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PrimaPagina nov. 2010

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Il Mensile di Teramo e provincia

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Per scrivere aPrimaPagina

Per una risposta privata inviare alla redazione specifi cando il titolo dell’articolo o della rubricaVia Costantini n.6 64100 TeramoIndirizzi mail:[email protected] [email protected]

telefono/fax 0861. 412240

“Sicuramente la frase “Il Comitato di Quartiere come una struttura di supporto alle amministrazioni di Centrodestra alla guida del Comune e Provincia di Teramo” infama e forse non certo involontariamente il Comitato di Quartiere Villa Pavone - Colleatterrato e i residenti (sempre più di 800) che puntualmente eleggono i propri rappresentati all’inter-no di questa struttura che per democrazia e partecipazione fa invidia di certo alle strutture di partito del Centrodestra e del Centrosinistra.Non ci sentiamo un supporto politico a qualcuno, ma certamente sia-mo un supporto amministrativo per chi governa. Detta prerogativa ci è riconosciuta anche dal segretario del PD, il cui nome non ci sovviene, nel descrivere l’attività svolta dal Comitato nella programmazione del Contratto di Quartiere.Alle contrapposizioni di natura politica anzi partitica siamo cultural-mente distanti in quanto convinti che queste non fanno bene al terri-torio e agli amministrati. Sicuramente in merito alle “rotonde” presenti nel quartiere e in programmazione dobbiamo dare atto che i problemi tecnici che costituivano un ostacolo insormontabile per gli ammini-stratori del centrosinistra sono stati risolti in pochissimo tempo dagli attuali amministratori. Di nuovo si vede che il segretario non è del

quartiere e non conosce gli strumenti che regolano le aree del quartiere stesso, il quale non si basa tanto sul PRG, ma soprattutto sul PEEP, infatti se si prendesse in esame quest’ultimo si noterebbe come la chiesa non sorge più nell’area destinata al parco giochi adiacente al campetto di calcetto.Si continua ad evincere che si cerca più visibilità e scon-tro politico che non un dialogo per la risoluzione delle problematiche reali dei residenti.Invitiamo comunque tutti i “politici” di confrontarsi con il Comitato di Quartiere Villa Pavone - Colleatterrato che da anni è più attento ai problemi del territorio e popolazione rispetto a chi è attento solo a fare dema-gogia e proclami politici”.

Antonio Di Paolo(Presidente del Comitatodi Quartiere Villa Pavone Colleatterrato)

Riceviamo e pubblichiamo :“Precisazioni sulla risposta della segretaria del circolo PD di Colleatterrato – Nepezzano”

“Gentile direttore,giocare può comportare i suoi pericoli. Lo sanno bene ibambini che frequentano il parco di Scerne di Pineto, area verde a ridosso del Villaggio Hapimag. Uno spazio pieno zeppo di trappole e tranelli: da quello che rimane di un trenino in legno ormai putrefatto, dove spuntano chiodi arrugginiti di ogni dimensione, a puntute piazzole in cemento al termine dello scivolo, o resti indefi niti di alcuni vecchi gio-chi, ormai distrutti a causa di una mancata manutenzione. L’area tra l’ altro è stata invasa da una folta vegetazione che ospita solo zanzare e insetti di ogni specie. Un parco che gioca, è proprio il caso di dire, bruttissimi scherzi. Lo stato di abbandono, hanno commentato alcuni genitori, stona con la politica dell’ amministrazione comunale che si è sempre vantata di dedicare particolare attenzione all’ ambiente e alla cura del verde pubblico, così come alle problematiche dell’ infanzia. Lo stato in cui versa il parco giochi di Scerne non ha nulla a che vedere con la tanto decantata Bandiera Blu o con la “Registrazione EMAS».In particolare dello stato igienico dell’area, infestata di insetti, è stata avvertita anche la Polizia municipale, ma al momento ancora non sono state prese iniziative.Grazie per l’ospitalità

Mauro

Gentile lettore, giriamo la sua denuncia a chi, in questo periodo, si è “distratto”. Chissà che da ruggine e insetti non rinasca un vero giardino. Un po’ meno “blu”, magari, ma molto più verde. Qualche volta, è solo una questione di colori.

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TIZIANA MATTIA

n. 605 del 14/07/09 n. 20081

E.C.S. Editori srlVia Costantini, 6 TeT. e F. [email protected]. Roc. 20081

Francesca AlciniiMira CarpinetaManolo CipriettiAttilio DaneseMirko De BerardinisPaolo De CristofaroEmanuela Di GaetanoCristian Di Mariano Valter Di MattiaG.P. Di NicolaIvan Di NinoValentina Di SimoneV. Lisciani PetriniAntonella LorenziMatteo LupiDaniela MantiniGiuseppina MichiniDaniela PalantraniGianfranco PucaRaul RicciRopelGabriele SaliniRoberto SantoroOscar StranieroValentina TrignaniErika Verzieri

Nicola Arletti

Pegasus Communcations

Poste Italiane

01 Novembre 2010

DIRETTORE RESPONSABILE

Reg. Trib. di TEIscr. Roc

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÀ

HANNO COLLABORATO:

IMPAGINAZIONE E GRAFICA

STAMPA

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CHIUSO IN REDAZIONE

Edito da E.C.S. Editori srlVia Costantini, 6 TERAMOT. e F. 0861.412240 [email protected]@libero.it

La responsabilità delle opinioni e apprezzamenti espressi negli articoli pubblicati è dei singoli autori da intendersi libera espressione degli stessi.

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non verranno restituiti. Il contenuto della pubblicazione è coperto dalle norme sul diritto d’autore.

I diritti di proprietà letteraria ed artistica della rivista sono legalmente riservati. È vietata la riproduzione anche parziale.

Si ringraziano gli inserzionisti per il loro sensibile contributo che consente

la pubblicazione e la divulgazion del periodico.

In copertina: La famiglia preziosa e

dimenticata(foto free royalty from internet)

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Focus on

Sminuzzata, sezionata, superata, elasticizzata, sintetizzata, scoperchiata, rivoluzionata, massmediata, dimenticata, annul-lata. La famiglia duemiladieci, osservata da vicino, scoraggia, incoraggia, addolora, sorprende. Tra brutte, anzi, orribili notizie di cronaca che sfi ancano, sfi duciano, incolleriscono, disarma-no. Prima Pagina agguanta questa famiglia e la fa diventare “teramana” attraverso i numeri, le storie, l’analisi degli esperti. Ne viene fuori quella che è. Oggi. Uno spaccato di tempo mol-to incerto, con moltissime nuvole e un sole talmente timido, da sembrare la controfi gura della luna. Una sorta di satellite, insomma, di sentimenti e regole. Dove le “belle” storie sono tenute nascoste, al riparo dall’incursione dei curiosi. Al contra-rio delle “brutte”, paniere ricolmo di intere pagine di giornali. Abbiamo provato a scovarle, queste storie, rubando le parole a Goethe: “Il diavolo si nasconde nel dettaglio”. E la famiglia è, da sempre, il “dettaglio” della nostra società. Come la politica. Sarà per questo che entrambe, famiglia e politica, si dànno la mano. Senza un ruolo e una risposta, alleate nell’assenza e nel vuoto a perdere.

Tiziana Mattia

“ Rapporto dalle zone calde”di Mira Carpineta

Martinsicuro, turismo e non solodi Manolo Ciprietti

Vigili del fuoco, amici del territoriodi Daniela Palantrani

Università: la prola ai ricercatoridi Daniela Mantini

Tu chiamale ... se vuoi affi ssionidi Ivan di Nino

Semplicemente Edeadi Vicenzo Lisciani Petrini

Il centro Nutrizione di Teramo c’è ...di Francesco De Cristofaro

Ego batte empatia 1-0di Francesca Alcinii

La Famiglia

“Se un albero dovesse scrivere la sua autobiografi a, questa non sarebbe molto diversa da quella di una famiglia”

Gibran

Inquadra e scatta con il tuo cellulare:

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Francesco Bonini. è stato consigliere del Ministro per le Riforme istituzionali del Governo Ciampi, Leopoldo Elia, dall’apri-le 1993 al maggio 1994. E’ direttore del CARE, Centro abruzzese ricerche elet-torali ed inoltre è socio dell’Association Française de Science Politique, della So-cietà italiana di storia delle istituzioni e dell’International Commission for the Hi-story of Representation & Parliamentary Institutions. Chi meglio di lui può, dunque, ricordarci come il nostro passato abbia costruito il nostro futuro prossimo?Come mai questo stato di confusione nel nostro sistema politico?Bisogna partire dalla crisi della politica italiana degli anni ‘90 e l’emergere della leadership di Berlusconi che ha raggiunto consensi tali da riuscire a federare una se-rie di spezzoni di classe politica. Le forze politiche della Repubblica proporzionale sono andate in crisi: per via di una serie di fattori debolezza intrinseca, situazione internazionale che, con la caduta del muro di Berlino, ha fatto crollare tutte le rendite che si erano costruite. Una forte iniziativa della magistratura, in quegli anni, che non è stata stoppata da nessun potere politico perché indebolito, ha generato una crisi dei partiti che ha avuto il suo quadro istitu-zionale nel referendum del 18 aprile 1993. Si è dunque realizzato quello che Occhet-to ha scritto nel suo libro di memorie, ov-

vero: “far cadere la prima repubblica senza curarsi di costruire la Seconda”. Tutto que-sto ha permesso di arrivare alle elezioni del 1994 con una proposta bipolare gobba perchè il polo progressista si era occupa-to di prendere la successione del sistema politico senza aver maturato un progetto istituzionale ed il polo intermedio era con-vinto di perdere in quanto sapeva di non

avere alcun appeal per l’elettorato. Nel frattempo l’ imprenditore Silvio Berlusco-ni è riuscito a federare spezzoni di classe politica che i due precedenti poli avevano

lasciato libero. Tutto questo ha permesso la vittoria del polo di Berlusconi.Il Pdl, tuttavia, continua ad avere con-sensi.Perché non sono cambiate le condizioni. Vincendo, Berlusconi, ha imposto il bipo-larismo tra la sua ipotesi di intrapresa po-litica e il resto, che ha trovato come unico collante quello dell’anti-berlusconismo. Per questo il fi lone berlusconiano è dura-to venti anni.I partiti continuano ad essere fram-mentati in entrambi i poli.La classe politica è tornata ad essere quel-lo che era nel periodo dell’Italia liberale.I partiti non strutturano più la propria leadership, ma sono il risultato dell’ag-gregazione di potentati personali, ovvero spezzoni di elettorato, organizzati come leader in determinati territori; così si spie-ga anche la loro capacità di scomporsi e ricomporsi. Sono partiti “mosaico” che si spostano da partito in partito e che con-tinuano a tutelare i propri interessi senza favorire nessuna costruzione di forti orga-nizzazioni partitiche. Il sistema politico si è sviluppato per 20 anni su berlusconiani eanti-berlusconiani, il punto è che il collante fra l’uno e l’altra cosa è moralistico, cioè l’anti-berlusconismo è moralistico e dun-que tutta l’opposizione fa leva sulla dege-nerazione.Perché il popolo preferisce votare per

CortocircuitoCortocircuito della politicanel “Sistema Abruzzo”

Dalle scosse giudiziarie alla crisi dei partiti:analisi a tutto campo di Francesco Boninianalisi a tutto campo di Francesco Boninidirettore del dipartimento di storia e critica della politica dell’Università di Teramo

È necessario un riassetto dei servizi pubblici, perché sono la cosa che è gestita dalla politica e che ricade direttamente sui cittadini

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l’anti-moralismo?Perché il popolo se ne “strafotte” del mo-ralismo. Tra l’altro il gioco delle campagne stampa è quello di mostrare che anche i moralisti sono a loro volta immorali, ge-nerando così una retroazione di ulteriore disaffezione del corpo elettorale anche da parte di persone per bene che disorien-tate, si sentono scoraggiate nell’andare a votare.In questo sistema si è insinuata la cor-ruttibilità?La corruttibilità è sempre esistita, ma ha assunto un ruolo importante in questo ventennio. Si sono aboliti sempre più i meccanismi che dovrebbero controllare qualità e gestione dell’operato politico. Il controllo di qualità e di gestione sono principi che appartengono alla scienza dell’amministrazione ma che paradossal-mente non vengono applicati in politica.L’Abruzzo?L’Abruzzo di per sé è una regione molto diffi cile da governare, ha una lunga storia fatta di inquisizioni e denunce, anche tutta la prima giunta fu inquisita dalla magistra-tura. Ci sono state solo due o tre legislatu-re che hanno avuto un solo Presidente di consiglio regionale, situazione questa che va avanti da 40 anni. La diffi coltà del go-verno regionale di gestire la legalità è data dal carattere accentuatamente pluralistico dell’Abruzzo. L’instabilità di governo, però, non è necessariamente un disvalore anzi, può rappresentare una risorsa per il siste-ma perché se gli assetti sono stabili per-mette, come dicono i politologi, di evacua-re le questioni urgenti. Questa condizione ha caratterizzato l’Abruzzo e tutta l’Italia fi no agli anni ‘90, ma quando il rapporto costi benefi ci non è stato più in grado di supportarsi il rischio è stato quello di mandare in cortocircuito il sistema.Come fare per restituire la legalità alla “Regione dei parchi”?L’accentuato localismo blocca il sistema della decisione. Sono presenti nel territo-rio delle reti molto forti che condizionano tutti coloro che hanno responsabilità deci-sionali. Il vero problema è quello dell’auto-nomizzazione del momento istituzionale che probabilmente è sempre stata molto diffi cile.Qual è la sua defi nizione di politica?Il buon governo per il bene comuneCome i politici percepiscono il loro la-voro, oggi?Come un mestiere con una sua dimen-sione professionale e dunque, vale per la

politica quello che vale per tutte le altre professioni. E’ anche vero però che un buon professionista è colui che fa etica-mente bene il proprio mestiere, arrivando a buoni risultati con corrette metodologie e con un’ispirazione eticamente alta. Il me-stiere del politico è molto diffi cile rispet-to alle altre professioni in quanto è facile intersecare aspetti culturali, psicologici ed emotivi che dovrebbero essere alle volte emarginati.Rapporto costi -prestazioni della poli-tica?Io sono cittadino romano, e sono a cono-scenza dell’uscita di una normativa che vieta la possibilità di avere retribuzioni più alte, da parte di dipendenti del comu-ne di Roma, rispetto al primo cittadino. Questo perché si è scoperto che diversi capi di aziende municipalizzate guadagna-no il doppio del sindaco. I politici sosten-gono di essere sottopagati perché i loro parametri sono i capi azienda. Ad esempio, l’amministratore dell’Unicredit, Alessan-

dro Profumo, ha avuto una liquidazione di 40.000 di euro, il presidente della provin-cia di Bolzano ha uno stipendio molto più alto rispetto al cancelliere della Germania federale; dunque ci troviamo di fronte ad una giungla retributiva dove ognuno ha i suoi parametri. In Italia, c’è una classe po-litica che è percepita, in questo momento, come sovra pagata rispetto alla propor-zione nazionale. Purtroppo, abbiamo avuto un ventennio dove si è creata un evidente disuguaglianza nelle retribuzioni. Il rappor-to all’interno delle aziende fra dirigenti e lavoratori si è spaventosamente alterato rispetto ad un periodo di benessere gene-ralizzato quale quello degli anni ‘70 e ‘80. Questo processo è partito in primis dalle aziende private e poi si è ripercosso anche nella pubblica amministrazione con una crescita esponenziale delle retribuzioni dei dirigenti che si differenzia dall’altra restan-te fetta dei lavoratori. Processi questi che hanno raggiunto dei livelli patologici sui quali si comincia ad intervenire già nel set-

tore privato, perché il rischio è quello della demotivizzazione con una conseguenziale scarsa volontà produttiva nelle altre fasce lavorative.E dunque?Da parte dell’opinione pubblica ci deve es-sere una presa di coscienza del fatto che se la forchetta si apre troppo, e le retribu-zioni diventano eccessive rispetto alle pre-stazioni, la nostra richiesta non deve esse-re quella di abbattere i costi della politica, invece dobbiamo esigere semplicemente una riduzione dei costi. In questo modo, noi non facciamo un discorso moralistico, ma facciamo il discorso che sosteneva San Tommaso, ovvero quello dell’incitare alla prudenza. No al moralismo sì alla “pru-dentia”: capacità di mettere insieme mez-zi e fi ni. La politica è ineffi ciente e quindi deve essere ridimensionata nel numero e nei costi, applicando quei parametri di effi -cienza che cerchiamo di mettere in pratica nella nostra vita domestica e nelle aziende “sane” che non vivono alle spalle del mer-cato o a debito. Il problema è che noi ab-biamo perso i parametri di riferimento e non abbiamo più nessuno che ce li ricordi.Chi dovrebbe controllare cosa?Il controllo è imputato al sovrano, e il so-vrano della democrazia è il popolo. Il po-polo si esprime direttamente attraverso i mass media e i suoi rappresentanti. Solo dopo subentrano tutte quelle realtà istitu-zionali e sociali attraverso cui il popolo si manifesta.Quali settori hanno il compito di vei-colare il controllo?Ci sono due responsabilità fondamentali: quella dei mass media e il sistema della for-mazione. Entrambe paradossalmente, nel tempo, hanno subito un destino opposto. In questi anni abbiamo avuto un ipertro-fi a del sistema della comunicazione, e un’ atrofi a del sistema della formazione, pro-cessi opposti che hanno avuto uno specu-lare risultato: la sostanziale assenza di una discussione critica. Avere eroso fi no ad eli-minare il prestigio sociale degli insegnanti e l’organizzazione scolastica, avviatasi negli anni 60, ha avuto degli effetti drammatici sul tono complessivo della vita sociale e sulla costruzione di meccanismi di con-trappeso e critici nei confronti della real-tà. Il discorso opposto è rivolto ai mezzi di comunicazione che hanno rischiato di diventare semplicemente dei megafoni di una politica debole con un abbassamento drastico dei tassi qualitativi. Proprio agli inizia degli anni ‘90 sono cambiati i para-

La politicaè una forma

esigente di carità(Papa Pio XI)

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metri dei linguaggi comunicativi, all’interno di un più generale scivolamento di atten-zione. Abbiamo sostituito alla qualità la quantità di carne esibita, ascolti e urla.Proviamo a dare delle soluzioni.Il punto di partenza dovrebbe essere quello relativo al pubblico servizio al livel-lo corrispondente di governo. È necessa-rio un riassetto dei servizi pubblici, perché sono la cosa che è gestita dalla politica e che ricade direttamente sui cittadini. Il problema sarebbe quello di riuscire set-tore per settore a parametrare i sevizi pubblici in ordine della loro responsabili-tà, perché le responsabilità sono ripartite tra regioni, Stato e comuni. Tra i pubblici servizi, la sanità, che tutto sommato in Ita-lia funziona bene, è la prima struttura da riorganizzare, per via dei suoi costi fuori parametro per varie questioni tra cui prin-cipalmente quelle morali. Poi i trasporti e le grandi infrastrutture. L’altra priorità, si trova all’interno del sistema politico, ed è quella relativa alla rappresentanza. Il siste-ma maggioritario non ha portato dei frutti particolarmente signifi cativi, ma allo stesso tempo era stato voluto per ovviare i pro-blemi che aveva posto il precedente siste-ma di carattere proporzionale. Il problema della rappresentanza è quello che lascia poco spazio alle prospettive dei giovani.Proprio loro, quali prospettive hanno?

Recentemente, ho fatto uno studio sulla presenza dei giovani, al di sotto dei 30 anni, alla Camera dei Deputati, ed il risultato è sconfortante. Analizzando il periodo che va dal ‘46 ad oggi il problema è stato progres-sivo. I giovani sono consapevoli che esiste una questione generazionale che diverrà critica quando scomparirà la generazione

dei nonni, i quali hanno delle buone pen-sioni per via del sistema retributivo. Que-sta nuova generazione si troverà davanti a genitori che saranno dei pensionati poveri al contrario di oggi. Avremo quello che c’era nell’Italia della prima metà del ‘900, ovvero dei pensionati poveri che interagi-ranno con degli adulti precarizzati tanto da formulare un’ origine sociale esplosiva.Il precariato è sinonimo di povertà?Non necessariamente. Il problema è che fi no ad ora ci siamo interessati di costruire tutto a debito, dunque abbiamo generato un sistema di previdenza che ha favorito solo determinate generazioni, e prima o poi questo conto verrà presentato a chi ci succede.Perché i giovani incontrano diffi coltà a entrare nel mondo del lavoro?I giovani possono farsi strada in due modi: o entrano per cooptazione o devono es-sere in grado di affermare qualcosa di nuo-vo. Il problema è che affermare qualcosa di nuovo è molto diffi cile, non ci sono le condizioni adatte, in quanto paradossal-mente bisogna avere “fame”. Nel corso degli ultimi decenni di grande abbondanza abbiamo smorzato questa fame, gli stessi giovani oggi, dopo aver avuto qualche guiz-zo, si accoccolano in una situazione di ren-dita e di conservazione. Tutto questo può anche essere un dato di fatto, non di per sé un aspetto negativo. Ci troviamo di fron-te ad una società conservatrice che non presenta delle generazioni rivoluzionarie o in grande fermento e dall’altro lato non ci sono grandi condizioni sistemiche che permettono il cambiamento. In un quadro globalizzato, più che le rivoluzioni ci sono le rivolte, come quelle avvenute nei secoli del ‘600 e ‘700, momenti in cui ci si in-fi amma, ma che non riescono a cambiare situazioni grandemente cristallizzate. La sindrome dovrebbe essere più quella della rivolta di “Ancien Régime”, che non quella della rivoluzione, che nel bene o nel male entra prepotentemente nel meccanismo. La strada da percorrere continua ad esse-re quella del fi lone democratico, che resta il sistema migliore nelle due direzioni: di output, cioè quella dei servizi che i governi a vari livelli producono e, quella dell’input, ovvero quella del circuito della rappre-sentanza. Il concorso per la successione a questo Governo si è aperto da qualche anno, e dunque alla prossima elezione pre-sidenziale, nel 2013, spetta il compito di giocare la vera partita.Quando è che l’ Italia stava meglio?

Uno dei migliori periodi fu quello dell’età Giolittiana, nei primi decenni del secolo, momento di grande espansione anche se gli intellettuali si lamentavano che il Pa-ese era “un’ Italietta” troppo modesta. Successivamente scoppiò la prima guerra mondiale. Si stava bene anche nella metà degli anni ‘30, con una certa assuefazione alla dittatura fasciata, che ha portato a generare nel fascismo la presunzione di completare quei meccanismi di carattere totalitario, che era nel suo germe. Mi fanno ridere però quelli che dicono che Musso-lini è stato un “grandissimo” fi no a quando non ha deciso di entrare in guerra. Lui è partito con questi presupposti e non po-teva far altro che seguirli. Anche il periodo della ricostruzione fu un bel periodo, fi no agli anni ‘60, poi tutto cambiò con la cri-si petrolifera del ‘73. Un altro periodo di “vacche grasse” è stata la metà degli anni ‘80, ma fu proprio allora che si smise di investire, decidendo di vivere di rendita. Ecco il motivo per cui adesso ci troviamo in queste condizioni.Un messaggio ai politici?Devono fare scrupolosamente il loro do-vere. Andreotti racconta che quando De Gasperi uscì dal colloquio con il re Um-berto II, di cui si doveva decidere l’ abdi-cazione, De Gasperi disse: “A me perso-nalmente non interessa nulla, quello che conta è l’unità morale del paese”. Credo che questo possa essere un messaggio rivolto ai politici: ci vuole un certo disin-teresse personale per svolgere questo lavoro. Ciò non signifi ca non esigere la remunerazione che un buon professioni-sta può avere, ma ci deve essere una certa assenza di interessi personali. Credo che questo, in linea generale, debba essere un principio utile per tutte le professioni.Una citazione che le è rimasta impres-sa riguardo la politica“La politica è una forma esigente di carità” (Papa Pio XI). Devono essere presenti delle forti motivazioni ideali, in quanto la politica non è solo pragmatismo, ma è investita anche di energie spirituali e mo-rali che fanno sì che un popolo si senta coinvolto in obiettivi di crescita. E’ fonda-mentale una forte dimensione valoriale. Ma di questi tempi credo che il rischio sia quello di corrompere questa componente morale anche sovraesponendola troppo. In questo momento, accontentiamoci di raggiungere obiettivi minimi.

