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1 CAPITOLO UNO: RELIGIONI, DIRITTO, STATO. PARAGRAFO 1: LE RELIGIONI DEL LIBRO DEL MEDIO ORIENTE. MONOTEISMO ESCLUSIVISTA, RADICAMENTO GEOPOLITICO. Nell'evoluzione dell'uomo, l'evento cristiano provoca l'avvio di due processi storici complementari: da un lato universalizza il messaggio del Dio e ebraico estendendendolo a tutte le genti, dall'altro porta al superamento del politeismo, tipico del paganesimo. Il monoteismo cristiano è meno perfetto di quello ebraico: il dio ebraico è uno e unico e nulla può eguagliarlo nella sua maestosità. Nel cristianesimo, invece, Dio si umanizza. La promessa mantenuta del Messia inviato agli uomini si traduce nella incarnazione di Dio attraverso suo figlio e nella piena manifestazione dello spirito santo quale terza componente della realtà trinitaria divina. Dunque, l'unità monoteistica resta salva,, ma Dio si avvicina talmente tanto all'uomo che l'uomo perde il timore per la trascendenza e comincia a nutrire fiducia per la paternità divina. Il cammino morale del cristiano è cammino etico per eccellenza,egli : deve agire e realizzarsi in conformità alle proprie doti naturali (etica dell'azione) deve purificarsi nella propria interiorità per non cadere nella ipocrisia (etica dell'intenzione) deve seguire un itinerario di sacrifici se vuole raggiungere la perfezione (etica della rinuncia). Il monoteismo cristiano poi agisce nella storia unificando popoli e genti di ogni derivazione e latitudine, il suo monoteismo scaccia gli dei e gli idoli pagani e porta disciplina e profondità nella mente e nell'azione degli uomini. Questi ultimi si sentono partecipi e protagonisti di un comune destino, si riconoscono figli di un'opera divina finalizzata alla salvezza ultraterrena per tutti e iniziano a vivere e ad agire nel rispetto di leggi universalmente valide, capaci di unificare l'umanità. Tuttavia, il messaggio cristiano, le istituzioni ecclesiastiche e il rapporto con lo Stato intridono di giuridicismo di cui assimilano regole, abitudini e mentalità della romanità. Se Roma e l'Occidente sono debitori al cristianesimo per la spiritualità di cui vengono animati, il cristianesimo è debitore a Roma della concezione dello Stato e della organizzazione giuridica. Ebraismo: l'ebraismo segue un altro destino. Il suo testo sacro diventa il testo di riferimento di buona parte dell'umanità, ma, con l'aggiunta dei Vangeli, diventa antico testamento. Gli ebrei sono visti come credenti dimidiati che non vogliono accettare il compimento dell'opera di Dio nella storia e rifiutano di inserirsi nel progetto della redenzione. Il nuovo testamento, che diventa legge per l'Occidente, li condanna alla emarginazione e ad una diaspora che può provocare la loro estinzione. Islamismo: strettamente monoteistica anche la religione di Muhammad,che nelVII sec dall’esperienza delle popolazioni che si contendono l’egemonia nel deserto arabico,trae l’ispirazione per una nuova visione unitaria dell’uomo e della storia. L'Islam decreta la signoria di Allah sull'uomo e sulla sua vicenda terrena e propone la sottomissione della creatura al suo creatore. Pur traendo dall'ebraismo e dal cristianesimo qualche elemento importante, Maometto proclama la fine della rivelazione divina che si conclude con la dettatura del Corano, che gli viene comunicato dall'angelo Gabriele e che contiene la parola definitiva di Dio nella storia. Come nell'ebraismo, il rigido monoteismo si manifesta nella condanna di ogni idolatria pagana. La professione di fede islamica (non vi è altro Dio che è allah, Maometto e l'inviato di Allah) recide ogni rapporto con le precedenti religioni, idolatriche come quelle pagane, ho imperfette come quella ebraica e cristiana, e implica che l'unico peccato irremissibile per l'Islam è quello di dare a Dio degli associati , negando che egli sia l’unico. L'esclusivismo islamico ha altre basi di carattere teorico e storico,si manifesta nei confronti degli idolatri, ai quali non è lasciata altra scelta se non quella di convertirsi o di essere annientati. Tra gli idolatri non sono compresi gli ebrei che i cristiani, in quanto considerati come seguaci delle religioni del libro alle quali Maometto in qualche misura si ricollega, riconoscendo le principali figure dell'antico e del nuovo

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CAPITOLO UNO: RELIGIONI, DIRITTO, STATO. PARAGRAFO 1: LE RELIGIONI DEL LIBRO DEL MEDIO ORIENTE. MONOTEISMO ESCLUSIVISTA, RADICAMENTO GEOPOLITICO. Nell'evoluzione dell'uomo, l'evento cristiano provoca l'avvio di due processi storici complementari: da un lato universalizza il messaggio del Dio e ebraico estendendendolo a tutte le genti, dall'altro porta al superamento del politeismo, tipico del paganesimo. Il monoteismo cristiano è meno perfetto di quello ebraico: il dio ebraico è uno e unico e nulla può eguagliarlo nella sua maestosità. Nel cristianesimo, invece, Dio si umanizza. La promessa mantenuta del Messia inviato agli uomini si traduce nella incarnazione di Dio attraverso suo figlio e nella piena manifestazione dello spirito santo quale terza componente della realtà trinitaria divina. Dunque, l'unità monoteistica resta salva,, ma Dio si avvicina talmente tanto all'uomo che l'uomo perde il timore per la trascendenza e comincia a nutrire fiducia per la paternità divina. Il cammino morale del cristiano è cammino etico per eccellenza,egli : • deve agire e realizzarsi in conformità alle proprie doti naturali (etica dell'azione) • deve purificarsi nella propria interiorità per non cadere nella ipocrisia (etica dell'intenzione) • deve seguire un itinerario di sacrifici se vuole raggiungere la perfezione (etica della rinuncia). Il monoteismo cristiano poi agisce nella storia unificando popoli e genti di ogni derivazione e latitudine, il suo monoteismo scaccia gli dei e gli idoli pagani e porta disciplina e profondità nella mente e nell'azione degli uomini. Questi ultimi si sentono partecipi e protagonisti di un comune destino, si riconoscono figli di un'opera divina finalizzata alla salvezza ultraterrena per tutti e iniziano a vivere e ad agire nel rispetto di leggi universalmente valide, capaci di unificare l'umanità. Tuttavia, il messaggio cristiano, le istituzioni ecclesiastiche e il rapporto con lo Stato intridono di giuridicismo di cui assimilano regole, abitudini e mentalità della romanità. Se Roma e l'Occidente sono debitori al cristianesimo per la spiritualità di cui vengono animati, il cristianesimo è debitore a Roma della concezione dello Stato e della organizzazione giuridica. Ebraismo: l'ebraismo segue un altro destino. Il suo testo sacro diventa il testo di riferimento di buona parte dell'umanità, ma, con l'aggiunta dei Vangeli, diventa antico testamento. Gli ebrei sono visti come credenti dimidiati che non vogliono accettare il compimento dell'opera di Dio nella storia e rifiutano di inserirsi nel progetto della redenzione. Il nuovo testamento, che diventa legge per l'Occidente, li condanna alla emarginazione e ad una diaspora che può provocare la loro estinzione. Islamismo: strettamente monoteistica anche la religione di Muhammad,che nelVII sec dall’esperienza delle popolazioni che si contendono l’egemonia nel deserto arabico,trae l’ispirazione per una nuova visione unitaria dell’uomo e della storia. L'Islam decreta la signoria di Allah sull'uomo e sulla sua vicenda terrena e propone la sottomissione della creatura al suo creatore. Pur traendo dall'ebraismo e dal cristianesimo qualche elemento importante, Maometto proclama la fine della rivelazione divina che si conclude con la dettatura del Corano, che gli viene comunicato dall'angelo Gabriele e che contiene la parola definitiva di Dio nella storia. Come nell'ebraismo, il rigido monoteismo si manifesta nella condanna di ogni idolatria pagana. La professione di fede islamica (non vi è altro Dio che è allah, Maometto e l'inviato di Allah) recide ogni rapporto con le precedenti religioni, idolatriche come quelle pagane, ho imperfette come quella ebraica e cristiana, e implica che l'unico peccato irremissibile per l'Islam è quello di dare a Dio degli associati , negando che egli sia l’unico. L'esclusivismo islamico ha altre basi di carattere teorico e storico,si manifesta nei confronti degli idolatri, ai quali non è lasciata altra scelta se non quella di convertirsi o di essere annientati. Tra gli idolatri non sono compresi gli ebrei che i cristiani, in quanto considerati come seguaci delle religioni del libro alle quali Maometto in qualche misura si ricollega, riconoscendo le principali figure dell'antico e del nuovo

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testamento. Abramo è il primo musulmano, perché proclamò la pura fede monoteistica e Ismaele e il capostipite dei popoli arabi. Altri profeti sono stati inviati da Dio per far conoscere la sua volontà e tra questi un posto particolare spetta Gesù Cristo, di cui si riconosce il concepimento di Maria per intervento divino. Agli ebrei che ha i cristiani si garantisce che non saranno annientati e che potranno seguire la loro religione imperfetta, ma in posizione subordinata ai musulmani. L'opera unificatrice di popoli e nazioni, che l'Islam propone e realizza in poco più di due secoli, si fonda su poche fondamentali regole di culto e di comportamento religioso. I cinque pilastri del Corano imposti ai musulmani sono: • professione di fede • obbligo della preghiera quotidiana • dovere della misericordia • digiuno e limiti all'alimentazione • pellegrinaggio al luogo d'origine della rivelazione. Ci sono altre regole morali, oltre alla predicazione sul necessario distacco dei beni terreni, ma all'etica dell'Islam non si erge a sistema di mortificazione delle pulsioni umane: anzi, l'accettazione della poligamia e una certa forma di santificazione del mondo e delle sue gioie, portano il credente nell'Islam a scegliere una via mediana della soddisfazione e dei piaceri leciti. L'altra grande spinta unificatrice dell'Islam è la conquista della terra e la sua sottomissione alla legge divina: in questo modo, l'Islam appare religione universalista al pari del cristianesimo. L'universalismo islamico nasce nell'ambiente desertico dell'Arabia e delle tribù beduine e diventa l'antidoto alla dispersione e alla frantumazione degli uomini. Il profeta è ad un tempo capo religioso, politico, condottiero militare. L'islamismo germina in un popolo che non ha istituzioni, che non conosce la forma-Stato, che deve organizzarsi e strutturarsi sulle basi di una nuova legge che è insieme spirituale e temporale, religiosa e politica, morale e civile. A differenza del cristianesimo, che è andato alla conquista del mondo e delle società romani, politicamente maturi e istituzionalmente strutturati, l'Islam deve fornire il suo popolo di una concezione e di una prassi politiche e lo fa elaborandole in un orizzonte totalmente religioso. La terra dell'Islam è la terra della legge coranica, delle istituzioni che ne derivano, dell'identità tra potere temporale e potere spirituale. Per l'Islam non esiste il problema di entrare in rapporti con un potere politico preesistente, perché l'Islam è esso stesso ordinamento. Anche l'Islam pratica un doppio esclusivismo: -verso gli altri, pagani o credenti monoteisti, che possono essere annientati o marginalizzati in terra islamica. -verso il diritto e il potere politico, che sono concepiti soltanto all'interno dell'orizzonte della legge coranica. Il concetto stesso di dualismo è inesistente nella teoria e nella pratica musulmana: il califfo, in quanto successore o vicario del profeta, è il capo supremo dell'Islam e deve custodire e promuovere la vera fede contro ogni nemico, interno ed esterno. PARAGRAFO 2. LA DIFFUSIONE MISSIONARIA DEL CRISTIANESIMO. L'UNIONE CON L'INTERO E LE INFLUENZE GIURIDICIZZANTI. Il cristianesimo si diffonde con notevole rapidità utilizzando mezzi pacifici e subendo a lungo intermittenti persecuzioni da parte delle autorità pubbliche fin oltre 113. L'attività missionaria degli apostoli ha inizio dopo la Pentecoste, prima a Gerusalemme e in Palestina e poi tra le popolazioni dell'impero romano. Paolo di tarso determina una delle svolte più importanti della diffusione del cristianesimo quando propone che realizza l'emancipazione di coloro che aderiscono al cristianesimo dalla legge e da alcune tradizioni ebraiche. In seguito fonda, e con lui anche altri apostoli, numerose chiese un po' ovunque nell'impero. La diffusione pacifica del cristianesimo durante i primi tre secoli determina una situazione nuova nell'intero: gruppi sempre più consistenti si distaccano dai costumi e dalla consuetudine di vita dei pagani per vivere i

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principi della propria fede in modo nuovo. La liturgia cristiana, incentrata sin dagli inizi sull'eucaristia (la commemorazione dell'ultima cena e l'assunzione del pane e del vino in ricordo del sacrificio di Gesù), si differenzia drasticamente dal culto pagano ancora segnato dal carattere sacrificale cruento. Le comunità cristiane si astengono dal partecipare ai riti ufficiali pagani, vivono un'esperienza etica fondata sulla famiglia e su relazioni solidaristiche e rifuggono da abitudini e tradizioni violente cruente tipiche della società dell'epoca. E se diventano col tempo delle comunità autonome con una propria organizzazione e una gerarchia ecclesiastica. Tuttavia questa specificità cristiana viene vista subito con sospetto: le autorità romane, generalmente al viene dal perseguitar i cittadini o sudditi per motivi religiosi, avvertono subito la specificità e la diversità del cristianesimo rispetto qualsiasi culto pagano e adottano atteggiamenti oscillanti. A volte sfruttano l'ostilità popolare facendo dei cristiani dei Capri espiatori da colpire anche in mancanza di elementi giuridici di colpevolezza; altre volte cercano di regolamentare la repressione attenuandone gli eccessi. Con il tempo le persecuzioni diventano sistematiche e avviate per volontà di diversi imperatori. L'intero vive dentro di sé una scissione sempre più evidente e lacerante, in quanto la cultura cristiana si sviluppa e contende a quella pagana. I cristiani, pur rispettosi di tutte le leggi dello Stato, rifiutano di sacrificare agli dei, di riconoscere la divinità dell'imperatore, di partecipare a tutto ciò che è pagano, insomma diventano una realtà a sé. La persecuzione rappresenta allora il tentativo di far regredire il diffondersi della nuova religione, di ricondurre tutti all'osservanza delle leggi dello Stato, a cominciare da quelle che hanno come presupposto o come oggetto il paganesimo come religione civile e romana. Si susseguono, perciò, varie persecuzioni cruente, ma solo nel 313 si capisce che la repressione e le persecuzioni non potranno decapitare il cristianesimo e che, anzi, esso può rappresentare una forza nuova che rafforzi l'impero e la sua unità, dal punto di vista culturale e politico. Per questo motivo ci fu l'editto di Costantino con il quale si riconosce per la prima volta la piena libertà ai cristiani di praticare il loro culto. Il cristianesimo viene legalizzato, ma viene anche inglobato in un contesto politico e giuridico che tende ad influenzarlo e a modificarne alcuni caratteri. Infatti, cristiani e pagani godono d'ora in poi della piena ed uguale libertà religiosa, ma l'impero si attende in cambio che ciascuno di essi preghi la propria divinità perché sostenga e favorisca le fortune e il destino di Roma. Tra l'editto di Costantino ad altre 113 e l'editto di Teodosio del 380, il cristianesimo non è lasciato in condizione di mera legalità e libertà, ma viene integrato nelle strutture giuridiche e politiche dell'impero. In questo periodo, infatti, viene istituito un vero bilancio per il culto cristiano, attraverso cui si sosteneva economicamente la costruzione di santuari e Basiliche; la figura del vescovo acquista rilievo costituzionale; alle singole chiese viene riconosciuto il diritto di essere istituite eredi o legatarie. Il fenomeno più interessante è il ruolo che l'imperatore assume nell'ambito delle strutture e delle vicende cristiane, pur rimanendo egli ancora pontifex maximus, in quanto sommo sacerdote e capo della religione pagana. Costantino, pure essendo guida e garante del paganesimo, sin dall'inizio si erge a difensore dell'unità della Chiesa cristiana, considerando tale unità come valore eminentemente politico. La commistione tra potere politico e potere ecclesiastico si completa con l'esplodere della crisi ariana, che sconvolge la Chiesa in tutto l'impero. Ario sosteneva che Cristo non può essere considerato alla stregua di Dio, avendo avuto un'origine temporale, ma si trova in una posizione subordinata. Questa teoria mette in dubbio la divinità di Cristo e il cuore stesso della fede cristiana, l'identità della Chiesa e la sua origine divina. Poiché l'insegnamento di Ario si diffonde e conquista consensi in ogni parte, si prospetta o l'esigenza di un concilio generale (il primo concilio ecumenico della storia cristiana) che doveva definire una dottrina valida e cogente per tutti. È Costantino a convocare nel 325 il concilio di Nicea, nel quale si condannò Ario e si approvò il credo cristiano, destinato a non cambiare nei secoli. La professione di fede cristiana entra a far parte delle leggi dell'impero insieme agli altri canone approvati dal concilio, dopo la promulgazione da parte di Costantino, il quale diventò arbitra garante delle scelte del concilio, dell'ortodossia della dottrina e dell'unità della Chiesa. Dopo l'editto di Costantino, l'assimilazione della mentalità e della cultura formalistica romana, finisce col plasmare definitivamente la Chiesa e con l'invadere la sfera della dottrina e della teologia. La religione si

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giuridicizza. L'assimilazione della mentalità romana rischiava di trasformare il cristianesimo in una religione normativizzata e normativizzante, più attenta alla legge umana che al mistero divino. L'integrazione con l'impero diventa definitiva con l'editto di Tessalonica di Teodosio (380), che imponeva a tutti di professare il cristianesimo. Questo provvedimento fu solo l'inizio della legislazione che in pochi anni e levò il cristianesimo a livello di religione di stato. In seguito Teodosio ordinò alla distruzione di tutti i santuari, templi, edifici idolatrici. La storia quasi si rovescia. Il cristianesimo si vede attribuire vantaggi e privilegi che prima erano del paganesimo. L'impero torna ad avere una sola religione e di escludere dai diritti civili tutti quelli che non vi aderiscono. Il cristianesimo introduce un'altra scissione nella società civile e politica con la condanna degli eretici, di coloro cioè che pur facendo parte della comunità cristiana, si allontanano dal magistero ufficiale negando una o più verità di fede, soprattutto quelle proclamate dei concili ecumenici. Il pagano o l'infedele viene visto come nemico esterno, mentre l'eretico come nemico interno e come tale andava estirpato, perché provocava scandalo ed era causa di inquinamento della comunità. Con il tempo, il nemico interno venne considerato anche più pericoloso di quello esterno e per questo vennero adottate le misure più si vede, tra cui l'emarginazione, la pena di morte, l'isolamento e l'esilio. Con l'eresia si introduce la categoria del pentimento o conversione del soggetto, che può portare fino all'estinzione del reato e dei suoi effetti. Col pentimento si raggiungono due obiettivi: la reintegrazione del dissidente nella Chiesa e la tranquillità del potere che non vede più posta in discussione l'unità spirituale e politica della comunità. Se la posizione di pagani (o infedeli) ed egli eretici è abbastanza chiara, meno limpida è la posizione degli ebrei: gli ebrei, infatti, non sono pagani, perché riconoscono e adorano lo stesso Dio dei cristiani, ma non sono nemmeno eretici, in quanto non hanno abbracciato la fede cristiana perché non riconoscono la figura e il ruolo messianici di Cristo. Per questi motivi, ad essi non può applicarsi nessuna delle leggi che cercano di difendere il cristianesimo dagli infedeli e dagli eretici. Agli occhi dei cristiani, gli ebrei sono figli di una promessa e di un dono divini che essi non intendono onorare e come tali devono essere isolati e privati di ogni possibilità di espansione. Questa logica dell'isolamento portò alle prime leggi che vietavano a gli ebrei di possedere schiavi cristiani, che punivano con la morte chi circoncideva uno schiavo e che proibivano i matrimoni tra i libri e cristiani. PARAGRAFO 3. LE CHIESE ORIENTALI DELLA SUBORDINAZIONE DELL'ORTODOSSIA AL POTERE POLITICO. dal 380 l'Occidente si identifica col cristianesimo e la sua storia è insieme religiosa e politica,, in quanto si realizza una speciale commistione tra spirituale e temporale, tra istituzioni civili ed ecclesiastiche. L'impero si estende, insieme alla diffusione del cristianesimo, in tutta Europa e si fa forte dell'unificazione teologica e dottrinale avutasi dopo gli otto concili ecumenici celebrati per definire il credo cristiano e la disciplina della struttura ecclesiastica. L'uomo occidentale inizia a parlare lo stesso linguaggio religioso e monoteista e legge gli stessi testi sacri. Il concilio di Costantinopoli ribadisce la condanna dell'arianesimo. Il concilio di Efeso affronta l'eresia di Nestorio, che aveva contestato la formula " Maria madre di Dio ", e afferma l'esistenza in Cristo di due nature, una umana e una divina, unite da vincolo essenzialmente morale. Gli ultimi due concili, quello di Nicea e il quarto di Costantinopoli, si celebrano in un clima di crescente divaricazione tra Chiesa d'oriente e Chiesa d'Occidente. La Chiesa inizialmente aveva una comune struttura episcopale, che rifletteva l'originaria struttura apostolica (i vescovi sono successori degli apostoli). Questa struttura episcopale, a sua volta, si articolava in patriarcati, che agivano collegialmente senza vincoli di subordinazione gerarchica. Ciascun patriarcato riconosceva la sfera autonoma di giurisdizione degli altri. In quest'ottica anche il vescovo di Roma è considerato un patriarca (il patriarca d'Occidente), anche se da sempre gli viene riconosciuta una certa preminenza in materia di fede e di dottrina. Il suo parere e il suo consenso sono necessari perché una determinata dottrina possa essere ritenuta valida e legittima universalmente. Nei fatti, la situazione si evolve lentamente verso una gerarchizzazione dei patriarcati, al vertice dei quali si colloca il patriarcato di Costantinopoli. Questo avviene per motivi essenzialmente politici, perché il centro dell'impero si è

