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Federico Ghibaudo 9/5/80 - 9/1/95 Liceo Scientifico Gerardiana Basket Monza "Frisi" -1 G - a.s.94/95 a Liceo Scientifico "Frisi" Monza Premio Letterario "Federico Ghibaudo" anno 2003 edizione a 9

Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Page 1: Premio Letterario Federico Ghibaudo

Federico Ghibaudo

9/5/80 - 9/1/95

Liceo Scientifico

Gerardiana Basket

Monza

"Frisi" -1 G - a.s.94/95a

Liceo

Scientifico"Frisi"

Monza

Premio

Letterario

"Federico

Ghibaudo"

anno 2003

edizionea

9

Page 2: Premio Letterario Federico Ghibaudo

Premio Letterario "Federico Ghibaudo" anno 2003 - 9a edizione

“L’INDICE”

1° premio poesia Alessandro Farsi 5a - E pag. 5

2° premio poesia Cristina Pozzi 3a - D pag. 7

1° premio prosa Alessandro F.Dulbecco 4a - C pag. 8

2° premio prosa Pietro Spinelli 4a - B pag. 10

Premi giuria Andrea Fioravanti 4a - C pag. 12

“ Gaia Caimi 4a - F pag. 14

“ Luca Belloni 4a - H pag. 16

“ Chiara Di Marco 1a - G pag. 17

“ Margherita Corradi 1a - L pag. 19

altri componimenti

in ordine di presentazione:

Fabello Silvia 5a - H pag. 20

Giulia Pegolotti 4a - C pag. 23

Paola Stucchi 2a - I pag. 25

Nicolas Di Vara 2a - B pag. 32

Davide Papasidero 2a - F pag. 35

Valentina Rosolen 2a - B pag. 36

Mattina Muratore e

Laura Francavilla 5a - A pag. 37

Davide Fumagalli 4a - F pag. 38

Emanuele Fumagalli 4a - F pag. 39

Benedetta Carozzi 5a - B pag. 40

Chiara Nobis 5a - F pag. 41

Federica Maria Rossi 1a - B pag. 42

Alberto Padovani 4a - H pag. 43

Nicolas Di Vara 2a - B pag. 44

Andrea Fioravanti 4a - C pag. 45

Page 3: Premio Letterario Federico Ghibaudo

Premio Letterario "Federico Ghibaudo" anno 2003 - 9a edizione

“ELENCO FINALISTI PRECEDENTI EDIZIONI”

1995 1°Class. Alexandra Bonfanti 2a F

2° Loredana Lunadei 2a G

3° Arianna Ferrario 1a G

1996 1°Class. Martino Redaelli 4a A

2° Elena Cattaneo 4a G

3° Marika Pignatelli 3a C

1997 1°Class. Niccolò Manzolini 4a A

2° Matteo Pozzi 3a I

3° Elena Cattaneo 5a G

1998 1°Class. Lorenzo Piccolo 4a A

2° Matteo Pozzi 4a I

3° Lucia Gardenal 2a I

1999 1°Class. Dacia dalla Libera 3a E

2° Lorenzo Piccolo 5a D

3° Vincenzo Calvaruso 3a H

2000 1°Class. Giulia Pezzi 4a G

2° Dacia dalla Libera 4a E

3° Cristina Sanvito 4a D

2001 1°Class. Tiziano Erriquez 4a D

2° Giorgia di Tolle 4a D

3° Chiara Grumelli 4a A

2002 1°Class. poesia Alessandro Sala 4a H

2° Federica Archieri 5a L

1°Class. prosa Caterina Cenci 4a H

2° Alessandro Dulbecco 3a C

Page 4: Premio Letterario Federico Ghibaudo

Concorso Letterario "Federico Ghibaudo" anno 2003 - 9a edizione

“LA GIURIA”

Chiara Frittoli 1a - B

Valentina Begani 2a - D

Sergio Sauco 2a - I

Elena Ranieri 3a - C

Stefano Decadri 3a - B

Alessandra Turra 4a - F

Stefano Bozacchi 4a - E

Caterina Cenci 5a - H

Daniela Pozzi 5a - H

Emiliano Brivio 5a - G

“IL CONCORSO”

Il concorso è riservato agli studenti del Liceo “Frisi” ed ha

un grosso difetto, i vincitori ufficiali sono pochi, mentre ogni

partecipante, che ha messo nero su bianco le sue idee, le sue

esperienze, la sua fantasia, la sua anima, per farle conoscere

agli altri, ogni partecipante, è un vincitore.

Ma le regole consolidate per i concorsi, che sono poi le

stesse che spingono a partecipare, richiedono una classifica

che, per le innumerevoli varianti in campo, non potrà che

essere imperfetta.

I componimenti sono quelli originali, non è stato previsto

nessun intervento sugli stessi da parte di nessuno, con

l’obiettivo di non creare interferenze di nessun genere sulla

spontaneità degli elaborati.

Invitiamo pertanto ogni singolo lettore a trovare il SUO

componimento preferito e a far suo lo stile ed il messaggio in

esso contenuto. Questo concorso vuole infatti proporsi come

punto di ritrovo, come un punto di confronto, una palestra

per idee, sentimenti ed emozioni.

“INTERNET”

I testi di tutti i concorsi, dal primo fino all’attuale

si possono trovare su internet al seguente indirizzo:

http://www.premio-liceofrisi.it

Page 5: Premio Letterario Federico Ghibaudo

Concorso Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“LA BIBLIOTECA”

in bilbioteca sono disponibili

per la consultatione,

i fascicoli delle precedenti edizioni del Concorso...

...oltre una copia dei seguenti libri premio:

1996 L’Alchimista - Paulo Coelho - Bompiani

1997 Messaggio per un’aquila che si crede un pollo

Istruzione di volo per aquile e polli

Antony de Mello - Piemme

1998 Il viaggio di Theo Catherine Clèment

Longanesi

1999 Abbiate coraggio Francesco - Alberoni

2000 Perchè credo in Colui che ha creato il mondo

Antonio Zichicci - il Saggatore

2001 Il mondo di Sofia - Jostein Gaarder

Longanesi

2002 Il tao della fisica - Fritjof Capra

Adelphi

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

Primo Classificato sez. poesia

“CAVALIERI e FURFANTI” di Alessandro Farsi - 5a E

Oh, magnifico mondo nuovo!

Io vengo da un esotico paese

da due diverse stirpi abitato:

i "cavalieri", d’animo onesto e cortese

e i "furfanti", dal nome disprezzato,

costoro, poveretti, hanno vita dura

perché mentono a chi chiede qualcosa

non per cattiveria, ma perché Natura

li dotò di questa ingannatrice posa.

Essi, però, non son sempre bugiardi

a volte per un dì, a volte mesi interi

cosicché si sa sempre troppo tardi

se nei loro discorsi furon sinceri.

Da lungo tempo ormai la società

ha accettato questi sfortunati;

son da così tanto nella comunità

da non esser più degli emarginati.

Ormai tutti hanno un impiego pagato:

avvocati, operai, preti, infermieri;

tanto per loro ha fatto lo stato

che anch’essi si senton "cavalieri".

Benché viver qui da noi sia bello

non posso dir che tutto sia perfetto

a governar, anche il miglior modello

talvolta presenta qualche difetto:

dal tassista che ti porta lontano

da dove tu volevi essere portato,

al gestore del cinema urbano

che mette il titolo del film sbagliato.

A volte un’insegnante spiega a scuola

interminabili e noiose lezioni

ma non è vera nemmeno una parola

di quelle rimaste in testa ai secchioni.

La maestra: "2 + 2 fa 10"

può sentenziar con soddisfazione,

e poi: "i troiani vinsero i greci

col nero cavallo di Napoleone".

Penso anche al mio zio poliziotto

addetto al centralino della caserma:

quante volte gli denunciano un complotto,

maligno piano d’una... vecchia inferma.

Comunque la polizia interviene

Page 7: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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ed arrestando l’anziana nonnetta,

se la porta via con flebo e catene,

a bordo d’una scura camionetta;

ma l’innocente vecchia, interrogata,

risponde a fatica con voce fievole:

"furti, incendi e la donna violentata...

sì... m’avete trovata, son la colpevole!".

Mentre lei spira in una cella ingiusta

accusata da falsi testimoni

ricevono in questura più una busta

di chi confessa quelle macchinazioni.

Nemmeno al ristorante puoi star certo

che quel che chiedi sarà poi servito:

t’aspetti la pasta, ma ti vien offerto

pesce fritto ed un panino imbottito.

Ogni famiglia, anche la migliore

convive con un furfante in cucina:

può esser il figlio od il genitore,

o la piccola impertinente cugina.

M’imbarazzò assai la stessa mia madre

quando disse ad amici e parenti

che non fu, a concepirmi, mio padre

bensì vicini parecchio piacenti.

Talvolta conosci nuove persone

che si presentano col nome di "Mario",

"Luigi", "Francesco", "Silvio" o "Marcone"

ma che il giorno dopo si chiaman "Dario".

Talvolta incontri studiosi stranieri

che domandano tutto d’un fiato:

"mi diresti tra questi due sentieri

qual è quello giusto e qual è sbagliato?".

Sono i vostri logici-matematici

che ci studiano da secoli interi,

essi vorrebbero sistemi pratici

per riconoscer se siamo sinceri.

Pensavo però che avrebbero smesso,

badate, è un’opinione mia,

quando un saggio un po’ dimesso

rispose "Questa è una bugia".

Page 8: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

Secondo Classificato sez. poesia

“MASCHERA”

di Cristina Pozzi- 3a D

Dicevo di esserci

E annuivo

E sorridevo

Ma ho nascosto nei silenzi

Il mio vuoto,

quel che hai rappresentato.

Page 9: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

Primo Classificato sez. prosa

“RITRATTO”

di Alessandro F.Dulbecco- 4a C

If you can dream - and not make dreams your master, If you can think - and not make thoughts your aim, - Rudyard Kipling

Il penetrante odore della trementina riempiva la stanza. Dalla grande finestra entrava la luce

del mattino. Una delle pareti era interamente occupata da una massiccia libreria in legno, alla

quale erano appoggiate delle tele appena abbozzate. Alcune avevano solo un fondo di colore,

altre lasciavano già intuire delle figure. Una pellicola grigia ricopriva il pavimento, per evitare

che qualche macchia di colore potesse sporcarlo. Al centro della stanza, il cavalletto. Di fianco,

un piccolo mobile, a tre cassetti, con i colori. Primo cassetto: bianco, nero, grigi. Secondo

cassetto: gialli, rossi, terre. Terzo cassetto: blu, verdi, viola. Su di uno sgabello, dentro un

vaso, una cinquantina di pennelli, per la precisione cinquantaquattro, ordinatamente disposti

per grandezza e forma. Sul cavalletto una tela. Bianca. Il sottile strato di gesso, colla e olio di

lino, che sarebbe servito da fondo, era appena asciugato. Sembrava incredibile che in quella

stanza, dove ogni cosa era inesorabilmente segnata da almeno una macchia di colore, potesse

esistere qualcosa di tanto perfetto. Davanti al cavalletto, una sedia. E sulla sedia, un uomo. In

mano aveva una matita. Fissava la tela, e decise che sarebbe stato un ritratto, un ritratto di

donna.

Il penetrante odore della trementina riempiva la stanza. Dalla grande finestra entrava l’ultima

luce della sera. Davanti al cavalletto un uomo, sul cavalletto un quadro.

Rappresentava...

Rappresentava una giovane donna... Vent’anni, ventidue al massimo. La pelle chiara e i capelli

corvini contribuivano a rendere dolce la sua figura. Il Pittore passò ore - ore - ad osservarla.

