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Il cadavere di Nicolai Lilin La narrativa di Pier Vittorio Tondelli di Roberto Carnero La pista del leopardo di Mariel Hemingway e Boris Vejdovsky Charly di Lorenza Ghinelli Occasioni di letteratura digitale Ottobre 2011 • Numero 1 pretesti

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Il cadaveredi Nicolai Lilin

La narrativa di Pier Vittorio Tondellidi Roberto Carnero

La pista del leopardo di Mariel Hemingway e Boris Vejdovsky

Charlydi Lorenza Ghinelli

Occasioni di letteratura digitale

Ottobre 2011 • Numero 1

pretesti

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Indice

22-23

Buona la primaLouis-Ferdinand Céline “Viaggio al termine della notte” (1932)di Luca Bisin

24-25

Sulla punta della linguaLa parola al romanzo di Vittorio Coletti

26 Anima del mondoLisbona, la finestra sull’infinitodi Sergio Bassani

27-29

Alta cucina A pranzo con Arquímedes,il costruttore di frangifluttidi Francesco Baucia

31

Gli appuntamenti30 Recensioni 32

Tweets / Bookbugs

TesTI Il mondo dell’ebook

RubRIche

02-05

RaccontoIl cadaveredi Nicolai Lilin

06-09

SaggioLa narrativa di Pier Vittorio Tondellidi Roberto Carnero

10-11

AnticipazioneLa pista del leopardo di Mariel Hemingway e Boris Vejdovsky

12-15

Racconto Charlydi Lorenza Ghinelli

16-18

L’evoluzione della specie eBookdi Roberto Dessì

19-21

L’esperienza di lettura dal contenuto al contenitoredi Daniela De Pasquale

Il giornale entra nel vivo e in questo numero abbiamo voluto offrirvi alcune delle voci più rappresentative della scrittura under 40. La copertina è dedicata a Nicolai Lilin, scrittore russo di origine siberiana (ma ormai italiano di adozione), noto al pubblico di tutto il mondo per il romanzo Educazione siberiana, dal quale Gabriele Salvatores sta girando un film con John Malkovich tra i protagonisti. Sempre per la narrativa possiamo leggere il racconto Charly di Lorenza Ghinelli e un’anticipazione del libro che Mariel Hemingway dedica a suo nonno Ernest. Ai vent’anni dalla scomparsa di un giova-ne di talento quale fu Pier Vittorio Tondelli è dedicato invece il saggio di Roberto Carnero.Per Il mondo dell’ebook Roberto Dessì compie un’analisi attenta e documentata dei vari formati di ebook illustrando le ulti-me novità sul versante ePub, mentre Daniela De Pasquale ci riporta all’attenzione la questione delle tipologie di strumen-ti per la lettura digitale con alcuni dati di mercato indispensabili per un approccio serio alla questione “quale eBook?”.Tra le rubriche, la prima su Céline e un appetitoso Vargas Llosa ci ricordano che non tutta la scrittura viene per nuocere, ma che anzi essa è il luogo imprescindibile per la diffusione della fantasia, come emerge dal contributo a cura di Vittorio Coletti, dell’Accademia della Crusca, in Sulla punta della lingua.Saper scrivere e volersi divertire sono in fondo le due questioni sempre aperte per qualsiasi approccio ai testi, digitale o cartaceo che sia.

Buoni PreTesti a tutti.Roberto Murgia

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di Nicolai Lilin

Il cadavere

Racconto

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l fiume di notte era coperto da un leggero manto di nebbia che si muoveva in continuazione creando nella sua materia bizzarri ornamenti che mutavano come figure caleidoscopiche mosse dal tenero soffio di un vento vagante. In alcuni istanti il vento soffiava più forte del solito, con una rapidità innaturale, e allora nel bianco corpo della nebbia si creava un vuoto, un foro largo qualche metro, sul fondo del quale si poteva osservare il cielo pieno di stelle rispecchiato nello scintillante scorrere del fiume, e a volte qualche raggio argentato prove-

niente dalla luce della luna colpiva quello specchio in movimento, illuminando un enorme flusso dell’acqua buia che sembrava un essere vivente gigantesco, una creatura che proveniva dal mondo preistorico. Nell’aria umida e fresca si respirava il lieve odore della palude mischiato con i profumi delle erbe e fiori selvatici che crescevano lungo le rive. Il silenzio era così assoluto che il battito del proprio cuore poteva sembrare il rumore di una locomotiva che correva sulla ferrovia qualche chi-lometro lontano, mentre il respiro, il ritmo dell’aria che entrava e usciva dai polmoni somigliava al tuono del temporale in avvicinamento, quando arriva da oltre la linea dell’orizzonte. Solo qualche pesce che saliva sulla superficie per prendere una boccata d’aria creava un rumore talmente forte e vicino che nelle nostre barche qualcuno addormentato si svegliava di colpo e involontariamente si irrigidiva, scaricando nel telaio della barca la propria tensione, come succede con l’energia elettrica. All’epoca avevo quattordici anni, e spesso con gli amici andavamo a pesca sul fiume con le reti,

un’attività proibita dalla legge e per questo aveva il fascino di un af-fare criminale, e dato che si svolgeva di notte, era circondata anche da una specie di macabro mistero, come quando si andava al cimite-ro cercando di spiare i fantasmi in mezzo alle pietre tombali. Quella notte eravamo usciti con due barche, in tutto otto ragazzi, quattro per barca. Prima che fosse calata la notte, attorno alle nove di sera siamo saliti qualche chilometro su per il fiume, andando controcorrente con la forza dei motori. Poi ci siamo fermati in un posto nascosto su una delle rive del fiume, abbiamo aspettato che scendesse la notte pro-fonda, e usando i remi per non fare rumore abbiamo tirato da una barca all’altra una lunga rete, chiudendo una grande parte del fiume e abbiamo cominciato a scendere giù lungo il suo corso, seguendo la velocità della corrente. La rete si appesantiva di pesce catturato e noi volta per volta la tiravamo fuori dall’acqua per alleggerirla, estraen-do il pesce catturato e sistemandolo nei sacchi di lino immersi nell’ac-qua, attaccati ai bordi delle nostre barche. Così i pesci catturati stava-no nell’acqua e non morivano subito, ma soprattutto non facevano rumore sbattendo sul fondo della barca con i loro corpi agonizzanti,

come facevano quando gli mancava l’acqua. Tiravamo la rete in due, uno stava in piedi nella barca e tirava verso di sé la corda con i galleggianti alla quale era attaccata la parte alta della rete, un altro stava in ginocchio oppure seduto sulle gambe piegate, si sporgeva dal bordo della barca e raccoglieva la parte bassa della rete, quella che di solito scendeva nella profondità del fiume ed era piena di pesci. Mentre i due in questo modo tiravano su la rete, gli altri due raccoglievano i pesci, poi si cambiavano di posto, per evitare che il lavoro diven-tasse troppo monotono. Stavo liberando uno dei pesci imprigionati nella nostra rete, spostando con delicatezza uno per uno i fili sottili nei quali era intrappolato, tenendolo in modo delicato, per non ucciderlo, ma allo stesso tempo in modo deciso, per non farlo scappare. Di fronte a me c’era il mio amico Mel, anche lui stava estraendo i pesci dalla rete, mentre gli altri due amici, Gagarin e Mesa, stavano tirando la rete fuori dall’acqua. Gagarin stava in piedi, tirava la corda dall’acqua lentamen-te, cercando di non fare rumore e Mesa sistemava la rete dalla parte bassa, in modo che scivolasse meglio e senza rumori nella barca. Concentrati sui nostri compiti ci muovevamo come in una specie di connessione telepatica, cosa che capita quando si fa qualcosa con altre persone, quando ognuno è parte integrante di un meccanismo preciso e concreto, e per qualche motivo non si può comunicare con gli altri, per questo si sviluppa una sorta di sensibilità di gruppo basata sui piccoli dettagli legati alle circostanze, come lievi rumori di sottofondo, immagini di alcuni movimenti, la memoria visiva delle esatte posizioni delle ombre. In questi casi anche se non guardi direttamente i tuoi compagni riesci comunque a sapere con esattezza cosa fa ognuno di loro. Questi momenti di sentimento di

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Il silenzio era così assoluto che il battito del proprio cuore poteva sembrare il rumore di una locomotiva che correva sulla ferrovia qualche chilometro lontano

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unione quasi psicofisica con il gruppo sono molto intensi e spesso molti ragazzi che conoscevo accettavano qualsiasi impresa, anche crimini pericolosi oppure risse in cui si ri-schiava di morire, perché erano spinti dalla sola voglia di provare quel sentimento. Improvvisamente il silenzio sospeso attorno a noi è esplo-so come una struttura di cristallo colpita in pieno da un proiettile, era l’urlo di Mesa. Ha lasciato cadere la rete ed è indietreggiato all’interno della barca, coprendosi la bocca con la mano, come se il riflesso fisico di tappare la bocca fosse più veloce del pensiero che gli suggeriva di farlo. Ga-garin ha smesso di tirare la corda e si è chinato verso l’ac-qua, con una mano continuava a tenere la rete e con l’altra si è allungato verso la parte abbandonata da Mesa. Noi sia-mo rimasti seduti ai nostri posti, zitti e sorpresi, facevamo difficoltà a capire cosa stesse succedendo. Ancora prima che nella mia testa si fosse formata una domanda precisa, Gagarin si è girato verso di noi e con un’espressione tra rabbia e fastidio, ha sussurrato – Basta, per oggi la pesca è finita, abbiamo pescato un annegato. – E chi se ne frega, mica siamo noi che l’abbiamo annegato? – ha detto Mel, senza fare una piega e con imbarazzante calma – Stacchiamolo dalla rete, spingiamolo con il remo dall’altra parte della barca e che vada dove Dio lo porta!Mesa lo ha guardato con imbarazzo, come se in quel mo-mento avesse realizzato che sulla testa dell’amico erano uscite due corna. – Dove Dio lo porta? Ma che cosa stai dicendo? Non sai niente della maledizione che gli annegati portano a chi non li aiuta a trovare riposo nella tomba, sotto la croce, come tutti i cristiani? Ti dico io dove Dio porta quel cadavere se lo lasci nell’acqua, lo porta ogni notte sotto le finestre di casa tua, brutto imbecille!Mel ha guardato me in cerca di approvazione di quello che stava dicendo Mesa, e io ho fatto un se-gno con la testa a sostegno delle sue parole. Mel si è arrabbiato.

– Imbecilli siete voi se credete a quelle stron-zate! Dove volete che vada quello lì? È mor-to, annegato, non può più fare niente, sem-plicemente ci ha rovinato la pesca, porcaccia la miseria!Gagarin ha interrotto la discussione, alzan-do il tono, per calmare tutti.– Basta chiacchiere, tiriamolo fuori. Che c’entrano le maledizioni, è un uomo morto, non possiamo lasciarlo qui nell’acqua. Dall’altra barca i ragazzi hanno sentito le no-stre voci e hanno capito che doveva essere

successo qualcosa, si sono avvicinati, uno di loro ha chiesto – Che succede, perché gridate? Se ci sentono gli sbirri siamo rovinati! Mesa si è girato verso loro e ha detto – Tirate fuori la vostra parte della rete, abbiamo finito, c’è un annegato qui, dobbiamo portarlo a riva.L’annegato era molto deformato, si capiva che stava nell’acqua da qualche giorno, il suo corpo aveva cominciato a decomporsi e i gas lo avevano spinto dal fondo del fiume alla superficie, finché non è finito nelle nostri reti. Noi l’abbiamo staccato dalla rete tentando di toccarlo il meno possibile, poi legando la corda attorno alla sua mano destra l’abbiamo trascinato nell’acqua dietro la barca verso la riva del nostro quartiere, non l’abbiamo messo a bordo perché i cadaveri degli annegati sono pe-santi e anche perché lasciano su ogni cosa che toccano un odore nauseante che non passa per giorni.

Non sai niente della maledizione che gli annegati portano a chi non li aiuta a trovare riposo nella tomba, sotto la croce, come tutti i cristiani?