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stabilmente situato in oriente, mentre Roma e l'Occidente sono considerati periferia dell'impero. Ciò determinò le fortune immediate di Costantinopoli, ma ne preparò in qualche misura la decadenza, perché il patriarcato collega il suo destino a quello dell'impero e del potere politico. L'imperatore non svolge solo un ruolo politico, ma è parte integrante del sistema ecclesiale, perché a lui sono affidate le sorti della Chiesa. La subordinazione delle chiese d'oriente si riflette a più livelli. Gli imperatori convocano i concili, ne influenzano le decisioni e si intromettono nelle questioni ecclesiastiche, ma ciò non significa che i patriarchi d'oriente fossero figure senza spessore. Vuol dire semplicemente che, in presenza di un conflitto, Cesare prevale e il patriarca subisce senza che la Chiesa possa dire nulla. Su questa base nasce il cesaropapismo orientale, che ricalca il cesaropapismo della tradizione imperiale romana e si basa su una subalternità continua della Chiesa di Costantinopoli alla casa imperiale. In qualità di capo supremo del potere giudiziario, l'imperatore convoca i tribunali ecclesiastici stabilendo le cause che questi possono discutere. I suoi governatori vigilano sulla Amministrazione dei beni ecclesiastici, sull'osservanza delle leggi canoniche e sulle nomine alle cariche e ecclesiastiche, affinché siano fatte secondo le convenienze politiche. Per quanto formalmente autonomi, i patriarcati d'oriente (Alessandria, Efeso, Antiochia), subiscono l'autorità del patriarca di Costantinopoli e con essa l'egemonia politica dell'imperatore. Cominciano così a nutrire sentimenti anti imperiali e a subire fermenti indipendentisti. PARAGRAFO 4. LA CHIESA D'OCCIDENTE. DALL'INFERIORITÀ POLITICA ALL'ASCESA PRIMAZIALE. La Chiesa d'Occidente segue tutta altro percorso storico. Nel V secolo essa è fuori dal circuito politico imperiale, ma è al centro delle invasioni barbariche che sconvolsero l'Europa. Il vescovo di Roma, rispetto al patriarca di Costantinopoli, è una figura debole ed emarginata geograficamente e politicamente. Tuttavia, questa sua debolezza è anche la sua forza: infatti, al riparo dal controllo l'imperiale, il Papa da vita ad un apparato dottrinale ed istituzionale che con il tempo diventò il nucleo centrale dell'Europa cristiana. Il Papa nel corso del tempo bene visto sempre più come massima autorità spirituale e garante della vita politica europea. Il processo attraverso cui Roma prevale su Costantinopoli ha come base la formazione del primato pontificio di giurisdizione, che portò il vescovo romano a imporsi sulla Chiesa d'Occidente. Roma ha sempre fruito di un primato d'onore, che gli venne riconosciuto universalmente in quanto sede dell'apostolo Pietro. Questo primato d'onore permise ai vescovi di Roma di svolgere un ruolo attivo in materia liturgica, matrimoniale e dottrinale. Dopo la legittimazione del cristianesimo del 313, Roma iniziò una lenta accumulazione di poteri e prerogative che Costantinopoli non riconobbe. La dottrina del primato si sviluppò senza interruzioni. Roma respingeva tutto quanto veniva elaborato in oriente che potesse contraddire le prerogative del Papa. In seguito era affermatala superiorità del pontefice sui vari gradi di giurisdizione episcopale e sullo stesso concilio ecumenico e fondò l'autorità del Papa sulla volontà divina. La conquista religiosa dell'Europa è frutto dell'azione propulsiva in missionaria dei pontefici romani. I vescovi di Roma inviarono monaci ed ecclesiastici in Inghilterra, in Irlanda e tra i barbari per creare i primi nuclei di cristiani, cosa non facile se si pensa che l'Europa precristiana, soprattutto al centro e al Nord, era una realtà pagana, promiscua i costumi, spesso dedita ancora ai sacrifici umani e che l'educazione al cristianesimo fu il frutto di un lungo cammino di civilizzazione. Roma, dunque, dovette affrontare da sola il problema dell'allargamento dei confini del cristianesimo, ma fu proprio questa solitudine a trasformare il Papa in capo religioso e politico autonomo. Gregorio magno fu il primo ad avvertire che il distacco dall'oriente era storicamente inevitabile e, insieme l'attività missionaria, svolse un'intensa attività diplomatica verso i nuovi regni per avvicinarli a Roma e farne lo strumento di difesa e di sostegno del papato. In altri termini sono i pontefici che, resi i dovuti omaggi formali agli imperatori d'oriente, trattano e contrattano e convertono i barbari invasori.

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Inoltre, in questo periodo, era in vigore un decreto imperiale in base al quale, dopo ogni elezione papale, bisognava stendere un atto notarile e inviarla Costantinopoli perché l'imperatore confermasse la nomina del vescovo di Roma. Senza la conferma imperiale, l'eletto non poteva essere consacrato. In seguito, anche a causa dei ritardi conseguenti ai viaggi di andata e ritorno delle missive, venne autorizzato l'esarca di Ravenna ad esercitare le prerogative imperiali. Si trattò di un segno che Costantinopoli non considerava più l'elezione del Papa come una questione politica di primaria importanza. PARAGRAFO 5: LA SEPARAZIONE DEL 1054 TRA ROMA E COSTANTINOPOLI. CATTOLICI E ORTODOSSI NELLA PRIMA DIVISIONE RELIGIOSA D'EUROPA. Con il tempo, il rapporto di Roma con Bisanzio si allenta fino a diventare puramente formale. In questo periodo il vescovo di Roma matura un disegno ambizioso, quale quello di dare vita ad un nuovo intero nell'area occidentale e lo realizza quando Leone terzo incorona nella notte di Natale dell'800 Carlo magno imperatore di romani. L'intento il Papa Leone non era quello di contrapporre un imperatore d'Occidente a quello d'oriente, ma riportare la sede imperiale da Costantinopoli a Roma. L'incoronazione di Carlo magno consente al pontefice di vivere ed agire all'interno di una dimensione politica che lui stesso ha creato e legittimato. Agli occhi di chiunque il potere del Papa eguaglia il potere dell'imperatore. Quando nel 1054 Costantinopoli e a Roma si separano con uno scambio di scomunica reciproche, è cambiata la condizione storica e istituzionale delle chiese d'oriente e Occidente. Roma vive integrata nel sacro romano impero ed è alla vigilia di una rinascenza. In questo periodola Chiesa di Roma vive una particolare esperienza di tipo cesaropapista, all'interno della quale l'elezione del pontefice era affidata all'imperatore. Infine, una volta eletto, il vescovo di Roma non può essere consacrato se non dopo l'approvazione imperiale che deve prestare giuramento di fedeltà all'imperatore: di fattosi consente che l'imperatore controlli l'elezione del pontefice fin quasi a poterne designare il candidato. Il papato, in questo periodo vive un momento di grande decadenza. Costantinopoli, invece, non attraversa nei secoli IX-XI una decadenza così accentuata, anche se ha cessato di essere il centro della cristianità mediterranea. L'evento che matura nel 1054 e che determina lo scisma tra le due chiese segnala prima grande divisione religiosa dell'Europa cristiana. I motivi dello scisma stanno fondamentalmente nelle gelosie che una Chiesa nutre verso l'altra e nella Evoluzione storico politica che ciascuna di esse ha vissuto negli ultimi secoli. Costantinopoli non ha mai accettato che il vescovo di Roma si stia costruito un intero, né tanto meno che si sia attribuito quella posizione di preminenza. Le due chiese si sono affermate in sfere di giurisdizione diverse, hanno costumi e mentalità differenti e non vogliono cedere nulla di ciò che hanno conquistato nel proprio campo. Lo scisma, insomma, affonda le sue radici in esperienze e abitudini diverse. PARAGRAFO 6: L'ESPANSIONE MILITARE MUSULMANA E LA RIDUZIONE DEL CRISTIANESIMO A FENOMENO OCCIDENTALE. Alla separazione del 1054 si giunge quando già da tempo il cristianesimo si arrende di fronte all'Islam. Religione dominante su tutto il bacino mediterraneo ed è in espansione in Asia e verso l'Europa settentrionale, il cristianesimo subisce dal VII secolo in poi una disfatta ad opera della religione islamica, rigidamente monoteista e germogliata all'interno della cultura araba tra le popolazioni nomadi del deserto. La conquista musulmana dell'Asia minore, dell'Africa e di parte della penisola iberica avviene in un lasso di tempo molto breve e si realizza secondo moduli differenziati che prevedono la conquista militare, un regime di parziale tolleranza e di sottomissione fiscale delle popolazioni, infine un lento ma inarrestabile processo di islamizzazione delle popolazioni locali. L'Islam distingue nettamente il comportamento da tenere verso i pagani, e verso i credenti nelle altre due religioni monoteista e, cioè i libri e cristiani. Ai primi non è lasciato spazio perché devono sottomettersi e aderire all'Islam oppure morire. Ai secondi non si può far violenza per costringerli alla nuova fede, perché sono seguaci delle religioni del libro e sono protetti. Ad essi si offre un trattamento rispettoso delle loro

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credenze e dei loro costumi, sottomettendoli al tempo stesso ad un regime di imposizione fiscale che le differenze rispetto ai veri credenti. In pratica devono pagare un tributo ai conquistatori dei, ma sono esentate dall'assoggettamento alla legge coranica e restano sottoposte al proprio capo religioso. Proprio per questo atteggiamento si è terrorizzato che l'Islam fosse più tollerante del cristianesimo, malattie si perde consistenza stessi ben sa che l'imposizione fiscale per quanti non sono musulmani finisce col diventare un regime di pressione sociale e psicologica che non lascia spazio all'esistenza di popolazioni di diversa appartenenza religiosa. Islamizzazione dell'oriente e dell'Africa mediterranea ha anche altre ragioni. Infatti, l'innesto del cristianesimo è stato spesso superficiale e ciò ha favorito la conquista islamica, anche perché alcuni patriarcati preferivano spesso i nuovi dominatori agli odiati bizantino, confidando nelle promesse di rispetto della libertà religiosa dei capi militari musulmani. Le promesse dei conquistatori sono inizialmente mantenute, ma con il tempo la maggior parte delle popolazioni aderisce alla nuova religione lasciandole istituzioni cristiane come cattedrali nel deserto, accerchiati prima e sommersa e poi dall'islamizzazione definitiva. L'invasione islamica si rivela presto come fenomeno irreversibile, tale da ridurre il cristianesimo a Fenomeno Europeo e occidentale. PARAGRAFO 7: LA RIFORMA GREGORIANA DEL XI SECOLO E LA NUOVA STRUTTURAZIONE DELLA CHIESA DI ROMA. Sul finire del primo millennio ci fu un grande movimento di denuncia e di riforma, che trovò concretezza con Gregorio VII e fu alla base della rinascenza ecclesiastica che darà al cattolicesimo il volto e le strutture attuali. La riforma gregoriana del XI secolo mira a realizzare tre obiettivi principali: • l'emancipazione del papato dalla soggezione all'impero; La rinascenza cristiana cominciò con papa

Niccolò II, che affidò l'elezione del Papa alla libera scelta dei cardinali e la sottrasse all'influenza della casa imperiale e dei gruppi politici romani. All'imperatore si doveva dare solo notizia dell'avvenuta elezione senza attendere alcun placet, e senza subire veti. Nacque così l'istituto del conclave, come riunione degli elettori del Papa

• la definitiva affermazione del celibato ecclesiastico; a questo proposito Niccolò II dettò norme sul celibato ecclesiastico, che impediscono a qualunque ordinato in sacris di celebrare nozze valide, il modo tale che il clero risulti un corpo sociale interamente dedito al servizio ecclesiastico. Tra le motivazioni che spingono alla castità c'è la motivazione ascetico-morale che vede nella continenza e nella castità gli strumenti privilegiati per il perfezionamento spirituale dell'individuo; la motivazione pastorale-istituzionale, per la quale il matrimonio impedirebbe al clero di costituirsi in personale e ecclesiastico stabile e autonomo rispetto agli impegni mondani; la motivazione economico-proprietaria, in quanto un prete spossato inevitabilmente deve far fronte alle esigenze economiche della famiglia, la quale vorrebbe anche i problemi ereditari nei confronti della proprietà e ecclesiastica affidata al singolo sacerdote.

• la rivendicazione dell'autonomia del corpo clericale attraverso la lotta delle investiture. Altro fondamento della riforma gregoriana è costituito proprio dalla rivendicazione del diritto esclusivo della Chiesa di procedere alle nomine (investiture) dei titolari che gli uffici e delle dignità ecclesiastiche, senza interferenze da parte civile.

• Intero movimento di riforma della Chiesa può realizzarsi soltanto con la piena valorizzazione del primato pontificio: il papato si propone come potere unico, universale, che non ha eguali nella Chiesa e nel mondo e può assoggettare a sé ogni altra istituzione e ecclesiastica o politica. Nei fatti, ormai il Papa è l'unico soggetto al mondo che può fare tutto. Gregorio VII afferma il potere del pontefice sull'intero e su gli imperatori.

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Dentro la cornice della riforma gregoriana i due poteri centrali, l'impero e il papato, si riorganizzano essi strutturano in modo tale da amalgamarsi in modo stabile e definitivo, con la spartizione di diritti e doveri, prerogative e competenze, tra istituzioni civili e religiose. Un penetrante controllo del costume morale e religioso viene esercitato attraverso le visite pastorali e l'uso del potere di correctio. Il parroco e il vescovo, attraverso le visite capillari alle proprie circoscrizioni, osservano e individuano le colpe più gravi e frequenti dei propri fedeli, e utilizzano diversi mezzi correttivi di, che vanno da ammonimenti privati o più piccini, a denunce alle autorità ecclesiastiche, all'applicazione di sanzioni che possono andare dall'ammenda fino alla scomunica. Proprio alla scomunica costituisce uno dei più efficaci mezzi di pressione per far rispettare le norme canoniche. Essa implica una serie di conseguenze nei rapporti sociali, a cominciare dall'esclusione della comunità dei fidi li e dall'esercizio dei diritti civili fondamentali. Si afferma infine la competenza della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia. La Chiesa elabora una normativa sempre più restrittiva su gli impedimenti che contribuisce a fare del matrimonio un istituto fortemente specializzante e rigorosamente monogamico. Nonostante ciò, fino al XII secolo la competenza a regolare matrimonio e famiglia resta saldamente nelle mani dello Stato. La Chiesa d'oriente dà il primo impulso alla celebrazione religiosa del matrimonio sancendo l'obbligo delle nozze religiose con legge civile. La Chiesa di Roma più tardi supererà di gran lunga l'impostazione orientali dando vita ad un vero e proprio sistema matrimoniale canonico che con il tempo sancisce l'indissolubilità, la forma matrimoniale, la competenza ecclesiastica sulla giurisdizione matrimoniale. PARAGRAFO 8: LA CHIESA, IL DENARO, L'ACCUMULAZIONE PROPRIETARIA. IL PRIVILEGIO DEL FORO E L'INQUISIZIONE. La pressione della Chiesa e delle sue istituzioni si fa sentire anche in materia economica e finanziaria, in alcuni ambiti giudiziari, ma è difficile trovare un campo del vivere civile e nel quale la Chiesa non abbia il suo spicchio di competenza. La Chiesa ha affinato da tempo gli strumenti DELLA accumulazione proprietaria che riguardano gli ordini monastici e religiosi, gli uffici e ecclesiastici veri e propri. Gli ordini religiosi si fondano sul voto di povertà individuale dei singoli appartenenti, ma accumulano sempre più ampie ricchezze collettive, soprattutto di tipo immobiliare, con i più svariati sistemi. A ciò si aggiunge lo strumento della decima ecclesiastica, il cui obbligo viene esteso a tutte le rendite senza eccezione, dei prodotti della terra agli animali da stalla e da cortile, agli utili del commercio e dell'industria, e deve essere pagata da chiunque, anche dal re. Tra il tredicesimo e XIV secolo si aggiunge la pratica delle decime papali (1 decimo o un ventesimo delle entrate annue), imposte per eventi straordinari (crociate, guerre contro i turchi...) che fanno crescere di insofferenza e l'ostilità della popolazione e delle autorità civili verso una tassazione che si ritiene vessatoria e ingiusta. Le fonti di finanziamento della Chiesa non sono finite. Un istituto importante è quello del patronato, mediante il quale si ottengono fondi per la costruzione di monumentali edifici di culto, monasteri, complessi religiosi, da parte di personaggi influenti e ricchi. Al patrono viene chiesto di sostenere le spese per la costruzione dell'immobile e in cambio il patrono ottiene diritti e privilegi, quale il diritto di nomina del rettore o del capo della comunità, il diritto di sepoltura in loco, il diritto all'assistenza in caso di bisogno. Infine, il cittadino-fedele vede crescere il ruolo alla presenza della Chiesa a livello repressivo con lo sviluppo misurato del privilegio del foro e con la istituzione e diffusione dei tribunali e l'inquisizione e delle loro pratiche persecutorie. Il giudice ecclesiastico decide e per il cittadino le sentenze dei tribunali della Chiesa hanno reale efficacia al pari delle sentenze civili. E nei tribunali ecclesiastici il laico convenuto vivere una condizione ambigua e svantaggiata.