Quasi come in un sogno, quando hai paura che, d’un tratto, tutto attorno a te svanisca. Quasi

come quando sei felice e, nel momento stesso in cui ascolti la musica della tua risata, hai

paura che tutto finisca. E - ad ogni sguardo - il Pittore andava rinchiudendosi nella gabbia di

cristallo, finta fittizia gioia che lui stesso si era fabbricato.

Rappresentava una giovane donna. Due occhi bruni che guardavano lontano... Da quello

sguardo l’avresti detta molto timida. il Pittore provò ad immaginare il carattere della sua

Creatura, una ragazza un po’ insicura, ma con cui avrebbe potuto avere interminabili discorsi,

senza mai saziarsi del suono della sua voce. Se qualcuno le avesse detto quanto era bella,

probabilmente sarebbe arrossita.

Rappresentava una giovane donna. Due occhi bruni che guardavano lontano. Indossava un lungo

abito da sera... L’avrebbe potuta conoscere di notte, ad una festa, in un ampio cortile

illuminato da grandi fiaccole. E si sa che alla luce del fuoco tutti i volti appaiono buoni. Pacato

chiaroscuro di colori, il fuoco addolcisce gli sguardi, e con essi i sentimenti. I loro occhi si

erano incontrati per caso. Non avrebbe potuto dire con precisione per quanto tempo erano

rimasti a guardarsi. Poi, lui le si era avvicinato, con la voce che tremava

- Ti stavo aspettando

- Anch’io

Page 10: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Rappresentava una giovane donna. Due occhi bruni che guardavano lontano. Indossava un lungo

abito da sera. Sullo sfondo una stanza con un grande letto di mogano... Avevano parlato per

ore, gli occhi fissi l’uno sull’altra. Lei era una pianista. Davvero? Che compositori le

piacevano? Ravel, Schumann, ma soprattutto Debussy. Lui spesso metteva un disco di

Debussy, come sottofondo, mentre dipingeva. No, era un pittore? Sì, era un pittore. Le

sarebbe piaciuto molto vedere un suo quadro.

- Se ti va di venire a casa mia, lì ce n’è uno che ho finito da poco.

Le andava.

Rappresentava una giovane donna. Due occhi bruni che guardavano lontano. Indossava un lungo

abito da sera. Sullo sfondo una stanza con un grande letto di mogano. Le lenzuola erano

disfatte... Erano rimasti sdraiati per ore, sul letto, uno accanto all’altra. Ognuno sentiva il

corpo dell’altro, il suo calore. Avevano giocato fra le pieghe delle lenzuola, con i cuscini. A un

certo punto, si erano fermati, contemporaneamente, quasi come se si fossero messi d’accordo.

Un sorriso impalpabile sul volto di lei. La baciò.

Il quadro rappresentava una giovane donna. Due timidi occhi bruni che guardavano lontano.

Indossava un lungo abito da sera. Sullo sfondo una stanza con un grande letto di mogano. Le

lenzuola erano disfatte. Dalla finestra si vedeva la strada, giù di sotto, piena di gente. La gente?

Giù dalla finestra del suo studio, nella strada, la gente passava sul serio. Era stata una

giornata calda, ma ora il sole stava lentamente tramontando dietro i tetti delle case e - d’un

tratto - la strada si era popolata. il brusio dei passanti arrivò fino al suo orecchio, e lo distolse

dai suoi pensieri. Quasi stordito, il Pittore si alzò, avviandosi a passi lenti verso la finestra. Si

affacciò e si mise ad osservare i passanti. Solo in quel momento lo capì. Capì che la sua donna

era finta, che il suo amore era finto. La gente che camminava lungo la strada, quella era vera.

La gente che era uscita nella brezza del crepuscolo era vera. Uomini, donne, bambini.

Camminavano, si salutavano, parlavano. Loro erano veri. Quattro ragazze che bisbigliavano

concitatamente a proposito di qualche ragazzo. Loro erano vere. Due bambini, con il naso

schiacciato sulla vetrina del negozio di giocattoli, in fondo alla via. Loro erano veri. Ma la sua

donna no. Lei era solamente un quadro. Una sottile pellicola di colore stesa su una tela di

canapa. Come poteva innamorarsene? No, non poteva prendersi in giro così. Era crudele

rinunciarle, ma la più grande bugia è mentire a se stessi. La verità può fare male, ma non

bisogna mai mentire a se stessi. Quella è la bugia più grande, la più maledettamente

spregevole.

Però... Però in fondo, cosa sarebbe cambiato? L’importante non è la verità, l’importante è

essere felici. E lui, davanti a quella donna, si era sentito felice come mai prima di allora.

Sarebbe bastato così poco. Quasi nulla: rinunciare a quella gente, inutile ma vera, per

abbandonarsi a quella donna. No, no, no, la più grande bugia è mentire a se stessi. Continua a

ripeterlo, o cederai alla tentazione. La più grande bugia è mentire a se stessi. E’ convincersi

che le cose possano continuare quando in realtà sono già finite. La più grande bugia è mentire

a se stessi. E’ convincersi di essere forti quando non lo siamo. La più grande bugia è mentire a

se stessi. E’ convincersi di essere eterni. La più grande bugia è mentire a se stessi. E’

convincersi che una sconfitta sia in realtà una vittoria. La più grande bugia è mentire a se

stessi. E’ convincersi che un quadro sia vero.

Però... Però in fondo cosa sarebbe cambiato?

Rappresentava una giovane donna. Due timidi occhi bruni che guardavano lontano. Un lungo

abito da sera. Sullo sfondo una stanza con un grande letto di mogano. Le lenzuola erano disfatte.

Dalla finestra si vedeva la strada, giù di sotto.

Una strada deserta.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

Secondo Classificato sez. prosa

“PIA de TOLOMEI”

di Pietro Spinelli - 4a B

130 -Deh, quando tu sarai tornato al mondo

e riposato de la lunga via-,

seguitò ‘l terzo spirito al secondo,

133 -ricordati di me, che son la Pia;

Siena mi fé, disfecemi Maremma:

salsi colui che ‘nnanellata pria

136 disposando m’avea con la sua gemma-

Il mio nome è Pia de Tolomei, sono un membro dell’illustrissima famiglia dei Tolomei, una

delle più illustri di Siena. Quando nacqui decisero di chiamarmi Pia per la devozione che mia

madre aveva per la Madonna e perché fu proprio la Madonna a salvarmi la vita.

Quando mia madre era in dolce attesa si ammalò di tisi e tutti la davano per spacciata; le era

già stata data l’estrema unzione ma grazie a quell’Ave Maria pronunciato sul letto di morte

riuscì a partorirmi viva. Purtroppo appena i miei occhi videro la luce lei morì.

Io odiavo mia madre, anche se non l’avevo mai vista ne’ conosciuta la odiavo a morte, era lei

che mi aveva fatto nascere. Fu la mancanza del suo amore a spingermi verso il peccato e la

lussuria, la mancanza del suo amore e quel diavolo perverso che risiede nell’anima di mio

padre.

Ogni mattina andavo in chiesa a pregare, ogni santissimo giorno congiungevo le mani verso il

cielo e invocavo la vergine Maria, umile e contenuta nel volto recitavo ogni parola con totale

devozione, ma dentro di me, nel profondo della mia anima, ardevo come il fuoco. Tutta la

gente perbene della città mi ammirava per la mia purezza, la mia castità, tutti tranne mio

padre. Egli sapeva bene cosa ero in grado di fare, mi conosceva a fondo. Fin dai primi anni di

vita aveva continuato a ripetermi che avrei dovuto prendere il posto di mia madre.

Inizialmente non capivo il significato delle sue parole, forse avrei dovuto occuparmi della casa

e dei miei sette fratelli anche se erano più grandi di me. No, non era quello il mio compito, ciò

che dovevo fare lo capii una notte d’inverno; avevo solo dodici anni quando il mio caro padre,

degno erede e illustre rappresentante della famiglia de’ Tolomei, entrò in camera mia e mi

possedette avidamente, mettendo fine in cinque minuti alla mia giovinezza ed innocenza. Da

quel giorno divenni la paladina del piacere e persi ogni briciolo di dignità. I contadini del

nostro podere mi conoscevano bene e io sapevo come soddisfarli. Amavo il piacere, di

qualunque tipo, non importava se ero da sola, con uno o più amanti, nello stesso letto o sulla

stessa balla di fieno. L’unica cosa importante era il segreto, nessuno doveva sapere quello che

succedeva nel mio letto, sotto gli alberi di ciliegie o in quel maledetto fienile. A volte

indossavo una maschera per non farmi riconoscere, a volte legavo i miei amanti e lanciavo

loro le minacce più turpi per distoglierli dal raccontare in giro ciò che era successo, nessuno in

città doveva sapere ciò che accadeva nel candido giaciglio di Pia de’ Tolomei.

Con il mio viso bianco e delicato e la mia voce candida riuscivo a convincere chiunque,

nessuno dubitava della mia purezza e onestà. Quante cerimonie, quante falsità, quante

preghiere inutili ero costretta a sopportare.

Rifiutai tutti i pretendenti che chiedevano la mia mano, non volevo sposarmi, sapevo che avrei

dovuto smettere di vivere a quel modo e non potevo sopportare l’idea. Poi un giorno, dopo

aver dato il benvenuto ad un illustre ospite di mio padre, rimasi incinta e fui costretta a

maritarmi per non gettare la famiglia nello scandalo. Fu quel povero cristiano di Nello de’

Page 12: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Panocchieschi che mi prese in moglie due mesi dopo, quando ancora il corsetto copriva il

gonfiore del mio ventre. Mi portò in Maremma, in un grande castello. Tutto sembrava essersi

sistemato, finalmente ero lontana da mio padre e potevo vivere tranquilla. I giochi proibiti di

Siena erano solo un brutto ricordo che velocemente sfumava nella mia mente. Mi accorsi che

per la prima volta in vita mia ero felice.

Tutto però fu breve illusione: presto i miei peccati vennero puniti. Una sera andai dal mio

povero marito e gli annunciai di essere incinta e mentii dicendogli che il figlio era suo. Non

dimenticherò mai quella notte, la sua espressione mutò in un secondo: da uomo innamorato e

gentile a uomo freddo e disgustato. Stette immobile davanti a me per cinque lunghi minuti

poi si voltò e disse: "Io non posso avere figli" e se ne andò senza voltarsi. Fu l’ultima volta che

lo vidi.

Tre giorni dopo mi trovai nella cella della torre del castello ed avevo una gran sete. Le catene

intorno alle braccia mi bloccavano il sangue, la gola mi bruciava e il fetore delle mie feci mi

faceva girare la testa. Pensai a mia madre e alla sua ultima preghiera per la Madonna che mi

aveva salvato la vita diciannove anni prima. Poi pensai al mio bambino, quella piccola anima

che avevo ingiustamente strappato dal cielo, il frutto del peccato che portavo dentro. Lo sentii

morire, provai una pena immensa e totale, una disperazione così forte da farmi bloccare il

cuore.

Fu l’amore per quel figlio di Dio, per quella innocente creatura che mi salvò dalle fiamme

dell’inferno, quel povero piccolo che pagò per i miei peccati.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

Premio Speciale Giuria

“BUGIE BUGIE BUGIE EVVIVA LE BUGIE” di Andrea Fioravanti - 4a C

Bugie perbene, bugie permale; bugie fantasiose, bugie banali; bugie solari,

leziose; bugie d’onore, bugie traditrici. Bugie eleganti, volgari, stupide,

intelligenti,. Bugie segrete, utili, ladre, bugie cortesi, uniche. Ce ne sono tante

di bugie, tante quante sono le verità. Tante come gli esseri umani, come i

sentimenti, come i gesti di cortesia, come le stelle del firmamento. E meno

male, perché senza bugie la vita sarebbe un inferno.