Alcide De Gasperi( presidente del Consiglio 1945/53 )

DANIELA MANTINI

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“Nato e cresciuto a Teramo”. Roberto Ricci, laureato in legge, esperto in diritto internazionale, inizia così il racconto del-la sua vita che lo ha portato a ricoprire l’incarico di funzionario dell’Alto Com-missariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani: “Come spesso accade, sono fi nito all’ONU un po’ per sbaglio, perché la vita ti sorprende, ti fa prendere strade diverse da ciò che sembra apparentemente presta-bilito”.“Dopo la laurea in giurisprudenza, - pro-segue nel racconto - andai a Edimburgo per imparare l’inglese , lì conobbi una ragazza olandese di cui mi innamorai e sono rimasto invece di andare in Spagna per imparare anche lo spagnolo. In quel periodo frequentai anche un Master in Di-ritto Internazionale e Diritti Umani. La mia aspirazione era il volontariato nel campo dell’aiuto umanitario, ma quando mi propo-si alle organizzazioni, mi dissero che il mio curriculum non era propriamente adatto ‘a scavare pozzi, dove invece è necessario saper scavare’. Quindi, facendo buon viso a cattivo gioco, ho cercato di sfruttare al meglio il master in diritto internazionale specializzandomi e frequentando altri cor-si, anche perché, tornato in Italia, mi scon-trai con quella che è purtroppo una brutta caratteristica italiana, e cioè che tutto ciò che fatto all’estero non vale. La delusione delle mie aspettative derivata soprattutto dalla logica delle ‘raccomandazioni’ che spopolava in quegli anni e a cui non sono mai riuscito a piegarmi mi spinsero addirit-

tura a chiedere di rinunciare al passaporto italiano. Nel frattempo ero senza lavoro, affi ancai Gigi Montauti nel suo progetto della Coppa Interamnia, esperienza di cui ho un bellissimo ricordo. Bellissima perso-na lui, bellissima l’idea dietro al progetto. Il valore del messaggio dello scambio e dell’incontro di diverse culture. Comun-que, grazie agli studi e alle lingue, riuscii all’inizio degli anni ‘80 a incontrare delle persone che lavoravano in organizzazioni non governative e con il Centro Volonta-ri Marchigiani andai a lavorare due anni a Hong Kong sempre nell’ambito dei dirit-

ti umani. Anche quella fu una bellissima esperienza. Successivamente, lavorai alla campagna internazionale contro le mine. In quella occasione ebbi modo di incontrare Gino Strada. Lui è stato un po’ il mio tu-tore. Stava fondando Emergency e con lui si aprirono tante porte e cominciammo a lavorare e parlare di diritti umani a livello internazionale. Poi la crisi economica del ‘94 portò ad una drastica riduzione di fon-di per le ONG, perché in genere quando ci sono momenti di crisi si taglia soprat-tutto sulla società civile e nonostante il mio fosse un lavoro di volontariato, rimasi

Sede delle Nazioni Unite (ONU)a Ginevra

Rapportodalle “zone calde”“zone calde”Roberto RicciRoberto Riccifunzionario dell’Alto Commissariatodelle Nazioni Unite per i Diritti Umaniporta le sue testimonianzeporta le sue testimonianzedalle regioni al centro dei confl itti dalle regioni al centro dei confl itti mondialimondiali

DI MIRA CARPINETA

la vita ti sorprende ti fa prendere strade diverse

da ciò che sembraapparentemente

prestabilito

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comunque fermo e per un breve periodo tornai a Teramo dove lavorai per il fotogra-fo Lagalla.”Ma l’obiettivo di Roberto Ricci è tornare ad occuparsi di volontariato così continua a frequentare corsi di preparazione e in occasione di un convegno internazionale a Strasburgo, sulla via del ritorno, a Ginevra, incontra una persona che lavora alle Na-zioni Unite: “Questa persona visionò il mio curriculum- riprende a raccontare Roberto - e mi propose di partire per il Rwanda. Accettai e nel settembre del ‘94 partii per il paese africano, dove un terribile confl itto interetnico, fi nito in genocidio, aveva lascia-to un paese che defi nire devastato è un eufemismo”.Cosa può raccontare di quella esperien-za?“È stato traumatizzante prendere atto della terribile situazione. Ho visto gli effetti della violenza più aberrante sia sulle vittime che sui soccorritori. Nelle situazioni di estrema emergenza, come quelle in cui ho lavorato, non è possibile defi nire o prevedere i comporta-menti delle persone per quanto esse siano preparate. Parlo di volontari, militari, soc-corritori, che seppur preparati all’orrore che dovevano affrontare, ne hanno porta-to i traumi per molto tempo. Ho visto uomini forti come i militari crol-lare, perdere il controllo, traumatizzati in modo defi nitivo ma anche giovani infer-miere, ragazze apparentemente fragili che invece si sono rivelate estremamente effi -cienti.Di zone “calde” nel mondo ce sono an-

cora tante… “Sì, da allora sono entrato nell’Alto Com-missariato dell’Onu per i Diritti Umani e ho continuato a lavorare in altre zone ‘cal-de’: in Iugoslavia dal ‘96 al ‘98, a Vukovar, a Zagabria, in Bosnia, ovunque ho assistito a scene molto cruente”.Cosa è cambiato nel suo lavoro, dopo l’11 settembre?“Il diritto internazionale si ispira al princi-pio che l’essenza umana debba assoluta-mente essere rispettata. Nel dopoguerra le nazioni agivano in ossequio a questo principio e c’era una uniformità di com-portamento internazionale, ma dopo l’11 settembre questo principio sembra sempre più spesso ignorato, in nome di una lotta che non riconosce più regole, ma deroghe”.Oggi sembra ci sia una forte mobilita-zione di aiuti, organizzazioni, agenzie che si muovono in risposta di eventi sia naturali che bellici. Secondo lei, va tutto a buon fi ne?“Ci sono organizzazioni, come la Croce Rossa, Emergency, Medici Senza frontie-re (che ho visto personalmente all’opera) estremamente effi cienti e spesso risolutive in questi casi. Sono strutture che conosco-no perfettamente come agire nel modo più utile possibile e a volte sono anche l’unico presidio di aiuto, ma non c’è dubbio che l’intervento internazionale è diventato un business e anche se nel nostro settore (dei diritti Umani) non ci sono soldi, ci sono tantissimi sciacalli che approfi ttano di que-ste organizzazioni. A mio avviso sono troppe e spesso fanno solo riunioni dove non si parla di nulla”.

L’ONUL’ONUe i diritti umaniL’Organizzazione delle Nazioni Unite è la più importante ed estesa organizzazione intergovernativa, sono infatti suoi membri 192 Stati del mondo su un totale di 201. Le Nazioni Unite hanno come fi ne il conseguimento della cooperazione internazionale in materia di sviluppo economico, progresso socioculturale, diritti umani e sicurezza internazionale. La sede centrale delle Nazioni Unite si trova a New York (USA). L’attuale Segretario Generale è Ban Ki-Moon che ha sostituito Kofi Annan il 1º gennaio 2007.Documento storico, molto importante, prodotto dall’ONU, sull’onda dell’indignazione per le atrocità commesse nella Seconda guerra mondiale, è la Dichiarazione Univesale dei Diritti Umani fi rmata a Parigi il 10 dicembre 1948.

“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.“ (art. 1)

www.un.orgwww.onuitalia.it

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MartinsicuroMartinsicuroil turismo e non soloIl sindacoIl sindaco Abramo Di Salvatore Abramo Di Salvatore lancia le sue sfi delancia le sue sfi de senza dimenticare l’ospedale di Sant’Omero da salvarel’ospedale di Sant’Omero da salvare

Abramo Di Salvatore, avvocato, dopo quindici anni di assenza dalla scena politica e venti passati a ricoprire i ruoli di consigliere e assessore a Martinsicuro nonché assessore alla Provincia dal 1980 al 1985 con la giunta Salini, dal maggio 2007 è primo cittadino di Martinsicuro.Nonostante la “bella vittoria” però, “ci si trova ad affrontare una dura realtà”, sostiene, in un paese eterogeneo che conta ben 17500 abitanti, tra sicurezza ai cittadini, ambiente e turismo.Sindaco, quali misure sono state prese in àmbito sicurezza, tema sempre d’attualità, per Martinsicuro?“Da quando sono stato eletto, abbiamo senza dubbio messo mano alla sicurezza del paese. Qualcosa di concreto è stato fatto con l’impiego, l’anno scorso, di forze della Polizia di Stato per tutta la stagione estiva e l’impiego quest’anno di alcuni uomini della polizia supportata dai carabinieri, a seguito dell’accordo con i comuni di Alba Adriatica, Tortoreto e Giulianova. Hanno operato in maniera meritevole e di plauso e si è percepito di fatto un mag-gior senso di sicurezza tra i cittadini e i turisti soprattutto, di cui quest’anno si è registrata una elevata affl uenza”.Una questione di cui si sente spesso parlare, ultimamente balzata alla cronaca quotidiana dopo il taglio di alberi nella zona del Tronto, è senza dubbio quella della prostituzione.“Personalmente ho partecipato a tutti gli incontri della commis-sione provinciale sull’ordine della sicurezza e devo dire che ci si sta muovendo ad ampio raggio. Io stesso ho emesso delle or-dinanze per arginare l’attività della prostituzione nei condomini. Per quanto riguarda gli articoli critici che sono usciti sulla pulizia di un’area verde del lungo Tronto, anche se l’area ‘colpita’ non fa parte del Comune di Martinsicuro, credo che si sia ridicolizzato un po’ l’affare dicendo che ‘per combattere la prostituzione si ta-gliano gli alberi’. Non è così. Mettere in ridicolo un’operazione di pulizia e taglio di sterpaglie anche per far fronte in qualche modo al problema prostituzione è poco produttivo.

Dopotutto una tale questione, per la sua complessità, deve essere affrontata principalmente da un legislatore perché poco possono fare i sindaci in tal senso. L’attività della prostituzione può e deve essere regolamentata”.Quali sfi de affronta Martinsicuro per il turismo?“Stiamo innanzitutto cercando di allacciare un discorso con gli operatori del settore e sensibilizzare chi affi tta appartamenti ad operare nel migliore dei modi. Esiste un nuovo piano spiaggia da portare in consiglio comunale entro l’anno che darà la possibilità di creare belle strutture otre a quelle sorte di recente. Il turismo resta un discorso comunque complesso, ma credo che se riu-scissimo a garantire a Martinsicuro una migliore sicurezza sociale sarebbe una importante passo avanti. Inoltre, educando i cittadi-ni alla collaborazione e ad una maggior sensibilità nei confronti dell’ambiente possiamo raggiungere dei buoni risultati”.Come state sfi dando il fenomeno dell’erosione della costa?“Siamo intervenuti con un ripascimento morbido tra la zone cen-trale di Martinsicuro e la frazione di Villa Rosa, grazie a un fi -nanziamento da parte della Regione. Alla stessa Regione abbiamo chiesto 200 mila euro di fi nanziamento per intervenire urgente-mente e rafforzare le barriere lungo la costa o altrimenti la nostra città rischia di essere inghiottita dall’acqua”.La sua opinione sulla privatizzazione dell’ospedale di Sant’Omero.“Credo che l’ospedale vada salvato per mille motivi e per evitare questa osmosi che vede l’utenza abruzzese sconfi nare nelle Mar-che. Se la privatizzazione parziale rappresenta uno dei modi per poter salvare la struttura, a me sta bene. L’importante è che la Regione si muova in questo senso. Dobbiamo accorciare i tempi se vogliamo che l’ospedale non perda, oltre all’utenza, la sua validità”.

MANOLO CIPRIETTI

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Antonio Di Giustino è sindaco di Pie-tracamela, cioè di uno dei borghi più belli d’Italia. Ma è anche medico chi-rurgo (ha “posato” il bisturi da pochi anni) nonché presidente della Piccola Casa S. Maria Aprutina di Teramo, re-altà sociale e religiosa attiva nel cuo-re della città. Uomo molto impegnato, quindi, ma molto disponibile e cordiale. Forse un po’ decisionista, ma anche amministratore prudente e attento. Lo incontriamo nell’ operosa sede della Piccola Casa, la cui conduzione è affi -data ad una decina di suore coadiuvate da ben 22 dipendenti, distribuiti tra le varie mansioni. La struttura – per sta-tuto- ha ampliato negli anni le proprie fi nalità di Fondazione di religione. Di Giustino sottolinea che, con i compo-nenti del consiglio di amministrazione, agisce nel più completo volontariato. E’ grato alla Fondazione Tercas che, con un signifi cativo intervento fi nanziario, ha permesso l’ esecuzione dei lavori (in corso) di ottimizzazione dei servizi.Come primo cittadino di Pietracame-la è fi ero per alcune realizzazioni (la digitalizzazione del paese) e per una serie di attività distribuite sul territo-rio (esteso per ben 44 km quadrati ) evidenziate dai 38 cantieri aperti. Subi-to, però, esterna la sua attenzione per le necessità legate al dopo-sisma che

vede anche gli uffi ci comunali “trasfe-riti” nella vecchia sede. A parte i pro-blemi e le soddisfazioni di ogni sindaco, sono le peculiarità del territorio che fanno concentrare energie e program-mi verso il turismo e il sociale (302 gli abitanti, non tutti dimoranti, mentre d’estate e nel periodo dello sci non ba-stano i 1000 posti letto che le struttu-re alberghiere offrono, fra paese e Prati di Tivo, a parte le tante seconde case).Questi i principali programmi ‘in can-tiere’ che, in sintesi, elenca:-trasformare il turismo ‘mordi e fuggi’ in turismo residenziale;-attuare pienamente il nuovo PRG (ap-provato dopo 45 anni rispetto al pre-cedente);-collegare (un sogno ?) l’autostrada dei Parchi con i Prati di Tivo;-intensifi care il già stretto rapporto con l’ente Parco Gran Sasso-Monti della Laga.Prima di salutarci, sottolinea la soddi-sfazione di ricordare che Pietracame-la ha una farmacia aperta tutto l’anno, l’uffi cio postale, un medico di base ed una fi liale di banca. E che registra una elevata longevità di chi vi abita, grazie all’aria pura che si respira sotto lo “sguardo” del Gran Sasso, la cui cima più elevata (2914 metri slm) ricade in territorio del “suo” Comune.

PietracamelaPietracamela“residenziale”No al turismo mordi e fuggi.No al turismo mordi e fuggi. Le iniziative del sindaco Di Giustino

DI ROPEL

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Un vecchissimo mulino, in località Nuovo Molino San Nicola, acquistato negli anni ‘80 da Giancarlo Mariani e successivamente ri-strutturato, rischia di deteriorarsi e non essere più patrimonio storico culturale del nostro territorio. Con una torre merlata e un portico ad otto colonne sul davanti, con una parte che probabilmente risale al periodo romano, prima dei lavori presenta-va la torre crollata ed il portico chiuso. Ci racconta Mariani che a guardarla sembra-va una comune casa colonica, invece, nel corso dei lavori di restauro si è scoperto questo piccolo gioiello nostrano. La torre è stata ricostruita ed autorizzata dagli or-gani competenti anche grazie a prove foto-grafi che dell’epoca. Il mulino a pian terreno una volta restaurato è stato anche meta di visite scolastiche ma, adesso, tutto que-sto si sta perdendo. Da tempo non è più fruibile neanche dallo stesso proprietario, perché si allaga ogni volta che scendono piogge copiose. A seguito di lavori di ma-nutenzione stradale effettuata da operai della provincia, risalenti al 2003, l’acqua

che defl uiva da un passaggio sotto la stra-da adesso ha la via di fuga ostruita. Lavori probabilmente necessari, che da una parte arrecano giovamento alla viabilità e per-mettono di superare il passaggio a livello agevolmente, dall’altra provocano danno a un patrimonio di tutti. La struttura presen-ta allo stato attuale un pavimento in cotto, non più riconoscibile sotto lo strato di fan-go. “Il mulino - racconta Mariani - subisce dai 10 ai 15 allagamenti all’anno”. Tinteg-giatura ed intonaci risultano vistosamente danneggiati dall’umidità. Ad accrescere il problema scopriamo la presenza una sor-gente naturale proprio vicino al mulino. In passato, forse proprio questa sorgente pe-renne di acqua potabile, permetteva al mu-lino di funzionare e fungeva da fonte per gli abitanti del posto. L’ostruzione dell’antica predisposizione creata appositamente per far defl uire le acque, ancora visibile da un lato della strada, ad ogni pioggia aumenta i danni all’antica costruzione. Se si continua così potremo solo perdere un pezzo della nostra storia.

Ma il mulino non macina…non macina…

Eppure sono stati compiuti lavori di ristrutturazione. Una pagina di storia a rischioUna pagina di storia a rischio

DI DANIELA PALANTRANI

Pessimecondizioni della strada

Particolare della torre del mulino

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La Val Vibrata presenta scenari bellissi-mi, riassumendo in sé le dolci colline marchigiane e la “terra buona” abruz-zese. I borghi medievali sono stupen-di anche se visti dal rutilante mondo della strada provinciale del Tronto, sì proprio quella: con la loro posizione in cima al monte sembrano delle donne ammiccanti girate di tre-quarti, di gran-de fascino e magnetismo.Altrettanto eccezionali anche i vigne-ti da cui ammirare da un lato il Gran Sasso, dall’altro i Simbruini ed il mare Adriatico.Controguerra è uno di questi paesi, au-todefi nitasi negli ultimi tempi “città del vino”. In molti sapranno che in tv c’è un grande andirivieni di sommelier i quali, assaporando una qualunque bottiglia, sentono sapori di “fruttato e lamponi”, ma così si rischia di far credere ai più semplici che bere sia una cosa sacro-santa. Un produttore di vini, a chi gli chiedeva come contrastare il fenome-no devastante dell’alcolismo, è arrivato a dire: “Non m’interessa se la gente beve il mio vino, l’importante è che lo compri”. Chi è dipendente dall’alcol –secondo l’OMS è suffi ciente mezzo litro al giorno - non sente i sapori di rose alpine, ma lo fa inizialmente per affogare nella bottiglia i suoi problemi, e pian piano non sa più farne a meno.

Infanzia diffi cile, timidezza e paure con-tribuiscono all’avvicinamento al vizio.Questi soggetti diventano smemorati, bugiardi, egoisti, sempre meno pronti di rifl essi, disonesti con se stessi e gli altri.Andando avanti, si diventa sempre più dipendenti –come il cane che si morde la coda- perché la voglia è causata dai residui tossici che restano nel corpo.L’alcolismo è una malattia a tutti gli ef-fetti ed una minaccia per la vita.Diecimila morti l’anno solo di cirrosi, disfunzioni renali, cardiache, retinopa-tie proliferanti agli occhi sono informa-zioni suffi cienti per far smettere chiun-que. Spesso, inoltre, questo nemico mortale è utilizzato per “scaldarsi” se fa freddo: effettivamente la sensazione di calore c’è, ma in realtà la temperatu-ra corporea scende. Gli altri rischi indiretti sono gl’incidenti sul lavoro, stradali, domestici, compor-tamenti violenti e suicidi. I sintomi fi si-ci di astinenza dalla bottiglia possono essere peggiori di quelli sperimentati nell’astinenza dalla droga, da cui non si differenzia. Qualcuno dovrebbe quindi ripensare a certe defi nizioni che con-tribuiscono a giustifi care comporta-menti non proprio ortodossi.

IVAN DI NINO

VinoVinoal vinoal vino

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Una cerimonia, semplice ma pur sempre solenne, partecipata con serietà e commo-zione,ha visto –per la decima volta – militari dell’Arma dei Carabinieri (in servizio e, molto numerosi, in congedo) e rappresen-tanze di altri Corpi, autorità locali e pro-vinciali, civili, militari e religiose, riuniti per un evento molto importante. Infatti, si è rievocata una brutta pagina della storia locale allorché, coinvolgendo anche la vicina Valle Castellana, truppe tedesche fucilarono tre carabinieri ed un sergente degli Alpini. L’incontro, organizzato dalla

sezione di Teramo dell’Associazione Na-zionale Carabinieri - intitolata proprio ai martiri di Sella Ciarelli- ha visto una mas-siccia partecipazione di cittadini (oltre 1000 le persone presenti) a testimonianza ulteriore che il dolore di quei giorni, di 67 anni fa, è memoria viva e ammonimento per le nuove generazioni. Con grande so-lennità si è proceduto all’alza bandiera, alla celebrazione di una S. Messa in suffragio, all’esecuzione dell’inno di Mameli e alla de-posizione di corone di alloro.Il sacrifi cio dei quattro giovani non sarà mai dimenticato.

( CARBONI) deposizione della corona commemorativa

Commemorati i martirii martiridi Rocca S. Mariadi Rocca S. Maria

foto ( CARBONI) DI ROPEL

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Recente il settantesimo anniversario della fondazione del corpo dei Vigili del Fuoco così come l’insediamento a Teramo del nuovo comandante, ing. Daniele Centi. I Vigili del Fuoco sono da sempre uno dei corpi più “vicini” alla popolazione proprio in virtù del tipo di interventi che attuano. Il comandante spiega che “compito istituzionale dei Vigili del Fuoco è proprio fare soccorso tecnico urgente”. Avete un territorio molto vasto da coprire, dal mare alla montagna. “Il comando di Teramo è costituito da sede centrale, Distacca-mento permanente di Roseto degli Abruzzi, nell’ambito del quale si trova anche il nucleo sommozzatori, e distaccamento di Ne-reto. Un’area da coprire molto estesa, cerchiamo di far fronte alle necessità al meglio, con quello che è il nostro organico. Organico che dovrebbe es-sere rinforzato, sia con un prossimo invio di sommozzatori che andranno a rimpinguare il nucleo di Roseto, e a gennaio auspichiamo un’assegnazione cospicua di personale, a se-guito dell’ultimazione dei corsi che si stanno effettuando. Il comando si avvale anche di collaborazione di Vigili del Fuoco volontari discontinui che vengono richiamati secon-do le esigenze. L’utilizzo di tale strumento consente di sopperire a carenze di perso-nale, perché è possibile integrare una unità discontinua in una squadra. Normalmente c’è una squadra al distaccamento di Rose-to, una al distaccamento di Nereto e due al Comando di Teramo, fermo restando che in caso di calamità di una certa consistenza è possibile fare il richiamo di personale libero dal servizio o addirittura chiamare i comandi limitrofi in appoggio”. Come vengono scelte le persone da chia-

mare come discontinui?“Vengono fatte delle disposizioni di servizio e periodicamente vengono richiamati i Vigili Discontinui di cui il comando ha un elenco con una graduatoria. Le chiamate sono funzione della gra-duatoria stessa”. Ci sono donne nel personale?“Si, da poco è stato chiuso un corso per cui avremo 3 donne Vigili del Fuoco discontinue”. Come si diventa Vigili? “Attraverso un concorso. C’è stato in particolare un Bando che ha consentito l’immissione di Vigili del Fuoco discontinui in base a certi requisiti. Di norma non è così, sono delle eccezioni. Si tratta di momenti storici, che dipendono dall’insieme di tanti fattori: i

Governi, l’economia, la carenza di personale in quel determinato periodo. Normalmente, si entra per concorso pubblico e le prove da superare sono tante, la selezione è severa, ci sono anche dei requisiti fi sici e sanitari da rispettare”.Vengono fatti aggiornamenti a personale ed ai mezzi? “Nel nostro corpo la formazione è conti-nua. Per poter stare al passo con i tempi ed essere in grado di affrontare al meglio qualsiasi evenienza, si fanno aggiornamenti a tutti i livelli: nella prevenzione, corsi per con-seguimento patenti, corsi per TAS una nuo-va disciplina: topografi a applicata al soccor-so. L’abbiamo visto operare nell’emergenza aquilana lo scorso anno e si è visto quanto può essere utile un sistema di questo tipo, con cartografi a, fondamentale per il soccor-so, tanto che anche altri enti venivano da noi per acquisire le informazioni necessarie. I VF sono una entità in divenire, mai statico. Anzi,

Vigili del fuocoVigili del fuocoamici del territorioamici del territorio

Parla il comandante Daniele Centicomandante Daniele Centiche fa anche alcune previsioni

DI DANIELA PALANTRANI

Daniele Centi(comandante VF sezione Teramo)

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sorgono nuove discipline, nuovi nuclei spe-cialistici. I mezzi, alla stessa stregua di quelli civili, periodicamente vengono sottoposti a revisioni ed aggiornamenti per mantenerli funzionali”. C’è grande cameratismo tra i VF, vero? “Più che di cameratismo parlerei di forte spirito di squadra, spirito di corpo, che è un aspetto direi fondamentale. Ogni squadra è composta da 5 unità e se anche nel quotidiano o nella vita extra la-vorativa non si è amici, durante il lavoro questo aspetto viene annullato. Si lavora insieme ed affi atati per raggiungere un uni-co fi ne, durante un intervento c’è bisogno dell’aiuto e dell’apporto di ciascuno dei componenti, si è appunto una squadra”. Per il trasferimento completo nella sede ex Caserma Grue? “Ho fatto una previsione in merito a quel-lo che erano le situazioni poco più di un

mese fa, dicendo gennaio febbraio 2011. E’ chiaro che questo dipende anche da al-tri fattori, che sono legati a fi nanziamenti, contratti e tutta una serie questioni che si stanno defi nendo in questi giorni. Poi biso-gna formare il personale per le sale ope-rative di nuova concezione e generazione. Non è semplice, ma il mio impegno per risolvere al più presto la questione è mas-simo. Comunque tutto il personale si potrà trasferire non appena sarà funzionante la nuova sala operativa. Esistono ancora due o tre edifi ci della vecchia caserma Grue che meriterebbero di essere ristrutturati, ma anche qui è una questione di fondi. Il primo obiettivo è la sala operativa, poi cer-cheremo di reperire risorse per fare anche il resto. Probabilmente, a breve inizieranno i lavori di sistemazione del piazzale, rifacimento del manto di asfalto e segnaletica”.