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Per quanto riguarda il privilegio del foro, le prime competenze esclusive di tribunali ecclesiastici sono le cause riferite alla fede, ai sacramenti, alle cerimonie ecclesiastiche e al vincolo matrimoniale, ma si finisce per rendere i tribunali ecclesiastici competenti nelle controversie che coinvolgono i laici che prestano servizio presso e ecclesiastici, i monaci alle monache, le istituzioni ecclesiastiche e le pie fondazioni di qualsiasi natura, comprese le scuole e le università. Quanto all'inquisizione, essa diventa il nuovo strumento con il quale la Chiesa conduce la guerra di sterminio degli eretici. Esso si sovrappone e si sostituisce alla competenza dei vescovi, in quanto è esercitata per mezzo di delegati pontifici che agiscono in piena autonomia. Essi sono inviati nelle diverse nazioni per cercare e reprimere l'eresia, a livello individuale o comunitario. L'inquisizione si fonda sul principio della ricerca delle eretici: per questo l'inquisitore viaggia e si sistema nelle diverse località di una regione su cui ha giurisdizione e vi apre le sessioni del tribunale con l'editto di grazia e l'editto di fede. Con l'editto di grazia sollecita la confessione spontanea delle eretici, cui segue la remissione della colpa e l'irrogazione delle pene canoniche. L'editto di fede apre la fase delle delazioni perché impone a chiunque di denunciare i casi evidenti o soltanto sospetti di eresia. La procedura si sviluppa contestando la colpa dell'interessato, ma senza la presenza di avvocati o assistenti e prosegue utilizzando lo strumento della tortura fisica. Il processo si conclude con una sentenza contro cui non è ammesso appello. Il diritto canonico prevede una serie di pene che vengono comminate a seconda della gravità della colpa, ammesso che l'eretico non si penta e non si converta. Esse prevedono il carcere, la confisca dei beni, la distruzione della casa, l'esclusione dei figli degli eretici dalle cariche ecclesiastiche fino alla seconda generazione. L'inquisitore ha sempre la possibilità di consegnare il condannato al braccio secolare che autonomamente provvede all'esecuzione capitale in linea di massima attraverso combustione. PARAGRAFO 9: AFFERMAZIONE E DECLINO DELLA TEOCRAZIA DA GREGORIO VII A BONIFACIO VIII. LA VOCAZIONE TEMPORALISTA DELLA CHIESA La Res Publica Christiana si realizza compiutamente soltanto con l'affermazione della tendenza teocratica che, rovesciandolo schema cesaropapista, pone al vertice dei poteri quello pontificio. Tuttavia il Papa non ha mai voluto farsi imperatore, ma ha preteso di assoggettare l'imperatore al proprio controllo, rendendo lui e le altre autorità civili esecutori delle leggi, delle decisioni della Chiesa. Di qui il conflitto che caratterizza l'epoca teocratica tra Papato e impero, dal momento che l'impero pur accettando la logica Confessionista del sistema non ha mai accettato la subalternità piena al Papato. Gregorio VII per la prima volta afferma che il Papa può deporre l'imperatore: tuttavia non lo può deporre a suo piacimento per contrasti politici o temporali ma soltanto quando l'imperatore, in quanto civis-Fidelis sottoposto alla sua giurisdizione spirituale, incorre in qualche colpa grave che legittima l'adozione di sanzioni spirituali. Per cui la deposizione dal trono imperiale è una mera è inevitabile conseguenza di un provvedimento squisitamente spirituale. Nel corso dei secoli ci sono state numerose deposizioni di imperatori che testimoniano le sempre maggiori pretese pontificie. Tra i casi più eclatanti c'è quello di Federico II, che collezionò più scomuniche di ogni altro imperatore. Spettò proprio a Federico II, dopo l'ennesima scomunica, lanciare il primo avvertimento ai sovrani d'Europa che in ciascun paese stavano costituendo gli stati nazionali e li mise in guardia sul fatto che il potere reclamato dei pontefici era ormai senza confini. Il sogno teocratico si infranse a causa di Filippo il bello, il quale, sul finire del 300, riuscii ad umiliare il Papa Bonifacio VIII e a cambiare il corso della Chiesa e d'Europa. Il conflitto si annuncia quando il Papa in una bolla dichiarò di voler fare da intermediario tra Inghilterra, Francia e Germania dal momento che le controversie tra questi paesi coinvolgevano questioni di competenza della Santa Sede. Il re di Francia, invece, come risposta, informò il legato pontificio che il governo del regno compete a lui soltanto è che egli non riconosceva alcuna autorità superiore e non intendeva sottoporre ad alcuno le questioni del governo temporale.

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Filippo il bello convocò gli stati generali di Francia ai quali sottopose la questione se fosse lecito al Papa esercitare la sovranità temporale sul re e in terra francese. Laici e Clero francesi risposero negativamente. Filippo il bello finì con umiliare ad Anagni Bonifacio VIII di fronte all'Europa intera, provocandone di lì a poco la morte. Da questo momento in poi in Europa si crea una nuova situazione: comincia un cammino quasi inverso a quello che aveva portato il papato a primeggiare sull'impero e la Chiesa a dominare sulla società civile. Adesso è il papato che perde in potere, autorevolezza, dimensione universale. Clemente V si convince a trasferire la Sede Pontificia ad Avignone e questo periodo, definito cattività avignonese, dimostra al mondo intero che il Papa è stato sradicato da quella centralità che si era costruita. Quando termina l'esilio avignonese, si apre per la Chiesa la crisi interna che sfocia nel grande scisma d'Occidente, scisma provocato dalla divisione del collegio Cardinalizio, che elesse due pontefici, attorno ai quali si raccolsero cardinali di diversa obbedienza. La crisi viene risolta utilizzando lo strumento ecclesiastico del concilio ecumenico, al quale veniva riconosciuto un certo potere di intervento per eventuali crisi di vertice. Nel concilio di costanza, ci fu il ridimensionamento del ruolo del pontefice e venne affermatala superiorità del concilio in materia di fede e di disciplina; in più si tratteggiò il ruolo del Papa alla stregua di quello di un monarca costituzionale. Ciò che cambiò dunque è l'idea del Papa: i sovrani nazionali tendevano ormai a ridurre i poteri della sede romana. PARAGRAFO 10: LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI, LA RECONQUISTA DELLA PENISOLA IBERICA, IL CONTENIMENTO DELL'ISLAM. Mentre Roma vive la prima decadenza del papato, maturano a destra ed ovest del continente fatti ed eventi storici che rimodellano la carta religiosa dell'Europa e segnano i confini definitivi tra cristianesimo e Islam. La conquista di Costantinopoli del 1453 da parte dell'impero romano è allo stesso tempo il coronamento di secolari ambizioni del mondo islamico e il risultato delle perduranti divisioni tra le chiese cristiane d'oriente e d'Occidente. L'episodio che fa degradare i rapporti tra Roma e Costantinopoli è legato alla conquista e al saccheggio della capitale dell'impero Bisanzio, che viene spogliata delle sue ricchezze, da parte dei protagonisti della quarta crociata nel 1203. Nel 1453 Costantinopoli venne assediata e conquistata. L'eccidio che ne segue ha il sapore di una pulizia etnica è certamente porta alla sostituzione dell'Islam al posto dell'antica religione cristiana. Con il tempo, le chiese cristiane si trasformano in moschee, le conversioni si moltiplicano, la società viene governata dal Corano come codice fondamentale della vita politica e civile. Caduta Costantinopoli, la Chiesa d'oriente si inaridisce nel suo centro spirituale. Se l'Europa perde Costantinopoli nel 1453, nello stesso periodo l'Islam perde la penisola iberica la cui riconquista impegna le case regnanti del Portogallo e i re cattolici di Spagna. Si trattò di una riconquista lunga e dolorosa. In oriente l'impero ottomano aveva posto fine al periodo d'oro della civiltà islamica e aveva fatto emergere il profilo peggiore della dominazione musulmana, aveva accentuato pratiche di schiavizzazione di gruppi cristiani e metodi di direzione politica fondati sull'arbitrio dei sovrani. Diversa invece l'esperienza islamica nella penisola iberica, dalla quale scaturisce una civiltà colta e tollerante, nell'ambito della quale convivono uomini di fede diversa. La caduta di granada nel 1492 segna la fine della dominazione musulmana. La riconquistasi completa con la crociata cristiana, con l'intento di rendere cattolica l'intera penisola e provoca in Spagna una sorta di pulizia etnico-confessionale condotta congiuntamente dalla monarchia e dai tribunali dell'inquisizione. Proprio per procedere alla cristianizzazione del paese, vengono emanati in Spagna i cosiddetti diritti di espulsione, che offrono agli ebrei e ai musulmani l'alternativa tra l'abbandono del territorio spagnolo e la conversione mediante battesimo. Molti lasciano la Spagna, ma molti si fanno battezzare per convenienza. Avendo ricevuto il battesimo, essi ricadono pienamente sotto la giurisdizione inquisitoriale.

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Tuttavia, il rapporto tra cristianità e Islam non si esaurisce nella caduta di Costantinopoli e nella riconquista della penisola iberica. Da quel momento inizia la resistenza cristiana contro i ricorrenti tentativi ottomani di espandere i propri domini in Europa è di cristiani riescono a contenere l'Islam nel suo tentativo di dilagare dell'Europa centrale. Questi episodi riducono il patriarca di Costantinopoli in una condizione di cattività politica, che impedisce loro di svolgere qualsiasi ruolo autonomo e, anzi, li riduce a compiere atti di subalternità. PARAGRAFO 11: LA RIFORMA PROTESTANTE E LA NUOVA DIVISIONE RELIGIOSA DELL'EUROPA Dopo la caduta di Costantinopoli e la riconquista della penisola iberica, la Chiesa di Roma subisce la lacerazione più dolorosa della storia che provoca una nuova divisione religiosa e politica dell'Europa. La scintilla viene dalla Germania ad opera di un monaco agostiniano Martin Lutero. Lutero pone un abisso tra la creatura e il suo creatore; secondo lui l'uomo è colpevole quasi per definizione, non ha energie autonome ne possibilità di riscattarsi per avvicinarsi a Dio, quindi per meritare la salvezza, ma la misericordia di Dio è talmente grande che, per la fede e attraverso la fede, egli giustifica l'uomo e le sue colpe. La salvezza diventa parte di un disegno divino che l'uomo non conosce. La giustificazione per la fede diventa il punto di rottura con l'ortodossia e la dottrina romana. Agli occhi di Lutero, Roma si è appropriata della Chiesa è la piegata alle sue esigenze e ai suoi interessi, l'ha riempita di regole costruite da mano umana, fino ad informarla e farne qualcosa di completamente diverso da quella voluta dal suo fondatore. Lutero critica anche le indulgenze, perché con esse Roma vende un po' dovunque il riscatto per denaro di annate di purgatorio. Quando alla porta della chiesa del castello di Wittenberg vengono esposte le 95 tesi di Lutero, quest'ultimo trova immediati e inaspettati sostegni da parte di personalità politiche che gli garantiscono per anni l'immunità e la sicurezza contro le tante richieste di consegna nelle mani dell'autorità ecclesiastica che giungono da Roma. In queste tesi: 1. si sostiene che i cristiani devono in primo luogo tornare alla fonte della propria fede, ossia alla scrittura

e quindi alla parola di Dio. I fedeli devono leggere direttamente le scritture e sentirsi tutti uguali. Cade in questo modo la distinzione tra ecclesiastici e laici, che non ha alcuna ragione di esistere.

2. Si sostiene anche che Non è vero che il Papa non può mai sbagliare ed è necessario che il concilio punisca il Papa, vero usurpatore di poteri non suoi.

3. Si nega ogni validità ai sacramenti che non siano il battesimo, la penitenza e dell'eucaristia. In seguito vengono cancellati anche i voti religiosi di povertà, castità e obbedienza.

4. Secondo Lutero il Papa ha un potere che è il legittimo in radice. 5. Lutero afferma la teoria dei due regni: il regno spirituale e il regno secolare. Entrambi sono voluti da

Dio, ma agiscono in modo diverso. Il primo è governato da Dio attraverso la sua parola e il Vangelo. Il regno secolare si fonda su regole che derivano in buona sostanza dalla colpa e dal peccato che hanno corrotto nell'intimo la natura umana.

6. I due regni, Stato e Chiesa, restano uniti ma per Lutero questa unione si risolve a tutto vantaggio del potere temporale.

7. Non ci sono più tribunali ecclesiastici, perché a quanto occorre alla chiesa provvedono i tribunali dello Stato e non ci sono più tutte le intromissioni ecclesiastiche nella vita privata, finanziaria, pubblica dei singoli e della collettività.

8. La Chiesa nello stesso tempo chiede allo stato di proteggerla: nasce la Chiesa territoriale di Stato, posta sotto la guida di un concistoro che diventa una assemblea composta da consiglieri del principe, e esperti di diritto e teologia e diretta dal sovrano territoriale. Dunque si rovescia lo schema presente nei paesi cattolici: mentre in questi la Chiesa si unisce al potere politico ma poi rivendica vaste competenze temporali, con Lutero lo Stato è lasciato libero di fare quel che vuole senza che altra autorità possa criticarlo o contestarlo.

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Lutero cambia la storia d'Europa e provoca una nuova divisione religiosa e politica del continente. Nascono movimenti e chiese nuove, ciascuno dei quali pende dalle scritture ciò che più gli sembra importante o che più gli aggrada e vi costruisce attorno una istituzione, una dottrina, una liturgia. Nasce il calvinismo, gli anabattisti, i puritani, i metodisti, i Pentecostali, gli avventisti. Tutti questi movimenti rifiutano autorità centrali troppo potenti e vogliono la loro autonomia, dandosi una struttura istituzionale più o meno marcata. Peculiare la vicenda che coinvolge l'Inghilterra, dove Enrico VIII si distacca da Roma quando questa non vuole invalidare il suo matrimonio con Caterina d'Aragona: per questo fece approvare dal parlamento l'atto di supremazia con il quale si vede riconosciuto il titolo di Unico Supremo capo della Chiesa d'Inghilterra. Nasce così la Chiesa anglicana, che mantiene molti tratti del cattolicesimo, ma su due questioni segue integralmente la lezione protestante, ossia l'abolizione del celibato dei periti e la soppressione dei monasteri con il conseguente incameramento dei beni. PARAGRAFO 12: IL GIURISDIZIONALI SONO CATTOLICO E LE GUERRE DI RELIGIONE. IL PRINCIPIO DI TOLLERANZA RELIGIOSA. La riforma Luterana influenza direttamente anche l'altra parte d'Europa che resta cattolica. I sovrani cattolici sanno che i protestanti hanno torto sul piano della dottrina, ma hanno ragione quando sostengono che il costume del clero è discutibile soprattutto nei confronti del denaro e dell'accumulazione delle ricchezze, che il foro ecclesiastico è troppo invadente in questioni che hanno poco a che vedere con questioni ecclesiastiche e che l'attività dell'inquisizione semina paura in ogni ambiente. I sovrani e gli stati cattolici restano fedeli alla Chiesa di Roma, ma sentono di dover prestare da vicino la Chiesa e le sue strutture, controllarle, limitarne l'influenza sullo Stato e sui cittadini. Da qui nasce il giurisdizionali istmo che si afferma in Europa tra il XVI e il ventesimo secolo. In una prima fase, ogni atto normativo della Chiesa acquista efficacia solo se munito del placet regio, che viene concesso o negato in funzione degli interessi dello Stato nel momento. Successivamente il placet regio è condizione per la validità stessa dell'atto normativo. Con l'affermazione del principio per il quale la legge è frutto esclusivo della potestà e capacità legislativa dello Stato, il diritto canonico viene di fatto posto ai margini della realtà giuridica Statuale e le stesse prerogative e immunità ecclesiastiche finiscono col diventare vere e proprie eccezioni al diritto comune che lo Stato tollera più o meno malvolentieri. Su un punto l'Europa, divisa religiosamente e politicamente, è ancora unita, sull'intolleranza che ciascuno Stato, protestante o cattolico che sia riserva a quanti non si riconoscono nelle rispettive religioni ufficiali. Il primo impatto della riforma è quello di moltiplicare le eresie e gli eretici in tutta Europa. Ciascuno è eretico nei confronti degli altri, quindi ciascuno, ritenendosi nel vero, cerca di distruggere gli altri. Oltre le guerre interne a ciascuno Stato, per annientare i rispettivi eretici, guerre di religione ancor più disastrose vengono combattute nei territori tedeschi che si dividono tra l'adesione alla riforma della fedeltà al Papa. Al termine delle guerre vengono stipulati due trattati che introducono i primi illimitati riconoscimenti del diritto di libertà religiosa, che valgono solo per le terre germaniche. La pace di Augusta sancisce il principio per il quale il sovrano è capo religioso nel suo territorio e può scegliere la religione cattolica o quella Luterana. I sudditi devono seguire la religione del sovrano oppure emigrare in uno stato in cui si professi la propria fede. La pace di Westfalia ribadisce che oltre le religioni cattolica, Luterana e calvinista, non sono tollerate altre religioni; tuttavia, il sovrano può concedere ai sudditi di praticare in forma privata il proprio culto, anche se diverso dai tre citati, e di educare in esso i figli, senza subire discriminazioni. PARAGRAFO 13: SEPARATISMO E MODERNITÀ NELL'AREA CRISTIANA. SEPARATISMO AMICO DELLE CHIESE E SEPARATISMO OSTILE.

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Una rivoluzione epocale da quando il cristianesimo è stato dichiarata religione dell’impero, si realizza quando sul finire del 700 si affermano negli Stati Uniti d'America e in Francia i principi delle istituzioni dello Stato moderno separatista. Se il protestantesimo aveva disseminato l’occidente di chiese e di movimenti religiosi i più disparati,il separatismo si identifica nella modernità, proclamando che mai più lo Stato si interesserà di teologia o di dottrina religiosa, e che teologia e religione saranno lasciate nella libera disponibilità del cittadino, ma non avranno più nulla a che vedere con lo Stato, con le sue istituzioni e con il diritto pubblico. D’ora in poi ciascuno sceglierà se credere o se appartenere ad una comunità confessionale senza che lo stato interessi alcunché delle loro scelte: • Lo Stato si strutturerà definitivamente come ente autocefalo, decidendo ogni legame con la teologia e le

chiese,anzi non si pronuncerà nemmeno sull’esistenza o meno di Dio. Sotto il profilo storico il separatismo si identifica con la modernità,ossia nella voglia della collettività di liberarsi da ogni vincolo ecclesiastico autoritario,lo Stato ha in sé la propria legittimazione,e in quanto Stato sovrano è l’unica fonte del diritto nel proprio ambito territoriale;

• Il diritto canonico e ogni diritto confessionale cessano di avere rilevanza giuridica e con essi vengono meno gli istituti essenziali del vecchio sistema unionista.

• Il foro ecclesiastico è abolito e tutti i cittadini sono sottoposti alla stessa giurisdizione. • Il matrimonio non è più di competenza della Chiesa cattolica e si identifica con il matrimonio civile,tutti

i cittadini di ogni fede o orientamento vi possono accedere . • Ogni forma diretta o indiretta di controllo dell'autorità religiosa sulla vita personale di cittadini viene

meno e le scelte personali di Tipo confessionale assumono carattere puramente privato,infine lo Stato si struttura in modo tale da assolvere con propri uffici civili funzioni prima espletate dalla chiese(nascite,sepolture,matrimoni,ecc).In altri termini cessa di esistere il civis-fidelis con i doppi legami,le doppie fedeltà,le doppie sudditanze che doveva sopportare ed è sostituito dal cittadino ,soggetto ad un solo ordinamento,

• Si afferma per il cittadino il diritto di libertà religiosa e scompaiono dal mondo giuridico i concetti di ortodossia e di eresia. Si affermano invece la facoltà di credere e di non credere, di aderire ad una Chiesa e di allontanarsene senza subire sanzioni ecc.. Il cittadino vede cessare ogni sudditanza verso gli apparati religiosi. Il religioso, d'altro canto, se vorrà abbandonare la vita monaca alle potrà farlo senza subire condanne o emarginazioni.Il cittadino vede cessare ogni sudditanza verso gli apparati religiosi,non pagherà più decime,registrerà le nascite all’anagrafe anziché nei registri parrocchiali,potrà sposarsi civilmente ed essere sepolto in santa pace.

