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Bendini Mathieu Rainer Premio Marina di Ravenna 2010 Edizioni Capit Ravenna Danilo Montanari Editore

Premio Marina di Ravenna 2010 - Bendini Mathieu Rainer

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Rassegna di Pittura Premio Marina di Ravenna 2012 54a edizione Capit Ravenna

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Bendini

Mathieu

Rainer

Premio Marina di Ravenna2010

Edizioni Capit Ravenna

Danilo Montanari Editore

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Rassegna di Pittura

Premio Marina di Ravenna 2010

54a edizione

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Rassegna di Pittura

Premio Marina di Ravenna 201054a edizione

VASCO BENDINI

GEORGES MATHIEU

ARNULF RAINER

a cura di Claudio Spadoni

Promossa da

Capit Ravenna

Collaborazioni

Museo d’Arte della Città di Ravenna

Pro Loco Marina di Ravenna

Ringraziamenti

Galleria Arte 92, Milano

Galleria d’Arte Niccoli, Parma

Frittelli Arte Contemporanea, Firenze

Patrocini

Presidenza del Consiglio dei Ministri

Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Regione Emilia Romagna

Provincia di Ravenna

Camera di Commercio di Ravenna

Comune di Ravenna

Presidenza Nazionale Capit

Recapiti

Premio Marina di Ravennac/o Capit RavennaVia Gradenigo, 6 - 48122 RavennaTel. 0544 591715 - Fax 0544 598350e-mail: [email protected]© 2010 Capit Ravenna, Danilo Montanari Editore Ravenna

L’editore rimane a disposizione per eventuali aventi diritti che non fosse stato possibile rintracciare.

Con il sostegno di

Comitato organizzatore

Pericle Stoppa

Franco Bertaccini

Gino Babini

Beppe Rossi

Giovanni Sarasini

Serena Tondini

Comunicazioni esterne

Attilia Tartagni

Responsabile amministrativo

Faustino Polani

Catalogo

Grafica e cura editoriale

Danilo Montanari Editore

Stampa

Grafiche Morandi, Fusignano (Ra)

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PREMIO

MARINA DI RAVENNA

2010

Edizioni Capit Ravenna

Danilo Montanari Editore

Rassegna di Pittura

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Breve storia del Premio Marina di Ravenna

Nel 1955, per iniziativa del prof. Walter Magnavacchi, allora Presidente del Sindacato degli

Artisti di Ravenna, ebbe luogo a Marina di Ravenna la prima edizione del “Concorso Nazionale

di Pittura Estemporanea”, intitolato alla stessa località. Nel volgere di pochi anni, la manifesta-

zione divenne occasione d’incontro per diverse centinaia di pittori provenienti dall’Italia e dal-

l’estero, attratti dai numerosi premi in palio, dalla risonanza che l’evento aveva assunto, e

soprattutto dall’atmosfera particolare e coinvolgente, che univa ai sentimenti di reciproca ami-

cizia gli stimoli del confronto e della competizione in un clima di festa.

Negli anni, il “Marina” fu in grado di richiamare, oltre a tanti principianti e semplici amatori,

anche artisti all’epoca già conosciuti e affermati, fra i quali Giovanni Cappelli, Gerardo Dottori,

Antonio Possenti, Germano Sartelli, Costantino Spada, Alberto Sughi ed altri.

Il modello originario della manifestazione ha resistito per vari decenni fino a esaurirsi con l’edi-

zione del 2000.

Dopo due anni di vuoto, l’Associazione Capit Ravenna, cogliendo sollecitazioni provenienti da

ambienti culturali cittadini, si è fatta carico di ripristinare l’antico Premio, abbandonando l’ori-

ginaria formula del concorso e riservando la partecipazione ai soli artisti invitati.

Così, a partire dal 2003, anno dopo anno, la rassegna è stata rilanciata, inserendovi modifiche e

aggiornamenti nel segno della qualità e dell’impatto culturale e facendone un momento impor-

tante per la valorizzazione complessiva dell’immagine di Marina di Ravenna.

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Per una manifestazione orientata alla divulgazione dell’arte e della cultura, superare il

mezzo secolo di vita rappresenta un traguardo da sottolineare, ma anche un risultato a cui

attribuire uno specifico valore che discende da una lunga storia che, se rinnovata ogni

anno, come nel nostro caso, riesce a mantenere in vita il filo della memoria.

Il Premio di pittura Marina di Ravenna, sorto nel 1955 come Concorso estemporaneo, col

trascorrere del tempo ha visto esaurirsi quelle caratteristiche che lo avevano reso famoso

in tutto il Paese. Per alcuni decenni il “Marina” accolse, in ogni edizione, diverse centinaia

di pittori provenienti da ogni parte d’Italia e anche dall’estero, attratti soprattutto dal clima

di festa, di amicizia e di sana competizione: tutti elementi che contribuivano a creare attor-

no alla manifestazione un’atmosfera particolare e unica, fatta di colori, allegria, gioia di

ritrovarsi e stare assieme. Fu quel clima che indusse diversi artisti già affermati (valga per

tutti l’esempio di Gerardo Dottori) ad unirsi alla moltitudine di pittori più o meno noti, dilet-

tanti o semplicemente principianti. Agli anni del successo seguirono quelli di un lento

declino, tanto che, con l’edizione dell’anno 2000, il “Concorso estemporaneo” conobbe il

suo epilogo, avendo perduto ormai gran parte della sua capacità di attrazione. Dopo due

anni di vuoto, l’Associazione Capit Ravenna ha fatto proprie le sollecitazioni rivolte al recu-

pero dell’antico Premio e, dal 2003, sotto l’insegna di “Rassegna di pittura”, ad invito, ne

cura l’organizzazione. Con l’intento di far crescere la manifestazione sotto il profilo della

qualità artistica, negli ultimi anni sono stati introdotti significativi cambiamenti organiz-

zatizi alla ricerca di una rinnovata identità del Premio per dare continuità ad una tradizio-

ne che appartiene alla storia di Marina di Ravenna. E’ in questo contesto che il comitato

organizzatore ha ritenuto di dedicare l’edizione 2010 a tre significative personalità del

panorama artistico europeo, quali Vasco Bendini, Georges Mathieu e Arnulf Rainer, pre-

miando la loro lunga e riconosciuta carriera. Nelle pagine successive di questa pubblica-

zione il prof. Claudio Spadoni – al quale rivolgiamo un sentito ringraziamento per la dispo-

nibilità e il sostegno offerto all’ iniziativa – presenta, oltre ai profili artistico-biografici di

Bendini, Mathieu, Rainer, alcune note critiche che formalmente rappresentano le motiva-

zioni alla base dell’assegnazione dei premi alla carriera 2010 ai tre pittori prescelti. Il nostro

ringraziamento va esteso inoltre a quanti hanno collaborato a vario titolo alla buona riusci-

ta della manifestazione: la Direzione del Park Hotel, il Consiglio di amministrazione del

MAR, i componenti del Comitato organizzatore, le Gallerie e i privati prestatori delle opere

esposte e, non certo ultimi, gli sponsor che hanno concesso il necessario sostegno allo

svolgimento della rassegna.

Presentazione

Pericle Stoppa

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L'omaggio che l'attuale, rinnovata edizione del 'Premio Marina di Ravenna' ha inteso

riservare a tre protagonisti dell'arte europea, induce anche a qualche considerazione

sulla storia di questa manifestazione, non molto dissimile, in origine, ai non pochi

'Premi' sorti da un capo all'altro dell'Italia negli anni del secondo dopoguerra. Per

buona parte promossi da centri minori, spesso con uno slancio tanto generoso quan-

to animato da uno spirito anche ingenuamente partecipativo, furono comunque occa-

sioni non disprezzabili per avvicinare il grande pubblico alle vicende e alle questioni

artistiche contemporanee. In molti casi si trattava di 'estemporanee', coi pittori chia-

mati a dipingere sul posto, su un tema assegnato, e dunque ancora ispirate ad una con-

cezione dell'arte come 'mimesi', o comunque rappresentazione della realtà visiva. E

d'altra parte non pochi di questi 'Premi' risentivano ancora di quello che fino a quasi

tutto il decennio '50 si riteneva il nocciolo del dibattito artistico: figurazione o astrat-

tismo. Che voleva poi dire il realismo politicamente impegnato, contrapposto alle varie

diramazioni dell'astrattismo genericamente detto, senza i dovuti 'distinguo'.

Ed è fin troppo evidente come la prima di queste linee, anche per gli accenti populisti-

ci profusi programmaticamente, potesse risultare la più seguita e accreditata in mani-

festazioni, appunto, per buona parte periferiche, dove comunque non era infrequente

la presenza anche di nomi di già consolidata reputazione nazionale. Che, come si può

ben comprendere, facevano da traino. S'intende che non sono stati questi 'Premi' a

determinare la storia dell'arte di quelle stagioni, ma hanno pur sempre rappresentato

nella loro continuità, pur con tutti i loro limiti e tenendo conto dei livelli qualitativi

anche molto diversi, dei fatti non trascurabili per una storia sociale della cultura arti-

stica di quei tempi. E non furono tempi brevi, se si pensa che fu soprattutto la conte-

stazione sessantottesca, partendo dalla manifestazioni maggiori- la Biennale di

Venezia in primis- a segnare la crisi di molti 'Premi'.