Lo staff di Teramo durante una pianifi cazione di intervento

Non solo interventi a terra con mezzi su quattro ruote

Simulazione di intervento di incidenti in galleria

Vigili del FuocoVigili del Fuocoinfo utiliinfo utiliIl Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco, prima frammentato nei vari corpi comunali, nasce come tale con il Regio Decreto Legge del 27 febbraio 1939, successivamente convertito in Legge 1570 del 27 dicembre 1941, ed è chiamato inizialmente “a tutelare la incolumità delle persone e la salvezza delle cose, mediante la prevenzione e l’estinzione degli incendi e l’apporto di servizi tecnici in genere, anche ai fi ni della protezione antiaerea”. Comando Provinciale TeramoVia Cadorna 47 - 64100 (TE)TEL: 0861.32341FAX: 0861.3234234

tel. 115115

Vigili del Fuoco TeramoVigili del Fuoco Teramowww.vigilfuoco.it/sitiVVF/teramo/www.vigilfuoco.it/sitiVVF/teramo/

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Paterna Patrizio avvia nel 1978 un’ attività specializzata in im-pianti elettrici e tecnologici, allarmi, automazione e condiziona-mento, operando nel settore civile ed industriale. Anni dopo en-trano in azienda i due fi gli Alessandro e Andrea: nasce la Electric Power srl. La ditta cresce, fi no ad arrivare ad avere dipendenti specializzati in tutti i settori. Negli anni di attività l’esperienza dell’ azienda la porta a lavorare per musei, questure, prefetture, banche, ospedali, chiese,centri commerciali, negozi di griff e tanti altri enti publici e privati. Alcuni esempi tra questi sono: Palazzo Venezia (Roma), Museo Crocetti (Roma), Pinacoteca Civica di Teramo, Banca di Teramo.

Oltre a continuare a lavorare nel campo degli impianti elettrici la Electric Power srl si orienta, al passo con i tempi verso le energie rinnovabili, in particolare approfondisce la conoscenza del fotovoltaico, divenendo in breve tempo riferimento di ec-cellenza nella realizzazione di impianti sia a terra che su lastrico solare. Le referenze ad oggi contano oltre 61 impianti realizzati.Un incontro nel mondo del fotovoltaico fa si che Electric po-wer srl defi nisca un accordo di collaborazione con Energy Busi-ness spa con sede in Trento, general contractor che si avvale di partners del calibro di BP Solar (di cui è installatore certifi cato) Kaco, Grisenti, Conecon, Rodogas e Grekor.

La famigliaal centro dell’aziendaCura e competenza rivolte al clienteCura e competenza rivolte al cliente

comunicazione aziendale

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LA FAMIGLIALA FAMIGLIApreziosa e dimenticatapreziosa e dimenticata

I numeri delle I numeri delle famiglie teramanefamiglie teramane

Mentre il governo fi ssa “l’equiparazione tra fi gli legittimi e naturali” “odiosa e ana-cronistica discriminazione che andava a colpire i più piccoli”come ha commentato il Ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, eccoci a parlare di famiglia. Un nucleo complesso, minuscolo o dilatatissi-mo che condiziona, nel bene e nel male, la vita di ciascuno. Abbiamo sentito gli stu-diosi della materia, ma raccolto anche le storie private di teramani che dichiarando-si apertamente o scegliendo pseudonimi, raccontano i loro giorni. Passati e presenti, facili, diffi cili, complessi o armonici. In ogni caso alla ricerca dell’amo-re. Fondamento, è inutile tentare di negar-

lo, di ogni famiglia. E se ancora il governo afferma che è dovere dei genitori “amare i propri fi gli” così è vero il contrario. Anche se sembra tutto scontato. “Se un albero dovesse scrivere – dice il poeta Gibran- la sua autobiografi a, questa non sarebbe mol-to diversa da quella di una famiglia”.Con rami che talvolta seccano e scivolano malamente a terra, ma spesso rispuntano più vigorosamente. Basta avere pazienza. Aspettando con fi ducia quella “gemma” che arriverà, prima o poi, a rinverdire il tronco. Scontata anche la speranza. Ma ben poco ci resta, girando lo sguardo.

T.M.

Separazioni consensualiSeparazioni consensuali351351

385385412412

Separazioni giudizialiSeparazioni giudiziali157157

152152163163

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StatisticheStatistichedivorzidivorziScioglimenti e cessazioni eff etti civili del matrimonio su ricorso congiunto:180 (2007) 200 (2008) 205 (2009)Scioglimenti e cessazioni eff etti civili del matrimonio giudiziali:67 (2007) 87 (2008) 79 (2009)

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Forti e feliciForti e felici verso il futurofuturo

In Italia in 20 anni siamo passati da circa 317 mila matrimoni all’anno a 258 mila. Chi si sposa sceglie sempre meno il rito reli-gioso (dall’87 al 71,5%), a favore del rito civile (dal 13 al 28,5%). Le coppie convi-venti in dieci anni sono più che raddoppia-te (dall’1,6 al 3,9%). Le separazioni sono in crescita (da 30.899 nel 1981 a 81.744 nel 2003), così come i divorzi (da 12.606 a 43.856). Aumentano le famiglie monogeni-toriali (da 1.546.000 a 1.972.000) e quelle di genitori separati o divorziati (da 372 mila a 653 mila), i nuclei composti da una sola persona (dal 10,6 al 25,4%) e quelli di due componenti (dal 19,6 al 25,8%). Re-stano stabili le famiglie ricostituite (dal 4,2 al 4,8%).L’Italia è agli ultimi posti in Europa come numero di fi gli per donna (la media italiana è di 1,32 contro quella europea dell’1,52). La nascita del primo fi glio è sempre più po-sticipata (33,3 anni per gli uomini, 28,7 per le donne) e nascono sempre più fi gli fuori dal matrimonio (nel 1981 erano il 4,4 nel 2003 il 13,6%).I dati presentati dal Rapporto “Evolu-zione della famiglia in Europa” pubblicato dall’Istituto di Politica Familiare (Ipf) due anni fa sono ancora attualissimi: L’aborto è diventato – si legge nel rapporto – “la

principale causa di mortalità in Europa, ben al di là delle altre cause di mortalità ‘ester-ne’ come suicidi, incidenti stradali, droga, alcolismo, aids, come pure delle malattie”.Un bambino su tre nasce ormai fuori del matrimonio, e nel 2005 è stato questo il caso di 1.893.000 nascite. La percentuale dei bambini nati da genitori non sposati varia da un 55% in Svezia al 45% in Fran-cia e al 14,9% in Italia fi no al 4,9% della Grecia. Nel medesimo tempo l’età media della prima maternità è aumentata fi no a sfi orare i 30 anni; in questo l’Italia è vicina alla media mentre la Spagna (30,9) registra la maternità più tardiva e tra i grandi Paesi la Polonia (27,9) la più precoce.L’aumento della popolazione è ormai do-vuto quasi esclusivamente all’immigrazione nell’insieme dell’Ue, e in quasi tutti i Venti-sette è diventato la base della (modesta) crescita demografi ca. Sull’aumento di 19 milioni di cittadini registrato nell’Ue tra il 1994 e il 2006 quasi 15 milioni – pari al 69% – sono immigrati. Questa sproporzio-ne è aumentata negli ultimi anni quando nel 2000-2006 l’89% dell’aumento de-mografi co di 13,2 milioni è stato dovuto all’immigrazione. Italia e Germania hanno potuto evitare il calo demografi co unica-mente ricorrendo all’immigrazione mentre

solo Francia e Olanda hanno accresciuto la loro popolazione anche a prescindere dall’affl usso di immigrati. La tendenza – se non si correrà ai ripari – indica una stagna-zione demografi ca fi no al 2025, anno in cui l’Europa comincerà lentamente a spopo-larsi. L’invecchiamento della popolazione dell’Ue procede inesorabile. Nel 1980, su 100 europei 22 avevano meno di 14 anni mentre 13 avevano superato i 65. Nel 2004 le due classi d’età hanno raggiunto il pareggio al 16,5%. Dal 2005 la proporzione si è invertita e continua ad aggravarsi. L’Italia, con il 14,2% di giovani, è il Paese che ne ha meno e si trova a molte lun-ghezze dall’Irlanda, il Paese che ne ha di più (20,7%). Un italiano su cinque ha più di 65 anni e davanti a Germania e Grecia l’Italia ha la più alta percentuale di anziani (19,4% della popolazione).Nonostante tutto però – e a fronte della violenza nelle famiglie, così sovraesposta nei massmedia - noi siamo convinti che “il futuro dell’umanità passa per la famiglia”. In un’epoca che conosce la precarietà e l’anonimato. cos’altro se non la fami-glia può offrire fi ducia e stabilità affet-tiva? Ce lo hanno confermato i ragazzi dagli 11 ai 14 anni intervistati per conto dell’UNICEF(maggio 2010): la famiglia “tie-

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La Famiglia

ne” nell’immaginario di adolescenti che per l’82% la considerano la istituzione più affi dabile, la vorrebbero più unita e felice, la programmano per il loro futuro (benché in subordine all’incontro con qualcuno che sia veramente “la persona giusta”). Questi giorni ci regalano altre due buone notizie per la famiglia: il Parlamento Eu-ropeo ha bloccato i fi nanziamenti per le associazioni che promuovono aborto e sterilizzazioni, mentre negli Stati Uniti l’au-torevole rivista Foreign Policy afferma che la vera bomba che minaccia il Pianeta è il crollo demografi co, e per evitarla bisogna tornare a far nascere tanti bambini e bam-bine. Il 24 ottobre, nell’ambito del voto per il bilancio generale 2011, il Parlamento di Strasburgo ha confermato a maggioranza il rifi uto dell’Unione Europea a fi nanziare programmi di sviluppo, in cui sono coinvol-

te ONG e governi che promuovono piani di controllo demografi co con aborti forza-ti, sterilizzazioni e infanticidi. E’ evidente che il Parlamento europeo non parte da principi religiosi o astratti, ma fa di necessità virtù perché risulta a tutti oggi più chiaro che i fi gli costituiscono il capita-le per eccellenza di una nazione. Chi mette al mondo i fi gli, chi investe il meglio dei beni e dei risparmi sui fi gli, chi li cura con continuità che oggi si prolun-ga anche fi no a 40 anni è solo la famiglia. Sì, perché l’essere umano non ha bisogno solo di essere nutrito, difeso, vestito, ma soprattutto di un ambiente caldo in cui nascere e crescere sicuri e soddisfatti di sé. Il futuro di una nazione dipende dall’esi-stenza nel suo tessuto sociale di famiglie forti e felici.

GIULIA PAOLA DI NICOLA E ATTILIO DANESE

Siamo sposati da un quarto di secolo e ge-nitori di sette fi gli. Nell’estate appena pas-sata abbiamo festeggiato con tanta allegria il nostro 25° anniversario di nozze, ma la nostra storia è iniziata 32 anni fa! Due adolescenti alla ricerca della nostra identi-tà, con tante domande sulla vita, con dub-bi e paure e aspettavamo che qualcuno ci desse risposte concrete. Un giorno, in una chiesa di Teramo, ci siamo conosciuti e ab-biamo ascoltato un annuncio meraviglioso: “Dio esiste. Ti ama così come sei e nel suo fi glio Gesù Cristo può donarti la capacità di rompere ogni barriera,può vincere ogni angoscia,ogni ‘morte’…”. Abbiamo solo creduto che questa “buona notizia” fosse la verità, ci siamo messi in cammino insieme ad una comunità di per-sone come noi (giovani, anziani, ricchi e meno ricchi, colti e non) e, nel cammino neocatecumenale, abbiamo sperimentato la bellezza dell’amore di Dio nella Chiesa.

Questo ci ha spinti subito a vedere quale fosse la nostra missione e abbiamo sentito che la nostra strada era quella del matri-monio. Ci siamo sposati giovanissimi (Roberto 24 anni e io 22) con tanto entusiasmo, tanti sogni, con la meravigliosa immaturità dei vent’anni, convinti che non saremmo sta-ti soli. E così è stato! Dopo venticinque anni di vita insieme e sette fi gli stupendi il nostro bilancio è questo: Dio è stato veramente fedele! Mai nelle nostre crisi, piccole o grandi, ci ha lasciati soli. All’ini-zio, tutto sembra facile. Ma quando ti ren-di conto che l’altro è diverso da te e non può capirti fi no in fondo; quando vedi le sue debolezze e non riesci ad accettarle; quando con i fi gli tu la pensi in un modo e lui in un altro, senza un punto di incon-tro; quando ti senti criticato, offeso; quan-do non sai come fare per aiutare un fi glio in crisi, due sono le strade: o mandi tut-to all’aria e te ne vai, o cerchi il dialogo,

il chiarimento, praticamente…il perdono. Su questa parola si basa la vita della no-stra numerosa e rumorosa famiglia. Ogni giorno possiamo rimetterci in discussione e dire: “ Ho sbagliato, perdonami”. Non è semplice vedere quando sbagliamo, è più facile accorgersi dei peccati degli altri. Ma se hai una luce che viene dalla preghiera quotidiana, dall’ascolto della parola di Dio, dall’Eucarestia, dal perdono che per primo Cristo dona a te, e vivi tutto questo in una comunità concreta che ti incoraggia, ti rim-provera, ti accompagna, non è impossibile. Dio è stato fedele anche perché ci ha aiu-tato ad accogliere e crescere i nostri fi gli.

Sette fi gliSette fi gli25 Anni insieme

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Pur con i nostri limiti ci siamo aperti alla vita senza calcoli, sapendo che la vita stes-sa non ci appartiene e che è un mistero grande. Ogni fi glio è diverso, unico, e con ognuno ci vuole pazienza, rispetto, deside-rio di correggere per amore. Tante volte ci siamo sentiti falliti, inadeguati; altre volte la stanchezza, la routine, la paura di sape-re cose che non ci piacciono, ci farebbero desiderare di mettere i remi in barca e di lasciarci andare. Ma abbiamo imparato che, insieme a Cristo, i problemi vanno affron-

tati e che per amore ai nostri fi gli dobbia-mo combattere per renderli forti. Contro la droga, la violenza, scelte insensate. Tutto questo sapendo che sono liberi, che non ci appartengono, ma ci sono solo affi dati.Educarli alla fede è stata una grande sfi da. Li abbiamo spinti a fare un’esperienza vera e personale di Dio, e adesso vediamo che, almeno i più grandi, non “vanno in chiesa” per noi genitori, ma perché hanno fatto esperienza che Dio li ama veramente. Due di loro sono in seminario per vedere se la

loro è una vera vocazione al sacerdozio.Abbiamo sperimentato anche che, nono-stante vivessimo con un solo stipendio, non ci è mancato mai nulla. Dio ha sempre provveduto e ci ha insegnato a vivere con semplicità e gratitudine per tutto quello che ci viene dato.Insomma, che dire? Vivere la famiglia cri-stiana è una grande gioia, è allegria, no-nostante i problemi e le diffi coltà di ogni giorno.

ROBERTO E ANTONELLA MARINUCCI

Psicologo e psicoterapeuta, Ernesto Albaniel-lo spiega com’è concepita oggi la famiglia e come le dinamiche familiari siano in continuo mutamento.

Negli ultimi anni c’è stato un cambia-mento del concetto di nucleo familiare?Penso che in tutti i periodi storici la fami-glia sia stata soggetta a costanti e conti-nue trasformazioni. In questo momento i rifl ettori dei media considerano spesso la famiglia la struttura responsabile di mol-te cose che nella società non funzionano. Si dovrebbe però valutare se le patologie sociali si rifl ettono sulla famiglia che è una cellula debole, o se la famiglia non riesce a tutelarsi e salvaguardarsi in questo conte-sto sociale. I ragazzi, in questo particolare momento storico, vivono l’appartenenza alla famiglia in un duplice modo. Da un lato la famiglia rappresenta una “realtà rifugio”, perché la situazione critica che attraversiamo oggi non lascia soluzioni alternative se non quelle del nucleo familiare e dunque funge da grande contenitore protettivo. Dall’al-tro la famiglia “sta stretta” perché non è suffi cientemente interprete dei vari pro-cessi di cambiamento per i quali gli ado-lescenti sono molto più sensibili. Reputo giusto che il giovane confl igga con la ge-nerazione precedente per andare verso equilibri più avanzati, ma nelle nostre cir-costanze, si trova di fronte ad una realtà

sociale che è meno recettiva di un tempo a quelle che sono le istanze giovanili. La fa-miglia, dunque, diventa una sorta di realtà da cui prendere le distanze e verso la quale ritornare per avere un rifugio.Le violenze familiari sono un fenomeno in espansione?L’idea diffusa di perdita di valori non è che mi appassioni molto, di fatto le più sva-riate generazioni continuano a contenere gli stessi valori. Il valore familistico di per sé non lo vedo messo in crisi. Se doves-si invece, individuare una vera emergen-za dal punto di vista educativo direi che è la sfera emotiva dell’individuo quella che mi preoccupa. I media hanno una qualche responsabilità in questo processo perché sbattono in prima pagina certe informazio-ni che portano poi a dare inevitabilmente un quadro razionalizzato dell’accaduto. L’affi evolimento delle emozioni è dato dal fatto che facciamo retrocedere la parte emotiva che ci appartiene ancor prima che determinate reazioni ci pervadano. L’anal-fabetismo emozionale è una malattia por-tata agli onori dei cenacoli scientifi ci. ma non riesce ancora a bucare molto il circo massmediologico. Il così detto villaggio globale fi nisce per creare tante schegge impazzite che tutto hanno fuorché un rap-porto solidale con il prossimo. La “alessiti-mia”, assenza di un quoziente emotivo, si vede suffragare nei nostri rapporti umani. Quali sono le patologie che potrebbero

insinuarsi all’interno delle famiglie?Un adolescente che conosce ancora poco la società esterna è chiaro che si affi di alla famiglia. Le situazioni non basate su retti principi lasciano l’adolescente attonito, perché le sue coordinate, che pensava fos-sero basate su principi di fi ducia, cadono. Non dobbiamo affi darci solo a fatti ecla-tanti, ci sono tanti altri fenomeni di ano-malia. Ciò è dato da un momento critico che l’economia sta attraversando e che le famiglie fanno diffi coltà a gestire. L’ado-lescente non ha una perfetta concezione del restringimento del potere di acquisto della famiglia e questo è causa di moltissi-mi confl itti di carattere economico. Oggi bisognerebbe più che mai sostenere la fa-miglia perché abbiano un supporto sociale per attrezzarsi a recuperare una serie di rapporti relazionali che è andata dimenti-cando. La famiglia non viene supportata dalle istituzioni?No. L’economia anche al livello alimentare si sta prodigando per fare prodotti mo-noporzione perché il single, condizione sempre più diffusa, non ha un particola-re gravame di tipo contributivo e tutto sommato deve badare solo a se stesso. Due persone che gestiscono una famiglia si trovano, invece, a dover fronteggiare un costo enormemente superiore per cui c’è una decentivazione a mettere su famiglia. Per esempio, Teramo, qualche anno fa, era

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PsicoterapiaPsicoterapiadi un di un cambiamentocambiamento

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La Famiglia

la prima città, insieme a Genova, che aveva il maggior numeri di divorzi e separazioni con una crescente evoluzione. Teramo è una città con le sue luci e ombre né più e né meno delle altre città del nostro siste-ma paese.Come potrebbe essere la formazione di un bambino all’interno di una famiglia allargata? I ragazzi percepiscono e si identifi cano in quella che è la realtà in cui gli è dato crescere e si modulano nel loro contesto. Nella famiglia allargata la trasmigrazione tra un abitazione e l’altra non penso sia

una diffi coltà presente nei ragazzi, quanto una complessa articolazione organizzati-va che va a determinarsi. Questo perché i ragazzi, crescendo, cominciano ad avere interessi di tipo extra familiare, lì le diverse programmazioni, date dal tribunale, vanno a farsi benedire. I fi gli non possono essere gestiti secondo i canoni di un tribunale che ti porta a dover trovare nuove solu-zioni sempre più spesso.Per quanto riguarda le coppie omoses-suali?Il discorso si fa molto più delicato e com-plesso, ritengo che in ogni caso il ragaz-

zo che si trova a vivere con una famiglia eterosessuale riceve delle indicazioni che più facilmente ritrova nella società. Io non starei tanto a deplorare o biasimare una coppia omosessuale, anche se di fatto pre-senta una sua delicatezza intrinseca, quan-to perché poi, nell’ambito sociale questo genere di esperienza non trova un riscon-tro o ne trova pochissimi.

