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LE LUNETTE DEL PONTORMO : RESTAURI VECCHI E NUOVI . UNA VERIFICA DOPO PIÙ DI QUARANTANNI Magnolia Scudieri, Monica Bietti, Daniela Dini A distanza di oltre quarant’anni dallo “strappo” delle lunette con scene della Passione dalle pareti del Chiostro Grande della Certosa, è apparsa necessaria una revisione delle loro condizioni conservative, eseguita da Daniela Dini grazie al contribuito del World Monuments Fund. Alcune di esse presentavano infatti localizzati sollevamenti della pellicola pittorica dal supporto, sul quale erano state applicate dopo lo strappo. Questi distacchi benché si trovassero in gran parte in zone di restauro avrebbero potuto con il passare del tempo, trasformarsi in cadute di pellicola pittorica. Da qui la necessità di provvedere al consolidamento dei frammenti pericolanti. L’intervento è stato eseguito tramite iniezioni di caseato di calcio cui si è aggiunto l’impiego, ove necessario, di resina acrilica. Ad un esame ravvicinato è apparso opportuno procedere anche ad una leggera pulitura per liberare la superficie dalla polvere accumulatasi nel tempo. Tale operazione, condotta con l’applicazione di impacchi di “carta giapponese” e acqua demonizzata e poi conclusa a tampone, ha restituito alla superficie dipinta buona luminosità e brillantezza cromatica, rendendo però evidenza alle lacune, dove l’integrazione pittorica del precedente restauro veniva a trovarsi fuori tono. È stato quindi indispensabile completare la revisione del precedente intervento conducendo una leggera ritessitura cromatica delle integrazioni a suo tempo eseguite, per conferire un aspetto il più possibile equilibrato a delle pitture purtroppo irrevocabilmente segnate dal degrado (tav. XIII). Le condizioni conservative delle lunette dovevano apparire già assolutamente compromesse nell’immediato dopoguerra, come risulta dalle dichiarazioni di Dino Dini, che affermava come negli anni tra il ’45 e il ’47 gli affreschi “cadevano a scaglie… si sfogliavano tutti” 1 e lo stacco era inevitabile. D’altra parte le pitture, collocate in un chiostro esterno, particolarmente esposto alle intemperie per essere molto ampio e alla sommità di una collina, portavano già i segni di precedenti interventi di risarcimento, visibili in maldestre stuccature di grandi lacune e in numerosi ritocchi, che avevano tentato di porre rimedio ai danni del tempo. Lo “strappo” fu iniziato dallo stesso Dini il 21 agosto 1950 e si protrasse fino al 29 agosto ’51; terminata la fase conservativa i lavori si interruppero a furono ripresi per eseguire il restauro pittorico, in occasione della Mostra del Pontormo e del primo manierismo fiorentino 2 , che si tenne nel 1956. Scarse sono purtroppo le notizie riguardanti quel restauro: il giornale-resoconto tenuto dal Dini riferisce particolari relativi ai giorni di lavoro, ma niente circa il metodo e i materiali usati per lo “strappo”; una carenza di informazioni, molto comune in quegli anni, che oggi spesso crea problemi per nuove revisioni 3 . 1 M. Griffo – D. Dini, Quaderni del Premio Prezzolini, Firenze 1990, p. 13 (dichiarazione rilasciata dal Dini durante un’intervista nel 1987). 2 Cat. a cura di L. Berti, Feirenze 1956, p. 28, nn. 45-49, tavv. XXXVII-XLI. 3 Si vedano i ‘Quaderni dell’Ufficio Restauri’ della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Firenze e Pistoia, n. 1 (1989) e n. 2 (1990).

PONTORMO Le lunette del Pontormo ITA+ENG - ARPAI · 2017. 1. 20. · 5 Eseguiti da Daniela Dini. 6 E’ stato già sottolineato che le pitture furono eseguite in un arco di tempo

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  • LE LUNETTE DEL PONTORMO: RESTAURI VECCHI E NUOVI. UNA VERIFICA DOPO PIÙ DI QUARANT’ANNI