Una crisi che pareva irreversibile perché andava di pari passo con la crisi dell' 'opera',

con tutte le sue implicazioni mercantili. E occorre pur dire che anche certo puritane-

simo ideologico fu alla base della diffusione di neoavanguardie che nella pratica arti-

stica di fatto avevano quasi bandito l'esercizio della pittura, o della scultura tradizio-

nalmente intesa. Qualche 'Premio' ha tuttavia resistito, magari conservando l'indica-

zione convenzionale ma mutando sostanzialmente la formula. In qualche altro caso

rimanendo quasi inalterato, ma denunciando in questo una lontananza anche imbaraz-

zante dalle rotte artistiche ufficiali dai caratteri sempre più internazionali. Del tutto

Tre protagonisti europei

Claudio Spadoni

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impensabile, dunque, la partecipazione di artisti autorevoli a manifestazioni che appa-

rivano inesorabilmente relegate entro un orizzonte di provincia.

Anche il 'Premio Marina di Ravenna' lungo tutte le edizioni in cui ha mantenuto il suo

carattere di 'estemporanea', non ha potuto sottrarsi a questo destino. Fino a quando,

modificando gradualmente formula, ha puntato a darsi una nuova identità , e dunque

una credibilità prima impensabile. Fino a poter contare, come nell'edizione attuale,

sulla presenza di tre notissimi protagonisti storici come Vasco Bendini, il francese

Georges Mathieu, l'austriaco Arnulf Rainer.

Diversissimi come sono per formazione, sensibilità, propensioni, risulterebbe impro-

babile ogni pretesto per accomunarli per affinità di aree culturali e scelte linguistiche,

non fosse che per il prestigio delle loro storie personali, il ruolo svolto nel corso di oltre

mezzo secolo entro contesti molto diversi, come s'è detto, e comunque di indubbia por-

tata internazionale. Quasi coetanei Mathieu e Bendini, nati rispettivamente nel 1921

e nel '22, di alcuni anni più giovane Rainer, del '29, appartengono comunque ad una

generazione che ha fiancheggiato o vissuto quasi per intero la stagione dell'Informale,

dell' 'art autre', dell'espressionismo astratto, del 'tachisme', per dire solo di alcune ter-

minologie ricorrenti negli anni Cinquanta.

Bendini, con un significativo anticipo rispetto alla situazione italiana, s'è poi ritrova-

to nel clima di quell' 'ultimo naturalismo' prefigurato con fervida partecipazione da

Francesco Arcangeli, tra i primissimi in Italia ad aver inteso la drammatica grandezza

di alcune figure chiave in Europa e America, come Wols, Dubuffet, De Kooning,

Pollock. Bendini è stato uno dei suoi artisti, e fra questi uno dei più decisamente

europei, quasi senza pagar pegno ad una padanità letta comunque dal critico bolo-

gnese in termini di alti tramandi si storia, per quanto fraintesa da altri in un'accezio-

ne limitante. Dalle 'teste', dai 'volti' diafani, fantasmatici, e dai sensibilissimi 'segni

segreti', che scandiscono le tappe del progressivo affondo nello scandaglio persona-

le, con la serie di 'segno e materia' Bendini tocca i tasti linguistici, per eccellenza,

dell'Informale. Impronte, o tracce pulsanti, talora labili fino al limite dello sfinimento,

ora come riaffioranti in una ricarica d'energia che si coagula in una nigredo di grumi

o si scioglie in una liquidità ancora alchemica. Questo fu il tempo d'una quanto mai

appartata, schiva, personalissima partecipazione al clima Informale, fino all'uscita

'oggettuale' che, come notava Calvesi, “scavalcava” un'arte povera ancora nascitura

“verso le temperature del concettuale”. Poi l'inevitabile ripresa della pittura, nel suo

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fluttuare in uno spazio non già popolato di presenze oggettuali ma attraversato dal

flusso di una nuova d'immaginazione, in una pienezza di visione-emozione e di deli-

bati enigmi.

Per Mathieu la vocazione pittorica si manifesta subito orientata nel senso di un' 'astra-

zione lirica' che si buttava alle spalle ogni residuo figurale, ogni indugio nell'intralcio

della rappresentazione. E', da subito, un confronto a distanza con la nuova pittura sta-

tunitense, nutrita in buona parte di succhi europei portati da grandi fuorusciti, e facil-

mente assimilati da alcuni 'sradicati' già divenuti americani d'adozione. I confronti

con loro Mathieu li fece direttamente, a New York, che si avviava a spodestare Parigi

dal ruolo di ombelico artistico del mondo. La pittura del francese, per molti aspetti

erede dell'automatismo psichico surrealista, sgorgava liberamente come da un flusso

vitalistico, dalla spontaneità del gesto, mantenendo pur sempre un'intenzione narra-

tiva, una volontà di evocazione storica, ecco di racconto, per quanto sciolto dalle con-

venzioni iconografiche.

L'esperienza condotta in Giappone, il contatto diretto col gruppo 'Gutai' e la sua filo-

sofia creativa ispirata alla ritualità 'Zen', l'hanno ancor più rafforzato in una gestuali-

tà che sconvolgeva la nozione occidentale di tempo operativo. Tele, superfici enormi

dipinte in tempi da record, come scariche di energia che solcavano lo spazio facen-

dosi scrittura fiammeggiante. Un grande teatro dei segni, dove l'artista era fisica-

mente e psichicamente coinvolto in un rituale pittorico che produceva una narrazione

nuova, magniloquente, quasi magicamente icastica.

Anche per il viennese Arnulf Rainer il fondo teorico del Surrealismo agisce sulla sua

irrequieta formazione ben più che l'irregolare e presto interrotto tirocinio accademico.

Anche se il successivo incontro col 'papa' del Movimento, Breton, si risolse nella con-

sapevolezza della sua insofferenza per la disciplina del gruppo. E infatti personalissi-

mi sono certi suoi disegni ricoperti di segni fittissimi che appaiono quasi delle cancel-

lazioni monocrome. Lavora ad occhi chiusi, Rainer, addentrandosi sempre più in luoghi,

meandri oscuri di un pensiero mistico che sarà alla base di tutta la sua opera. Rainer

prosegue nell'opera di 'copertura' di lavori propri e altrui, per poi eseguire i primi dipin-

ti a forma di croce. Poi gli autoritratti fotografici, quasi allucinati, indagini sulla pro-

pria corporeità fissata in tensioni deformanti.

Un estremo esito, forse, di memorie di Schiele, che sfocia nelle 'sovrapitture' con

segni violenti, in una gestualità che poi pratica direttamente anche con le mani. Ed è

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ancora il tema della croce e del sacro a ritornare nei suoi lavori, cui si affiancano le

serie dei serpenti, delle piante, e di motivi che evocano il perenne riproporsi della vio-

lenza, della vita e della morte. “Tensioni, esuberanze tramutate in ira – precisa l'arti-

sta- incrinature create dall'ira, fiori o ferite prodotte dal dolore” . E', per certi aspetti,

il principio della metaforfosi che governa il lavoro grafico-fotografico-pittorico di

Rainer, che come notava Peter Weiemair, si muove “in ambiti liminari”, sempre alla

ricerca di ulteriori possibilità espressive di una corporeità dominata dalle pulsioni psi-

chiche .

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bendini

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Vasco Bendini nato a Bologna nel 1922, vive elavora a Parma. All’Accademia di Belle Arti diBologna ha per maestri Giorgio Morandi eVirgilio Guidi. Nei primi anni Cinquanta è unodei principali esponenti dell’Informale, vicinoall’Ultimo Naturalismo di FrancescoArcangeli; in questo periodo, parallelamenteall’attività didattica presso l’Istituto Stataled’Arte di Bologna, ha inizio la sua attivitàespositiva matura con mostre in Italia(Firenze, Milano, Roma) e all’estero. Nel 1956la sua prima presenza alla 28a Biennale diVenezia, dove, rispettivamente, nel 1964 (32aedizione) e nel 1972 (34a edizione) avrà unasala personale. Nel 1965 hanno inizio le serie “Sentimentocome storia” e “Senso operante”, dove prendeavvio una ricerca di nuove tecniche espressi-ve, che nei primi mesi del 1966 approda a unamostra personale presso l’Attico di Roma,presentata da Giulio Carlo Argan. Lo stessocritico, insieme a Maurizio Calvesi, presenta,sempre in Roma a Palazzo Taverna, la mostraOggetti e processi. Nel 1973 si trasferisce aRoma, insegna all’Istituto Statale d’ArteRoma 2 come direttore di laboratorio dellasezione di Decorazione Pittorica .Nelle opere degli anni Ottanta e Novanta,attua una compiuta e disincantata rimessa inquestione di tutta la sua vicenda esistenzialeoperativa, che richiama sia le folgoranti intui-zioni degli anni Cinquanta, nitide ed essenzia-li, sia la complessità oggettuale e comporta-mentale degli anni Sessanta.Seguiranno una serie numerosa di mostre ecollaborazioni con i principali musei italianicome ad esempio la triplice mostra allaGalleria Civica di Modena, alla Galleria d’ArteModerna di Bologna e alla Galleria Civica diTrento (1992) e un’ampia personale allaLoggetta Lombardesca di Ravenna (1996), perculminare con la partecipazione alla grandemostra Novecento, arte e storia in Italia (2000)presso le Scuderie del Quirinale e La pitturadegli anni Cinquanta in Italia alla Galleriad’Arte Moderna di Torino (2003), Nel 2002 glisono conferiti il Premio Lissone alla carriera enel 2010 Premio Marconi alla Pittura.