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Andavamo lentamente, usando i remi, per non tirare troppo e non danneggiare il corpo del morto, abbiamo mandato avanti la barca dei nostri amici per avvertire qualcuno al nostro quartiere della tri-ste trovata. Quando siamo arrivati al posto dove di solito lasciavamo le barche ci aspettavano alcuni uomini che abitavano nelle case vicine al fiume.Tirando il cadavere a terra gli uomini indossavano guanti di gomma spessa, quelli che di solito usavano per pulire le barche. Nel buio della notte, illuminato dalla luce debole e gialla di due vec-chie torce elettriche che avevamo acceso, il corpo dell’annegato sembrava non appartenere più a un umano, la sua pelle era piena di tagli provocati strisciando sul fondo del fiume spinto dalla corrente. Tirandolo via dall’acqua gli uomini lo hanno messo per terra a pancia in giù, per far uscire l’acqua dal corpo. Era gonfio, la pelle era opaca e scura, a macchie nere nei posti dove gli erano venuti i lividi nelle prime ore dopo la morte, quando il sangue era ancora tiepido e coagulava. Lo stavo osservando e provavo un’enorme pietà. Il pensiero che qualche giorno fa quest’uomo era vivo come tutti noi lo avvicinava a me in modo incredibile, era un sentimento naturale, era come quel pensiero che ti aiuta a distinguere i colori, non ti accorgi quando succede, però sai che quando guardi un determinato colore quello è lui. Quando gli uomini hanno girato il corpo a pancia in su, l’aspetto della sua faccia ha colpito tutti noi, non era gonfia o rovinata, per qualche strana coincidenza era rimasta intatta e aveva perfino un’espressione di totale calma, sembrava un uomo che stava dormendo. Giorni dopo con Mesa e Gagarin abbiamo deciso di fare uno scherzo a Mel, per punire la sua man-canza di sensibilità nei confronti di un povero annegato. Di notte ci siamo riuniti sotto le finestre della sua stanza, scavalcando il recinto di casa sua, per fargli provare il brivido della visita del fan-tasma dell’annegato. Gagarin indossava un lenzuolo bianco con due piccoli buchi all’altezza degli occhi e camminava piano attorno alla finestra di Mel fermandosi e agitando nell’aria le mani strette in pugni, in segno di rabbia, io e Mesa stavamo sotto la finestra della camera da letto di Mel, attaccati al muro, battendo il vetro con dei rametti secchi e chiamando il suo nome con voci storpiate e diabo-liche. Abbiamo passato più di tre ore ad esibirci in quel ridicolo spettacolo senza riuscire ad attirare l’attenzione del nostro insensibile amico, sprofondato in un sonno quasi comatoso. Per tutto il tempo i nostri inutili sforzi sono stati accompagnati dal forte rumore che provocava Mel russando, finché abbiamo perso le speranze e siamo tornati alle nostre case. Il cadavere dell’annegato aveva finalmente trovato la sua pace.

Nicolai Lilin è uno scrittore russo di origine siberiana, nato nel 1980 a Bender, in Transnistria (stato indipendente riconosciuto oggi ufficialmente come Repubblica Moldava, ma all’epoca facente parte dell’Unione Sovietica). Nel 2004 si è trasferito in Italia. Nel 2009 pubblica per Einaudi Educazione siberiana, il suo primo romanzo, scritto direttamente in italiano. Il libro è stato tradotto in 19 lingue e distribuito in 24 paesi, e ha suscitato l’interesse del mondo del cinema. Diventerà presto un film per la regia di Gabriele Salvatores e interpretato da John Malkovich nei panni di Nonno Kuzja. Ad aprile 2010 è uscito il suo secondo romanzo, Caduta libera, per la stessa casa editrice. Il libro conferma la sua capacità narrativa ed è stato finalista in cinque premi nazionali, vincendone due. Educazione siberiana e Caduta libera sono entrambi disponibili in ebook da Biblet. Il 25 ottobre 2011 è attesa l’uscita del nuo-vo romanzo Il respiro del buio.Oltre a dedicarsi alla scrittura, Nicolai Lilin collabora con “L’Espresso” e ha fonda-to Kolima Contemporary Culture, uno spazio espositivo che ospita eventi culturali a Milano. Tra le sue attività ricordiamo anche quella di tatuatore, avendo studiato per tanti anni i tatuaggi della tradizione criminale siberiana e imparato le tecniche e i codici complessi che li regolano.

Nicolai lilin

Disponibile su www.biblet.it

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di Roberto Carnero

Saggio

La narrativa di Pier Vittorio Tondelli

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entre si avvicina il ven-tennale della morte (av-venuta il 16 dicembre 1991), Pier Vittorio Ton-delli appare come un autore centrale nel pa-norama della narrativa

italiana degli anni Ottanta e fondamentale per una riflessione sulla letteratura di oggi. Nato a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, il 14 settembre 1955, nonostante la scomparsa pre-matura, riletto oggi, Tondelli mantiene intatto tutto il suo smalto.Per parlare di questo scrittore, conviene forse partire dal valore extra-testuale e sociologico della sua opera. La centralità di Tondelli negli anni Ottanta si comprende appieno se si guarda a che cosa hanno rappresentato lui e i suoi libri per i sempre più numerosi lettori che conqui-stava a sé. Tondelli ha affrontato nei suoi libri la tematica omosessuale in un modo disinibito, pur senza sottracerne le varie problematiche legate al contesto sociale italiano. Tale atteggia-mento è figlio di quella rivoluzione sessuale i cui frutti un autore come Pasolini non aveva fatto in tempo a cogliere.Per la prima volta con Tondelli (e con gli altri della sua generazione, come Enrico Palandri, Claudio Piersanti, Daniele Del Giudice, Aldo Busi, Andrea De Carlo) i romanzi italiani inco-minciano a essere ambientati, in tutto o in par-te, fuori dai confini patri: segno di una spro-vincializzazione in atto nel Paese, non solo a livello letterario. In Tondelli è feconda quella dialettica tra provincia e metropoli, periferia e centro, ovvero tra desiderio di fuga e richiamo delle origini che caratterizza molti (giovani) italiani, al punto da cercare un’evasione negli Stati Uniti o nell’Europa del Nord, ma poi con la nostalgia di casa.Tondelli è uno scrittore giovane che piace ai giovani, perché ne rappresenta la vita, i pro-blemi, le ansie, gli entusiasmi, le frustrazioni, i gusti, la lingua, tanto che si è spesso abusato dell’etichetta di “autore generazionale”.Del resto Tondelli ha saputo attraversare e in-terpretare il decennio di cui è stato protagoni-sta forse come nessun altro scrittore a lui coe-taneo (significative a questo proposito le date dei suoi libri, che aprono e chiudono gli anni Ottanta: Altri libertini, 1980, e Camere separate, 1989). Ma i suoi giovani lettori non sono solo quelli della sua generazione. Il gradimento da parte del pubblico giovanile continua an-cora oggi. I suoi continuano a essere dei veri “romanzi di culto”. Tuttavia, al di là di questi

aspetti, c’è un versante dell’attività di Tondelli che ne ha determinato, in gran parte, le fortu-ne postume. Si tratta del “Progetto Under 25”, grazie al quale, attraverso tre antologie di rac-conti pubblicate tra l’86 e il ’90, ventisei autori con meno di venticinque anni esordiscono nel-la narrativa. L’idea non era tanto quella di un concorso letterario. Il “Progetto Under 25” vo-leva essere piuttosto un’indagine sulla creativi-tà giovanile condotto attraverso lo strumento della narrazione.Si trattò pertanto – come lo stesso scrittore ebbe ad ammettere – di una sorta di ibrido “fra un’inchiesta di sociologia culturale e un discor-so specificamente letterario”. Le indicazioni di Tondelli, che svolge a stretto contatto con i giovani scrittori un’intensa pratica di editing, sono tutte nella direzione di scritture forte-mente centrate sull’io, dalla cui somma emer-ge però alla fine il sentore di “una lunghezza d’onda collettiva”.La validità del progetto si comprende (sebbene questo non sia l’aspetto più importante dell’in-tera vicenda) se si guarda quanti dei ragazzi che hanno esordito sulle pagine di “Under 25” abbiano poi proseguito “in proprio” il lavoro di scrittori, ottenendo successo: da Andrea Ca-nobbio a Gabriele Romagnoli, da Andrea Man-cinelli a Romolo Bugaro, da Andrea Demarchi a Silvia Ballestra, da Guido Conti a Giuseppe Culicchia. Tanto che si potrebbe parlare di una “funzione Tondelli” nella narrativa italiana de-gli ultimi vent’anni.A vent’anni dalla morte dello scrittore, però, si impone una necessità: quella di separare l’ope-ra di Tondelli dal mito di Tondelli, i libri dai tempi in cui si sono prodotti. Nessuno vuole qui mettere in discussione la posizione dei suoi libri. Non ci sono dubbi sul fatto che essi rie-scano a coinvolgere i lettori attraverso la loro emotività. Tondelli è un maestro nel sollecitare in chi legge una risposta emotiva (o “emozio-nale”, per usare un aggettivo a lui caro), e lo fa attraverso il sound del parlato, trasgressivo ed eversivo, dei primi libri (Altri libertini e Pao Pao), e poi con la scrittura riflessiva e poema-tica che caratterizza la produzione più tarda (Rimini e Camere separate). L’attenzione alla di-mensione stilistica in lui è sempre vigile, coniu-gando l’urgenza autobiografica di un vissuto intenso e alla fine drammatico con una ricerca letteraria in cui la presenza dei suoi auctores, dei suoi “classici”, diventa determinante: Céli-ne, Selby jr, Arbasino, Celati prima, Isherwood, la Bachmann, Peter Handke, Carson McCullers poi.

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La modernità delle sue scelte di poetica, che contaminano, in un collage tutto postmoderno, cultura alta e bassa, riferimenti dotti e popo-lari, letteratura e cinema, musica rock e pop, fumetto, è già al di là dell’oltranzismo neospe-rimentale e avanguardistico degli anni Sessan-ta e Settanta. Si innesta al contrario su quella ripresa della narrazione in senso classico che, a partire dall’inizio degli anni Ottanta, avrebbe poi caratterizzato gli ultimi trent’anni di pro-duzione narrativa nostrana.

Il libro d’esordio di un Tondelli appena ven-ticinquenne è Altri libertini (1980). Si tratta di una raccolta di racconti, che però, considerati unitamente, possono essere letti come “roman-zo ad episodi”, come lo scrittore stesso ha vo-luto definire questo lavoro. Protagonisti sono personaggi marginali ed emarginati, o comun-que ragazzi che rifiutano la normalità borghese e perseguono la propria “alterità” attraverso la pratica di un “libertinaggio” trasgressivo.La lingua del libro è parecchio originale: Ton-delli cerca di restituire sulla pagina, attraverso lo stile, “il sound del linguaggio parlato”; ma non si tratta tanto della semplice trascrizione dell’oralità, quanto piuttosto della riscrittura dell’esperienza in termini linguistici forti da parte di un autore consapevole dei molteplici risvolti dell’operazione. Il linguaggio è una mi-mesi totale del parlato, o meglio una fusione del parlato dei personaggi con quello dell’au-tore. Tondelli in alcuni dei racconti non rinun-cia alla scurrilità e addirittura alla bestemmia. Anche da qui il processo per oscenità cui fu sottoposto il libro a poche settimane dalla sua uscita.Il secondo libro, Pao Pao (1982), è il racconto della vita di una “tribù”: quella dei giovani di leva che compiono il servizio militare in quel territorio straniero che è la caserma, dominata dal mondo gerarchico della burocrazia milita-re. Il titolo del romanzo, infatti, altro non è che la sigla di “Picchetto Armato Ordinario”.Tra le pagine più belle del libro, vanno segnala-te quelle incentrate sul tema dell’amicizia, che è l’aspetto più importante dell’esperienza (so-