La rivoluzione separatista è il punto di approdo di un variegato movimento di pensiero che tra il seicento e il settecento cambia il corso della filosofia e della scienza politica,e nel quale si intrecciano percorsi diversi qualche volta contrapposti.Dalla grande lezione di Grozio, Hobbes e Locke deriva la teoria giusnaturalistica che vede lo Stato un soggetto dai fini non illimitati,proteso al bene comune ,fondato sulla divisione e sull’equilibrio dei poteri.In Emmanuel Kant ,il maggiore teorico dell’illuminismo continentale,non soltanto è presente alcun astio verso la religione e le chiese,ma si trova uno spirito elevatissimo che interpreta la fede in Dio come un bisogno essenziale dell’uomo ,sia pure sostenibile esclusivamente dalla ragion pratica. Il separatismo, quando viene ad essere concretamente realizzato, riceve due attuazioni profondamente diverse e gli Stati Uniti d'America e in Francia. Negli Stati Uniti d'America, il nuovo stato sì proclama ed è amico di tutte le religioni pur senza abbracciarne alcuna. Il nuovo ordine giuridico si fonda sulla fede comune in Dio, oltre che sull'equilibrio dei poteri, tra cui spiccano anche le chiese e utilizza il pluralismo confessionale come strumento di forza e di sostegno, anziché di divisione e di conflitto della collettività. L'opposto accade negli stati cattolici europei, in particolare in Francia dove scoppia la scintilla rivoluzionaria del 1789 . Qui non c’è traccia del pluralismo religioso si erge una sola confessione, quella cattolica, che ha accumulato ricchezza e potere più di qualunque altro soggetto. Nasce perciò uno stato

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accentrato e burocratico e la Chiesa cattolica, invece di cogliere l'opportunità storica per una riforma della sua presenza sociale, interpreta gli eventi che si collegano la svolta separatista come il frutto di una rivolta contro l'ordine antico, contro la volontà divina e contro i diritti inalienabili dell'unica vera religione, e dichiara una guerra totale contro la modernità ponendosi come il nemico irriducibile dello Stato liberale. PARAGRAFO 14: DIRITTO, STATO, RELIGIONE NEGLI STATI UNITI D'AMERICA, IN FRANCIA E NELL'EUROPA DEL XIX SECOLO. Gli Stati Uniti d'America garantiscono la libertà religiosa per ogni cittadino o gruppo sociale. Tuttavia, se il cittadino viene e emancipato dalla soggezione ai due poteri, civile ed ecclesiastico, e potrà professare qualsiasi opinione o fede religiosa, nell'ordinamento statunitense si afferma un particolare favor religionis. Ne conseguano ostilità e diffidenza verso ogni posizione non religiosa o ateistica, in quanto la religiosità e il rigorismo morale sono talmente radicati da rendere inconcepibile indifferenza religiosa. L'ostilità dunque discende dall'impronta strettamente cristiana della legislazione tanto che in America si può parlare più di libertà nella religione che di libertà dalla religione. Inoltre, lo Stato nordamericano lascia largo spazio ai soggetti privati, e tra questi alle chiese e confessioni religiose, in ambiti sociali e si limita a svolgere una funzione amministrativa e di coordinamento centrale. L'appartenenza di cittadini ai gruppi Confessionali è solo in parte questione privata mentre si riflette nei principali istituti della vita civile: infatti il matrimonio resta a lungo riconosciuto solo in quanto contratto con vincolo religioso è l'istruzione è permeata di Confessionismo. In sostanza, il separatismo americano si qualifica per l'essere amico della religione e delle chiese è ostile verso ogni forma di miscredenza e di ateismo. Se il separatismo del Nord America è sinonimo di concordia tra le chiese e tra chiese e Stato, in Europa, soprattutto in Francia, separatismo è sinonimo di modernità e di conflitto insieme, di conquista di libertà e di anticlericalismo, di evoluzione e di fratture sociali. In Francia di vengono sanciti i principi fondamentali di una società laica e democratica, come il principio di uguaglianza, il diritto di libertà religiosa, il diritto di opinione e di parola, l'abolizione dei diritti feudali e dei privilegi clericali. Lo Stato decide come deve essere organizzata la Chiesa, opera una nuova sistemazione delle diocesi e decreta che i vescovi e i parroci devono essere eletti dalla popolazione con la partecipazione anche di non cattolici. Lo stato quindi si fa protagonista della reformatio ecclesiae. Il clero e stipendiato dallo Stato e si impone a tutti gli ecclesiastici il giuramento di fedeltà alla costituzione civile. Nella seconda fase della rivoluzione francese prevale invece l'ostilità antireligiosa e si cerca di liquidare l'avversario. Dopo la follia sanguinaria del terrore, resta all'Europa l'eredità della prima rivoluzione e con essa la salutare separazione tra Stato e Chiesa. Alla neutralità dello Stato nei confronti di qualsiasi fede o dottrina religiosa corrisponde la piena di libertà religiosa per i cittadini, che si estende alla garanzia della libertà di coscienza comprensiva degli orientamenti ateistici. La religione insomma diventa una questione privata che non deve toccare la sfera pubblica dello Stato. Tuttavia di dentro questa riforma si celano anche le forzature del separatismo: si aboliscono gli ordini religiosi essi incamerano i loro beni, si cancellano segni simboli da ogni istituzione sociale, nessuna cerimonia pubblica può avere carattere religioso, la scuola viene la eccitata. L'800 è il secolo della svolta laica e separatista, anche se ciascun paese la vide e la assimila a modo suo. In Francia, Napoleone, concludendo con la Santa Sede un concordato, riconfessionalizza l'ordinamento, ma dopo il crollo dell'impero napoleonico, tale concordato viene abolito e da quel momento la Francia torna ad essere il paese separatista per eccellenza. In Italia, dopo l'unificazione nazionale, viene creata una forma moderata di separatismo, che viene creata e sviluppata senza alcuna forma di violenza, ma con una particolare attenzione alle esigenze di libertà e di autonomia del cattolicesimo italiano. Di in Gran Bretagna si cerca di riconoscere progressivamente la libertà religiosa, mentre in Germania alla fine del 700 viene concessa ad ogni abitante dello Stato piena libertà di credenza e di coscienza.

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PARAGRAFO 15: IL TOTALITARISMO, DI DESTRA E DI SINISTRA, DEL XX SECOLO. COMUNISMO È SEPARATISMO ATEISTICA. FASCISMO E SVOLTA CONCORDATARIA Il XX secolo è segnato dal trionfo e dalla caduta del totalitarismo ideologico e dello Stato totalitario. Morale, diritti umani, rispetto della persona sono considerati dallo Stato totalitario come debolezze ingannatrici, mentre i miti della razza, della classe, della conquista e sottomissione di altri popoli di altre nazioni trionfano facendo del 900 il secolo delle i biologi di guerra e delle guerre di sterminio dell'umanità. Il totalitarismo comunista, che si realizza in Russia, proclama che sono nemici storici tutti coloro che non si riconoscono nel progetto di edificare una società senza classi che pongono tra questi nemici storici e la religione e le chiese. In particolare, la religione è da combattere soprattutto sul terreno ideologico. La svolta separatista del 1917 realizza una vera e profonda modernizzazione, introducendo molte riforme: si ritrovano la fine del cesaropapismo, la proclamazione del diritto di libertà religiosa e di coscienza, la laicizzazione degli apparati pubblici, la riduzione della religione e delle chiese a fenomeni privati, la totale irrilevanza civile dei rapporti interconfessionali. Tuttavia tale assetto ideologico del nuovo sistema normativo finisce con lo stravolgere il concetto stesso di separatismo. L'abolizione della proprietà e dell'iniziativa privata trasforma la condizione delle chiese riducendole ad un livello di totale emarginazione. Di fatto, quasi tutto viene consegnato nelle mani dello Stato, nulla resta nella disponibilità dei privati, e quindi delle chiese. Viene abolito, oltre all'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, il concetto stesso di scuola privata. Vengono proibite riunioni religiose o di altro genere e non soltanto viene abolita la proprietà e ecclesiastica e esistente, perché nazionalizzate integralmente, ma si inibisce alla stessa possibilità di accumulo di Beni per le chiese. Il separatismo viene poi svuotato di ogni contenuto di laicità quando l'ordinamento sovietico cancellala neutralità della legge in materia religiosa e plasma un vero stato ideologico ad impronta ateistica: nelle scuole si procede alla divulgazione dell'ateismo scientifico, nel partito comunista è ammesso soltanto chi è ateo e, per disposizione costituzionale, l'accesso alle principali cariche direttive dello Stato è riservato soltanto i membri del partito. Per cui, in unione sovietica la fede religiosa e espone i cittadini al rischio di emarginazione e persecuzione. Nel totalitarismo di destra, invece, la paura del comunismo spinge le borghesi e nazionali ad allearsi con quei movimenti di tipo fascistico che promettono ordine e restaurazione dell'autorità, e coltivano disegni di potenza economica e militare. La religione, in particolare quella cattolica, svolge un ruolo non secondario nella crisi del regime liberale, soprattutto perché sono tutti cattolici quei paesi nei quali il fascismo si afferma. Il ruolo del cattolicesimo è spesso decisivo, perché i regimi totalitari vogliono fare della Chiesa uno strumento di coesione sociale e di consenso politico e perché la Chiesa crede di poter utilizzare, da parte sua, i regimi illiberali per restaurare qualcosa del vecchio ordine e per introdurre una svolta neoconfessionista nei rapporti tra Stato e chiese. Il totalitarismo di destra vede una convergenza di interessi tra Stato e Chiesa che si esprime nella stipulazione di diversi concordati. Il concordato con la Germania di Hitler ebbe chiaro intento strumentale: da parte del nazismo che voleva garantirsi l'appoggio di una imponente componente sociale; da parte della Chiesa che intendeva ottenere prestigio e prerogative giuridiche. Gli altri concordati in Italia, Austria, Spagna e Portogallo presentano una grande uniformità di contenuti e riflettono il tentativo di restaurare il prestigio e parte dei poteri della Chiesa cattolica che erano andati persi nel precedente sistema separatista. Spicca in tutti concordati la riassunzione della religione cattolica a sola religione dello Stato; viene reintrodotto l'insegnamento della religione cattolica in forma quasi obbligatoria in tutti i gradi dell'istruzione; viene riconosciutala giurisdizione esclusiva dei tribunali ecclesiastici nelle cause di nullità. Si tratta, in sostanza, di un piccolo ritorno del privilegio del foro. Le confessioni non cattoliche rientrano in un limbo di discriminazioni e di emarginazione e, in Germania, la legislazione discriminatoria razzista da vita a quel olocausto di milioni di ebrei.

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PARAGRAFO 16: FINE DEL TOTALITARISMO, SECONDA MODERNITÀ, DIRITTI UMANI. Con il fallimento del totalitarismo, l'Occidente è indotto a fare un bilancio della modernità. Infatti il secondo 900 è prima di tutto epoca di revisioni. Si ripensa alla più grande democrazia dell'Occidente intrisa di spirito religioso e si riscopre che essa ha convissuto per oltre un secolo con la schiavitù e, fino a poco tempo fa con il razzismo. Nelle radici del totalitarismo sono coinvolte anche le chiese e le religioni. Soltanto con il concilio Vaticano II il cattolicesimo si riconcilia con la modernità, supera le condanne ottocentesca e che si pronuncia a favore della forma democratica dello Stato e del diritto di libertà religiosa. Insieme a questa generale revisione critica, si apre una fase storica nella quale si cerca di ridimensionare e trasfigurare il ruolo dello Stato. Il primo ridimensionamento si realizza a livello internazionale, dove si fa strada l'idea che il mondo intero debba essere governato da una autorità mondiale dotata di forza sufficiente per imporsi ai singoli stati. Per questo venne creata la carta delle Nazioni Unite nel 1945, che affermava il diritto-dovere di intervento della comunità internazionale nei casi in cui si verifichino aggressioni militari verso uno o più stati, o venga messo al rischio il valore supremo della pace e della convivenza tra i popoli. Inoltre, l'ordinamento internazionale detta norme generali che devono cambiare il volto dello stato anche nei suoi assetti interni e nei rapporti con i cittadini, affermando all'articolo 1 della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. I diritti umani diventano il nuovo paradigma delle relazioni internazionali e della trasformazione dello Stato. Verso la fine del 900 si afferma il principio di ingerenza umanitaria, in base al quale l'Onu può intervenire con strumenti progressivamente coercitivi per porre fine a gravi e ripetute violazioni dei diritti umani nei confronti di popolazioni o minoranze etniche e religiose da parte dei singoli stati sovrani. PARAGRAFO 17: LE TRADIZIONI ORTODOSSA, PROTESTANTE, CATTOLICA, NELL'EUROPA DEI DIRITTI UMANI E DEL PLURALISMO. NUOVO CONFRONTO TRA LE RELIGIONI DEL LIBRO. La seconda modernità investe appieno la questione religiosa e le tradizioni Confessionali Europee. Accanto al cristianesimo esistono larghe fasce di pensiero e di ateismo essi affermano movimenti religiosi di nuova formazione o di derivazione orientale. Inoltre, il flusso migratorio di massa degli ultimi decenni provoca l'inserimento nel tessuto sociale di popolazioni, pratiche di vita e di costume, legate a culture e religioni diverse, spesso di origine islamica, che appaiono in qualche punto contrapposte a principi e valori fondamentali della tradizione europea. In questo modo, il fenomeno del multiculturalismo e la relativa diffusione di nuovi movimenti religiosi riflette una sorta di pluralismo senza confini che caratterizzala seconda modernità. I cambiamenti più graduali e meno cromatici intervengono nelle due forme classiche di separatismo Negli Stati Uniti e in Francia, in un cammino di convergenza che fa a costare modelli un tempo molto diversi. Nel separatismo statunitense si è andato estinguendosi quel favor religionis che lo caratterizzava alle origini, e che era alla base dell'ostilità verso il libero pensiero e verso l'ateismo. L'altra forma di separatismo, quello francese, invece, vede attenuarsi all'opposto l'impronta di ostilità nei confronti della religione e della Chiesa cattolica in particolare. Per quanto riguardala riforma dei vecchi concordati, soprattutto in Spagna e in Italia, essa li ha trasformati da STRUMENTI neoconfessionista in accordi fondati sulla reciproca autonomia tra Stato e Chiesa, con l'abolizione, oltre che della religione di Stato, di quel tessuto normativo che mortificava l'autonomia e la laicità delle istituzioni pubbliche. Ciò non ha impedito la sopravvivenza di alcuni residui del passato, in particolare e perdurante riconoscimento della giurisdizione canonica delle nullità matrimoniali. A conclusione di questo processo di rinnovamento e di revisione, che ha investito prima l'Europa occidentale e poi quella centrale ed orientale, si può dire che quasi non c'è paese europeo che non viva

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oggi in un sistema giuridico rispettoso della libertà politica, religiosa e di pensiero. Inoltre, deve segnalarsi che quasi metà dell'Europa ha stipulato con rinnovato un concordato con la Santa Sede o delle intese con altre confessioni religiose. Infine, la seconda modernità vede riannodarsi i fili del confronto e dello scontro fra le tre religioni del libro nella terra in cui sono germinate. Nel dopoguerra è nato lo Stato di Israele, che rappresenta la patria per tutti quegli ebrei che vogliono accedervi o tornarvi e la legge delle ritorno del 1950 agevola l'immigrazione ebraica e costituisce lo strumento per il consolidamento etnico ebraico dello Stato. Il rifiuto dello Stato ebraico da parte araba e la mancata realizzazione dello Stato palestinese, secondo le decisioni dell'Onu del 1947, provocano un conflitto permanente tra Israele e mondo arabo che è tra le cause non secondarie e l'insorgenza del fondamentalismo islamico. D'altra parte, il mondo islamico è da sempre assoggettato a dittature feroci che impediscono un'evoluzione democratica della società. L'incontro tra dittatura del fondamentalismo si è tradotto in una miscela da cui è derivata la pratica terrorista che ha colpito a lungo Israele, ma che ha colpito anche gli Stati Uniti, la Spagna nel 2004 e l'Inghilterra nel 2005. Dunque la piena riconciliazione tra le grandi tradizioni cristiane e tra le religioni del libro nelle regioni mediterranee costituisce ancora oggi un'utopia. CAPITOLO 2: LAICITA’ E LIBERTA’ RELIGIOSA PARAGRAFO 1: COSTITUZIONE E LAICITÀ DELLO STATO Ci sono tre direttrici fondamentali e gerarchicamente ordinate che caratterizzano la laicità del nostro ordinamento. • Laicità dello Stato e libertà religiosa: esse sono state affermate dagli artt. 2, 3,8.19 della costituzione. Questi artt. affermano il diritto di libertà e uguaglianza di cittadini in materia religiosa. Il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa ( articolo 19), l'uguaglianza di cittadini senza distinzione di religione (articolo 3), e il riconoscimento dei diritti inviolabili dell'uomo (articolo 2) costituiscono i capisaldi che lo Stato laico che esclude qualsiasi tipo di limitazione, discriminazione o condizionamento di cittadini sotto il profilo religioso. Inoltre, l'articolo 8 che afferma che " tutte le confessioni sono ugualmente libere di fronte alla legge " esclude che lo Stato sia in qualche modo interessato a favorire l' espansionismo di una confessione rispetto alle altre. Quindi laicità è assunto a livello costituzionale nel significato di neutralità dello Stato rispetto alle molteplici espressioni della fenomenologia religiosa. • Carattere sociale e valore storico della religione e delle confessioni religiose:lo Stato riconosce le formazioni sociali, tra le quali si annoverano le confessioni religiose, nelle quali si svolge la personalità dell'uomo e si impegna a rimuovere gli ostacoli che limitandola libertà e l'uguaglianza anche religiosa di cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (articolo 3). Inoltre sancisce il diritto di organizzarsi di tutte le confessioni religiose e si propone di entrare in rapporto con esse attraverso accordi (Concordato o intese) che disciplinano le relazioni ecclesiastiche. Lo Stato, dunque, vede la libertà religiosa come libertà positiva, nel senso che ritiene necessario intervenire per agevolare e favorire l’effettività del diritto di libertà religiosa da parte di cittadini e delle istituzioni confessionali. Il carattere sociale della religione provoca una divaricazione nel sistema delle fonti del diritto ecclesiastico, che vengono distinte tra: - fonti unilaterali: il processo di formazione è tutto interno all'ordinamento. - Fonti bilaterali: il processo di formazione prevede la partecipazione delle singole confessioni per la

stipulazione del Concordato e delle intese. • Rapporto pubblico-privato: nella tradizione europea ottocentesca, lo Stato era il principale soggetto attivo e gestore dei servizi pubblici essenziali come la scuola, l'educazione e l'assistenza, mentre le iniziative private in campo scolastico, educativo e assistenziale sono rimaste fortemente minoritarie nella costituzione e riconosce sempre il ruolo di privati con qualche remora, anteponendo sempre le funzioni

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sociali dello Stato e degli enti pubblici territoriali. Tuttavia, la dottrina ha cercato di attenuare lo squilibrio tra pubblico e privato cercando di far guardare con favore la dimensione privatistica. In conclusione si può dire che il sistema di relazioni tra Stato e Chiesa che si era radicato nell'ordinamento italiano si fonda su tre principi fondamentali: la piena neutralità e laicità dello Stato in materia religiosa che garantisce il diritto di libertà e d'uguaglianza religiosa a tutti cittadini; il riconoscimento del carattere sociale della religione e la scelta del mondo pattizio per regolare i rapporti istituzionali tra Stato di chiese; il mutamento del rapporto tra pubblico e privato attraverso un più ampio riconoscimento dei diritti e delle agevolazioni per le iniziative e le strutture privatistiche. Da ciò deriva la qualificazione di Stato laico sociale. PARAGRAFO 2: STATO LAICO SOCIALE E FONTI DEL DIRITTO ECCLESIASTICO La qualificazione dello Stato in materia religiosa condiziona le fonti del diritto ecclesiastico interno. Lo Stato separatista evita di instaurare rapporti con le chiese e le sottopone ad un diritto comune che considera le confessioni religiose in modo paritario. Solitamente nei paesi cattolici c'è una commistione di fonti unilaterali statali e di fonti di derivazione bilaterale. Queste ultime sono di tipo concordatario e il loro contenuti sono tali da imprimere un forte connotato confessioni sta all'ordinamento. Per gran parte del XX secolo Concordato è sinonimo di neoconfessionismo e i paesi concordatari sono quelli che dismettono la qualificazione laica dello Stato. In seguito in quasi tutti i paesi concordatari lo Stato ha riacquisito un carattere laico e pluralista, in conseguenza della fine del totalitarismo fascista e della rinascenza dello Stato democratico. Tuttavia anziché provocare l'abolizione delle fonti di derivazione bilaterale e quindi dei concordati, la rinascenza democratica ha indotto ad estendere il metodo della bilateralità anche ad altri culti acattolici. Di conseguenza, questi ordinamenti hanno un sistema di fonti di diritto ecclesiastico particolarmente complesso: un tipico esempio di ordinamento particolarmente complicato dal punto di vista delle fonti del diritto ecclesiastico è quello italiano. La pluralità delle fonti è caratterizzata da una forte ripetitività, che si riscontra soprattutto nelle norme di diritto internazionale e nelle norme di derivazione bilaterale. Il fenomeno della ripetitività ha una sua ragione che si rinviene nell'esperienza autoritaria e costituzionale che i era arrivata a negare ad alcuni culti la libertà religiosa e a privilegiare la confessione cattolica. Pertanto, quando il regime costituzionale si è proceduto alla riforma dei Patti Lateranensi, e alla stipulazione delle intese con i culti acattolici, ciascuna confessione, per paura che un giorno la Costituzione potesse venir meno, ha chiesto ed ottenuto di ripetere nel rispettivo testo pattizio diritti di libertà e garanzie di autonomia già contenuti nella costituzione o nelle fonti di diritto internazionale. FONTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE: v convenzioni v trattati v dichiarazioni. Le fonti di diritto internazionale sempre più spesso dettano principi e disposizioni a tutela dei diritti umani, in particolare della libertà religiosa, dei diritti delle minoranze, delle diversità e tenute e culturali, che l'uguaglianza tra uomo e donna. Una fonte di diritto internazionale molto importante è la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 che prevede all'articolo 18 che ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di