DANIELA MANTINI

Ho sempre desiderato vivere nella cosid-detta “famiglia Mulino Bianco”: un papà tenero e disponibile, una mamma bella e competente, i ragazzi sempre pronti a fare ciò che i genitori chiedono e perché no, un cane fedele. ...”E tutti vissero felici e contenti”!Mi chiamo Emma, ho 23 anni, vivo con mia madre, il suo compagno Alberto e il no-stro gatto. Papà abita non molto lontano da me, con sua moglie e Jacopo, il loro fi glio.Son passati vent’anni dalla separazione dei miei genitori, eppure ogni volta che rac-conto la mia storia e le sensazioni vissute, tutti i ricordi e i rancori che credevo es-sermi lasciata alle spalle, tornano ad affol-lare la mia mente. Il ricordo più ingombrante, forse anche il più doloroso, è quello di una bambina un po’diversa rispetto ai suoi coetanei. Alcuni compagni mi defi nivano strana, altri biz-zarra. Non potevano capire che avevo per-so la spensieratezza propria dell’infanzia; perché avevo fatto troppo presto i conti con una realtà diffi cile. I bambini si nutrono di fantasia, di favole e di sogni che, se vengono prepotentemente infranti, possono trasformarsi in un graffi o indelebile nell’anima. Dico questo perché se anche quest’ esperienza di vita mi ha

resa forte, indipendente e determinata, paradossalmente sono una fragile donna dall’animo inquieto e malinconico, alla ri-cerca di un rifugio dal mondo esterno, il caro e dolce luogo degli affetti. Tutte le volte che parlo di mio padre mi manca il fi ato. Dimentico il mondo che re-spira. Da bambina lo vedevo solo nel fi ne set-timana, e mi portava dove non serviva sognare, perché il mio sogno era addor-mentarmi vicino a lui e vederlo ancora al risveglio. Avevo nove anni quando si è sposato con Sonia, tredici quando è nato Jacopo. Credo sia stato uno dei momenti più dif-fi cili della mia adolescenza. Avevo paura di essere privata anche di quei pochi momenti che trascorrevo con lui, pensavo che avrebbe ricostruito una “vera” famiglia senza di noi. Impazzivo all’idea di loro tre insieme e felici, e in-vidiavo il mio fratellastro. Perché lui solo poteva godere ogni istante delle attenzioni e dell’affetto di quell’uomo, che io e mio fratello aspettavamo scalpitanti il sabato, dopo pranzo, davanti alla porta di casa. Ero persino gelosa che Jacopo potesse as-somigliare a lui, e che un giorno avrebbe ascoltato le stesse favole che qualche anno prima mio padre aveva inventato per me.

Sono passati nove anni da allora, oggi Ja-copo è un bambino meraviglioso, che amo non solo come una sorella ama un fratello, ma come una madre ama un fi glio, perché per la prima volta, grazie a lui, mi sono ar-resa all’amore. In lui rivedo l’immagine di mio padre, e ciò rende il nostro legame ancora più speciale. Dall’amore nasce solo Amore, questa è la regola. Non avevo fatto nulla per lui, eppu-re mi regalava attenzioni, sorrisi, disegnava su un foglio il mio ritratto, attento a non sbagliare il colore dei miei capelli e degli occhi. Con un’unica arma, il suo amore incondizionato, giorno dopo giorno ab-batteva l’insormontabile barriera che io, un’adolescente confusa, avevo innalzato. Jacopo non solo ha vinto tutte le mie paure, ma ora non potrei mai immaginare una vita senza di lui, e senza tutte quelle persone che intimamente ne fanno parte. Alberto e Sonia sono adorabili, e nel mo-mento del bisogno mi hanno sostenuta e aiutata alla pari dei miei genitori. Spesso passiamo del tempo tutti insieme. A molti sembrerà assurdo. Per me che da sempre sono stata contro corrente, è un

Quando Quando la domenicala domenicaè è “allargata”“allargata”

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gran sintomo di intelligenza, e ancor di più la prova, che anche in una “famiglia allar-gata”, possa regnare l’amore reciproco tra tutti i componenti, oltre al rispetto e alla fi ducia . Nonostante ormai non mi sfi o-ri nessun pregiudizio, aver accettato una condizione e convivere con un dolore non vuol dire averlo superato. E’ un fardello quotidiano, rimbomba come un’eco fasti-diosa, un rumore impossibile da soffocare.Ha ragione la mia saggia nonna, quando dice che le famiglie di un tempo sono scomparse, che è svanito quello spirito di sacrifi cio e di devozione indispensabile per tenere unita una famiglia.Oggi nel giro di pochi anni le coppie si spo-sano, procreano, divorziano, si risposano e procreano di nuovo.Ci si lamenta delle nuove generazio-ni, spesso accostando ai giovani agget-tivi come “irrispettosi”, “maleducati”, “incivili”,”superfi ciali”. Indubbiamente, pur “non facendo di tutta l’erba un fascio”, è un dato oggettivo. Ritengo che la causa sia da ricercare nella perdita dei valori insiti da sempre nell’istituzione “famiglia”. Vorrei concludere il mio racconto con le parole della mia amica Amelia, affi nché possano essere un augurio speciale per tutti i ragazzi che come noi hanno vissuto quest’ esperienza di vita; affi nché tutti i fi gli delle “famiglie allargate”, memori della loro condizione, abbiano in futuro la forza di creare “famiglie”degne della “Mulino Bian-co”, pur senza una colazione pantagruelica sulla tavola, in un casolare circondato da spighe di grano che si muovono accarez-zate dal vento: “Tra poco sarà Natale, nella Santa Messa ver-rà riesumata l’immagine del presepio: Giusep-pe, Maria e il bambinello. Certo, a noi “strani” fi gli di separati, piangerà il cuore. Ma come ogni anno dobbiamo strin-gere i denti, e magari pensare che un giorno, perché no, la metteremo su noi una bella fa-miglia.Ora però lasciamo i ricordi e i rimpianti di un Natale passato insieme a “tutti e due”, pen-sando che ciò ci ha fatto crescere con un non so che di speciale, che ha permesso alle nostre anime di elevarsi e imparare ad amare anche altre persone come veri e propri familiari”.

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EMMA M., TERAMO

La Costituzione italiana con l’articolo 29, riconoscendo e defi nendo la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ne riconosce i diritti. E’ un’istituzione, ma anche un gruppo che ha subito molti cambiamenti durante il corso della sto-ria, trasformandosi progressivamente da quella che era la cosiddetta famiglia “tra-dizionale”. L’istituto familiare è oggi meno protetto dalle leggi e meno ancorato alla tradizione, alla cultura e ai valori religiosi, per cui va incontro a svariati cambiamenti nel proprio modo di comunicare e di inte-ragire. Sono germogliate così alcune con-fi gurazioni, in alcuni casi foriere di disagio psichico, quali le organizzazioni statiche, quelle deleganti, quelle paranoidi, quelle con falso spontaneismo, quelle stereotipe che obbediscono ai modelli proposti dai mass media, quelle incapaci di trasmettere sentimenti che sostituiscono gli affetti con gli oggetti materiali, quelle iperprotettive oppure quelle eccessivamente permissive. Si riscontrano quadri psicopatologici in aumento riconducibili causalmente ad un nucleo familiare disturbato nei suoi prin-cipali rapporti: basta considerare i disturbi border-line, narcisistici, gli evitanti oppure i dipendenti, gli antisociali, le tossicodi-pendenze e i disorientamenti in merito all’identità di genere per risalire a famiglie di provenienza disunite, affettivamente in-stabili, in taluni casi violente, indifferenti o incapaci di comunicare. In ogni caso, anche

senza riferirsi a situazioni di franche psico-patologie, si ritrova uno strisciante disagio psichico piuttosto diffuso. Uno dei mali della società contemporanea è sicuramen-te l’alterazione dei rapporti interpersonali all’interno della famiglia con il suo sgreto-lamento e la trasformazione in luoghi in cui si convive, ma dove non si condivide. Il nucleo primordiale dell’esperienza umana, quella famiglia che dovrebbe accogliere ed elaborare, capire e sostenere, oggi non è più in grado di svolgere una tale funzione, essendo divenuta una sorta di contenitore del malessere conseguente al benessere. Una devianza intra-familiare sviluppatasi con l’accentuarsi della crisi della famiglia, che trova riscontro nel vertiginoso au-mento di separazioni coniugali e interru-zioni di convivenze di fatto, nella pluralità di modelli familiari, nei maltrattamenti e negli abusi e nei ripetuti omicidi familiari che fanno parlare di “fi glicidi”. Il riscontro di famiglie insospettabili che tengono ge-losamente celate tra le mura domestiche vistose carenze, drammi e reati.Come in “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman, tutto viene celato, tenu-to nascosto sino all’inevitabile esplosione della tragedia. Con tanto di circo mediati-co pronto a rappresentare l’irrazionale e a dare in pasto al telespettatore la tragica esperienza del mondo.

GABRIELE SALINI (PSICHIATRA)

Mura domesticheMura domestichee psicopatologiepsicopatologie

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La Famiglia

Fata e strega contemporaneamente, una novella Calamity Jane secondo la procura che chiese 24 anni; una donna da perdona-re secondo la difesa. Come spesso accade chi giudica si mise nel mezzo condannan-dola a dieci anni riconoscendole le atte-nuanti.Sono passati tanti anni da quel dicembre del 1994 quando la giovane Mascia Torelli assassinò il padre Dalmarino, noto indu-striale giuliese dei caminetti.Nel leggere gli atti del processo si ma-nifestano evidenti atrocità di riduzione in schiavitù: Katiuscia, la prima fi glia, ave-va subito una malformazione alla schiena perché il genitore l’aveva legata al soffi tto per una gamba ed un braccio per essere stata rimandata in matematica. Mascia era talmente terrorizzata che tentò il suicidio per un brutto voto.Una volta il padre l’aveva gettata a terra e calpestata per punirla della fuga del cane.Dopo l’ennesima dose di botte per un mandarino avvizzito capitato nel cesto del-la frutta, la ragazza uccise il padre con la pistola di quest’ultimo, un po’ per libera-zione, parecchio per proteggere sua madre e sua sorella.Dopo questo momento temuto quanto at-teso, lei avrebbe voluto uccidersi, ma non l’ha fatto e si è costituita.Nessuno, durante il processo, ha avuto pa-role d’affetto per questo padre-padrone

mostruoso.Anche la sorella Maria ha parlato durante la deposizione di un “clima di terrore” in-staurato dal fratello che comandava moglie e fi glie con gesti delle dita, se non delle sopracciglia.In un momento di pessimismo euripideo la stessa Mascia disse che sarebbe stato me-glio “non essere mai nata”.Nelle motivazioni della sentenza fu defi ni-ta “una ragazza rimasta ancora allo stato adolescenziale, perché cresciuta in una gabbia psicologica”.Cosa possa spingere una persona mite –non una criminale, ma una persona che commette un crimine, direbbe Franca Le-osini, giornalista di “Storie maledette”- a commettere un delitto è diffi cile capir-lo e spiegarlo: ci si rimette così sempre a concetti vaghi e generalissimi, come la rabbia, la frustrazione, i complessi, la bassa autostima, il solito confl itto generazionale genitori-fi gli, la sofferenza quotidiana sot-taciuta che si vive in una famiglia apparen-temente normale.Si sopporta sempre più sperando che le cose cambino, fi ntantoché l’istinto di protezione ed autosopravvivenza preva-le quasi animalescamente sul raziocinio, a fronte dell’episodio che rappresenta la classica ultima goccia che fa traboccare il vaso.

IVAN DI NINO

TreTre donne una donne una tragediatragedia

Ha bisogno di parlare perché chissà da quanto tempo non è stata capace di farlo. Le sue parole paiono rassegnate, nascoste in un tono sommesso di chi forse ha perso la forza di reagire. L. D., quarantacinquenne teramana, confi da come la sua vita sia cam-biata nell’ultimo anno. Improvvisamente divenuta un incubo per via del marito, un uomo che quando lo si incontra a passeg-gio per le vie del centro sa essere cordiale e dispensare sorrisi. Uno dei tanti (chissà quanti…) casi sottaciuti di violenza dome-stica. Un male che esiste, ma non si vede. Le sue mani affusolate si contraggono febbrili mentre racconta. “In questi casi, il nemico più grande diviene la paura. Negli ultimi mesi, anche quando sono in casa da sola, non riesco più a svolgere serenamen-te le mie cose come un tempo: l’ansia mi condiziona e mi sento controllata. Tutto questo da quando, una sera, lui è rientrato

e mi ha afferrato alle spalle mentre ero al computer… “.La violenza fi sica diviene solo una parte dolente di un problema ben più comples-so. “In questo periodo il mio stato d’ansia sento che si sta ripercuotendo sul mio fi sico. Sono dimagrita di 10 kg dalla fi ne dell’estate, anche per via del sonno, sem-pre più raro e tormentato. Il rapporto con il cibo sta diventando problematico, visto che salto quando posso i pasti mentre, in alcuni particolari momenti, mangio a più non posso, per compensare una mancanza di stima in me stessa che sento crescere giorno dopo giorno”. Un legame di forte dipendenza si crea tra la vittima e colui che una volta era l’amo-re di una vita, a tal punto da portare L., paradossalmente, a temere di non saper compiacere più quello che ormai è diven-tato un aguzzino, non più un marito. Una

terribile sensazione di dipendenza e di im-potenza che blocca il respiro.“La quotidianità è divenuta pian piano un tunnel asfi ssiante dentro il quale io mi muovo a malapena e di cui non vedo l’usci-ta. Ogni mio gesto viene osservato, criti-cato, spesso senza alcun motivo. Non pos-so navigare né chattare liberamente, così come per il cellulare: i messaggi sulla mia rubrica telefonica vengono letti giornal-mente. Sento di non avere più una mia vita, ogni forma di privacy è stata cancellata”.Una gelosia, quella del marito, che si riper-cuote soprattutto sulla vita sociale di L., rinchiudendola in una sottile pellicola di solitudine. “Molti dei miei colleghi di lavoro hanno capito la mia situazione ed ora evi-tano persino di salutarmi se mi incontra-no al di fuori dell’orario di uffi cio. Le mie amiche, soprattutto se single, per lui sono diventate ‘un problema’, tanto da proibirmi in più di una occasione di uscire con loro anche solo per mangiare una pizza. Una gelosia compulsiva è emersa in mio marito da tempo, ed un semplice taglio di capelli è divenuta una scusa per prendermi di forza e schiaffeggiarmi”.Verrebbe spontaneo domandarle perché continuare a subire questa follia, ma le sue parole anticipano e riassumono tutto in una semplice, grande parola: fi gli.“Fino ad ora ho cercato di sopporta-re per non sconvolgere la vita dei miei due bambini. La più grande in particolar modo inizia ad entrare nella fase delicata dell’adolescenza e non voglio che subisca ripercussioni psicologiche. O almeno così pensavo, fi no a qualche tempo fa. Mi sento una sopravvissuta che per il senso del do-vere verso i propri fi gli tace di fronte alle piccole e grandi violenze di ogni giorno. Per questo lotto con me stessa e continuo a condividere il letto con quello che consi-dero il mio aguzzino”. Le mani fi niscono ad asciugare il volto che si copre di lacrime. L. si sfoga, poi mi sorride. “E’ da qualche giorno che ho deciso di liberarmi di que-sto peso. Credo sia giunto il momento di riprendere la mia vita, così come la mia di-gnità. A breve chiederò la separazione, per troncare una volta per tutte una violenza fi sica e psicologica che mi sta annullando. Ora io dico basta”.

Un aguzzino per maritoUn aguzzino per marito

RAUL RICCI

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Una scuola Una scuola per i genitoriper i genitoriOggi la scuola non vive momenti di alta considerazione all’esterno: le cause sono tante e di diversa natura. Un aspetto, però, è di fondamentale importanza, prima di qualsiasi analisi e di qualsiasi giudizio: fortu-natamente dal ’63 in poi, con percentuale sempre crescente, si è debellato totalmen-te l’analfabetismo e tutti i cittadini, di ambo i sessi, si sono obbligatoriamente seduti sui banchi di scuola.Se, da una parte, questo fenomeno è alta-mente positivo, dall’altra, disparate implica-zioni, soprattutto di carattere sociologico, apportano a novità e a cambiamenti da ri-chiedere valutazioni molto attente.E’ vero pure che la società è in continua trasformazione cui non corrisponde l’ade-guamento da parte della scuola. La famiglia stessa si è evoluta all’insegna della parità dei diritti dei suoi membri e, forse, dell’ec-cessivo garantismo verso questi ultimi. I genitori assolvono il proprio ruolo con maggiore responsabilità e collaborazione. Il coinvolgimento emotivo, tuttavia, spesso non permette quel contributo necessario alla formazione e ad una crescita meno condizionata dei propri fi gli. L’iperpro-tezionismo è di ostacolo ad un rappor-to fi nalizzato alla corretta educazione e istruzione dei ragazzi. Un breve excursus storico potrebbe evidenziare l’apporto dei genitori alla vita della scuola, a comincia-re dall’istituzione della scuola media uni-ca del ’63 ai decreti delegati del ’74 con la presenza e la partecipazione agli orga-ni collegiali, dalla 517 del ’77 alla riforma dei programmi della scuola elementare e all’introduzione del team di docenti, fi no alle riforme dei ministri Berlinguer, Morat-ti, Fioroni e Gelmini. Tutti questi interventi hanno formato in modo diverso gli attuali genitori che, quasi sempre laudatores tem-poris acti, eludono le necessità incombenti per un futuro di certezze.Ciò premesso, al di là di eclatanti episodi assurti all’onore della cronaca nazionale, la quotidianità registra fatti di continua oppo-sizione e di scontro tra genitori e scuola, tra alunni e docenti. Da una parte, gioca un ruolo fondamentale la sfi ducia verso le istituzioni e, dall’altra, la cultura del suc- DI MICHELE CILIBERTI (DIRIGENTE SCOLASTICO)

Quella che provo a riportare qui è la mia testimonianza di famiglia adottiva. Non so bene da dove iniziare. Certo è, che sono chiamato a trattare dell’evento che segna la mia vita. Non credo di avere avuto mai occasione di rifl ettere circa questa cosa. La mia adozione è un’esperienza che pro-prio in questi giorni ha compiuto 25 anni. Un percorso, una vita, nella sua quotidia-nità come tante altre. Fatta di casa, affet-ti, passioni. Una vita normale in tutti gli aspetti, in una famiglia come tutte. Il vero tratto distintivo credo vada ricercato nella

sua origine. Un padre e una madre nuo-vi: e con quel “nuovi” non intendo tanto due genitori diversi da quelli naturali - loro neanche li ho conosciuti probabilmente. Uffi cialmente ero orfano presso uno degli istituti di Madre Teresa di Calcutta, a Delhi (India). “Nuovi” perché aperti alla novità. Con uno sguardo e un amore che andava un po’ oltre il comune sentire. Certo, trent’anni fa non esisteva, credo, la procreazione assistita e tutte quelle nuove tecniche che possono aiutare nell’avere una prole propria. Questa roba poi, non la posso sentire. Perdonatemi ma, nella mia posizione, proprio non riesco a compren-dere questa ostinazione nel volere un fi glio proprio a tutti i costi, forzando anche la natura, ricorrendo a provette e a giochetti poco etici. Il mondo è già pieno di bambi-ni bisognosi di genitori. Perché “crearne” di nuovi? E torno al mio caso: quale sorte mi sarebbe toccata nel Paese delle Caste, degli intoccabili, degli ultimi? I miei genitori adottivi, probabilmente mi hanno salvato la vita. Lo hanno fatto desiderandomi come qualsiasi altro genitore, ma con uno slancio di amore in più che li ha portati pratica-mente a cercarmi. Due sconosciuti hanno affrontato prima se stessi e poi un lungo iter burocratico per venire a prendermi dall’altra parte del mondo. La mia vita è segnata da questo: da un amo-re incondizionato che sin dall’inizio mi ha portato a essere quello che sono oggi. Dal non avere nulla, sono cresciuto senza che mi fosse mancato mai qualcosa. Ho avuto la possibilità di avere una vita normale, tan-to che a volte quasi dimentico questa mia “diversità”. Che mi rende un po’ speciale. E allora tutto assume un senso diverso. Ami-ci, studio, lavoro, amore, gioie e sofferenze non appaiono più come cose tanto sconta-te. Tutto questo è stato un dono. Un dono enorme offertomi da due semplici perso-ne: mio padre e mia madre.

“Da Nuova Delhi a Teramo Da Nuova Delhi a Teramo con i miei genitori adottivi”con i miei genitori adottivi”

VALERIO VINÒD SILVERII

cesso, diffusa, anche a livello di propaganda e di pubblicità occulte, dai mass-media e dalle attività di tempo libero da cui è, in toto, bandita l’accettazione della sconfi t-ta. Per un genitore è disfatta anche il 7 in una disciplina, preso dal proprio fi glio, solo perché il compagno ha meritato 8! Ecco, allora, è autorizzato a protestare e a met-tere in discussione tutto l’impianto dell’of-ferta formativa dell’istituto: i docenti sono defi niti ignoranti, poiché si accaniscono contro i fi gli e l’istituzione è un fallimen-to in quanto incapace di realizzare modelli cristallizzati come una volta. Queste pre-se di posizione, vero danno irreparabile, vengono inculcate nella mente dei fi gli che, così protetti, si sentono autorizzati a trasgredite su tutto. Il declino delle istitu-zioni è frutto di un decadimento morale dell’uomo, ormai paradigma di comporta-menti deviati e devianti imposti da pseudo e negativi contraddittori. Compito della scuola è formare il cittadino a un nuovo umanesimo, che la stessa crisi globalizzata sta suggerendo, basato sull’etica del sapere, del saper fare, del saper essere e del saper essere insieme.