    Magnolia Scudieri, Monica Bietti, Daniela Dini

    A distanza di oltre quarant’anni dallo “strappo” delle lunette con scene della Passione dalle pareti del Chiostro Grande della Certosa, è apparsa necessaria una revisione delle loro condizioni conservative, eseguita da Daniela Dini grazie al contribuito del World Monuments Fund. Alcune di esse presentavano infatti localizzati sollevamenti della pellicola pittorica dal supporto, sul quale erano state applicate dopo lo strappo. Questi distacchi benché si trovassero in gran parte in zone di restauro avrebbero potuto con il passare del tempo, trasformarsi in cadute di pellicola pittorica. Da qui la necessità di provvedere al consolidamento dei frammenti pericolanti. L’intervento è stato eseguito tramite iniezioni di caseato di calcio cui si è aggiunto l’impiego, ove necessario, di resina acrilica. Ad un esame ravvicinato è apparso opportuno procedere anche ad una leggera pulitura per liberare la superficie dalla polvere accumulatasi nel tempo. Tale operazione, condotta con l’applicazione di impacchi di “carta giapponese” e acqua demonizzata e poi conclusa a tampone, ha restituito alla superficie dipinta buona luminosità e brillantezza cromatica, rendendo però evidenza alle lacune, dove l’integrazione pittorica del precedente restauro veniva a trovarsi fuori tono. È stato quindi indispensabile completare la revisione del precedente intervento conducendo una leggera ritessitura cromatica delle integrazioni a suo tempo eseguite, per conferire un aspetto il più possibile equilibrato a delle pitture purtroppo irrevocabilmente segnate dal degrado (tav. XIII). Le condizioni conservative delle lunette dovevano apparire già assolutamente compromesse nell’immediato dopoguerra, come risulta dalle dichiarazioni di Dino Dini, che affermava come negli anni tra il ’45 e il ’47 gli affreschi “cadevano a scaglie… si sfogliavano tutti”1 e lo stacco era inevitabile. D’altra parte le pitture, collocate in un chiostro esterno, particolarmente esposto alle intemperie per essere molto ampio e alla sommità di una collina, portavano già i segni di precedenti interventi di risarcimento, visibili in maldestre stuccature di grandi lacune e in numerosi ritocchi, che avevano tentato di porre rimedio ai danni del tempo. Lo “strappo” fu iniziato dallo stesso Dini il 21 agosto 1950 e si protrasse fino al 29 agosto ’51; terminata la fase conservativa i lavori si interruppero a furono ripresi per eseguire il restauro pittorico, in occasione della Mostra del Pontormo e del primo manierismo fiorentino2, che si tenne nel 1956. Scarse sono purtroppo le notizie riguardanti quel restauro: il giornale-resoconto tenuto dal Dini riferisce particolari relativi ai giorni di lavoro, ma niente circa il metodo e i materiali usati per lo “strappo”; una carenza di informazioni, molto comune in quegli anni, che oggi spesso crea problemi per nuove revisioni3.

    1 M. Griffo – D. Dini, Quaderni del Premio Prezzolini, Firenze 1990, p. 13 (dichiarazione rilasciata dal Dini durante un’intervista nel 1987). 2 Cat. a cura di L. Berti, Feirenze 1956, p. 28, nn. 45-49, tavv. XXXVII-XLI. 3 Si vedano i ‘Quaderni dell’Ufficio Restauri’ della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Firenze e Pistoia, n. 1 (1989) e n. 2 (1990).