prattutto nella prima metà del romanzo, men-tre nella seconda comparirà anche l’amore). Amicizia vissuta intensamente nelle camerate, nei solai della caserma, al riparo dalla perva-sività della struttura gerarchica opprimente, o nelle libere uscite, nelle gite domenicali in pul-mino per le campagne umbre. Su di essa però si proietta fin dall’inizio l’ombra della separa-zione, sempre incombente nel servizio militare (“questo essere in balia di trasferimenti e ordi-ni e comandi”), metafora dell’esistenza.Con Rimini (1985) ci troviamo di fronte a un prodotto profondamente diverso dai primi due romanzi. L’autore ha voluto reinventarsi come scrittore, cambiando radicalmente i propri connotati narrativi. Tale diversità non è sfug-gita alla critica, che ha per lo più valutato ne-gativamente, o quantomeno con forti riserve, questa terza prova di Tondelli, individuando in essa i tratti tipici di un “romanzo di consu-mo” che nasconderebbero e corromperebbero la vena più autentica dello scrittore.In Rimini Tondelli abbandona la strada del racconto generazionale, per tentare quella del romanzo d’ambiente, di costume, ma soprat-tutto di genere. E in tale direzione riesce a me-scolare tutti gli ingredienti per un romanzo di successo, dimostrando buona perizia tecnica e capacità affabulatoria. Il vivace, frizzante, car-nevalesco plurilinguismo cede il passo ad una lingua talora ricercata, persino letteraria. La chiave per intendere il processo in atto è pro-prio quella di interpretarlo come evoluzione, tassello di un work in progress. È probabile che Rimini sia, tra i quattro che Tondelli ci ha lasciato, il romanzo meno riuscito. Ma tale giu-dizio comparativo non deve impedire di co-gliere le peculiarità di un’opera che costituisce un punto di snodo fondamentale per accedere a quello che sarà l’ultimo romanzo di Tondelli: Camere separate. Camere separate (1989) è il romanzo della ma-turità, e purtroppo l’ultima opera narrativa di Tondelli. Protagonista è Leo, scrittore che – al momento in cui il testo comincia – ha da pochi mesi compiuto trentadue anni. La scena inizia-le ce lo presenta a bordo di un aereo (in volo fra Parigi e Monaco di Baviera). Egli non può fare a meno di specchiarsi nel vetro dell’oblò e di riconoscere i primi segni del proprio in-vecchiamento. La triste meditazione e i lugubri pensieri di Leo sono giustificati, poche righe più avanti, da un fatto terribile: la morte del compagno Thomas, avvenuta due anni prima, che ha gettato Leo nella più completa e nera solitudine. Attraverso una serie di lunghi flash-back ap-prendiamo gli antefatti. Conosciuto il tedesco

Tondelli ha saputo attraversare e interpretare il decennio di cui è stato protagonista forse come nessun altro scrittore a lui coetaneo

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1955 Nasce a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, il 14 settembre. 1967 A dodici anni incomincia a frequentare la biblioteca comunale, dove sviluppa la passione della lettura.

Legge, tra gli altri, Salgari, Verne, Stevenson, Molnàr. 1969-1974 Frequenta il liceo classico a Correggio e partecipa alle attività oratoriane della sua parrocchia. 1975-1978 Si iscrive al Dams di Bologna, dove frequenta i corsi di Umberto Eco e Gianni Celati, partecipando alla ’contestazio-

ne’ del ’77. 1980 A gennaio esce da Feltrinelli Altri libertini, che ottiene subito attenzione di critica e pubblico. A venti giorni dall’u-

scita in libreria, quando già è pronta la terza edizione, il libro viene sequestrato dall’autorità giudiziaria per oscenità e vilipendio della religione. Ad aprile Tondelli parte per il servizio militare (sarà prima a Orvieto e poi a Roma).

1981 Nel processo celebrato a Mondovì (Cuneo), Tondelli e il suo editore vengono assolti con formula piena. 1982 A giugno esce da Feltrinelli il secondo romanzo, Pao Pao. 1984 Lavora al testo della commedia Dinner Party. Vive a Bologna ma è spesso a Firenze. 1985 Esce Rimini, presso Bompiani, che sarà d’ora in poi il suo nuovo editore. Prende avvio il “Progetto Under 25”, che si

svilupperà negli anni a seguire. 1986 Si trasferisce a Milano. A maggio esce il primo volume del “Progetto Under 25”, con il titolo Giovani Blues.

Per il piccolo editore bolognese Baskerville esce il ’libro privato’ Biglietti agli Amici. 1987 A dicembre viene pubblicato il secondo volume del “Progetto Under 25”, Belli & perversi. 1989 In primavera Bompiani pubblica Camere separate. Tondelli incontra il critico Fulvio Panzeri, con il quale lavorerà al

progetto di Un weekend postmoderno. 1990 Esce in autunno da Bompiani il primo volume del progetto: Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta.

A novembre esce il terzo e ultimo volume del “Progetto Under 25”, Papergang (l’editore è Transeuropa, come per gli altri due).

1991 Ad aprile si trasferisce a Bologna. Alla fine dell’estate viene ricoverato presso l’ospedale di Reggio Emilia, dove affronta cristianamente la malattia (Aids). Muore il 16 dicembre. Viene sepolto nel piccolo cimitero di Canolo, una frazione di Correggio.

La vita e le opere

I testi e la critica

Oltre che nella raccolta complessiva dei “Classici” Bompiani, in due tomi a cura di Fulvio Panzeri, i singoli testi di Ton-delli sono reperibili nelle seguenti edizioni: Altri libertini (Feltrinelli); Pao Pao (Feltrinelli); Rimini (Bompiani); Dinner Party (Bompiani); Camere separate (Bompiani); Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta (Bompiani); L’abbandono. Racconti dagli anni Ottanta (Bompiani); Biglietti agli Amici (Bompiani). Per un inquadramento critico dell’opera tondelliana rimandiamo a due libri di Roberto Carnero, Lo spazio emozionale. Guida alla lettura di Pier Vittorio Tondelli (Interlinea 1998) e Under 40. I giovani nella nuova narrativa italiana (Bruno Mondadori 2010).

Thomas ad una festa, a Parigi, Leo se ne in-namora da subito. Inizia così un rapporto di amicizia e di passione che si prolunga per tre anni. Anni di scoperte, di allegria, di viaggi, di un relazione intensa e travolgente (ma la cui rappresentazione è avvelenata, nel lettore, dal fatto di sapere già in partenza della morte di Thomas). Eppure non tardano ad emergere le difficoltà: la percezione da parte di Leo di una disomogeneità del loro rapporto e la sua paura di una relazione troppo coinvolgente e soffo-cante. Inoltre la non riconoscibilità sociale del rapporto omosessuale rende ancora più diffici-le la situazione. Per superare questa sensazio-ne di disagio, Leo vagheggia una forma di rap-porto che illumina e spiega lo stesso titolo del

romanzo: vivere e amarsi in “camere separate” significa cercare un’alternativa a un’esperienza troppo totalizzante per poter essere vissuta. Tuttavia Thomas non sa accettare questa solu-zione e l’epilogo della sempre crescente inco-municabilità sarà l’abbandono, un tema alla cui fenomenologia Tondelli aveva dedicato una vera e propria ricerca letteraria. A questo punto Leo intraprende un vero e proprio viaggio alla riscoperta di sé, di cui fa parte anche il ritorno a casa, alla prima casa, quella dell’infanzia, alla famiglia d’origine, al paese natale. Anche qui c’è un che di autobiografico: un cerchio che si chiude ritornando nei luoghi in cui si è nati, re-cuperando anche quella fede religiosa che negli anni della dissipazione si era messa da parte.

Roberto Carnero insegna Letteratura italiana all’Università degli studi di Milano. È autore dei volumi Guido Gozzano esotico (De Rubeis 1996), Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini (Bompiani 2010) e ha curato le antologie La poesia scapigliata (BUR 2007) e La nuova letteratura italiana dagli anni Ottanta a oggi (Principato 2009). Collabora con l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e con varie testate, tra cui l’“Unità” e “Famiglia cristiana”.

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Nel 1955 Ernest dichiara: «Nessuno dei racconti che ho scritto contiene tanto di me stesso quanto Le nevi del Kilimangiaro». Lo dice all’a-mico e confidente “Hotch”,

durante un soggiorno a Key West nella villet-ta in cui lo scrittore ha composto il racconto quasi vent’anni prima, aggiungendo che esso rappresenta «uno dei migliori esempi della mia produzione letteraria». Ha concentrato così tanto delle sue esperienze e dei suoi affetti in questo racconto, che per molto tempo non saprà più cosa scrivere. Ernest pubblica Le nevi del Kilimangiaro nel 1936, esattamente un anno dopo Verdi colline d’Africa, che ripercorre la sua prima esperienza africana; il libro riceve una tiepida accoglienza dalla critica. Il racconto ini-zia con una citazione anonima in cui si evoca la carcassa rinsecchita e irrigidita di un leopardo ritrovata tra le nevi di questa montagna che i Masai chiamano “Casa di Dio”. «Nessuno ha

mai saputo spiegare che cosa questo leopardo andasse a cercare a quell’altitudine», conclude la citazione tratta dall’opera di un geologo che sarebbe stato il primo europeo ad aver rag-giunto la vetta di questa montagna. Ma Ernest ha cambiato animale: l’antilope citata nell’ori-ginale diventa nel suo racconto un leopardo, invece del ruminante abbiamo una fiera so-litaria. Forse il leopardo ha seguito una pista che ha finito per farlo smarrire… Che andava a fare, dunque, Ernest in Africa?Ci saranno due safari, in Kenya e in Tanganica. In occasione del primo, Ernest ha trentaquattro anni; ha da poco sposato Pauline ed è una stella in ascesa della letteratura. Uno zio della novel-la sposa anticipa alla coppia la somma esorbi-tante necessaria ad affrontare questo lussuoso viaggio mascherato da avventura selvaggia. Al tempo del secondo safari, Ernest ha cin-quantaquattro anni; si è sposato per la quarta volta, ed è con Mary che ritorna, debitamente vestito da capo a piedi da Abercrombie & Fitch

La leggenda di Ernest Hemingway in Africadi Mariel Hemingway e Boris Vejdovsky

Anticipazione

N

La pistadel leopardo

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(la marca di abbigliamento outdoor preferita dai presidenti e dalle star), sulle pendici della più alta montagna d’Africa. Tra i due viaggi, la vita, l’amore, l’alcol, le lotte, le malattie, gli incidenti, la pressione del pubblico, l’angoscia della pagina vuota hanno tutti riscosso il loro tributo. Se il primo soggiorno è una ricerca di nuovi confini e l’ingresso di un uomo ancora giovane in un territorio inesplorato, il secondo è un ritorno verso luoghi segnati dall’ombra lunga della memoria ma anche dalla paura del-la vecchiaia e della morte.In ogni caso, è da questi due viaggi che emer-gerà gran parte della leggenda popolare di “Hemingway”. E ancora da essi, le reazioni talvolta brutali che suscita l’uomo vestito di kaki. Lo si è già visto a pesca di marlin a Bimi-ni, nelle Bahamas, lo si è visto intorno alle piste di sabbia delle arene. Se una parte del pubbli-co ne è affascinata (soprattutto alcuni uomini che cercano di somigliargli, anche fisicamente), un’altra incomincia a trovare irritante questo personaggio un po’ troppo sopra le righe, con le sue pose da maschio virile e trionfante. Nel 1933, Ernest viene alle mani con il suo editore newyorkese Max Eastman, nonostante la loro amicizia, perché quest’ultimo ha pubblicato un articolo su Morte nel pomeriggio intitolato Bulls in the Afternoon, letteralmente “Tori nel po-meriggio”, ma anche, con un sottile gioco di parole “Ciance (bulls) nel pomeriggio”. Come faranno anche altri in seguito, Eastman dà ad intendere che Ernest è così insicuro della sua

mascolinità da doverla sbandierare a destra e a manca. A questa critica si aggiungono quel-le di numerosi intellettuali secondo cui, in un mondo schiacciato da una crisi che ha gettato sul lastrico migliaia di persone, costringendone migliaia di altre ad andare raminghe alla ricer-ca di quelli che Steinbeck chiamerà «i grappoli del furore» – un mondo che si dirige a capofitto verso gli orrori di un secondo conflitto mondia-le –, è assurdo che uno scrittore della statura di Ernest si crogioli al sole dei Caraibi, pescando sul suo yacht, si diverta a veder soffrire un toro nelle arene spagnole o massacri animali per

puro diletto in un’Africa in preda alla carestia. La pista africana seguita da Ernest inizia sin dalla sua infanzia, con i racconti del safari com-piuto da Teddy Roosevelt nel 1909. E il “caccia-tore bianco” della spedizione del 1934 sarà pro-prio Philip Percival, lo stesso che aveva guidato l’ex presidente degli Stati Uniti. Sulla falsariga di quello di Roosevelt – l’esploratore e creatore del mito del West americano – il primo safari di Ernest rappresenta l’occasione di lanciarsi in imprese virili in uno spazio che sembra es-sere l’ultima frontiera della mascolinità bianca conquistatrice. La romanziera e attivista suda-fricana Nadine Gordimer, Premio Nobel per la Letteratura, dirà che Ernest amava l’Africa, ma che sotto il peso dell’emozione ha costrui-to una terra a immagine e somiglianza dei suoi desideri e dei suoi bisogni, che aveva poco a che vedere con la realtà. Allo stesso modo, Toni Morrison, la scrittrice afro-americana, anche lei Premio Nobel, ammetterà di aver appreso cose importanti dalla prosa di Hemingway, ma gli rimprovererà di aver svuotato l’Africa dei suoi abitanti e averla riempita di esseri invisibili.