Pensate che cosa accadrebbe se non riuscissimo mai a frenare uno smodato

impulso alla verità. Semplicemente, la verità non si può dire, a meno di non

essere o molto spietati, o molto giovani, o molto pazzi. Si può dire al preside

che ti chiede perché arrivi in ritardo che trovi il professore di lettere un emerito

imbecille? A tua sorella che il suo bambino appena nato è brutto come suo

marito? All’amica ingrassata che sta assomigliando sempre più a una balena?

Alzi la mano chi non ha mai fatto, in società, quello stupidissimo gioco che

chiamano "della verità"? E’- un esercizio di sado-masochismo, dove tutti

finiscono paonazzi e sciupati. Un gioco che agguanta, perché ciascuno di noi

vorrebbe sapere la verità dell’altro e tenere per sé la propria.

Anche perché la vita non ha sempre bisogno di verità. Ha bisogno di dolcezza,

piccoli inganni, gentili bugie. Perché spesso ci vuole un buon motivo per

svegliarsi la mattina, e se non c’è bisogna inventarlo, costruire sogni alternativi,

per indorare la pillola del vivere, per diventare migliori. Per non ricordarsi che

tanto, prima o poi, si muore. Dunque, l’esistenza va adornata di sogni, di

illusioni, di speranze. Insomma, di piccole bugie. L’arte del vivere è l’arte

dell’aggiustamento, del maquillage. In fondo, l’unico vero dovere non è tanto

quello di non mentire agli altri, ma di non mentire a se stessi. Scriveva il grande

Joseph Conrad: "L’unica cosa che l’uomo può tradire è la sua coscienza".

E che si mente lo sappiamo tutti, anche se facciamo finta di credere nella bontà

della verità. Mentiamo in casa, sul posto di lavoro, a scuola, dovunque e

comunque..

Se avete un’amica sui cinquant’anni che sparisce per quindici giorni e torna con

i capelli corti, un look tutto nuovo e un sorriso smagliante sulla faccia tirata di

fresco, provate a chiederle: dove hai fatto il lifting? Lei sgranerà gli occhioni

senza più zampe di gallina, gonfierà ancor più le labbra tumide in

un’espressione innocente e dirà: "Quale lifting? Sono appena tornata da una

vacanza!". E perché non confessare che una volta, almeno una, siamo entrati in

una chat sotto mentite spoglie dichiarando di essere un giovanotto palestrato o

una splendida ragazza di vent’anni? E poi, se c’è di mezzo una donna, le bugie

sono inevitabili. Si può davvero dire tutta la verità alla fidanzata o alla migliore

amica?!

No, assolutamente no. Perché un abbellimento, un piccolo omissis,

un’aggiuntina qua e là nel racconto ci stanno bene. Anzi, probabilmente sono

necessari. Le bugie più frequenti sono quelle dette per fini utilitaristici, per fare

bella figura, per trarsi d’impaccio o per fregare; quelle insomma dette ai

superiori, ai colleghi, o quelle rifilate dai commercianti ai clienti. Poi ci sono

quelle cosiddette "relazionali", quelle spese nei rapporti di coppia, amorosi e

Page 14: Premio Letterario Federico Ghibaudo

13

familiari. Naturalmente esistono anche le menzogne a fin di bene; quelle dette

per non ferire l’altro, bugie di cortesia, di buon cuore.

E perché bugie all’apparenza così inutili?

Perché nella vita quotidiana è molto più importante non offendere che farsi

capire. Privilegiare le cortesie alla chiarezza è una regola fondamentale del

vivere insieme. Il compromesso sociale si basa, in tutte le culture, su una

comunicazione fatta di forme indirette. Perché la verità non è un criterio di

affetto o di amore, e nemmeno di buona convivenza. C’è una frase

azzeccatissima di Baudelaire che dice: "grazie a Dio esiste il malinteso". Perché,

se per caso tutti ci capissimo, nessuno andrebbe d’accordo. Le persone possono

comunicare a mille, ma non è questo che le fa andare d’accordo, perché ci sono

cose che non sono trasmissibili. La nostra di oggi è la più stupida delle culture,

perché ci induce a pensare a noi stessi come macchine, ricettori o emettitori di

messaggi. Non è vero. Le parole sono ambigue. Il linguaggio è ambiguo. Il

linguaggio è una trappola. Perché noi parliamo con i gesti, con il tono della

voce, con gli sguardi. Per questo esiste una grande cultura della bugia, che è

una cultura preoccupata dei rapporti.

Non stupisce ma potrebbe far riflettere che molti reclamano a gran voce il

diritto alla verità ma nessuno reclama il diritto all’inganno. Il diritto a

ingannare e a essere ingannato che si esercita a volte per prudenza, altre per

codardia, ma talvolta è davvero utile.

Si dice ai bambini di non mentire perché altrimenti crescerà loro il naso come a

Pinocchio. La morale della favola, che non mente ma mette in guardia, sembra

chiara: si insegna loro a non mentire... mentendo.

Che ironia..

Dunque, buone bugie a tutti e, soprattutto, niente pentimenti: provocano solo

disastri.

Page 15: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

Premio Speciale Giuria

“BUGIE” di Gaia Caimi - 4a F

Mi presento

sono la bugia in persona: il ricordo

FIUME DI ISTANTI FUGACI

INTENSO SUDORE

MUTAMENTO

NERA SOLITUDINE

Cosa ti impedisce di guardare al di là del vetro?

La tua menzogna

la smorfia che porgi al mio io

Sei angosciante

Presuntuoso

Così radicato in me

da accompagnarmi anche a mia insaputa..

Ma da adesso, mia cara menzogna,

la mia bugia è più forte e tenace del tuo potere di seduzione!

E allora perché non accetti con serenità il mio parlarti?

Hai più paura della mia arte oratoria

o di non saper più continuare sulla tua strada?

Temi il mio abbandono anche quando tenti di provocarlo..

ILLUSIONE

STRAVOLGIMENTO

SGUARDO OFFUSCATO

RIVELAZIONE

Codardo..

Non riesci proprio ad ammettere di aver bisogno di me?

Hai voluto prevaricare sulla mia debolezza

Sei stato l'artefice del mio mettermi in gioco

Perché ora pretendi di essere radicato in me se poi non ho il diritto di volerti?

Come fai a coinvolgermi così tanto sensi, anima e corpo al tuo passaggio?

Devo tagliare definitivamente il tuo possedermi...

MALEDETTA GAMMA DI COLORI

CHIAROSCURO

COMPENETRAZIONE

FUSIONE DI TONALITA’ DISCORDI

NOTE DISSONANTI

Ti ho donato la presa e la perdita di coscienza, ricordi?

Page 16: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Non puoi uccidere il tuo passato:

hai bisogno di star male,

delle emozioni e dei brividi che solo esso ti fa assaporare..

Perché ora ti nascondi dietro la maschera della verità?

Sii te stessa, menzogna!

Sfruttami

Abusa della mia voce per uscire dal mio corpo

Io non ti voglio più!

FATALE BUGIA, SEI ANCORA TUA PARLARE

Page 17: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

Premio Speciale Giuria

“BUGIE” di Luca Belloni - 4a H

Sono il ragazzo più bello della scuola

Sono il più simpatico di tutti

Ho un sacco di pregi e nessun difetto

Ho la media più alta di tutto il Frisi

La matematica è la mia passione

Posso avere una ragazza diversa ogni giorno

Nessuno al mondo mi odia

Non ho mai nessun tipo di problemi

Infine sono il ragazzo più felice del mondo!

Page 18: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

Premio Speciale Giuria

“LA POZZANGHERA” di Chiara Di Marco - 1a G

Parlo con te!

Parlo con te, Falsità!

Forse non ti ricordi neanche di quell’anno passato insieme,

o per meglio dire, nella stessa classe.

Certo, ormai è una cosa finita,

fa parte dei ricordi,

ma tu... tu sei ancora falsità!

Sei l’opposto di me;

io ho il coraggio di parlarti,

in questo modo, senza pudore, davanti a tutti.

Tu che cosa facevi?

Ti fingevi mia amica e poi...

mi hai deriso,

mi hai allontanata da tutti,

hai disprezzato il mio nome,

mi hai chiamata "la diversa"

ma diversa da chi?

Diversa da te!

Sai, ero orgogliosa di esserlo!

Mi vantavo con le persone che sapevano ascoltarmi

di non essere uguale al gruppo,

alla massa che comandavi come tanti burattini!

Ero "la diversa" certo.

Ma l’ipocrisia,

la paura

non ti ha mai portato a dirmelo in faccia,

a guardarmi negli occhi.

Capisco solo ora perché lo hai fatto.

Io avevo degli ideali,

avevo coraggio,

e sicuramente non ti avrei mai seguito

solo perché eri la gallina più bella del pollaio.

Ti difendevi solo così,

spettegolando,

eri contagiosa;

persino le mie migliori amiche mi avevano emarginata,

E tu non sai quanto ho sofferto;

quante notti a piangere sulla foto di classe;

quanti giorni persi per tentare di parlarti,

fino a quando un giorno non mi trovai in un vialetto...

Un vialetto colmo di pozzanghere

create da una pioggia intermittente.

Chiusi l’ombrello;

Page 19: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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a che mi serviva?...

sarei tornata a casa un po’ bagnata...

e allora?

Sentivo il dolce tintinnio dell’acqua;

sai, non l’avevo più fatto

da quando sono diventata "grande"

Com’era bella quella musica

prodotta dal nulla delle nuvole,

dall’invisibile vento,

dal rimbalzo delle stille sui tetti,

e dal lacrimare delle foglie.

Avanzai a passo lento,

e i miei sensi si abbandonarono

in una danza spinta dal soffio del gelido inverno.

Avevo capito che troppe volte

mi ero riparata dagli ostacoli,

gli ostacoli della vita,

aggirandoli,

senza superarli mai,-

poiché l’incertezza incombeva,

e come in una pozzanghera,

avevo il timore di sporcarmi di fango.

Da quel momento, compresi che con la mia volontà

e la mia voglia di vivere,

sarei riuscita a spiccare salti

che mi avrebbero fatto sconfiggere

ogni tipo di contrarietà.

...

ed oggi...

ciò che provo per te non è più astio,

non nutro più rancore per quello che è successo.

Vorrei solo rincontrarti,

e ricominciare, AMICA MIA,

come l’onda sulla spiaggia

trasforma i vecchi passi

e ne crea di nuovi.

Page 20: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

Premio Speciale Giuria

“BUGIE” di Margherita Corradi - 1a L

Ho bevuto

l’aria

silenziosa e antica

frangia sospesa

da stralci di nuvole.

Ho ascoltato

l’assenza

generosa e piena

di suono e di moto

polvere sciolta

in cromatismo di smeraldo.

Profumi verdi

avvolti,

flessuose spirali,

lungo un raggio

colato in controluce.

Ho pianto

sul buio acerbo

delle cose

effimera bugia

illusione

dei miei sensi.

-percezioneilliusione-

Page 21: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“DIALOGO DI PITAGORA E DI UN MATEMATICO”

di Silvia Fabello - 5a H

PROTAGORA: La realtà… non esiste, appare.

MATEMATICO: La realtà è ciò che io, padrone degli strumenti delle scienze esatte, posso

dimostrare. Ciò che non si può dimostrare non esiste.