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    È indispensabile comunque storicizzare lo “strappo” del 1950-51 per comprenderne la portata e considerarlo nella giusta luce, ossia come unico metodo in grado di garantire la sopravvivenza di pitture murali così gravemente compromesse. A quel tempo infatti le tecniche di consolidamento “in loco” non fornivano sufficienti garanzie e non era stata ancora sperimentata la metodologia a base di idrossido di bario, messa a punto solo intorno agli anni ’70, che da allora permette quasi sempre di evitare l’evento traumatico dello “strappo”. D’altra parte non è certo che, anche qualora questo metodo fosse stato conosciuto, sarebbe stato possibile applicarlo con risultati soddisfacenti a pitture con caratteristiche esecutive e problemi di sfaldamento degli strati pittorici come quelli di queste lunette. Non siamo oggi in grado di accertare con sicurezza i motivi di questo degrado probabilmente comunque dovuto ad una serie di concause legate al trascorrere del tempo, all’esposizione, ma anche a fragilità intrinseche alla tecnica esecutiva. La documentazione fotografica antecedente lo “strappo” delle lunette dalle pareti del chiostro (figg. 18-22) testimonia l’entità e la varietà dei danneggiamenti, anche se due sembrano essere stati i fenomeni più ricorrenti ed invasivi. Il primo consisteva in un’ampia esfoliazione della pellicola pittorica, causa di diffuse e fitte cadute di colore (figg. 23, 24), già parzialmente integrate in precedenti restauri, dovute alla rottura della coesione dello strato superficiale della pellicola stessa. Questo fenomeno esfoliativo può essere addebitato sia ad una perdit a di consistenza del legante, sia all’azione strappante di fissativi (beveroni o altro) applicati sulla superficie nel tempo. Il secondo tipo di degrado, comune a tutte le lunette, dovuto alla perdita di coesione tra gli strati dell’intonaco, era costituito dalla presenza di vaste aree di superficie sollevata e pericolante accanto a zone altrettanto ampie dove l’intonaco era già caduto (fig. 26). A questi due fenomeno si aggiungevano i danni derivanti dai cedimenti strutturali, con conseguente fessurazioni del parato murario (fig. 24), dalle manomissioni di varia tipologia ed entità (graffi, decurtazioni, picconate) (figg. 27, 28) e dai grossolani tentativi di risarcimento (fig. 27) operati in passato. È probabile che i danni provocati tanto dalla decoesione superficiale, quanto da quella profonda, siano parzialmente da addebitare alla tecnica esecutiva, cioè all’uso di completare le prime stesure di colore a “buon fresco” con altre successive “a secco”, o comunque applicate con l’ausilio di leganti su un intonaco già in fase di asciugatura , secondo la tecnica così detta a “mezzo fresco”, meno resistente agli agenti atmosferici rispetto alle pitture a “buon fresco”. Il ricorso a tale tecnica appare così facilmente riconoscibile ancor oggi in quelle zone in cui le abrasioni consentono di verificare la sovrapposizione di colori diversi stesi in successivi strati, indipendenti l’uno dall’altro, oltre che dalle pennellate dense e corpose presenti in gran parte della pittura. Ciò si osserva in particolari (come i fiocchi rossi della veste del soldato di sinistra nella Resurrezione), dipinti sopra una stesura di colore diverso, ma addirittura in intere figure, come le due in alto a destra dietro la balaustra (tav. II) nel Cristo davanti a Pilato, dipinte sullo sfondo azzurro del cielo e anche, nella stessa scena, nella veste verde smeraldo del giudeo dipinta sopra l’ocra della scala. Anche i cangianti sono spesso ottenuti non mescolando, bensì sovrapponendo i diversi colori: ne è esempio la veste della Maddalena nell’Andata al Calvario (tav. III), dove le lumeggiature verdi e gialle sono dipinte “a corpo” sul rosa violaceo sottostante.

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    Le indagini non distruttive condotte in questa occasione dai ricercatori dell’ENEA4 con il metodo della fluorescenza X, su una campiona tura molto ampia di pigmenti, hanno rivelato che i colori usati sono quelli, tutti di natura minerale, assolutamente compatibili con la tecnica “a fresco”. Da ciò che resta risulta che il pittore ha usato indifferentemente tali pigmenti sia per le campiture affrescate, sia per le rifiniture successive “a secco”. Che la pittura delle lunette sia stata comunque concepita secondo il metodo dell’affresco è testimoniato anche dalla presenza delle “giornate”, emersa dai rilievi eseguiti in questa occasione 5 (figg. 29a-33a). rilievi non facili per la cura adoperata dal pittore nel congiungimento degli intonaci ed anche a causa dell’alterazione della superficie conseguente lo “strappo”. Sembra comunque che ogni scena, pur con sensibili differenze l’una dall’altra6, sia stata dipinta con un numero elevato di “giornate” che si riducono di dimensione laddove aumenta il numero delle figure e si ampliano laddove il paesaggio occupa uno spazio preponderante, come nella Deposizione. Anche il metodo di trasferimento del disegno sul muro (figg. 29b-33b) è legato alla pratica dell’affresco. A luce radente sono infatti ben visibili i segni lasciati dall’incisione del cartone sull’intonaco fresco (tavv. X, XI; figg. 34, 35) di cui il pittore dovette servirsi per portare il disegno precedentemente eseguito in scala e quadrettato. Ne è esempio il foglio con l’ Inchiodamento della Croce7 (fig. 1) per la scena destinata all’angolo nord-est del chiostro, peraltro mai realizzata. L’incisione definisce non solo i contorni delle figure e delle architetture, ma anche i tratti dei lineamenti, il ricadere delle pieghe –suggerendo perfino i confini fra le zone di luce e d’ombra-, e gli elementi decorativi. Esiste ancora perfetta corrispondenza fra incisione e stesura pittorica nella definizione delle campiture cromatiche, mentre non esiste più laddove l’incisione era indicazione di modellato. Questa puntualità descrittiva del segno lascia intendere quanti passaggi chiaroscurali e quanti particolari, presumibilmente eseguiti ‘a secco’, siano andati perduti, e quanto l’effetto attuale di piattezza di molte campiture sia molto distante da quello originale. E’ quindi quasi certo che gli effetti di “un colorito in fresco tanto dolce e tanto buono”8 così lodato dal Vasari, fossero stati ottenuti dal Pontormo grazie all’uso di una tecnica mista, con molte finiture a secco. DI esso abbiamo ancora sentore nelle zone meglio conservate, quali il