Questo brano e le immagini sono sono tratti da Hemingway. La vita e dintorni (ed. De Agostini Libri, testi di Mariel Hemingway e di Boris Vejdovsky, euro 39, in libreria dal 20 ottobre).

"Nessuno dei racconti che ho scritto contiene tanto di me stesso quanto Le nevi del kilimangiaro"

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Charlydi Lorenza Ghinelli

Racconto

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Giugno falce in pugno(detto popolare)

re 12:00Loro entreranno. È un fatto. Abbassano la maniglia, la porta del garage agricolo è inchiavata dall’interno.«Nonno, apri».Nonno suda, suda e suda. Le ossa rotte, i gomiti si escoriano contro le piastrelle; nonno vuole trascinarsi avanti, verso il telefono che ghigna sul piano da lavoro, troppo in alto.

Loro entreranno, anche se la porta è chiusa.Loro troveranno il modo. Anche questo, è un fatto.

Ore 09:00I capelli dei campi sono biondi di spighe, a correrci quasi ci si perde. Si mangia i sentieri il grano, punge le gambe. I piedini incuranti invece pestano e stanano locuste e ragni. Nina e Riccardo giocano a prendersi e cadono. Ridono. È il primo giorno di vacanza. «Posso giocare con voi?», chiede una voce. Gli occhi la seguono e trovano un bambino. Biondo come il grano, gli occhi neri come i ragni. Nina e Riccardo si guardano le domande negli occhi.«Come ti chiami?», chiede Nina.«Charly». «Come ci sei arrivato qui? Questo è il campo del nostro nonno», gli fa Riccardo, nessuna prepotenza nella voce.Charly punta l’indice verso il canneto selvatico che recinta il campo. Poi guarda i bambini.«Se volete vi faccio vedere».Nina e Riccardo si dicono che non dovrebbero, che nonno non avrebbe piacere, che non conoscono Charly. Ma forse basta non dirlo a nonno, in fondo quel bambino ha più o meno nove anni, proprio come loro. In meno di tre secondi, nel silenzio più assoluto, si sono detti tutto questo.Charly s’incammina. Non aspetta. Nina e Riccardo lo seguono, tenendosi per mano.

Un mese primaLa cagna è gravida, ha le doglie, gira su se stessa. Le gambe posteriori cedono. Si rialzano. Nonno ha steso un cartone e ci ha buttato sopra due stracci. Per il sangue.La cagna è un bracco. Di quelli che piacciono ai contadini. Di quelli che i contadini sono disposti a pagare. Nonno l’ha fatta montare la cagna, da un allevatore del paese. Ora la guarda camminare e si vede che ha male, si vede che ha bisogno di svuotarsi. La prende per il collare e con l’altra mano la spinge sulla schiena. La cagna va giù, sul cartone, si sistema gonfia sul fianco.Le mani callose del nonno improvvisano una carezza storpia.«Spingi bella, fammeli vedere, avanti».La prima testa squarcia. La vagina espelle una sacca violacea e stretta che soffoca. La cagna lecca, ne beve gli umori ancestrali e la spacca.Il cucciolo è nero. Il sopracciglio di nonno s’inarca, spezza il sereno della fronte, perché la cagna ha fatto la puttana per le campagne e non arriveranno soldi, solo problemi. Perché i nipoti si sveglieranno e vorranno vedere, vorranno giocare, ci faranno affezione. E allora deve far presto nonno. E mentre la cagna si sgrava degli altri e continua a leccare, ad aprire e a mettere alla vita, nonno va nel garage agricolo. A prendere il sacco.

Sono settanta lune che nonno si schianta la schiena nei campi. Settanta lune di terra e sudore.Per arrivare alla strada potrebbe tagliare per il campo, due chilometri e ancora avanti, oltre il canneto. Là i nipoti non ci vanno. Ci passano le macchine.Ma col mal di ossa e quel sacco pieno che puzza occorre l’auto.Due minuti e arriva. Accosta la 126 al fosso e appoggia il sacco sul ciglio della strada, aperto. Se qualcuno li vorrà, pensa, saranno trovati.E comunque, son solo bestie che pesano.

Nina e Riccardo scendono le scale con passi freschi e risa, fanno a gara a chi arriva prima. Nonno li aveva avvertiti: manca poco, aveva detto. Magari stanotte. E per loro è un po’ come scoprire i regali sotto l’abete. Il garage è chiuso e dentro c’è la cagna. Se il garage è chiuso, pensano i bambini, è per non far scappare i cuccioli. Nina e Riccardo entrano con le immagini prestampate negli occhi, che non aderiscono alla realtà delle cose. E così che gli muore il sorriso. Per-ché la cagna è secca. Sgonfia. Il muso atterrito sulle zampe. Non scodinzola. I regali sono stati scartati e qualcuno ha predato. Nina e Riccardo guardano il nonno, lui li precede. Dice che sono nati morti.«Mi dispiace», dice. Dice che non li ha svegliati, perché non era cosa. Dice di averli seppelliti.«Dove?», chiede Nina col labbro che trema.«Nel campo», conclude nonno. Li lascia così, con le domande appese che gocciolano.

La chiamano Lupa, ma non è mica vero. È un incrocio tra un pastore tedesco e qualcos’altro. Scappa spesso dai suoi padroni e non prende mai botte, perché torna e non fa danni, non guasta i pollai. Scappa quand’è in calore. Ma oggi non è l’odore del maschio a stanarla, oggi non è in calore, anzi, ha mammelle che pesano e il passo stanco. Ha lasciato i suoi cuccioli dormire satolli e s’è presa del tempo per sgranchire le ossa. Non aveva intenzione di andare lontano, non questa volta, davvero. Ma è arrivato l’odore e le s’è aggrappato alle narici, ha sovvertito i programmi: l’ha portata dritta dritta a un sacco nero, sul ciglio della strada. Qualcuno dentro al sacco ancora resiste, respira, supplica muto da quel buio che puzza. Gli odori creano sentieri. E le minuscole bocche voraci, finalmente, trovano.

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Il mese dopo«Dovete venire più vicino», dice Charly, e sembra piantato nella terra della banchina, dritto e fiero, lo sguardo adulto, fisso, autorevole. Il vento non gli scompiglia i capelli, lo lascia stare. La luce non gli riverbera negli occhi bui. Nina e Riccardo, stretti per la mano, si sporgono diffidenti sul ciglio del fosso. Poi sorridono e slacciano le mani.«Belli!», dice Nina. Si avvicina, poi si arresta. Non sono così belli. Sono deturpati, sono cuccioli vecchi, sporchi. Sono cuccioli usati. La bocca di Charly s’incrina in un sorriso malevolo, troppo lieve per essere colto:«Avranno un mese».«Guarda Nina! Guarda questo!», grida Riccardo indicando un cucciolo pezzato.Nina si accovaccia di fianco al fratello e guarda. Riccardo ha ragione. È uguale alla cagna. Quel piccolo bastardo che trema è uguale alla cagna di nonno. I fratelli si guardano, seri. Poi tornano con gli occhi su Charly: sorride e annuisce. Lentamente. Una volta sola.

Nonno li vede salire dal campo, l’e-spressione funerea.«Dove siete stati? Ve l’ho detto di non andare lontano». «Hai detto che i cuccioli erano nati morti!», ringhia Riccardo.«E che li avevi seppelliti!», incalza Nina.Nonno non afferra subito il senso, deve tornare indietro di trenta giorni di lavoro nei campi, sudore e fatica.

Deve tornare alla cagna.«È quello che ho fatto», dice col secco nella voce.«Digli che te li faccia vedere allora», fa Charly a Riccardo.«Giusto, Charly ha ragione, facceli vedere!».Il nonno sperde lo sguardo, c’è qualcosa, nella frase del nipote, che stride.«Chi è Charly?».Nina e Riccardo si voltano verso il bambino colorato a ragni e grano, si voltano piano. Non capiscono. C’è qualcosa, fra nonno e Charly, che non torna. Qualcosa che discorda.«Lui fa finta», dice Charly. «Lui non vuole capire che ha torto marcio».I bambini annuiscono. La faccia del nonno s’indurisce, la voce buia scortica la gola:«Ho da lavorare io, ve lo chiedo per l’ultima volta. Chi è Charly? Lo sapete che non dovete allontanarvi dal campo».Riccardo indica il bambino con la faccia da adulto, ma più viva, più affilata, più presente: «È lui, nonno. Ci ha mostrato i cuccioli».Le ombre sulla faccia del nonno scivolano via, gli increspano il viso di rughe. Sorride.«E così questo bel giovanotto sarebbe Charly… Ma certo». Accenna un inchino.Lo sguardo di Charly sul nonno, pesante come pietre. Muto.Nonno torna ai nipoti, avverte solo un senso di freddo: è diventato vecchio per lavorare la terra, pensa. Forse è bene fermarsi, forse è bene giocare a quel gioco che i nipoti hanno in testa.«Sentite un po’. Perché non mi portate a vedere questi cuccioli? Se sono i figli della mia cagna, giuro che ne teniamo uno».Nina e Riccardo sorridono, finalmente. Come ci si aspetta che i bambini sorridano.

Nonno guida, come ci aspetta che guidi chi ha preso la patente prima che inventassero le strade. Le buche sull’asfalto sono tutte sue. Si lamenta della schiena. Sul sedile posteriore Nina, Riccardo e Charly.«È vero nonno?», chiede Nina.«Cosa, bella?».«Quello che ha detto Charly, che chi abbandona i cani uccide le persone».Lo sguardo di nonno nello specchietto retrovisore: gli occhi di Nina, in attesa.«Dì a Charly che è una scemenza. Un uomo è un uomo, una bestia è una bestia».Lo sguardo di Charly nello specchietto retrovisore: gli occhi di nonno, ciechi.«Charly dice che una macchina l’ha investito mentre camminava perché un cane randagio le ha tagliato la strada».Nonno tace. Quel gioco lo stanca, è insano.«Fermati qui!», gli urla Riccardo.«Perché? Che c’è?».«È qui che ci sono i cuccioli, il sacco è scivolato verso il fosso, è qui che ci ha portato Charly!».Nonno sente freddo. Ancora. Gli manca il sudore bruciante dei campi. Pensa che deve far presto. Pensa che c’è qualco-sa che non è normale. Qualcosa fuori posto. Qualcosa che non controlla, e che invece dovrebbe.Accosta e scende. Fa uscire i bambini e dice:«E uno!» Scende Riccardo. «E due!» Scende Nina. «E tre!» dice la nipote, mentre Charly scende.Nina prende nonno per la mano e lo tira verso il fosso.«Guarda!», gli dice.E nonno vede. Cerca di vedere meglio. E più vede e meno ci capisce. Il sacco è lo stesso. I cani pochi, erano di più. Li avranno presi, pensa.

