindustria,resasi disponibile a promuovere i temi della responsabilità sociale presso le proprie aziende.

Il progetto, nel concreto, ha permesso l’attivazione di percorsi di autonomia, finalizzati allapreparazione all’ingresso nel mondo del lavoro, rivolti a ragazzi con disabilità certificata (Legge104/92), che frequentano il terzo anno degli Istituti di Formazione Professionale o il quinto annodelle Scuole Secondarie di Secondo Grado.

I documenti di programmazione (PAI-Piano Annuale di Inclusività; PEI-Piano EducativoIndividualizzato; PPI-Piano Personalizzato di Intervento), che normalmente vengono gestiti inmodo autoreferenziale dai vari attori della rete coinvolti (scuola, servizi sanitari, servizi socio-assistenziali, servizi per il lavoro) si ridefiniscono in funzione di un unico “progetto di vita”,garantendo continuità di intervento e condivisione degli obiettivi. Il progetto personalizzato diaccompagnamento nella fase di transizione dal mondo della scuola al mondo del lavoro vienecondiviso con il ragazzo e con la famiglia. Oltre ai consueti percorsi di alternanza scuola lavoro,poi, con questo progetto si è introdotta – come elemento rilevante e innovativo – la sperimentazionedi una presa in carico precoce, condivisa e fortemente individualizzata.

Il modello organizzativo di rete permette di lavorare in raccordo con i servizi territoriali che hanno

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in carico i casi, creando i presupposti per l’avvio di un percorso di affiancamento finalizzatoall’indipendenza e all’inserimento nel mondo produttivo. Centrale, in tal senso, è la figura del casemanager cui viene assegnato il ruolo di consulente della rete. Il “costo” rappresentato dall’ingaggiodi questa figura – ormai menzionata in innumerevoli atti ministeriali e regionali per l’attivazione didiverse misure innovative – rimane vincolato al finanziamento specifico, a termine, oppure lamansione è delegata all’operatore sociale di territorio, che purtroppo ha già un carico di lavorotroppo gravoso. Tuttavia l’obiettivo dell’inserimento socio-lavorativo non può prescindere da unapproccio generalizzato a tutti gli aspetti della vita e a tutti gli àmbiti in cui questa si svolge. Il “casemanager” accompagna la persona in un percorso di consapevolezza e di emancipazione,coinvolgendola in relazione all’ambiente circostante, per migliorarne l’inclusione e dunque laqualità della vita. Nel progetto egli opera in collaborazione con l’équipe del Servizio PromozioneVita Indipendente (SeProVI) e con il NIL distrettuale. Si tratta di un operatore che rappresenta unpunto di forza per la realizzazione di un’efficace progettazione individualizzata, in quanto gli vieneaffidata la regìa stessa del progetto e da ciò dipende, per buona parte, l’esito delle azioni intraprese.

Dal punto di vista operativo/metodologico, SCUOLA – TERRITORIO” prevede il seguente iter neirapporti tra i servizi e la scuola:

1. Gli insegnanti della Scuola Secondaria di Secondo Grado inviano le segnalazioni e ladocumentazione riguardante i casi al Centro Multiservizi (ex CeAD) cui compete il primo livello divalutazione multidimensionale.

2. Gli insegnanti di sostegno che hanno effettuato le segnalazioni, presentano i ragazzi e le lorofamiglie all’assistente sociale del Centro Multiservizi in un primo colloquio conoscitivo.

3. Il Centro Multiservizi assegna il caso ad un case manager e, in un secondo colloquio, lo presentaal ragazzo e alla famiglia.

4. Il case manager si occupa della raccolta delle informazioni dalla rete di relazioni, dalla rete deiservizi e unità d’offerta e gestisce e monitora tutte le fasi successive.

5. Viene effettuata una valutazione multidimensionale su base ICF [la ClassificazioneInternazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute elaborata dall’OrganizzazioneMondiale della Sanità, N.d.R.], prevedendo l’utilizzo di un protocollo operativo per la valutazionedella motivazione al cambiamento e dell’empowerment personale [crescitadell’autoconsapevolezza, N.d.R.].

6. Viene convocato uno “Staff di Progetto” che coinvolge l’équipe multiprofessionale, la scuola, ilNIL e i referenti dei servizi che verranno coinvolti nella progettazione individualizzata. 7. Vienedefinito il Progetto Personalizzato di Inserimento in armonia e ad integrazione del PEI scolastico.

8. Inizia successivamente la fase di accompagnamento verso l’autoconsapevolezza el’autodeterminazione (laddove necessario).

9. Si effettua l’inserimento in azienda e il tutoraggio per tutto il periodo del tirocinio.

10. Si effettua una verifica intermedia nell’àmbito dello Staff di progetto.

11. Al termine del percorso si effettua una verifica finale da parte dell’équipe e la valutazione delraggiungimento degli obiettivi mediante l’utilizzo di apposite scale.

12. Si procede in raccordo con i servizi del territorio, accompagnando l’eventuale presa in caricodel ragazzo e della famiglia e garantendo continuità nelle azioni finalizzate all’inclusionesociolavorativa.

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Ci sono state difficoltà dovute a una reciproca diffidenza tra operatori di Istituzioni diverse e conuna diversa formazione. È stato quindi necessario conoscersi, per superare ostacoli endemici etimori di ingerenze.

Un rischio percepito è stato anche quello della creazione di sovrastrutture poco funzionali escarsamente efficaci. E tuttavia è significativo che dopo due annualità di sperimentazione dipercorsi di accompagnamento condivisi, per l’anno scolastico 2018/2019 le segnalazioni da partedella scuola siano aumentate addirittura del 50% (da 7 a 14 ragazzi segnalati).Sia i genitori che gli insegnanti – durante gli incontri con l’équipe per il monitoraggiosull’andamento del progetto – hanno evidenziato la necessità di giungere ad una stabilizzazione delservizio, prevedendo percorsi di accompagnamento strutturati, con figure dedicate con le quali poterprogrammare anno per anno, con dovuto anticipo, l’iter della “transizione” per i ragazzi a finepercorso. E del resto, l’eterno cruccio di chi si occupa di progettazione di servizi innovativi èl’enigma legato alla continuità delle iniziative intraprese: ogni anno si torna a chiedersi se potremogarantire ancora quel “servizio” che ha dato buoni risultati, ma che è appeso ad un filo sottilerappresentato dalla volontà di rimettere risorse su quel capitolo specifico.

(25 gennaio 2019)

Fonte: Superando.it

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NON VA DISCRIMINATA QUELLA LAVORATRICE CHE ACCUDISCE LA FIGLIA CONDISABILITÀ

Rientrata al lavoro dopo la seconda maternità, una donna è stata trattata sfavorevolmente, inparticolare dal punto di vista dell’orario, ciò che le ha di fatto impedito di accudire la figlia condisabilità. Ora il Giudice del Lavoro le ha riconosciuto la discriminazione, condannando l’aziendaa un risarcimento, oltreché a indicare un orario di lavoro sostenibile, sia per lei che per ogni altralavoratrice con necessità analoghe, affermando in pratica che un’azienda deve tutelare ladisabilità anche nel caso in cui una dipendente debba assistere un familiare

È certamente interessante la Sentenza prodotta il 24 gennaio scorso dal Giudice del Lavoro delTribunale di Ferrara, di cui leggiamo sulla testata «Estense.com», che ha per protagonista ladipendente di un centro commerciale della città di Cento.

I fatti risalgono al 2017, quando la donna rientrò al lavoro dopo la sua seconda maternità, ricevendodall’azienda un trattamento ritenuto molto penalizzante, in particolare dal punto di vista dell’orario,ciò che di fatto le impediva di riuscire ad accudire la figlia più piccola, persona con disabilità eaffetta da una grave patologia oncologica. Andati dunque a vuoto tutti i tentativi di confronto con lapropria azienda, la lavoratrice – sostenuta dal Sindacato FILCAMS-CGIL e da due legali – haportato la questione nelle aule del Tribunale.

Ebbene, come detto, nei giorni scorsi il Giudice del Lavoro si è pronunciato, riconoscendo alladonna la discriminazione e condannando la Società Bennet a risarcirla e a pagare le spese legali,oltreché ad indicare un orario di lavoro sostenibile, sia per lei che per ogni altra lavoratrice connecessità analoghe.

«Secondo la Corte – ha dichiarato l’avvocato Alberto Piccinini a “Estense.com» – la tutela deldisabile da parte dell’azienda è presente anche nel caso in cui una dipendente debba assistere unfamiliare. In attesa dunque di leggere le motivazioni della Sentenza, immaginiamo che sotto questoprofilo il Giudice abbia riconosciuto la natura discriminatoria».«Il Giudice ha riconosciuto la discriminazione verso la disabilità – ha ribadito Maria Lisa Cavallinidel Sindacato FILCAMS-CGIL -, con una Sentenza che riconosce alla madre la tutela del diritto dellavoro e una retribuzione adeguata. Una Sentenza, riteniamo, che debba essere di monito anche perle altre catene e gli altri negozi commerciali». (S.B.)

(31 gennaio 2019)Fonte: Superando.it

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SCUOLA

ALUNNI DISABILI, MENO DI UNA SCUOLA SU TRE È ACCESSIBILE

Report dell'Istat sull'inclusione scolastica. Solo il 32% delle scuole è accessibile dal punto di vistadelle barriere fisiche, percentuale che scende al 18 se si considerano le barriere che ostacolano chiha limitazioni sensoriali. 1 scuola su 4 carente di postazioni informatiche adattate agli alunni consostegno

ROMA - Meno di una scuola su tre è "accessibile" agli alunni che necessitano un sostegno. Lorivela l'Istat nel report 'L'inclusione scolastica: accessibilità, qualità dell'offerta e caratteristichedegli alunni con sostegno’. "A partire dall'anno scolastico 2017/2018- si legge nel rapporto-l'indagine ha esteso il campo di osservazione anche alla scuola dell'infanzia e alla scuola secondariadi secondo grado, fornendo un quadro informativo ampio, in termini di risorse per l'inclusione, sututte le scuole del territorio italiano. Si tratta complessivamente di 56.690 scuole, frequentate da272.167 alunni con sostegno (il 3,1% del totale degli iscritti)".

-"Soltanto il 32% delle scuole risulta accessibile dal punto di vista delle barriere fisiche: più criticala situazione del Mezzogiorno dove il 26% di scuole è a norma. Il quadro peggiora se si considera lapresenza di barriere senso-percettive che ostacolano gli spostamenti delle persone con limitazionisensoriali: la percentuale di scuole accessibili scende al 18%, anche in questo caso la quota piùbassa si registra nelle regioni del Mezzogiorno (13%)".

"Una scuola su quattro risulta carente di postazioni informatiche adattate alle esigenze degli alunnicon sostegno. Contrariamente a quanto previsto per un percorso didattico inclusivo, la collocazionedelle postazioni informatiche in classe risulta poco frequente (43% delle scuole)". (DIRE)

(3 gennaio 2019)Fonte: RedattoreSociale.it

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ERASMUS E DISABILITÀ: I NUMERI DI UN'ESPERIENZA SENZA BARRIERE

Dal 2014 al 2017 hanno partecipato a esperienze professionalizzanti in Europa 709 giovani conbisogni speciali. Numeri più esigui per gli studenti di istituti tecnici e licei e per gli universitari

I ragazzi con disabilità possono fare un’esperienza di studio o tirocinio in Europa perché l’obiettivodel Programma Erasmus+, gestito dalla Commissione europea e dai diversi Paesi partecipanti, èl’apprendimento continuo attraverso un’esperienza all’estero. Non importa se si frequenta unascuola professionale, un liceo, l’università, si lavora, si ha un bisogno speciale o una situazioneeconomica disagiata. In Italia la gestione è affidata a tre enti: l’Agenzia nazionale Erasmus+ Indire– con competenza in materia d’istruzione scolastica, istruzione superiore ed educazione degli adulti–, l’Agenzia nazionale Erasmus+ Inapp per il settore Istruzione e formazione professionale,l’Agenzia nazionale per i giovani in ambito di educazione informale degli under 30. Quindi nonsono soltanto gli universitari ad andare a studiare in giro per l’Europa. A specificarlo è l’inchiesta diMichela Trigari pubblicata sul numero di ottobre di SuperAbile Inail, il magazine per la disabilitàdell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro curato dall’agenzia distampa Redattore Sociale. Ma diamo un po’ di numeri. Nel 2017 l’Agenzia Erasmus+ Inapp per il settore Istruzione eformazione professionale ha finanziato 29 progetti che hanno coinvolto ragazzi con bisogni speciali,quasi il triplo rispetto all’anno precedente: nel 2016, infatti, erano stati appena dieci, nove nel 2015e 20 nel 2014. Nell’ambito dei questi progetti, in questi anni, hanno potuto partecipare a esperienzeprofessionalizzanti di mobilità transnazionale in Europa 709 giovani con disabilità (683 in azienda,26 in scuole o centri di formazione professionale). In questo quadriennio il finanziamento totaleapprovato per questa tipologia di progetti è stato di oltre 21 milioni di euro, mentre a presentarlisono stati soprattutto scuole e istituti professionali (25), enti di formazione (14), organismi delTerzo settore (13), aziende (8) e pubbliche amministrazioni (7).