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Il premiato spot dell’Ikea mostra una coppia gay insieme alla fi glia e al cane. Un papà è nero, l’altro bianco, la bambina asiatica e la voce fuori campo recita: “Perché i divani non possono essere di mille tonalità diverse come le famiglie?”. Questo spot ha fatto il giro del mondo, ma non è giunto in italia dove sull’argomento famiglia omosessuale c’è davvero ancora molta strada da fare.Diritti non riconosciuti e una chiesa cattolica che combatte forse l’ultima crociata contro questo genere di unioni, hanno relegato l’Italia ad essere uno dei paesi più arretrati dal punto di vista delle unioni omosessuali.Abbiamo incontrato un cittadino teramano, che alla luce del gior-no ha costruito una vita affettiva insieme al suo compagno e che ci ha parlato della sua esperienza.La città, secondo lei, risponde bene a questi tipi di cambiamenti della società? Ha mai incontrato diffi coltà nell’essere dichiarata-mente omosessuale?La città risponde benissimo secondo quella che è la mia espe-rienza. Teramo è una città che non ha pregiudizi nella maniera più assoluta, è una città discreta che valuta la persona come individuo.Invece a livello nazionale, qual è la situazione?Il quadro nazionale attuale è un quadro in evoluzione, giuridica-mente, ci stiamo adeguando a quelle che sono le normative euro-pee, ma molto lentamente. Il concetto di famiglia omosessuale o comunque omoaffettiva è una realtà che esiste qui a Teramo come esiste in tutta Italia e in Europa, ed è assurdo che ancora non si voglia garantire un minimo di tutela al partner o ai bambini che sono all’interno della coppia. A chi o a cosa imputa la lentezza dell’adeguamento del nostro paese alle normative europee?La chiesa cattolica, cerca di far passare un messaggio negativo degli omosessuali e delle unioni tra omosessuali, che non possono dare vita a una famiglia perché non può esserci la riproduzione. Oggi basta andare all’estero e si può concepire un bambino, che è biologicamente vostro. Questo in Italia è impensabile. In realtà le coppie omoaffettive, come nel mio caso, sono coppie durevolissi-me, che esistono da anni, la mia da ben venti. Siamo, inoltre, gli uni-ci a volersi sposare, in un quadro generale di coppie eterosessuali che sembrano rifuggire sempre più dal matrimonio. A differenza di quello che i luoghi comuni amano defi nire, siamo nella maggior parte dei casi monogamici. Ovviamente non generalizzerei, ma in linea di massima crediamo molto nei nostri rapporti affettivi. Ci manca ogni forma di tutela, dal momento in cui non ci vengono riconosciuti diritti come coppia e per questo motivo ci tuteliamo da soli quotidianamente.Nel campo delle adozioni, cosa prevede l’Italia per le coppie omoaffettive?Noi siamo l’unico paese europeo insieme alla Polonia che vive con grande arretratezza questa situazione, per la presenza dello Stato pontifi cio in Italia. A mio avviso, la Chiesa non è vicina alla vita concreta delle persone e non può imporre allo Stato di non fare leggi che l’adeguino alla comunità europea. Noi omosessua-li siamo molto legati. Come comunità che ha subìto da sempre discriminazioni, ci supportiamo, ci scambiamo informazioni, por-tiamo avanti le nostre battaglie. Siamo tanti e non identifi cabili

perché lontani dai cliché che tanti fi lm scherzosamente propon-gono. Siamo ottimamente rappresentati in parlamento da Nichi Vendola e da Maria Paola Concia che cercano di portare avanti l’opportunità di adeguare il Paese. Mi auguro al più presto che l’Italia recuperi il gap con gli altri paesi. Io lavoro molto all’estero e le differenze sono enormi. Pensate che a Londra organizzano veri e propri corsi per i papà gay.La società nonostante i giganteschi passi avanti, non sembra esse-re sempre pronta ad affrontare il tema dell’omosessualità e di una famiglia non “tradizionale”. Lei non ha paura che suo fi glio possa incontrare delle diffi coltà nel rapportarsi con questa società?Nel mio caso il bambino è ben inserito nell’ambiente scolastico, poi avendo l’opportunità di viaggiare spesso per lavoro ha la pos-sibilità di costruirsi una formazione culturale differente. Esistono comunque delle associazioni, come Arcobaleno, che tutela le fa-miglie omoaffettive, organizza meeting e incontri dove i bambini vengono relazionati fra loro e hanno alle spalle famiglie perfet-tamente equilibrate. Con i bambini basta essere sinceri, dir loro la verità, raccontare loro dell’esistenza di una madre surrogata con la quale può rimanere in rapporti costanti. L’amore verso il nostro bambino è un amore centuplicato per mille. Ci sottopo-niamo a percorsi di psicoterapia analitica, comportamentale, cosa che spesso le famiglie tradizionali non fanno. Siamo preparati per crescere bene un bambino e integrarlo bene nella società,senza paure. I bambini delle coppie omoaffettive, nati né più né meno che da un atto d’amore, hanno una famiglia esattamente come quella tradizionale, con zii, zie, cugini. Basta aprirsi concettualmen-te per imparare ad accettare quel diverso che fa tanto paura e genera confusione. L’omosessuale non è pedofi lo, è cosciente del proprio orientamento sessuale e condanna qualsiasi tipo di atto contro i bambini Quindi si può affermare che nonostante la Chiesa, qualcosa stia cambiando?Assolutamente sì. La paura del diverso nasce dall’ignoranza. Quan-do la paura viene colmata con la conoscenza e ci si accorge che la persona omosessuale fa una vita ordinaria e organizzata come gli altri, ha delle passioni, degli interessi comuni a tutti, è possibile rendersi conto che il pregiudizio iniziale, non c’è più. In questo senso oggi c’è sicuramente un atteggiamento più intelligente nella comunità omosessuale rispetto agli anni cruciali in cui si voleva uscire fuori con violenza,quasi imponendoci come con i gay pride. Ora l’omosessuale ha un’immagine rassicurante, si confonde tra la gente, potrebbe essere chiunque insomma.Vista la lentezza del nostro Paese che ancora fatica a stare al passo con i tempi, lei non ha mai pensato di trasferirsi all’estero?No, sono italiano, e a Teramo ho la mia famiglia. Mi piace stare qui, per quello che tradizionalmente ha di bello l’Italia. Non esiste che me ne debba andare. Anzi, se serve per dare un esempio e per fare crescere la mia nazione, ben venga!

La FamigliaVALENTINA DI SIMONE

“Sono “Sono omoaff ettivo e adotto un fi glio”omoaff ettivo e adotto un fi glio”

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Alcuni pensano che siamo matti e ci ad-ditano quasi fossimo una specie rarissima. Del resto, anche quando mettiamo al pri-mo posto, di domenica, la Messa piuttosto che una gita in montagna, non è che ci comprendano fi no in fondo. In verità, io e Mario ci sentiamo una coppia che “ha scel-to”, e questa nostra scelta ci fa sentire, in verità, liberi. Di offrire anche le diffi coltà, le tentazioni, i momenti di crisi, a un essere superiore che non ci impone nulla. Ma andiamo per gradi.Quando ci siamo incontrati e piaciuti, otto anni fa, i primi tre li abbiamo vissuti in pieno, come tutti i fi danzati di oggi. Fino a decidere di andare a convivere. Pur de-siderando il matrimonio, rimandavamo per le solite incertezze economiche che ac-comunano, purtroppo, moltissime coppie, oggigiorno. Poi è successa una cosa non

prevista. Forse già scritta da qualche parte, però. Un amico comune ci ha invitati a un incontro che, in un certo senso, ha cam-biato il nostro modo di vedere la vita. In meglio, naturalmente. E’ iniziato un percorso di fede, nel quale -e lo sottolineiamo con forza- nessuno ci ha costretto a nulla. La castità è entrata spontaneamente nella nostra casa. Per molti questa scelta può apparire assurda -in particolar modo nei tempi che viviamo, dove il sesso è sbandierato ai quattro venti e in tutte le salse. Invece, nulla è compli-cato se lo si fa in piena libertà, appunto. Come è capitato, e succede ogni giorno, a noi due. Certo non sarebbe giusto dire che va tutto benissimo, che non abbiamo tentennamenti, che le tentazioni non si presentano regolarmente. Ma riusciamo a “sfuggirle” con qualche stratagemma, an-

dando avanti nel nostro cammino. Dio non chiede la nostra rinuncia, ma siamo noi che gliela offriamo, sapendo, tra l’altro, che ci sono molte coppie in castità come noi. E altrettanto libere. Quando potremo sposarci, allora vivremo pienamente il nostro rapporto. Il matrimo-nio è un obiettivo condiviso, che arriverà. L’unica cosa che ci dispiace sottolineare è l’incredibile controsenso di questi anni. Nei quali vizi e disordini familiari sembra-no “naturali”, mentre le virtù sono guar-date con sospetto. Non sarebbe male leg-gere, ogni tanto, sui giornali di belle azioni e vicende a lieto fi ne. Io e Mario, così come le altre coppie che seguono lo stesso per-corso, forse facciamo notizia a rovescio. Ma siamo contenti così.

MARIO E MARIA, TERAMO

Convivere senza sessoConvivere senza sessoAspettando il giorno del si’Aspettando il giorno del si’

La Famiglia

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“Bisogna avere coraggio di cambiare l’Università, non difendendo lo status quo ma premiando i giovani meritevoli, i nuovi ricercato-ri e le Università che puntano sulla qualità eliminando gli sprechi e i corsi inutili”. Parole del ministro Gelmini. La riforma universi-taria tiene banco nelle università italiane dove la protesta incalza soprattutto tra i ricercatori che chiedono la regolarizzazione di una categoria fondamentale per il tutto il sistema universitario. Gli atenei ritardano l’inizio delle lezioni del nuovo anno, con alcune eccezioni, e scendono in strada per contrastare una riforma che per molti mette defi nitivamente in ginocchio l’istruzione italiana. Abbiamo intervistato su questo tema Giovanni Di Bartolomeo, professore associato di politica economica presso la facoltà di Scienze della Comunicazione a Teramo. Quali le sue impressioni su questa riforma che tanto fa di-scutere?La mia impressione generale è che la riforma non affronti quello che è il vero problema dell’università italiana, ovvero la mancan-za di risorse. I problemi dell’istruzione italiana, ci metto anche quelli della scuola, non si possono risolvere con una riforma a costo zero, e se si vuole importare quello che funziona dall’estero, come sembra, forse bisognerebbe andare a guardare la spesa sul Pil dei paesi esteri co-siddetti virtuosi in termini di istruzione.Secondo il ddl non tutti gli atenei rice-veranno gli stessi fondi, quelli migliori ne riceveranno di più; non tutti i professori riceveranno lo stesso stipendio, ma quelli migliori avranno di più. In questo senso secondo la Gelmini si creerebbero incen-tivi a migliorare…Per ora sono stati bloccati gli scatti agli sti-pendi dei docenti, che di fatto pagheranno l’istruzione degli studenti rinunciando a cir-ca centomila euro ciascuno sul loro reddito totale, un po’ come avviene quando si crea lavoro con gli stage a pagamento, chi lavora paga. Ad ogni modo, la maggior parte dei do-centi è d’accordo sulla meritocrazia, il pro-

blema è che i seri sistemi di valutazione ex ante ed ex post sono costosi e ovviamente non contemplabili all’interno di una riforma a costo zero. L’unico punto positivo è il ritorno del concorso na-zionale, che garantisce più pubblicità e trasparenza alle procedure di selezione.Si può parlare di riforma contro il potere dei cosiddetti “ba-roni” ?Questa idea che viene spacciata in giro secondo cui questa ri-forma avrà l’effetto di eliminare i cosiddetti “baroni” dal sistema universitario fa abbastanza ridere, basta notare che la riforma è supportata dalla CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, e osteggiata in primis da ricercatori e studenti. Per non parlare della norma salva rettori e del fatto che nei concorsi per associati e ricercatori ora delle commissioni fanno parte solo i cosiddetti “baroni”, mi sembra un ragionamento un po’ incoeren-te.A proposito dei ricercatori, che idea si è fatto della loro pro-testa?

Qui occorre chiarire un’ambiguità, i ricerca-tori sono una categoria di persone che lavo-rano nell’università a tempo indeterminato, pagate poco, come tutte le categorie docenti, almeno in termini comparativi rispetto gli al-tri paesi sviluppati. La loro protesta è artico-lata su posizioni diverse; in parte si protesta per i problemi del sistema dell’istruzione e in parte per la loro posizione. Sulla prima sono d’accordo, sulla seconda si tratta di una pro-testa legittima, ma una protesta che riguarda una categoria che non si risolve certamente “regalando” avanzamenti di carriera, ma ga-rantendoli ai meritevoli. Questa, credo, sia la posizione non solo mia, ma anche dei più bravi; occorre notare che non tutti i ricerca-tori, come non tutti i gli altri docenti, sono cervelli in fuga, molti in un’università stranie-ra non sarebbero mai assunti. Quindi i ricercatori di adesso non sono precari?

Problema AteneoAteneo?Il piatto piangeIl piatto piange

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In senso lato ricercatori sono i precari (dottorandi ed assegnisti), i ricercatori, i professori associati e gli ordinari (i “baroni”), ma in senso stretto chi protesta sono i ricercatori a tempo indeter-minato che chiedono legittime garanzie sul loro avanzamento di carriera, ma come detto non solo questo. A mio avviso, il vero problema non è tanto quello dei ricercatori attuali, quanto quello di coloro (i veri precari) che vorranno in futuro intraprendere un percorso che li porterà a diventare ricercatori. La normativa pre-vede un periodo di massimo 6 anni a tempo determinato durante il quale il ricercatore a tempo determinato, conseguita un’idoneità nazionale, potrà diventare professore associato di ruolo; questo sistema di reclutamento potrebbe anche funzionare bene se si stanziassero i fondi per l’eventuale assunzione a tempo indeter-minato al momento del bando di ricercatore e si creassero gli incentivi per le università per chiamare ricercatori di una certa bravura. Se i fondi e gli incentivi fossero defi niti all’inizio, i ricerca-tori a tempo determinato andrebbero benissimo, ma così non è. Questo punto della riforma potrebbe funzionare se ci fosse-ro fondi sicuri destinati all’assunzione dei ricercatori/futuri professori associati?Esatto, con fondi per l’eventuale passaggio a tempo indeterminato ed incentivi per le università a chiamare i bravi fi ssati prima; ga-rantendo comunque risorse anche per le progressioni di carriera dei ricercatori a tempo indeterminato (e i professori associati), vincolate a seri criteri di valutazione. Ma i fondi devono essere veri, altrimenti continuiamo a giocare il gioco delle tre carte.

E ci ricolleghiamo alla sua affermazione iniziale. Il vero pro-blema del sistema universitario italiano, ma dell’istruzione più in generale è la mancanza di fondi da destinare alla for-mazione?Certo, noti che non parlo di carenza di fondi per la ricerca, ma di fondi che mancano per il riscaldamento. La riforma teoricamen-te contiene dei punti molto interessanti, ma nella pratica è uno specchietto per le allodole. Si fonda su una campagna giornali-stica che evidenzia parentopoli, concorsi truccati, vecchi baroni che sfruttano giovani ricercatori. La realtà non è questa, anche se il sistema può essere migliorato. In Italia credo sia molto più facile diventare professore ordinario piuttosto che autista di un ministro e di parenti di politici sono zeppe le varie authority pub-bliche. In realtà il sogno dei politici è quello di mettere in mano le università (con la riforma della governance) a manager pubblici, lottizzandole, per creare posti a persone che non lo trovano nella politica con il risultato di trasformare le università e le scuole in qualcosa di simile alle Asl, che mi sembra non siano un esempio di effi cienza. L’università per funzionare ha bisogno solo di maggiori fondi, personale amministrativo qualifi cato ed effi ciente e di un si-stema serio di valutazione ed incentivi per i docenti, tutto questo è ciò che la riforma promette, ma tutto questo costa e la riforma rimane, per ora, una riforma a costo zero anzi sottozero visto che con il blocco degli scatti stipendiali la pagano i docenti stessi.

VALENTINA DI SIMONE

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Intervista a Stefano Traini, ricercatore presso la facoltà di Scienze della Comunicazione, e a Chiara Palmieri, ricercatrice nella facoltà di Veteri-naria. Entrambi hanno aderito alla lettera dei ricercatori degli studi di Teramo inviata al Rettore dell’Ateneo. Entrambi, nei diversi settori, uma-nistico e scientifi co, continuano a lottare per migliorare le cose in un si-stema che deve essere effi ciente sì ma non con obiettivi fi ni a se stessi.

Come giudicate la riforma Gelmini?Chiara Palmieri: “A parte le questioni sulla carriera che sono mar-ginali, mi preoccuperei di più di approfondire il problema che riguarda i fondi alla ricerca. Noi adesso stiamo trovando nuovi canali per averne, ma è diffi cile rientrare nelle graduatorie con-corsuali, perché ci vogliono delle buone strutture. Senza queste possibilità, però, non è più possibile lavorare.Stefano Traini: Il cambiamento dei meccanismi concorsuali con re-clutamento di idoneità al livello nazionale, è positivo, in quanto elimina il “meccanismo locale” che è, a mio dire, opaco. L’aspetto negativo è che ci sono attualmente 25.000 di ricercatori a tempo indeterminato, che non avranno più una collocazione. L’obiettivo a cui tende la Riforma è ridurre gli sprechi. Questo va bene, ma tagliare tutto è un altro conto. Non è facile, ma bisogna razio-nalizzare i tagli senza arrivare a strozzare gli atenei. Le proteste quando si fanno potrebbero funzionare.

Perché bloccare la didattica? C.P.: Teoricamente fi no ad ora abbiamo fatto lezione per volonta-riato. Abbiamo deciso di bloccare la didattica per fare un atto di protesta. Inoltre, con la nuova riforma, diventa obbligatorio fare lezione, e ciò porta a sminuire la fi gura del ricercatore. Fare lezio-

Università:Università:la parola ai ricercatorila parola ai ricercatori

Università di Teramo (Colleparco) studenti usciti dalle lezioni

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ne, signifi ca sacrifi care tempo.S.T.: Per far capire la nostra importanza. Per il momento però, abbiamo deciso di ripartire con le lezioni e di prendere tempo perché il disegno di legge si è arenato. Per i prossimi due o tre mesi consentiremo a pochi ricercatori di andare in aula, mante-nendo il pacchetto di maggioranza, che verrà rilanciato al se-condo semestre. Da noi c’è massima disponibilità nel trovare dei compromessi.Cosa pensate del concetto di meritocrazia ribadito più volte nella Riforma?C.P.: Non sono contraria, purché le valutazioni siano obiettive. Temo però che se verrà applicato questo criterio ci sarà co-munque l’infl uenza di qualche “barone”. Sono stata a Praga ed in California, lì trovi l’ottimizzazione del lavoro, ognuno fa quello per cui è stato assunto, ed in più il sistema è effi ciente, se chiedi delle cose il giorno dopo arrivano; non si perde nella burocrazia o mancanza di fondi.S.T.: È un aspetto indubbiamente positivo, speriamo vada ad intaccare la “gerarchia ba-ronale”.Temete l’ accorpamento con altre facol-tà?C.P.: Si parlava di un accorpamento con la fa-coltà di Pescara, ma sinceramente non credo sia un problema, l’importante è avere la pos-sibilità di lavorare bene.S.T.: Per il momento non abbiamo la necessi-tà di doverci accorpare. In realtà, credo che i piccoli atenei si dovrebbero organizzare per accogliere delle nicchie di specializzazione, in modo da mantenere una certa competiti-vità. Bisogna giocare su servizi o progetti di ricerca specifi ci. Solo così riusciremo a tene-re testa a realtà più grandi.Perché proprio i ricercatori si sono fatti carico di questa battaglia?C.P. : Si è spostata l’attenzione sulla nostra categoria, ma i primi ad essere realmente discriminati sono gli studenti, perché questa è una riforma globale. Noi forse non siamo riusciti a farci capire oppure non siamo stati supportati a suffi cienza dall’inizio.

Adesso però, vediamo solidarietà da parte di molti. S.T.: I primi a muoversi sono stati i ricercatori perché non hanno più visto davanti a loro una prospettiva. Il problema dei ricercato-ri va avanti da 30 anni ormai, e l’urgenza grave ha portato a con-centrare l’attenzione su di noi. I professori ordinari ed associati ci hanno dato tanta solidarietà, però poi ognuno ha il suo ruolo. Anche il preside di facoltà ci capisce, ma la sua prima preoccupa-zione e far sì che il sistema vada avanti e funzioni.Quale è il fulcro della vostra protesta?C.P.: Vogliamo che sia riconosciuto il nostro ruolo giuridico, che si dia più importanza alla ricerca e che ci vengano erogati fondi e strutture per continuare. S.T.: Se la riforma dovesse passare chiediamo che tra 5 anni ci siano dei concorsi che permettano, almeno ad alcuni ricercatori,

di avere la possibilità di passare a contratti da ricercatore associato. Sono stati promes-si 9.000 concorsi, ma questo è un dibattito aperto, perché comunque ci vogliono fondi che non ci sono.Perché è importante la ricerca?C.P: Non saprei neanche spiegare perché uno si entusiasma per una determinata cosa. Secondo me il fatto di scoprire nuove cose oppure di poter raggiungere alcuni obiettivi, ha sempre un fi ne alto e dunque va eseguito.S.T.: Il progresso è legato alla ricerca. Alcu-ni settori, come quelli in campo scientifi co, portano dei risultati immediati con riscontri pratici evidenti. L’evoluzione passa però an-che attraverso quella ricerca non fi nalizzata, di alcune materie umanistiche, che comun-que deve essere preservata.Questo tipo di ricerca però, non avendo ef-fetti immediati, la si rilega a ruolo marginale. Se ci si aspetta un miglioramento del vivere civile e si desidera un progresso culturale,

anche in un momento di diffi coltà, non bisogna smettere di inve-stire sulla cultura. L’istruzione è un elemento fondamentale per la crescita del plurale. Alzare il livello culturale del paese porta benefi ci, anche economici.

DANIELA MANTINI

Università di Teramo ricerca nei laboratori

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Problemi aProblemi a San Berardo San BerardoLe richieste del comitato di quartierecomitato di quartiere

Dopo l’incontro con Sandro De Angelis, rappresentante e portavoce del comitato del quartiere San Berardo, di 3000 abitanti, sono venute alla luce varie problematiche da sottoporre all’amministrazione comu-nale.Gli abitanti in Via Tevere richiedono la re-alizzazione di tre minirotonde con relativi attraversamenti pedonali per eliminare la velocità veicolare e sorpassi del centro abitato, vista anche la presenza della Scuola dell’Infanzia; la messa in funzione della fon-tanella con acqua potabile su parco giochi e verde pubblico; realizzazione di un mar-ciapiede su un lato.In via F.Crispi, dall’ incrocio di via Roma all’incrocio di via Fonte Regina, viene ri-chiesto il potenziamento dell’illuminazione pubblica di color giallo.

All’incrocio di via Roma con viale F. Crispi i vari marciapiedi pedonali sono maltenuti, ovunque buche cementate o mattonelle sconnesse, causa di disagi per i pedoni.In via Po si richiede la sostituzione delle attuali lampadine bianche, con potenzia-mento di illuminazione pubblica su attra-versamenti pedonali e notturna nei due sensi di marcia; lo scivolo per facilitare il passaggio ai disabili sulla rampa scala già esistente per accedere da via Po a via Piave e viceversa.Infi ne, in via Arno, via Piave e in via Ce-lommi si richiede una nuova viabilità e sicurezza stradale; ulteriore richiesta, un vigile ecologico nei quartieri Gammarana, Stazione, S.Berardo, via Arno e via Piave.

ERICA VERZIERI

Uno degli incroci problematici del quartiere

I marciapiedi rovinati dall’incuria

Lo scorso 5 ottobre si è svolto a Teramo un consiglio comunale straordinario, per affrontare i problemi e le prospettive dell’ate-neo teramano. Tanti i disagi e le diffi coltà discusse nella seduta, ma il Rettore nel suo intervento ha voluto rassicurare la cittadinanza. Dati alla mano, le presenze continuano a scendere. Si respira aria di crisi tra i corridoi e le aule di Colleparco, archiviando le certez-ze del passato. Si abbatte anche su Teramo la scure del Governo con il drastico taglio dei fondi di fi nanziamento. Per mantenere in piedi strutture e didattica è arrivato il “regalo” per le famiglie: l’aumento delle tasse. Gli studenti quest’anno pa-gheranno da 40 euro in più per la fascia di reddito più bassa a 80 euro per quella più alta. E non fi nisce qui. Al rientro dalle vacanze sono emerse alcune interessanti novità. L’orario di apertura delle sedi è stato ridotto, con chiusura anticipata alle 14 del venerdì. Con buona pace degli studenti che non potranno più usufruire delle aule di studio nel pomeriggio del venerdì e il sabato mattina. Stessa sorte per la biblioteca. Con il nuovo orario le porte si

chiudono in anticipo, alle 17 anziché alle 19:30. Riaperto da poco il bar della facoltà di scienze politiche, ma solo per tre giorni a settimana. Restano almeno i distributori automatici come punto di ristoro. Per mancanza di personale, chiuse le aule di informa-tica, benché fornite di computer e rete internet. Senza dubbio un biglietto da visita carente anche per gli studenti europei che l’ateneo accoglie con l’Erasmus. Il sistema dei trasporti resta ina-deguato per i pendolari, costretti al travaglio del traffi co cittadi-no per raggiungere il sito di Colleparco, sempre più cattedrale nel deserto. Invariate le diffi coltà connesse alla collocazione della mensa. Una struttura lontana dal centro cittadino e separata dal complesso delle facoltà. Ancora assente la casa dello studente, con la rinnovata promessa di fi nanziamenti in arrivo. L’università di Teramo è al bivio. Tra voci ricorrenti di nuove ri-strutturazioni milionarie per i vetusti edifi ci di viale Crucioli e la certezza dei tagli. Sos, salviamo l’UniTe.