Gli occhi ciechi di nonnole fanno quasi tenerezza,non fosse per lo strano impulso di spingerlo nel fosso

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«Sembrano loro», sussurra.«Sono loro», dice Charly. Questa volta nonno lo sente e si volta di scatto, come quando sente le bisce strisciare nel grano.«Chi ha parlato?», suda.«È stato Charly», dice Nina.Gli occhi ciechi di nonno le fanno quasi tenerezza, non fosse per lo strano impulso di spingerlo nel fosso. Ma è un pensiero che scheggia via, ineffabile.«Andiamo. Questo gioco è durato anche troppo», dice nonno.«E il cucciolo?».«Ve ne prendo uno nuovo».Nonno apre la portiera. «E uno!», grida Riccardo salendo.«E due!», ribatte Nina.«E basta». Conclude nonno sbattendo la porta. Perentorio.«No, lui deve venire con noi!», strillano i bambini picchiando sul vetro.«Mi avete seccato», sibila nonno. Monta in macchina e parte. Rapido.Charly se ne sta fisso, i pugni stretti, gli occhi neri come spilli. Li guarda allontanarsi.«Vogliamo restare con lui!», implorano.Nonno si volta, l’espressione truce:«Ho detto basta».Gli occhi dei nipoti si allargano in un terrore che lo scavalca, che va a posarsi oltre il vetro, sulla strada.«Nonno!».Nonno si volta. C’è Charly in mezzo alla strada. In piedi. Insanguinato, fiero, feroce.Nonno grida. Frena. La 126 sbanda. Lo schianto violento contro il tronco di un noce, il noce che grandina proiettili acerbi, verdi: un colore che non rispetta la 126 grigia spruzzata di rosso. Spruzzata di rosso anche la vista di nonno, che forza la maniglia e cade fuori. E trema. E prega.Riverso sull’asfalto, Charly. Fissa il nonno come se gli avesse fatto un torto minore, tipo bucargli il pallone da calcio, non certo spaccargli le ossa con l’auto. Charly si alza. Si spolvera i vestiti. E nonno indietreggia e dice no. Dice no, nonno. Anche quando dietro Charly vede Nina e Riccardo. Imbrattati. Nina e Riccardo di seconda mano.«Hai visto cos’hai fatto? Aveva ragione Charly!», dicono.Nonno deambula e cade, si rialza e striscia. Per i campi. È più veloce nonno, o forse no. Forse i bambini camminano per sfinirlo, per prolungare l’agonia. Come i predatori che spingono la preda nell’angolo sbavando. Famelici.

Un’auto sopraggiunge sulla strada dello schianto. Si ferma. Due ragazze. Vedono quello che c’è da vedere: due cuccioli di cane oltraggiati dalle ruote. Gli intestini sull’asfalto. E dentro l’auto l’oltraggio più grave. Due bambini col cranio sfondato. Nessun altro. Nessuno. Nessun conducente. «Cristo di dio», dice la ragazza bionda.E distoglie lo sguardo. È così che vede l’albero, e i fiori appassiti legati con nastro giallo al tronco. Vede la foto. Un bambino coi capelli colore del grano e gli occhi neri. Come i ragni. Sorride. Come ci si aspetta che sorrida un bambino.

Ore 12:01Loro entreranno. È un fatto. «Dove le tiene vostro nonno le chiavi di scorta?».«Nel vaso. Qui, guarda», dice Nina a Charly.La chiave graffia il metallo nella toppa. È un suono sgradevole. Il tintinnio che provoca facendo cadere quella interna dovrebbe esserlo di meno. Eppure.La serratura scatta. La porta è aperta, ora. Nina ferma Charly per la spalla.«Perché hai scelto noi?».«Mi sentivo solo».Nina sorride, riflessa nel colore del ragno.

Lorenza Ghinelli, nata nel 1981 a Cesena, ha pubblicato da Newton Compton nel 2011 il romanzo Il divoratore. Con Daniele Rudoni e Simone Sarasso ha scritto J.A.S.T. – Just Ano-ther Spy Tale (Marsilio 2010). Entrambi i suoi libri sono disponibili in ebook da Biblet.

Lorenza GhinelliDisponibile su www.biblet.it

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Il mondo dell’ebook

L’evoluzione della specie eBook

i fa presto a dire eBook. Perché se è vero che il libro digitale guada-gna quotidianamente estimatori, erodendo fette di mercato al suo concorrente fatto di cellulosa e in-

chiostro, è altrettanto vero che un po’ di cul-tura tecnologica a riguardo non è un vezzo da “geek”, ma un’esigenza inderogabile per non inciampare in acquisti incauti.Prendiamo ad esempio i formati: l’estensione “pdf” è entrata di prepotenza nel lessico quo-tidiano di chi ha una minima confidenza con l’informatica, ma si può dire altrettanto dei suffissi “epub” e “azw”? Meno conosciuti for-se, ma anche in questo caso trattasi di formati per la riproduzione di libri digitali, o eBook

che dir si voglia: files contenenti successioni di bit, zeri e uno che si ricombinano per rap-presentare ora un testo, ora un’illustrazione. In soldoni, quali sono le differenze tra l’uno e l’altro? E soprattutto: esiste un formato “mi-gliore” dell’altro?

Il presente: pdf, ePub e AmazonCominciamo col dire che esiste un formato più diffuso degli altri, ed è il PDF. Un’indagine O’Reilly (2010) ha messo in evidenza come lo standard Adobe sia ancora al top nelle prefe-renze dei lettori di eBook: per ogni 10 vendu-ti o scaricati gratuitamente dalla Rete, 5 sono Portable Document Format. Rapporto che, fino al 2008, si attestava su percentuali bulgare

di Roberto Dessì

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– 9 su 10 – e che è andato calando dall’inizio del 2009, in concomitanza con l’affermarsi di un nuovo antagonista. Il suo nome è per l’appun-to ePub, è libero, gratuito, basato sul linguag-gio XML (a sua volta derivante dall’HTML) e creato dal consorzio IDPF, che riunisce il gotha dell’editoria digitale mondiale. In poco più di un anno l’ePub ha ottenuto il 25% delle prefe-renze complessive, e continua a crescere a ritmi esponenziali. Non occorrerà attendere a lungo per assistere allo storico sorpasso. La ragione di questo successo? Risiede in una maggiore versatilità, tanto per cominciare. Gli eBook creati con lo standard ePub si adattano facilmente a qualsiasi supporto sul quale ven-gono riprodotti, sia esso il capiente schermo di un notebook o il piccolo monitor eInk di un eBook reader. Altro vantaggio non da poco è la possibilità di variare la dimensione dei carat-teri, ingrandendoli o rimpicciolendoli a piace-re. C’è infine da dire che il formato ePub nasce espressamente per la creazione degli eBook, al contrario del versatile (ma meno specializzato) PDF. Sembrerebbe un semplice duopolio, ma a vestire i panni del terzo incomodo – o almeno a provarci – è il formato proprietario Amazon,

estensione .AZW. Da anni l’azienda americana creatrice dell’eReader Kindle difende a spada tratta il proprio standard, rifiutandosi di aprire il proprio device agli ePub. Chi desidera leg-gerne uno sul Kindle deve (ammesso che non sia protetto da DRM) prima convertirlo in un

altro formato che l’eReader sia in grado di di-gerire e riprodurre. Rumors degli scorsi mesi parlavano della possibilità che la società di Jeff Bezos aprisse finalmente all’ePub; voci che sono rimaste tali, con l’AZW che rimane di fatto il formato per eccellenza nel micro-macrocosmo Amazon.

Il futuro: html5, app ed enhanced eBookNeanche il tempo di affermarsi, che già all’ePub è richiesta una nuova evoluzione. Le aspettati-ve sugli eBook stanno crescendo, riprodurre fe-delmente il contenuto di un libro e l’esperienza di lettura del cartaceo non è più sufficiente, e non basterà aggiungere qualche collegamento ipertestuale e qualche utility per appagare le aspettative del lettore 2.0. Che richiede multimedialità, interattività, ed effetti speciali come davanti al maxischermo di un cinema, ma nell’intimità della lettura. Elementi che Apple ha sposato e integrato nel dispositivo best seller del 2010 e 2011: l’iPad. Grazie alla potenza di elaborazione del tablet, unita alla versatilità e nitidezza dei colori sul touchscreen e all’infinito database garantito dalla connettività alla Rete, i semplici eBook si arricchiscono di immagini, commenti audio dell’autore e dei personaggi, musica, video e funzioni “social”, trasformandosi da semplice elemento di svago passivo a intrattenimento interattivo. È l’era dell’enhanced eBook, tradotto letteral-mente “eBook arricchito”, o più semplicemen-te eBook 2.0. Le case editrici USA, fiutando per prime il cambiamento, si lanciano nelle prime iniziative sperimentali: eBook e animazioni, gallerie fotografiche, clip, giochi. A offrire un primo saggio delle potenzialità del mezzo è la traslazione in app di un best seller:

In poco più di un anno l’ePub è stato capace di rosicchiare il 25% delle preferenze complessive, e continuaa registrare una crescita esponenziale

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I pilastri della terra di Ken Follett, realizzata da Penguin poco più di un anno fa. Non passano molte settimane, ed è un fiorire di

nuove iniziative editoriali: gli eBook arricchiti spopolano tra le app più scaricate di iTunes, sia quando ripropongono vecchi classici integra-ti da contenuti speciali, sia con eBook inediti, scritti e programmati in un solo corpo. Inutile mettere in risalto le potenzialità narrative di queste applicazioni, subito prese in prestito dal settore istruzione: le app didattiche e i libri di testo multimediali catturano l’attenzione degli studenti e dei professori, arricchiscono la pre-parazione e parlano lo stesso linguaggio della generazione Y.

E l’ePub? L’abbiamo tralasciato per un istante, ma non si è lasciato cogliere impreparato. Lo standard, arrivato alla terza versione, si è ar-ricchito di tutte le potenzialità dell’HTML 5, ultima evoluzione del linguaggio di program-mazione del Web. Così, superando la piatta riproduzione del testo avremo presto effetti sonori ad accompagnare ed enfatizzare le fasi salienti della lettura, gallerie fotografiche espli-cative, video di approfondimento e giochi a tema per “spezzare” tra un capitolo e l’altro. Certo non pane per semplici eReader in bianco e nero, ma adattissimi ad essere riprodotti sui tablet di ultima generazione, l’evoluzione dei Personal Computer. Il lettore 2.0 si immergerà perciò nella lettura di un eBook 2.0 su un eBook reader o tablet di seconda generazione. Manca solo un tassello: una seconda generazione di scrittori-program-matori-sceneggiatori delle proprie fantasie multimediali.

lo standard ePub, arrivato alla terza versione, si è arricchito di tutte le potenzialità dell’hTml 5

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he cosa c’è in un nome? Quel-la che chiamiamo rosa, pur con un altro nome, avrebbe lo stesso dolce profumo”. Così Giulietta contesta l’odio

che da generazioni divide le famiglie Capu-leti e Montecchi, ostacolando il suo amore per Romeo. A partire dalla sua osservazio-ne possiamo fare altri esempi, come sosti-tuire al nome libro il termine eBook. Una licenza poetica in apparenza pertinen-te, perché rimaniamo in ambito letterario. Eppure qualcosa non torna. Non cambia

il contenuto: anche se digitale, la fine dei due giovani amanti è ugualmente tragica. A cambiare è il contenitore, e questo alza il sipario su una nuova storia, tutta da sco-prire, che si compone almeno di quattro capitoli.

Il primo vede lo scontro tra la famiglia dei difensori della carta e quella che guarda

agli eBook con entusiasmo. A chi resta le-gato all’esperienza di lettura del libro, che si può sfogliare, profuma di colla e inchio-stro, permette di inserire note e arricchisce la libreria di casa, i lettori digitali rispondo-no con motivazioni difficili da contestare. Innanzitutto la portabilità: un’intera libre-ria che ci segue ovunque con l’ingombro e il peso di un solo libro. In secondo luogo il risparmio, perché la spesa del device vie-ne ammortizzata dal costo più basso degli eBook rispetto agli equivalenti cartacei. In-fine, l’appeal ecofriendly della possibilità di salvare gli alberi dall’abbattimento. Non è necessario che un mondo fagociti l’altro: libro ed eBook posso convivere ed essere scelti di volta in volta in base alle esigenze e ai contesti.