VASCO BENDINI

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La luce di chi?, 2001acrilico su tela, 200x180 cm

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Senza titolo, 2001olio su tela, 200x180 cm

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Senza titolo, n. 7, 2010olio su tela, 110x90 cm

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Senza titolo, n. 5, 2010olio su tela, 110x90 cm

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28 luglio, 2005tempera acrilica su tela, 200x180 cm

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3 febbraio n. 1, 2009olio su tela, 110x90 cm

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Senza titolo n. 9, 2010olio su tela, 110x90 cm

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Malia dell’enigma (adolescenza), 2007olio su tela, 180x200 cm

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Mattina 2 maggio (dalla serie “L’immagine accolta”), 2008olio su tela, 110x90 cm

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2 maggio (dalla serie “L’immagine accolta”), 2008olio su tela, 110x90 cm

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Autoritratto (dalla serie “L’immagine accolta”), 2008olio su tela, 110x90 cm

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Fra il nulla e l’infinito (maturità), 2007olio su tela, 80x200 cm

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Oscuro fremito (nascita), 2007olio e tempera acrilica su tela, 200x180 cm

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In attesa dell’ultima eclisse (vecchiaia), 2007olio su tela, 200x180 cm

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Bellezza dell’incontaminato (infanzia), 2007tempera acrilica su tela, 200x180 cm

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mathieu

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Georges Mathieu nato a Boulogne-sur-Mer nel1921. Dopo una formazione filosofica e una lau-rea in inglese si dedica alla pittura.Dal 1947 è aParigi tra i protagonisti dell’Informale, dandovita con C. Bryen, al movimento della Non-figu-razione psichica, con opere caratterizzate dauna pennellata ampia, densamente materica eintuitiva.. I suoi primi dipinti verranno definitidalla critica Tachisti – da Tache (macchia)- perl’uso di grumi di colore applicati sulla tela diret-tamente dal tubetto. Nonostante l’apparentedisordine della composizione, le opere si strut-turano quasi sempre da un asse centrale, svi-luppandosi poi per linee ortogonali e curvesemicircolari spinte all’esterno da impulsi cen-trifughi.Espone per la prima volta nel 1946, al 6°Salon des moins de 30 ans, alla Galerie desBeaux-Arts di Parigi, e nel 1950 tiene la suaprima mostra personale alla Galerie Rene’Drouin a Parigi e, influenzato dalla filosofiazen, sviluppa un’estetica fondata sull’irruenzadel gesto come presa immediata della realtàsvincolata da qualsiasi intervento di tipo cogni-tivo e razionale, esaltando la velocità di esecu-zione. Da qui la scelta di trasformare le suecreazioni in eventi teatrali di pittura-azionedurante i quali, in un tempo limitato e di frontead un pubblico selezionato, realizza tele digrandi dimensioni.Nel 1951 a Vehemences con-frontés’es organizza insieme al critico d’arteMichel Tapie’ una rassegna dove si evidenzianole tendenze estreme della pittura non figurati-va, i risultati delle esperienze della pitturaeuropea od americana da De Kooning aPollock. Seguiranno una serie numerosa dimostre e collaborazioni con i principali museifrancesi e europei. Nel 1957 compie un impor-tante viaggio in Giappone, in occasione delquale si esibisce in kimono in una dimostrazio-ne di action painting di fronte agli esponentidel Gruppo Gutai scuscitando un grande entu-siasmo. Nel settembre del 1986 Mathieu pre-senta al Padiglione Internazionale dellaBiennale di Venezia il dipinto “Hommageauconnétable de Bourbon” nella sezione cheevoca i rapporti tra arte e scienza.

GEORGES MATHIEU

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Nella pagina precedente, Georges Mathieu a Casa Pagnani, 1959. Foto di R. Pagnani (archivio Pagnani).

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Soul Manga, 1979olio su tela 81x100 cm

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Songes Écarlates, 1970olio su tela, 81x130 cm

composition, 1962 Lavis et encre de Chine 56,4 x 76,7 cm

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Obia, 1967encre de couleur sur paper Arches, 77x56 cm

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Espace profond,acrilici su tela, 73x92 cm

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Vertu funebre, 1990 alkyde sur toile 97x130 cm

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Telesma, 1967olio su tela, 73x60 cm

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Hommage a Fakrh-Aladine prince du Liban II, 1961olio su tela, 97x195 cm, Exibition

Theophanie, 1967olio su tela 97x195 cm, Exibition

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Seuil Ultime acrilici su tela, 97x130 cm

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Li Duan, 1967 olio su tela, 81x100 cm

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Luischaux, 1970olio su tela 89x116 cm,

Senza titolo, 1965olio su tela, 73x49 cm

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Poros, 1976 olio su tela 59x71,7 cm

Composition, 1958 olio su tela, 90x146 cm

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rainer

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Arnulf Rainer nato in Austria a Baden beiWien nel 1929, vive fra Vienna e Tenerife.Autodidatta, inizia a dipingere negli anniQuaranta influenzato inizialmente dalSurrealismo e poi dall’EspressionismoAstratto e dall’Informale. Dal 1951 esegue una serie di composizioneautomatiche a occhi chiusi (disegni in ceci-tà), con un metodo che distinge tutto il suolavoro, le Ébermalungen, realizzate ridipin-gendo di strati monocromi tele sue e altruiper affermare l’esistenza della pittura con lasua negazione. L’artista ha sempre speri-mentato le tecniche più diverse dalla pitturaalla fotografia, dall’incisione alla puntasec-ca, dalla litografia alla serigrafia. Tra il 1962 eil 1968 dipinge una lunga serie di autoritratti(fotografie rielaborate pittoricamente) cheavviarono la sua ricerca sulla fisiognomica;in questi anni partecipa alle esperienzedell’“Actionismus” austriaco. Dal 1981 al1995 è professore di pittura all’Accademia diBelle Arti di Vienna. Nominato membro dell’Accademia delle Artidi Berlino e dell’Österreichische Kunstsenat,nel 1966 riceve il Premio nazionale austriacoper la grafica; nel 1981 il Premio MaxBeckmann della Città di Francoforte; nel 1989il Premio Grosser del Centro internazionaledi fotografia di New York. Svariate sono lesue partecipazioni a prestigiose mostre per-sonali e collettive in spazi pubblici e privati ditutto il mondo. Tra le più recenti ricordiamo le personali del1989 al Guggenheim di New York e al Museumof Contemporary Art di Chicago, quella nelMuseo di Arte Moderna di Bolzano del 1995,oltre alla mostra speciale in occasione della23a Biennale di San Paolo (1996), fino allagrande esposizione nel 1999 presso loStedelijk Museum di Amsterdam.

ARNULF RAINER

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Croce, 1988/89olio su tavola, 186x124 cm

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Croce, 1988/89olio su tavola, 186x124 cm

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Croce, 1988/89olio e gessetto ad olio su tavola, 186,5x125 cm

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Croce, 1988/1989,olio e carta su tavola, 186x123 cm

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Croce, 1990olio su tavola, 187x123 cm

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Nuvola, 1980olio su cartone su tavola, 54x76,5 cm

Senza titolo, 1998gessetto a olio, olio su cartone su tavola, 61x81 cm

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Trapezakt (Face Farce), 1973/75gessetto ad olio su fotografia, 50,8x59,7 cm

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Senza titolo, 1996olio su cartone su tavola, 70,5x71 cm

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Senza titolo, 1996olio su cartone su tavola, 102x73 cm

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Senza titolo, 1997olio su cartone su tavola, 80,5x60,5 cm

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Senza titolo, 1997gessetto ad olio, olio su cartone su tavola, 73x51 cm

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Senza titolo, 1997gessetto a olio, olio su cartone su tavola, 51,5x73 cm

Senza titolo, 1997gessetto a olio, olio su tavola, 71x101 cm

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Senza titolo, 1998olio su cartone su tavola, 71x50 cm

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Senza titolo, 2000olio su tavola, 81x60,5 cm

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Senza titolo, 2008olio su tela su cartone, 83x57,5 cm