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religione e questo diritto include la libertà di cambiare religione o credo, la libertà di manifestare la propria religione o credo nell'insegnamento, nel culto e nell'osservanza diritti. Quest'ampia individuazione del diritto di libertà di coscienza viene applicata anche all'educazione dei fanciulli. FONTI DI DIRITTO INTERNO: v fonti unilaterali statali • fonti unilaterali costituzionali. • Fonti ordinarie: - fonti ordinarie generiche: sono fonti che disciplinano materie più ampia e diverse rispetto a quella ecclesiastica, ma contengono norme direttamente o indirettamente attinenti a qualche aspetto religioso o confessionale. Tra le principali fonti ordinarie si ricordano i codici di merito e di procedura che regolano gli edifici di culto, il segreto dei ministri di culto, i delitti contro la religione, il divorzio, i diversi tipi di obiezione di coscienza... - fonti ordinarie specifiche: disciplinano direttamente alcune materie ecclesiastiche o confessionali. La principale fonte ordinaria specifica è la legge 1159/ 29 sull'esercizio dei culti ammessi nello stato, che disciplinale confessioni diverse da quella cattolica • legislazione regionale: ha agito principalmente sui temi dell'assistenza, dell'istruzione e dell'edilizia di culto. v Fonti di derivazione bilaterale : sono i patti lateranensi e le intese: gli accordi con le confessioni religiose dovrebbero disciplinare le relazioni istituzionali tra Stato e Chiesa senza invadere settori già regolati a livello costituzionale. • Patti Lateranensi: sono stati firmati L' 11 Febbraio 1929 e constano del Trattato del Laterano, che risolve la questione romana in via definitiva, e del Concordato, che regola la condizione della Chiesa cattolica in Italia. I patti sono stati riformati nel 1984 e tra le varie novità è stato abrogato l'articolo 1 che definiva il carattere confessioni sta dello Stato. Inoltre è stato integralmente riscritto il Concordato. A seguito di tale riforma sono stati elaborati dei testi pattizi successivi che danno attuazione a principi e a norme del Concordato in specifiche materie. Il più importante testo pattizio è la legge 222/ 85, che contiene disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici e per il sostentamento del clero . • intese con i culti acattolici: è un'importante settore della legislazione bilaterale, elaborate e stipulate a partire dal 1984, in attuazione dell'articolo 8 della costituzione e approvate con relativo disegno di legge.. Queste affiancano il Concordato con la Chiesa cattolica e servono per disciplinare i culti di minoranza e a realizzare una condizione quanto più possibile paritaria per tutte le confessioni religiose. PARAGRAFO 3: LIBERTÀ RELIGIOSA E PROCESSI DI INTEGRAZIONE EUROPEA I processi di integrazione europea sono due: - il vero e proprio processo di unificazione dell'Europa, cui corrispondono gli organismi comunitari e che ha nella corte di giustizia di Lussemburgo il massimo organo giurisdizionale. - l'integrazione che ha come punto di riferimento la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e che ha nella corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo il massimo organo giurisdizionale. Un principio generale molto importante in ambito europeo è che le relazioni tra Stato e chiese e la disciplina delle materie ecclesiastiche sono di esclusiva competenza dei singoli stati membri e che l'unione non può intervenire sulle rispettive legislazioni nazionali. Questo principio è confermato anche dal fatto che la convenzione europea del 1950 nel momento stesso in cui enuncia il diritto di libertà religiosa non sfiora il tema delle relazioni che possono stabilirsi tra Stato e chiese o confessioni religiose nei diversi ordinamenti. Ciò non toglie, però, che sia gli organismi comunitari che quelli collegati al consiglio d'Europa, siano sempre più capaci di incidere sulla legislazione ecclesiastica dei singoli stati. Esistono già oggi i principi di libertà religiosa e di non discriminazione nel diritto comunitario.

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Di particolare importanza l'articolo 9 della convenzione europea che stabilisce la libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di cambiare religione, di manifestare la propria religione o convinzione e che stabilisce anche che la libertà di manifestare la propria religione non può essere oggetto di restrizioni tranne quelle previste dalla legge. Anche Direttive, regolamenti e atti politici (in particolare le risoluzioni del parlamento europeo in tema di tutela delle minoranze religiose, della libertà di istruzione...) possono interferire con la legislazione ecclesiastica dei singoli stati. Dal punto di vista giurisdizionale, la corte di giustizia di Lussemburgo ha la competenza a valutare la congruità dell'ordinamento comunitario rispetto alla tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa cioè giudica dei ricorsi presentati da chi si sente leso da normative o atti comunitari o da chi lamenta una lesione delle normative comunitarie da parte della legislazione nazionale. Diversa e più ampia e la competenza della corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che giudica essenzialmente sulla base della convenzione del 1950, e alla quale possono ricorrere tutti i cittadini che abbiano esperito i rimedi giurisdizionali nei rispettivi ordinamenti nazionali. Tra l'altro articolo 9 della convenzione del 1950 prevede tra le restrizioni possibili per il diritto di libertà religiosa quelle della sicurezza pubblica, della protezione dell'ordine pubblico, della salute e della morale pubblica o per la protezione di diritti delle libertà altrui. Si è sviluppata cioè una notevole gamma di valori o interessi concorrenziali che agevolano una giurisprudenza restrittiva in presenza di situazioni nazionali specifiche. PARAGRAFO 4: LIBERTÀ RELIGIOSA È LIBERTÀ DI COSCIENZA DELL'ORDINAMENTO ITALIANO Il diritto di libertà religiosa è molto importante nell'ordinamento costituzionale essendo tutelato in tutte le sue manifestazioni ed essendo rapportato al principio di uguaglianza dei cittadini. Esso si trova formulato: • articolo 3 costituzione, che garantisce l'uguaglianza e la pari dignità sociale dei cittadini a prescindere dalla religione di ciascuno. • Articolo 8, che afferma l'uguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge. • Articolo 19, che dichiara che tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Queste formulazioni costituiscono una reazione ai limiti del regime autoritario, che dava la preminenza alla religione cattolica, divenuta la sola religione dello Stato e limitandola libertà delle confessioni. Per evitare il ripetersi di queste misure repressive, la Costituzione ha escluso che possa esercitarsi un controllo di merito sui contenuti della fede religiosa professata dai cittadini e sui principi dottrinali di una confessione religiosa, che prevede solo il limite del buon costume nei confronti dei diritti. Ciò significa che lo Stato italiano non può utilizzare il principio di ordine pubblico o di buon costume per sindacare preventivamente il diritto di libertà per i cittadini o per una confessione religiosa predisponendo allo scopo leggi speciali. Problema: la libertà religiosa deve intendersi anche come libertà di coscienza, comprensiva cioè delle opinioni e degli orientamenti non religiosi? Interpretazione prevalente è un'interpretazione restrittiva del diritto di libertà religiosa, in quanto afferma che le norme costituzionali si limitino a tutelare la fede religiosa in quanto tale. In altri termini il mancato richiamo all'ateismo comporterebbe che l'uguaglianza dei cittadini è limitata a quanti professano un determinato credo, qualunque esso sia. Per quanto riguarda l'ateismo, se questo si concreta in un semplice orientamento della coscienza individuale, è irrilevante è lecito, tranne quando diventa antireligioso ed entra in conflitto con l'ordinamento. Attualmente questa impostazione non è più seguita: è stata infatti recuperata

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interpretazione di Francesco Ruffini per il quale le libertà religiosa è la facoltà spettante all'individuo di credere a quello che più gli piace o di non credere che più gli piace a nulla. Inoltre il fenomeno ateistico finisce sempre per risultare strettamente collegato col fenomeno religioso. Sul piano normativo questa tesi dell'interdipendenza tra religione, agnosticismo e ateismo è stata acquisita e la materia è regolata da principi che tendono a tutelare in maniera paritaria le diverse risposte che gli uomini danno al problema religioso. Anche a livello europeo si va affermandola parità tra ateismo e religione e anche nel nostro diritto interno, molti settori dell'ordinamento si sono evoluti in modo tale da porre su un piano di totale parità le opinioni religiose e opinioni non religiose, anche se la normativa costituzionale non sancisce l'omologazione delle organizzazioni filosofiche alle confessioni religiose. Un altro problema relativo all'ateismo è se questo possa ambire ad un trattamento uguale a quello fatto alle confessioni religiose, anche quando per sua natura non potrebbe ambire a certi riconoscimenti. Secondo la dottrina prevalente questo non sarebbe possibile, perché le confessioni religiose hanno diritti, dei simboli e delle esigenze di rispetto e di protezione da offese avversarie, che invece nessuna tendenza o scuola filosofica postula. Per questo è sufficiente la libertà di espressione, di propaganda, di stampa e di insegnamento per tutelare l'ateismo, mentre le confessioni religiose hanno bisogno di altre protezioni. PARAGRAFO 5: LIBERTÀ DI CULTO, LIMITI, AGEVOLAZIONI La libertà di culto consiste nella libertà di celebrare liberamente, in privato e in pubblico, i riti della propria confessione ed è un diritto fondamentale connesso alla libertà religiosa. La celebrazione del rito esprime l'esigenza di entrare in rapporto con la trascendenza e al tempo stesso riflette il bisogno di manifestare la propria professione di fede (è difficile trovare una confessione che non prevede celebrazione pubbliche di riti). Inoltre, poco dopo il radicamento in un territorio, ogni confessione tende a costruire i suoi primi edifici di culto perché diventino il luogo di raduno dei fedeli e insieme il simbolo della propria presenza nella società. L'ordinamento italiano garantisce attualmente la libertà di culto nel modo più ampio: infatti oltre a sottoporre i riti all'esclusivo limite del buon costume, garantisce una serie di diritti, agevolazioni giuridiche e finanziarie, tesi a favorire l'esercizio del culto per qualsiasi confessione religiosa che abbia un minimo di radicamento nel territorio. Buon costume: per quanto riguarda il limite del buon costume previsto dall'articolo 19 della costituzione, si ritiene che esso non s'identifichi soltanto con la morale sessuale, ma comprende anche il rispetto per la persona umana nei suoi cosiddetti diritti personalissimi è il rispetto per gli organi, le istituzioni e gli ordinamenti pubblici statali, nonché nel rispetto di quelle leggi che assicurano la libera e pacifica convivenza. In ogni caso, a prescindere dalle interpretazioni del buon costume, nella concreta celebrazione del rito, non ci possono essere manifestazioni e atti contrari al pudore sessuale, manifestazioni ingiuriose nei confronti di persone o istituzioni statali, pratiche aberranti come il sacrificio di animali o pratiche dirette a privare i partecipanti della loro piene libera coscienza. In questi casi l'intervento repressivo sarà lecito e commisurata alle specifiche manifestazioni e ai singoli atti. Oltre al limite del buon costume, espressamente previsto dall'articolo 19 della costituzione, ci sono anche altre norme e altri limiti che riguardano alle modalità e i tempi: tra gli altri limiti troviamo il buon senso, la tutela della quiete pubblica, della proprietà pubblica e privata che proibiscono comportamenti anomali (non è ammissibile per esempio un'assemblea di fedeli in piena notte per celebrare un rito rumoroso). Il rispetto di tali norme è necessario anche quando la celebrazione di riti cerimonie collettive si è svolta all'interno di case private. In ogni caso, ogni volta che un Autorità confessionale vuole fare una cerimonia religiosa al di fuori dei propri templi (per esempio una processione) ne deve dare previa informativa alle autorità competenti per avere le debite autorizzazioni e per concordare tragitti e tempi della cerimonia, affinché siano rispondenti

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alle esigenze urbanistiche e di viabilità. Questi Oneri, non costituiscono limiti all'esercizio della libertà di culto, ma sono condizioni per il corretto funzionamento del sistema. Garanzie per l'esercizio del culto: l'ordinamento italiano favorisce in tanti modi l'esercizio del culto. - punisce chi impedisce o turba una funzione religiosa quando questa si è svolta in un luogo destinato al culto o con l'assistenza di un ministro di culto. - Prevede la possibilità di comuni e consorzi di comuni a provvedere con specifici finanziamenti alla conservazione degli edifici di culto. - È stato esteso il finanziamento per la costruzione, il completamento, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria degli edifici di culto e relativi immobili di pertinenza. Poiché tuttavia alcune leggi regionali limitavano l'intervento finanziario a favore di quelle confessioni che avessero stipulato con lo Stato le intese, è intervenuta la corte costituzionale, che ha reso esplicito il fondamento costituzionale del sostegno finanziario per gli edifici di culto, affermando che la realizzazione dei servizi religiosi ha per effetto di rendere concretamente possibile o di facilitare l'attività di culto. - Una normativa di derivazione bilaterale tutela specificamente gli edifici cattolici aperti al culto che non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competenti autorità ecclesiastica. Stabilisce anche che, salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare per l'esercizio delle sue funzioni negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all'autorità ecclesiastica. PARAGRAFO 6: LIBERTÀ DI PROPAGANDA E PROSELITISMO. LA LIBERA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA. Un altro essenziale diritto connesso alla libertà religiosa è la libertà di propaganda, ovvero cercare di convincere gli altri ad aderirvi, facendo proselitismo. Si professa e si propaga una dottrina religiosa per testimoniare la propria fede e per attirare nuovi consensi. Per definire la libertà di proselitismo, la costituzione italiana usa il termine " propaganda " e ciò per una ragione storica, per reagire alla situazione creatasi in regime pre costituzionale, quando si venne a negare il diritto di propaganda ai culti non cattolici. In realtà, problemi particolari nell'Italia unitaria non sono mai sorti sia perché c'era Tolleranza della popolazione verso gli altri culti e posizioni confessionali o ideologiche e sia perché la compattezza cattolica del paese riduceva al minimo le potenzialità proselitiche di altri culti. Tuttavia, negli anni trenta del secolo scorso si presentò un caso emblematico che fece emergere il sottofondo culturale di intolleranza che c'era la base dell'ordinamento. Un pastore protestante a Roma vendeva dei testi di propaganda religiosa, accompagnandoli con proprie considerazioni sul cristianesimo e sulla riforma. Un gesuita di passaggio reagì impedendogli di proseguire nella vendita, lo costrinse a restituire il prezzo e compratori e a bruciare pubblicamente i testi. La violenza esercitata dal gesuita sul pastore fu ammessa dal protagonista dell'episodio e venne condannato in primo grado. Il gesuita invocò a giustificazione del proprio comportamento il fatto che il pastore protestante stesse svolgendo un'attività antigiuridica, in quanto la legislazione italiana non ammetteva la propaganda religiosa per i culti non cattolici. La corte d'appello di Roma dovette operare, per assolvere il gesuita, una singolare distinzione tra discussione e propaganda, ammettendo la prima e negando la seconda. Per la corte d'appello, nelle discussioni si espongono le ragioni favorevoli e contrarie di un dato argomento per giungere ad una conclusione e non si fa opera di propaganda, mentre la propaganda include sempre il concetto di propagare la religione propria presso chi non ne ha alcuna o ne segue una diversa. Questa propaganda per i culti acattolici non era ammessa, perché la libertà religiosa dei culti ammessi nello stato c'era finché non si esplicava con atti è manifestazioni esterne. Per questo motivo, nella costituzione al posto del concetto di discussione che non era evidentemente sufficiente per garantire le attività missionaria di altri culti, si è preferito utilizzare il termine propaganda, che elimina ogni possibile equivoco.

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Tuttavia, il problema della propaganda e del proselitismo religiosi non si esaurisce soltanto per quanto riguarda le iniziative individuali o di gruppo e per la loro liceità. Infatti, la religione di maggioranza ha avuto per un lungo periodo nella nostra storia nazionale un dominio pressoché incontrastato e si è valsa di un sostegno finanziario pubblico pressoché esclusivo che accresceva la sua capacità espansiva e di condizionamento. Di fronte a questa posizione della religione di stato anche la tutela della libertà di propaganda ha rivelato tutti i suoi limiti. Per questo motivo è maturata l'esigenza di garantire il momento formativo e conoscitivo della coscienza individuale. Diritto alla libera formazione della propria coscienza vuol dire: • vivere in uno stato effettivamente neutrale che non si faccia portatore di un messaggio ideologico o religioso particolare avvertibile dall'individuo o dalla collettività come preferibile o doveroso. • Comporta un vero e proprio diritto all'informazione esercitabili in quelle sedi, come scuola, editoria e radiotelevisione, dove più forte è la trasmissione delle notizie, dei valori e degli orientamenti e ideali. • Implica una effettiva uguale libertà delle confessioni religiose, affinché possano diffondere il proprio messaggio religioso e fruire del sostegno economico e finanziario. Un obiettivo preliminare è stato quello di cancellare il carattere confessionista dello Stato, abrogando l'articolo 1 del Trattato del Laterano nel 1984. In realtà, già in precedenza c'era stata una vasta serie di riforme in vari campi: • nel 75, è stato riformato il sistema radiotelevisivo, regolamentando il diritto di accesso delle confessioni religiose alla radio e alla televisione pubblica. • Nel '90 è stato affermato che il compito dello Stato è garantire il pluralismo, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose. • nel settore scolastico è stato cancellato il cosiddetto insegnamento cattolico diffuso nella scuola primaria, che di fatto imponeva a chiunque un apprendimento condizionato dei principi e della tradizione del cattolicesimo. La riforma concordataria del 1984 ha cancellato il carattere quasi obbligatorio dell'insegnamento religioso cattolico e ha previsto che i ragazzi possano scegliere se avvalersene o meno. Simbologia pubblica e sociale: di particolare importanza questo tema che in materia confessionale può essere in grado di influenzare e condizionare con sottile e subliminale opera di propagandala coscienza individuale. Delicato il problema dell'affissione del crocifisso negli uffici pubblici e nelle scuole. Il Consiglio di Stato ha elaborato la tesi della universalità simbolica del crocifisso, in quanto questo rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana come valore universale e indipendente da una specifica confessione religiosa. PARAGRAFO 7: IUS POENITENDI, APPARTENENZA CONFESSIONALE, TUTELA DELLA PRIVACY. Ius Poenitendi: è il diritto, parte integrante del diritto di libertà religiosa, di cambiare appartenenza confessionale, credenza ed opinione in materia religiosa. Esso è il diritto di ricredersi e cambiare orientamento (è previsto anche dall'articolo 9 della convenzione europea per i diritti dell'uomo del 1950 e dalla carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea). Esso è in un certo senso il corrispettivo del diritto di propaganda e di proselitismo, in quanto avrebbe poco senso garantire la diffusione di diversi messaggi religiosi se si negasse ai singoli la possibilità di farsi convincere e quindi di mutare opinione e orientamento. Nell'ordinamento italiano, il diritto di cambiare appartenenza confessionale e opinioni religiose, è conseguenza diretta della neutralità dello Stato e della formula dell'articolo 19 della costituzione.

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Da questo diritto derivano due conseguenze particolarmente importanti: la tendenziale irrilevanza giuridica della appartenenza confessionale e delle convinzioni religiose di cittadini in tutti i momenti della vita pubblica, il diritto alla riservatezza sulla medesima appartenenza e sulle proprie convinzioni. Per l'ordinamento italiano, le opinioni e le scelte dei cittadini in materia religiosa sono riservate e irrilevanti: di conseguenza ciascuno può cambiarle in ogni momento senza subire alcuna conseguenza. Applicazione della libertà religiosa e dello ius poenitendi si hanno per esempio nel matrimonio: non viene richiesto, infatti, per la celebrazione del matrimonio in forma religiosa, la comune appartenenza confessionale dei nubendi che celebrano il matrimonio in questa forma. Inoltre, ad ulteriore tutela di questo diritto, la riforma concordataria del 1984 ha previsto la possibilità che quanti intendono chiedere la nullità del matrimonio celebrato secondo il rito cattolico possano adire i tribunali civili anziché quegli ecclesiastici. Un'altra applicazione della tutela di questo diritto si ha nel sistema di finanziamento agevolato delle chiese: infatti i cittadini possono versare oblazioni volontarie a favore di alcune confessioni religiose, deducendone poi l'importo dalla dichiarazione annuale di redditi. Prevede anche che i contribuenti possano con la propria scelta annuale contribuire a determinare la ripartizione tra determinate confessioni dell'otto per 1000 del gettito Irpef complessivo. L'ordinamento italiano non connette alcuna scelta automatica all'appartenenza confessionale dei contribuenti, nel senso che questi potranno versare i oblazioni volontarie a qualunque confessioni ritengano opportuno e potranno operare la scelta dell'otto per 1000 a favore di qualsiasi confessione, anche se diversa dalla Chiesa di appartenenza. Tutela della privacy: la riservatezza delle convinzioni religiose è tutelata dall'ordinamento italiano nel senso che non possono imporsi comportamenti Confessionali ai cittadini e non possono farsi indagini sui loro orientamenti in materia religiosa. Lo Stato garantisce contro ogni potenziale discriminazione ad opera delle autorità pubbliche o di determinati soggetti privati nei confronti degli orientamenti religiosi dei singoli e dei loro cambiamenti. Impone anche il divieto di effettuare indagini sulle opinioni religiose di determinati soggetti. Il diritto alla riservatezza ha trovato una più ampia tutela con il nuovo decreto legislativo 196/ 2003 che subordina il trattamento dei dati personali dei dati sensibili (comprensivi anche delle convinzioni religiose) al consenso dell'interessato e alla previa autorizzazione del garante. PARAGRAFO 8: LIBERTÀ RELIGIOSA, MATRIMONIO, FAMIGLIA. LA LIBERTÀ DI COSCIENZA DEI MINORI. La concezione positiva della libertà religiosa ha progressivamente convinto il legislatore ad intervenire per rimuovere gli ostacoli che possono frapporsi all'esercizio del diritto di libertà di coscienza o all'adempimento di comportamenti che il singolo sente come doverosamente conseguenti ai propri convincimenti religiosi. Matrimonio: • è riconosciuto civilmente il matrimonio celebrato in forma religiosa con l'osservanza di determinati adempimenti. • È assolutamente libera la celebrazione puramente religiosa di un matrimonio, senza che ne conseguono gli effetti civili. In tal caso il matrimonio sarà del tutto irrilevante per la legge dello Stato. • È prevista la doppia concorrente giurisdizione, civile e canonica, per le cause di nullità dei matrimoni concordatari. Questo perché si vuol far fronte all'eventualità che il cambiamento di opinioni religiose di uno dei due coniugi o di entrambi non costringe le parti a sottoporsi al giudizio di un tribunale confessionale di qui non si riconosce l'autorità.