"Tra gli obiettivi del programma Erasmus+, infatti, c’è la promozione dell’equità e dell’inclusione:per questo possono accedere alle opportunità offerte anche ragazzi con disabilità fisiche, cognitive esensoriali, con difficoltà di apprendimento, con problemi economici in famiglia o di originestraniera – spiega Rossano Arenare dell’Agenzia Erasmus+ Inapp per il settore Istruzione eformazione professionale –. Si cerca in questo modo di abbassare il livello di abbandono scolastico,migliorare la conoscenza delle lingue straniere, aumentare le competenze personali e professionali,preparare al mondo del lavoro, sviluppare maggiore autonomia nei giovani", compresi quelli condisabilità. A partecipare sono apprendisti, studenti, neodiplomati o neoqualificati, che fannoun’esperienza professionalizzante o un tirocinio all’estero in imprese o altri contesti di lavoro,scuole o centri di formazione. "Per i giovani con bisogni speciali i costi sono coperti al 100% ecomprendono, oltre alle spese di viaggio, vitto e alloggio e alla presenza di un accompagnatore,anche l’eventuale acquisto di qualsiasi supporto in grado di facilitare la loro partecipazione e,laddove necessario, perfino il coinvolgimento di personale specializzato come il logopedista o ilfisioterapista". Purtroppo, però, la percentuale di studenti con bisogni speciali che prende parte aquesto tipo di attività promosse da Erasmus+, rispetto al totale di tutti i partecipanti, è bassa: solol’1,9% in quattro anni. Numeri più esigui, invece, ma stessa filosofia inclusiva, per quanto riguarda il settore Scuola ededucazione degli adulti Indire: sono state 180, infatti, le persone con disabilità o bisogni specialipartite per l’Erasmus tra il 2014 e il 2017. Il dato si riferisce sia a studenti delle superiori sia a

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insegnanti, educatori o altro tipo di personale disabile. E all’università che succede? Anche se nelcorso degli ultimi tre anni accademici la partecipazione di studenti, docenti o altro staff condisabilità ha registrato una crescita media del 36%, passando da 35 persone nel 2014/2015 a 45 nel2015/2016 e a 61 nel 2016/2017, il numero totale di giovani partiti per l’Erasmus (141) è basso. Su33 atenei coinvolti nell’ultimo anno accademico di riferimento, l’Università di Milano-Bicocca,l’Università di Modena e Reggio Emilia e quella di Padova sono stati i primi tre con il maggiornumero di studenti disabili in mobilità individuale europea.

"Su questi dati, però, bisogna fare un paio di precisazioni. Per il settore Scuola non è possibileestrapolare esattamente il numero di alunni disabili partiti per l’Erasmus, perché quasi tutti iprogetti europei riguardano l’intera classe; quindi il ragazzo con bisogni speciali che partecipa conin suoi compagni non viene “contato” a parte e pertanto il dato precedente è sottostimato – spiegaSara Pagliai, coordinatrice dell’Agenzia nazionale Erasmus+ Indire –. Per quanto riguardal’università, invece, il numero italiano è tra i più alti d’Europa. Inoltre gli studenti universitaridisabili sono molto meno rispetto ai ragazzi con disabilità che frequentano un liceo o una scuolaprofessionale, per cui anche i numeri di quelli che vanno in Erasmus sono più bassi. E sel’attenzione per i giovani con bisogni speciali è via via cresciuta nel tempo, nell’intenzione dellaCommissione europea per il 2021-2027 c’è la volontà di raddoppiare i fondi a loro destinati".(Michela Trigari)

(4 gennaio 2019)Fonte: RedattoreSociale.it

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SOSTEGNO SCOLASTICO, UNA SENTENZA "SPARTIACQUE" PER CONTRASTARELA PRECARIETÀ

Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da Anief sul caso Sicilia: nella regione, 7 milainsegnati di sostegno su 18 mila è supplente. In base alla sentenza, ora il Miur dovrà assumere inbase alle esigenze effettive. Rapisarda: “Governo ne tenga conto per la riforma del sostegno”

ROMA - Una sentenza potrebbe - o meglio dovrebbe - fare la riforma. O almeno ispirarla. E' quantosuggerisce e auspica Gianluca Rapisarda, consigliere della Federazione Pro Ciechi, commentandosu “Orizzonte Scuola” il verdetto del Tar Lazio sul caso Sicilia. In sintesi, gli avvocati di AniefWalter Miceli e Fabio Gana avevano denunciato la grave situazione del sostegno nella regione, dove7 mila insegnati di sostegno su 18 mila è supplente. Supplente significa precario: dal punto di vistadell'alunno con disabilità, significa cambiare quasi certamente insegnante di sostegno, almeno unavolta (ma spesso più volte) nel corso dell'anno. Questa situazione era favorita dalla prassidell'Ufficio scolastico regionale di assegnare i docenti di sostegno sulla base di “numeri virtuali odatati, rilevati in modo parziale o in base a stime per nulla corrispondenti alla realtà”, come hadenunciato Anief.Ora, la sentenza obbliga il Miur ad attivare il numero di posti di sostegno in base all'effettivaesigenza degli alunni con disabilità e a rilevare con precisione il fabbisogno su tutto il territorionazionale. Sulla base di quanto disposto, infatti, la dotazione organica di sostegno non può e nondeve “essere ancorata sic et simpliciter a quanto esistente più di un decennio addietro, dovendosiinvece puntualmente e attentamente monitorare la situazione per l’evidente aumento delle patologieindividuate come rilevanti”. In tale quadro,continuano i Giudici del Tribunale Amministrativo,“l’obbligo dell’amministrazione si traduce nella necessità di un'attenta istruttoria anche verificandola concreta esistenza delle condizioni legittimanti la necessità di insegnanti di sostegno, nonpotendosi lasciare esclusivamente all’esperimento degli strumenti di tutela la riconduzione alegittimità, attesa la particolare condizione della popolazione scolastica con disabilità”.

“La decisione del Tar Lazio avrà senza dubbio ripercussioni anche a livello nazionale, perché per laprima volta i giudici amministrativi sono entrati nel merito di come vengono determinati gliorganici di sostegno – commenta Rapisarda - In Sicilia, quest’anno, per gli oltre 27 mila alunni condisabilità sono previsti 18 mila e 506 posti di cui il 38% coperti da docenti 'in deroga' , nonspecializzati e non abilitati e che, cosa ancor più grave, non appartenendo all’organico di diritto,cambiano ogni anno. Ora, con la sentenza del Tar Lazio si stabilisce, per la prima storica volta nelnostro Paese, che il ricorso frequente ed indiscriminato ad un numero eccessivo di insegnanti'ballerini' lede i diritti dei lavoratori, ma soprattutto quello sacrosanto della continuità didattica degliallievi disabili – continua Rapisarda -. Gli usr non potranno più emettere il solito decreto direttorialecon cui dispongono un numero crescente di posti in deroga non variando i posti di diritto – conclude–. Siamo quindi di fronte a una sentenza 'esemplare' e 'spartiacque' con la quale, d’ora in poi, inostri governanti dovranno giocoforza fare i conti, anche in vista dell’imminente preannunciatariforma del sostegno”.

(9 gennaio 2019)Fonte: RedattoreSociale.it

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REPORT ISTAT SU INCLUSIONE SCOLASTICA

Indagine dell'Istat pubblicata il 3 gennaio 2019 sull'inclusione scolastica, accessibilità, qualitàdell'offerta e caratteristiche degli alunni con sostegno anno scolastico 2017/18.

Sono 272.167 gli alunni con disabilità che hanno frequentato la scuola nell'anno scolastico 2017/18,pari al 3,1 per cento del totale degli iscritti. Il maggior numero di alunni con disabilità è nella scuolaprimaria con 95.838, a seguire 72.477 nella secondaria di primo grado, 72.194 nella secondaria disecondo grado e 31.650 nella scuola dell'infanzia. La disabilità più frequente è intellettiva eriguarda il 46 per cento degli alunni con sostegno, seguono i disturbi dello sviluppo con il 25 percento e quelli del linguaggio con il 20 per cento. Molti gli alunni che hanno più di un problema disalute (48 per cento).Secondo i dati del Ministero dell'istruzione, gli insegnanti di sostegno sono circa 156 mila, con unrapporto di 1,5 alunni per insegnante, ma dal dettaglio territoriale emerge una maggiore dotazionenelle regioni del sud con 1,3 alunni per insegnante. La continuità del rapporto tra docente disostegno e alunno con disabilità non risulta ancora garantita, il 41 per cento degli alunni hacambiato insegnante rispetto all'anno precedente mentre il 12 per cento lo ha cambiato nel corsodell'anno scolastico. Il 36 per cento degli insegnanti di sostegno viene selezionato dalle listecurriculari poiché la graduatoria degli insegnanti specializzati per il sostegno non è sufficiente asoddisfare la domanda. Il 5 per cento delle famiglie ha presentato negli anni un ricorso al Tar perottenere l'aumento delle ore di sostegno, con percentuale del 6 per cento nel sud e del 3 per centonel Nord.Gli assistenti all'autonomia e alla comunicazione sono circa 48 mila con un rapportoalunno/assistente pari a 5,1 a livello nazionale, ma nel sud l'offerta è decisamente inferiore, 6,5alunni ogni assistente, infatti gli alunni con gravi problemi dispongono mediamente di 12,9 oresettimanali di assistenza all'autonomia e alla comunicazione, ma nelle scuole del nord ricevonomediamente 3 ore di supporto in più rispetto a quelle del sud.Per quanto riguarda le barriere architettoniche, soltanto il 32 per cento delle scuole risultaaccessibile dal punto di vista fisico-strutturale, ma il problema si accentua se si considera lapresenza di barriere senso-percettive, solo il 18 per cento delle scuole dichiara di possederefacilitatori volti a favorire l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi agli alunni con disabilitàsensoriale.

(23 gennaio 2019)Fonte: Superabile.it

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L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ E L’AUTISMO

a cura di Elena Gabardi

L’elaborazione in corso di due nuove Linee Guida, una per i bambini e gli adolescenti, l’altra pergli adulti, l’aggiornamento delle Linee di Indirizzo Sanitario e molto altro, in particolare sul pianodella diagnosi precoce e della formazione: durante una recente riunione del Comitato Scientificodella Fondazione Trentina per l’Autismo, Maria Luisa Scattoni, coordinatrice del ProgettoNazionale per il riconoscimento precoce dell’autismo NIDA, oltreché coordinatricedell’Osservatorio Nazionale Autismo, ha spiegato le principali iniziative dell’Istituto Superiore diSanità in àmbito di autismo

«L’autismo è una condizione cronica. Un terzo delle persone autistiche sono non verbali. In Italiamanca una prevalenza esatta e non si conosce quale sia l’impatto socio-economico del disturbo, undato importante, questo, per stabilire la qualità dei servizi. Proprio partendo da tale gap è statoistituito, presso l’Istituto Superiore di Sanità, il Coordinamento dell’Osservatorio Nazionale per ilMonitoraggio dei Disturbi dello Spettro Autistico, finanziato dal Ministero della Salute nel 2016».Sono parole di Maria Luisa Scattoni, coordinatrice del Progetto Nazionale per il riconoscimentoprecoce dell’autismo NIDA (Network Italiano Diagnosi Autismo), oltreché coordinatricedell’Osservatorio Nazionale Autismo e del Comitato Tecnico-Scientifico per le Linee Guidasull’Autismo dell’Istituto Superiore di Sanità. Scattoni ha partecipato, nelle scorse settimane, allariunione di Rovereto del Comitato Scientifico della Fondazione Trentina per l’Autismo, organismodi cui fa parte.