Il secondo capitolo riguarda le due facce della lettura digitale: su eReader o su ta-blet. Secondo una ricerca Forrester, il tablet è una scelta soprattutto maschile. Un’inda-gine Nielsen dello scorso agosto conferma il dato: il rapporto tra donne e uomini che possiedono un eReader in USA è 61 a 39; per i tablet invece è 43 a 57. Emerge, inol-tre, che anche gli uomini over 55 preferi-scono gli eReader, forse per la possibilità di ingrandire i caratteri.La principale differenza tra i due disposi-tivi, infatti, sta nello schermo. Gli eReader sono dotati di schermo e-ink, o inchiostro

Il mondo dell’ebook

“Cdi Daniela De Pasquale

L’esperienza di lettura dal contenuto al contenitore

la differenza tra i due tipi di schermo rende l’eReader lo strumento più adatto per la lettura, mentre i tablet sacrificano la leggibilità in favore di nuove funzionalità

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elettronico, in grado di assicurare un’espe-rienza di lettura simile a quella della carta: il display necessita di luce esterna, perché non è retroilluminato, e dunque non affati-ca la vista.I tablet, invece, hanno uno schermo LCD come quello dei pc che, nella maggioran-za dei casi, è touchscreen, ossia permette di interagire direttamente con l’interfaccia grafica, attraverso lo sfioramento delle dita o l’uso di dispositivi di puntamento.La differenza tra i due tipi di schermo ren-de l’eReader lo strumento più adatto per la lettura, mentre i tablet sacrificano in parte la leggibilità in favore dell’integrazione di funzionalità come la visualizzazione di im-magini e video, la navigazione e l’accesso ad applicazioni e giochi. Gli eReader sono arrivati prima in ordine cronologico: al 1993 risale un primo prototipo, realizzato proprio in Italia come tesi di laurea da due architetti di Varese. Il suo nome, Incipit, non è stato profetico nell’annunciare l’av-vento di un nuovo tipo di testo: il progetto fu rifiutato da due aziende, tra cui Micro-soft, che non vi vedevano alcuna portata commerciale. In seguito sono stati messi in commercio i primi veri dispositivi, sbara-gliati nel 2007 dall’arrivo del Kindle, che da allora è diventato sinonimo di eRea-der ed è ancora il più venduto al mondo.

Oggi siamo arrivati alla sua quarta gene-razione, e Amazon ha appena annunciato il proprio ingresso nel mercato dei tablet con il Kindle Fire. C’è solo un rivale che, al momento, può destare qualche preoccupa-zione negli uffici di Seattle: il Nook Color di

Barnes & Noble. Un eReader ibrido, non dotato di schermo in bianco e nero, ma a 16 milioni di colori, per integrare quasi tutte le funzionalità di un tablet.

I tablet veri e propri sono i protagonisti del terzo capitolo, caratterizzato da una guer-ra intestina, che al momento ha un unico e incontrastato vincitore: l’iPad di Apple. La tavoletta di Steve Jobs ha diviso il mon-do secondo l’asse del tempo (prima dell’i-Pad e dopo l’iPad) e dello spazio (esistono solo iPad e anti iPad).

Se finora la sfida dell’eReading si è giocata tra il kindle e l’iPad, oggi Amazon e Apple si contendono il primato assoluto della lettura digitale su tablet

vs.

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Dalla sua nascita, nel maggio 2010, gli ana-listi di mezzo mondo si sono preoccupati di trovare un prodotto in grado di compe-tere con un tale inaspettato successo. Si è partiti con il Galaxy Tab di Samsung, un ottimo device, penalizzato da un prezzo troppo alto. È stata poi la volta dei cloni, soprattutto cinesi, che proponevano devi-ce a basso costo ma di scarsa qualità. Si è arrivati infine agli exploit, subito rientrati, dei grandi competitor che hanno tentato di conquistare il mercato di massa ma non hanno mantenuto le aspettative di vendita: Toshiba Folio, Motorola Xoom e RIM Play-Book.È bastato dunque l’iPad a trascinare il mer-cato, che ha visto i tablet superare le vendi-te degli eReader. Nel primo quadrimestre del 2011 il mercato dei tablet è cresciuto dell’88%: per la fine dell’anno si prevede la vendita di 62 milioni di pezzi.

L’ultimo capitolo si sta scrivendo in que-sti giorni, ed è una guerra tra titani. Se finora la sfida dell’eReading si è giocata proprio tra il Kindle e l’iPad, oggi le due Big A (Amazon e Apple) si contendono il primato assoluto della lettura digitale su

tablet. Una lotta che le vede fronteggiarsi sullo stesso terreno, perché anche Amazon, al pari di Apple e a differenza degli altri player, può contare su un proprio ecosiste-ma: un negozio di prodotti e applicazioni, servizi cloud e advertising. Da una parte c’è l’iPad che, stando ai ru-mors, sta per essere nuovamente aggiorna-to. Dall’altra il nuovissimo Kindle Fire, il primo tablet di Amazon, con una dotazio-ne basic rispetto al suo concorrente ma dal prezzo davvero competitivo: 199 $, meno della metà dell’iPad 2 (499 $ per il modello base). Anche in questo caso, i bene infor-mati assicurano che a breve uscirà una ver-sione più performante. La grande battaglia è appena cominciata, e la saga dell’eReading non ha ancora il suo finale.

Percentuale femminile che possiede un dispositivo elettronico

fonte: Nielsen

Smartphone TableteReader

46%

47%

39%

56%

48%

42%

61%

50%

43%

30 q3 - 2010 q1 -2011 q2 -2011

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50

60

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Louis-Ferdinand Céline

“Viaggio al termine della notte”

Buona la primaStorie di libri ed edizioni

(1932) di Luca Bisin

e, come voleva Roland Barthes, la funzione dello scrittore è di dire in ogni occasione e senza ritardo ciò che egli pensa, si può dire che Céline abbia usato di questa licenza fino alla sfrenatezza. Un certo gusto per l’occasione importuna e per il tempo sincopato saranno le cifre tanto della sua scrittura, quanto di una presenza letteraria con cui, tra libelli antisemiti e scelte politiche dissennate, Céline si guadagnerà la fama scandalosa che ancora oggi, nel cinquantenario della sua morte, ce lo rende difficile. È tanto più curioso, allora, che la pubblicazione del suo primo romanzo, Viaggio al termine della notte, giungesse invece nel 1932 con la precisione esatta del tem-

po debito, tempestiva come Céline non ha forse più saputo essere in seguito: a un’Europa tesa tra due carneficine, presa nelle incertezze economiche della Grande crisi, percorsa dalla violenza delle ideologie, pochi libri parranno più puntuali e opportuni nel rappresentare un’umanità disorientata e feroce, di quanto siano state le allucinate peregrinazioni del medico Ferdinand Bardamu, sospinto per tre continenti da non più che la “voglia di scappare da ogni posto, alla ricerca di non so cosa”. Eppure, c’è forse ancora il segno di quella ostinata intempestività celiniana nel fatto che la pubblicazione del Viaggio sia stata anzitutto una storia di tempi e di occasioni, colte o mancate di un soffio: “Ho mandato il manoscritto a Denoël e alla NRF nello stesso tempo. Entrambi lo hanno accettato nello stesso giorno, ma Denoël due ore prima della NRF”.

S

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Da una parte, la prontezza del giova-ne editore Robert Denoël nell’afferra-re la novità e l’importanza di quelle novecento pagine dattiloscritte che un ancora sconosciuto Céline gli fa pervenire: è forse l’effetto di una leg-genda che s’insinua, talvolta, nelle grandi occasioni, a volere che quelle pagine siano giunte senza indicazio-ne dell’autore o di un recapito, con Denoël che in una lotta contro il tem-po rincorre gli indizi fino al numero 98 di rue Lepic, vicino a Montmar-tre, dove abita il medico (anch’egli, come il suo Bardamu) Louis Destou-ches, non ancora divenuto “Céline”. Dall’altra parte, l’accurata ma lenta procedura di valutazione della Nou-velle Revue Française (la futura Gal-limard) che, apposto al manoscritto celiniano il numero d’ordine 6127, lo indirizza all’abituale trafila dei con-siglieri letterari e dei comitati di re-dazione, rispondendo alle irrequiete sollecitazioni dell’autore con la flem-ma burocratica del ragguaglio pro-cedurale. Infine, la decisione giunge positiva ma con due ore di ritardo: Céline ha già firmato. Due ore, un soffio. E l’indugio non sarà privo di conseguenze per Gallimard come per Céline: l’uno chiamato nuovamente a scagionarsi da un certo imbaraz-zo, dopo il clamoroso incidente della Recherche proustiana; l’altro deluso nella prospettiva imminente del pre-mio Goncourt, che Céline mancherà nonostante l’impegno promozionale di Denoël e che egli si sarebbe forse aggiudicato sotto il più influente pa-trocinio di Gallimard. Eppure, a segnare qui i destini è for-se non tanto l’esitazione di un edito-re quanto invece l’impazienza di un autore, che anche nella sua scrittura vorrà sempre assecondare il cruccio di un ritardo e la foga di un certo inseguire: ad Alberto Arbasino, che gli fa visita nel suo ritiro di Meudon, Céline spiega che la parola non viene per prima, ma per seconda, sempre lanciata alla rincorsa di un’emozione più urgente e improrogabile con la quale può incontrarsi solo nell’espe-diente stilistico di “una certa defor-mazione, un artificio tale che quando uno legge il libro gli sembra che gli si stia parlando all’orecchio”. In fondo, più ancora che un libro dell’ossessione e del risentimento,

del delirio e della disperazione, come verrà soprattutto letto, il Viaggio è un libro dell’impazienza. Impazienti di morire, i pazzi eroici e scatenati che si gettano come niente nel delirio della guerra mondiale; impazienti di pos-sedere, i funzionari che nel torrido delle colonie africane si consumano nell’opera meschina dei traffici e del-le furberie; impazienti di produrre, le macchine che nelle fabbriche dell’A-merica fordiana si torcono senza so-sta, nella continuità ininterrotta del frastuono e del tremore; impazienti di pena e d’illusione, i malati e gli alienati dei sobborghi di Parigi che si affannano in “questo gran darsi da fare, per restare ragionevoli”, per evitare di essere semplicemente se stessi, cioè assurdi. E forse, alla fine, anche le peregrinazioni inquiete che Céline fa compiere al suo Bardamu, non sono che un tale artificio d’esi-stenza affinché egli possa incontrare quei “lapsus di delicatezza” (come li ha chiamati Ernesto Ferrero) che si affacciano puntuali dalle pagine del Viaggio: il sergente Alcide, che in un infernale recesso d’Africa consuma la dedizione paziente e disinteressata a una nipotina mai conosciuta, a cui paga gli studi offrendole “tanta tene-rezza da rifare il mondo e questo non si vedeva”; e poi la “buona, ammire-vole Molly”, lasciata in una stazione d’America per inseguire l’ennesimo altrove, a cui Bardamu offre la de-vozione di una promessa incerta: “vorrei se può ancora leggermi, da un posto che non conosco, che lei sa-pesse che non sono cambiato per lei, che può venire qui quando vuole a dividere il mio pane e il mio destino furtivo”.Se Bardamu si aggira tra le pagine del Viaggio con la svagatezza di chi non sa dare un nome alla propria impa-zienza, il giovane Céline non è forse da meno nell’affacciarsi al mondo let-terario parigino. Così, quando Galli-mard, in ossequio alla precisione dei generi, gli chiederà di dare un nome al tema del proprio libro, egli non sa-prà rispondere altrimenti che con la stessa vaga inquietudine che agita il suo protagonista: “Qualcosa! Ah! Tut-to il romanzo è questo qualcosa!”.