S.O.S. S.O.S. Universita’Universita’ di Teramo

MIRKO DE BERARDINIS

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A Teramo una scritta su pietra di epoca medioevale celebra anco-ra il bene più preziosoC’è bisogno di immettersi sulle tracce del passato per non sra-dicare il senso di appartenenza a quei fontanili tanto amati dai nostri avi.Presso la chiesa di San Giuseppe, a Teramo, è conservato un elo-gio in versi di commovente bellezza che dà lustro alla preziosità dell’acqua.Si tratta di un’ iscrizione in pietra scolpita, nel lontano 1270, da Luca di Manoppello e ubicata in origine presso la fonte Graziana. Le parole di lode incise sulla pietra celebrano le acque ridondanti del fontanile e riconducono la memoria del lettore agli antichi riti pagani legati al culto di Venere. Oggi questa fontana getta ancora acqua, nonostante lo stato di degrado e abbandono. A Teramo, in epoca medievale, fl uivano numerose fontane, alcune scaturivano presso ciascuna porta della città e nelle aree vicinali, altre erano poste dentro le mura cittadine.Dalla lettura delle fonti archivistiche e storico-documentarie si apprende che la fonte Graziana, la fonte Bencivega, la fonte del ponte Vezzola, la fonte del Buonfi glio, la fonte di sant’Eleuterio, la fonte Adoglia, la fonte Gensana, la fonte della Noce erano tutte alimentate da un canale di adduzione e dotate di abbeveratoio. Inoltre, i documenti ci portano a conoscenza degli ordinamenti che regolavano, la cura e la gestione delle fontane e delle rue

acquarie.Le fontane e i canali erano beni di comune utilità e per questo si facevano costruire, riparare o riedifi care dagli stessi cittadini con l’utilizzo di arena, calce e pietre. Le rue acquarie o canali delle vie pubbliche erano destinate ad accogliere l’acqua piovana che, a sua volta, scorreva in piazza e contribuiva ad alimentare le fontane. Al fi ne di evitare che quest’ultime si prosciugassero era vietato derivare o raccogliere l’acqua dai canali. In prossimità dei fonta-nili vigilava un custode il quale aveva il compito di denunciare i guasti della struttura idraulica e il cattivo uso dell’acqua. Inoltre era vietato inquinare, gettare pietre o lavare panni, e chiunque deturpasse qualche fontana pubblica o vicinale veniva punito con il pagamento di venti soldi. Tuttavia, l’approvvigionamento idrico cittadino non era garantito solo dalle fontane pubbliche. ma anche dalla possibilità di captare acqua dal Vezzola per mezzo di un piccolo condotto.Nella città tra i due fi umi l’acqua ha da sempre ricoperto un ruo-lo fondamentale nello sviluppo dell’economia e della vita sociale cittadina.L’acqua era ed è a tutt’oggi simbolo di ricchezza, prosperità, fer-tilità della nostra terra; è un dono della natura che merita di es-sere rispettato, curato e gestito come la risorsa più preziosa del nostro territorio.

GIUSEPPINA MICHINI

ElogioElogio alle acque

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Alcuni lo fanno di notte, altri sfacciatamente alla luce del sole. Lungi dal voler alludere a piccanti provocazioni : è la guerra delle affi ssioni abusive, una porcheria che troppo spesso passa silenzio-samente davanti ai nostri occhi.Sono circa centocinquanta le leggi che fanno capo alla regolamen-tazione dei manifesti.Tra le “basi” di questo mondo si trova il decreto legislativo 15 novembre 1993 n.507 il quale afferma all’articolo 1 che “la pubbli-cità esterna e le pubbliche affi ssioni sono soggette(…)ad una im-posta(…)a favore del comune nel cui territorio sono effettuate”.Sono quindi i Comuni che fi ssano tempi, modi e tributi dovuti. C’è poi il codice della strada il quale, all’articolo 23 dispone che “lungo le strade (…) è vietato collocare insegne, cartelli, manifesti, (…), che(…) possono ingenerare confusione con la segnaletica stradale, (…) ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della stra-da o distrarne l’attenzione(…)”.Queste norme vengono quotidianamente messe sotto i piedi.Ancora, la Finanziaria 2007 ha reintrodotto la responsabilità so-lidale tra chi affi gge i manifesti abusivi e chi li commissiona che la Finanziaria 2005 aveva eliminato: la norma suscitò indignazione visto che venne considerata da molti un abuso da parte dei partiti

che nelle elezioni del 2004 avevano tappezzato l’Italia intera.Anche Teramo ha un suo regolamento. Sono infatti disciplinate le applicazioni delle imposte, tempi e divieti d’affi ssione, in partico-lare vicino scuole, ospedali ed alberghi che non valgono in cam-pagna elettorale, la pubblicità sonora –gli “strilloni”- è consentita solo se con volume basso ed in certi orari. E’ inoltre vietato il ‘volantinaggio a mano’, ad eccezione del recapito domiciliare. Non manca un articolo dedicato alle multe per chi viola tali nor-me, fermo ancora alla vecchia valuta: da £ 200.000 a 2 milioni.Purtroppo la realtà è ben diversa. Ogni muro è buono per incolla-re una pubblicità per la quale non vengono pagati i dovuti tributi, e se il manifesto è sgradito è suffi ciente strapparlo e lasciarlo a terra. Una nuova e stravagante moda prevede, inoltre manifesti-ni approssimativi per quella tale festa o matrimonio, indicazioni estemporanee, stupidaggini di ogni tipo.Al solito, manca chi applica le sanzioni.Forse il pentolone è talmente grande e profondo che anche se qualcuno di buona volontà volesse scoperchiarlo rischierebbe di scottarsi malamente.

IVAN DI NINO

Tu chiamalese vuoi … affi ssionise vuoi … affi ssioni

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Si discute spesso, in città, sul fatto che i teramani utilizzino poco gli stalli a disposizione di motorini – che il codice defi nisce ancora ciclomotori- e motociclette.Certo, questo avviene anche per pigrizia, lasciando i mezzi a due ruote fra un’auto e l’altra, oppure davanti a qualche portone, ma “solo per cinque minuti, tanto proprio adesso deve uscire qual-cuno?”E’ altresì vero che molti parcheggi per moto vengano impropria-mente utilizzati dalle auto.Tantissime volte questi prepotenti la fanno franca.Certo, anche su questo ci sarebbe da questionare a lungo: solo alcuni capitano nella “morsa” della contravvenzione mentre altri,

che magari sostano dove non è consentito giornate intere, non subiscono lo stesso trattamento.Inutile chiedere agli organi preposti alla vigilanza: la litania è arci-conosciuta. Mancanza di uomini e mezzi. E’ quindi quasi un piacere vedere un’iniezione di civiltà verso que-sti automobilisti che illegittimamente si appropriano di posti ad altre categorie riservati.Un maggior controllo sarebbe però cosa graditissima da parte dei cittadini onesti e non arroganti come altri, i quali pensano di essere essi stessi la legge, se non superiori a quest’ultima.

IVAN DI NINO

Parcheggi … ... inciviliincivili

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Se vi trovate a passeggiare per Porta Ro-mana, cercate da voi con gli occhi se quan-to scritto in questo articolo vi risulti vero. Vedrete come, purtroppo, sia una delle zone più degradate di Teramo e, badate, non si sta parlando di periferia (ammesso e non concesso che le periferie, nell’im-maginario comune, possano essere più suscettibili di degrado). Porta Romana è uno dei corsi della nostra città, nonché uno dei quartieri potenzialmente più sug-gestivi. Come sempre da qualche tempo a questa parte, Alberto Melarangelo fa da guida. Appuntamento in un sabato matti-na di mercato. Non appena cominciamo il giro subito qualche curioso del quartiere insospettito si avvicina e comincia a farci notare le vistose buche nei sampietrini. “Cosa vogliamo fare?” ci chiedono irritati. “Intanto un articolo”, rispondo pur sapen-do che di fronte alla stampa sono in molti (specie i diretti interessati) a fare orecchie da mercante. Si avvicina un altro signore, sempre per lo stesso motivo: “L’inclinazio-ne della strada è fatta malissimo: il drenag-gio è completamente sbagliato. Ogni volta si creano pericolose pozze d’acqua!” Pren-do nota e Melarangelo prosegue sull’argo-mento: “Porta Romana è davvero una del-le zone di Teramo che versa in maggiore abbandono, dato che tutti gli investimenti si stanno spostando verso altre parti della città. Dei lavori sono stati fatti alcuni anni fa ma, come sempre, non in modo esau-stivo. Per esempio, guarda quei due vicoli:

delle Rose e del Garofano che si ricon-giungono a via Trento e Trieste. La loro pavimentazione (in asfalto, completamen-te fuori stile rispetto al corso e alla via) è in stato pietoso. Mettere anche qui dei sampietrini e (almeno) tinteggiare i muri incrostati costerebbe cifre esorbitanti? Non credo proprio.” Effettivamente quelle che potrebbero essere due viuzze molto pittoresche, da antica borgata, risultano di una tristezza indicibile. Prosegue Melaran-gelo: “Credo che si potrebbero creare con facilità situazioni simili a quelle di corso Manthoné a Pescara: piccole librerie, locali, osterie. Occorre, però, aiutare i cittadini a scommettere sulle potenzialità di questo corso: combattendone il degrado, per pri-ma cosa. Invece anche le poche cose belle che c’erano sono state tolte. Il mercato dei fi ori, per esempio, è stato spostato a piazza San Francesco scontentando tutti quanti. La zona mercato del sabato poteva essere invece estesa di altri metri.” Ci av-viciniamo infi ne a quello che voleva essere l’argomento principale: l’ex-Ravasco o l’ex-orfanotrofi o. Melarangelo ironizza: “Que-sto edifi cio è stato ‘ex’ di molte cose!” E prosegue: “L’ex-Ravasco è un edifi cio immenso, come vedi, ed è proprietà dalla Asl. Ora è abbandonato dai primi anni ’90 e nessuno sa cosa voglia farsene. Stanno aspettando che cada giù probabilmente… una vera bomba di degrado nel cuore di Teramo.” Eppure, viene da pensare, a farlo cadere neanche il terremoto ci è riuscito.

Porta Romana Porta Romana analisi di un degradodegrado

DI VINCENZO LISCIANI PETRINI

Il corso dimenticato della città Il corso dimenticato della città al minuzioso esamedella nostra “guida”, Alberto Melarangelo

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E neanche il lotto zero che ha martoriato nel profondo la stabilità di tutto il quartie-re. Alcuni piccioni appollaiati sulle ringhie-re ci guardano con sussiego e indifferenza: l’edifi cio è ormai loro esclusiva proprietà insieme ai topi, ai cani, ai gatti… e agli ani-mali peggiori: i vandali. Sono infatti diver-se le aperture incustodite: fi nestre, porte, brecce, da cui si intravede l’interno dello stabile gravemente compromesso. “È gra-vissimo che l’Asl, principale azienda del nostro territorio, tenga nel più biasimevole abbandono un simile edifi cio. È qualcosa di assolutamente inammissibile e di cui deve rispondere pubblicamente alla cittadinan-za dato che contribuisce in modo decisivo al degrado di questo quartiere che invece potrebbe essere tra i più belli di Teramo.” Anche il giardino antistante l’edifi cio fa parte del medesimo complesso ed è allo stesso modo abbandonato pur essendo tra i pochi spazi verdi del centro storico. Al suo posto un parcheggio incustodito, accanto a un campetto dove alcuni ragaz-zini si intrufolano attraverso pericolanti ringhiere arrugginite. “Si dice sempre più che Teramo stia guardando al futuro: se il futuro è lasciarsi dietro con approssima-zione le proprie risorse per seguire opi-

nabili chimere, be’… direi che siamo messi male. Di fronte a questo degrado urbano ci vuole coraggio per lanciarsi in simili slogan. Se mancano le idee come fa ad esserci fu-turo? Tra l’altro se pensiamo a quanti bravi giovani teramani ogni anno si laureino in architettura ma, dico, è possibile che non vengano coinvolti dall’amministrazione in bandi e progetti anche di livello europeo? Questi ragazzi sono poi costretti a fare le valigie e ad andarsene via…” Giriamo die-tro l’edifi cio mentre alcune auto restano incagliate nel parcheggio: scene di ordina-ria teramanità. La parte dello stabile sulla circonvallazione (quest’ultima ancora sen-za dissuasori) è ancora più triste. Eppure esempi positivi, dice Melarangelo, ci sono: l’istituto Ventili un progetto ben riuscito e ormai prossimo al coronamento. Ecco di cosa si è capaci in positivo quando ci si mette a lavorare con intelligenza, e non occupando con arroganza e superfi cialità un’oziosa scrivania che dovrebbe invece trasudare di lavoro”. Il giro fi nisce, con un amaro sentimento dato che si toccano le ferite della nostra Teramo. Dagli addetti ai lavori Porta Romana aspetta una risposta al suo degrado e intanto fa sentire la sua voce.

Lo stato di un palazzo lungo Porta Romana

La condizione del manto stradale

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Amica è partita!Non è il titolo dell’ultimo best seller che sta spopolando tra i giovani teenager o del fi lm italiano candidato al prossimo premio Oscar. Amica è l’acronimo di Antarctic MultibandInfrared Camera, lo strumento che prossimamente verrà portato alla base antartica “Concordia” per essere montato nel fuoco del telescopio “Maf-fei”. Il 30 settembre è cominciato il lungo viaggio che porterà Amica da Teramo fi no ai 3200 m di Dome C, la terza vetta tra quelle più alte del plateau antartico. L’arrivo è previsto per i primi giorni di dicembre. A riceverla, la squadra incaricata del montaggio di Maffei e Amica. Quattro persone in tutto, due italiani, tra cui il nostro Angelo Valentini, e due francesi.Ma cosa è esattamente Amica? Un telescopio è essenzialmente un sistema ottico, fatto di lenti e specchi, che intercetta la debole luce emessa da stelle, pianeti o nebulose, concentrandola sul piano fo-cale, dove si forma l’immagine astronomica. Amica è una sorta di camera fotografi ca, dove l’immagine viene “catturata” e trasmessa a un computer. Si tratta, però, di una camera molto particolare, sensibile alla luce infrarossa, altrimenti invisibile all’occhio umano o alle comuni camere usate in astronomia. La luce infrarossa è caratterizzata da lunghezze d’onda maggiori di quella visibile, e per vederla occorre una tecnologia molto sofi sticata. Per svilup-parla, i ricercatori di Collurania sono vola-ti in California, nella famosa Silicon Valley, e poi a Tucson in Arizona, dove di trovano le poche industrie al mondo specializzate nella produzione di sensori bidimensionali sensibi-li alla luce IR.Per ridurne il rumore termico, questi sensori devono essere raffreddati a temperature di appena 4 gradi Kelvin (ossia -269 gradi centigradi). Dopo circa 5 anni di lavoro, l’équipe tecnologica guidata dal dott. Mauro Dolci ha raggiunto il diffi cile obiettivo di realizzare il criostato di Amica, dove sono alloggiati il sistema ottico, i due rivelatori IR e l’elettronica di prossimità. Le particolarità che rendono Amicaun og-getto di altissima tecnologia non sono fi ni-te qui. In Antartide, le temperature minime possono scendere fi no a 90 gradi sotto zero. E proprio questo clima estremo a rendere il continente di ghiaccio il miglior sito al mondo per l’astronomia infrarossa. Tuttavia,

le basse temperature e la rarefazione dell’atmosfera mettono a dura prova il funzionamento dei macchinari e limitano le attivi-tà umane. Per studiare il comportamento di materiali e apparati sottoposti alle estreme condizioni antartiche, i ricercatori e i tecnici teramani hanno costruito una camera climatica dove tali condizioni sono riprodotte nei minimi dettagli. Anche se il suo aspetto è molto differente dalla comune immagine che abbiamo dei robot, umanoidi con tanto di testa, braccia e gambe, Amica è un vero e proprio automa, capace di lavorare senza l’intervento umano. Un complesso sistema di controllo automatico è in grado di regolare le condizioni climatiche nei box dove sono contenute le varie componenti sensibili, accendere (o spegnere) i computer di bordo,comandare la pompa per il vuoto nel criostato, avviare il raffreddamento criogenico. Infi ne, il sistema ordina al telescopio di puntare la porzione di cielo che si intende osservare. Hanno così inizio le danze: le immagini astronomiche sono acquisite ad un ritmo di 500 al secondo. L’astronomo, deve solo preoccuparsi di inviare al computer di bordo una scheda con le coordinate astronomiche degli oggetti da osservare. Alla fi ne, troverà sul suo computer le immagini e potrà cominciare ad analizzarle. Ci vorranno ancora un paio d’anni per ultimare tutti i montaggi e i test. Poi, Maffei e Amica apriranno la fi nestra su un universo mai

visto prima. Potremo studiare le stelle oscu-rate dal materiale da loro stesse espulso, i resti delle esplosioni di supernova o vedere le fredde regioni della Via Lattea dove nuove stelle si stanno formando. Andremo a caccia di pianeti orbitanti intorno ad altre stelle e potremo individuare nuovi asteroidi e co-mete, i cosiddetti corpi minori del sistema solare. Maffei, già IRAIT, è nato da un’idea del prof. Paolo Maffei, pioniere della moderna ricerca astronomica, recentemente scom-parso. E’ frutto di una collaborazione tra l’Università di Perugia, i laboratori del CEA (Francia), l’Università di Granada (Spagna) e l’Istituto Nazionale di Astrofi sica. L’équipe di Amica è composta da ricercatori e tecnici provenienti, oltre che da Collurania, dagli Osservatori di Padova, Torino e Milano.

OSCAR STRANIERO

DIR. OSS. ASTRONOMICO DI COLLURANIA

Un’ AmicaUn’ Amica sull’Antartide

Con il Collurania di TeramoCon il Collurania di Teramo

Oscar Straniero(direttore astronomico di Collurania)

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In concomitanza con la presentazione nazionale, anche a Teramo è stato presentato il rapporto annuale sull’immigrazione. Un dos-sier statistico che dal 1991 aiuta le associazioni e gli enti sociali a tracciare una mappa del fenomeno delle migrazioni nel nostro Paese, contribuendo a studiarne dinamiche e sviluppi. Una raccol-ta di dati e informazioni, quindi, realizzata annualmente da Caritas Italiana e dalla fondazione Migrantes, che spesso non coincide con i dati Istat, ma che fornisce tuttavia un quadro più realistico. Il rapporto di questo anno è stato presentato, per tutto l’Abruzzo, nella nostra città, presso la sede della facoltà di Scienze della co-municazione. Ogni anno il dossier è accompagnato da uno slogan. Quello di quest’anno recita: “Per una cultura dell’altro”. E su questa frase i relatori hanno battuto molto, perché si smetta di parlare di que-sto fenomeno come “problema” dell’immigrazione. Gli immigrati sono un’opportunità socio- economica fondamentale per l’Ita-lia dei nostri tempi. Il loro apporto alla crescita demografi ca e all’economia sono più di aiuto che di ostacolo per le complesse dinamiche del nostro Paese. Anche nella nostra Regione il loro contributo rende meno diffi cile il fronteggiare questi anni di crisi. Padre Gianromano Gnesotto, direttore nazionale Migrantes, in-

tervenuto al convegno, spiega come da 20 anni si stia cercando di presentare il fenomeno per quello che è realmente, in una con-tinua lotta contro il pregiudizio e l’immaginario collettivo errato. Parlano i dati. La presenza di stranieri negli ultimi due decenni in Italia è cresciuta di quasi 20 volte: si è passati dal mezzo milione di presenze nel 1990 ai quasi 5 milioni di oggi. La loro incidenza sul Prodotto interno lordo è pari all’11,1%, con un versamento alle casse pubbliche di quasi 11 miliardi di euro, tra contributi previ-denziali e fi scali. Gli immigrati non sono solo lavoratori dipendenti un po’ in tutti i campi, ma sono anche in aumento le loro iniziative imprenditoriali, che danno lavoro anche a noi italiani. La nostra provincia, a livello regionale, è la più accogliente e offre lavoro a quasi 19 mila stranieri.Padre Gnesotto ribadisce, inoltre, come debba cambiare la per-cezione che abbiamo di questi stranieri. Quelli che decidono di emigrare sono sì quelli più disperati, ma sono anche e soprattut-to quelli che maggiormente cercano un riscatto. Bisogna vederli come il frutto di un riequilibrio naturale, a livello mondiale, per fronteggiare le disparità che affl iggono il nostro pianeta.

VALERIO VINÒD SILVERII

Immigrazione: “Per una cultura “Per una cultura dell’Altro”dell’Altro”

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Da qualche mese in via San Berardo, accanto al Duomo, è facile osservare una maggiore presenza di ragazzi. Proprio in quella via è ormai nato un nuovo spazio dedicato ai giovani. Non un normale luogo di aggregazione, come un bar o una sala giochi, ma un vero e proprio centro in cui lo stare insieme mira a superare il semplice intrattenimento ludico e ricreativo. Kairòs, questo è il nome del centro giovanile, è un locale che si sviluppa su due piani. Al piano terra vi sono due spazi di accoglienza, dove alcuni volontari rice-vono gli utenti e quanti volessero entrare per conoscere meglio l’iniziativa o molto più semplicemente per dare uno sguardo. Il secondo piano è lo spazio principale su cui punta l’intero centro, una sala di discreta ampiezza con funzioni polivalenti, più altre due stanze per l’intrattenimento e per le riunioni. Il nome, preso dal greco, indica un tempo personale, affettivo, opportuno; il mo-mento atteso dell’incontro tra persone che si cercano. In questo senso il centro vuole essere uno spazio concreto, un luogo dove il tempo ordinario e anonimo possa diventare opportunità di pro-getto in modo che lo stare insieme diventi occasione di confronto e conoscenza, premiando curiosità e talenti dei ragazzi. Infatti, nei primi mesi di vita del centro, sono già state realizzate alcune ini-ziative come mostre, presentazioni musicali (il cd del rapper tera-mano T-Mat), concerti che hanno spaziato dalla musica “ambient” contemporanea (serata di inediti del DEEA) fi no alla classica (due

saggi fi nali del Braga). Notevoli poi sono stati gli incontri tematici sull’ecologia, curati da Felice Reggimenti. Per il futuro si prevede un cineforum, la realiz-zazione di svariati corsi e laboratori quali fotografi a, lingue stra-niere, dizione pittura, clowneria e altri ancora. Al Kairòs vengono inoltre ospitate le opere di giovani artisti teramani che creando una sorta di museo permanente. Molte quindi le iniziative: provare per credere! Il Kairòs si rivolge prevalentemente a un pubblico giovane, che rientri in una fascia di età compresa tra i 15 e i 30 anni, ma tutti i cittadini sono invitati, nessuno escluso Il centro giovani sta ulti-mando la fase di partenza e cerca altri volontari che aiutino quelli già presenti a ordinare e organizzare le tante idee proposte e i progetti in atto. L’obiettivo è quello di poter arrivare per prima cosa a coprire orari di apertura più ampli. Per ora infatti il Centro Giovani Kairòs rispetta i seguenti orari: dal lunedì al venerdì, 9:00 alle 12:30, adibito soprattutto a sala lettura e sala studio (circa 50 posti, wireless gratuito); giovedì, venerdì; sabato dalle 16:00 alle 20:00 attività ricreative ed eventi. Pertanto l’invito dei kairossiani è questo: “Ragazzi, non lasciamoci sfuggire questa opportunità! Il Kairòs è nostro e di tutti voi”.