L’Istituto Superiore di Sanità, dunque, ha promosso il primo studio italiano che ha preso in esame lecertificazioni degli Uffici Scolastici Regionali dei bambini di 7-9 anni, somministrando circa 13.000questionari nelle zone di Lecco, Monza-Brianza, Roma e Provincia, Palermo e Provincia. Ne èemerso un dato importante: la prevalenza del disturbo rilevata nelle tre aree è stata di 1,35 ogni 100bambini, confermando dunque che i disturbi dello spettro autistico, come ha sottolineato Scattoni,«si configurano come una problematica seria, rispetto alla quale l’Istituto Superiore di Sanità puntasulla formazione, la consulenza e il controllo dei servizi». «Nel 2015 – ha aggiunto la studiosa – èstata ratificata la prima Legge sull’autismo [Legge 134/15, N.d.R.], ma senza fondi. Il Governo hastanziato poi un fondo per l’autismo di 5 milioni di euro per ogni anno e i primi 10 milioni sonostati dedicati alle attività presenti nella Legge». «Stiamo lavorando intensamente al fianco delleIstituzioni Pubbliche – ha dichiarato dal canto suo Giovanni Coletti, presidente della FondazioneTrentina per l’Autismo e del Centro Specialistico Casa Sebastiano – e registriamo che finalmente laconsapevolezza della gravità della condizione autistica e della necessità di un protocollo diintervento strutturato è arrivata anche alle “alte sfere”. Le persone con autismo, le famiglie, imedici, gli insegnanti, tutti abbiamo bisogno di servizi efficienti e formazione specifica. In questomodo i miglioramenti ci sono, eccome. Lo hanno capito anche il Ministero della Salute e l’IstitutoSuperiore di Sanità: è un investimento proficuo, perché comporterà non solo maggior benessere perle persone, ma anche una riduzione dei costi sanitari futuri».

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Attualmente, va ricordato poi, l’Istituto Superiore di Sanità sta elaborando ex novo due LineeGuida, una per i bambini e gli adolescenti, l’altra per gli adulti. «Nel maggio dello scorso anno –spiega Scattoni – è stata aperta la selezione pubblica e sono arrivate 260 candidature di esperti. Afine luglio è stata comunicata la composizione dei panel [“gruppi di lavoro”, N.d.R.], a settembre siè svolta la prima riunione e il sito web è stato attivato per avviare la consultazione da parte deiportatori d’interesse, che stanno ancora collaborando in tal senso e lo faranno fino al 9 gennaio. Iquesiti clinici prioritari riguardano la diagnosi e i trattamenti più raccomandati sulla base dellaletteratura scientifica, valutata da due grandi centri metodologici indipendenti rispetto al panel. Lebuone pratiche saranno prese in considerazione per quei requisiti clinici per cui non ci sonoevidenze scientifiche, come l’organizzazione dei servizi per gli adulti».

È di diciotto mesi il tempo stimato per la realizzazione delle nuove Linee Guida, che rivolgerannola propria attenzione a tutti i vari aspetti: «I membri del panel – precisa ancora Scattoni – sono statichiamati a non avere idee preordinate su nessun tipo di intervento. Non spetta a loro decidere leraccomandazioni sulla base di quello che sono i propri interessi economici o intellettuali ad ampiospettro. Loro sono chiamati ad elencare una serie di interventi su cui vogliono interrogare laletteratura. Sarà la letteratura scientifica, sulla base dei vari punteggi, a dire quali sono quelliraccomandati o meno. Una volta definite, le raccomandazioni verranno elaborate e messe onlineimmediatamente. Speriamo di avere la prima entro il prossimo mese di marzo».

L’Istituto Superiore di Sanità sta aggiornando anche le Linee di Indirizzo Sanitario suddivise inquattro aree. «In questo caso – informa Scattoni – le Regioni, entro sei mesi dall’approvazione inConferenza Unificata, saranno chiamate a ratificarle e a mettere a punto un piano operativo dainviare al Ministero. Una delle quattro aree riguarderà la diagnosi precoce, partendo cioè dai minori“ad alto rischio”, ovvero i fratelli o le sorelle di soggetti autistici e i prematuri, ciò per cui è giàattivo in sette Regioni italiane il network NIDA (Network Italiano Diagnosi Autismo). È cruciale,infatti, monitorare i fratellini e la speranza è quella di arrivare ad una diagnosi entro i 18 mesi. Abreve tutte le Regioni dovranno identificare un Centro NIDA, un centro di eccellenza, checollaborerà con i vari Servizi di Neuropsichiatria e con la Pediatria di Base». «Sulla popolazionegenerale da 0 a 3 anni – denuncia quindi l’esperta dell’Istituto Superiore di Sanità – non ci sonostrumenti di valutazione precisi. Pertanto l’obiettivo è quello di mettere a punto un protocollo disorveglianza dello sviluppo con l’accordo tra la SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatriadell’Infanzia e dell’Adolescenza) e il mondo della pediatria, per consolidare la rete dei servizi emettere la pediatria locale in contatto con essi. Ed è stato infine costituito un Gruppo di Lavoro sulNeurosviluppo, che sta lavorando su due protocolli da inserire nei bilanci di salute».

Infine, un chiarimento sui percorsi di formazione, che saranno di tre tipi: «La formazione della retecurante, tramite una scuola di alta formazione o un master di secondo livello per operatori che giàlavorano nel settore del Servizio Sanitario Nazionale o nei Centri ad esso accreditato. Quindi, laformazione della rete educativa, con la messa a punto di un corso di formazione a distanza conl’Università di Trento sugli asili nido, la scuola dell’infanzia e la primaria, a cura di Paola Venuti,che nell’Ateneo trentino dirige il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive e che è un’altracomponente del Comitato Scientifico della Fondazione Trentina per l’Autismo. L’Università dellaSapienza di Roma curerà dal canto suo gli interventi cosiddetti Peer Mediated o di integrazionescolastica e di inclusione lavorativa».

(7 gennaio 2019)

Fonte: Superando.it

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REDDITO DI CITTADINANZA E DISABILITÀ: COSA C'È, COSA MANCA

La misura appena varata dal governo riguarda anche le persone con disabilità e le loro famiglie:nel loro caso, il limite del patrimonio mobiliare aumenta di 5 mila euro per ogni componentedisabile. L'Isee dovrà comunque essere inferiore a 9.360 euro

ROMA – Alla fine, dopo tanto dibattere, la disabilità entra nel reddito di cittadinanza: entratimidamente, nel testo definitivo, dopo il roboante ultimatum di Salvini: “Più soldi ai disabili, o nonfirmo il decreto”. E dopo i proclami che facevano presagire una vera “rivoluzione”, almeno a livelloeconomico, per tutti gli italiani con grave disabilità: le pensioni d'invalidità sarebbero state portate –tutte – a 780 euro, prometteva Di Maio, destando grandi aspettative, dal momento che quelbeneficio oggi non arriva a 300 euro.

“Più soldi ai disabili”? Ora, si può davvero dire che il neonato reddito di cittadinanza offra “piùsoldi” ai disabili? Iniziamo da quello che c'è: innanzitutto, c'è la disabilità, che nella bozza incircolazione non veniva neanche nominata. Ora, invece, è chiaro che il reddito di cittadinanza spettaanche ai cittadini con disabilità e alle loro famiglie: tra i beneficiari, ha sottolineato infatti ilministro, ci saranno anche 255 mila nuclei familiari con disabili.Le tre deroghe. E poi ci sono tre “deroghe”, se così vogliamo chiamarle, volte proprio ad agevolarel'accesso delle persone con disabilità a questo beneficio. La prima “deroga”, di ordine finanziario,prevede che, fermo restando il tetto massimo di Isee di 9.360 euro, la soglia del patrimoniomobiliare salga, nel caso in cui il nucleo comprenda un componente con disabilità. L'articolo 2 prevede infatti “un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini Isee, nonsuperiore a una soglia di euro 6.000, accresciuta di euro 2.000 per ogni componente il nucleofamiliare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000, incrementato di ulteriori euro1.000 per ogni figlio successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati dieuro 5.000 per ogni componente con disabilità, come definita a fini ISEE, presente nel nucleo”.La seconda e la terza deroga riguardano il lavoro: primo, le persone con disabilità che rientrano neirequisiti di reddito previsti potranno accedere al beneficio senza patto per il lavoro, ovvero avrannoaccesso alla prestazione senza l’obbligo di un percorso di reinserimento lavorativo. In sintesi,coloro che percepiscono trattamenti legati all’invalidità, vedranno l’assegno aumentare fino a 780euro al mese, senza bisogno di dover rispettare tutti i paletti relativi alla ricerca di lavoro, semprenel rispetto dei limiti reddituali previsti. Lo prevede l'articolo 4, che esclude dagli obblighi imposti dal Patto per il lavoro e per l'inclusionesociale “i componenti con disabilità, come definita ai sensi della legge 12 marzo 1999, n. 68, fattasalva ogni iniziativa di collocamento mirato e i conseguenti obblighi ai sensi della medesimadisciplina”. La stessa “deroga” vale per i cosiddetti caregiver, dal momento che “possono altresì essere esoneratidagli obblighi connessi alla fruizione del Rdc, i componenti con carichi di cura, valutati conriferimento alla presenza di soggetti minori di tre anni di età ovvero di componenti il nucleofamiliare con disabilità grave o non autosufficienza, come definiti a fini ISEE”.L'altra deroga riguarda invece i genitori con figlia gravemente disabili a carico: per loro, vienemeno infatti l’obbligo di accettare offerte di lavoro quando la sede lavorativa si trovi a oltre 250 kmdi distanza da casa. Resta invece l'obbligo per tutti i beneficiari del RdC, “indipendentemente dallacomposizione del nucleo familiare”, di accettare offerte di lavoro “entro cento chilometri di distanzadalla residenza del beneficiario nei primi sei mesi di fruizione del beneficio, ovvero entroduecentocinquanta chilometri di distanza oltre il sesto mese di fruizione del beneficio”.

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Quanto questa risposta del governo soddisfi le associazioni, che hanno seguito con attenzione l'iterdella norma, è tutto da vedere: sicuramente, le reazioni non si faranno attendere.

(18 gennaio 2019)Fonte: Superabile.it

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NOTIZIE DAL TERRITORIO

DISABILITÀ, TAGLI AI SERVIZI. LE FAMIGLIE: "NON LASCIATE A CASA I NOSTRIFIGLI"

Almeno 46 famiglie rischiano di perdere, o di vedere drasticamente ridotto, il servizio di assistenzae socializzazione finora offerto dal Centro Serapide di Pozzuoli, operativo dal 1976. Colpa deinuovi tetti di spesa fissati dal decreto della Regione 41/2018. “Senza questo supporto, a volte restasolo il ricovero”

ROMA – Almeno 46 persone con disabilità a Pozzuoli rischiano di perdere o veder ridurredrasticamente i servizi che fino a questo momento li hanno supportati: è quanto denuncia un gruppodi famiglie in una lettera aperta indirizzata alla regione Campania. “Sono il padre di Cristiano,giovane in situazione di grave disabilità, frequentante una Struttura accreditata che opera nel campodell’assistenza riabilitativa dal 1976, il Centro Serapide – spiega uno dei firmatari della lettera,introducendola - A fronte delle previste valutazioni e autorizzazioni da parte delle strutturecompetenti (ASL e Comune), mio figlio è stato finora inserito nel trattamento socio-sanitario(R.S.A. diurna) e ciò ha consentito a lui di avere una regolare assistenza e socializzazione (dalle 9alle 15 dal lunedì al venerdì) e alla famiglia di organizzare e condurre, per quanto possibile, leattività quotidiane e lavorative”.

Ora la situazione rischia di cambiare, a causa dei nuovi tetti di spesa fissati per il biennio 2018 –2019 dal Decreto della Regione Campania n° 41 del 29/05/2018: “Mio figlio sarà dimesso dallastruttura oppure dovrà sopportare una significativa riduzione del numero di giorni di frequenza.Questa notevole discontinuità assistenziale è causa di notevolissimi disagi, sia per mio figlio sia pernoi familiari, già impegnati nell’arduo e gravoso compito di caregiver. Evidenzio che sul territorioflegreo il numero di strutture accreditate è insufficiente (appena due nel Comune di Pozzuoli) e chein tale territorio e in quello limitrofo non vi sono strutture che possano accettare nuovi ingressi”.