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Senza titolo, 1996gessetto ad olio, olio su cartone su tavola, 60,5x40 cm

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PAGINE SCELTE

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Maurizio CalvesiNuova lettera a Vasco

Un genio della risata, Totò, ci ha impedito persempre di esclamare, almeno ad alta voce: “Diocome passa il tempo”. Sì, Aristotele è morto,ma poi è morto anche Totò, e sono morte tantecose...Mettendo mano alle tue monografie per scrive-re queste righe, mi è capitata quella che portain copertina i nostri due nomi, con dentro unalettera in cui rivendicavo “la mia ormai venten-nale fedeltà alla tua pittura”. È stato un durocolpo constatare che, di ventennio, ne è passa-to tutto un altro. Quella lettera è datata 7 mag-gio 1978; consulto l’agendina, un po’ incredulo,e vedo che oggi è proprio il 7 maggio 1998. Gliamori si risvegliano in primavera...Molti di meno del precedente sono stati, in que-sto secondo ventennio, i miei scritti su di te: manon per disaffezione, proprio in quella letteradicevo di non voler più tentare “nuovi inviti dilettura” per la tua opera: perché ormai questalettura “doveva andare da sé”, cioè con legambe dei critici più giovani. (...)Siamo ormai in molti a giudicarti come il mag-giore esponente della tua generazione nelnostro paese, e senza che il confronto con quel-la che ti precede possa, tra i pittori dell’infor-male, vederti secondo ad altri. Sulla ricercainformale italiana peraltro, almeno quella “dipennello” (lasciando nel loro campo, voglio dire,Burri e Fontana) tu hai avuto una sicura prece-denza: che non è da rivendicare come astrattoprimato, ma come riprova indiscutibile dell’au-tenticità, e della qualità.Fu, fin da allora, una sorgente interna a sugge-rire quel fluttuare delle forme (tra segno o trac-cia di un passaggio, parvenza di un ricordo,scintilla di un illuminazione, alito di un’appari-zione) che ha poi sempre continuato a caratte-rizzare i tuoi dipinti. Una sorgente interna disensibilità toccata e (come ho sempre insistitonel dire) di pensiero, un pensiero che balenapuro e si disfa in materia, che lascia la propria

orma immateriale nella materia, che le infondeil lievito di un logos allo stato aurorale di soffio.Ogni tuo quadro è una genesi della materiafecondata da quel soffio, materia che più siaddensa e più denuncia quel proprio nucleo oembrione d’infusa essenza. Né cosa sia que-st’essenza potrà dirlo l'assertivo vocabolariodelle parole, ma ineffabilmente lo suggerisconoi tuoi dipinti. Non col dire, ma piuttosto con sil-labe di forme che ricompongono ogni volta l’in-traducibile, velata parola. Volto? Anima?Memoria? Anche paesaggio, passaggio?Addensando e rarefacendo, come nel solve etcoagula degli alchimisti, la tua materia ha per-corso e ripercorso le tappe di un opus esempla-re, tappe di quella trasformazione che si appa-lesa sullo schermo esterno della proiezionematerializzata, nel vaso esterno, avendo opera-to nel vaso interno.C’è stato un momento, nella tua ricerca, in cuiquell’essenza operante di pensiero si è conden-sata in prove di meditazione, creando oggettiatti alla meditazione, momenti di meditazioneeffigiati nel comportamento: nella secondametà degli anni Sessanta, come inedito prologoalla nascente arte povera. Resta, quella paren-tesi, come un’altra prova della tua capacità dicaptare in anticipo i fenomeni della creativitàartistica, all’interno di una coerenza che è quel-la appunto di un costante rapporto tra materia,o oggetto, come simulacro del mondo, e pensie-ro o spiritualità, come suo intimo, trasfigurantepossesso. (...)(Catalogo della mostra, Museo Laboratorio diArte Contemporanea, Università degli Studi LaSapienza, Roma. maggio-giugno 1998).

Emilio VillaApertura vocale per alto sigillo

Nel nitore adolescente, o allappante candoredelle distese, giace solitaria, quasi muta, unacerta specie di alchimia disciplinata, adesiva(senza alcuna referenza a cicli di recupero, diriprese, di rincorse di temi propri dell’alchimia

VASCO BENDINI

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VASCO BENDINI

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storica). C’era anche in questo una dicitura disimbolica naturalezza, quasi didascalica in undominante conflitto nigredo-albedo, luxin-tene-bris, lux in tenebris lucet et tenebrae eam noncomprenhenderunt, o l’ultima escatologica sol-venza della corporeità interna agli strati di luce:il “firmamentum” e la sua metamorfosi plena-ria; campo degli spatia calida, interminati, areligioni perdute, irrogabili termini: topologianaturalmente simile alla sua fonte, al suo desti-no di superficie, di epidermide irrogata (mun-dum ros genuit) di sconnesso alveo della univo-cità, rarefazione e continenza precarie dell’u-num. Per cui, chi si volge a guardare il saleampio di queste sillabature topologiche, comeLot della leggenda, può incontrare la Tra-sformazione in sale, in Bianco topico e iride-scenza e schiuma del Sale necessario.Fumus fuimus / fuimus fingemur/ fatum fingi-mus / fumum futurumLa pittura di questo genus non può essere defi-nita di esistenziale condizione: ma passaggiodi uno stato di vita, da alvei ad alveari; e ada-giarsi dell’essere in oscillante velame (velumtempli scissum est), nello schema, nella forzastessa del vuoto bianco (del “muovere”) dove siparagonano, in unica esperta incessante(perenniter extensa) coesione, gli stati di vita, ei centri vitali, la estatica pazienza dell’affiora-mento, la presa di emersione, la pressione inau-dita del mondo: indifferenza provata, tracciafisiologica, memoria restituita, surrezione epremura destinate: come una destinazione epredestinazione intensiva, estensiva, dell’atte-sa tragica: attesa è dell’Omogeneo, edell’Ologeneo. Sotto specie di: velario, vessillo,sudario, sindone, simulacro, seminati tra unaeco cosmologica e la finale interdizione; conci-tate, coagulate, strette, sfrante, atomizzateanimazioni, (come di aliti, di anime, di ali depe-rite), acrobazie di pure scie, dissolvenza o solu-zione di incerto potere immaginario (e immagi-nario come: recupero, riscatto, esenzione,restituzione, expiatio, autonomo, citazione,eccitazione, intervenzione, concisione, fraseg-

gio assiderato considerato: fraseggio dellasomma Alberatura della luce, alla fine di que-sta lunga fuga e tenace riverbero); a crearel’immane instabile Tenda, inserita nell’Intimo(l’Abisso minimo), che gli iati citano e l’impos-sibile ritorno della Larva Perpetua irriga;discensio liquida, tra anello e annullo, e i radi-cali reciproci, e la frattura immaginaria demol-tiplicata in frantumi fragili di congettura eabbaglio. Il nodo della luce così semina ilcampo dell’aria apollinea, sine loco, sine tem-pore, saeculum seculi, ritagli trasparenti delmillennio imminens-eminens, immanens-ema-nens, immanans-emanans, minans pulvis.Come toccare con lo sguardo una frazione divento immemoriale e senza causa, senza il secausa sui, il se spettro ospite e avverso, dove lafuga consumata dal centro è il solo effetto del-l’ombra non-causa, non-causata. Questaombra è ricerca e immagine, inchiesta e segna-le che la pittura opera: come a voler creare unprincipio non conosciuto di minima energia perinstabilità.(Catalogo della mostra, Galleria L’Attico, EsseArte, Roma, aprile 1980)

Francesco ArcangeliAntologia critica

“...ma il sole nascente la mutò in un semplicevapore scuro, un’ombra grave e indistinta,

tremante nel caldo splendore...”Joseph Conrad

Soltanto sui trent’anni Bendini ha trovato unastrada decisamente sua. Era pittore da tempo,ma con lunghe pause dovute alla guerra, o adure necessità pratiche: forse, anche, a unasua disposizione per cui la vita doveva parergli,almeno a tratti, una vicenda spirituale bastevo-le a se stessa.Bendini ha maturato da qualche anno una quali-tà pittorica che a noi pare spessissimo di pri-m’ordine; ma per noi è evidente (dall’opera, e nonsolo perchè lo conosciamo da tempo) che egli,prima che pittore, è un poeta, nel senso mediato