VALERIO VINÒD SILVERII

KairosKairoscentro giovanicentro giovani

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Conoscerete di sicuro Antonietta “Edea” Menegatti, cantante pop, che negli ultimi tempi ha fatto parlare di sé anche a livello nazionale. In centro storico, se c’è, la si può notare subito grazie alla sua bella carna-gione scura e all’inconfondibile chioma di capelli ricci. Attendo col taccuino in mano mentre i minuti passano. Eccola che arri-va, appena in ritardo. Qualche battuta per presentarsi e di fronte a un buon caffè na-sce questa intervista. Edea, di sicuro hai scoperto il tuo talento

canoro molto presto. Più o meno a che età? “Ho cominciato quando ero molto piccola, circa a 3 o 4 anni, e nel modo più normale, dal momento che ero una fan sfegatata di Cristina D’Avena! A sedici anni ho cominciato a fare le prime serate, a cantare ai matrimoni, e con il cre-scere delle richieste pensai di poter lavorare in que-sto campo. Le cose sono andate bene per cui, pas-so dopo passo, gli ingaggi sono diventati sempre più frequenti ed è stato neces-sario capire anche come preservare la voce. Ormai da cinque anni sono segui-ta dal maestro Pierpaolo

Salvucci che mi ha insegnato l’uso indi-spensabile del diaframma, come migliorare il respiro e soprattutto come mettere a frutto la mia musicalità.” Oltre a dei maestri, spesso ci sono anche dei modelli. Specie durante l’adolescenza diventano i nostri miti e rappresentano un nostro ideale. Quale cantante ti ha mag-giormente infl uenzata? “Sono molte le cantanti che mi piacciono, ma una che mi ha veramente infl uenzata, come dici tu, è Mia Martini, per me un

vero modello di artista. In seconda battuta metterei Giorgia, la Oxa, Anastacia, e an-che Gianna Nannini.” Il momento più bello della tua giovane car-riera? “La vittoria a Sanremolab (2008), di cer-to. Anche se, purtroppo, il manager che avevo allora non seppe cavalcare l’onda di quell’importante risultato. Un altro mo-mento bellissimo è stato il mio concerto live a Barletta, nell’estate scorsa. Una se-rata dove tutto è stato perfetto: musica, pubblico… tutto.” Ma qualcuno ti hai mai detto di “lasciar perdere”? “Mm… una domanda piuttosto insolita! Comunque no: sono stata sempre inco-raggiata ad andare avanti, soprattutto dalla mia famiglia”. Recentemente sei stata a X-Factor, in mol-ti ti hanno vista al provino. “È stata un’esperienza importante, l’am-biente e la situazione erano interessanti anche se odio i provini. Mettono sempre una grande ansia ed hai l’impressione di sbagliare o di subire un torto. Alla fi ne en-tri, canti e devi accettare che qualcuno ti giudichi così, su due piedi. Ci vuole fortuna. E forse anche qualcos’altro.” Ti va invece di parlare del “caso Modà? “Ti dico come sono davvero andate le cose. A Sanremolab avevo presentato la canzone ‘Anima Nera’, protetta dalla Siae e in giro sui canali nazionali. I Modà oggi

DI VINCENZO LISCIANI PETRINI

Semplicemente EdeaEdeaDai primi timidi tentativi Dai primi timidi tentativi fi no alla vittoria di Sanremolab 2008alla vittoria di Sanremolab 2008 e al caso Modà:l’escalation della giovane cantante teramana l’escalation della giovane cantante teramana

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(2 anni dopo),presentano come singolo di punta del loro nuovo album una canzone molto, troppo simile alla mia: grosso modo risultavano solo invertite le strofe con i ri-tornelli. La canzone è ‘Sono Già Solo’ : un chiaro caso di plagio, messo in luce anche da un video su youtube che evidenziava le parti identiche. Neanche a dirlo i fans dei Modà si sono scagliati contro di me, calunniando-mi in tutti i modi. Poi un giorno sul web tut-to era scomparso, compreso il video che

comparava le due canzoni. Mistero…o forse no. E credetemi , ancora oggi non so che cosa sia successo. La verità non la conosco, purtroppo.” Chiudere l’intervista su questo episodio spiacevole davvero è un peccato. Ma ecco che all’improvviso un ragazzina che passava in bicicletta riconosce subito Edea. Dice di essere una sua fan e le fa i complimenti, l’ha vista in tv. Edea sorride contentissima, per un’artista non c’è gioia più grande del fare breccia nel cuore dei più giovani.

CHI ÈNOME :Antonietta (d’arte... Edea!)COGNOME MenegattiSOPRANNOME ..Edea.. Anto..boh. ormai ho raggiunto la crisi d’identità!DATA DI NASCITA : 13.02.83CITTA’: Milano...ma sono teramana ormai!STUDI :Diploma ragioneria e studio canto leggeroCOLLABORAZIONI: aperture concerti di Donatella Rettore, Gatto Panceri, Baccini e Povia per l’IMD a Sanremo e Piero Pelu’ ...e con quasi tutti i bravissimi musicisti che vivono a Teramo!!!PROSSIMI PROGETTI: www.myspace.com/edealive ...stay tuned!UN SOGNO NEL CASSETTO: rendere felice la mia famigliaUN AGGETTIVO PER DESCRIVERTI (O UN MOTTO): meglio avere rimorsi che rimpianti!

Vorrei ringraziare tutti gli amici di Facebook che mi sono stati e mi sono tuttora sempre vicini(Grazie!) e tutti gli iscritti a gruppo ‘’ tutti per Edea’’ sempre su FB... e gli iscritti alla mia pagina myspace, che ha superato le 42.000 visualizzazioni!

Edea durante uno dei su0i concerti

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Divertirsi per divertire

Leo Gullotta Leo Gullotta a Teramo

Una battuta, “Dammi del Leo”, per rom-pere l’imbarazzo iniziale. Il clima è quello sereno e gioviale di un incontro con un vecchio amico, già tre anni fa a Teramo con “L’uomo, la bestia e la virtù” di Pirandello. Leo Gullotta inaugura la nuova stagione di prosa 2010/2011 della “Primo Riccitelli”. La soddisfazione è grande per l’associazio-ne: quest’anno si sfi ora il record di 2300 abbonati (cento in più rispetto alla scorsa stagione).Gullotta è il protagonista de “Le allegre comari di Windsor”, che William Shake-speare scrisse in soli quattordici giorni su richiesta della regina Elisabetta I. Il tema è quello della diversità e della cattiveria di scherzi e intrighi che si abbattono contro chi è considerato un diverso per aspetto, indole e attitudini. Sir John, poderosa e goffa fi gura comica interpretata magistral-mente dall’attore siciliano, è il bersaglio prescelto di una società borghese bieca e ipocrita; e il confronto con i tempi moderni è immediato. Leo Gullotta, che quest’an-no festeggia i cinquant’anni di professione, presenta lo spettacolo prodotto dal Teatro dell’Eliseo assicurando un fi nale nel pieno rispetto della struttura voluta e ideata da Shakespeare. Sul palco si avvicendano se-dici attori molto giovani, con particolare cura per i costumi e per la scenografi a. La natura di attore-clown non viene celata in alcuna maniera: nessun passato da rin-negare, ma esperienza che diventa palestra di vita per andare avanti e crescere. “Ogni

sera mi porto dietro l’entusiasmo del pub-blico, cerco il più possibile di divertirmi e di dare il mio meglio”. Parole che espri-mono la travolgente passione per questo mestiere, fonte di ispirazione e di vita.Nato da genitori operai e ultimo di sei fi gli, inizia il mestiere per caso al “Cut” (Cen-tro universitario teatrale) di Catania; poi è al Teatro Stabile della stessa città, dove rimane dieci anni ed entra in contatto con illustri personalità come Leonardo Sciascia, Giuseppe Fava, Salvo Randone. Un bagliore illumina i suoi occhi al ricordo degli anni della formazione quando, pur senza sa-pere nulla di teatro, con fatica e fervore imparava l’arte dell’attore, ma soprattutto l’arte di vivere rifi utando i compromessi per plasmare e conservare la propria in-tegrità etica e professionale. Attore comi-co e drammatico, cabarettista, doppiatore: sono solo alcune delle maschere indossate da un artista poliedrico che non ha alcun timore a raccontarsi e a svelare il suo lato più umano. È una lezione di vita la sua che si conclude con un invito a coltivare e a lottare per le proprie idee. “Nessuno ha il diritto di toglierci i nostri sogni, biso-gna crederci! Una mano serve per tenerli stretti, l’altra serve per combattere perché niente è facile”. E il teatro, inteso come momento di incon-tro, di sorriso, ma soprattutto di rifl essio-ne, si conferma come la migliore fabbrica per partorire sogni.

EMANUELA DI GAETANO

Leo Gullotta inLeo Gullotta inLe allegreLe allegrecomari di Windsorcomari di Windsordi William Shakespeare

traduzione e adattamento di Fabio Grossi e Simonetta Traversetticon Alessandro Baldinotti, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Fabio Pasquini, Rita Abela, Fabrizio Amicucci, Valentina Gristina, Cristina Capodicasa, Gerardo Fiorenzano, Gennaro Iaccarino, Federico Mancini, Giampiero Mannoni, Sante Paolacci, Sergio Petrella, Vincenzo Versariscene e costumi di Luigi Peregomusiche di Germano Mazzocchetticoreografi e di Monica Codenaluci di Valerio Tiberiassistente alla regia Mimmo Verdesca.

info:

www.www.primoriccitelli.it.it

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Le “pittosculture” di Rossella FaraoneRossella Faraone

La pittura incontra la scultura, l’oro si fonde con le pietre più belle e gli smalti più intensi, in un affascinante viaggio artistico tra cielo e terra. Un itinerario di “pittosculture” - originali tavole dove dal colore degli smalti e dell’oro si alzano sculture di pietre preziose - che l’artista Rossella Faraone propone con la mostra “Le Mappe Celesti e Terrestri”, fi no al 17 novembre presso la sala “Carino Gambacorta” della Banca di Teramo di Credito Cooperativo, in via Crucioli n. 3 a Teramo.Le trenta opere in mostra sono state realizzate da Rossella Fa-raone a partire dal 2005 e, fi nora, sono rimaste in esposizione presso il suo atelier a Nereto, a disposizione di amici, conoscenti e appassionati. Con questo evento, l’artista intende ora portare all’attenzione del grande pubblico una forma espressiva assoluta-mente innovativa, che ha già avuto modo di convincere un critico

d’arte del calibro di Gérard-Georges Lemaire. Suo, infatti, il testo critico del catalogo, nel quale, tra le altre cose, afferma: “Dipingere con delle pietre, come in altri tempi si dipingeva con l’oro, per realizzare le superbe pale che hanno ornato gli altari dell’Europa del Rinascimento e dell’età barocca, dipingere delle pietre grez-ze o lavorate e con dell’oro è ciò che fa l’originalità di Rossella Faraone”. Gli fa da eco il presidente della Fondazione Michetti, Vincenzo Centorame, che nella presentazione del volume scrive: “Le opere della Faraone sarebbero da interpretare anche alla luce di quella mistica delle pietre preziose di cui parla Paul Claudel, il quale invita ad osservare le cose belle della terra pensando a quelle del cielo”. La mostra è aperta dal martedì al sabato con orario 10.00-13.00 e 16.00-19.00. Ingresso gratuito.

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on la Messa dell’Artista, animata dall’esibizione di 100 cantori prove-nienti da diverse Corali, si è conclu-sa presso il Santuario di S. Gabriele, a Isola del Gran Sasso, la XIV Biennale d’Arte Sacra Contemporanea intitola-ta: “Le Beatitudini” . Organizzata dalla Fondazione Stauros ,il cui museo rac-coglie opere d’arte sacra contempora-nea sul tema della Passione e Resurre-zione di Cristo, e inaugurata il 31 luglio scorso, nei tre mesi di esposizione ha registrato una numerosissima affl uenza di pubblico stimata in circa dodicimila presenze. La Mostra ha visto il coin-volgimento di artisti storici, che hanno infuso un’aura di dignità all’esposizione,

e rivitalizzata da qualifi cati artisti emer-genti, che hanno saputo creare il senso della continuità e dello sviluppo.Articolata in cinque sezioni tematiche dedicate ai messaggi evangelici del “Di-scorso della Montagna” -Matteo (5,3-12), il Santuario ha ospitato oltre cen-to opere, in parte installazioni, create appositamente per l’occasione. Attraverso le loro opere , gli artisti hanno dischiuso la possibilità di per-corsi spirituali che hanno assunto il valore di sequenze contenutistiche ed estetiche e si sono misurati con il sug-gestivo tema proposto, al fi ne di entra-re in dialogo con la Chiesa e donare ai visitatori suggerimenti spirituali.

DI MIRA CARPINETA

Biennale Biennale d’arte sacra d’arte sacra contemporanea contemporanea Santuario di San Gabriele dell’addolorata – Isola G.S.

Alcune delle opere esposte alla XIV Biennale

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Scherma medievale e rinascimentale, ecco quello che faccio.L’anno scorso ho trovato un link di un’amica, su facebook, nel quale si diceva che qui a Teramo era presente un corso di scher-ma storica. Ho creduto all’inizio che fosse qualcosa di teatrale, di fi nto, per essere sinceri. Nonostante tutto la curiosità ha vinto i miei dubbi e mi sono decisa a chiedere qualche informazione: luogo, attività, “come”.La prima lezione è stata una scoperta: altro che teatro o fi nzione, si apprendevano tec-niche reali di scherma del 1500 che alcuni maestri (di Bologna) avevano insegnato a allievi di quell’epoca, proprio come i nostri istruttori fanno con noi in questa di epoca: fantastico!È uno sport a contatto pieno, ovvero ci si picchia sul serio, e sul serio bisogna imparare a difendersi e ad attaccare, per non ripor-tare a casa qualche livido di troppo (ne so qualcosa). La Sala d’arme Achille Marozzo, l’associazio-ne che dà vita a questi corsi e che prende il nome da uno di questi maestri del passato, organizza numerosi incontri durante l’anno, ai quali ho avuto la gioia di partecipare. Uno di questi è il Torneo, dove ogni allievo, anche

i novizi come lo eravamo io e i miei compagni, si cimentano con i “fratelli” delle altre sale sparse in Italia, in molte delle discipline proposte, tra cui spada sola o accompagnata da rotella (scudo), daga (pugnale) o brocchiero (piccolo scudo in ferro) e cose simili.È in eventi come questi che si ha la possibilità di incontrare altri

“marozziani”, fare amicizia, scambiarsi pareri ed esperienze sulle discipline studiate o an-che solo avere la gioia di tirare e basta.L’altro grande incontro è il mitico Valhal-la, divertimento allo stato puro. Tre giorni per stare in compagnia, giocare e duellare con tutte le armi possibili, singolarmente o in squadra. Lo porto dentro come un ricor-do caro, un modo per staccare un po’ dal-la realtà e vivere semplicemente in allegria con gli altri. Che dire ancora, la Marozzo è questo e tanto altro. L’anno scorso i ragazzi del mio corso ed io abbiamo superato con successo l’esame di spada sola (il corso base) e quest’anno abbiamo già iniziato le lezioni di spada e daga. Chissà come fi nirà. So solo, e lo so con certezza, che dopo aver prati-cato molti sport, ne ho trovato uno che mi dà grande soddisfazione e altrettanto diver-timento.

DI VALENTINA TRIGNANI

Rinascimentoa un tiro di spadatiro di spada

scherma

Allenamenti di scherma medievale

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PartiteTeramo calcio

mese di novembre

stagione 2010/2011

Teramo - L’Aquila

fansteramoblog@gmailcom

Al Teramo tocca L’Aquila di Ola e Vi-dallè dopo il pareggio interno con il Paternò.Allo Stadio “Tommaso Fattori”si in-contrano due squadre diverse sotto ogni punto di vista. Infatti il Teramo viaggia a gonfi e vele contro ogni pro-nostico, mentre L’Aquila è nei bassi-fondi della classifi ca.Gli aquilani infatti nonostante aves-sero in rosa giocatori come Ola (fu-turo biancorosso) Contini (ora al R.Saragozza), Scardina ecc. arriveran-no penultimi.Il diavolo si presenta con due record: miglior attacco tra i professionisti (46 goal a pari merito con l’Inter) e mag-gior numero di tifosi al seguito in una trasferta. (2000 presenti al “Fattori”).L’arbitro di quel match era Tagliavento di Terni, ora arbitro in Serie A.L’Aquila sfi ora la vittoria per due volte grazie alle giocate di Vidallè.A portarsi in vantaggio sono i rosso-blu con Rizzioli che viene agguantato da un penalty realizzato da Simone Motta.L’arbitro dà il via alla seconda frazione

di gioco e Vidallè riporta in vantaggio la formazione aquilana.Il Teramo non molla e crea azioni a ripetizione fi n quando non riporta i conti alla pari.Alla fi ne le due squadre divideranno l’intera posta in palio.Protagonista assoluto del match l’at-taccante biancorosso Simone Motta.

L’AQUILA:Sassanel l i ,Scard ina ,Mar ine l l i ,Giugl iano,Ola,Contin i ,Rizz iol i (13’st Vincioni),Russo,Vidallè(39’ st Affuso),De Simone,Redavid(25’ st Drascek)All. Gentilini

TERAMO:Mancinelli,Facci,Vitali(24’ st Arno),Bagalini,Castelli,Molinari,Marchetti,Biso(35’ st Manni),Pepe,Motta,De Ange-lis G.(10’ st Cavalli)All. Zecchini

Arbitro: Tagliavento di Bari

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Fans Teramobuon compleannocompleanno

Tre anni fa è partito un piccolo progetto, forte di tante speranze e tanto impegno. Facciamo un piccolo bilancio con il promotore del blog “Fans Teramo”. Tre anni di blog, tifo e molte soddisfazioni. Raggiunti obiettivi impensabili, se si pensa che nel novembre 2007, quando è iniziato il progetto “blog”, la spinta era data da un solo motivo: il Teramo calcio 1913.Nell’arco di tre anni, le gratifi cazioni maggiori sono state rappre-sentate soprattutto dalla partecipazione registrata nell’attività e area discussioni dello spazio virtuale dedicato alla squadra ed in modo particolare ai tifosi, che fanno della loro passione superlati-va il “biancorosso”. La passione appunto, ha permesso a tre ragaz-zi, Federico, resp. blog, Maurizio, per la parte statistica ed Anthony,

per la parte grafi ca, di garantire un’informazione continua, aggior-nata, completa e trasparente, nessuna infl uenza, nessun vincolo, e come amano dire loro senza nessun “padrone”. Nell’anno 2010 si è riusciti ad aggiornare il blog quotidianamente, suscitando tanti apprezzamenti e qualche appunto. Ogni critica, però, è stata rac-colta ed usata come spunto di rifl essione per migliorare il blog. Oltre alla pregevole iniziativa della prima realizzazione di ca-lendari tascabili da parte di “Fans Teramo”, in programma per il prossimo anniversario della fondazione, 23 novembre, una serie di interviste ad ex biancorossi con diversi nomi importanti. Il nuovo anno porterà una importante novità: il blog si trasformerà in un vero e proprio spazio web, un sito in tutto e per tutto.

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a cura di Ivan di Nino

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Ho conosciuto Antonietta Guidobaldi quando collaborava con il padre, notissimo notaio della Val Vibrata, e l’ho ritrovata impe-gnata e solerte titolare di un’importante agenzia immobiliare che porta il suo nome (e lo stemma di famiglia) in bella evidenza.Nel cordialissimo incontro sono venuti alla luce, aldilà delle parole, i principali aspetti della sua personalità. Cura per il particolare, innanzitutto, (eleganza dell’ambiente molto curato, pur nella funzionalità assicurata), gio-vialità, con cui mette subito a proprio agio l’interlocutore. A seguire, professionalità ac-quisita in tanti anni di operatività nel settore, arricchita dall’esperienza di lavoro iniziale, e sensibilità nel comprendere e cercare di ri-solvere le esigenze di chi le siede di fronte.In sintesi, Antonietta Guidobaldi coniuga fe-licemente gli aspetti ‘tecnici’ con il bagaglio umano e culturale che porta inevitabilmente con sé ed il risultato fi nale si traduce in fi du-cia da parte della gente.Durante la cordiale conversazione viene fuo-ri il ‘profi lo’ ideale di un agente immobiliare, che è caratterizzato da ottima conoscenza tecnica di settore, ivi compresa la conoscen-za del mercato, ma anche dalla capacità di

ascolto e rapidità nel comprendere le reali esigenze delle persone. Ovviamente, il tutto ‘condito’ da una forte dose di pazienza. At-tualmente, ricorda quasi sottovoce, l’offerta di case è certamente superiore alla corrispettiva domanda ed il mercato di settore non

può non risentire della generale crisi.Le chiedo se, avendo idealmente un giova-ne avanti, lo spronerebbe ad intraprendere la sua stessa strada professionale. Dopo una breve pausa di rifl essione, risponde che , non essendoci certezze, lo ammonirebbe cercan-do di renderlo edotto sui rischi e diffi coltà professionali.Sulla concorrenza sostiene che “più che un problema è uno splendido stimolo ad agire sempre meglio”.Il suo sogno nel cassetto non è solo in campo professionale e chiaramente torna riemer-ge la donna e la mamma. Sogna di ritrovare valori e tradizioni e rispetto tra le persone, anche nell’ambito del lavoro. La lascio a co-ordinare il lavoro dei suoi quattro giovani collaboratori, con l’energia di una ragazza, ma con la decisione ammantata di dolcezza e lo sguardo bonario di chi comprende al volo le esigenze degli altri.

La signora è … immobileimmobileAntonietta GuidobaldiAntonietta Guidobaldi

DI ROPEL

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La psicoterapeuta Emanuela Torbi-done ci aiuta a capire quali meccanismi scattano in ognuno di noi quando si parla di una malattia importante come il cancro, che fondamentalmente ci pone davanti alla consapevolezza della morte. C’è chi affronta il tumore e tutte le sue conseguenze con uno “spirito com-battivo”, ossia presenta una reazione caratterizzata da atteggiamenti fi du-ciosi e dalla accettazione della malattia come evento di vita drammatico, ma affrontabile. Questo permette di soste-nere fi duciosamente il percorso di ma-lattia. Purtroppo non tutte le persone reagiscono così. Si possono riscontrare nelle persone affette da carcinoma an-che altre reazioni:- negazione-evitamento: la persona si mostra indifferenza verso la malattia, la minimizza e continua a vivere come se nulla fosse accaduto;- fatalismo: la persona con indifferen-za “stoica” non mostra nessun deside-rio di combattere la malattia, ciò è ben diverso dall’accettazione rassegnata e passiva della malattia; - preoccupazione ansiosa caratte-rizzata dalla non accettazione della malattia con intenso e costante timore dell’evoluzione della stessa;- disperazione: in cui la persona pre-

senta una accettazione della malattia ma sono presenti sensazioni di sconfi t-ta irrimediabile, depressione, senso di inutilità e sopraffazione. Il modo in cui il paziente reagisce alla diagnosi infl uenza in modo positivo o negativo l’evoluzione della malattia. In-fatti, le persone che reagiscono con uno “spirito combattivo” presentano una migliore prognosi rispetto ai possibili decorsi evolutivi della malattia. Alcuni studi hanno evidenziato che, a parità di determinate condizioni cliniche e di te-rapie effettuate, i meccanismi psicologi-ci posti in atto dal paziente incidono in modo signifi cativo sul decorso e quindi sulla prognosi della malattia, nonché sul reinserimento nella vita di tutti i giorni. Tali meccanismi inoltre entrano in gio-co già nel momento della scoperta di eventuali segnali premonitori.La diagnosi di una malattia importante come il tumore, rappresenta un mo-mento cruciale nelle vita del paziente? La diagnosi di carcinoma rappresenta il passaggio “dall’essere sani all’essere malati”, ossia si entra in una situazione caratterizzata da incertezza e minac-cia di morte. Si tratta di un processo con elevati costi psicologici in cui ansia, depressione e rabbia possono essere considerate normali risposte adattive all’esperienza che la persona sta viven-

Il male del secoloIl male del secolosi aff ronta cosi’

I consigli dello psicoterapeuta

foto di “Breast Cancer Foudation” (Sidney, Australia)

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do. La presenza di queste emozioni, anche se in maniera massiccia, non va vista necessariamente come la presenza di un disturbo psichiatrico. È possibile che la persona al fi ne di contenere le angosce metta in atto meccanismi di difesa che in altri contesti sarebbero indici di struttura nevrotica o psicotica, ma che se utilizzati invece in ma-niera transitoria gli permettano di affrontare la dolorosa realtà e di entrare in quella fase successiva dell’ elaborazione in cui si viene a trovare di fronte ad una situazione di vita obiettivamente cambiata. Il paziente cerca in questa fase un senso a ciò che gli è accaduto e perché sia successo proprio a lui. È un mo-mento di rifl essione che coinvolge le scelte passate, i propositi, i desideri mai realizzati. C’è da fare una rifl essione su un aspetto particolare: la diagnosi di carcinoma pone le persone di fronte alla propria morte, esse-re posti in modo così “tangibile” davanti alla morte fa emergere tutte le “domande im-portanti” ossia quelle domande che abbiamo spesso soffocato con l’idea di riproporcele dopo, quando saremo più vecchi e più saggi. Il modo in cui si affrontano queste domande può trasformare l’avvento della malattia in una opportunità di crescita, ma si tratta di un processo che non è mai indolore.