Di qui la preoccupazione delle famiglie e la decisione di rivolgersi direttamente alla Regione: “Pereffetto dei nuovi tetti di spesa fissati per il biennio 2018 – 2019 dal Decreto Regionale n° 41 del29/05/2018, il Centro Serapide ha comunicato la necessità di ridurre i servizi socio-sanitari cheeroga in regime R.S.A. diurna, nella sede di via Annecchino, a Pozzuoli. Tali servizi – spiegano ifirmatari - sono dedicati a persone con disabilità che, in uscita dal percorso di riabilitazione, sonostati inseriti nel trattamento socio-sanitario, a fronte delle previste valutazioni e autorizzazioni daparte delle strutture competenti (ASL e Comune). Nonostante i notevoli fabbisogni d’assistenza cheinsistono sul territorio regionale, il numero relativamente esiguo di centri accreditati e, diconseguenza, le continue richieste di disponibilità da parte dei distretti sanitari e le lunghe listed’attesa dei centri accreditati, il citato decreto produce due effetti negativi: riduce notevolmente oannulla la possibilità di nuovi ingressi nei centri; rende impossibile garantire i volumi di prestazioniin precedenza autorizzati ed erogati. In sintesi, molti Centri sono costretti a dimettere singoli utenti,o a ridurne il numero di presenze settimanali”.

Spiegano inoltre i genitori che “i trattamenti sopracitati rappresentano spesso un’alternativa al

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ricovero a tempo pieno dei soggetti con disabilità, che implicherebbe costi nettamente superiori incapo alla sanità”. Di conseguenza, l'eventuale dimissione dal centro o la riduzione della frequenzacomporterebbe “importanti disagi sia per gli utenti che per le relative famiglie, sia per effetto delladiscontinuità terapeutica che per le difficoltà nello svolgere una regolare vita quotidiana”. I genitorichiedono quindi, in conclusione, che “i volumi di prestazioni socio-sanitarie erogate dai centri sianoquanto meno pari a quelli autorizzati precedentemente all’emanazione del Decreto Regionale n°41”. Più in generale, chiedono alle regione Campania anche di “rivedere i criteri di determinazionedei tetti di spesa per i servizi socio-sanitari, per evitare che tali criteri penalizzino fortemente iterritori (come quello flegreo) nei quali il numero di strutture accreditate è esiguo, in rapporto allapopolazione ovvero ai fabbisogni di assistenza”.

(14 gennaio 2019)

Fonte: Redattoresociale.it

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DISABILITÀ, IN TOSCANA NASCE IL FORUM DELLE ASSOCIAZIONI

Lo costituisce una delibera presentata dall'assessore al diritto alla salute e al welfare StefaniaSaccardi e approvata dalla giunta nel corso dell'ultima seduta

FIRENZE - Nasce in Toscana il Forum delle associazioni delle persone con disabilità. Locostituisce una delibera presentata dall'assessore al diritto alla salute e al welfare Stefania Saccardi eapprovata dalla giunta nel corso dell'ultima seduta. Al Forum potranno partecipare tutte leassociazioni di persone con disabilità attive in Toscana. Per la sua costituzione verranno individuateforme e modalità adeguate per garantire la massima partecipazione dei rappresentanti delleassociazioni. Il Forum sarà presieduto e convocato dal presidente della Regione, e si riunirà duevolte l'anno per un confronto sullo stato di attuazione delle politiche sulla disabilità. Nell'ambito delForum, i rappresentanti delle associazioni eleggeranno i componenti della Consulta regionale per ladisabilità.

"In Toscana portiamo avanti da tempo politiche per i diritti, l'autonomia, l'accessibilità, l'inclusionedelle persone con disabilità - commenta l'assessore Stefania Saccardi - E per farlo, cerchiamosempre di coinvolgere le persone disabili, per capire direttamente dalle loro esperienze qualipossono essere le scelte migliori e più adeguate. La costituzione del Forum sicuramente ciconsentirà di fare un ulteriore passo avanti in questa direzione, grazie al confronto con leassociazioni e all'ascolto dei rappresentanti delle persone disabili".

Per dare la massima visibilità alla costituzione del Forum, sul sito della Regione Toscana saràpubblicato un avviso con le indicazioni e il termine per manifestare la volontà di adesione al Forumda parte delle associazioni. Per la realizzazione di tutte le attività relative alla costituzione e alfunzionamento del Forum, è prevista la collaborazione con il Centro Regionale Accessibilità(CRA).

Secondo i dati Cesvot 2018, in Toscana sono attive 473 organizzazioni di volontariato che sioccupano a vario titolo di disabilità, e 216 di promozione sociale. Quanto ai dati sulle personedisabili, il Rapporto dell'Osservatorio 2017 "Welfare e Salute in Toscana" (fonte Istat 2016) parla di171.191 persone dai 6 anni in su con limitazione funzionale.

(24 gennaio 2019)

Fonte: Redattoresociale.it

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INTERNAZIONALE

INTEGRAZIONE, INCLUSIONE ED EQUITÀ: LE POLITICHE EUROPEESULL’ISTRUZIONE

«La cornice europea dell’istruzione e dell’educazione – scrive Marco Condidorio in questo ampioapprofondimento – è ancora molto lontana da finalità che riflettano il pieno diritto allo studio eall’autonomia di pensiero e azione, anche per le persone in condizione di disabilità. Ma la scuola èe resterà sempre, sin quando i valori che l’hanno voluta apparterranno al pensiero libero, luogo diconoscenza, di crescita e di maturazione del pensiero autonomo e in tale contesto la persona incondizioni di disabilità ha pari opportunità di crescita e dunque di apprendimento e maturazione»

Posto che i due termini sussistano comodamente nell’orizzonte di un linguaggio sempre più teso adivenire tecnico/specifico, per cui parleremo di entrambi per dignità didattica e valore storico, lacornice europea riguardo ai concetti di integrazione e a quello maggiormente dominante diinclusione, passando per quelli di istruzione e di formazione, dunque dell’idea politica di scuola chesi è andata delineando in questi ultimi anni e che li vede ambedue direttamente al centro della scena,quella del dibattito sui valori dell’insegnamento e della pedagogia, oltreché di quello dellaformazione, la cornice europea, si diceva, potrebbe probabilmente essere sintetizzata riassumendopochi dati presi qua e là dal vasto universo delle politiche scolastiche dei singoli Stati; quel che peròa mio personale giudizio merita maggiore attenzione è il concetto di equità, non solo sociale, madidattico-educativa.

L’equità in campo educativo e in quello dell’istruzione la si persegue applicando il concetto di“integrazione”, che significa sviluppare con coscienza e umanità un processo volto all’acquisizionedelle conoscenze e alla maturazione delle stesse competenze, sostenendo adeguatamente il discentee rispettandone le attitudini e le aspettative. Oggi il pensiero dominante volge il proprio sguardoprospettico al concetto, solo in apparenza antagonista, ma che di fatto si completa sostanzialmentecon quello di integrazione: quello di “inclusione”. Qual è la ragione che li tiene uniti? La rispostapotrebbe essere: entro tale cornice politica l’elemento protagonista, che in fondo lega entrambe iconcetti, a giudizio di chi scrive ha la propria radice nella relazione dell’idea utilitaristica diformazione e in quella storico/filosofica di istruzione/educazione, binomio sensibile per l’equilibrioprecario di due sistemi di pensiero sostanzialmente contrari, che inevitabilmente si riverbera, ancoraoggi, anche sul mosaico europeo, appunto, del binomio istruzione-formazione, alla luce dei concettidi integrazione ed inclusione.

La domanda da porsi a questo punto è la seguente: siamo pronti a formare professionisti incondizioni di disabilità? Ad investire, non tanto risorse economiche, ma prima ancora umane eprofessionali?L’esempio negativo ci arriva dall’Italia: le ultime decisioni dell’attuale Esecutivo in materia dieconomia, che inevitabilmente interessano, guarda caso, il Terzo Settore del nostro Bel Paese,parlano di aumenti dell’IRES [Imposta sul Reddito delle Società, N.d.R.], su cui, è notizia dei giorni

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scorsi, lo stesso presidente del Consiglio Conte ha detto che si troverà sicuramente un rimedio; peril momento, però, la fascia maggiormente bisognosa – tradotto in linguaggio “politichese”, quellache interessa l’area del Paese meno produttiva, a loro dire ovviamente – si vede decurtati svariatemigliaia di milioni d’euro! Il pensiero politico dominante, decide; quello minoritario passivamenteaccoglie…In fondo, è la stessa sorte che toccò ai princìpi di governo di un popolo all’indomani dallaRivoluzione Francese, quando l’Europa mise all’angolo le vecchie monarchie a vantaggio deiprincìpi di uguaglianza e libertà, per cui non avrebbe più dominato il criterio dinastico, per ilgoverno di un popolo, ma, da quel momento, quello di uguaglianza, la cui radice nasce dall’humusquale elemento connettivo tra un’idea di uomo e l’esercizio del potere di governo, lo Stato,relazione piuttosto complessa ancora ai nostri giorni, e quella di “bene comune”. Senonché oltre undecennio dopo si parlò di “restaurazione”…

Ma meglio non concedersi distrazioni, torniamo al tema istruzione.

Nell’eterogeneo mosaico europeo dell’integrazione/inclusione, l’Italia è la tessera più difficileperché, partendo da un substrato culturale di impronta idealista, ha preteso di applicare al concettodi istruzione quello di identità del soggetto che, in un contesto di promozione dell’uguaglianza,poco coerente con quello idealista, ha finito col privilegiare quello di uguaglianza, penalizzandol’approccio educativo, nello specifico di tipo didattico, che poggia sul principio d’equità, ovvero ilvalore della persona intesa come diversità, disattendendo dunque, come ancora oggi spesso accade,il messaggio filosofico di Aristotele, ripreso dal Priore di Barbiana [Don Milani, N.d.R.], secondocui la giustizia non è dare a tutti in parti uguali, ma ad ognuno secondo le potenzialità e attitudini;ciò perché non vi è peggiore ingiustizia che applicare la teoria dell’uguaglianza tra persone conpotenzialità e aspirazioni personali differenti. Quel significato teoretico, prima che pratico, diuguaglianza, risponde a un’estensione teorica del concetto medesimo di giustizia, secondo cui ègiusto “quel che ha” una radice comune tra due o più persone. La giustizia per noi rispondeall’applicazione o meno di un diritto che, nello specifico, è ad esempio quello secondo cui tuttihanno diritto d’essere istruiti, principio di uguaglianza; mentre per ognuno che partecipi del dirittodi istruzione ed educazione, va applicato in campo didattico/pedagogico quello di equità, che èsempre un’applicazione del diritto universale allo studio, l’uguaglianza, ma ne rappresenta laspecificità.

Ora, mentre il principio d’uguaglianza è facilmente formulato nella storia delle moderne societàeuropee, quello di equità stenta, non tanto nella formulazione, quanto nell’applicabilità in unsistema di uguaglianze. Come vedremo in seguito, l’unico modello che accenna nel concretoall’equità nel campo della didattica, è il modello d’istruzione e formazione anglosassone che, nellospecifico per quanto concerne la Scozia, prevede per gli alunni e gli studenti la figura del docentetutore.