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e sofferto del termine. È questa la ragione primaper cui, anche per la sua pittura recente, cosìconscia degli ultimi orientamenti dell’arte occi-dentale, i riferimenti culturali non sono legittimise non per riaddurli a un nucleo personale già datempo chiaramente prefigurato.I duri approcci d’un uomo solitario con la poe-sia, con la pittura, furono la storia dei suoi ten-tativi di nutrire la sua fame spirituale, di darcorpo alle sue intenzioni religiose. La solitudinerese quasi casuali i suoi incontri; occasionich’egli colmava d’una dedizione quasi senzalimite. Si potrebbe dire, per “relazionare” il gio-vane Bendini, che a un certo momento egli sisentì alle spalle alla “metafisica” italiana, nonnel senso letterale di quella poetica illustre; main quello più lato d’un’ansia di cose universalied eterne, non angustiane nella contingenza diquel prodotto tecnico che è, anche, un’operad’arte. Lo interessarono Guidi e Sironi, appa-rentemente nella loro cultura formale, in realtànella loro aspirazione a infondervi un’alta luceo un dramma grandioso. Ma di quelle formeBendini si sentì abbastanza preso prigioniero; echi è vivo scuote le sbarre.Verso il ‘50 lotta con Masaccio, quasi in un ulti-mo scontro, naturalmente sfortunato, con unatradizione italiana ormai predicata da decennie interrogata ora nella sua fonte più illustre. Masubito dopo, quasi che la vita non fosse piùpossibile se non in una liberazione sfrenata-mente romantica, riempie grandi carte apastello, di tempeste e diluvi: turbini che ricor-diamo appena, spire agitate, neri che crollano avalanga su se stessi. Non ne resta più nulla:eppure l’abbandono a quella isolatissima equasi assurda anarchia era, pure alquantoincontrollato nel mezzo, d’una schiettezzaassoluta. (Fu in quel giro d’anni che Vedova,purtroppo frenato da uno stile geometrizzante,buttava generosamente le sue Esplosioni,Aspirazioni, Scontri, in una mischia che parevasenza domani). Dopo questa parentesi di piglio quasi apocalitti-co, nel 1952 Bendini sembra accostare altri pre-

cedenti di cultura. Ma come ha appena avvisatoPicasso o Matisse (una radice non troppo diver-sa, come significato, da quella guidiana o siro-niana); ha appena scoperto il Morandi più segre-to, che già questi spunti sono dissolti, riecheg-giano appena entro un nuovo candore. (...)Bendini era, per la prima volta, misteriosamen-te libero. La sua aspirazione interiore non siobbligava più entro vie a lui aliene, ma ormaicoincideva con il ricordo, o il sogno sul natura-le. Talvolta tutto si allontanava fino a introdurlodirettamente entro un mondo personale dovenon sono più che larve, impronte, pavenze.S’era appena parlato, in Francia, di “tachisme”(il nome nasce nel ‘51); e di quel momento esat-tamente è, spalleggiato da una cultura benaltrimenti continua e potente, il mutamento diTal Coat. Si affaccia in quegli anni SamFrancis.Bendini non sa nulla di tutto questo, è solo.Nell’antica, bellissima, ma dura Bologna, nem-meno può procurarsi le tele, deve accontentar-si della tempera su carta. Guidi gli ha già dato,Morandi è ora un recupero da fare in segretez-za; forse soltanto Mandelli gli è meno lontanonell’arpeggiare certe sue personali, fragili figu-re; ma sempre inguainate sensibilmente, entroun tremito di verità. Bendini forma, invece,direttamente i suoi sogni, appena li permea disostanza sensibile. Autoctono “tachiste”, rea-lizza in macchie lievi, in chiarori, in strativaganti o in pareti sensitive un raccolto dialogotra mondo e coscienza, che talvolta sfuma inmonologo, in presenza ineliminabile e individua.Le sue opere, in apparenza così astoriche, cosìpiovute dal cielo, sono, invece, uno dei capitoliveramente personali d’una nuova visione, e,dialetticamente, di quella rivolta antiformistache è ormai, anno 1957, dilagata in mille rivi. Anche in itali si comincia a fare i conti (talvolta,ahimè, confondendo e truccando) con una sto-ria non più lunga che quindici anni. Con Bendiniil trucco è inutile, perchè i documenti, e l’indi-pendenza di questi documenti, son tuttora adisposizione. Preme anche subito affermare

VASCO BENDINI

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VASCO BENDINI

che in lui, sostanzialmente, non è traccia diquel tecnicismo, e di quella dialettica culturalesterilizzata nel suo meccanismo con cui troppiartisti moderni (sarà meglio dire soltantomodernisti) voltano e rivoltano gli eventi; ma inloro l’arte si fa, come dice Dante, “...somiglian-te a quella inferma - che non può trovar posa insu le piume, - ma con dar volta suo dolorescherma...”. Per Bendini una certa maniera d’e-seguire significa la conquista d’un mondo, laliberazione vera d’una sua aspirazione; e per-ciò non è evasiva al reale, ma, come presenzainevitabile di temperamento e di sogno, attivaal reale. (...)Bendini fa sentire, più che mai, una sua vocematurata, si colloca in una situazione precisa.Come altri lottano per nuove immagini naturali,unica e possibile prefazione di nuove immaginireali, così egli lotta per nuove immagini dellospirito. Con una penetrazione quasi medianicaBendini ha ripreso una sua rievocazione. Quasisbollando aria nascosta, o captando barbagli efluorescenze egli fa riaffiorare dalla materia(che, con il fascino calamitante degli opposti, loaveva attratto in un nero dialogo) la nuovaimmagine, ancora, d’un volto. Ma ormai, semprepiù, reliquia, parvenza: traccia d’uomo, veroni-ca d’una nostra condizione angosciata, simboloreale, concretissimo, d’una nostra realtà più

reale di troppi realismi. Virando entro la pasta,sottilmente brancolando, orientando maree dicolore (le sue antiche e sfrenate tempeste, oraverificate, non più assurde), Bendini cerca ilnuovo fantasma d’un nostro volto nascosto,eroso, quasi obliterato. Ancora lo portiamo innoi, come specchio d’una coscienza che a noipare, talvolta, irredimibile. L’immagine si forma,si amplia, esalando in soffocati baleni, trasu-dando in lebbre dolenti. Sono le immagini d’unanuova poesia che non si saprebbe chiamare senon romantica, in un moderno senso esisten-ziale, compagna altrettanto che spina nel fiancodella nuova ondata “naturale”; ma, non meno,d’ogni eventualità astrattamente “autre”, d’o-gni tecnicismo, d’ogni vacuità irresponsabile. Èun elemento ineliminabile, religioso nel sensoprimo e ingenuo del termine, entro la grandedialettica in corso. Queste immagini, spieautentiche d’una condizione spirituale, sonostate pagate da Bendini, fino al sacrificio. È perquesto che, quando affronta la tela, l’avvisod’una luce ignota, forse d’una speranza, balugi-nando lentamente entro gli spessori dellamateria, comincia a sfolgorare pian piano nellasua stanza.(Catalogo della mostra, Galleria del Milione,Milano gennaio 1958, e Galleria L’Attico, Roma,febbraio-marzo 1958).

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Francois MatheyGeorges Mathieu

Mathieu non va considerato nè come un casonè come un fenomeno, ma come un avveni-mento, come il logico, fatale, necessario puntodi arrivo di una lunga tradizione.L’idea che comunemente ci si fa della sua operaè erronea, sovente tinta di sospetto.«Finalmente un calligrafo occidentale»: è unaformula azzeccata ma che, nella sua eccessivaconcisione, chiude intorno all’artista il cerchiodi orrizzonte limitato, dopodochè i suoi sforziper evaderne vengono attribuiti ad un indeter-minato ma colpevole partito preso di rinnova-mento (a tal punto un’epoca è poco disposta aperdonare a coloro nei quali si è identificata ilfatto di non corrispondere più all’immagine cheloro si è creata). Mathieu sconcerta, infastidi-sce, irrita: il suo è un atteggiamento di sfida. Èstato il primo ad additare pubblicamente la fos-silizzazione di una cultura di tutto riposo, ilprimo a stigmatizzare i miti d’importazione checondizionavano il modo di vedere e di ragionaredegli occidentali. Mathieu ha il coraggio, nellasua qualità di pittore che vive in mezzo agliuomini, di non volerne sapere di loro perchèhanno accettato di diventare degli individui,rinunciando alla persona, all’essere. Egli mettein discussione questa illusoria libertà, destinataa cedere sempre e comunque il passo di fronteal numero, alla quantità. Mette sotto accusa ildeterminismo di De Broglie e di Einstein, puntaper la vittoria di Leibniz su Descartes,dell’Oriente sulla Grecia, di Plotino su Platone,per la vittoria di S. Agostino su Aristotele. Ci siillude di coglierlo in flagrante contraddizioneper il semplice fatto che la verità da lui propo-sta, se non ha la pretesa di essere inconfutabi-le, vuol però essere personale e incomunicabile.Le sue intuizioni, solo perchè folgoranti, vengo-no assimilate a degli automatismi. Lo si defini-sce un reazionario perchè afferma il valoredella tradizione e la sua insofferenza per i con-formisti fa si che lo si ritenga uno snob: il belloè che egli se ne compiace. Dal momento che le