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Un problema particolare si ha nel caso in cui la modifica di opinioni o scelte religiose da parte di un coniuge o di entrambi finisca con il provocare una crisi matrimoniale. In linea di principio, eventi di questo genere non possono indurre a riconoscere l'addebito della separazione proprio perché il mutamento di appartenenza confessionale e di opinioni religiose è parte integrante del diritto di libertà religiosa che costituisce legittimo esercizio di tale diritto. All’addebito si potrà giungere soltanto se il mutamento ha come conseguenza l'inadempimento dei doveri coniugali e familiari tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da arrecare grave pregiudizio per la prole. Educazione dei figli: è diritto-dovere dei coniugi provvedere all'educazione della prole, ma con il tempo si è ridotta notevolmente la potestà assoluta che avevano un tempo i genitori nell'imporre ai figli le proprie scelte o nel compiere al loro posto le scelte in materia confessionale. Al minore è riconosciuta la libertà di pensiero, di coscienza e di religione e i genitori devono guidare i figli nell'esercizio del loro diritto in maniera che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità. Inoltre i genitori hanno diritto di educare la prole in conformità alla propria fede, ma le pratiche della religione non devono recare pregiudizio alla salute fisica o mentale della personalità del minore. Nell'ordinamento italiano sono previsti anche dei limiti alla potestà dei genitori: • i coniugi hanno l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, ma tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. • Il giudice che pronunciala separazione dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Dunque, l'evoluzione normativa va nel senso di riconoscere sempre più il diritto del minore all'autodeterminazione e una correlativa riduzione della potestà dei genitori nell'opera educativa. Quanto all'affidamento della prole in presenza di crisi coniugali, ovviamente non sono accettabili provvedimenti presi in ragione della fede religiosa o dell'ateismo di uno dei coniugi. Esso va stabilito in base all'esclusivo interesse del minore e all'esigenza di mantenere la continuità del modello educativo per evitare danni nell'equilibrio della personalità del minore. La diversità di orientamento in materia religiosa dei coniugi può comportare il ricorso al giudice, ma non è detto che la scelta del giudice sia netta e univoca, anche perché la diversità di orientamento dei genitori può essere vista come un elemento utile nell'ambito del progetto educativo della prole, nel senso che porrebbe i figli nella condizione di maturare autonomamente e consapevolmente una scelta conclusiva tra diverse opzioni, ma può anche provocare insicurezza in personalità bisognose di una visione unitaria. Pertanto l'intervento e la valutazione del giudice deve fondarsi sull'esame della situazione concreta e deve assumere l'interesse del minore come parametro da utilizzare in rapporto alla specifica personalità coinvolta nel conflitto coniugale. PARAGRAFO 9: LIBERTÀ RELIGIOSA, SCUOLA PUBBLICA, ISTITUZIONI DI TENDENZA. La legislazione scolastica italiana è rimasta ferma per buona parte del 900 all'impostazione gentiliana del 1923 e a quella concordataria del 1929. È stato Giovanni Gentile a proporre di riconoscere alla religione una funzione morale e conoscitiva insostituibile nella prima fase di formazione. Nell'ottica di Gentile, l'insegnamento religioso non avrebbe dovuto permanere nelle scuole superiori, ma il Concordato del 1929 estese l'insegnamento religioso anche alle altre scuole rendendolo di fatto obbligatorio. È infatti possibile chiedere l'esonero ma la scelta di non seguire l'insegnamento cattolico espone i giovani ad un isolamento scolastico da scoraggiarla un po' dovunque. La prima svolta nei confronti dell'impostazione Gentiliana si ha con i nuovi programmi della scuola elementare nel 1985, che cancellano l'insegnamento religioso diffuso nelle scuole elementari. La riforma più incisiva, però, è quella del Concordato del 1984 che collega l'insegnamento religioso al principio della libera adesione degli utenti della scuola. Anche nelle Intese con le altre confessioni religiose, lo Stato riconosce il diritto delle confessioni valdese, Pentecostale, avventista, battista e Luterana di rispondere alle

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eventuali richieste provenienti dagli alunni, delle loro famiglie o dagli organi scolastici riguardo lo studio del fatto religioso e delle sue implicazioni. Tuttavia, l'Italia resta un paese nel quale la confessione cattolica raccoglie la grande maggioranza di consensi e di conseguenza la normativa concordataria nei fatti ha mantenuto un insegnamento cattolico seguito da forti percentuali di studenti ed ha posto il problema che gli studenti possono sentirsi condizionati dall'ambiente scolastico qualora quanti non se ne avvalgano si ritrovino in una condizione di inferiorità e finiscano per aderirvi. Per questa ragione sono state introdotte altre disposizioni per rendere effettiva la libertà religiosa degli studenti: • è stato riconosciuto il diritto dello studente che abbia compiuto 14 anni di esercitare personalmente il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. • La scelta deve essere effettuata ogni anno all'atto dell'iscrizione. Lo Stato è obbligato ad assicurare l'insegnamento di religione cattolica, mentre per gli studenti e per le loro famiglie esso è facoltativo: solo l'esercizio del diritto di avvalersene crea l'obbligo scolastico di frequentarlo, mentre coloro che non si avvalgono dell'insegnamento cattolico possono scegliere liberamente se svolgere qualche attività nell'ambito scolastico o di assentarsi dalla scuola con il consenso della famiglia. Problemi importanti sorgono per quanto riguarda le istituzioni scolastiche confessionali. Essendola scuola confessionale espressioni tipica della libertà religiosa collettiva, in quanto diretta a fornire una formazione orientata in senso religioso a quanti lo desiderano, è logico che essa chieda ai docenti di rispettare l'orientamento che la ispira. In questo caso i docenti subiscono una compressione del diritto di libertà per tutta la durata del rapporto che li lega l'istituzione scolastica, ma si tratta di una compressione volontaria e non discriminante (giacché un ateo convinto non chiederà mai insegnare in una scuola cattolica). Un altro problema che si pone riguarda il grado di coerenza che deve esserci tra il comportamento dell'interessato e l'orientamento della scuola confessionale e ci si chiede che cosa accade quando in corso di rapporto il docente, o l'operatore, cambi orientamento religioso. In questo caso la religione o le convinzioni personali rappresentano un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Pertanto le chiese o le altre organizzazioni pubbliche hanno il diritto di esigere dalle persone che sono alle loro dipendenze un atteggiamento di buona fede e di lealtà nei confronti dell'etica dell'organizzazione. A questo proposito, l'università cattolica del sacro cuore stabilisce che le nomine dei docenti dell'università cattolica del sacro cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica. Tale gradimento può essere ovviamente revocato (anche se parte della dottrina non è d'accordo) in quanto sarebbe incongruo affermare che l'esigenza di conformità dei docenti all'orientamento ideologico dell'università cessi di esistere subito dopo la nomina dei docenti. Tuttavia, nemmeno questa posizione può essere estremizzata: è certo che la libertà della scuola prevale sempre e comunque sugli altri diritti individuali, ma occorre che esista una comprovata incompatibilità tra l'insegnamento del docente e l'indirizzo religioso dell'università in questione. Generalmente, i contratti di lavoro collettivi contengono clausole che richiedono la coerenza tra l'insegnamento del docente e la proposta formativa dell'istituto, ma non ci possono essere clausole che richiedano la compatibilità a situazioni che riguardano la vita privata degli interessati. Per quanto riguarda gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche, questi devono essere riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica e nominati dall'autorità scolastica. In questo caso, ovviamente è richiesta in linea di principio la coerenza confessionale dell'insegnamento Impartito. PARAGRAFO 10: LIBERTÀ RELIGIOSA E RAPPORTI DI LAVORO

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L'ambiente di lavoro potrebbe sembrare in linea di massima immune da influenze confessionali. In realtà, non soltanto esistono rapporti di lavoro che per loro natura sono geneticamente condizionati dall'elemento religioso o ideologico, ma anche in ambienti di lavoro che dovrebbero considerarsi neutrali dal punto di vista ideologico possono presentarsi situazioni che richiedono l'attenzione del legislatore per tutelare aspetti specifici di libertà religiosa. Lo statuto dei lavoratori vieta lo svolgimento di indagini su gli orientamenti religiosi del lavoratore, mentre altre leggi stabiliscono che il rapporto di lavoro non deve impedire l'assolvimento di determinate incombenze religiose che l'interessato avverte come doverosa. Un'applicazione generale di questo principio si ritrovano nelle disposizioni pattizie che riconoscono, per alcune confessioni religiose, il riposo settimanale in giorni diversi da quello domenicale in uso tradizionalmente nei paesi occidentali. Ovviamente le ore lavorative non prestate il sabato sono recuperatela domenica o in altri giorni lavorativi senza diritto ad alcun compenso straordinario. Per esempio, l'intesa ebraica prevede che gli ebrei appartenenti alle forze armate osservino le prescrizioni ebraiche in materia alimentare (divieto di mangiare carne di suino o carne macellata in modo diverso dalla previsione biblica o di mangiare determinati frutti di mare). Le prescrizioni alimentari sono molto importanti anche per i musulmani, che tra l'altro hanno il dovere della preghiera in determinate ore nel corso della giornata secondo il rito di rivolgimento in direzione della città sacra del profeta, devono adottare un determinato orario per il mese del digiuno della ramadan, le donne devono usare un determinato abbigliamento... in alcune aree territoriali dove gli islamici costituiscono una comunità numericamente molto forte e forniscono ad aziende ed imprese manodopera in quantità rilevante, molto spesso le esigenze più sentite sono disciplinate con l'inserimento di specifiche clausole nei contratti di lavoro. Sacerdoti cattolici: i sacerdoti cattolici ricevono una remunerazione finché persiste la prestazione di tale servizio. La legislazione pattizia ha chiarito che il servizio a favore della diocesi non integra un rapporto di lavoro, ma ha anche affermato che sacerdoti vantano un vero diritto soggettivo alla remunerazione per evitare che i soggetti interessati siano sottoposti all'arbitrio dell'autorità ecclesiastica nel corrispondere tale remunerazione. La legge 222/ 85 ha preso in considerazione il problema dell'eventuale abbandono della vita ecclesiastica da parte dei sacerdoti. Questo abbandono può essere interpretato come una tipica espressione dello ius poenitendi. La posizione del sacerdote può portare in caso di abbandono a Conseguenze onerose, in quanto si può trovare privo di qualsiasi forma di sostentamento ed a subire tutto il peso dell'abbandono della vita ecclesiastica dal punto di vista economico. Pertanto, per alleviare questa situazione, si è ritenuto che gli istituti diocesani per il sostentamento del clero debbano sovvenire alle necessità dei sacerdoti che abbandonano la vita ecclesiastica e non hanno altre fonti sufficienti di reddito. Religiosi cattolici: sono quelli che, dopo aver emesso i voti di povertà, castità ed obbedienza, si trovano inseriti a pieno titolo nella comunità religiosa di appartenenza. L'emissione del voto di povertà comporta che il religioso doni all'istituto tutto quanto possiede in proprio, che qualsiasi attività egli svolta nell'ambito dell'istituto non sarà in alcun modo remunerata e che qualsiasi retribuzione egli riceva in futuro da soggetti terzi dovrà essere versata all'istituto. A sua volta, il religioso riceve dall'istituto il necessario sostentamento come se si trovasse in una comunità familiare. L'ordinamento canonico prevede poi che coloro che escono dall'istituto religioso o sono dimessi non possono esigere nulla dall'istituto stesso per qualunque attività in esso compiuta. Queste disposizioni però possono portare a situazioni paradossali, in quanto le persone che hanno trasferito un cospicuo patrimonio all'istituto religioso, che hanno di fatto lavorato a favore dell'istituto o di terzi, il giorno in cui per un mutamento di opinione (anche in questo caso si tratta di espressione dello IUS poenitendi) si ritrovano a non possedere nulla. Si ritrova così una situazione iniqua, che comporta una grave violazione del diritto di libertà religiosa degli interessati e dello IUS poenitendi, perché cristallizza nel tempo le conseguenze di una determinata scelta senza consentirne la reversibilità.

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PARAGRAFO 11: LIBERTÀ RELIGIOSA E OBIEZIONE DI COSCIENZA L'obiezione di coscienza consiste nel rifiuto di adempiere ad obblighi imposti dalle leggi dello Stato e nella disponibilità di accettare le conseguenze di tali rifiuto. L'obiezione di coscienza obbedisce a motivazioni religiose, ma anche etiche o ideologiche. In ogni obiezione di coscienza c'è l'affermazione soggettiva di un valore alternativo a quelli accettati dalla collettività in un determinato momento storico. Secondo un approccio più laica al tema della libertà di coscienza, si rileva prima di tutto che si tratta di una tematica parzialmente contigua alla libertà religiosa. Le motivazioni di alcune forme di obiezioni possono essere anche squisitamente religiose. Tuttavia l'ordinamento prescinde dal profilo confessionale e tende a tutelare il valore assoluto della coscienza in se considerata. In secondo luogo, non è sempre vero che ogni obiezione di coscienza è portatrice di un valore in contrapposizione al disvalore affermato dagli antagonisti. Ne sono un esempio la non violenza e la pace, che hanno ispirato gran parte del diritto internazionale contemporaneo. Obiezione al servizio militare: essa è stata riconosciuta con un residuo di diffidenza da una legge del 72, nella quale era configurata come concessione, il servizio civile sostitutivo che era di durata superiore a servizio militare e implicava L' assoggettamento degli obiettori alla disciplina e ai codici penali militari. Con la legge 230/ 98 è stata pienamente legittimata e riconosciuta come vero e proprio diritto soggettivo da esercitare dietro semplice presentazione di apposita domanda da parte di chi e in possesso dei relativi requisiti. Secondo la legge del '98, l'obiezione di coscienza comporta l'equiparazione della durata del servizio civile sostitutivo con quello militare, l'esclusione da ogni rapporto giuridico degli obiettori con la struttura e la disciplina militare e la facoltà di svolgere servizi civile presso enti e organizzazioni, pubblici e privati, inclusi in appositi albi. Obiezione all'aborto: la legge sull'aborto prevede che il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie, se ha sollevato obiezione di coscienza con apposita dichiarazione, non è tenuto a prendere parte alle procedure e alle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, ma non è esonerato dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento. L'obiezione di coscienza si intende revocata con effetto immediato se chi l'ha sollevata prende parte a procedure o interventi per l'interruzione della gravidanza, salvo che non si tratti di casi nei quali la vita della donna e in imminente pericolo. Questa è un'obiezione di coscienza che chiami in causa più direttamente la libertà religiosa. Obiezione alla formula confessionale del giuramento e obiezione nei confronti del giuramento in quanto tale: il legislatore in questo caso ha previsto che in luogo del giuramento il testimone, consapevole della responsabilità morale e giuridica che assume, si impegna a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a conoscenza. Obiezione di coscienza alla sperimentazione sugli animali: le università devono rendere facoltativa la frequenza alle esercitazioni di laboratorio in cui è prevista la sperimentazione animale. Questo tipo di obiezione testimonia il valore di non recare sofferenza ad esseri viventi anche se non umani. Attualmente non si dà riconoscimento ad altre forme di obiezione di coscienza, anche se sono state presentate alcune proposte di legge come nel caso dell'obiezione nei confronti delle vaccinazioni obbligatorie, per l'obiezione fiscale (che consiste nel rifiuto di versare la quota di imposte utilizzate dallo Stato per spese militari) per l'obiezione verso determinate prestazioni lavorative. Il tema dell'obiezione di coscienza non esaurisce la tematica dei conflitti di coscienza che possono manifestarsi nell'esperienza personale e sociale. Un terreno tipico di possibili conflitti è quello della accettazione o del rifiuto di determinati trattamenti sanitari. Il nostro ordinamento vieta di imporre trattamenti sanitari a chiunque non sia consenziente è ammette che una persona adulta rifiuti di assoggettarsi a tali trattamenti anche quando sono in pericolo la propria salute e la propria vita. Non

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ammette però che quanti hanno la potestà sui minori possano rifiutare quei trattamenti quelle cure che sono necessarie perla vita della salute dei minori stessi. PARAGRAFO 12: LA LIBERTÀ RELIGIOSA COLLETTIVA. CONFESSIONI RELIGIOSE DI FATTO, RICONOSCIUTE, CON INTESA Il pluralismo religioso per la costituzione italiana non è fondato soltanto sulla libertà di scelta e di opinione degli individui, ma tutela anche il diritto all'esistenza, all'organizzazione e alla funzionalità delle confessioni religiose che costituiscono i soggetti collettivi attraverso cui si è articolata fenomenologia religiosa. Le confessioni religiose sono viste come formazioni sociali attraverso cui l'uomo meglio può esprimere la propria personalità e perseguire il soddisfacimento dei propri interessi. Le confessioni religiose vengono prese in considerazione dall'articolo 8 della costituzione.

Articolo 8: tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Il primo comma dell'articolo 8 stabilisce il primo fondamentale diritto delle confessioni religiose di fruire di una uguale libertà, che implica il diritto di esistere e di organizzarsi secondo i propri statuti, purché questi non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. Per quanto riguarda il concetto di confessione religiosa, si può dire che può considerarsi confessione religiosa solo quella che può vantare un rapporto organico con la realtà sociale italiana: in questo senso il gruppo confessionale dovrebbe radicarsi nell'opinione pubblica formatasi nella società italiana o dovrebbe avere l'adesione e il concorso stabile di un certo numero di aderenti. Se si prende in considerazione invece un altro criterio basato sulla distinzione tra associazione e confessione, si ritiene che esiste una confessione religiosa soltanto dove esiste una realtà istituzionalmente destinata alla realizzazione del fine religioso, che abbia una propria originale concezione del mondo. Se è priva di questi elementi l'aggregazione confessionale può considerarsi allo stato nascente o può assumere i caratteri di una associazione, ma non può considerarsi una vera confessione. Altre opinioni dottrinali tendono a cancellare la differenza tra confessione e associazioni religiose e sostengono che il fenomeno associativo religioso sarebbe oggetto di uguale tutela da parte dell'ordinamento. Questa tesi però non tiene in considerazione il fatto che le associazioni godono anche delle libertà di associazione di cui all'articolo 18 della libertà religiosa e di cui all'articolo 19, ma alle confessioni religiose compete una libertà qualificata di cui all'articolo 8, libertà uguale a quella di altre confessioni e libertà diretta a garantire l'assolvimento di funzioni immanenti al modo di essere di una confessione (e che non esistano nell'ambito di una associazione) come il riconoscimento di ministri di culto, di matrimoni celebrati in forma religiosa, di enti ecclesiastici... per questo motivo, la distinzione tra associazione e confessione religiosa sta nella autonomia istituzionale piena che una aggregazione religiosa ha nei confronti di ogni altra aggregazione, essa stessa istituzionalmente autonoma. Quando tale autonomia non esiste, quando cioè un gruppo confessionale si sente parte di una aggregazione più ampia siamo di fronte ad una associazione religiosa.1 Dunque, ci sono due requisiti fondamentali perché lo Stato riconosca l'esistenza di una confessione religiosa: • deve essere strutturata con piena autonomia istituzionale rispetto ad ogni altra confessione.