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La lingua letteraria da tempo, in sostanza da-gli anni dell’Unità, ha smesso di far da pilota alla lingua comune. Semmai, se si guarda alla lingua del romanzo, si è messa a seguire e ad emulare la lingua quotidiana e parlata, cercan-do di rifarne lo stile informale, la sintassi slab-brata, di restituirne il lessico approssimativo e povero, di rinnovarne le declinazioni regionali. Negli ultimi decenni, però, anche questa dedi-zione al reale è in parte venuta meno, per la-sciare spazio a un più vario sperimentare, a una nuova libertà. Si confronti il valore del dialetto o dell’impronta regionale in Verga con quella che questi tratti linguistici hanno in Camilleri. Là erano segno di fedeltà alla realtà sociolin-guistica locale, veicolo di scrittura realistica e quasi documentaria. Qui sono espressione di invenzione personale, di libera manipolazio-ne della lingua; non di dialetto (lingua di una comunità) si tratta in Camilleri, ma di idioletto (cioè di lingua personale).La lingua del romanzo ha, in effetti, da ultimo cercato di esplorare percorsi espressivi non scontati, non previsti nelle lingue della società, ora lavorando sulla libertà sintattica (si pen-si a Sostiene Pereira di Tabucchi, in cui tutto il romanzo è fatto da dipendenti lunghissime di una principale sintetica come quella del titolo), ora su quella lessicale (il vocabolario prezioso di Gesualdo Bufalino), ora su quella testuale (la

costruzione sperimentale del libro in Baricco, la sua stessa disinvolta mise en page), a volte ad-dirittura su quella stessa linguistica (l’opzione fortemente dialettale della Pariani nel Paese del-le vocali). Per la verità, non è mai venuta meno una linea di sperimentazione linguistica nella nostra narrativa, dall’Ottocento di Carlo Dos-si al Novecento di Gadda. Ma ora non si tratta più di gioco e rovesciamento espressionistico della grammatica, ma di ricerca di nuovi ter-ritori e diverse modalità espressive all’interno della lingua media e comune.La decisione prevalente dei narratori è andata in effetti a favore di un italiano medio, senza troppi scarti dalla lingua comune, né in alto né in basso; di recente, si è aggiunta la ricerca di una lingua condivisa sì, ma non imprecisa. In effetti, via via che è diventato più comune e diffuso, l’italiano ha perso di precisione e ric-chezza. Se “forte” vale per “bello”, “profondo”, “eccezionale”, “intelligente” ecc. si capisce quanto la lingua perda in precisione e ricchez-za. I migliori narratori hanno cercato di ovviare a questo difetto, usando una lingua sì comune, media, ma anche precisa e ricca. Si legga qual-che pagina a caso di Italo Calvino e si coglierà subito la proprietà e la varietà del suo vocabo-lario. Per esempio, all’inizio del Barone rampan-te, il racconto delle scenate a tavola attacca così: “Cominciò una serie di sgridate, di ripicchi, di

la parola al romanzo di Vittorio Coletti

Rubrica a curadell’Accademia

della Crusca

Sulla punta della lingua Come parliamo, come scriviamo

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castighi, d’impuntature…”: ogni sostantivo ha una sua specificità, pur concorrendo tutti insie-me a disegnare il clima di baruffa permanente al desco dei Pievasco. La precisione e la variazione sono difficili da ottenere. In un recente e fortunato romanzo, quando si racconta che un bambino, sentendo dei rumori, si avvicina a un muretto a secco, si scrive che “scavalcò il manufatto”, con una parola burocratica impropria nel contesto, che varia sì il lessico appena usato, ma lo rende generico e astratto. Per questo, alcuni scrittori hanno cercato nella frequentazione della scien-za l’aiuto per un vocabolario più preciso, in certi casi addirittura tecnico. Basti pensare a Primo Levi, chimico nel mestiere e nella scrittu-ra. O a Daniele Del Giudice, che ha adoperato il linguaggio della tecnologia aeronautica per effetti di precisione e competenza nominativa straordinarie.Come si diceva, ad ogni modo, nei romanzieri prevale un italiano standard, che ammette cer-te disinvolture morfosintattiche del parlato e dà atto dell’assottigliarsi del lessico, anche se il perdurante gusto nostrano per la variazione continua ad alimentare la tradizionale ricerca dei sinonimi. Da questa base gli scrittori par-tono per brevi ricerche di libertà, ansiosi di firmare con qualche originalità loro esclusiva una lingua tanto condivisa. Nella prima pagina del recentissimo, pregevole romanzo di Valeria Parrella, Lettera di dimissioni, dentro una lingua

molto comune e prevedibile, si legge a un tratto “dal comò di questa mia casa pristina” (di una volta, originaria) oppure “della finestra che precipitava sulle colline abusate dall’ammini-strazione Lauro” (sulle quali l’amministrazione aveva consentito abusi edilizi), con una mesco-lanza voluta ma non proprio felice di comune (comò), addirittura giornalistico (l’amministra-

zione Lauro) e letterario (pristina) o agramma-ticale (colline abusate). Poco più avanti, nella stessa pagina, ci sono un dotto “odio conteniti-vo” e il dialettale “fuitina”, in una mescolanza di risorse volta a movimentare la medietà trop-po prevedibile della lingua.Certo, la poesia si è spinta molto più avanti del romanzo nell’introdurre spazi di libertà indivi-duale nell’italiano. Ha manipolato liberamente o addirittura abolito perfino la punteggiatura, per non dire dell’assetto testuale, così modifi-cato (specie negli inizi di componimento) da dare risultati, a volte, di assoluta incomprensi-bilità. E non parliamo delle invenzioni lessicali. Ma questa attitudine alla devianza linguistica in poesia non è una novità. Sono nuovi gli stru-menti, ma non l’obiettivo. Nella prosa narrati-va, più legata alla grammatica e al vocabolario correnti, gli scarti fanno più effetto e colpiscono (gradevolmente o sgradevolmente) di più. Ma entrambi i casi sono segno del fatto che la lin-gua letteraria è sì oggi più vicina a quella co-mune, ma anche che, proprio per questo, non può fare a meno di scostarsene un poco, di far-ne un uso originale, di battere nuove strade.La lingua letteraria, si diceva, non guida più quella della società. Ma non accetta neppure più di farsene guidare passivamente o troppo fedelmente. Vuole essere di tutti, ma anche re-cuperare la propria antica libertà individuale.

Alcuni scrittori hannocercato nella frequentazione della scienza l’aiuto per un vocabolario più preciso,in certi casi addirittura tecnico

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Anima del mondoPaesaggi della letteratura

Per coloro che arrivavano in nave, la torre di Belém e il vicino Mosteiro dos Jerónimos era-no le prime immagini dell’Europa che poteva-no stamparsi nella memoria ancora fresca delle grandezze americane o del sole africano. Colo-ro che arrivavano dall’Oriente di Goa e Macao potevano addirittura scambiare le architetture manueline per la vegetazione umida e lussureg-giante degli avamposti portoghesi nell’Oceano Indiano.Sebbene oggi la maggior parte degli arrivi a Li-sbona sia per via aerea, non c’è persona che sa-lendo sulla torre di Belém non si senta improv-visamente proiettato nell’Ultramar, le terre della conquista coloniale dei grandi esploratori quat-trocenteschi. E chi si affaccia al monumentale in-gresso del Mosteiro dos Jerónimos non può non pensare alla notte che Vasco da Gama e il suo

equipaggio passarono in preghiera nella Ermi-da do Restelo prima di intraprendere il viaggio per la scoperta della nuova rotta verso le Indie. Su questa chiesetta Dom Manuel I volle edifica-re l’immenso Mosteiro in segno di riconoscenza a Dio per avergli concesso di cambiare la storia dell’umanità.Chi arriva a Lisbona sente una storia immensa di ricchezza e decadenza e non può non pensa-re, attraverso la luce prepotente che il sole con-cede ai suoi abitanti, che questa città reale sia la più ideale dei nostri sogni. Forse per questo Fer-nando Pessoa, uno dei figli più illustri della città portoghese, poteva ben dire che “a un uomo è sufficiente una grande capacità di meravigliarsi per viaggiare in ogni dove attraverso lo sguardo da una finestra puntata sull’infinito”.

Lisbona, la finestra sull’infinitodi Sergio Bassani

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L’estate del 1950, a Lima, fu un un’estate stra-ordinaria, in cui alle feste “tutti quanti smisero di ballare valzer, corrido, blues, bolero e hua-racha perché il mambo spopolò”. Furono mesi indimenticabili per i giovani abitanti dell’agia-to quartiere di Miraflores e in particolare per Ricardo Somocurcio, perché conobbe l’amore della sua vita. Era una quattordicenne di nome Lily, che insieme alla sorella Lucy, di un anno più giovane, turbava i sonni dei maschi mira-florini. Lily e Lucy, le chilenitas, ballavano come nessun’altra ragazza peruviana osava fare, e in particolare Lily, con il suo corpicino “mo-dellato con tanta malizia e tante curve dalle gonne e dalle camicette che indossava”, sem-brava vibrare dalla testa ai piedi quando si la-sciava trascinare dalla musica. Non altrettanto la eccitavano invece le dichiarazioni d’amore di Ricardo, anche se con lui si comportava in pubblico come una fidanzatina: si tenevano per mano ai matinée dei cinema, andavano a man-giare “paste da milleunanotte – le bizcotelas, gli alfajores ripieni di biancomangiare, i piononos” al caffé la Tiendecita blanca, spesso accompa-gnati dalla sorella Lucy per non dare scandalo. C’era qualcosa di misterioso, però, nelle due sorelle e di questo non se n’era accorto solo Ri-cardo: tutti nel quartiere, forse un po’ per invi-dia, sospettavano delle millantate origini cilene delle ragazze, e soprattutto non si spiegavano il riserbo che queste si ostinavano a mantenere

circa il resto della famiglia. Il mistero fu dis-solto durante una festa, quando un’intrigante zia della festeggiata sbugiardò i racconti sul Cile di Lily e Lucy. Mettendo a nudo con que-sto la loro reale condizione sociale – modesta – e provocandone la scomparsa dalle file snob, ma segretamente puritane, della jeunesse dorée di Miraflores. Non però dal cuore di Ricardo Somocurcio, che inseguirà la falsa chilenita Lily per tutta la vita.Avventure della ragazza cattiva, romanzo del 2006 del premio Nobel Mario Vargas Llosa, raccon-ta la storia d’amore di Ricardo e Lily, da quel favoloso 1950 fino alla fine degli anni Ottanta. Una storia d’amore che è un duello, un insegui-mento dal Perù all’Europa, al Giappone, con Ricardo nei panni, suo malgrado, dell’insegui-tore e Lily, la niña mala, in quelli dello stupendo animale da preda che in ogni occasione beffa il cacciatore. Ma è vero anche che i ruoli possono essere invertiti, perché l’unica vittima di questa caccia è in realtà il cuore di Ricardo, incapace di dimenticare quei fuggevoli idilli che Lily, a ogni incontro separato dagli altri da lunghi anni, gli concede. E tutte le volte Lily è diversa, ha un’identità nuova che solo Ricardo riesce a ricondurre alla falsa chilenita dei tempi di Mi-raflores. È prima un’aspirante guerrigliera ri-voluzionaria, poi la moglie di un diplomatico francese, e ancora una seducente protagonista della Swinging London e per giunta la schiava

di Francesco Baucia

A pranzo con Arquímedes,il costruttore di frangiflutti

Alta cucinaLeggere di gusto

Il ceviche e la cucina peruviana nelle Avventure della ragazza cattiva di Mario Vargas Llosa

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sessuale di un losco giapponese. E alla fine, “madame Ricardo Somocur-cio”, anche se non per sempre e senza sorprese. Infatti, dice la niña mala al suo inguaribile innamorato: “Tu non vivrai mai tranquillo con me, ti avverto. Perché non voglio che ti stanchi di me, che ti abitui a me. […] Perché così ti avrò sempre pazzo di me”. Anche quando, ormai felicemente sposato a Parigi con la niña mala, Ricar-do si allontanerà da lei per andare a visitare un vecchio parente in Perù, sarà perseguitato dal suo fantasma. E dire che aveva cercato di convincer-

la a seguirlo: “Non hai nostalgia del cibo peruvia-no?”, le aveva chiesto prima di partire. Ma niente, la niña mala si era rifiutata di tornare anche per poco tempo nel suo paese d’origine. Durante questo sog-giorno a Lima Ricardo si troverà per caso a pranzo con un personaggio singolare, una specie di stre-gone moderno: Arquímedes, il costruttore di fran-giflutti. Un uomo che sa interpretare i segni incisi sulla distesa del mare e decidere, su questa base, qual è il punto esatto in cui devono essere costruite

le barriere. Un’arte magica di fronte a cui anche gli ingegneri si inchinano. Arquímedes è un vecchio ossuto e allampanato, impregnato dell’odore “forte e piccante” del pisco, il vigoroso liquore nazionale peruviano che tra l’altro è la base del pisco sour, uno degli aperitivi più bevuti del Sudameri-ca. Ricardo è venuto a sapere che Arquímedes ha una figlia a Parigi, e chis-sà perché si è sentito subito attanagliare le budella. Ricardo non ha mai saputo nulla delle vere origini della moglie, e così decide di seguire quella che gli sembra un’assurda intuizione. Invita a pranzo il vecchio, in una bettola del quartiere Callao. In un viaggio nella memoria che parte, quasi proustianamente, dalle pietanze che vengono loro servite – ceviche, salsic-ce di maiale accompagnate da pane francese e salsa di lattuga, cipolla e peperoncino, il tutto annaffiato da birra Pilsen ghiacciata – Ricardo scopre di trovarsi di fronte al padre del suo amore. E scopre anche, dal suo rac-conto, le difficoltà passate da Lily (il cui vero nome è Otilita) nel tentativo di scrollarsi di dosso le origini misere, e comprende per la prima volta le ragioni di quel cinismo che la niña mala aveva sempre esibito con lui come un vanto, e che in realtà era solo un’arma di sopravvivenza datale in dono da un’infanzia difficile. Come da copione, in ogni femme fatale si nasconde un’anima di porcellana. E così, dopo il pranzo con il vecchio Arquímedes, Ricardo è pronto a tornare in Europa dalla niña mala, più innamorato di prima, e pronto a cadere vittima dell’ultima delle sue intemperanze. Ma non sa ancora che la sua tormentata storia d’amore con Lily è il più grande tesoro che la vita gli ha regalato. Ne diventerà consapevole solo quando, abbandonato questa volta per sempre dalla niña mala, seguirà il consiglio di lei di assecondare il sogno di tutta una vita: diventare uno scrittore.