sue prese di posizione sono spesso spettacola-ri si vuol vedere in esse null’altro che degliatteggiamenti. Egli è un pittore che contesta lapittura e che, pur prendendola in considerazio-ne, è cosciente del fatto che la carriera di unartista, anche se si tratta di un artista brillante,è tutto sommato insignificante se si è costrettia ridurla alle sue sole dimensioni pittoriche.Perchè, a dire il vero, non è in senso assolutoche la pittura lo interessa, ma solamente nellamisura in cui essa, in quanto mezzo espressivo,è una maniera di comprendere il mondo.Questa ambizione che si indovina in lui scon-certa e giunge persino ad offendere, tanto pocosi adatta alle norme che la società fa subireall’artista. Si tratta, nientemeno, che di liberareil mondo dalle illegittime proliferazioni di unatradizione asfissiante, di offrigli i mezzi pergiungere ad una rinascita, gli elementi di un’ar-te attiva che ristabilisca il dialogo con l’animapopolare, di un’arte che dovrà essere dono di sestessi, gratuità, distacco, vertigine. L’artista ècome attraversato dalla coscienza di una visio-ne collettiva. Non vi sono dubbi che egli riescasospetto; con la scusa che ha incarnato da solo,o quasi, un momento storico, sarebbe allettan-te disconoscergli oggi una qualsiasi autenticaattualità, giacchè il nostro tempo preferiscedimenticare tanto la sua espressione plasticache la necessità spirituale che la giustifica. (...)«Nessuna immagine, nessuna idea preesisten-te precede l’attimo in cui comincio a dipingere.Il primo gesto può essere arbritrario. Il più dellevolte lo è. Ma il secondo è inesorabilmente lega-to al primo e poi vi è un concatenarsi quasicibernetico di ciascun gesto. Sono vittima delmio primo gesto...». Tutto avviene con incredibi-le rapidità, il tempo è abolito. Se Mathieu si sca-tena in una prodigiosa velocità di esecuzione,ciò non significa che la sua furia non sia calco-lata. «Sono cosciente dei miei gesti, essi nasco-no da una necessità intrinseca alla pittura, nonda me... Traccio un segno e l’osservo, traccio unaltro segno e questo alternarsi di momentocreativo e di momento critico mi pare l’unica

GEORGES MATHIEU

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condizione indispensabile per lavorare. Nonpuò esistere, senza riflessione, un continuo,totale, spontaneo zampillare». Il gesto, se èefficace, basta a se stesso, ma l’irruenza delleguardie francesi urta contro l’accanita resi-stenza degli imperiali del Principe Eugenio.L’azione si crea e si distrugge. Si crede di aver-la spuntata invece bisogna ricominciare l’at-tacco una, due, tre volte. (...)Mathieu spezza la sua lancia-pennello, dà fondoa tutte le risorse dell’assalto, vibrando colpi sucolpi, con grossi pennelli, corti e larghi, serven-dosi del tubo, dello straccio, della mano.Scavalca delle fascine e si avventa con rinnova-to slancio. Un sacro delirio lo domina. Si trova inuno stato di ebbrezza, in preda all’esaltazioneche solo la creazione che introduce in un modosolitario, privo di impedimenti, può dare. (...)«Non ho dipinto in fretta per mancanza ditempo o per battere dei primati, ma per il sem-plice motivo che non era necessario più tempoper fare quel che dovevo fare e che, al contra-rio, un tempo più ampio, che avesse reso piùlenti i gesti, facendo nascere in me dubbi,avrebbe nociuto alla purezza dei tratti, al rigoredelle forme, all’unità del’opera. Introducendo lanozione di velocità nell’estetica occidentalenon ho fatto altro che venir incontro alla neces-sità interna dei mezzi di cui si avvale la pittura,soggetta ad una inesorabile evoluzine.Sopprimendo i tre riferimenti basilari, cioè ilriferimento alla natura, il riferimento ad un’i-dea estetica ed il riferimento ad uno schizzo, lapittura poteva ormai consentire una maggiorerapidità di esecuzione la quale non potrebbe innessun modo essere considerata un vantaggio,una qualità, un criterio». Il metodo di Mathieu èlegato in un modo così intimo e necessario - sipotrebbe dire: così consustanziale - allo spiritodell’opera sua che i più, giudicandola dall’e-sterno, come è fatale che avvenga, hanno pen-sato che la sua pittura fosse una forma di com-portamento. Un comportamento, quando inve-ce si tratta del suo stesso modo di essere. Diqui nasce l’equivoco. E di esso Mathieu era

cosciente. (...)«Un artista non è solo colui che crea alcunisegni ed alcune forme su delle superfici piane,ad esclusivo uso di pochi collezionisti privile-giati o di svariate decine di musei e fondazioniinternazionali d’arte. Un artista è colui che par-tecipa a tutte le manifestazioni della vitae dellacultura, in modo più completo di chiunque altroperchè è dotato di una più grande sensibilità.Per un artista degno di questo nome non esistecampo, per limitato che sia, che egli non abbianon si dice il diritto ma il dovere di invadere».(Fratelli Fabbri Editori, Milano 1969)

Gillo DorflesGeorges Mathieu

e l’Abstraction Lyrique

Se è vero, infatti, che Mathieu è stato tra i pri-missimi a far suoi i principi d’una pittura tachi-ste e informale (sin dai suoi primi lavori delperiodo chiamato “dei Limbi”, come in alcunidipinti del 1944-1945: Désintégration,Evanescence, Inception), è anche vero che lasua ricerca non è mai consistita in puro azzar-do, in mera ricerca materica (come quella ditanti altri pittori di quest’area); ma invece si èvalsa del segno e del gesto per costruire un’o-pera che mirava a raggiungere determinati tra-guardi che potremmo forse identificare nellavolontà di fare del suo autonomo gesto - pur nel-l’improvvisazione, nel delirio, nella vertigine, di“fine a se stesso” mai disgiunto da una metache possiamo considerare sia ideologica che“narrativa”, o meglio, esistentiva.Mathieu, in alcune parole, ha compreso, sin daiprimi suoi “periodi” - della Génèse (1947-1949),dell’Incarnation (1950-1952), del vero e proprioTachisme (1951-1954) - che era possibile essere“astratti” e non-figurativi pur rimanendo ade-renti a una qualità descrittiva e iconica della pit-tura; senza cadere dunque nell’abbaglio in cuiprecipitarono gran parte degli informali europeie americani (da Pollock a Hartung, da Schneidera Scanavino per citare solo i maggiori) e in

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Mathieu ha dato dei titoli che indubbiamente“corrispondono” in certo qual modo all’aspettografico-pittorico dell’opera; ma che possonoanche essere del tutto occasionali.(...) Questititoli ci dicono come le immagini suscitate dalpennello e dalle pennellesse dell’artista sianodense di pathos e anche di addentellati letterari,storici, personali. (Si pensi ai suoi noti capolavo-ri come La Bataille de Bouvines del 1954,L’Election de Charles Quint del 1971, La Victoirede Denain, La Bataille de Brunkeberg del 1958,tutti con precisi riferimenti storici o genealogi-ci). Ma ci dicono anche come questi loro “conte-nuti” siano, in un primo momento, “inconsape-voli”, talvolta semi-inconsci, annidati nell’Io pro-fondo dell’artista e pronti a evidenziarsi, pro-rompere sulla tela attraverso un gesto che è inparte autonomo ma che, in un secondo tempo, sitrasforma, o può trasformarsi, in precisa matri-ce significante. È questa significazione semprepresente, almeno potenzialmente, che distinguel’opera di Mathieu da quella di tanti altri artistiinformali, per i quali il problema si limita allaricerca di accordi cromatici o di equivoche com-binazioni spaziali, spesso del tutto casuali, nep-pure guidate da una attività istintuale e parossi-stica, ma solo dall’azzardo con cui i colori si dis-tribuiscono sulla tela quasi per loro autonoma“volontà”.Non vorrei eccedere nell’esemplificazione deirapporti tra segno e significato, tra gesto istin-tivo e risultato plastico-cromatico, ma ritengoche quello che ha sempre “salvato” Mathieudal divenire schiavo d’un edonismo pittorico,che pure gli è consanguineo, è stata proprio laconsapevolezza di voler realizzare un’operache rimanga quale testimonianza d’una pecu-liare “moralità” artistica ed esistenziale.Del resto nessuna descrizione potrebbe spie-gare meglio il percorso creativo di Mathieu diqueste sue parole che testimoniano, in pochefrasi concise, la sintassi stessa del suo lavoro:“De la serviette trempée, pliée, fouettée, sur lasurface de L’Hommage à Hideyeshi sur le toitd’Osaka, aux balafres éclatées de Stockholm, à