Certo, gli Stati europei sono apparentemente impegnati a costruire apparati educativi, ora solo peralcuni, ora per tutti (ma con delle differenze), ora per gli uni e per gli altri, dove quest’ultimi sonogli alunni e gli studenti in condizioni di disabilità. Evidentemente la forza sociale di noi persone incondizioni di disabilità, oggi rispetto a ieri non è di molto aumentata: sono ancora moltissime,infatti, le persone che abbandonano la scuola e che comunque non raggiungono un livello di studiosufficiente a dar loro pari opportunità professionali o comunque d’autonomia.Forse il pensiero dominante teme il binomio idea/realtà, quando tale relazione interessa la personain condizione di disabilità. E così, per evitare il prevalere dell’idea sulla realtà a discapito dellapersona nella sua singolarità, se sino a qualche anno fa ai tavoli politici dove si decideva delle sorti

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dei processi educativi e dell’istruzione, dove si dibatteva di pedagogia dell’istruzione edell’educazione, sedevano esperti di didattica, con conoscenze e competenze in materia diapprendimento e autonomia del pensiero, oggi agli stessi tavoli discutono e trovano un accordo suitemi dell’istruzione e dell’educazione – ma anche della formazione – avvocati, economisti financhealti statisti del pensiero sociologico e democratico; sono esperti sempre di più di diritto, di cui leconoscenze e le competenze pedagogiche certo non sono il primo pensiero, o quasi, ferma restandol’eccezione di taluni professionisti di cui le competenze giuridiche e l’esperienza professionale sonostate messe a disposizione del diritto allo studio, avendo essi stessi a cuore l’integrazione el’inclusione scolastica degli alunni e degli studenti in condizioni di disabilità, per avere essi stessicompetenze nel campo della didattica e dell’educazione.

E tuttavia, chiediamoci cosa e chi fa la scuola oggi in questa nostra vecchia Europa le cui due radicistoriche che maggiormente l’hanno segnata – il pensiero greco e quello giudaico-cristiano – ancoraai nostri giorni la fanno essere luogo di conflittualità tra loro spesso convergenti. ScrivevaMachiavelli che «il fine giustifica i mezzi», sino a che però il mezzo non diviene il fine; e alloracosa prenderà il posto del mezzo perché vi sia una giustificazione? Lo stesso Marx scriverà oltretrecento anni dopo che «il denaro è il mezzo… ma se lo stesso diventa più importante del fine, essostesso diverrà fine e non più il mezzo; ma qualora questi divenga fine, allora vi sarà ilcapovolgimento di quel che prima era “il mezzo”, ed ora è il fine, dunque il bene non più lostrumento».Lo stesso accade per i due concetti di uguaglianza ed equità, ove il primo è lo strumento, il mezzopolitico per consentire ad ognuno di partecipare, di essere al centro della scena, ma al quale poideve seguire quello di equità e cioè l’esercizio del concetto di giustizia applicato a partire dalsoggetto.E questo potrebbe esser “cosa fa la scuola”. Ma chi la fa? Tutti tranne gli esperti in ScienzePedagogiche; sempre meno maestri o insegnanti; dirigenti scolastici che, se prima sulla scrivaniatenevano bene in vista i manuali di istruzione ed educazione, di didattica e formazione, oggitengono quelli di diritto accanto al compendio delle leggi e delle sentenze. L’uguaglianza, anche setalvolta mercanteggiata, viene in qualche modo garantita, ma… l’equità resta nella “cripta” degliesperti.

Tutti, a dire il vero abbiamo sottobraccio la raccolta delle normative vigenti in materia di dirittoall’inclusione scolastica, che sempre di meno “oggi” contiene elementi di didattica e di educazione.E così quello che dovrebbe riguardare gli studiosi di istruzione ed educazione è stato consegnatoagli antagonisti del pensiero pedagogico, generalmente divergente, per lasciare che ad occuparsenefosse chi del pensiero ne coglie prevalentemente l’azione convergente, distinguendo ciò cheappartiene al diritto e dunque all’obbligo da quel che non appartiene al diritto e dunque fuoriescedall’obbligatorietà; ivi compresa la materia scolastica, con tutte le conseguenze del caso, inclusaquella secondo cui di didattica ed educazione non se ne parli, talvolta, con cognizione.

In quanti si pongono i seguenti quesiti, a partire dagli addetti ai lavori? Cosa vuol dire sviluppareuna didattica appropriata o, come piace ai più oggi, inclusiva? Cosa si intende con “didatticaintegrativa” e con la locuzione “contesto inclusivo”? Cosa significa consentire ad unalunno/studente in condizioni di disabilità di recarsi a scuola ogni giorno?Vuol dire permettere a quell’alunno/studente di prepararsi in autonomia per recarsi a scuola. Dovràquindi sapersi gestire autonomamente o anche parzialmente, per quanto riguarda l’igiene personale,la preparazione dello zaino o della cartella scolastica, dovrà saper preparare libri e quaderni utili e/omateriali, ivi compresi i sussidi tecnologici per poter seguire gli insegnamenti. Colui, cioè, cheautonomamente o seguendo un preciso percorso, sarà in grado di raggiungere l’edificio scolastico o

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che si avvalga di un servizio di trasporto che qualcuno avrà provveduto a istituire, per consentirgli ilraggiungimento dello stesso. E ancora, che siano predisposte le misure necessarie per far sì chel’edificio sia accessibile, attrezzate le aule, i laboratori, i servizi igienici e le palestre, così come ilocali esterni, in modo che l’alunno/studente in condizione di disabilità si muova in autonomia; chevenga predisposto un Piano Educativo Individualizzato (PEI), ove si tenga conto del Profilo diFunzionamento (PF) dell’alunno/studente, delle sue capacità residue, come di quelle compromesse;che si preveda personale specializzato per il sostegno didattico e l’affiancamentodell’alunno/studente nel suo percorso educativo, strutture e ausili informatizzati per la suapartecipazione attiva alla didattica, finalizzata agli apprendimenti e non al solo ascolto passivo.Significa, in sostanza, guidarlo verso ogni “possibile” autonomia, anche di tipo organizzativo, nelladisposizione degli strumenti e dei sussidi, che gli consentano la piena gestione del tempo/studiofinalizzato a migliorarne l’autostima e a far uso autonomamente delle didattiche.

Gli Stati Europei affrontano il tema dell’istruzione e dell’educazione a partire da un proprioconcetto, squisitamente politico, finalizzato alla formazione di futuri cittadini, che più o menopotranno avere un ruolo significativo per il mantenimento dello Stato, inteso come espressione di unordinamento economico, sociale e politico (evidentemente mi riferisco ad un modello di allievogeneralizzato). E gli allievi in condizione di disabilità, che posto hanno in questa variegatacomposizione del mosaico europeo dell’istruzione e dell’educazione? Il diritto all’inclusione è taleper essere stato assunto quale norma e principio, a partire dalla Convenzione ONU sui Diritti dellePersone con Disabilità, definita a New York nel 2006 e ratificata dall’Italia nel 2009 [Legge 18/09,N.d.R.]. Come l’Italia, anche vari altri Stati Europei hanno recepito la Convenzione, ma in relazioneall’orientamento che si son dati in materia di obbligo scolastico, l’hanno declinata attraversol’emanazione di norme in materia di istruzione che hanno determinato percorsi differenti.L’Italia, ad esempio, ha scritto e legiferato in abbondanza; oggi utilizza con disinvoltura“diseducativa” i due termini per designare altrettanti processi di scolarizzazione, quello diintegrazione e di inclusione, non decidendo se gli allievi in condizione di disabilità siano daintegrare o da includere.

Prima di guardare dunque ai sistemi di scolarizzazione europei, gettiamo lo sguardo sui significatidi quei due termini.

Il primo – integrazione – si riferisce alla persona e alla sua soggettività, per cui dal punto di vistadidattico e sociale, necessita di essere guidato, sostenuto nei due processi, quello relativo agliapprendimenti, attraverso una didattica dedicata, e quello di socializzazione, riguardante i processidi educazione che dal singolo si estendono al gruppo: integrazione della persona in un contestoinclusivo. L’alunno si è pienamente integrato nel gruppo classe e nella scuola.Il termine inclusione, invece, afferisce all’intero contesto scolastico, per cui il processo coinvolgetutti; si dice infatti che l’inclusione appartenga al contesto, e che la stessa continuità didattica ne siadi fatto uno degli elementi costitutivi.Se il primo è espressione di equità didattica, il secondo manifesta chiaramente quello dieguaglianza, ove il concetto stesso di inclusione trova la massima espressione.L’istruzione, cosi come l’educazione – e potremmo tranquillamente evidenziare come sia statal’educazione a dominare – hanno riguardato tutte le organizzazioni politiche e sociali: la scuola nonappartiene ad alcun orientamento, per natura; piuttosto può esserne la manifestazione al serviziodell’ordinamento politico. E infatti il sistema di valutazione degli apprendimenti, la certificazionedelle conoscenze e competenze da un grado a quello successivo e la conseguente valutazione, hannocostituito da sempre il criterio di selezione con acquisizione di merito o bocciatura; questo almenoper ciò che riguarda il nostro Paese, e in generale gli Stati dell’Area Mediterranea. Personalmente,

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considerata l’analisi piuttosto complessa sulle politiche adottate dall’Europa in materia di pariopportunità per gli allievi in condizioni di disabilità, penso si possa dire che esse abbiano trovato inquest’ultimo trentennio non facili applicazioni per le ragioni di cui sopra e di cui gli stessi Statisono ancora oggi detentori, ovviamente in una logica di “sovranità” e meno di cooperazione.E così la politica dell’Europa in materia di istruzione e formazione in questi ultimi anni ha avviatoun importante cammino di comprensione delle problematiche correlate alla disabilità, impegnandosiin uno sforzo non sempre comune e piuttosto eterogeneo, che si è tuttavia determinato nellaformulazione del principio di mainstreaming, ossia diretto all’integrazione delle politichesull’handicap trasversalmente a tutti gli àmbiti in cui esse vanno ad innestarsi. Fermo restando ilpermanere di un linguaggio ancora discriminante quale è quello inadeguato, oggi assolutamente“escludente” e denigratorio, di “handicap”, l’intenzione politica del principio ha consentito di darevisibilità ad un’ampia fascia della popolazione europea, a lungo marginalizzata ed esclusa.

La Raccomandazione adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 9 aprile 1992,recita: «Ciascun essere umano è unico e presenta una gamma differenziata di qualità ed aspirazioni.L’esistenza e la comparsa di un handicap sconvolge la vita della persona e di chi gli è accanto.Tuttavia, l’handicap non tocca le caratteristiche e le aspirazioni della persona, ma compromette lapossibilità di realizzarle pienamente. Nessuno è al riparo di un handicap che può manifestarsi inqualsiasi momento dell’esistenza. Come l’handicap non è sempre uguale, i bisogni tanto dellapersona colpita che di quelle vicine possono essere molto diversi, così la capacità della collettività arispondervi. Di conseguenza la società deve riconoscere a ciascun cittadino la possibilità discegliere la propria forma di partecipazione alla vita collettiva». Sarà poi la Convenzione ONU del2006 a ribadire, per ciò che concerne il diritto allo studio delle persone in condizioni di disabilità,non uno ma diversi princìpi, in particolare agli articoli 2 (Definizioni) e 24 (Educazione). Prima,però, propongo la lettura del frammento che segue, sempre riguardo alla compagine delle NazioniUnite: «Occorre anche ricordare che, con specifico riferimento all’integrazione scolastica, le NormeStandard delle Nazioni Unite sulle Pari Opportunità per le persone disabili, alla norma 6 punto 1affermano che “Gli Stati devono riconoscere il principio di pari opportunità nei cicli di studioprimario, secondario e superiore per i giovani ed adulti disabili, in un contesto integrato. Gli Statidevono far sì che l’istruzione delle persone disabili sia parte integrante del sistema scolastico».Come ciò sia stato recepito, credo dipenda da quel che di ciò sia stato compreso: pari opportunitàd’accesso agli studi, ovvero ai gradi scolastici o al tipo di approccio didattico, che consentirebbeanche il pieno godimento dei contenuti disciplinari proposti dai diversi gradi di scuola?Il concetto di integrazione non lo si realizza, ad esempio, mediante l’istituzione di un sistema chedefiniamo “integrato”. Premesso il contesto integrato, oggi allo stesso si chiede di essere ancheinclusivo; ma se ciò ha valore dal punto di vista del registro socio-pedagogico, per la finalitàdell’argomento nulla osta alla comprensione dello stesso, tenuto conto del contesto storico da cui haereditato il concetto stesso di “integrato”.

Tra l’altro, oggi, almeno per ciò che concerne il nostro Paese, questo è possibile con l’emanazionedel Decreto Legislativo 66/17, che pone al centro dei processi di istruzione ed educazione gli alunnie gli studenti in condizione di disabilità, dove il contesto opera in regime di interazione tra sistemieducativi e sociali alla luce del principio trasversale di “inclusività”. Ma per quanto possa apparireevolutivo, rispetto a quello maggiormente soggettivo, il concetto di inclusione non potrebbeoperarsi se prima non vi fosse quello di integrazione della persona. Aggiungo poi che nelle scorsesettimane abbiamo lavorato al tavolo dell’Osservatorio per l’Inclusione Scolastica del Ministero sualcuni articoli del medesimo Decreto Legislativo 66/17, modifiche che entreranno in vigore dal 1°settembre di quest’anno.