PROTAGORA: Allora tu stesso non esisteresti. Della realtà… noi possiamo conoscere ogni

aspetto, solo che esso può apparire agli uomini sotto una forma, oppure

nelle vesti del suo contrario. Non c’è univocità….

MATEMATICO: Se nulla è sicuro, e l’apparenza è tutto, di quali tue convinzioni mi stai

allora facendo certo. Stai forse cadendo in contraddizione? Se mi stessi

dicendo una cosa e l’altra per essere coerente col tuo pensiero, io scusa

non ti comprendo.

PROTAGORA: Una realtà c’è. Con che non voglio dire che noi mortali possiamo

intendere il vero, che una verità… univoca non esiste: quella realtà che voi

chiamate dimostrabile, e cui di conseguenza attribuite il titolo di Verità, è

al contrario una realtà doksa.

MATEMATICO: Ma considera una cosa che io posso dimostrare, o di cui posso dire che E’,

per utilizzare un linguaggio che ti è più consono; essa postula in sé i suoi

attributi e quindi la sua oggettiva verità….

PROTAGORA: Sciocco! Se avessi prestato attenzione alle mie parole ti saresti accorto che

la realtà non E’, ma c’è. Ho detto che la realtà ci si presenta come

apparenza; e dunque ne consegue che sono la sapienza dell’intelletto

umano e la sua istruzione retorica che gli permettono di rappresentarla nel

modo che gli aggrada.

MATEMATICO: Tu mostri di non aver posto mente all’essenza intima di ciò di cui vuoi

essere esperto. Il vero esiste, ma, e in questo mi ritrovo concorde a te, non

nella realtà comune come appare alle persone di poco acuto ingegno. Esso

non dipende come vuoi sostenere tu dalla mia propria volontà….

PROTAGORA: Facciamo che io non creda veramente a quello di cui sto cercando invece

di farti certo: potresti tu, ora, dimostrarmerlo? Potresti tu dirmi qual è la

verità a mio proposito?

MATEMATICO: Stai cercando di sviarmi ed ingannarmi con le tue parole. Il vero esiste e lo

si può trovare nelle leggi supreme che regolano il mondo; ed è una verità

che noi possiamo dimostrare, potendo con la forza della ragione, e non con

la tua fuorviante retorica, convincere anche i più scettici. Le tue

argomentazioni non sono che illusioni, basate su una finzione.

Page 22: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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PROTAGORA: Io non ti sto mentendo. Dal momento che sono conscio e dichiaro la non

esistenza di un vero univoco, io sono sincero nel presentarti la mutevole

realtà.

Non sono ordunque fasulle anche quelle che voi chiamate superbamente

certezze scientifiche come la luce del giorno ed il buio della notte, il giallo

del sole ed il bianco della luna laddove un cieco se le immagina diverse?

Dipendono solo da una percezione umana.

MATEMATICO: Ma un cieco non può, essendo manchevole della vista, non può Conoscere

la realtà.

Egli la percepisce manchevole, e crea false illusioni.

PROTAGORA: Sei in errore, e sei tu che ora stai cadendo in contraddizione. Le sue non

sarebbero illusioni, perché la conoscenza della realtà è una percezione

della mente e dei sensi.

Tu sostieni di poter dimostrare la realtà, perché allora non ne puoi rendere

consapevole anche il cieco?

MATEMATICO: Così il mondo risulta però contraddittorio.

PROTAGORA: E’ l’uomo la misura di tutte le cose.

La realtà non sarebbe di per sé contraddittoria, semplicemente non

definita; se solo voi non cercaste di affermare la sua univocità e di

dimostrarla! Cosi facendo la rendete falsa.

Mi è stato sottoposto poco tempo fa questo quesito da un uomo

appassionato di presunte verità *); lo voglio ora rivolgere a te, che ti

professi maestro delle scienze esatte: se fai cadere un grano di miglio esso

non genera nessun rumore; ma se fai cadere un sacco di grani di miglio, il

tuo orecchio ne percepisce il suono.

Si ingannano allora i tuoi sensi, o è forse la realtà che appare diversa in

momenti diversi, perché non è univoca?

Rispondimi, se sei in grado di dimostrarmi il fenomeno con la tua verità.

MATEMATICO: Mi stai nuovamente ingannando; non posso dimostrarti ciò che tu mi

chiedi, perché la tua è una domanda capziosa. In verità il suono esiste

sempre.

PROTAGORA: Sicché tu lo puoi sentire.

MATEMATICO: No, sentire no. Ma esiste.

PROTAGORA: Non andare in collera; lo puoi dimostrare a me o al mondo?

MATEMATICO: Non posso dimostrarlo. Ma esiste!

PROTAGORA: Bene, bene. Mi risolvo a concludere che neanche tu mi puoi portare

dimostrazioni oggettive del vero e sei in contraddizione con te stesso.

Però anzi cerchi di ingannarmi con le tue pretese, mentre io sono stato

sincero con te. Tu menti a te stesso e agli uomini, ma in conclusione la

realtà neanche per te è vera.

Cosi è veramente.

*) Zenone lo Stoico

dal "Dialogo di Protagora e di un matematico"

Page 23: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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[L’operetta è stata ritrovata nella biblioteca pubblica di Recanati, intitolata ma non firmata; è

stata attribuita a Leopardi, rintracciando in essa, attraverso l’uso dell’ironia, le teorie del poeta

sul rapporto tra il vero e le illusioni. In realtà il fatto che non sia stata inserita nelle "Operette

Morali", lo stile meno retorico e il modo stesso in cui sono trattati i temi, alcuni dei quali

estranei al Leopardi, fanno discutere a proposito della possibile attribuzione: è stato anche

ipotizzato che possa trattarsi di una posteriore imitazione, di un falso.]

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“BUGIE” di Giulia Pegolotti - 4a C

Già mentre metti il libro di storia nello zaino sai che lì rimarrà fino al tuo ritorno

a casa. Prima di uscire di casa il pomeriggio pensi immancabilmente di sfruttare

la mezz’oretta di viaggio in autobus per studiare la lezione per il giorno dopo, ma

il buon proposito di dedicarsi alla cultura rimane altrettanto immancabilmente

tale.

All’inizio te ne stai seduta a osservare la strada fuori dal finestrino e poi, succede

sempre, rivolgi l’attenzione verso la gente che viaggia con te: scruti gli altri,

ascolti le loro conversazioni, senza volerlo, senza cattiveria, sarà voyeurismo

come quello degli spettatori del Grande Fratello, sarà noia, ma finisci sempre per

farlo. A volte la cosa ti fa diventare davvero triste.

Beh, non sempre, dipende dal tuo umore.

Quando sei già un po’ giù di tuo vedi le cose in maniera diversa, e ti sembra

ovvio che lo strato di trucco di quella ragazza seduta sul sedile dietro non è

quello che lei è, è quello che lei vuole sembrare davanti ai suoi amici alle persone

che incontra per strada ai ragazzi che incrocia nei corridoi della scuola ai suoi

genitori che magari una volta per tutte vedono che lei è diventata grande.

Probabilmente lei si piace pure ma secondo te in fondo non è vero affatto.

Consideri che ai due ragazzini che stanno discutendo a proposito

dell’interrogazione di scienze dei giorno dopo non importa proprio niente della

doppia elica, ma domani in classe ne parleranno con passione al professore,

prenderanno otto più e tra una settimana non si ricorderanno neppure se era la

citosina quella che stava con la guanina (o era l’adenina?).

Sorridi osservando la ragazza che sta descrivendo all’amica che le siede di fianco

tutte le dinamiche psicologiche del processo che ha portato il suo ex ad

abbandonarla ottusamente per un’altra (gli uomini non capiscono mai niente ma

tornerà lo so ed io gliela farò vedere stanne sicura però nel frattempo ci sto

troppo male aiuto), interlocutrice annuisce comprensiva, è voltata di spalle ma se

potessi sai che le leggeresti negli occhi solo l’attesa un po’ risentita di poter

esporre anche i suoi di problemi esistenziali, di sicuro più gravi di quelli di questa

lagna che non capisce niente della vita (sono d’accordo con te, guarda che uno

come quello meglio perderlo che trovarlo).

Avverti provenire da dietro di te un tipico ticchettio di cellulare, ti immagini il

sorrisino stampato in faccia alla ragazzina intenta a rispondere ai messaggi

sdolcinati di un qualcuno a causa di cui si ritroverà sdraiata sul letto a piangere

entro un paio di settimane...

... ti senti un po’ cinica oggi, eh?

Lo sguardo cade sul pezzo di stoffa bianco attaccato allo zaino, e neanche tu ti

senti poi cosi genuina... hai manifestato per la pace, hai una bandiera arcobaleno

appesa fuori dal balcone di casa, ti infervori sporadicamente discutendo della

guerra e di questioni più grosse di te, ed in fondo continui a percepire i tuoi

Page 25: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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piccoli problemi, le tue interrogazioni, i tuoi litigi con i genitori ed i tuoi telefoni

che non squillano come faccende più gravi dell’enormità che intanto succede.

E anche tu ti trucchi, anche tu studi e ripeti cose di cui non ti importa proprio

nulla, anche tu hai manie di protagonismo e anche tu mandi messaggi sdolcinati,

nel disperato tentativo di comunicare... e mentre sei lì, seduta sul tuo sedile, su

un autobus di linea qualsiasi, ti sembra di cogliere l’essenza di un non sai che di

universale. Noi non possiamo comunicare, non ne siamo capaci, le bugie devono

esistere per forza, non tanto le bugie che si raccontano, quanto tutte quelle che

mettiamo nel modo di vestire, nel modo di parlare, nel nostro apparire... Siamo

costretti a tante piccole bugie perché è il modo più semplice che troviamo per

lanciare i nostri pensieri e toccare quelli degli altri... siamo isole collegate da

ponti barcollanti di parole e sguardi...

Basta poco per spezzare il filo di certe riflessioni, ad esempio il bip-bip dei

cellulare, è arrivato un messaggio. Per di più l’autobus è quasi alla tua fermata, ti

alzi e ti accorgi che devi muoverti a tornare a casa, hai detto a tua madre che

saresti stata indietro per le sei, stavolta ti uccide davvero.

E poi devi studiare storia.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“VERITA’ E BUGIE SONO ENTRAMBE MALATTIE”

di Paola Stucchi - 2a I

Era una sera d’inverno molto fredda e Mario se ne stava seduto alla finestra a guardare la

neve che cadeva fitta fitta dal cielo scuro del crepuscolo. Stava aspettando che Andrea, il

fratello maggiore, tornasse a casa e continuava a guardare il sentiero che portava al villaggio

vicino per vedere se arrivasse. Il vorticare dei fiocchi di neve gli giocava brutti scherzi e spesso

gli sembrava di vedere dei piccoli esserini che si sarebbero potuti dire o gnomi o folletti. Ogni

volta che cercava di osservare quelle cosine, beh, quelle sparivano e rimanevano solo i fiocchi

bianchi che danzavano. Era seduto nel vano della finestra e, vicino, c’era un mobiletto con

sopra il vaso dei fiori preferito da sua mamma, pieno ora di margherite finte per via della

stagione; per terra il fratellino Daniele stava vivacemente giocando col gatto e con le sue

costruzioni.