parte giapponesi. Con una riserva, tuttavia, perquello che fu, ad esempio, la poetica del piùimportante raggruppamento informale di que-sto paese - il Gutai - giacché nell’informalismonipponico è presente una componente di signi-ficanza, già preesistente a quella moderna, chesi può far risalire a certi esempi di una gestuali-tà rituale Zen, ben diversa da quella occidenta-le. E a questo proposito - anticipando in partequanto intendo precisare più oltre per quanto siriferisce al rapporto di Mathieu col Giappone -occorre tener conto di alcuni dati: quando nel1957 l’artista si recò in questo paese dove in tregiorni dipinse una ventina di tele, di cui unagigantesca, La Bataille d’Hakata, di fronte a unpubblico attonito e plaudente, questo forse nonsi rese conto della differenza sostanziale tra lasua gestualità e quella nipponica: la primaparossistica e miocinetica, la seconda, almenosecondo la tradizione Zen, dinamica soltanto inun secondo tempo, dopo una profonda medita-zione, quale matrice dell’esplosione segnica.Ma è proprio l’estemporaneità di Mathieu chedeve aver conquistato il pubblico giapponese, eche, agli occhi di molti, permise il troppo facileparagone tra il suo segno e quello ideogramma-tico. Quali sono, allora, le vere “costanti” chepossiamo rinvenire in tutta l’ormai lunga vicen-da dell’artista francese a partire dalle primeesperienze degli anni Quaranta fino a una delleultime tappe della sua creatività?Ho parlato dianzi di segno e di gesto. Ebbene èproprio qui che si annida il punto essenzialedella poetica dell’artista: in una sua frase dav-vero programmatica Mathieu afferma: ?“Lesigne précède la signification”. Un autenticocapovolgimento dei consueti principi dellasemiotica tradizionale quale risulta istituziona-lizzata attraverso gli studi di un De Saussure odi un Jakobson. Ci troviamo dunque al puntod’incontro e di scontro tra l’arte segnicadell’Oriente - l’arte basata sull’ideogrammadove il significato è aderente al segno - e un’ar-te segnica dove la significazione, anziché pre-cedere, segue il significato. Molto spesso

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ARNULF RAINER

la pluie de sang de Rio, aux luxuriantes guirlan-des d’or de L’Election de Charles Quint, néesde la trajectoire du pigment liquide transmisedans l’espace...”. Come si vede abbiamo quiriassunti alcuni dei momenti più tipici e icasti-ci della sua operazione: grandi pennellate bian-che, grovigli aurei, pigmenti liquidi che trovanoda soli una traiettoria, grumi densi, vaste zoneacromatiche...Sempre, comunque e dovunque, la foga d’ungesto parossistico: forse proprio quella sorta di“gioco corporeo” che Roger Caillois ebbe adefinire “ilynx” a indicare l'ebbrezza che dà ilmovimento vorticoso come quello dei “derviscirotanti”, dei “voladores messicani” o degli scia-mani, i quali attraverso questa sorta di pulsio-ne orgasmatica riescono a raggiungere l’esta-si. Ma, nel caso di Georges Mathieu, l’ilynx è diun livello superiore a quello ludico, perchè miraa ottenere un risultato estetico e non soltantogiocoso o mistico. È, però, molto tipico dell’ar-tista e di quel suo “gioco sciamanico”, l’averdato l’avvio a un coinvolgimento di tutto ilcorpo, per cui l’opera derivata dal gesto è inrealtà l’emanazione stessa e il proseguimentod’una sua metamorfosi corporea.(Catalogo della mostra, Galleria Arte 92, Electa,Milano aprile-luglio 1991)

Renato BarilliRainer

E siamo all’ultima fase di produzione delnostro, documentata dalla presente mostra.Domina ancora il processo del “dipingeresopra”, che ora dà luogo a una ricca e animatacasistica, articolando all’infinito la tecnicadella monocromia coltivata in altri momenti. Inognuno di questi dipinti c’è uno sfondo, quasiuna “preparazione”, si direbbe in termini tradi-zionali: qualcun altro, o lo stesso artista, oeventi precedenti hanno lasciato il loro segno,le tracce di un passaggio, magari molto fortui-to e casuale. Potremmo anche dire, più sempli-cemente, che quelle tele hanno “vissuto” molto,come si dice di persone in là con gli anni, epesantemente contaminate dalle ingiurie del-l’esistenza.Ma appunto, per Rainer, si tratta appena di una“preparazione”, di una premessa, di uno stadioanteriore, di una sorta di letto di fiume dissec-cato, su cui si abbatte una nuova alluvione. Ilfiume del tempo e della vita irrompe con nuoveondate, trascinando con se un impasto difango, di foglie macerate, o di chissà che altro.Ed è tanto denso, questo impasto, che gli stru-menti tradizionali delle “belle arti” non riesco-no a controllarlo. Rainer, che sa essere eccel-lente scrittore quando dà conto delle sue espe-rienze, ci ha detto più volte di quell’incidente dacui un “normale” pennello uscì spezzato, nonreggendo lo sforzo di spalmare, di distendere le“alte paste” dell’artista; e allora egli lo surrogòcon le proprie appendici naturali, mani, dita,piedi: l’action painting, ancora una volta, era là,pronta ad assumere l’iniziativa, come accade-va anche agli amici del gruppo viennese, o aigiapponesi di Gutai.Col che siamo di nuovo al predominio di unadimensione verticale; a noi spettatori sembraquasi di sorvolare pianure, paludi, altopiani, e diinseguire le tracce del rovinoso passaggio dislavine, frane, smottamenti, che tutto abbatto-no, quando sopraggiunge la loro molle invasio-ne; esse piallano, azzerano, eppure i cespugli,

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ciaio, termine di riferimento esatto sul pianoplastico, risulta però troppo “freddo” su quellodel colore; nel caso di Rainer si dovrebbe par-lare almeno di un ghiaccio bollente; forsepotrebbe funzionare meglio un riferimento allalava, ma questo a sua volta rischia di appariretroppo “caldo”; diciamo che fa al caso nostrouna lava sorpresa nel momento in cui si avvia aun primo raffreddamento, e frattanto si man-tiene perfettamente plastica, fremente, prontaa cancellare quanto incontra sul suo cammino,ma anche ad assumere qualche tratto: stru-mento che abolisce, ma intanto conferma edesalta.(Catalogo della mostra, Galleria Arte 92, gen-naio-marzo 1992, Mazzotta, Milano, 1992)

Raffaella A. CarusoOpere 1970-2008

L'identità è dunque la vena primigenia di que-sto lavoro, e pur essendo classificabile in cicliben distinti, saldamente ancorati gli uni aglialtri dalla stessa sfraghìs, compenetrati dallepregresse esperienze e da queste nutriti edispirati, esso sempre rimane immediato e maiestemporaneo per la classicità che lo permea.Drammatico, complesso ed enigmatico, violen-to ed al tempo stesso tenero in alcuni squarci diluce, Rainer indaga in questo viaggio alla ricer-ca di sé, l'amore ed una morte che non è defi-nitiva ma provvisoria trasformazione, se nonmistica per lo meno alchemica.Non può infatti in alcun modo sfuggirci esse-re la cattolicissima Austria patria di Freud,anche se in questo excursus saremo debitoripiù all'allievo Jung, soprattutto nella distinzio-ne tra anima (sentimentale) e persona (intel-lettuale) nell'accezione e psicoanalitica e lati-na dei due termini. E certo Rainer non ignoralo scollamento, la anche non patologica disso-ciazione tra la persona, maschera costituitasiin adattamento all'esterno, e la vera indivi-dualità dell'anima. Ricondurre ciò ad unità è iltentativo conscio o inconscio, sano o minato

gli alberelli gemono, sotto quelle coperte vio-lentemente imposte, le forano qua e là,riuscendo ad affiorare.L’azzeramento non è mai totale, la nuova scrit-tura non cancella radicalmente quella sotto-stante, che si concede a una lettura, seppureparziale, come in un palinsesto; ovvero la scial-batura del muro lascia trasparire i tratti di unasinopia, i frammenti di un affresco.Altro carattere di questi interventi in verticale:proprio come avviene nei cataclismi naturali,c’è in loro tanta violenza e brutalità; essi cioè,più che informali, potrebbero apparirci addirit-tura informi; ma c’è anche del metodo, unalogica, che però non è quella delle”belle arti“, edei loro riti ispirati a un’esigenza di varietà. Ilbuon pittore, appunto, deve essere piacevol-mente vario, nei colori, nelle forme e nelle loroconbinazioni reciproche.Al contrario, come la natura, Rainer si procurapoco di esigente del genere, e dunque i colori ciappaiono elementari, indistinti, quasi incurantidei reciproci accostamenti, pronti a sfidare unaeventuale cacofonia. Eppure le slavine si abbat-tono con una loro essenzialità, appunto comecorsi di torrenti, come colate di lava, che talvol-ta disegnano un semicerchio, una mezzaluna,un ramo di spirale. Inoltre nell’attuale fase l’ar-tista ha rinunciato al presupposto della mono-cromia, di un unico intervento di copertura, edunque, le tele di oggi testimoniano del concor-so di vari fenomeni tellurici; come vedere unaconfluenza di ghiacciai che conducono all’im-patto i rispettivi cortei di detriti morenici.L’esempio del ghiaccio è particolarmente vali-do in quanto, come noto, esso ha una natura diperenne movimento, di plasticità inesausta,ancorchè affidata ai tempi lunghi, tanto chel’occhio umano non riesce a sorprenderne levariazioni; e questa dinamicità segreta sfug-gente, benchè incessante, è proprio tra i segre-ti più belli dell’opera di Rainer.Che però non corrisponde affatto alla similitu-dine del ghiacciaio per quanto riguarda il suostatuto cromatico. Ancora una volta, il ghiac-