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Ma vediamo assieme la cartina “geo-scolastica” dell’istruzione del nostro Continente.Ben lontani dal sostenere che esista una ed un’unica soluzione, migliore delle altre sempre in tutto eper tutto, l’Europa oggi propone almeno quattro sistemi di istruzione, cui gli Stati hanno cercato didare una risposta non sempre in linea con l’orientamento comunitario della stessa Unione Europeaconsegnatoci dalla ricerca di una nota studiosa in Sociologia Francine Vaniscotte. Il modelloscandinavo, ad esempio, appare sotto molteplici punti di vista come quello che andrebbe presocome termine di riferimento. Tale affermazione è supportata anche dai risultati ottenuti attraverso lericerche centrate sulla valutazione internazionale delle competenze acquisite dagli studenti. Va peròevidenziato che, limitatamente al primo ciclo scolastico (scuola primaria o ex elementare), nelleultime sei valutazioni internazionali i migliori risultati sono stati ottenuti dalla scuola italiana pre-riforma! Certo, i dubbi sono legittimi, ma sarà il paradigma utilizzato l’unico responsabile? Ecco diseguito una sintetica fotografia di alcuni dei modelli di istruzione, che emerge da uno studiopiuttosto analitico del sistema Europa afferente il ruolo sociale della scuola.

La scuola unica proposta dal modello scandinavo

L’impostazione di questo sistema – presente in Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia –si pone come obiettivo prioritario la maggiore eguaglianza di opportunità, fornendo a tutti i bambinila stessa preparazione fino ai 16 anni di età, cioè per tutto l’obbligo scolastico. Si tratta di unascuola unica, nel senso che tutti gli studenti, nella stessa scuola, ricevono il medesimoinsegnamento, da un gruppo di docenti che, per quanto possibile, rimane lo stesso per tutto ilperiodo. In questo modo si cerca di assicurare la massima continuità pedagogica: solo alla fine delpercorso è possibile scegliere qualche disciplina diversa e vengono date delle valutazioni (da 1 a 5).Inoltre si vuole ottenere che tutti i ragazzi, al termine, raggiungano le stesse conoscenze di base chesono connesse, appunto, al significato dell’obbligo scolastico, vale a dire i saperi necessari ad unacittadinanza piena, per potersi inserire in modo idoneo in una società democratica. In quest’ottica levotazioni (e le conseguenti bocciature) non hanno significato: non vi è insuccesso scolastico e irisultati vanno nel senso di una buona uguaglianza di acquisizioni scolastiche generalizzate, conlivelli qualitativi elevati; sembra, perciò, il modello più idoneo a realizzare una scuola «giusta edefficace», come del resto confermano le comparazioni internazionali. Si dice una scuola “giusta”,aggettivo piuttosto poco didattico e però democratico; sul termine “efficace”, invece, sospendo ilgiudizio…

La scuola polivalente del modello anglosassone

È questo il modello dell’Inghilterra, del Galles, dell’Irlanda del Nord, della Scozia e, con qualchedifferenza, della Repubblica d’Irlanda. La Comprehensive School (scuola polivalente) invece diunificare primario e secondario inferiore, ricerca una continuità tra quest’ultimo e il secondariosuperiore, con programmi che si possono scegliere da parte di allievi e famiglie, ora però piùlimitatamente, poiché nel 1988 è stato definito un National Curriculum. In Inghilterra permane unpiccolo numero di scuole tradizionali, che mantengono la vecchia distinzione fra Grammar Schools,Modern Schools e Techical Schools, alle quali accedono i bambini delle “famiglie bene”. Il sistemadel tutorato costituisce il principale supporto al miglior funzionamento, in termini di eguaglianza equalità del sistema. Il docente tutore guida l’allievo nel suo percorso scolastico, si preoccupa chel’insegnamento sia differenziato e perfino individualizzato e aiuta i bambini in difficoltà (in Scoziavi è la figura del “docente itinerante”, che assicura sostegno aiutando colleghi e allievi che ne hannobisogno).

Anche in questo caso, pur procedendo a valutazioni degli allievi, non sono previste ripetenze: purcon una struttura diversa vi è un’“aria di famiglia” con il modello scandinavo, che deriva

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probabilmente dalla comune religione protestante (Repubblica d’Irlanda esclusa, ovviamente). InScozia il decentramento, già tipico di questo sistema, rimane più ampio, non essendo, tra l’altro,stato adottato il Curriculum Nazionale. Qui si potrebbe individuare il quadro di riferimento per lostudio di un modello italiano, che però troverebbe difficilmente applicazione nel nostro Paese, peresserci qui da noi ancora un modello di istruzione sin troppo ancorato al passato. Tuttavia, la figuradel docente tutore è di ampio respiro e consente il binomio dei due princìpi: quello di uguaglianza edi equità in un unico contesto sociale quale è quello dell’istruzione e dell’educazione, oggi sempremeno competitivo e sempre più rivale.

Questo modello, presente in Austria, Germania, Lussemburgo, Olanda, Svizzera e con alcunedifferenze in Belgio, mantiene la tradizionale suddivisione in tre indirizzi. Negli ultimi anni alcuniPaesi hanno cominciato a preoccuparsi di una suddivisione degli studenti così precoce (all’iniziodella secondaria inferiore, com’era in Italia prima del 1962) e cercano di sviluppare un sistema di“passerelle” fra gli indirizzi. L’opzione fra indirizzi differenziati rimane comunque il fondamento diquesto modello, che ha in Germania la sua massima espressione. Il bambino tedesco, entrato nellascuola a 6 anni, dopo quattro anni di studio – con qualche differenza a seconda dei diversi Landers– deve scegliere quale strada intraprendere, anche se, teoricamente, sarebbero ancora possibili dellepasserelle fra i 10 e i 12 anni di età. Oltre un terzo accede alla formazione corta (Hauptschule),seguita da una preparazione professionale che introduce al lavoro, con un’alternanza con periodi distudio, fino ai 18 anni (è il sistema duale, tanto ammirato in Italia, ma oggi messo in discussionenella stessa Germania, perché, con la crisi economica succeduta all’unificazione, le imprese nonsono più in grado di offrire abbastanza stage formativi e la disoccupazione è molto aumentata). Unquarto dei ragazzi va verso una scuola media (la Realschule), che permette di accedere a unaformazione superiore, solo però di tipo non universitario. Poco più di un quarto degli studenti,infine, si iscrive alla scuola secondaria generale (il Gymnasium), per seguire un curricolo che locondurrà agli studi universitari.

La logica di questo modello è opposta a quella dei sistemi scandinavi: in questi ultimi si vuoleportare tutti i ragazzi allo stesso livello a 16 anni, con le strade ancora tutte aperte, mentre inGermania l’orientamento molto precoce porta ad una situazione che, se dà assicurazioni sul futuro,le fornisce con modalità fortemente condizionate dall’estrazione sociale. Certo, l’insuccessoscolastico non costituisce un problema, visto che gli studenti vengono quasi subito suddivisi inlivelli differenziati, partecipando a scuole che richiedono prestazioni molto diverse. L’autonomiascolastica – nonostante il decentramento strutturale derivante dallo Stato Federale – non è moltoampia: il centralismo dei Landers (e l’eventuale costruzione di un’Europa delle Regioni correappunto questo rischio) non sembra lasciare molto spazio alla libertà di gestione delle singolescuole.L’ultima indagine comparativa sui risultati dei ragazzi quindicenni ha visto, per gli studentitedeschi, un risultato non solo inferiore alla media, ma con differenziazioni fra i migliori e ipeggiori molto ampie: poca qualità e ancor minore equità.In Italia, il livello – nonostante si legga di classifiche oltre le più rosee previsioni – resta tuttoraancorato a valori piuttosto mediocri in termini di conoscenze e competenze degli alunni/studenti;l’equità è ancora leggermente nel futuro e ciò non ci distanzia dal medesimo risultato precedente.

E finalmente veniamo al sistema tutto latino e mediterraneo, definito anche come un “troncocomune”. Quest’ultimo modello è in vigore in Francia, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna e sembraun tentativo di combinare i precedenti, in quanto ha scelto la soluzione di realizzare una scuolaunica per la prima parte della secondaria, ma senza un’effettiva pedagogia differenziata (come inScandinavia) e senza il tutorato (come nei Paesi anglosassoni). Rimane in questa tradizione – sono

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tutti Paesi cattolici, tranne la Grecia, ortodossa – un fondamentale “classicismo”, che li rende moltoattenti all’acquisizione di conoscenze, con esami e ripetenze.

In alcuni Paesi, ad esempio in Francia, rimangono anche degli equivalenti parziali degli indirizzi,con classi di livello, scelte di lingue straniere, sistemi di opzione. I Paesi latini sono generalmentepiù sensibili all’insuccesso scolastico contro il quale lottano e per parecchie ragioni:democratizzazione più tardiva e/o condizioni economiche meno favorevoli per certi Paesi, masoprattutto volontà di portare l’insieme della popolazione scolastica al livello di conoscenza più altopossibile. Sono forse i Paesi che si trovano più a disagio nel loro sistema educativo poiché, sebbenemolto diversi tra loro, perseguono l’ideale egualitario della scuola unica scandinava, mentre pertradizione pedagogica hanno spesso un’uniformità di metodi e delle esigenze che si traducono infrequenti controlli delle conoscenze, in vincoli di esami e di voti e in una maggiore consuetudine diripetenza. Tutto ciò ha aperto un dibattito ancora oggi piuttosto vivo tra il ruolo della scuola e quellodella famiglia: chi istruisce e chi educa. E comunque, in questi Paesi, tradizionalmente centralistici,si sta procedendo a decentramenti abbastanza ampi, che esaltano l’autonomia delle scuole, purmantenendo programmi comuni piuttosto vincolanti. E tra le altre cose, almeno per il nostro Paese,ciò si traduce in un’operazione di svilimento, sia della professione docente che del percorso di studidel discente, allorquando si inizia a mediare sul voto, in uno scrutinio finale, al fine di consentireanche all’allievo poco diligente di proseguire gli studi, nonostante lo scarso rendimento scolastico.

In conclusione, Europa significa per un docente di storia qual è il sottoscritto, non solo unpluralismo di culture, di religioni, di storie dei sistemi politici economici, ma un’attualità di intentiche, pur nella loro autonomia e sovranità, riflette un ideale trasversale di individuo quale aventediritti e pari opportunità sociali.

È vero, è stato posto al centro delle politiche comunitarie il diritto fondamentale alla parità diopportunità per tutti i cittadini, come quello di consentire alle persone in condizioni di disabilità disviluppare appieno le loro attività, potenziare, valorizzare e applicare efficientemente le lorocapacità, considerato che, tra l’altro, ciò va a loro vantaggio e non solo, ma anche al profitto dellasocietà nel suo complesso.

Tuttavia la cornice europea dell’istruzione e dell’educazione è ancora molto lontana da finalità cheriflettano il pieno diritto allo studio e all’autonomia di pensiero e azione, anche per le persone incondizione di disabilità. Sono troppe le barriere, non solo materiali, fisiche, che impediscono aglialunni/studenti la piena integrazione sociale, umana e culturale, oltre che lavorativa e professionale,come la predisposizione al pensiero universale circa il significato di conoscenza e competenza che,evidentemente, non può avvalersi delle capacità fisiche o sensoriali della persona, ma ne èl’espressione più personale ed esperienziale di un percorso di vita per cui ha messo in gioco la suapersona a prescindere dalla condizione fisico-sensoriale in cui si trovi. Sull’istruzione, l’educazionee la formazione dovrebbero poter non solo riflettere ma governare maggiormente gli addetti ailavori, non chi della scuola ne continua a vedere, peggio a fare il contenitore politico che, a secondadi chi governa, o è una palestra di economisti, o di saccenti burocrati. Ma la scuola è e resteràsempre, sin quando i valori che l’hanno voluta apparterranno al pensiero libero, luogo diconoscenza, luogo di crescita e di maturazione del pensiero autonomo e per questo critico. Lapersona in condizioni di disabilità ha pari opportunità di crescita e dunque di apprendimento ematurazione, proprio come chi non lo è.