Mario si era stufato di stare ad aspettare e quegli esserini che pensava frutto del continuo

vorticare della neve iniziavano a dargli sui nervi, così aveva cominciato a guardarsi intorno

alla ricerca di qualcosa da fare o almeno di qualcosa con cui giocherellare un po’. In giro non

c’era niente da poter usare, tutto era in ordine perfetto e sua madre si sarebbe subito accorta

del minimo cambiamento. Uffa! Non c’era mai niente di divertente da fare in casa! Il

fratellino, stanco delle costruzioni, iniziò a inseguire il gatto per tutta la camera: intorno al

divano, sotto il tavolo, dietro le tende... Mario riprese a guardare fuori dalla finestra e iniziò a

tirare dei calcetti al mobiletto vicino a lui che cominciò a traballare. Daniele stava correndo

verso la parte opposta della camera e urlava sempre più per l’eccitazione dell’inseguimento. Il

fratello era al limite della sopportazione e, irritato sia per il chiasso sia perché non trovava

niente da fare, iniziò a tirare calci sempre più frequenti e più intensi al mobiletto fino a che il

vaso, dopo aver paurosamente oscillato cadde a terra assieme al mobile e il povero Daniele

non finì in mezzo a tutto quel disastro per pura fortuna, perché si trattenne al pelo. Mario era

sicuro: qualcosa di nero era passato tra il fratellino e il vaso, perché il vaso cadde a terra senza

rompersi e Daniele riuscì a non finire sotto al mobile. Il piccolo, spaventato, si mise a piangere

credendo di averlo fatto cadere lui. La madre accorse, ma Mario riuscì a rimettere a posto il

vaso prima che lei lo vedesse. Il fratellino era tutto rosso e piangeva tanto che per poco non

gli vennero le convulsioni.

- Dovevi tenerlo d’occhio! Sai bene che con la sua asma non deve agitarsi così.

Possibile che non ci si possa mai fidare di te?! -

- Non me l’avevi detto di impedirgli di giocare col gatto. -

La madre si infuriò.

- Di giocare col gatto no, ma di impedirgli di correre sì!

- Me ne sono dimenticato.- e con un’alzata di spalle uscì dalla stanza andando in camera sua.

Nel frattempo era rientrato il fratello maggiore.

- Sono tornato!-

- Preso tutto?-

- Sì - e andò in cucina a mettere in ordine le cose comperate.

Intanto il padre scese dal piano di sopra mentre la madre saliva col piccolo in braccio per

andare a prendere le medicine da dare al piccolo contro l’attacco di asma che gli stava

venendo.

- Cara, hai per caso aperto tu la finestra in camera di Andrea?-

- No. E poi con questo tempo? Vedrai che l’avrà aperta Mario per fargli dispetto.-

Page 27: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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- Beh, lui ha negato, ma cosa ha fatto Daniele?-

- Si è agitato correndo dietro al gatto e gli è venuto un attacco d’asma.- intanto era

arrivata in cima alla scala e si era subito diretta in camera a prendere le medicine.

Il padre borbottando tra sé andò in cucina.

- Non hai chiuso la finestra.-

- Cosa?-

- Non hai chiuso la finestra della camera prima di uscire. Ora la camera sembra la tana di un

orso polare. -

- Ma io l’avevo chiusa! -

La madre intanto dal piano di sopra;

- Andrea, mi sembrava di averti detto qualcosa prima di uscire.-

- La finestra l’ho chiusa!-

- Veramente?! L’hai chiusa, però adesso c’è un bel po’ di neve sul tuo letto, per terra e ci si

congela al solo affacciarsi sulla porta - Ma... -

- Dormirai in camera con i tuoi fratelli, non posso mettere disordine in sala o domani sentirai

la paternale di tua nonna.-

- Perché non provi a chiedere a Mario? Non mi sembra che sia nuovo a queste cose. E poi non

era sceso con noi ma era rimasto su un po’. E’ sceso quando sono uscito!

- Ne sei sicuro?-

- Sì, sul davanzale c’era il guanto che aveva in mano prima di scendere.- disse la madre

entrando.

- E’ inutile, ormai non ci sono più speranze. Va beh ci dovremo rassegnare! Ma cara, come sta

Daniele?-

- Si è ripreso, si è appena addormentato. La crisi non era niente di grave.-

- Per fortuna non ha avuto niente di serio. Ma non lo controllava nessuno?-

- Qualcuno sì ma... -

Nel paese di Busìverì, quello di Mario, i bambini si potevano classificare in due categorie: la

prima era quella dei bambini che volenti o nolenti non riuscivano mai a dire una bugia,

nemmeno la più piccola e semplice del "non sono stato io", erano insomma dei santini; l’altro

gruppo, al quale apparteneva Mario, era quello dei bambini che non riuscivano mai a dire la

verità e nemmeno a fare quello che si chiedeva loro. I genitori di questi ultimi erano alquanto

disperati anche perché, qualunque risoluzione prendessero, era molto raro che i figli

riuscissero a smettere di fare i totali bugiardi e a iniziare a dire la verità. A questo punto

nasceva un serio problema: infatti solo una ristrettissima minoranza dei pochi bambini che

smetteva di dire sempre bugie riusciva a passare interamente alla verità, mentre l’altra

rimaneva tra verità e falsità, e comunque questo cambiamento di comportamento avveniva

solo prima dei dieci anni e poi si rimaneva definitivamente ciò che si era.

Mario era appunto uno dei bugiardi e pigri e la famiglia e gli amici e i professori erano

esasperati, ma il suo era, come si suole dire, un caso perso; cocciuto, testardo e ribelle, non

c’era verso di fargli entrare in testa qualcosa che lui non volesse, come appunto la verità e

l’obbedienza. Nonostante tutto ciò che si era tentato non era mai cambiato di una virgola e

ormai aveva undici anni: non c’era più speranza. I suoi genitori, tuttavia, non disperavano di

fargli entrare in testa un po’ di obbedienza e continuavano a punirlo, non troppo severamente,

per cercare di fargli capire qualcosa.

Ancora una volta Mario fu messo in punizione ma niente cambiò il suo modo di comportarsi e

i suoi cominciarono a disperare che divenisse almeno un po’ sensato.

E quella sera fu messo nella camera del fratello, fredda, ma era la punizione. "Insomma, è ora

che tu capisca le conseguenze delle tue azioni!" aveva detto sua mamma. Si era rintanato

nell’angolo più caldo della stanza e cioè dalla parte dove nella sua camera, che era attigua,

c’era la stufa. Si stava quasi per addormentare quando qualcosa luccicò nel buio. Aprì gli

occhi. Non c’era niente. Tornò a cercare di appisolarsi, ma qualcosa nella penombra si mosse e

attirò la sua attenzione. Gli si stava avvicinando, ma la cosa, o meglio i tre esserini gli si

affollarono davanti.

- Verum, allora?! -

- Sì, è lui, è uno dei casi più critici. -

Page 28: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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I tre esserini guardarono Mario che li osservava scettico e stupito al contempo.

- Se permettete lo interrogo io.- e si fece avanti quello più basso.

Aveva baffi bianchi e portava un completo verde da boscaiolo.

- Come ti chiami, ragazzo?-

"Devo sognare. Sembrano i tre elfi di Claudio."- Claudio - rispose

- Esattamente come l’altro.- bofonchiò quello rosso sulla destra e si fece avanti.

- Bene Mario, Claudio è tuo amico. Come è caduto il vaso

- L’ha preso dentro mio fratello - "Ma come fa a sapere che mi chiamo Mario?"

Fu la volta dell’elfo di centro, quello vestito di blu.

- Va bene Mario, dopo aver tirato quel calcio mi hai quasi steso sotto il mobile. (Mario rimane

allibito) Comunque, so che avete fatto un po’ di Parmenide nel laboratorio di filosofia a

scuola. Bene, mi sai dire qual è la sua vera verità?

- La vvve, la vve... -

I tre elfi si guardarono e si fecero un cenno d’intesa.

- Il tuo è proprio un caso critico, non riesci nemmeno a dire una filosofia così semplice.

Comunque ti diamo una possibilità. Se non la passi, non sarai in grado di tornare indietro in

questo mondo, mentre se la passi ... vedrai.-

Si tolsero i cappelli facendo spuntare le orecchie a punta e agitate queste si ritrovarono tutti e

quattro in un giardino pieno di fiori, tutti soffocati da cespugli di rovi dalle spine grosse,

intrecciati tra loro in modo talmente fitto da lasciare appena intravedere ciò che ricoprivano.

Mario non poteva crederci. Stava indubbiamente sognando. Si tirò un pizzicotto facendosi

male. No, non stava sognando. Che Claudio dicesse il vero?

Claudio era stato un bambino proprio come lui, incapace di dire la verità, però poco prima di

compiere gli undici anni era improvvisamente cambiato e aveva iniziato a smettere di dire le

bugie, ammetteva ogni cosa che faceva e non era più nemmeno in grado di dire la più

semplice delle bugie. Quando gli avevano chiesto cosa gli fosse successo aveva risposto che tre

elfi gli erano comparsi davanti, gli avevano fatto cose strane e lui non riusciva più a dire bugie

e addirittura non riusciva neanche a pronunciare tale parola.

"Ma che Claudio avesse veramente ragione?" No! Era inammissibile una cosa del genere. Non

poteva essere vero! Non doveva essere vero! E poi era contro ogni logica, insomma a undici

anni o dicevi la verità o dicevi le bugie. E poi Claudio era stato ricoverato...

No, non era vero, però non stava neanche sognando!

- Allora, stava dicendo l’elfo rosso, vedi bene che questo giardino è un po’ trascurato. Devi

rimetterlo a posto! -

- Cosa?-

- Devi trovare tre porte che si aprono solo con i nostri tre nomi.- disse quello blu

- I nostri nomi li sai già, solo che non li rammenti, questo ti servirà a trovarli.- e l’elfo verde gli

consegnò una specie di piccola ampolla contenente del liquido simile all’acqua.

- Bene, se versi l’acqua per terra troverai la strada.

- Devi seguire un preciso percorso.-

- Se infrangerai il percorso ti perderai.-

Detto questo i tre elfi sparirono. Mario era rimasto lì esterrefatto con la piccola ampolla in

mano e non sapeva cosa fare. Non era possibile. Provò a tirarsi degli schiaffi, ma niente, non

riusciva a svegliarsi. Non riusciva a vedere una via d’uscita e così si risolvette a seguire il

consiglio degli elfi. Versò un po’ d’acqua per terra e comparve una "C", vi andò sopra e

comparve davanti una "O" e così via fino ad arrivare a leggere la frase "COSA VUOI DIRE?"

Quando arrivò al punto di domanda si ritrovò davanti a due porte. La prima era rossa con in

mezzo tre strisce verticali che da sinistra a destra erano blu, bianca e rossa, tutte contornate di

nero e con sopra una "F". "Sembra quasi la bandiera francese" pensò subito Mario. L’altra era

uguale se non che invece che rossa era tinta di bordò. Stava osservando le porte quando gli

comparve dinanzi un serpente.

- Ssssalve. Tu devi essere il ragazzzzino. Bene, sssseguimi.-

E attaccatosi con la coda alla sua gamba lo tirò verso la siepe che si aprì e lasciò vedere una

superficie nera. Il serpente sibilò. Sulla superficie nera si vide un bambino piccolo di circa

cinque anni, aveva preso un piccolo calamaio e ne stava versando l’inchiostro su una pagina di

Page 29: Premio Letterario Federico Ghibaudo

28

qualche cosa, sentendo arrivare qualcuno aveva lasciato cadere il calamaio ed era scappato

fuori dalla stanza. Mario si sentì come se qualcuno gli stesse scavando nella memoria. Poi la

scena disparve e si vide una famiglia seduta a tavola e il padre che urlava contro quello che

sembrava essere il figlio maggiore.