    4 Si veda per questo il loro intervento in questo stesso volume. 5 Eseguiti da Daniela Dini. 6 E’ stato già sottolineato che le pitture furono eseguite in un arco di tempo piuttosto lungo che potrebbe essere compreso fra il 1523 e il 1527, quando il Pontormo è documentato alla Certosa del Galluzzo e viene pagato per diverse pitture. E’ quindi abbastanza naturale che il Carrucci abbia usato metodi lievemente diversi nel preparare le scene. I pagamenti sicuramente riferibili alle pitture del Chiostro Grande partono dal 4 febbraio 1524 fino al 26 aprile 1524 “ducati 30, lire dua, hebe dal procuratore in nove volte …(per la) dipintura fa nel plaustro”; ancora dieci ducati il 20 settembre e altri dieci il 24 dicembre 1524; di nuovo dieci ducati fino al 30 ottobre 1525. Altri pagamenti riguardano la Cena in Emmaus (1525, 1526) e altri ancora, non meglio chiariti sono segnati nel 1627 e 1528 (ASF, Corporazioni religiose soppresse 51, vol. 40, cc. 65d, 68d, 69d, 78d, 83d, 89d, 94d). Dal 1524 al ’27 è documentato alla Certosa anche il Bronzino che seguì due pitture murali e varie miniature per i frati e potrebbe aver collaborato col Pontormo, come suggerito da Monica Bietti in questo stesso volume, alla realizzazione della parte bassa a destra della scena con la Salita al calvario (fig. 60). 7 GDSU, n. 6671 F. 8 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori ed architettori, Firenze, 1568, edizione a cura di G. Milanesi, 1878-1885, VI, 1881, p. 268.

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    manto giallo dell’apostolo addormentato nella scena dell’Orazione nell’orto (tav. XII) o nella Resurrezione (tav. IX), scena che, a parte la decurtazione e alcuni danni accidentali subiti, è, fra le Storie della Passione, quella in miglior stato di conservazione, per essere stata dipinta in una parete del Chiostro Grande, molto protetta, quasi fosse una cappella. Del resto il risultato pittorico finale di queste lunette non doveva discostarsi molto da quello offerto ancor oggi dalle pitture murali della cappella del Papa in Santa Maria Novella, alla lunetta di Poggio a Caiano 9 e dalla cappella Capponi in Santa Felicita, assai più integre perché conservate all’interno. Analogo tipo di degrado, invece, troviamo in tutte le pitture murali eseguite per esterni: dal portico e dal chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata al tabernacolo di Boldrone. Osservando ancora a luce radente le Storie della Passione si evidenziano infine moltissime irregolarità della superficie(Fig. 38) dovute in parte ai fenomeni di distacco degli strati pittorici prima descritti, in parte al naturale invecchiamento dei materiali – si veda la particolare crettatura delle zone dipinte con notevole quantità di ‘bianco San Giovanni’ (fig. 37) –, in parte alle condizioni di emergenza in cui lo ‘strappo’ dovette essere attuato, senza la possibilità quindi di una pulitura preventiva e di un pre-consolidamento che avrebbero certamente migliorato l’omogeneità della superficie. Anche il supporto con traliccio di alluminio ha creato nel tempo ulteriori deformazioni in corrispondenza delle barre verticali, forse perle differenti tensioni createsi fra zone adiacenti. Tali problemi sono stati solo parzialmente affrontati e risolti in questa occasione essendoci limitati, come già detto, a consolidamenti localizzati del colore e a un riassetto estetico generale.

    9 L. Lucigli, in Pontormo a Poggio a Caiano, Firenze 1995, pp. 42-44.

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    ENGLISH SUMMARY The Lunettes by Pontormo: old and new restorations. An assessment after forty years.

    Forty years ago, Pontormo’s frescoed lunettes, already irremediably damaged, were detached from the walls of the large cloister of the Carthusian monastery in Galluzzo. Their recent conservation and aesthetic revision has now restored brilliance and luster to their pictorial surfaces. The deterioration, already so pronounced in the 1950’s, was due in part to the passage of time, but also to the original location of the frescoes and the intrinsic fragility of their painterly technique. After the initial transfer of his preparatory cartoons, Pontormo unfortunately completed his frescoes with mineral-based pigments applied a secco to already dry areas of plaster which had been previously painted a buon fresco. Very little of what Pontormo painted a secco has survived. Only the inscribed drawing on some of the flat zones of color suggests many of the lost details and the effect of the frescoes’ original chiaroscuro tonal relationships. M. Scudieri, M. Bietti, D. Dini, Da Pontormo & per Pontormo, pp.49-58, p.117,Centro Di, Firenze, 1996.