(7 gennaio 2019)

Fonte: Superando.it

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CARTA EUROPEA DELLA DISABILITÀ, NELLA LEGGE DI BILANCIO 2019

È considerata un “strumento inclusivo” per i cittadini europei con disabilità”; con un decreto delMinistero per la famiglia e le disabilità saranno definiti i criteri e modalità per il suo rilascio agliaventi diritto in Italia.

Il Progetto di European disability card – Carta europea della disabilità - persegue una iniziativadella Commissione europea. Lo scopo della Carta è agevolare l’accesso ai benefìci offerti a livelloeuropeo ai cittadini con disabilità, promuovendone l’inclusione e il riconoscendo di loro diritti.Senza modificare le norme nazionali di settore relative ai servizi offerti, si prefigge di diventare uno“strumento” riconosciuto in Europa per consentire un accesso condiviso e paritario alle opportunitàpresenti nei diversi Paesi dell’Unione.

Nel nostro paese, con la Legge 145/2018 - legge di Bilancio 2019 –- all’articolo 563, è datamaggiore concretezza alla sua attuazione: uno specifico capitolo di spesa per le azioni contenute inun decreto contenente: i criteri per il suo rilascio, le modalità per l’individuazione degli aventidiritto, la realizzazione e la sua distribuzione (a cura dell’INPS).

Tutto questo, entro novanta giorni dalla entrata in vigore della stessa legge di Bilancio, saràcontenuto in un decreto specifico del Ministero per la famiglia e le disabilità in accordo con ilMinistero del lavoro e delle politiche sociali, delle infrastrutture e dei trasporti e per i beni e leattività culturali. All’attuazione sono destinati 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019,2020, 2021.

Il progetto di adozione di una Carta europea della disabilità è nato in seno all’Europa con lacooperazione del High Level Group on Disability - Gruppo di alto livello sulla disabilità.

Questo – perseguendo la Strategia europea sulla disabilità della Convenzione delle Nazioni Unitesui diritti delle persone con disabilità (ratificata con la Legge 18/2009) e l’articolo 26 della Carta deidiritti fondamentali dell’Unione Europea, che sancisce il diritto alla libera circolazione dei cittadinieuropei – opera sugli argomenti d’interesse inerenti la disabilità per attuare una stretta cooperazionetra le istituzioni degli Stati membri, la Commissione e la società civile (un ruolo fondamentale, sia alivello europeo, che nazionale è quello svolto dalle associazioni di rappresentanza delle persone condisabilità); la facilità di accesso ai servizi e l’agevole mobilità dei cittadini europei con disabilità ècertamente individuata come una priorità, e la Carta europea per le persone con disabilità vieneconsiderato un modo per agevolarla.

La parte preliminare di studio e verifica per l’adozione della Carta, nella prima fase disperimentazione, è stata avviata nel 2015, e nel 2016 alcuni paesi: Belgio ,Cipro, Estonia,Finlandia , Malta , Slovenia, Romania e la stessa l’Italia, hanno fatto progetti in questo senso. Leazioni intraprese sono state rivolte sostanzialmente ad una necessaria ricognizione sulle prerogativerichieste per l’accesso a beni e servizi (in particolare: mobilità, cultura e tempo libero) nei singolipaesi: modalità, procedure, tipologia di servizi offerti. Inoltre, sono state raccolte adesioni econgiuntamente attivata un’azione di sensibilizzazione sui temi della disabilità e accessibilità pressoi diversi portatori di interesse e soggetti coinvolti ai diversi livelli, per ribadire il ruolo fondamentale

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nel miglioramento della qualità dell’offerta degli stessi servizi.

Per ulteriori informazioni sul progetto e i Paesi aderenti è possibile consultare il sito web dellaCommissione Europea.

(23 gennaio 2019)

Fonte: Superabile.it

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POTRANNO VERAMENTE VOTARE TUTTE LE PERSONE CON DISABILITÀ?

È una domanda retorica, quella del nostro titolo, essendo purtroppo noto che moltissimi cittadinicon disabilità motorie, intellettive o sensoriali non potranno votare, nel maggio prossimo, alleElezioni Europee, a causa dell’inaccessibilità di tutto il processo elettorale. Eppure sarebberodisponibili soluzioni semplici per garantire quel diritto a tutti. Sul tema, il Forum Europeo sullaDisabilità ha lanciato a suo tempo una petizione nel web, e il Gruppo di Studio sulla Disabilità delCESE (Comitato Economico e Sociale Europeo) proporrà per il 5 febbraio a Bruxellesun’audizione pubblica

«Thibault non potrà esprimere il suo voto perché considerato non in grado di comprendere lapolitica. Mindaugas non sarà in grado di entrare al seggio perché non accessibile alle persone condisabilità. Olga non potrà votare perché le informazioni e il processo elettorale sono troppocomplicati. Loredana non potrà leggere i nomi dei candidati sulla macchina per il voto elettronico equindi non saprà mai se ha votato per il suo candidato»: erano stati questi alcuni casi-simboloprodotti nel novembre scorso dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, e riguardanti altrettanticittadini europei residenti in diversi Stati e con diverse disabilità (motorie, intellettive, sensoriali), inrappresentanza dei milioni di altri che non potranno votare, dal 23 al 26 maggio prossimi, alleElezioni Europee che serviranno a rinnovare il Parlamento continentale.A tal proposito lo stesso Forum aveva lanciato una petizione nel web tuttora attiva e alla quale tuttipossono ancora aderire (a questo link), basata sul seguente semplice messaggio: «Milioni di europeicon disabilità sono ancora oggi privati del diritto al voto e alla partecipazione alle elezioni.Chiediamo che acquisiscano questo diritto entro il prossimo maggio 2019. Chiediamo ai Governi ealle Commissioni Elettorali degli Stati Membri dell’Unione Europea di garantire che 80 milioni dieuropei possano votare!».

E del resto, come evidenziato dall’EDF, sarebbero già disponibili facili soluzioni per garantire queldiritto a tutti, così come erano state elencate nel documento intitolato How Make Your PoliticalCampaign Accessible (“Come rendere accessibili le campagne politiche”), pubblicato in parallelo aun Manifesto specificamente dedicato alle Elezioni Europee.

Su tale importante questione va segnalata oggi l’iniziativa promossa dal Gruppo di Studio sui dirittidelle persone con disabilità del CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo), fondamentaleorgano consultivo della Commissione Europea.

Si tratta di un’audizione pubblica promossa per il 5 febbraio a Bruxelles, basata essenzialmente suidue seguenti quesiti: le persone con disabilità sono davvero in condizioni di parità con il resto dellapopolazione quando si parla del loro diritto al voto? Cosa è stato fatto finora in questo àmbito equali sono gli ulteriori passi da compiere?

Degli esiti di tale evento avremo naturalmente modo di riferire prossimamente sulle nostre pagine.

(23 gennaio 2019)

Fonte: Superando.it

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IL DIRITTO DI VIVERE IN MODO INDIPENDENTE DEV’ESSERE RESO ESIGIBILE ELIBERO

Grazie al prezioso lavoro di ENIL Italia (European Network on Independent Living), è disponibilela traduzione italiana del documento guida dedicato dal Comitato ONU sui Diritti delle Personecon Disabilità al diciannovesimo articolo della Convenzione (“Vita indipendente ed inclusionenella società”), che dev’essere promosso e applicato in concreto dagli Stati che la Convenzionestessa hanno ratificato. «Ritengo dunque – dichiara Germano Tosi, presidente di ENIL Italia – chel’Italia debba assolutamente provvedere a farlo, tramite il proprio Osservatorio Nazionale sullaDisabilità»

Quando si parla del Comitato ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità, è bene ricordare cheesso è stato istituito nel 2009, per monitorare l’attuazione della Convenzione ONU sui Diritti dellePersone con Disabilità da parte degli Stati che l’hanno ratificata (l’Italia lo ha fatto dieci anni fa,con la Legge dello Stato 18/09). Il Comitato esamina le relazioni presentate periodicamente dagliStati stessi sull’attuazione dei diritti sanciti dalla Convenzione, formula le relative raccomandazionie prende in considerazione le denunce relative alle presunte violazioni del Trattato.

Ebbene, nel 2014 il Comitato ha deciso di dedicare un documento – il Commento generale n. 5 – auno degli articoli certamente più avanzati della Convenzione, quello cioè che si occupa di Vitaindipendente ed inclusione nella società (il 19°), sempre sulla base dei rapporti provenienti dagliStati. In seguito, l’organismo ha ritenuto necessario e importante chiarirne il contenuto, «dato che –come spiega Germano Tosi, presidente di ENIL Italia (European Network on Independent Living) –nell’analisi delle relazioni il Comitato aveva individuato lacune nell’attuazione e interpretazionierrate sul diritto delle persone con disabilità a scegliere il proprio luogo di residenza e dove e conchi vivere, sul diritto ai servizi e sostegni per vivere a casa propria, per l’abitare e per la collettività,e ancora sul diritto a fruire dei servizi e delle strutture urbane rispondenti ai loro bisogni e inuguaglianza con gli altri cittadini». Per tali motivi, dunque, nel mese di aprile del 2016 il Comitatoha pianificato una specifica giornata di discussione, richiedendo ulteriori relazioni alleOrganizzazioni che si occupano di disabilità nei vari Stati, in specifico sul tema del diritto a vivereindipendenti. Le osservazioni e i risultati di quell’incontro sono stati ritenuti validi contributi alprocesso di stesura del nuovo Commento generale n. 5. «Si tratta – sottolinea Tosi – di undocumento guida corposo [lo compongono esattamente 97 punti, N.d.R.], ma molto importante echiaro, che deve essere promosso e applicato in concreto dagli Stati Membri. Il Comitato ONU loha, come si legge nel sito dello stesso, adottato ufficialmente, e quindi ritengo che anche da noidobbiamo assolutamente provvedere a farlo tramite l’Osservatorio Nazionale sulla Disabilità, nelcontesto specifico del Secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti el’integrazione delle persone con disabilità, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 12 dicembre 2017,come Decreto del Presidente della Repubblica (DPR)». «Il diritto di vivere in modo indipendentenella collettività – conclude Tosi – è un diritto trasversale a tutta la disabilità nelle sua più ampiaaccezione, che dev’essere reso esigibile e libero perché appartiene prima di ogni cosa alla naturaumana. Per questi motivi, come ENIL Italia lo abbiamo tradotto in italiano e inviato al ComitatoONU, che l’ha rapidamente inserito nella pagina dei Commenti Generali, alla specifica sezionespecifica del Commento Generale n. 5».

(23 gennaio 2019)Fonte: Superando.it

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VARIE

ACCESSIBILE IN TUTTI I SENSI!