- Insomma te l’avrò ripetuto cento volte: era un documento importantissimo! Basta, questa

sera non esci e non uscirai neanche per quei dannatissimi allenamenti!- e tirò un ceffone al

figlio. La scena disparve. Il serpente fissò il ragazzo negli occhi, lo scrutò a fondo. Gli girò

intorno, lo analizzò; poi, ergendosi al livello della sua faccia:

- Che bella ssscenetta commovente, non trovi? Un vero esempio di limpida verità lampante,

non è cosssssì?-

Gli occhi del serpente brillarono di malvagità. Mario si era quasi dimenticato di quella storia.

- Quella è stata la prima volta che ho mentito. Mio padre mi aveva chiesto se ero stato io, ma

io avevo negato subito e poi mia madre aveva visto mio fratello col calamaio in mano.-

Il serpente si ritrasse disgustato, i cespugli di spine si alleggerirono e si diradarono

notevolmente e il ragazzo, sentendosi in un certo senso più leggero, ritrovò il resto del

ricordo...

- Sono stato io ad accusare mio fratello di fronte a mio padre perché non volevo essere punito

e poi avevano litigato, così ne approfittai. Però ero stato io. Adesso mi dà fastidio un po’

quello che ho fatto.-

Non aveva mai ammesso di aver detto una bugia. Era la prima volta. Le spine scomparvero

totalmente, Mario si sentì molto più leggero e i fiori presero un debole colore poco smorto ma

non allegretto. Il serpente, inorridito, era scappato a testa bassa alla porta e quando il ragazzo

lo raggiunse si issò sulla porta rossa e si andò a incastrare nel contorno nero intorno alla

bandiera francese. Il ragazzo rimase notevolmente interdetto di fronte allo strano

comportamento dell’animale e non sapeva cosa fare o semplicemente cosa pensare. Il serpente

lo guardò.

- Pressssta bene attenzzzione: Vérité!-

Il serpente si fece di un rosso vivo fiammeggiante come un fuoco e si integrò nella porta che

era diventata del medesimo colore e che si aprì, un po’ cigolando, sulla seconda parte del

giardino da salvare.

- I miei complimenti, sei riuscito ad ammettere il tuo primo sbaglio, non sei poi così

irrecuperabile. Bene ricordati tutto ciò che hai visto e sentito-

Erano i tre elfi che avevano parlato, ne era sicuro, però non sapeva dove.

- Tranquillo, non ti preoccupare, tu non ci puoi vedere ma noi ti seguiamo. Ricordati bene:

Vérité!-

"Vérité, ma che diavolo vorrà dire?" e data una scrollata di spalle attraversò la porta. Entrato

nella seconda area del giardino si guardò intorno per decidere il da farsi. Le spine, poté

notare, erano un poco più fitte rispetto alla prima parte del giardino e i fiori più spenti

rispetto agli altri già visti. Non sapeva cosa fare e si guardava intorno come un bambino

sperduto alla ricerca di aiuto e consiglio, quando sentì una leggera frescura sulla mano

sinistra. Si ricordò così, vedendola, dell’ampolla datagli dai tre elfi e del suo funzionamento.

Tolse il tappo e versò un po’ di quell’acqua per terra; come prima comparì una lettera, questa

volta la "D", e come prima dovette camminare sulla frase che pian piano usciva. In cammino

fu più lungo e Mario ne approfittò per controllare lo stato dei fiori: erano coperti dalle spine,

però come se fossero cresciuti insieme a quelle; altra cosa che gli balzò all’occhio, come si

suole dire, fu l’arsura che li aveva colpiti. Intanto era arrivato alla fine della frase che aveva

segnato il suo percorso.

"DEVI DISTINGUERE E CAPIRE QUAL E’ LA BUGIA, SE HAI GIA’ AMMESSO LO SBAGLIO

SARA’ PIU’ FACILE" Arrivò davanti a due alte porte più massicce delle prime due. Queste

erano verdi e lungo ì cardini scorreva un lungo serpente rosso vivo; al centro delle due porte

c’era un’aquila solo che quella di destra era ad ali spiegate, mentre quella di sinistra era

rintanata e lo guardava torva e minacciosa. Stava studiando le due porte quando sentì

arrivare due uomini che discutevano. Si voltò e rimase a guardare e ad ascoltare.

- Sei un bugiardo bell’e buono.- stava dicendo il primo, un evidente dottore un po’ spigliato e

trasandato, ma con uno sguardo franco e sincero.

Page 30: Premio Letterario Federico Ghibaudo

29

- Ma, mi consenta di contraddirla mio caro dottore, a mio parere è proprio lei il bugiardo.-

aveva invece ribattuto il secondo dallo sguardo un po’ freddo e indifferente, ma dal

comportamento impeccabile e aristocratico. I due si fermarono davanti a Mario che li

guardava come per dire: e voi cosa ci fate qua? Non centrate niente con me. Fu il dottore

spigliato a parlare.

- Benvenuto, tu sei qui per giudicarci e per scegliere chi preferisci seguire. Dal canto mio ti

consiglio di non dare ascolto a questo Pinocchio. Se segui me arriverai, con un po’ di fatica, lo

ammetto, alla terza porta. Se segui lui, non so che fine farai.

- La prego di non dare ascolto a quest’uomo che non fa altro che parlare a caso, replicò il

dottore aristocratico. - A sentirlo sembrerebbe quasi che ci trovassimo nella foresta della Bella

Addormentata. Comunque sia io le posso mostrare la via più veloce. Sono certo che ne terrà

conto e poi potremo iniziare un interessante discorso su certe bevande e potrei fargliene

assaggiare una.-

Nei suoi occhi brillò per un secondo un po’ di malvagità. Mario ebbe paura, riflettè un

secondo e poi arrivò alla sua decisione.

- Seguirò il dottore spigliato. Voi usate le lusinghe come ho provato a fare io per ingannare

alcuni miei amici e quindi mi sapete più di bugia, siete facile e comodo, ma pericoloso. La

verità è franca e sincera anche se non è sempre il massimo della vita.

- Come hai osato!!- il dottore aristocratico si infuriò e sì trasformò in una specie di mostro

orripilante e si stava per lanciare sul ragazzo quando l’aquila della porta sinistra gli volò

addosso e se lo mangiò in un boccone.

- Mi dispiace per l’orrendo spettacolo, ma adesso ti lascio andare, io devo tornare al mio

laboratorio. -

Così detto il dottore mise una mano sull’aquila della porta di destra che divenne come un

unico prato verde. Nel frattempo le spine sì erano dissolte e il giardino era ritornato a fiorire.

La porta si aprì dopo che il dottore ebbe detto "Verum".

- Ricordati: il rosso è Vérité e il verde Verum. Ciao. - e il medico se ne andò.

Oltrepassata la porta Mario si trovò davanti a una via sempre più stretta, le spine si erano

allargate a macchia d’olio e prendevano parte della strada. La condizione dei fiori era

notevolmente peggiorata e lui si sentiva quasi in colpa per quella situazione. Versò ancora un

po’ d’acqua e comparve di nuovo, camminandoci sopra, la frase. La situazione era

notevolmente peggiorata e i fiori stavano visibilmente morendo. Giunto alla fine del percorso

si trovò di fronte ad una porta blu, immensa costituita da due battenti; su entrambi c’erano un

serpente infuocato lungo i cardini ed un’aquila verde come un prato, poi a destra, nel centro,

c’era, conficcata, un’ampolla uguale alla sua con l’imboccatura verso l’alto e nel centro a

sinistra il posto per un’altra ampolla come la sua con l’imboccatura verso il basso. Non sapeva

cosa fare. "DEVI SCEGLIERE: O LA VERITA’ E LA VITA, O LA BUGIA E LA MORTE DEL TUO

IO" La bugia e la morte del proprio io. Mario continuava a chiedersi cosa volesse dire.

Osservava le siepi e gli sembrava che disegnassero la scritta "BUGIE". Sì era proprio così, più

guardava e più vedeva in quel groviglio di spine la parola "BUGIE". Ma come scegliere la vita?

Ormai non pensava più alle bugie, il solo pensiero lo faceva rabbrividire perché a quella

parola ormai associava il dottore aristocratico trasformatosi in mostro. Un brivido d’orrore lo

scosse tutto al solo ricordo! Si rammentò dell’ampolla e dell’ultima lezione di scienze: l’acqua

è alla base della vita! Ma come poteva darla a quelle piante morenti? Ci doveva essere un

modo! Si mise ad osservare la porta e si convinse che l’unico modo sarebbe stato quello di

porla a testa in giù, nella speranza che l’acqua non uscisse tutta prima. Mario capovolse deciso

l’ampolla e con suo grande stupore l’acqua non cadde, ma rimase con quella membrana che si

forma quando si riempie il bicchiere d’acqua fino all’orlo. Superata la sorpresa si impegnò a

sistemare l’ampolla nella porta incastrandola perfettamente al suo posto. I serpenti infuocati

guizzarono fuori dalla porta e bruciarono le spine che avvolgevano i fiori, poi da tutto il

giardino zampillarono fontane che dissetarono e rinvigorirono le varie piante e infine le aquile

si alzarono in volo, dissiparono le nuvole e il sole accarezzò e salutò il giardino finalmente

tornato alla vita. Mario si sentiva decisamente meglio, più leggero e con la soddisfazione di

aver fatto finalmente qualche cosa di buono, ma anche con un po’ di rimorso per le bugie

dette, per i suoi inganni e le sue falsità e si ripromise di mettere a posto tutto ciò che poteva.

Page 31: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Le due aquile vagando per il cielo e scorrazzando tra le nuvole avevano plasmato queste

ultime che ora gli dicevano:

- Verità!-

Non appena Mario ebbe pronunciato tale parola la porta alle sue spalle si spalancò e lui vide il

suo giardino fiorito all’inizio del suo percorso, il punto da cui era partito e ad attenderlo

c’erano i tre elfi di prima.

- Benvenuto- disse il rosso - Sei finalmente giunto. -

- Complimenti, sei stato veramente in gamba- commentò il blu

Il verde gli fece un profondo inchino di complimento.

- Ora puoi darci i nomi, inizia da me.-

Mario rimase un attimo a pensare.

- Allora, tu devi essere Verum perché sei verde come la porta. Il tuo nome mi sembra latino e

sono sicuro che l’aquila ad ali spiegate era il simbolo romano.

- Esatto. Sono il più vecchio di noi tre. Posso vantare di aver conosciuto personalmente

Cassandra e ho anche cercato di aiutarla, ma quei Troiani non volevano saperne di verità. Ah

quei disgraziati!-

- Avanti calmati fratellone, io vorrei sapere il mio nome.

- Tu sei Vérité. Rosso come la porta.

- Infatti, sono francese e come il mio fratellone se mi traduci mi chiamo Verità. Sono nato in

Francia. Però non ho sinceramente mai capito perché mi abbiano dato il serpente.-

- Io alla fine, lo dico da me, sono Verità. Blu perché per disegnare l’acqua in genere si usa il

blu e l’azzurro e poi la verità è limpida e cristallina come l’acqua. Bene, ora vuoi dirci la vera

verità di Parmenide?-

- Beh... Dovrebbe... la vera verità di Parmenide è: l’essere è e il non essere non è. -

- Io direi promosso a pieni voti. Tu cosa ne dici, Verum? -

- Beh, ha salvato il suo giardino interiore che rischiava di soffocare per le bugie e poi riesce a

dire la verità quindi... Non ho obiezioni. -

- Allora miei cari fratelloni lo riporto a casa.-

E senza dare il tempo a Mario di dire niente lo prese per una manica del maglione, agitò le

orecchie e, in men che non si dica, furono nella camera di Andrea.

- Bene, allora ciao e non dimenticarti di noi e della verità! - e Verità sparì.

In quel momento entrò il padre.