Rivolgersi ad uno psicoterapeuta può essere di aiuto?L’intervento psicologico e psicoterapeutico del paziente oncolo-gico rappresenta ormai un aspetto signifi cativo che si affi anca agli altri trattamenti medici a cui la persona si sottopone nel corso dell’evoluzione della malattia, infatti, non si può non tener conto dei numerosi stress che il malato deve affrontare e dei cambia-

menti, a volte inattesi, che si susseguono in ogni fase della malattia: dalla fase diagnostica a quella terapeutica, a quella della remissio-ne, a quella di un’ eventuale aggravarsi della malattia o di una recidiva. Nei casi oncologi-ci l’’intervento psicoterapeutico può essere strutturato a più livelli:“sostegno psicologico”, prevalentemente mirato a contenere l’ansia e le emozioni che scaturiscono dalla situazione oncologica;“sostegno integrato” che unisce agli obiet-tivi del sostegno psicologico la possibilità di limitare gli effetti collaterali delle terapie mediche e della malattia stessa; psicotera-peutico, il quale oltre a comprendere gli obiettivi degl’altri due livelli, permette di mobilitare le risorse interne della persona al fi ne di favorire un nuovo adattamento e il “continuum” del progetto esistenziale del paziente che includa l’evento cancro.

DI ANTONELLA LORENZIfoto di “Breast Cancer Foudation” (Sidney, Australia)

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Il 2010 è stato un anno molto generoso per il Centro di Riferi-mento Regionale di Fisiopatologia della Nutrizione della ASL di Teramo con riconoscimento da parte del Ministero della Salu-te nella mappatura nazionale dei Centri per le buone pratiche (vedi sul WEB www.disturbialimentarionline.it), riconoscimenti accademici da parte dell’Accademia Piceno Aprutina dei Velati di Teramo, presenze prestigiose in numerosi eventi nazionali e infi ne, importanti premi alle nostre principali pubblicazioni.Infatti, dopo aver ricevuto nel maggio 2010 la menzione speciale al Premio di saggistica “Città delle Rose” di Roseto degli Abruzzi, per l’opera editoriale Vissuti di Anoressia di Paolo De Cristofaro e Natalina Ferrante, il 25 settembre scorso, anche la giuria del Premio Nazionale Histonium ha assegnato agli autori il Premio Speciale della sezione saggistica, apprezzando l’originalità del te-sto che parla, per l’appunto, della eccezionale esperienza del cen-tro teramano nell’accoglienza e nella cura dell’ anoressia, a livello ambulatoriale e territoriale. Il testo, che si rivolge in particolare a genitori, insegnanti e ope-ratori sanitari, in effetti, ha la particolarità di avere un contenuto prima letterario e poi scientifi co. Inoltre, parte dall’analisi della società attuale e cerca di capire il linguaggio dell’anoressia che si contrappone alla sorda e sottile violenza del nostro tempo. Per questo motivo è stato anche, di recente, divulgato nelle edi-cole della nostra provincia.A fronte di tutto ciò ci dispiace apprendere che il presidente del-la Regione, Gianni Chiodi, commissario ad acta per il Piano di rientro della Sanità, intervenendo a Sulmona, al primo seminario sull’appropriatezza dell’assistenza sanitaria ha dichiarato che non c’è mai stata in Abruzzo una sanità territoriale.E’ molto grave che il presidente non conosca e non riconosca i buoni esempi di sanità territoriale che insistono, addirittura nel proprio territorio di vita e di lavoro, ma che faccia riferimento esclusivamente ad esempi fuori regione.Vorrei ricordare al Presidente che il Centro Regionale di Nutri-zione, malgrado le diffi coltà del momento, attrae ancora utenza da tutta la regione e dalle regioni limitrofe e riesce anche a dedicare una parte importante della sua attività alla didattica e alla ricerca.Vorrei aggiungere che il Centro Regionale di Nutrizione ha affron-tato l’emergenza del terremoto di L’Aquila e della sospensione delle attività della Clinica privata di Villa Pini senza aver avuto al-cun tipo di sostegno da parte della Regione.

Vorrei ricordare che nel corso dell’ultimo anno abbiamo evitato circa 80 ricoveri per disturbi alimentari gravi che la nostra Regio-ne avrebbe dovuto pagare come mobilità passiva.Vorrei ricordare tutta la nostra disperazione per il sottodimen-sionamento del personale rispetto all’enorme richiesta di inter-venti per quella che è una vera emergenza sanitaria.Purtroppo la Regione Abruzzo continua ad ignorare non solo noi, ma anche la patologia che curiamo.La dedica del libro “Vissuti di Anoressia” a Olga Guaschino morta il 21 Aprile 2007 a soli 28 anni, mette immediatamente a contatto con la realtà drammatica di questa malattia che è ancora gravata da elevata mortalità (ben il 10% a 10 anni e il 20% a 20 anni).Purtroppo Olga è stata una delle tante vittime silenziose di que-sto male. E’ così che una parte importante della nostra migliore gioventù esce di scena senza clamore, in punta di piedi, togliendo lo sco-modo, con modalità che solo raramente riconducono al problema vero, quali suicidi, incidenti stradali.Il nostro Centro, nei suoi 12 anni di attività, ha posto come priori-tà operativa l’accoglienza, l’ascolto e la comprensione del sintomo anoressico che sono alla base della diagnosi precoce del disturbo e della possibilità di ottenere moltissime guarigioni.L’approccio che è, per l’appunto, ambulatoriale e territoriale è economicamente vantaggioso perché evita i ricoveri impropri. Altre regioni, che sono partite molto dopo la nostra, stanno po-tenziando o creando nuovi centri di riabilitazio-ne psico-nutrizionale perché è un’evidente e in-discutibile emergenza sanitaria del nostro paese. E’ per questo che chiediamo a gran voce anche dalle pagine di questo giornale di poter crescere, di poter accogliere più pazienti, di poter trasmet-tere i nostri saperi, di poter continuare ad eser-citare una buona ed effi cace sanità territoriale. E nello stesso tempo chiediamo al presidente Chiodi di conoscere e valorizzare le realtà sa-nitarie abruzzesi sane e funzionali, in particolare se appartengono al proprio territorio.

* RESPONSABILECENTRO REGIONALE NUTRIZIONE

GIULIANOVA Asl TERAMO

A CURA DI PAOLO DE CRISTOFARO*

Il Centro di NutrizioneIl Centro di Nutrizionedi Teramo c’èc’è, ma la Regionela Regione di Chiodi non lo sanon lo sa

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RespirazioneRespirazioneessenzadel movimento

A CURA DEL PROF. VALTER DI MATTIA

Respirare correttamente durante le fasi di attività motoria rap-presenta il miglioramento del lavoro neuro-muscolare (“physiolo-gical work”). Il principale muscolo sollecitato a svolgere l’attività respiratoria è il diaframma . Nella fase embrionale è il secondo muscolo a formarsi, dopo il cuore (circa la quarta settimana) e si attiva dopo il primo vagi-to. E’ il principale muscolo inspiratorio (antagonista del muscolo trasverso). Il diaframma, muscolo largo, ma sottile e piatto, forma una chiusura trasversale fra il torace e l’addome. E’ la linea che separa il cuore e i polmoni dallo stomaco, fegato e intestini; ha la forma di un ombrello ed è attraversato dall’aorta, dalla vena cava, dall’esofago, tocca lo stomaco ed il fegato, la milza, i reni, va dalla pleura al peritoneo. Durante la inspirazione attiva, profonda, il diaframma, contraen-dosi con i suoi pilastri, facendo leva sul centro frenico, coadiuvato dai muscoli “elevatori delle coste” ed “intercostali esterni”, solleva le coste che aprendosi a ventaglio fanno immettere aria nei pol-moni. Un addome tonico favorisce il punto di leva del diaframma e, migliorando la respirazione e normalizzando la curva fi siologica

lombare, aumenta la capacità vitale dei polmoni contribuendo ad aumentare il valore del “V O2 Max”.Da un punto di vista nervoso, la inspirazione profonda, addomi-nale, viene determinata dagli impulsi nervosi elaborati nel cen-tro respiratorio del “bulbo encefalico” trasmessi tramite la rete parasimpatica del nervo vago e da quella ortosimpatica toraco-addominale (plesso polmonare). Da un punto di vista circolatorio, si potrebbe pensare che l’azione diaframmatica rallenti il fl usso arterioso del’aorta, ma ciò non accade poiché i pilastri del dia-framma durante la contrazione incavano il letto fi broso dell’aorta, formando una semidoccia di protezione che non frena la sua git-tata. All’altezza della 9a° vertebra dorsale si trova l’orifi zio della “vena cava”: durante la contrazione, le fi bre del diaframma allen-tano l’orifi zio, che prendendo forma di un quadrilatero, facilita la risalita del fl usso venoso. L’espirazione è un movimento meno attivo, viene eseguito con la contrazione del muscolo “trasverso” che, facendo leva sul pac-chetto intestinale a “guisa di cinghia”, lo comprime verso la colon-na vertebrale. Questo muscolo è coadiuvato nella sua azione dal

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“quadrato dei lombi”, dai “retti addomina-li” e dagli “obliqui interni ed esterni”. Nella fase espiratoria, prevale l’azione del “vago” (bronco-costrittore) e del “simpatico” (vaso-dilatatore). Da tutta questa analisi anatomica, si può dedurre che una buona respirazione è essenziale per migliorare la performance sportiva, visto che sono implicati molti aspetti del nostro sistema corporeo.

Com’è la giusta respirazione durante l’esecuzione degli esercizi?

Durante la fase di sforzo (fase concentri-ca del movimento) occorre ESPIRARE (si innesca involontariamente la manovra di Valsalva) aumentando la pressione nella cavità addominale, simile ad una struttu-ra gonfi abile, che spingendo sulla colonna vertebrale diminuisce la compressione delle vertebre D12 - L1 e L5 - S1, di circa il 50%. La INSPIRAZIONE va fatta durante il rilassamento (fase eccentrica del movi-mento).Nella donna la respirazione è soprattutto di tipo costale superiore. Questa peculia-rità si rende indispensabile durante la gra-vidanza, poiché il feto con la sua presenza non rende valido il lavoro del diaframma.

Nel bambino la respirazione è prettamen-te addominale. Nell’uomo è mista, cioè costale superiore ed inferiore. Nelle persone anziane la condizione re-spiratoria varia a causa dell’aumento del-la curvatura del “rachide dorsale” (cifosi dorsale) e dell’ipotonia muscolare. Di conseguenza le coste superiori perdono la loro mobilità e con essa la ventilazione polmonare del lobo superiore, rendendo la respirazione prettamente addominale.Molto spesso i principianti che si avvici-nano all’attività fi sica tendono durante l’esecuzione di un esercizio impegnativo a trattenere il respiro nel momento del massimo sforzo. Eseguendo l’esercizio in apnea, possono crearsi problemi a cari-co del cuore, procurando una eccessiva pressione toracica che agisce in modo negativo sulla “circolazione coronarica”, impedendo una corretta funzionalità del cuore. Questa situazione è pericolosa per il soggetto poco allenato, oppure avanti con l’età o con una patologia cardiaca.Tutto questo può essere evitato inse-gnando e puntualizzando dall’inizio una corretta respirazione, data l’innaturalezza dell’espirazione nella fase di sforzo.

Anatomia muscolare della cassa toracica (in particolare il muscolo del diframma)

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Con la recente sentenza nr. 18477 dello scorso 9-08, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito il principio di diritto secondo il quale per la modifi ca delle tabelle millesimali di un condominio è suffi ciente raggiungere la maggioranza prevista dall’art. 1136 del C.C., ossia un numero di voti che rappresenti la maggio-ranza degli intervenuti e almeno la metà del val. dell’edifi cio.Com’è noto, la tabella millesimale esprime il valore di ciascuna unità immobiliare di proprietà individuale, commisurata al valore complessivo dell’int. edifi cio che si considera pari a 1000, e di-sciplina la misura del diritto e dell’onere di contribuzione di ciascun condòmino, stabi-lendo che questa sia proporzionale al val. del piano o della porzione di piano. Prima che le S. U. della Suprema Corte prendes-sero posizione sul punto, si riteneva che i val. proporzionali dei vari piani o porzioni di piano espressi dalle tabelle millesimali potessero essere riveduti o modifi cati con il consenso unanime di tutti i condòmini – e dunque con un voto che fosse espressio-ne dei 1000/millesimi del valore dell’intero edifi cio – ovvero facendo ricorso all’aut.

Giudiz.. Riuscire ad ottenere una più equa ripartizione dell’onere di partecipazione alla spese era estremamente diffi coltoso, a tutto vantaggio di coloro i quali avessero operato modifi che edilizie tali da alterare sensibilmente il rapporto di valore origina-rio tra gli appartamenti. Si pensi, ad es., alle ipotesi di nuove unità immobiliari, realizza-te sfruttando lo spazio sovrastante l’ultimo piano di un palazzo; o, ancora, ad un’opera di trasformazione di un sottotetto, in una mansarda abitabile. Interventi strutturali che, comportando un incremento di su-

perfi cie, volumetrìa e spese, richiedono una differente ripartizione degli oneri di contribuzione, e quindi dei millesimi. Sino all’intervento chiarifi catore della Cassazio-ne, le strade praticabili dai condòmini “dis-senzienti” erano due: ottenere l’unanime approvazione di tutta l’assemblea (dove il veto o l’ostruzionismo di uno o più pro-prietari interessati sarebbe stato determi-nante), oppure ricorrere al giudice. Sempre che la richiesta di revisione delle tabelle fosse rientrata nella dettagliata casistica prevista dall’art. 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile, che ammette l’azione in giudizio solo in caso di errore o variazioni rilevanti. La concreta operatività della sentenza 18477/’10 dovrà, tuttavia, superare il vaglio di alcuni dubbi opera-tivi sollevati dagli esperti del settore già all’indomani della sua pubblicazione. Non è chiaro, infatti, se il principio di diritto in esame potrà essere applicato a tutte le ti-pologie di tabelle millesimali esistenti nella prassi o se, per ottenerne la revisione, sarà ancora necessario il ricorrere degli specifi -ci requisiti richiesti dalla legge.

Modifi ca delleModifi ca delle tabelle millesimali tabelle millesimali

Difendere il patrimonio proprio e della famiglia (in particolare “la casa”) è esigen-za molto sentita per chi è imprenditore o professionista. Questi ultimi, infatti, rispon-dono dei debiti della propria attività con tutti i loro beni, come il socio di una società di persone; il socio di una società di capitali (come una srl o una spa), anche se gode

di una responsabilità limi-tata, spesso rilascia (specie su richiesta delle banche) fi deiussioni e garanzia per-sonali. Inoltre, i professio-nisti possono essere anche oggetto di richieste di risar-cimento danni da parte dei propri clienti. Il patrimonio della famiglia può essere effi cacemente difeso con l’istituto del fondo patri-moniale, regolato dagli artt. 167 – 171 del codice civile. Il fondo è un vincolo giuri-dico da costituire, con atto pubblico, su determinati

beni (beni immobili, mobili iscritti, titoli di credito). Tutti tali beni vengono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia. Il fondo può essere costituito anche ad opera di un terzo o per testamento.Fin qui nulla di particolarmente rilevante. In sostanza, viene costituito un insieme di beni per garantire alla famiglia un deter-minato tenore di vita. L’aspetto rilevante è indicato dall’art. 170 del codice civile: i beni oggetto del fondo, come i suoi frutti, non possono essere pignorati dai credi-tori in relazione ai debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Tra questa categoria di debiti (per i quali, giova ripetere, i beni del fondo non posso-no essere sottoposti a esecuzione forzata) rientrano senza dubbio i debiti contratti nell’esercizio di una impresa commercia-le, di una attività professionale, ovvero derivanti da azioni risarcitorie. Il fondo, comunque, incontra dei limiti di legge ben precisi, tesi ad evitare lo “snaturamento” della sua funzione (tutela del patrimonio

della famiglia).Esso non può essere mai utilizzato per evi-tare il pagamento di debiti già contratti; se utilizzato in tal modo non solo può essere reso ineffi cace (tramite un’azione revoca-toria) ma può determinare responsabilità anche penali, se si cerca di eludere il paga-mento di imposte e tasse.Inoltre il fondo, essendo fi nalizzato a tute-lare il patrimonio della famiglia, può essere costituito solo da una coppia sposata, e non da una coppia di fatto.L’amministrazione ordinaria del fondo spetta a entrambi i coniugi disgiuntamente, secondo le regole della comunione legale. E’ necessario, però, il consenso di entram-bi per per vendere o, comunque, vincolare (ad esempio con una ipoteca) i beni del fondo; in caso di presenza di fi gli minori, per le medesime operazioni di vendita o vincolo, è necessaria l’autorizzazione del Giudice tutelare.

* MAGISTRATO

A CURA DI ROBERTO SANTORO *

Difendere Difendere il patrimonio della famiglia A CURA DI AVV. GIANFRANCO PUCA *

(Eventuali tematiche da trattare possono esseresegnalate all’indirizzo [email protected])

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PREMESSA: a) procedere, almeno 36-48 ore prima, all’ammollo dei ceci b) i quan-titativi sono rapportati ad almeno 8/10 persone: - Ceci Kg 1,2; - Castagne Kg 0,3; - Mandorle Kg 0,150; c) durata complessiva della sola fase di cottura: non meno di 6 (sei) ore; d) durante la cottura: non toccare i ceci! 1° fase di cottura ( 2 ore )Mettere in una pentola adeguata con non molta acqua i ceci ed un “tocco” di bacca-là (di circa 2,5-3 etti). Fuoco lentissimo e niente sale. Dopo circa 40 minuti, cambiare acqua avendo l’accortezza di usare nuova acqua molto calda. Dopo ulteriori 40/45 min. nuovo cambio di acqua. N.B. sempre a fuoco lentissimo con molta acqua. Avere l’accortezza di usare un coperchio che co-pra a metà la pentolaPreparare 4/5 foglie di alloro (meglio se fresco), 3 spicchi di aglio “vestito”, 1 “co-sta” grande di sedano, 4/5 pomodorini. Almeno 3 mestolini (non cucchiai) di olio extra vergine di oliva.2° fase di cottura ( 2 ore )Togliere il prezzo di baccalà. Mettere nella

pentola quanto preparato (alloro, sedano, aglio, pomodorini, olio ed un bel pugno di sale “grosso”). Lasciare il fuoco sempre “lentissimo” curando che l’acqua non sia abbondante. Non toccare i ceci. Preparare le castagne. (Inciderle con un coltello, lasciarle appena abbrustolire e spellarle) Preparare le mandorle (se non già “pronte”, spellarle)3° ed ultima fasse di cottura ( 2,5 ore )Aggiungere le mandorle a quanto in cottu-ra, “affogandole” con un cucchiaio di legno e con molta delicatezza. Dopo un’ora aggiungere le castagne (si possono tagliare a metà). Solo alla sesta ora (anche per verifi care il grado di cot-tura e di sapidità) si possono “rigirare” i ceci ad assaggiare. Preparare fette di pane abbrustolito e spezzettarlo minutamente mettendone in ogni piatto. Servire caldo. N.B. consiglio di un esperto: accompagnare con un ottimo Cerasuolo o giovane rosso (Montepulciano o Chianti) Il risultato è talmente entusiasmante (quindi, di sicuro successo tra i commensali) che si giustifi ca e sopporta l’elaborata fase di preparazione

Mandorle al fondenteMandorle al fondente

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INGREDIENTI: 250 gr. di mandorle, 2 cuc-chiai di zucchero, 250 gr. di cioccolato fon-dentePREPARAZIONE: Mettere il cioccolato fondente con lo zucchero sul fuoco (non diretto, quindi a bagnomaria) mentre si è già proceduto a parte a tostare (fi no a ro-solatura) le mandorle sbucciate. Si metto-no le mandorle nel cioccolato (mentre è sul fuoco) e si mette a raffreddare su un idoneo ripiano (o grandi piatti).

Ceci con castagne e mandorleCeci con castagne e mandorle

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Ogni creatura è un essere unico ed irripetibile in un mondo dove tutto è diverso da lui. La diffi cile convivenza si basa infatti sul rap-porto che si ha con il “diverso”, in particolar modo se questo si riferisce ad altri esseri viventi. Più queste creature sono diverse da noi più ci riesce diffi cile essere empatici verso di loro. La capacità di immedesimarsi in un altro uomo è maggiore rispetto a quella verso un animale. La socializzazione aumenta con l’aumentare dell’empatia. Infatti, possiamo misurare la qualità delle nostre relazioni in base alla capa-cità che abbiamo nell’immedesimarci negli altri. È importante capire questo concetto fi n da bambini. La nostra cultura però non sembra adottare questa linea di pensiero, anzi si muove nella direzione op-posta: l’egocentrismo. Abbiamo una visione antropocentrica: invece di comprendere gli altri, proiettiamo in loro noi stessi.La psicologa americana Norma Feshbach, per sviluppare l’empatia nei bambini delle scuole elementari, ha ideato tecniche che attivano nel bambino la capacità di immedesimarsi negli altri. E, dato che l’empatia tra due esseri è tanto maggiore quanto più questi si intui-scono come simili, emerge l’importanza di individuare negli altri tut-te quelle caratteristiche che si hanno in comune. Gli animali, essen-do esseri molto diversi da noi, ci aiutano moltissimo a potenziare la nostra capacità d’immedesimazione, ma a causa dell’antropomorfi -smo che ci fa attribuire agli animali caratteristiche umane, la nostra empatia diminuisce drasticamente. In altre parole, signifi ca negare la loro diversità, e non comprenderla. Per i bambini è naturale at-tribuire agli animali i loro pensieri e sentimenti. Spesso li sentiamo parlare con loro come se stessero parlando con un amico. Intervenire nella relazione bambino-animale, e far comprendere al primo che gli animali sono es-seri diversi da lui, signifi ca anche fargli comprendere le loro reali esigenze, aumentando così le capacità empatiche del bambino verso gli animali, ma soprat-tutto verso le relazioni in generale, favorendo la socializzazione. Studi scientifi ci eseguiti su macachi hanno analizzato le conseguenze della separazione della madre dal piccolo poco dopo la nascita. Gli studiosi hanno avuto grande diffi coltà nel separarli, in quanto la madre diventava feroce attaccando gli assistenti, ed il piccolo si aggrappava saldamente alla madre strillando per tutto il tempo della separazio-ne. Uno scienziato presentò una proposta di ricer-ca al National Institute of Health sulle conseguenze dell’isolamento di 40 bambini dalla nascita fi no ai due anni. La proposta fu respinta con decisione. Le successive ricerche effettuate sugli animali hanno fornito risposte su come potevano essere i risultati di un così inumano esperimento. Una simile ricerca è considerata inumana se eseguita su bambini, ma non inumana se eseguita sui macachi. È evidente la notevole differenza di empatia tra umani ed animali, anche se entrambi esseri viventi. Alla luce di queste ricerche possiamo comprendere che avere un buon rapporto empatico con gli animali, abituandoci fi n da bambini, ci insegna ad avere relazioni positive con gli umani e ad aumentare la socializzazione. Inoltre, getta le fondamenta per altre ricerche, come il rap-porto tra la violenza dei bambini e degli adolescenti verso gli animali e la violenza verso le persone.

A CURA DI FRANCESCA ALCINII

DOTT.SSA IN TUTELA DEL BENESSERE ANIMALE

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