1 per esempio una qualsiasi associazione cattolica è parte integrante della Chiesa cattolica, ma ogni associazione religiosa può, se vuole, staccarsi dalla confessione di appartenenza e avviare il processo di formazione di una nuova confessione.

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• ci deve essere la volontà soggettiva di considerarsi, ed essere considerata, confessione religiosa a tutti gli effetti (autoreferenzialità).

Allo Stato e ai pubblici poteri non competono in linea di principio poteri di sindacato e di controllo sul patrimonio dottrinale o teologico propri di ciascuna confessione, in quanto ciò sarebbe una inammissibile ingerenza nella sfera di autonomia e piena libertà che spetta alla confessione ex articolo 8 della costituzione. Tuttavia, l'intera materia confessionale è soggetta sia al cosiddetto principio di verità o di corrispondenza, sia al limite del diritto penale e del rispetto dei diritti umani. In presenza di una vera confessione religiosa, si possono individuare tre livelli di tutela costituzionale: 1) tutela che compete alle confessioni di fatto, cioè alle confessioni che non ambiscono ad alcun riconoscimento civile di carattere generale, perché preferiscono agire sulla base di una normazione minima e di una forte spontaneità di adesioni e comportamenti dei propri fedeli. Queste si organizzano ed agiscono con gli strumenti delle associazioni non riconosciute e sono disciplinate essenzialmente dagli accordi tra gli associati che si traducono di solito in statuti. Se non esistono nemmeno gli statuti, l'esistenza della confessione e quasi impalpabile. La condizione di confessione di fatto può avere carattere temporaneo o permanente. Dal punto di vista ordinamentale, la confessione di fatto è una vera confessione cui vanno riconosciute alcune prerogative costituzionali e i diritti connessi alla uguale libertà di cui al primo comma dell'articolo 8 della costituzione (diritto di culto, di propaganda religiosa, di organizzazione comunitaria) e spetta il diritto di chiedere il riconoscimento. 2) tutela che compete sulla base di un riconoscimento giuridico ex articolo 8, secondo comma, che comporta l'attribuzione di una serie molto ampia di diritti e prerogative della confessione in quanto tale. La confessione riconosciuta ha il diritto di chiedere l'avvio delle trattative per la stipulazione di un'intesa con lo Stato ai sensi del terzo comma dell'articolo 8 della costituzione. Ai fini del riconoscimento civile, la confessione deve presentare istanza al Ministero dell'interno, allegando copia autentica dello Statuto e altri documenti che illustrano la propria natura e i caratteri essenziali. Il controllo più penetrante effettuato in sede di riconoscimento di una confessione religiosa è quello previsto dal secondo comma dell'articolo 8 della costituzione per il quale gli statuti non devono essere contrari all'ordinamento giuridico. Si tratta di un vero e proprio giudizio di congruità, che non entra nel merito dei principi religiosi, ma valuta allo statuto alla luce di principi fondamentali dell'ordinamento giuridico. Limiti per gli statuti: • norme penali • deve essere assicuratala libertà di adesione e la libertà di recesso dall'organizzazione. • La confessione religiosa non può prevedere una soggezione piena degli aderenti e i ministri di culto tale

da comportare una limitazione delle loro libertà fondamentali. • Non può prevedere riti con sacrifici di animali o pratiche violente nei confronti di soggetti umani e non

umani • non si possono imporre giuramenti il cui contenuto risulti contrastante con i doveri del cittadino e con il

rispetto delle istituzioni e delle persone. Nel caso in cui l'amministrazione rilevi un contrasto tra lo statuto di una confessione e l'ordinamento giuridico italiano non si dà luogo al riconoscimento e si avvia un processo di revisione o di riforma delle norme statutarie, al termine del quale si procede ad una nuova valutazione di congruità e di conformità. 3) tutela che spetta alle confessioni che chiedono e ottengono di stipulare con lo Stato l'intesa di cui al terzo comma dell'articolo 8. L'approvazione della legge che recepisce l'intesa rende non più applicabile alla confessione interessatala legislazione sui culti ammessi (legge 1159/ 29) e la confessione

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religiosa si trova in una condizione giuridica più ricca di prerogative e di diritti, tutti desumibili dal testo di derivazione pattizia. PARAGRAFO 13: NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI. L'ALTERNATIVA TRA DIRITTO COMUNE E LEGISLAZIONE SPECIALE. Recentemente si sono diffusi nuovi movimenti religiosi, estranei alla tradizione giudaico Cristiana, ciascuno con specificità e singolarità e con capacità di improvvisi radicamenti sociali. Molto spesso questi nuovi movimenti religiosi vengono visti con diffidenza, perché a volte essi dicono ed esibiscono una militanza confessionale molto rigida, altre volte gli aderenti a questi movimenti sembrano ridotti in uno stato di sudditanza psicologica che fa loro recidere i legami familiari, provoca strani comportamenti che può giungere fino all'esercizio di pratiche prostitutive. Inoltre, i loro contenuti ideologici o fideistici prevedono una tale varietà di ispirazioni, convinzioni, pratiche, comportamenti da far dubitare che si possa stabilire un vero confine tra ciò che è religione e ciò che non lo è. Tre movimenti più importanti troviamo la new age e Scientology, che si pone al confine tra scienza, psicologia e religione e propone un cammino purificatore che libera la psiche e l'anima dei propri fedeli dal peso e dalle negatività dell'esperienza precedentemente vissute attraverso meccanismi e pratiche disintossicanti e attraverso la promessa di conseguire uno stato personale di pieno autodominio e di armonia. Di fronte a queste nuove realtà le reazioni sono duplici: da un lato si è proposto di elaborare una strategia repressiva, fondata sulla elaborazione di una legislazione speciale che possa impedire a diffusione di quei movimenti religiosi che hanno un che di patologico; dall'altro si è cercato di individuare un confine tra ciò che è religione e ciò che non lo è. Quanto alla tendenza repressiva, il parlamento europeo aveva approvato una risoluzione con la quale si proponeva una azione comune degli Stati membri della comunità di fronte a diverse infrazioni alla legge compiute da recenti organizzazioni che operano al riparo della libertà religiosa. Tuttavia le critiche che vengono rivolte alle nuove religioni potrebbero valere anche per quelle tradizionali, in quanto anche le religioni tradizionali fondano la propria identità su promesse di felicità, di definitivo appagamento sulla terra o dopo la morte. Se è vero che non c'è una novità assoluta nelle patologie confessionali , l'alternativa più semplice alla legislazione speciale è quella di applicare rigorosamente il diritto penale comune che non incontra limiti del diritto di libertà religiosa. In questo modo si eviterebbe il rischio di valutare diversamente determinati comportamenti a seconda che siano posti in essere da confessioni tradizionali o da nuovi movimenti religiosi, e si rispetta il principio fondamentale dell'uguaglianza di trattamento dei cittadini e dei culti. Ovviamente il codice penale è più che sufficiente per comprendere che tra le patologie confessionali sono inclusi violenza privata, circonvenzione d'incapace, estorsione, truffa, maltrattamenti e di animali... per quanto riguarda il secondo problema, ovvero quello di distinguere ciò che è religione e ciò che non lo è, c'è stato un acceso dibattito dottrinale. Secondo la corte costituzionale la natura di confessione può risultare anche da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprime chiaramente i caratteri. Secondo la corte d'appello di Milano il presupposto fondamentale è l'esistenza di un essere supremo che è il rapporto con gli uomini e al quale devono obbedienza ed ossequio. Secondo un'altra parte della dottrina per aversi confessione religiosa è necessaria una originale concezione della vita rispetto a quelle delle altre confessioni. Tutte queste interpretazioni sono inadeguate e di fronte a queste difficoltà ermeneutiche, si sono diffusi orientamenti che tendono a negare che si possa tracciare una linea di confine certa della religiosità. Secondo la cassazione la mancanza di una definizione legale della religione o della confessione religiosa indica chiaramente la volontà del legislatore di non precludere tale esercizio a nessuno. La dottrina ha osservato che i confini del concetto di religione si sono estesi a tal punto che quasi ogni movimento ideologico che lo desidera vi può rientrare.

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Dunque, non esiste tutto oggi un criterio automatico valido per distinguere ciò che è religione e ciò che non lo è. Questo però non vuol dire che lo Stato non possa intervenire legittimamente per negare la qualifica di confessione religiosa ad un gruppo o ad una struttura che presentino caratteri contrastanti con qualunque forma di religiosità: è il caso della Associazione ateistica, dei culti satanici, dell'interpretazione cabalistica dei numeri. Lo Stato però può rifiutare di riconoscere una confessione religiosa quando questa sostiene dei principi contrari ai diritti fondamentali dell'uomo o ai valori etici fondamentali perla convivenza civile, nonché di pratiche violente nei confronti degli esseri viventi, umani e non umani. PARAGRAFO 14: LIBERTÀ RELIGIOSA E MULTICULTURALISMO. IL PROBLEMA DELLE COMPATIBILITÀ In seguito a sensibili mutamenti della stratificazione della popolazione, si radicano gruppi sociali che traggono la propria identità da etnie, culture, religioni diverse e lontane rispetto a quelle tradizionali. Questi gruppi sociali non chiedono più soltanto il rispetto della propria fede religiosa, ma tendono a riprodurre al proprio interno comportamenti, usi, costumi del tutto nuovi per l'habitat ospitante e in alcuni casi confliggenti con i valori di base dell'area nella quale si inseriscono. Il problema della multiculturalità e della multietnicità consiste quindi nel conciliare i valori tradizionali con i comportamenti, gli usi, i costumi che inizialmente possono essere sentiti come alieni, e nel respingere quelle pratiche comportamentali che contrastano in modo irreparabile con elementari principi di civiltà. Il problema del multiculturalismo nasce quando insieme all'elemento religioso o a causa dell'elemento religioso, emerge una differenziazione di costumi e tradizioni così forte da incidere sui valori di base condivisi che sorreggono il nostro ordinamento. Un esempio classico di multiculturalismo è quello dell'uso di copertura del capo o del volto da parte di uomini o donne in virtù della propria ascendenza religiosa o della propria appartenenza etnica. La questione della copertura del volto da parte delle donne islamiche ha sollevato difficile questioni giuridiche. In Francia è stato utilizzato il rigorismo laici lista, nel senso che è stato vietato di utilizzare i simboli religiosi che non siano di misura minima proprio in virtù della laicità dello Stato. In altri paesi, come in Inghilterra o in Italia, non si è avuta una reazione così drastica. In particolare, in Italia, il velo islamico non ha provocato alcuna reazione e alcun divieto. L'unico divieto esistente riguarda l'uso del chador o del bourka, perché a causa della copertura totale il volto non potrebbe essere identificato; l'uso invece del foulard non incontra obiezioni di principio. Un altro esempio di multiculturalismo si ha con la pratica dell’infibulazione, cui vengono sottoposte le donne e che consiste nell'asportazione della clitoride e nella parziale cucitura delle grandi labbra. Questa pratica non ha una vera motivazione religiosa, ma riflette piuttosto la mentalità arcaica che vede nella donna una sorta di proprietà esclusiva dell'uomo, priva del diritto ad una propria sessualità. Queste pratiche integrano il reato di lesioni volontarie e risultano contrarie a convenzioni e dichiarazioni internazionali sui diritti umani. Il ministero della sanità esclude categoricamente l'effettuazione di questi interventi presso le strutture sanitarie e per opera del personale medico. Quanto alla pratica della circoncisione, questa è prevista soprattutto in ambito ebraico e musulmano, ma in questo caso è del tutto assente il danno alla salute e manca ogni prospettiva di invalidità permanente e gravi per la persona. Quindi tale pratica è ammessa, ma non deve essere fatta a carico della collettività e preferibilmente bisognerebbe ricorrere a medici privati. Quanto alla poligamia, consentita dal diritto islamico, essa non è consentita nell'area occidentale, anche perché violerebbe gravemente il principio di uguaglianza tra uomo e donna ponendo l'uomo in una condizione di superiorità rispetto alle sue mogli. Per i nostri ordinamenti, l'impedimento alla celebrazione di un matrimonio poligamo resta netto e assoluto. Un problema molto importante di tipo multiculturale è la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, considerata contraria al principio di uguaglianza dei culti e al diritto di libertà religiosa dei cittadini. Vengono anche contestate pratiche scolastiche che prevedono la commemorazione del Natale o di altre

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festività. Da un punto di vista laicista, il problema si risolverebbe con l'eliminazione di Simbologia Religiose, ma questa soluzione confliggerebbe proprio con le esigenze interculturali, in quanto eliminato un simbolo religioso, non se ne possono ammettere altri e non si potrebbero consentire comportamenti che pubblicamente si richiamino ad una religione o ad un'altra (in altri termini sarebbero vietati anche l'adozione del velo islamico, la recita delle preghiere in pubblico o altre pratiche sulla base del principio di laicità). Questo significherebbe che la laicità mortificherebbe il multiculturalismo. In realtà è proprio il concetto stesso di multiculturalismo che non è stato ancora assimilato a livello giuridico. Il rispetto delle diversità non è diretto soltanto alle culture di minoranze, ma a tutte le culture presenti in un contesto nazionale. Per esempio in Italia l'esibizione di un simbolo religioso non ha mai suscitato reazioni negative da alcuna parte, probabilmente perché la presenza cattolica viene manifestata attraverso una pluralità di cattedrali e chiese, ed investimenti religiosi, con l’aggiunta di simboli di altre religioni non implica minimamente la loro accettazione da parte della società e delle sue articolazioni. Ciò significa che la presenza di un simbolo religioso, qualunque esso sia, non è incompatibile con il concetto e il principio di laicità; e che al contrario, impostare la questione di simboli e delle pratiche religiose in termini di divieti e di repressione vuol dire privare il principio di laicità proprio di quella dimensione liberale e di accoglienza che esso ha sempre avuto. Ne consegue che il simbolo religioso o determinate pratiche o abitudini legati e tradizioni religioso culturali non devono più costituire discrimina dei gli uni verso gli altri. Multiculturalità deve voler dire accettare, anziché cancellare la possibile presenza di diversi simboli religiosi. CAPITOLO TERZO: ISTITUZIONI RELIGIOSE E RAPPORTI CON LO STATO PARAGRAFO 1: CHIESE E CONFESSIONI RELIGIOSE NELLA TRADIZIONE ITALIANA UNITARIA Lo statuto Albertino del 1848 affermava, all'articolo 1, che la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti erano solo tollerati conformemente alle leggi. Tuttavia varie leggi successive enunciarono il principio generale di uguaglianza tra i vari culti, fu abolito il foro ecclesiastico e realizzata l'unicità della giurisdizione civile e penale per tutti cittadini, venne smantellatala struttura proprietaria della Chiesa cattolica e, nel 1865, viene introdotto il matrimonio civile come unico matrimonio valido per lo Stato, rendendo giuridicamente insignificante il matrimonio canonico. Il separatismo liberale fece tutto il possibile per ricondurre le confessioni religiose al diritto comune e per eliminare una uguale condizione giuridica per i culti. Tuttavia, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, la legge 13 maggio del 1871, dovendo regolare la posizione del pontefice e della Santa Sede dopo gli eventi del 20 settembre 1870 che hanno posto termine al potere temporale dei Papi e riconosciuto Roma capitale del regno, da vita ad un regime speciale per gli organi centrali della Chiesa romana: • il pontefice viene e equiparato alla persona del sovrano d'Italia e gli viene garantita una totale immunità

territoriale ed esenzione dall'ingerenza statale in tutte le faccende che riguardano il governo universale della Chiesa.

• Sono riconosciute speciali Guarentigie a soggetti ecclesiastici come Cardinali o ad organismi ecclesiastici come Concili e il conclave, affinché le loro attività possano svolgersi in piena libertà e indipendenza.

• È riconosciuta la potestà spirituale e disciplinare della Chiesa • vengono concessi al culto cattolico sostegni finanziari, agevolazioni giuridiche, riconoscimenti simbolici

nelle cerimonie pubbliche. Il mutamento di indirizzo politico attuato dal Regime autoritario del 1929 travolge ogni norma del periodo separatista: • il principio di uguaglianza dei culti all'interno del diritto comune viene spezzato e lo Stato entra in

rapporti bilaterali con la Chiesa cattolica con la quale stipula un trattato e un concordato che dettano una

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disciplina speciale per il Papa, la Santa Sede e la Chiesa cattolica in Italia. La gran parte delle relazioni ecclesiastiche è sottoposta al principio di bilateralità e sottratta alla valutazione del legislatore unilaterale statale.

• La religione cattolica è di nuovo definita come la sola religione dello Stato • viene riconosciuta la giurisdizione ecclesiastica sulle nullità matrimoniali, reintroducendo uno spicchio

dell'antico privilegio del foro • la Chiesa diventa istituzione pubblica per eccellenza. A fare le spese di questo cambiamento sono i culti acattolici, che vengono disciplinati dalla legge 1159/ 29 sui culti ammessi, che riconosce loro la personalità giuridica e alcuni diritti e prerogative. Tuttavia tali culti si ritrovano in un sistema normativo a dominanza cattolica e ogni loro diritto è subordinato ai privilegi concessi alla religione dello Stato. Con l'avvento della costituzione si cerca di cancellare la disuguaglianza tra le varie confessioni. L'ordinamento non cancella la bilateralità pattizia, inaugurata nel 1929 con la Chiesa cattolica, ma la estende ai culti non cattolici, con la previsione dell'istituto dell'intesa. L'uguaglianza dei culti viene ripristinata, ma limitatamente alla sfera di libertà che spetta a tutti i culti. Nella costituzione, inoltre, riconosce alla Chiesa cattolica l'indipendenza e la sovranità, limitatamente al suo ordine, mentre agli altri culti riconosce l'autonomia statutaria. Per la Chiesa cattolica tiene fermi i Patti Lateranensi, pur prevedendo nella riforma, con gli altri si ripromette di instaurare relazioni bilaterali per definirne condizione giuridica e la loro collocazione all'interno dell'ordinamento. PARAGRAFO 2: LA COSTITUZIONE DEMOCRATICA. INDIPENDENZA E SOVRANITÀ DELLA CHIESA CATTOLICA, AUTONOMIA DELLE ALTRE CONFESSIONI RELIGIOSE L'uguale libertà di tutte le confessioni religiose prevista dall'articolo 8 comma 1 della costituzione non implica piena uguaglianza di trattamento per le confessioni religiose, ma soltanto una uguaglianza di trattamento in quelle materie e in quei rapporti che incidono sulla libertà delle confessioni. La prima differenza di trattamento la si ritrova a livello costituzionale negli artt. 7 e 8. In questi artt. lo Stato considerala Chiesa cattolica come un ordinamento primario, sovrano e indipendente e instaura con essa un rapporto patrizio di diritto internazionale, stipulando i Patti Lateranensi. Nei confronti delle confessioni religiose non cattoliche, manca il riconoscimento del carattere primario dei rispettivi ordinamenti e il rapporto con lo Stato si svolge e si sviluppa a livello del diritto interno. Per quanto riguardala disciplina costituzionale dei rapporti con la Chiesa cattolica, il richiamo ai Patti Lateranensi indica chiaramente che lo Stato ha accettatola soluzione storica della questione romana e non intende riaprirla se non attraverso accordi bilaterali che apportino modifiche alla formulazione originale di patti del 1929. Alcuni autori hanno visto nel primo comma dell'articolo 7 l'obbligo costituzionale per lo Stato di disciplinare i rapporti con la Chiesa in termini concordatari, in quanto, riconoscendosi reciprocamente i due enti come sovrani, non possono che definire le proprie relazioni mediante apposite pattuizioni. Per quanto invece riguardala disciplina costituzionale delle confessioni diverse dalla cattolica, strutturalmente e giuridicamente le confessioni acattoliche non costituiscono degli ordinamenti primari, ma ciò non implica alcuna discriminazione, perché sono le confessioni stesse che non hanno mai preteso di essere considerate soggetti di diritto internazionale e quindi ordinamenti sovrani al pari dell'ordinamento dello Stato. Ne consegue che lo Stato instaurerà relazioni con esse all'interno del proprio ordinamento, utilizzandolo strumento dell'intesa i cui contenuti entrano a far parte dell'ordinamento italiano attraverso una legge di approvazione. PARAGRAFO 3 I PATTI LATERANENSI E LA LORO RIFORMA