- Tutto bene? -

Mario lo guardò con una faccia trasognata.

- Avanti vai in camera tua. - e lo accompagnò a letto.

Quando si fu cambiato e messo sotto le coperte disse al padre che stava uscendo dalla stanza:

- Sai pa, oggi l’ho aperta veramente io la finestra. -

Al padre venne un colpo. Mario che ammetteva di aver sbagliato e che smentiva una sua

bugia?! Ma quando mai si era vista o udita una cosa del genere? Rimase a guardarlo

stralunato finché non lo chiamò la moglie. Quando le riferì l’accaduto, anche a lei venne un

colpo.

- Sarà stato il freddo della stanza a fargli prendere un colpo.- questo fu il commento

all’accaduto.

Ma sebbene tutti pensassero che questo fosse solo una di quelle cose che capitano una sola

volta nella vita, in realtà non lo fu e bisogna immaginarsi lo sconvolgimento che tutti ebbero

nel vedere la nuova e impeccabile condotta di Mario. Era divenuto un bravo ragazzo diligente

e diceva sempre la verità, alla prima insufficienza che portò a casa ammise di non aver

studiato e ammise anche che era stato lui a far cadere il calamaio a cinque anni, quella famosa

volta. Inoltre una volta venne alle mani con un suo compagno di classe e, cosa inaudita,

ammise addirittura di averlo provocato lui! I genitori e tutti quelli che lo conoscevano

iniziarono a preoccuparsi e cominciarono a consultare medici, psichiatri e psicologi. Mario

capiva il perché di tante visite, ma sapeva che se avesse raccontato dei tre elfi l’avrebbero

preso veramente per matto e l’avrebbero ricoverato, però c’era sempre l’ampolla vuota che

aveva trovato accanto al suo letto la mattina dopo quella strana impresa. "Pazienza,

continuava a ripetersi, prima o poi smetteranno".

Page 32: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Erano ormai passati un paio d’anni da quell’episodio e ormai tutti si stavano abituando al suo

nuovo comportamento, quando Mario a scuola sentì parlare di un ragazzo che aveva visto tre

elfi che volevano convincerlo a dire la verità e di essere poi finito nelle grinfie di un mostro

spaventoso. "Poverino, mi dispiace per lui, però mi piacerebbe rivedere quei tre!" E continuò

per il corridoio. Quel tale fu ricoverato in clinica un paio di giorni dopo.

A tre anni esatti dall’incontro con gli elfi a cena, il suo fratellino usci con una frase di Rodari:

"Nel paese della bugia la verità è una malattia". Mario ripensò al suo caso e al ragazzo che

aveva incontrato Verum, Vérité e Verità e iniziò a ridere a più non posso, tanto che cadde

persino dalla sedia. Tutti lo guardarono senza capirlo e più lo guardavano stupiti e più lui

rideva. Quella frase di Rodari era proprio adatta a Busìverì, peccato che non ne esisteva una

con la verità per paese e la bugia come malattia. Chissà, magari esisteva, ma quella non faceva

al caso suo, né a Busìverì né al nostro Mario.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“APOLOGIA DELLA BUGIA”

di Nicolas Di Vara - 2a B

Quanto vale una rima? E una bugia? Una rima in fondo non è che una

bugia da un effetto sonoro, mentre una bugia non è che un tentativo di

mettere in verso una verità che si vuole o si deve nascondere. E qual è, in

fondo, la differenza tra una bugia e una metafora? La bugia è la volontà di

nascondere una verità sostituendola con il racconto di eventi fittizi lontani

o appena contigui alla realtà. Raccontare una verità non è che un processo

di ricordo e di racconto di un evento così come lo si è visto. In entrambi i

casi si tratta di raccontare una verità. Una verità discutibile e suscettibile a

seconda del classico "punto di vista". Ma tutto sommato, come definire la

verità? Chi racconta una bugia, non è che una vittima della bugia stessa.

Lo stesso Pinocchio non è che un povero legnetto che prende vita e che

racconta bugie per nascondere verità che, nella sua proiezione mentale,

risultano scomode. Ma che cos’è Pinocchio se non una grande, semplice,

banale metafora? La metafora non è che una bugia. Ogni poeta è in grado

e deve essere in grado di sviluppare una poetica sapendo miscelare

saggiamente verità e finzione, sentimenti e falsi sentimenti, o comunque

sentimenti momentanei, che non appartengono al suo bagaglio

sentimentale.

Poi la certezza della conoscenza associata all’ignoranza altrui, sentimento

intrinseco alla bugia, non può essere che una convinzione propria di colui

che la bugia la usa in quanto semplice mezzo di occultamento. La bugia

più profonda è quella verso sé stessi, che punisce. La conoscenza è un

sentimento piuttosto ingenuo, o meglio è ingenuo colui che è convinto di

poterla portare a sé e farla propria. Ma se la conoscenza non è delineabile,

come si può delineare una verità?

Cosa si oppone alla bugia? Cosa è in grado di vestirsi da verità, cosa è in

grado di svegliare nel profondo dell’animo la tendenza alla verità, o

almeno alla verità apparente? C’è una sola cosa che si oppone alla bugia.

L’appartenenza vince le differenze, è un sentimento di vicinanza, non solo

morale. Condividere lo stesso obiettivo e gli stessi sogni può essere una

prerogativa della verità. La verità è la cognizione dell’appartenenza ad un

particolare disegno e intreccio di sentimenti. E diceva bene il signor G

quando cantava che l’appartenenza non è un insieme casuale di persone o

lo sforzo civile dello stare assieme: l’appartenenza è avere gli altri dentro

di sé, e quindi condividere gli stessi sogni, desideri, gli stessi diritti davanti

alle proprie convinzioni. Condividere quindi la medesima verità, che non

necessariamente è percepibile ed evidente. Può essere opposta alla verità

apparente. La bugia è quindi un tradimento davanti a quale verità? E

l’appartenenza è il contrario della bugia o è fatta della medesima struttura

intrinseca? Questa duplice possibile interpretazione è un paradigma di

questo stesso discorso. Dove è la verità e dove è la finzione?

Page 34: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Credo ci sia una parola strettamente interconessa con la bugia: certezza.

La bugia nasce dal concetto stesso di certezza, dalla certezza della verità e

quindi dalla certezza, dalla sicurezza della falsità della menzogna. La

certezza di nascondere una verità. Lo stesso concetto di certezza poco si

adatta all’animo umano e in particolare all’animo del menzognero. La

certezza è qualcosa di granitico, di decisivo, di caparbio e, estremizzando,

non è che un’inconscia convinzione di potenza. L’unica certezza che si può

avere è quella di non sapere, ma scrivere sulla bugia, sulla verità e in

particolar modo sulla certezza rappresenta una contraddizione in termini.

Come posso scrivere le mie false certezze, come posso scrivere le mie

verità? Dovrei verificarle ogni momento per vedere che non mento. In

ogni momento per verificare che siano le stesse di prima, per poi

accorgerti che sono già cambiate, in un battibaleno.

Così come è strettamente legata col significato di verità, così la bugia è

connessa con la finzione o con la non-realtà. In effetti dire una bugia è

come costruire, nella proiezione mentale di colui che la subisce (che, non

è escluso, può essere anche colui che la dice), una realtà fittizia parallela a

quella, per l’appunto, "reale". Ma ecco che ci si addentra in una foresta

ancora più fitta, quella dell’espressione umana. La bugia è una tipica

espressione dell’animo umano, e lo stesso mio utilizzo così frequente della

parola "bugia" non dipende solo dalla pochezza dei sinonimi, ma da una

volontà di esorcizzare la finzione, appunto. In fondo la parola intesa come

mezzo di comunicazione, o ancor di più di espressione non è che una

bugia. E’ veramente un concetto meraviglioso quello di affiancare la parola

all’espressione umana. L’uomo attraverso la parola non solo comunica,

non solo pronuncia bugie, ma si esprime; e l’espressione non è

propriamente assimilabile alla comunicazione, a mio avviso. Esprimersi

vuol dire render palese le proprie idee, i propri desideri, per l’appunto la

propria realtà. Così come si esprime un pensiero, lo si colora, lo si rende

un’entità a sé che costituisce un’idea, l’essenza intrinseca dell’uomo.

Si potrebbe allargare questo tipo di discorso all’idea di parola quale

conseguenza di una cosa; o di una cosa come conseguenza della parola. E

qui i discorsi fra linguaggi induttivo e deduttivo si amplierebbero a non

finire.

Ma la bugia, quindi, è un importantissimo carattere distintivo del genere

umano. Mi rammento quel discorso freudiano dell’insulto e della scurrilità

quale decisivo passo avanti dell’umanità verso la civilizzazione e in fondo

le due questioni sono piuttosto vicine.

C’era un sogno, una volta, una grande bugia che mi faceva sempre

commuovere. Immaginavo un mondo diviso in due parti. Una parte

luminosa, accecante dove c’era un grande trono. Sopra vi sedeva uno

splendido essere che giocava con delle sfere piene di luce. E’ il dio dei

sogni, mi dicevo. Dall’altra parte, una terra scura, fredda e oscura. E su un

piccolo scranno sedeva un piccolo re, terribile. Il dio della realtà che invia

il dono più terribile, il risveglio. Ho sempre desiderato che mi si

raccontassero bugie. In fondo nella vita non conta sapere la verità assoluta

ed inconfutabile, ma è meglio essere coscienti e conoscenti di una verità

che si adatti il più possibile a sé. Ogni volta che mi è stata rivelata una

verità non ho migliorato la mia condizione precedente di tanto. Tanto vale

vivere nel mondo della bugia, dove è ignorata la vera realtà, ma ci si sente

un po’ meno responsabili di quello che la verità fa. Come il valore della

musica esula dal mero susseguirsi delle note, così la verità esula dalla

concezione granitica del reale, ma entra in una nuova sfera di

consapevolezza: ogni verità è a suo modo reale.

Page 35: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Aiutatemi a librarmi dal mondo delle false verità e a separarmi dalla mia

conoscenza infima della realtà per attraversare una nuova certezza, quella

dell’eterea paralisi dello spirito. E allora allontanatemi da tutto ciò che posso

toccare: ho bisogno dì sentire quel mondo nascosto dietro gli occhi. Davanti

agli occhi sono anch’io in grado di guardare, ma desiderio immaginare quello

che possa nascondersi dietro le porte e della realtà in quel mondo misterioso

che solo un animo folle potrebbe sperare di spiegare a parole. So solo che

esiste e che nessuno può arrivare a spiegarlo senza volersi sentire parte di

esso. Un tempo desideravo fare della mia vita il tempio della certezza e della

verità; accertata l’impossibilità dell’impresa mi sono accorto che il vero

obiettivo dell’animo sta nel costruire una realtà nuova. Una realtà di follia e

conoscenza alternative in modo da opporsi a quella prigione d’aria e carne

che la realtà della propria fisicità. Vivere distanti dal proprio corpo fisico è

un impresa che assomiglia molto a quella di un santone orientale, ma la vera

volontà non è cercare una fantomatica catarsi, bensì creare una realtà di

sentimenti e desideri che esuli dalla semplice constatazione della vita come

respiro e pensiero. Voglio scoprire una terza dimensione. Vedo la dimensione

della realtà, posso appena percepire quella del pensiero, ma voglio tuttavia

superarla, andare oltre e guardare cosa c’è oltre. Come i generarli in guerra,

come una loro famosa tattica, voglio superare il mondo del pensiero e

scoprire una terza dimensione sensoriale in modo da tagliare fuori i due

mondi precedenti. Esiste un modo in cui la verità non abbia senso, in cui

possa esprimere il mio desiderio di fuga e di conoscenza con la follia con il

sogno con lo sgretolarsi della certezza.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“BUGIA DI UN VECCHIO SOGNATORE”

di Davide Papasidero - 2a F

Il regalo più bello che mio nonno mi ha fatto è un sogno. Quello di riuscire a far

scorrere le mie dita sul pianoforte in presenza di un vasto pubblico suonando un

"notturno" di Chopin, il compositore da lui prediletto, e nel contempo stupirlo,

estasiarlo.