Alcune buone prassi in tema di accessibilità del patrimonio culturale e del turismo per le personecon disabilità sensoriali

Dal Comune vincitore del premio Access City Award 2019, ai pannelli multisensoriali delle chiesedi Venezia, alla pubblicazione “Andiamo al museo": sono queste alcune buone prassi in tema diaccessibilità del patrimonio culturale e del turismo per le persone con disabilità sensoriali.Negliultimi anni le Istituzioni si sono dimostrate più sensibili ed attente ai temi dell’accessibilità perun’utenza ampliata nei luoghi di interesse artistico culturale e questo sta producendo risultatitangibili che hanno un impatto positivo sulla vita delle persone con disabilità. Il perseguire talefilosofia ha fatto sì che il Comune di Monteverde in Alta Irpinia vincesse il prestigioso premioeuropeo “Access City Award 2019” istituito per i comuni al di sotto dei 50.000 abitanti. Il premio èil frutto di un lavoro certosino ed incessante che ha visto l’Amministrazione Comunale e leAssociazioni di categoria del territorio impegnarsi nel rendere circa cinque chilometri del piccoloborgo medievale fruibile dai cittadini e turisti con disabilità, con particolare riguardo ai ciechi e agliipovedenti. Un borgo “smart” supportato da percorsi di visita tattilo-plantari per favorirel’autonomia di coloro che usano il bastone bianco; 8.000 punti di informazione dotati di un sistemacon fibra ottica e di lettura wireless; una struttura ricettiva in fase di realizzazione che consentirà didisporre di numerose camere adeguate alle esigenze della clientela con disabilità: sono questi iprincipali punti di forza dell’innovativo progetto attuato dal Comune Campano. Info:http://accessibile.comune.monteverde.av.it/Rimanendo in tema di disabilità sensoriali, spostandoci al nord, precisamente, in Veneto,segnaliamo che da pochi mesi il Santuario di Lucia a Venezia è provvisto di un pannellomultisensoriale. Attraverso il codice QR Code e la tecnologia NFC (Near Field Communication), éfornita la possibilità di accedere con il proprio smartphone ad un approfondimento dei contenutistorici ed artistici del Santuario, accompagnando nel contempo la lettura del pannello con diversemodalità: audio per le persone non vedenti e ipovedenti; video per tutti e per le persone sorde consottotitolazione contestuale e traduzione in LIS - Lingua dei Segni Italiana. L’aspetto grafico dellaparte visiva è stato inoltre studiato con attenzione alla leggibilità per fare in modo che anche lepersone con una lieve limitazione visiva, le persone anziane o con dislessia possano leggerefacilmente i contenuti testuali. Alle modalità di comunicazione inclusiva descritte si ispira il piùampio progetto “Le chiese di Venezia… in tutti i sensi”, inteso a coinvolgere le altre chieseveneziane quali San Rocco, Santo Stefano, Santa Maria del Giglio e San Moisè. In questapanoramica generale di buone prassi in tema di accessibilità in tutti i sensi, concludiamorichiamando la pubblicazione "Andiamo al museo", una raccolta di contributi a cura di AmirZuccalà che l’ENS - Ente Nazionale Sordi ha voluto per affiancare i progetti oggi in campo dedicatiall’accessibilità del patrimonio culturale e del turismo per le persone sorde. Tali contributiintendono riflettere su alcuni temi chiave dedicati all’accessibilità del patrimonio ma soprattuttodescrivere esperienze, modelli, buone prassi, criticità e proposte per una sempre maggiorediffusione e standardizzazione di servizi realizzati con e per le persone sorde.

(8 gennaio 2019)Fonte: SuperAbile.it

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UNA DIFFUSIONE CAPILLARE DEL MANIFESTO SUI DIRITTI DELLE DONNE CONDISABILITÀ

Come mai tra gli Enti Pubblici e le Associazioni che hanno aderito finora al “Secondo Manifestosui diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea”, vi è una nettapreponderanza delle organizzazioni della Sardegna? È senz’altro il frutto del grande lavoropromosso negli ultimi anni da Veronica Asara, presidente dell’Associazione SensibilMente di Olbia,ed è lei stessa a raccontare tale percorso, a partire da quanto realizzato insieme agli studenti diuna scuola superiore

Come si sarà potuto notare scorrendo l’elenco delle quarantasette organizzazioni ed enti che hannofinora aderito al Secondo Manifesto sui diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilitànell’Unione Europea, esso presenta una netta preponderanza di Comuni e Associazioni dellaSardegna. Ciò è senz’altro il frutto del grande lavoro promosso negli ultimi anni da Veronica Asara,presidente dell’Associazione SensibilMente di Olbia (Tutela ed Integrazione Persone Autistiche) edè lei stessa a raccontare qui di seguito tale percorso.

Lo scorso 24 novembre a Cagliari si è svolto un incontro tematico [se ne legga l’ampiapresentazione del nostro giornale, N.d.R.], al cui centro è stato posto il Secondo Manifesto sui dirittidelle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea, iniziativa voluta dallaCommissione Regionale per le Pari Opportunità della Sardegna e inserita dal Comune di Cagliarinel calendario degli eventi contro la violenza di genere. Si è trattato della prima occasione didiscussione pubblica sulle tematiche di genere nella disabilità.

Quel convegno è stato l’esito di un lavoro di promozione e sensibilizzazione iniziato almeno unanno e mezzo prima; personalmente ho proposto alla Commissione di affrontare il tema delladiscriminazione multipla e intersezionale poiché, ad ogni ricorrenza celebrativa, sia che si trattassedella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 Novembre,sia dell’8 Marzo, il tema non emergeva né a livello regionale né locale.Mentre infatti sul piano nazionale le tematiche legale alla discriminazione multipla nelle donne condisabilità diventavano sempre più frequentemente oggetto di dibattito tra Associazioni e Istituzioni,in Sardegna rimaneva soltanto il contenuto di qualche post sui social condiviso sporadicamente.

Iniziato dunque il dialogo con la Commissione Regionale Pari Opportunità, l’interesse si è accesovelocemente da parte delle Commissarie che hanno intrapreso un percorso di studio e analisi delManifesto. A mia volta, consapevole del necessario approfondimento, mi sono dedicata a leggere ilmateriale disponibile, gli articoli, le ricerche italiane e internazionali.Ho quindi proposto il tema a una mia classe, una terza superiore dell’Istituto Agrario IPAAAmsicora di Olbia, che aveva deciso di partecipare a un concorso cittadino sull’uguaglianza ediversità e che, ogni anno, vede in gara tutte le scuole superiori della città.Consapevole che ciò che proponevo ai ragazzi era particolarmente ostico, e soprattutto inusualerispetto al loro modo di approcciarsi alla disabilità, si è deciso insieme di partire dall’esperienzadiretta di una compagna di classe con disabilità cognitiva, ponendosi alcune domande: è più facileche Maria (nome di fantasia) sia soggetta ad episodi di violenza o esclusione? La sua disabilitàinsieme al suo essere una ragazza, la rendono più fragile? Cosa le accadrà quando la scuola saràfinita? Potrà lavorare? Potrà avere una vita sentimentale soddisfacente? Potrà vivere da sola o conchi e dove vorrà?

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Il gruppo classe ha lavorato per diversi giorni sul progetto, discutendo e spaziando su violenza epari opportunità, suggerendo soluzioni e alternative, documentandosi e approfondendo su internet.Il risultato, un elaborato in forma di articolo giornalistico, è stato premiato al Concorso PremioAlfonso de Roberto Uguali e Diversi, con una menzione speciale proprio della CommissioneRegionale per le Pari Opportunità.

Al di là del premio ricevuto dai ragazzi, l’esperimento acquisisce particolare valore perché hapermesso di affrontare le principali tematiche legate alla disabilità fuori dagli schemi stereotipatiche con facilità emergono in contesti scolastici; questo è certamente il valore aggiunto del lavorosvolto in classe.Anche il lavoro dei ragazzi dell’Istituto Agrario di Olbia è stato veicolo di sensibilizzazione, dalmomento che pian piano la Comunità e le Istituzioni iniziano ad accorgersi dell’esistenza di unnuovo argomento di discussione da inserire sia nel dibattito sulle politiche genere, sia in quelle perla disabilità.

Il Manifesto è stato dunque presentato formalmente lo scorso 24 novembre a Cagliari, in occasionedel citato evento, preceduto da un’attività di promozione che ha dato la possibilità alle IstituzioniPubbliche e alle Associazioni di aderire formalmente al Manifesto, come hanno effettivamente fattosei Comuni (Cagliari, Arborea, Buggerru, Decimomannu, Escolca e Sassari) e ben quattordiciAssociazioni [se ne veda l’elenco in calce, N.d.R.]. Il mio personale impegno nella divulgazione delManifesto e delle tematiche in esso contenute continuerà nei riguardi delle Istituzioni e in tutti irapporti di prossimità tramite la scuola, le attività associative e in ogni occasione in cui saràpossibile portare l’argomento all’attenzione della società civile. Il lavoro da fare è ancoramoltissimo per vedere garantite pari opportunità anche alle donne con disabilità, tuttavia la stradaintrapresa è certamente quella corretta.

(22 gennaio 2019)

Fonte: Superando.it

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CASO STELLA MARIS, ANMIC PARTE CIVILE AL PROCESSO PERMALTRATTAMENTI SUI DISABILI

La vicenda risale al 2016, quando nella struttura in provincia di Pisa i genitori denunciarono leviolenze sui figli. Diciannove rinviati a giudizio. Pagano (presidente Anmic): “Nell’audizione alSenato sosterremo l’obbligo di installazione di sistemi di videosorveglianza nelle residenzesociosanitarie per persone disabili”

ROMA - “Dalla parte dei disabili, soprattutto quando inermi ed esposti alla violenza”. L’Anmic(Associazione nazionale mutilati ed invalidi civili) ha deciso di costituirsi parte civile nel processoper i maltrattamenti avvenuti nel 2016 a Montalto di Fauglia, in provincia di Pisa, dove esiste unastruttura per disabili intellettivi gravi diretta dalla Fondazione Stella Maris. L’Associazione, infatti,per legge è legittimata a difendere gli interessi sia dei singoli disabili che dell’intera categoria,essendo iscritta nel registro delle associazioni deputate al contrasto delle discriminazioni contro lepersone con disabilità. “L’eventuale risarcimento dei danni – spiega il presidente nazionale Anmic,Nazaro Pagano - sarà impiegato a rafforzare la cultura del rispetto e dell’attenzione verso le personedisabili, che rappresentano il primo ed essenziale passo perché i terribili episodi di cui si discute nelprocedimento penale in questione non si ripetano più”. Ma l’iniziativa legale dell’Anmic non sifermerà a questo singolo episodio. Nella giornata di giovedì 31 gennaio, l’Associazione sarà infatti presente in audizione presso laCommissione Affari costituzionali del Senato per l’esame del disegno di legge n 897/2018concernente misure per la installazione di strumenti di videosorveglianza nelle scuole e nelleresidenze sanitarie e socio-sanitarie a tutela dei minori e dei disabili, in cui evidenzierà il ruolo delleassociazioni nell’attività di prevenzione e vigilanza e come sia necessaria un’attività di prevenzione,sia attraverso la promozione della cultura della disabilità, sia nella formazione del personale cui èaffidata la cura e la custodia delle persone disabili.I maltrattamenti in provincia di Pisa e l’avvio del processo. La vicenda ebbe inizio nell’agosto del2016, quando la madre di un ragazzo, insospettita da lividi e sgraffi che trovava sul corpo del figlioquando lo portava a casa nel fine settimana, si rivolse ai carabinieri che aprirono l’indagineistallando telecamere nascoste nei due refettori. Purtroppo i sospetti erano fondati, perché le ripresemostrarono che all’interno della struttura gli ospiti erano soggetti a violenze, aggressività verbale,umiliazione, mortificazione e soprusi continui. Le immagini mostrano ragazzi che mentre mangiano vengono colpiti senza motivo, presi a schiaffio a calci, strattonati, offesi da molti degli operatori presenti, nella completa indifferenza deicolleghi. Immagini agghiaccianti per i genitori che avevano affidato alla Stella Maris i propri figli.In tutto 28 ragazzi maltrattati, e ben 19 indagati, che poi, al termine delle indagini condotte dalladottoressa Rizzo, sono stati rinviati a giudizio. Numeri impressionanti, che ne fanno probabilmenteil più grande processo per maltrattamenti sui disabili in Italia. “E’ stato accertato – spiega l’Anmic in una nota - che molti degli operatori erano privi di titoli o nonadeguatamente formati, ed anche che all’interno della struttura si erano già verificati casi diviolenze sui disabili e che la Stella Maris aveva preferito non denunciare alle autorità. Insomma unastruttura in abbandono, ben diversa dall’eccellenza che la Fondazione Stella Maris rappresenta perla disabilità dei minori a Calambrone. Dopo l’inizio delle indagini la Stella Maris ha provveduto alicenziare 12 persone, ed ha sottoposto a sanzioni disciplinari altri dipendenti. La struttura di Montalto ora chiuderà, e tutti gli ospiti dovrebbero essere trasferiti entro fine 2019 a

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Marina di Pisa, in una struttura in corso di ampliamento e di ristrutturazione”.La difesa. Al processo si costituiranno parte civile anche molti familiari dei disabili maltrattati. Sicostituirà con gli avvocati Annalisa Cecchetti e Rachele Doveri anche Agosm Onlus, l’associazionedei genitori, che da tanti anni denunciava il degrado e l’abbandono della struttura

(31 gennaio 2019)

Fonte: SuperAbile.it

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Rassegna stampa realizzata daUfficio Politiche per le Disabilità – CGIL Nazionale

A cura di Valerio Serinocon la collaborazione di Gea Minerva Massimi

Tel.: 06.8476514E-mail: [email protected]

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