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da patologie, di ogni uomo, sicuramente pre-potente nel Rainer delle Face Farces, sorretteda una tale impalcatura teorica da far appari-re marginale l'uso di droghe, artificiale esca-motage per ricreare gli spasmi di un corpopsicotico, di fronte invece alla continua pre-senza di una coscienza che esce da sé percercare se stessa. E questa separazione inter-no-esterno, ossimorica barriera di comunica-zione, è sicuramente la pelle. (...)La nozione di un “Io-pelle” offre uno sguardodel tutto nuovo sulla costituzione dell'identità:la storia di un io che si forma è la storia di unapelle che si distende, di un bambino che sitocca, di mucose che si compenetrano, di uncorpo che si ammala, si racconta, sioffre.....“Prendete e mangiatene tutti, questo èil mio corpo”.... È la Consustanziazione divienela più alta delle metamorfosi....Nel cercare di modificare la nostra storiainterveniamo sulla pelle. Così in Bacon ilcorpo svuotato di sé lascia sulla tela, qualegrido di dolore, pelle deforme afflosciata,“viande”, quella povera carne da macello dicui mirabilmente parla Deleuze. Così inRainer l'urgenza di un automatismo prepo-tente ( non a caso di matrice surrealista) chesi trasforma da impulso in ossessione, scrivee sovrascrive, e l'apparente annullamento delsé aiuta a ritrovarlo. Cosa sono queste over-drawings se non l'incidere sulla pelle, cancel-lare, pulire per ritrovare? Nulla è nichilismoin Rainer: egli metalinguisticamente nega lapittura per trovare la pittura. Sovrascrivere è comune a tutti i grandi ciclidel Nostro; è un metodo, è propedeutico emaieutico a tutto il suo fare: arriva a coprirequasi tutta la tela in duri e raffinatissimimonocromi, su basi altre lascia trapelare l'a-bilità e la volontà incisoria di modificare perfare propria una altrui realtà; la furia si placanell'amore quando sulla tela bianca qualeamante compaiono le carezze di dita e mani,ma il furore ricomincia quando gli occhi sichiudono e la propria donna diventa un'altra

e le mani toccano ancora ed ancora e l'im-magine migliora con pratiche magiche egesti sciamanici. Riti ed un'azione scenicapropri del corteggiamento e dell'amore....Di rimando ecco la Morte, con una indagine trale più cospicue nell'arte contemporanea: cada-veri, mummie, maschere mortuarie, il Cristo ela Croce.Nulla però è ineluttabile e se la morte è l'attimoimmediato che pone l'uomo finalmente al difuori della relatività del tempo, esiste perRainer un paradossale prolungamento fisicodella morte nel tempo stesso. Le distorsioni delviso, il collasso della muscolatura, serrate rigi-dezze da pregressi spasmi, raccontano delmoto della morte con pose tutto sommatoassai simili alle Face. (...)La Croce infine: l'apostolo Paolo e la più auten-tica speculazione mistica cristiana la mostranoquale simbolo vivo dell' Ineffabile. Ma un sim-bolo non è fisso né univoco, muta nel corso deisecoli sia per la coscienza sociale, sia per gliindividui. Così in epoca post-illuminista lacroce passa a dato storico. La grande opera-zione “culturale” di Rainer è riportare alcunitipi ad archetipi e questo gli riesce mirabilmen-te proprio con l'indagine sua più suggestiva.L'approccio alla croce non è quello di un cre-dente, ma piuttosto di un iconoclasta che lausa senza tabù, per accettarne alfine, chinan-do il capo, la grande potenza. (...)Rainer è un istrione, a tratti addirittura un guit-to da Commedia dell'Arte, più spesso attoredrammatico nel senso dell' Actio latina, prontoad usare il suo corpo con vis apotropaica.“Mi afferro una ciocca di capelli e tiro, spic-co un salto senza la terra”. E tanto più forteè l'azione scenica e la qualità fisiognomica,tanto più veloce è la sua accentuazione gra-fica.“ Sconosciuta gente si nascondeva den-tro di me...”. Ma la foto, medium di per sestesso statico, non è abbastanza per cattu-rare questa eccitazione nervosa: ecco quindiposture contorte, plasticismi psicotici eduna veloce rielaborazione segnica. Ma qui

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oltre al processo di sovrascrittura, ad unapiù attenta osservazione, gli schizzi di gessodisegnano rapidi geometrie archetipiche. (...)Werner Hofmann nell'introduzione al lavoro diRainer presentato nel '78 in Biennale aVenezia, parla del mito di Marsia, punito perl'imperizia nel gareggiare con Apollo davantiad Atena stizzita per aver deformato suonan-do il bel volto.Dionisiaco versus Apollineo, annosa contrap-posizione nell'Arte. Preferisco però ricordarela fine del povero satiro, scorticato per punizio-ne vivo e trasformato nel fiume delle sue lacri-me. Ancora una volta la perdita d' identità, lametamorfosi, diventare nella sofferenza altro eancora una volta la pelle....La pelle, il viso, il corpo, la croce.(Catalogo della mostra, Galleria Arte 92, Milanomaggio-luglio 2010)

Arnulf RainerPremessa a un catalogo per una mostra

delle mie opere

Le opere d’arte non mi procurano piacere,perché in ogni quadro tendo subito a vederesolo i punti sbagliati, almeno quando sentodella simpatia per l’oggetto. Altrimenti miallontano e non riesco assolutamente a fissa-re lo sguardo. Questo occultare i punti deboli,coprirli uno dopo l’altro fino a che non li vedopiù, mi ha orientato verso la sovrapittura.Era dunque minore e impulsa a rendere lecose perfette. Volevo creare opere d’arteancora migliori, tutto il resto è chiacchera. Daallora ho notato che non esiste una fine per ipunti deboli, anche quando il quadro è tuttonero, dal momento che la sovrapitturacostruisce una sua propria e nuova struttura,e ancora si ripresentano dei punti deboli, nerosu nero.Così non smetto mai di lavorare sui miei qua-dri. Mi tormenta un’eterna insoddisfazione,mentre i fortunati amanti dell’arte possonoancora dilettarsi con le invisibili parti coperte.

Talvolta, perlopiù in uno stato di ebbrezze,riesco a inventare qualche dinamica operazio-ne abbreviata, fatto alla cieca, ricorrendo a unfulmineo lavoro di pannello, che in seguito nonposso ricostruire.Di solito, tuttavia, i miei dipinti, anche i primie migliori, ricevono mediatamente un nuovo, operlopiù nero, colpo di pennello ogni ..... e cre-scono perciò come alberi. Questo non cam-bierà fino al momento della mia morte. Poichédi solito mi trovo a confronto con i miei lavori,è naturale che io estingua soprattutto loro.Non sono in grado di lavorare su un fogliobianco di carta, a meno di non innescare unprocesso allucinatorio su qualche cosa che inseguito lo posso migliorare.I quadri, per me, non sono lì per essere modi-ficati. Questo fatto mi procura a volte delledifficoltà quando si tratta di prestarli. ma icollezionisti comprensivi sanno apprezzarequesto servizio volto al perfezionamento. Peril futuro intendo garantirmi per contratto ilmio diritto a rielaborarli.Devo osservare, a proposito del contenuto deimiei soliloqui quando lavoro disegnando, chedi solito sono furioso o arrabbiato per qualchecosa. Quando voglio pace o silenzio mi dedicoalla sovrappittura. È la cosa che mi piace di più. Dal punto divista ideologico, solo i malati e le malattiementali mi hanno comunicato idee illuminantie possibilità di sviluppo personale. I semi dellacultura nelle psicosi classiche mi affascinanopiù delle correnti artistiche contemporanee.Mi sforzo del resto di non produrre un’operaomogenea e coerente.Non ho più esposto, e ho in parte distrutto,alcuni lavori della mia estrema fase di svilup-po durante gli anni anni Cinquanta eSessanta, dal momento che non possiedo uncriterio per giudicarli. Qualora nella mia operasia accertabile una qualche continuità, que-sta non è intenzionale.(Catalogo della mostra, Castello di Rivoli, feb-braio-aprile 1990)

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Omaggio di Vasco Bendini al Premio Marina di Ravenna

Litografia numerata e firmata dall’artista 1/50, 1974, 50x70 cm

Litografia numerata e firmata dall’artista 1/99, 1985, 68x58 cm

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Riconoscenza

Terme di Punta Marina

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S.E.R.S. srlSOCIETÀ ESERCIZIO RIMORCHI

E SALVATAGGI

Marina di Ravenna

Mario Boccaccini

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Finito di stampare nel mese di agosto 2010

da Grafiche MorandiFusignano (Ra)