Fin da bambino ricordo, mi confessava spesso il suo rimorso per l’occasione

sfumata nella sua gioventù a causa di una fatalità, di realizzare quello stesso

sogno: ripeteva di aver voluto continuare a studiare, con determinazione e

tenacia; diceva che un giorno, finalmente, fosse riuscito ad avere il permesso di

suonare in un teatro, uno tra i più importanti (sul nome del quale, però, non ha

mai aperto bocca) il SUO concerto, quello da lui tanto aspettato, tanto bramato.

Nonostante ciò, rivolgendosi a me con uno sguardo sognatore, mi diceva

(ripetendo ogni qual volta iniziasse la narrazione, con queste esatte parole): "ma

il mio sogno si infranse contro una barriera invalicabile, proprio dinanzi alla

porta in cui solo i migliori entrano".

Stando al suo racconto, infatti, egli si ferì gravemente lavorando, solo alcuni

giorni prima dell’atteso evento; perse così tre dita della mano destra e il suo

progetto andò in fumo.

Questo fu il motivo per cui, a circa 9 anni di età, intrapresi la via che mi avrebbe

condotto, in un momento futuro, distante anni, nel quale avrei potuto mostrare

davanti a tutto il mondo il concretizzarsi di una vita di sogni, del sogno di una

vita.

Così migliorai, col tempo e con l’ingegno, mostrando passo a passo i miei

progressi a mio nonno; continuai imperterrito ad impegnarmi.

Trascorsi pochi giorni dalla sua morte, avvenuta il 10 di questo mese, triste

giorno di questo triste aprile, sono venuto a sapere dai miei genitori che il nonno

aveva perso le dita della mano durante la guerra, per colpa di una granata

esplosa prima del previsto, un grande sconforto ha avvolto la mia mente: la sua

storia era una menzogna, un’invenzione, una BUGIA.

L’aveva a me propinata, proprio come il venditore di caramelle cerca, riuscendo

in pieno nel suo intento, di vendere la sua mercanzia agli ingenui bambini;

bambini che abboccano all’esca di un astuto pescatore, come gli ottusi pesci. Così

son stato io.

Oggi, 15 aprile, data del MIO concerto (che credevo fosse anche di qualcun

altro... ), a 26 anni "suonati", fidanzato da due, è il giorno della rivalsa, della

rivincita.

Le mie dita scorrevano sulla tastiera del piano. Gabbiani in cerca di una preda. Il

pubblico è attonito, commosso, stupefatto.

Il "notturno" è terminato (persino Chopin sarebbe fiero di me). Solo ora capisco

che probabilmente ho compiuto ciò che mio nonno realmente avrebbe desiderato

per se. Ora ho vinto la battaglia di una intera esistenza (forse invano? forse

insignificante?). Ora posso afferrare quella invisibile maniglia, e valicare la porta

in cui solo i migliori possono entrare.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“BUGIE” di Valentina Rosolen - 2a B

Frutto di una tumultuosa lotta tra lealtà e istinto di autodifesa, traguardo non voluto di un

duro scontro tra responsabilità e libertà d’azione, le bugie si insinuano nelle nostre parole, in

discorsi che avremmo preferito evitare... diventano come realtà. La realtà di un rifugio buio

nel quale ci nascondiamo fino a non trovare più la nostra personalità, quando ormai la

codardia ha preso il sopravvento sulla ragione. Nostri difensori, giudici, pene e condanne allo

stesso tempo di un processo ideale, le menzogne feriscono più di una lama tagliente, più dì un

rasoio affilato, più della nostra lingua se mai avesse pronunciato quelle parole amare che ha

preferito evitare. Così noi, dopo averle dette, colpevoli e vittime allo stesso tempo

dell’inganno, iniziano a fuggire. Sappiamo infatti che la verità non si trova dietro l’angolo, in

quei vicoli scuri dove, come ladri, celiamo il nostro cuore alla sincerità che, piano piano, non

più alimentata, viene meno. Si dice che le bugie hanno le gambe corte, ma nessuno

s’immagina quanto lo siano quelle di colui che, nel pieno della menzogna, tenta di ritornare

alla verità. Così ci limitiamo a condurre la nostra vita di tutti i giorni, bugiardi così come

siamo. Ci lamentiamo ancora una volta dei personaggi televisivi "rifatti", di coloro che hanno

preferito una plastica a se stessi, pur di non mostrare le loro debolezze, piccoli difetti che,

coperti, saranno immaginati enormi, senza accorgerci che quelle "star" non sono così tanto

distanti da noi e dal nostro modo di agire. Ma quel che è peggio è che mentre un trattamento

estetico si paga, le bugie non possono essere né vendute, né tanto meno acquistate, scambiate

con un altro prodotto, o abbandonate in un cestino. Già, non bisogna, infatti, essere

commessi, o miliardari di professione per usufruirne. Basta rimanere uomini: poca coscienza,

assai meno intelletto, ancor meno ragione. Creature che mentono a se stesse

autoconvincendosi di essere superiori alle altre per quella razionalità tanto vantata di cui poi

non si servono, bugiarde di natura, insomma. Esseri che sanno celare un insulto dietro a un

sorriso e avidità con un ideale... senza accorgersi che pugnalando alle spalle colui che è loro

davanti colpiscono loro stessi. Ed è allora che l’animo avvizzisce e gli occhi s’intorbidiscono.

C’è chi dice che le bugie possono essere raccontate anche a fin di bene... ma che vantaggio

può esistere nel celare la realtà a un individuo, se prima o poi ci sbatterà contro in modo assai

più dolente rispetto a quello che avrebbe potuto essere se solo, ancora una volta, non fossimo

stati così... coraggiosi da mantenere un truce segreto? No, se non fossimo stati VIGLIACCHI a

tal punto da cercare di rendere, reale e credibile, qualcosa che non lo era. Allora quindi, anche

i sogni sono bugie raccontateci da qualcuno con il nobile ideale di darci una vana speranza in

un’esistenza che nulla assicura, né promette?! Forse. Si rivela perciò normale agire in modo

falso con gli altri se c’è chi lo fa con noi, per esempio noi stessi. Non è infatti vero che la

nostra mente è una bugiarda ingannatrice? Sia pur malvagi, potrebbe farci ritenere giusti, e,

anche se belli, orribili, perché non è lo specchio falso, né tantomeno la coscienza, forse

l’amico, ma non del tutto, bensì le convinzioni che abbiamo. Fissazioni per cui le bugie

diventano realtà, e noi pure invenzioni. Dunque noi stessi siamo bugie inventate per far

divertire un qualche essere lontano nell’universo? Sembra una domanda senza senso, ma, falsi

come siamo, non è poi così impossibile che la risposta giusta sia affermativa o forse negativa,

se vorremmo mentire ancora una volta. Se così fosse l’intero globo sarebbe un’enorme bugia

abbellita dalle colline della B e dalle valli della U; dolce come una G e allo stesso, tempo aspra

al pari di una I. Un mondo rispetto alla cui creazione noi uomini saremmo le A del caso,

ultimi, ma certo non meno importanti per dare significato ed espressione alla parola BUGIA.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“BUGIA” di Mattia Muratore e Laura Francavilla - 5a H

Il lento sgretolarsi

Di una verità

Porta ad un unico scoglio

Che sovrasta il mare della

Sincerità

Page 39: Premio Letterario Federico Ghibaudo

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“UNA BUGIA” di Davide Fumagalli - 4a F

Una bugia:

La vuol dire un bambino,

perché un po’ birichino

per far solo un giochino.

Una bugia:

La pronuncia anche un adulto,

per non prendere un insulto

per politica o per culto.

Una bugia:

Può utilizzarla il vecchiettino,

per far contento il nipotino

che si accontenta di pochino.

Una bugia:

Detta a fin di bene

o per egoismo,

fa soffrire le pene

con un gran cinismo;

forse subito può dare sollievo

ma poi col tempo non perdona

il rimorso pare come un rivo

prima è lento e poi si sprigiona.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“LA BUGIA” di Emanuele Fumagalli - 4a F

La bugia:

Abito del falso,

Bocca dell’ignorante

Urta i nostri pensieri

Gioca con i sentimenti, ma

Inciampa nella realtà che un

Amore vero può mostrare.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“BUGIE” di Benedetta Carozzi - 5a B

Inevitabili si nascondono dietro bocche innocue,

vibrano nell’aria dirette ad incunearsi come lame affilate,

tante volte, è proprio vero che occorre essere attenti

per essere padroni di se stessi e così, giuramelo,

non lasciare che ti ammaestrino con la loro affabile vocina,

io, intanto, mi trovo imbarazzata, sorpresa, ferita

da un brivido che pervade interamente ogni mio senso,

svanendo poi via, via...

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“IO E L'ALTRA”

di Chiara Nobis- 5a F

Racconto di me e il respiro è strozzato.

Autentici pensieri gridano la vita, ma la voce colpevole li uccide

offrendomi un’illusoria vittoria.

Mi difendo con calcolate verità,

che sembrano inattaccabili nella loro falsità costruita.

Così divento sconosciuta,

lontana come la felicità e,

debolmente,

accetto di vivere di un’altra me.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“LA GRANDE BUGIA” di Federica Maria Rossi - 1a B

Non date ascolto a chi giustificherà come giusta una guerra:

è una menzogna.

Non date ascolto a chi vi parlerà di libertà come qualcosa di irraggiungibile:

è una menzogna.

Non date ascolto a chi urlerà contro il cielo di essere un "servitore della patria",

per poi andare a schiantarsi contro un grattacielo colmo di vite umane:

è una menzogna.

L'unica grande verità è che il mondo è tutto una grande bugia ...

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“BUGIA” di Alberto Padovani- 4a H

Bugia,

tormento di un animo nobile,

dissacratrice di una realtà claudicante,

bugia,

capro espiatorio

per una soggettività ambigua,

amante fedele dei mio animo irrazionale.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“LA CERTEZZA” di Nicolas Di Vara - 2a B

Ho nascosto una verità,

e il retaggio di quella mi ha coinvolto con la sua

caparbietà.

Ma la dolce stilla della conoscenza

Mi ha dato una sicurezza:

non sono certo di averla.

Non la certezza,

non la verità.

La verità, nell’indecisione

Più profonda, della conoscenza,

di una sola vera parola che non

fosse certezza.

Affronterò la verità,

mi nascondo

ma non ora

non mai

la raccoglierò.

Non amo la verità, né la cerco;

sogno la pazzia,

sogno di potere, un giorno

desiderare una nuova realtà,

autentica

e di non avere, mai più,

una sola convinzione.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2003 - 9a edizione

“VIVERE” di Andrea Fioravanti - 4a C

Quante bugie nell’assordante silenzio

Di chi non sa ascoltarsi,

Nei dolci sguardi sospirati

Di chi non sa amare.

Bugie nel mare al tramonto

Di chi non sa stupirsi,

Negli sfuggevoli momenti di gioia

Di chi non sa godere.

Si vive in mille maschere

Si recitano parti

Dimenticandoci di essere.

Dimenticandoci di vivere.

E mentre il tempo scorre

Lento, come il suono di un addio

Ci raccontiamo una bugia.

E si muore un po’.