“Tu non vivrai mai tranquillo con me, ti avverto. Perché non voglio che ti stanchi di me, che ti abitui a me”

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La cucina peruviana è una delle più antiche e ricche di tutto il continente sudamericano. La sua base tradizionale affonda le radici nell’età precolombiana, e chi si trovi a leggere i famo-si Commentari reali degli Inca di Garcilaso de la Vega (il primo scrittore meticcio di lingua spa-gnola) vi può riconoscere abitudini gastrono-miche immutate nei secoli. In molte pagine del-le Avventure della ragazza cattiva Mario Vargas Llosa, autore peruviano che da anni vive lon-tano dal suo paese, pur continuando ad amarlo e a raccontarlo, costruisce un piccolo poema dedicato alla cucina del Perù. E regala alla regi-na delle sue portate la ribalta di una delle sce-ne più toccanti del libro, il pranzo di Ricardo con Arquímedes. Si tratta appunto del ceviche, una marinatura di pesce e frutti di mare che in molti casi viene servita piccantissima, come nel

pranzo del romanzo. Assaporandola Ricardo vi riconosce le note infuocate del peperoncino rocoto arequipeño. Chi voglia provare a preparalo può usare gam-beretti, salmone, ricciola, rana pescatrice o pesce San Pietro. L’importante è che sia tutto pesce freschissimo. Contando di utilizzare cir-ca due etti per tre o quattro tipi di pesce scelti, per la marinata servono tre limoni e tre lime, due pomodori tagliati a dadini, una cipolla tritata, sale, pepe e peperoncino a piacere. Si taglia il pesce a fettine, lo si mette a marinare con i gamberetti e poi si lascia il tutto in frigo per circa otto ore. Prima di servire si spolveriz-za con prezzemolo fresco. La maggior parte dei peruviani beve con il ceviche birra chiara molto fredda, come Ricardo e Arquímedes.

Ingredienti:2 etti di salmone2 etti di ricciola2 etti di rana pescatrice o pesce San Pietro2 etti di gamberetti

Per la marinata:3 limoni3 lime2 pomodori1 cipollaSalePepePeperoncinoPrezzemolo fresco

ceVIche

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l’epoca di un libro

Storia della mia gentedi edoardo Nesi

La finale del Premio Strega si presenta ogni anno come il thriller più appassionante per gli amanti della letteratura nostrana. Quasi come per l’ele-zione di un pontefice, si pensa di solito che chi tra i finalisti arriva alla serata di premiazione da Papa, se ne tornerà a case poche ore dopo da cardinale. Non è stato questo il caso di Edoardo Nesi. Il suo libro Storia della mia gente, che già era entrato nella cinquina dei finalisti con un cospi-cuo numero di voti, ha confermato le attese piaz-zandosi al primo posto e in nettissimo vantaggio,

per numero di preferenze, sul secondo classificato. La ragione di questo succes-so sta nel fatto che Storia della mia gente è un libro epocale. Riflette il disorientamento e la rabbia che affliggono oggi il mondo del lavoro, visto dalla prospettiva di chi, come l’au-tore, ha svolto la professione di imprenditore per molti anni. L’industria però, per Nesi, non è solo sinonimo di professione, ma anche di famiglia. Come racconta nel primo capitolo del libro, il Lanificio T.O. Nesi e fi-gli S.p.A. è stato fondato da suo nonno e in quella dicitura “e fi-

gli” era già incisa una promessa e una speranza di felicità per le future generazioni della famiglia. Edoardo Nesi nel 2004 ha venduto l’azienda tessi-le fondata dai suoi avi e in questo atto si è sentito come l’ultimo anello di una catena che ha origini profonde. Non è facile sbarazzarsi dell’impresa a cui la propria storia personale è legata a doppio filo, soprattutto quando lo si fa per un’evidente difficoltà a mantenerla prospera e solida come

un tempo. Così Nesi, pur raccontando una storia intima e struggente, alza lo sguardo oltre la sua azienda e oltre la drammatica realtà industriale della sua città (Prato), e il suo travaglio si espande ad analisi e requisitoria verso il mondo contem-poraneo e verso le sue premesse, siano esse eco-nomiche, politiche o sociali. Per affrontare fino in fondo le fattezze di quell’incubo che ha il nome di Storia, dal quale, come Stephen Dedalus di Joyce, vorremmo risvegliarci. Per raccontare questa vicenda così unica, Nesi ha scelto una forma narrativa altrettanto particolare. Storia della mia gente, infatti, non è classificabi-le né come romanzo, né come autobiografia, né come pamphlet. È tutto questo insieme, eppure le definizioni di genere non aiutano a compren-dere meglio il libro. Nesi è un profondo conosci-tore dell’opera di David Foster Wallace (di cui ha tradotto il capolavoro Infinite Jest), e se si vuole trovare un ascendente per il suo libro, bisogne-rà forse cercarlo negli straordinari reportages di Wallace, così pieni di intelligenza, pietas e umori-smo agrodolce.Il libro di Nesi si arricchisce inoltre del raccon-to delle sue passioni letterarie (Wallace, Lowry, Fitzgerald, a cui è ispirato il titolo di Storia della mia gente), che accompagnano come una sorta di controcanto la traccia principale del testo. Nesi ri-visita così, in modo innovativo, quel binomio di lavoro e letteratura, professione e vocazione, che non è estraneo alla storia della letteratura italiana e che ha illustri precedenti novecenteschi, tra cui, ad esempio, Primo Levi. In questo senso, Storia della mia gente si può leggere come un racconto di formazione, come uno sguardo intimo sulla co-struzione di una delle voci autoriali italiane più interessanti del nostro tempo, divisa tra passione per il reale e slancio poetico.

Recensioni

Disponibile su www.biblet.it

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FRANKFURTERBUCHMESSEProtagonista assoluta nell’agen-da annuale dei professionisti del libro, la fiera di Francoforte è senza dubbio l’evento inter-nazionale più importante per la galassia dell’editoria. Nell’edi-zione di quest’anno non poteva mancare un’attenzione partico-lare agli ebook, che sempre più

stanno convincendo il pubblico e gli addetti ai lavori. Il “Pro-fessional Programme” della fie-ra dedica tre seminari ai temi principali dell’editoria digitale: il 12 ottobre si parlerà, in due diverse sessioni, della ancora controversa questione dei di-ritti digitali e dei supporti per la lettura degli ebook, mentre il 14 si esamineranno le strategie che un editore deve affrontare per avviare un’attività di digital publishing di successo. Sul côté

letterario, invece, è da segnala-re la presenza dell’Islanda come paese ospite d’onore della Buch-messe. Negli spazi della fiera e delle più importanti istituzioni culturali di Francoforte prende-rà vita un calendario di eventi culturali che toccherà non sol-tanto la letteratura islandese, ma tutta la scena artistica di questo affascinante e vivace paese, con mostre di architettura e design, perfomances di artisti e concer-ti di musica rock, folk e classica. Dal 12 al 16 ottobre.

PISA BOOK FESTIVALAl Palazzo dei Congressi e alla Stazione Leopolda di Pisa oltre centocinquanta editori si dan-no appuntamento per la fiera dell’editoria indipendente, giun-ta ormai al settimo anno di vita. Paese ospite di questa edizione è la Francia; tra i numerosi eventi dedicati alla letteratura francese è da segnalare, domenica 23 ot-tobre, l’incontro con lo scrittore e critico Philippe Forest, che dia-logherà con Gabriella Bosco sul tema del rapporto tra autobio-grafia e romanzo.Dal 21 al 23 ottobre.

FESTIVAL DELLA SCIENZADal 2003 Genova si trasforma, nell’arco di questa rassegna ogni

anno più ricca, in vera e propria capitale della scienza e in punto di riferimento per gli appassio-nati di divulgazione scientifica. I temi più attuali del dibattito internazionale sono affrontati in conferenze e discussioni in compagnia dei protagonisti del-la ricerca e anche attraverso spettacoli, laboratori e mostre. Quest’anno saranno ospiti del Festival, tra gli altri, Roger Penrose, professore emerito di matematica a Oxford e autore bestseller di saggi scientifici, l’a-strofisica fiorentina Margherita Hack e Derrick De Kerckhove, considerato il principale studio-so mondiale di comunicazione e nuove tecnologie. Dal 21 ottobre a 2 novembre.

Appuntamenti

Frankfurter buchmessee gli altri eventi del mese

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@xaliraStupidamente, non avevo mai pen-

sato che gli ebook volendo li puoi

leggere anche sul computer :P

Vediamo come funziona questo

Calibre (epub).

@PasserinoIl 12 ottobre al via la

Fiera di Francoforte, sarà

incentrata sugli ebook

@lukealbCome scegliamo gli ebook? 206 persone ci dicono come (vince il passaparola). Ricerca di @thDigitalReaderappresa qui: goo.gl/XPDNp

@martamanfioArriverà prima o poi quel

giorno di fratellanza uni-

versale in cui cartaceo, pdf

e epub potranno avere un

solo isbn?

@GeekissimoiBookstore disponibile anche

per l’Italia: Il negozio online

targato Apple mediante cui

poter acquistare eBook

@ultimabooksVolevo solo dirvi che no, non

vi consiglierò gli ebook che

parlano di Steve Jobs. Non

voglio guadagnarci sopra.@Pianeta_eBookSi accettano scommesse: quan-do verrà pubblicato l’ultimo libro cartaceo? Techcrunch punta tutto sul 2019:

Page 35: PreTesti • Occasioni di letteratura digitale • Ottobre 2011 • Numero 1 • Anno I

I TUOI EBOOK QUANDO VUOI, DOVE VUOI.

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Page 36: PreTesti • Occasioni di letteratura digitale • Ottobre 2011 • Numero 1 • Anno I

PreTesti • Occasioni di letteratura digitaleOttobre 2011 • Numero 1 • Anno I

Telecom Italia S.p.A.

Direttore responsabile:Roberto Murgia

Coordinamento editoriale:Francesco Baucia

Direzione creativa e progetto grafico:Fabio ZaninoAlberto Nicoletta

Redazione:Sergio BassaniLuca BisinFabio FumagalliPatrizia MartinoFrancesco Picconi

Progetto grafico ed editoriale:Hoplo s.r.l. • www.hoplo.com

In copertina: Nicolai Lilin - foto di Andrea Chisesi ®

L’Editore dichiara la propria disponibilità ad adempiere agli obblighi di legge verso gli eventuali aventi diritto delle immagini pubblicate per le quali non è stato possibile reperire il credito.

Per informazioni [email protected]

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