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Le prime interpretazioni dell'articolo 7, risentendo fortemente del clima neoconfessionista dell'epoca, danno alle norme dei patti lateranensi una collocazione ordinamentale del tutto privilegiata, in alcuni casi addirittura superiore a quella delle norme costituzionali. La dottrina immediatamente successiva all'approvazione della costituzione ha preso spunto dal fatto che l'articolo 7, invece di fare riferimento ad un generico Regime pattizio, richiama espressamente i Patti Lateranensi, dandogli una forza costituzionale che prima non aveva. Tuttavia, dal punto di vista del diritto interno, essi sono entrati a far parte dell'ordinamento attraverso la legge 810/ 29. Questa legge poteva essere modificata o abrogata unilateralmente dal legislatore con le stesse forme e procedure con i quali era stata approvata. Ora invece avendo richiamato direttamente ed esplicitamente i Patti Lateranensi nell'articolo 7, la costituzione avrebbe tolto significanza alla legge 810/29 e dato rilevanza alle norme di patti che sarebbero stati inseriti direttamente nella costituzione. Allo stesso risultato è giunta la dottrina che ha elaboratola tesi della costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi: essa è partita dalla formula costituzionale che ha previsto che le modifiche di patti lateranensi, se accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale. Tale orientamento dottrinale osservò che nel nostro ordinamento le uniche norme che non richiedono procedimento di revisione costituzionale sono appunto le norme costituzionali e le altre leggi costituzionali. Di conseguenza il procedimento speciale predisposto per la riforma dei patti lateranensi eleva le disposizioni di queste allo stesso livello della costituzione. Inoltre, per questa tesi dottrinale, una volta ammesso che le singole norme pattizie sono entrati a far parte della costituzione, bisogna riconoscere che esse sono disposizioni speciali rispetto alle norme costituzionali che per loro natura sono di carattere generale. Poiché le leggi speciali derogano quelle generali, le norme pattizie prevalgono sulle comuni norme costituzionali e non possono essere pertanto abrogate sulla base del sindacato di costituzionalità. In sostanza le norme di patti hanno finito con l'assumere un rilievo superiore alla stessa Costituzione. Altri autori respingono questa tesi, sostenendo che essa ha trascurato un elemento decisivo del secondo comma dell'articolo 7, ovvero il fatto che questo, accanto all'ipotesi di procedimento di revisione costituzionale, prevede un altro procedimento, quello ordinario, qualora le modifiche di patti siano accettate dalle parti. In realtà lo Stato, nell'articolo 7, si è impegnato a non tornare più ad un regime separatista (mentre prima lo Stato era libero di mantenere o meno il regime concordatario, dal momento che avrebbe potuto abrogare Patti Lateranensi seguendole regole della prassi del diritto internazionale). L'articolo 7 è rivolto essenzialmente al legislatore, il quale può modificare i Patti Lateranensi con procedimento ordinario, purché le modifiche siano accettate anche dalla santa sede, oppure con procedimento di revisione costituzionali. In altri termini, la disposizione dell'articolo 7 avrebbe costituzionalizzato soltanto il principio pattizio, il fatto cioè che i rapporti tra Stato e Chiesa devono essere disciplinati per via bilaterale, ma non avrebbe alterato la gerarchia delle fonti della collocazione che in essa hanno le singole norme dei Patti Lateranensi, che restano norme ordinarie a tutti gli effetti e soggette al sindacato di costituzionalità. La corte costituzionale, in una sentenza del 1971, ha affermato che l'articolo 7 ha prodotto diritto, cioè ha creato una situazione nuova rispetto a quelle esistenti nel periodo precedente. L' innovazione non è stata tale da elevare le singole disposizioni concordatarie a livello costituzionale, ma non si è limitato soltanto a dare forza costituzionale al cosiddetto principio pattizio. Essa ha fornito, invece, le norme di derivazione pattizia, desumibile dalla legge di esecuzione di patti lateranensi 810/29, di una capacità di resistenza rispetto alle norme costituzionali, tranne che non si tratti di principi supremi dell'ordinamento costituzionale. Infatti se si verifica un contrasto tra una norma concordataria e i principi supremi dell'ordinamento costituzionale sarà la prima a cedere, mentre se il contrasto c'è con una norma costituzionale che non integra un principio supremo, la relativa disposizioni concordatarie resisterà con una forza uguale a quella delle leggi costituzionali. PARAGRAFO 4: LE INTESE CON LE CONFESSIONI DIVERSE DALLA CATTOLICA

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La costituzione prevede nel terzo comma dell'articolo 8 LE Intese: con esse ha cercato di riequilibrare la diseguaglianza di trattamento tra Chiesa cattolica e altri culti esistenti nel regime autoritario ed ha espresso chiaramente un intento risarcitorio nei confronti delle confessioni di minoranza. Le intese previste dalla costituzione sono quelle che regolano i rapporti complessivi tra Stato e confessione religiosa e che sono elaborate e stipulate nell'ambito di una contrattazione tra il governo e la rappresentanza confessionale. L'intesa può considerarsi come strumento tipico e speciale di negoziazione legislativa, capace di dare vita ad un sistema normativo di relazioni bilaterali. Dunque, mentre il Concordato è uno strumento di diritto internazionale, l'intesa è uno strumento di negoziazione di diritto interno ed in particolare è un contratto di diritto pubblico interno. Formazione dell'intesa: la trattativa per l'intesa si avvia e si sviluppa a livello governativo. • Comincia con l'incontro tra la rappresentanza nazionale della confessione e l'apposita Commissione per

l'intesa e istituita dal governo. In questo incontro si valuta il progetto di intesa presentata dalla confessione interessata.

• Una volta raggiunto l'accordo, questo viene firmato dal rappresentante confessionale e dal sottosegretario alla presidenza del consiglio. Questo costituisce la base necessaria per la presentazione delle relativo disegno di legge di approvazione.

• Il disegno di approvazione deve essere presentato in Parlamento. In questa sede, il principio di bilateralità influenza l'attività delle assemblee legislative. Infatti, il testo normativo può essere approvato o respinto, ma non può essere emendato in modo tale da risultare difforme rispetto al Testo pattizio. Nel caso in cui il Parlamento respinga tutto o parte del testo legislativo, il governo dovrà riaprire il negoziato con la rappresentanza confessionale.

• Con l'approvazione della legge, il principio di bilateralità diventa massimamente operante. Le disposizioni possono essere revisionate soltanto con un nuovo negoziato e quindi sostituite da un'altra legge di approvazione su base di intesa. (Gli accordi con le confessioni acattoliche non potranno mai essere modificate unilateralmente, ma soltanto con successive intese).

Funzione dell'intesa: garantire in modo permanente la conformità costituzionale della legge di approvazione e delle successive modificazioni. Inoltre è lo strumento costituzionalmente necessario per definire lo status giuridico del culto firmatario. Modifica delle intese: le Intese prevedono i meccanismi specifici di verifica ed eventuale riforma. In primo luogo viene prevista il nuovo esame dell'intesa al termine del decimo anno dall'entrata in vigore della relativa legge di approvazione. Un problema che si pone è se le confessioni religiose abbiano un vero proprio diritto a stipulare un'intesa con lo Stato e se lo Stato sia obbligato alla stipulazione dell'intesa. In realtà, a nessuna confessione è stata negata la possibilità di avviare trattative, ma l'unica condizione che è stata loro posta è il previo riconoscimento ai sensi del secondo comma dell'articolo 8 della costituzione e della legge 1159/29. PARAGRAFO 5: LIBERTÀ RELIGIOSA COLLETTIVA ED UGUAGLIANZA DI TRATTAMENTO DI CULTI La disciplina dei profili istituzionali delle confessioni religiose è contenuta soprattutto negli accordi stipulati tramite Concordato o per intese, anche se non mancano settori rilevanti della legislazione unilaterale statale che riguardano alcuni aspetti istituzionali confessionali, come quello che disciplinala condizione giuridica dei ministri di culto. Dalla legislazione bilaterale emerge inoltre quella differenza di trattamento che, pur non investendo il principio dell'uguale libertà delle confessioni, è legittimata da motivi storici o sociali desumibili dalla nostra tradizione o dalla normativa costituzionale. Chi e più legato ad una concezione separatista dei

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rapporti tra Stato e chiese sarà indotto a vedere in ogni differenziazione giuridica la lesione del principio di uguaglianza, che dovrebbe valere sia per i singoli che per la collettività. Chi invece guarda più alla dinamica sociale del fenomeno religioso sarà propenso a giustificare alcune differenziazioni che sembrano più aderenti alla realtà dei fatti rispetto ad uno schema giuridico astratto. Per quanto riguarda i parametri che possono essere utilizzati per legittimare determinate diversità di trattamento o respingerne altre, si rilevano in primo luogo quelle situazioni giuridiche che interessano una o più confessioni, con esclusione di altre. Per esempio, la disciplina che riconosce determinate strutture ecclesiastiche presenti solo in alcune organizzazioni confessionali non lede le aspettative delle altre e non viola il principio di uguaglianza, in quanto è evidente che nessuna confessione potrebbe lamentarsi per i riconoscimenti concessi ad altre, in quanto questi non toglierebbero nulla alle garanzie di cui essi fruiscono per la propria specifica organizzazione. In secondo luogo possono essere riconosciuti dei comportamenti tipici dei fedeli di culto, che ugualmente non lederebbero l'uguaglianza dei cittadini dal momento che i fedeli di altri culti non seguono quegli stessi comportamenti. Anche in sede di contrattazione bilaterale, il rifiuto di una confessione religiosa di fruire di un determinato vantaggio giuridico, finanziario o sociale non trasforma perciò stesso questo vantaggio, concesso ad altri, in privilegio illegittimo. Per esempio alcune confessioni non partecipano alla spartizione dell'otto per 1000 per autonoma decisione. Ci sono infine ipotesi nelle quali acquista un residuo rilievo pratico il consenso, maggiore o minore, che una confessione religiosa può vantare rispetto ad altre nell'ambito comunitario. Il consenso e le dimensioni di una confessione di per sé non giustificano una diversa disciplina giuridica per uno stesso ambito di rapporti, ma possono influire sulle modalità concrete di organizzazioni di determinati servizi. Esempio tipico è quello dei servizi di assistenza spirituale nelle strutture obbliganti, nelle quali è previsto che il servizio di assistenza cattolica venga prestato in modo continuativo, mentre l'assistenza di altri culti viene prestata garantendo il diritto di accesso dei rispettivi ministri dietro specifica richiesta degli utenti. La rilevanza dell'elemento quantitativo può operare anche in senso inverso, cioè provocando un apparente privilegio per i culti di minoranza. Per esempio, spesso la confessione cattolica subisce controlli più penetranti che non sono imposti ad altre confessioni. Anche queste differenziazioni di trattamento non comportano discriminazioni, ma discendono dal fatto che la maggiore rilevanza di un gruppo sociale può indurre il legislatore a chiedere maggiori garanzie per l'espletamento di determinate attività. PARAGRAFO 6: CONFESSIONI RELIGIOSE, ENTI ESPONENZIALI, GUARENTIGIE ISTITUZIONALI Il sistema costituzionale attinente alle confessioni religiose è basato sul principio del loro riconoscimento istituzionale o del riconoscimento di un loro ente esponenziale. Questo principio si può dedurre dall'articolo 8 secondo comma, che prevede l'autonomia organizzativa e statutaria delle confessioni, entro i limiti in cui i rispettivi statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico. Secondo un'opinione dottrinale, le confessioni non hanno, in quanto tali, personalità giuridica, ma agiscono attraverso i loro enti esponenziali ai quali lo Stato riconosce personalità iure privatorum. Per quanto riguardala Chiesa cattolica, essa agisce prevalentemente attraverso la Santa Sede,la quale è riconosciuta sia come soggetto di diritto internazionale, capace come tale di entrare in rapporti con lo Stato italiano in nome e per conto di tutte le istituzioni cattoliche, sia come soggetto di diritto privato per le attività di natura privatistica. A seguito del nuovo Concordato del 1984, perla Chiesa cattolica e su delega della Santa Sede, agisce nell'ordinamento interno anche la Conferenza Episcopale Italiana (CEI), che è formalmente ente ecclesiastico civilmente riconosciuto ex legge 222/ 85, ma svolge funzioni particolarmente importanti anche nei rapporti con le istituzioni pubbliche. Infatti, la CEI rappresenta in subordine alla Santa Sede gli interessi della Chiesa cattolica italiana nei confronti delle autorità dello Stato e viene rapporti con le

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amministrazioni pubbliche; partecipa alle trattative e alla stipulazione delle intese previste dal Concordato; decide sulla ripartizione della quota dell'otto per 1000 Irpef. Più complessa è la situazione per gli altri culti che hanno ottenuto il riconoscimento ai sensi della legge 1159/ 29. La legge non parla espressamente di riconoscimento delle confessioni religiose, bensì di riconoscimento degli Istituti di culti diversi da quello cattolico. Su questa base si è affermato l'orientamento per il quale le confessioni in quanto tale non avrebbero nel nostro ordinamento personalità giuridica, ma tale personalità giuridica verrebbe concessa ai rispettivi enti esponenziali. In alcuni casi lo statuto riflette pienamente la struttura giuridica e territoriale della confessione religiosa e dunque non c'è dubbio che il riconoscimento spetti direttamente a questa (è il caso della Chiesa Evangelica Luterana in Italia). In altri casi ancora, il riconoscimento è stato dato all'ente esponenziale della confessione di riferimento. Guarentigie: le principali Guarentigie di libertà ed autonomia istituzionale riconosciute alle confessioni religiose sono definite con formule differenziate dai rispettivi accordi. 1. Autonomia dei rispettivi ordinamenti. Il Concordato riproduce il principio di cui al primo comma

dell'articolo 7 della costituzione, ovvero la sovranità dello Stato e della Chiesa cattolica ciascuno nel proprio ordine.

2. Non ingerenza dello stato nelle questioni interne delle chiese nella loro struttura ed organizzazione: ciò significa che lo Stato e gli enti pubblici non potranno svolgere indagini sulle attività religiose delle confessioni, non potranno interferire nella loro organizzazione interna e non potrà condizionare l'esercizio della potestà giurisdizionale interna. Questi limiti all'intervento dello statosi applicano anche alle attività di religione di culto degli enti ecclesiastici appartenenti alle rispettive confessioni, alle attività dei ministri di culto, ai rapporti di natura religiosa e pastorale che uniscono le confessioni ai rispettivi fedeli.

3. Altra Guarentigia è il riconoscimento della più ampia libertà in materia di esercizio del culto, di svolgimento della missione pastorale, educativa, caritativa, di evangelizzazione, di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola,lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

PARAGRAFO 7: MINISTRI DI CULTO, RAPPORTI CON I FEDELI, SEGRETO MINISTERIALE. Ogni confessione religiosa presenta dei soggetti investiti di funzioni istituzionali particolari, che fruiscono di una speciale condizione giuridica all'interno della confessione e che svolgono un ruolo speciale anche nell'ambiente sociale e esterno. L' ordinamento civile ha sempre riconosciuto ai soggetti Confessionali determinati diritti e prerogative e ha previsto anche specifiche incompatibilità con doveri o funzioni pubbliche o sociali. Nella qualificazione di tali soggetti, l'ordinamento civile procede per gradi, prima attraverso una qualificazione generale che riguarda tutte le confessioni, poi attraverso qualificazioni particolari che concernono quei soggetti che possono essere presenti in una o più istituzioni confessionali. La qualifica più generale è quella di ministro del culto, con la quale ci si riferisce ai ministri di qualsiasi confessione che abbiano una potestà spirituale, di magistero o di giurisdizione su una porzione di fedeli o di appartenenti al culto. È, in pratica, chi è preposto ad una comunità di fedeli, ha cura d'anime, presiede alla celebrazione di riti ed ha solitamente cura dell'edificio di culto, stabilisce con i fedeli della confessione un rapporto fiduciario e provvede alla diffusione del messaggio religioso proprio della confessione di appartenenza. All'interno di questa qualificazione generale di ministro di culto rientrano i sacerdoti cattolici, i pastori protestanti, i rabbini israelitici e gli imam musulmani... c'è anche da dire che, per quanto riguardala Chiesa cattolica, all'interno di questa categoria rientrano le qualifiche di sacerdote,

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ovvero colui che ha ricevuto l'ordine sacro, e di religioso, ossia colui che fa vita in comune nell'ambito di un istituto religioso con professione di voti pubblici di povertà, castità e obbedienza. Per quanto riguarda la legislazione unilaterale statale e relativa ai ministri di culto, c'è da dire prima di tutto che l'ordinamento civile non recepisce lo status giuridico confessionale, cioè non riconosce automaticamente quei diritti e quei doveri che competono loro all'interno della confessione di appartenenza (per es., l'impegno del celibato che comporta per il diritto canonico impedimento al matrimonio, non è di ostacolo per la celebrazione e la validità di un matrimonio civile che il chierico vuole contrarre). In compenso, il chierico e il religioso fruiscono indistintamente di tutti diritti che, in quanto cittadini, competono loro. Segreto ministeriale: Un riconoscimento fondamentale della funzione dei ministri di culto è contenuta nell'articolo 200 del codice di procedura penale per il quale i ministri di confessioni religiose (e altri soggetti) non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne Alla autorità giudiziaria. Ciò in ragione del rapporto particolare di fiducia e di confidenza che s'instaura tra ministro di culto e i fedeli. Nella Chiesa cattolica esiste l'obbligo assoluto del sacerdote al segreto confessionale di ciò che ha saputo nell'amministrare il sacramento della confessione. Ci sono poi i soggetti Confessionali sovraordinati che per la funzione che svolgono sono a conoscenza di questioni riservate riguardanti l'organizzazione ecclesiastica o la vita e l'operato di altri ministri di culto. È il caso dei vescovi e dei Cardinali nella Chiesa cattolica. Infine, i ministri di culto sono di solito depositari e custodi di documenti che contengono notizie, informazioni, dati relativi ai fedeli o ad altri ministri (registri di battesimo, di matrimonio...). Le disposizioni che tutelano al segreto ministeriale assicurano una doppia garanzia: nei confronti dell'espletamento del Ministero religioso che non potrebbe svolgersi pienamente se non garantito nella riservatezza dei propri contenuti, è nei confronti di coloro che si rivolgono al ministro del culto in base ad un rapporto fiduciario tipico delle confessioni religiose. La protezione del segreto si estende a quanto il ministro del culto ha appreso nell'esercizio del proprio ministero: ciò significa che non è necessario che chi ha confidato degli elementi riservati sia un fedele della confessione. Ciò che conta è che sussista un preciso nesso di causalita tra l'informazione pervenuta e l'esercizio del Ministero. Quindi non saranno coperte da segreto le informazioni avute solo fortuitamente o quelle fatte pervenire con lo scopo di usare fraudolentemente la riservatezza garantita dalla legge. Ovviamente possono verificarsi situazioni difficili, come quando sacerdote viene a conoscenza di un delitto compiuto ai danni di una persona e che al tempo stesso sappia che di tale delitto è stato accusato un altro soggetto. Questo spiega perché a volte nascono dei conflitti tra il ministro di culto che intende avvalersi dell'articolo 200 del codice di procedura penale e l'autorità giudiziaria che ritiene al contrario che il ministro si avvalga del proprio status per astenersi dalla testimonianza. Correlativa al diritto dovere di astenersi dal deporre del ministro di culto è l'ipotesi prevista dall'articolo 622 del codice penale, per il quale viene punito colui che rivela senza giusta causa un segreto avuta in ragione del proprio status, ufficio o dalla propria professione, o che lo impiega per profitto proprio o altrui, se è dal fatto può derivare nocumento. La tutela del segreto non si limita al profilo soggettivo, ma si estende a quegli atti o documenti che siano in possesso dei ministri di culto e che siano coperti da segreto. Infine, sotto il profilo processuale penalistico, l'articolo 129 del codice di procedura penale stabilisce che quando l'azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, l'informazione è inviata all'ordinario della diocesi a cui appartiene l'imputato. Il Concordato afferma anche che l'autorità giudiziaria dalla comunicazione all'autorità ecclesiastica competente per territorio dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici. La ragione per cui deve essere tempestivamente informata l'autorità ecclesiastica risiede nel fatto che l'autorità medesima deve essere messa in grado di valutare l'opportunità di eventuali provvedimenti cautelativi (spostamento di sede dell'interessato...) e che devono essere favorite le misure legittime di sostegno quali la nomina di un difensore, il sostegno psicologico...

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PARAGRAFO 8: INCOMPATIBILITÀ DEI MINISTRI DI CULTO. SOGGETTI CONFESSIONALI SPECIFICI Incompatibilità: • gli ecclesiastici e i ministri di culto che hanno giurisdizione e cura d'anime e coloro che ne fanno

ordinariamente le veci non sono elegibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale. Con queste incompatibilità la legge ha voluto impedire che l'influenza sociale dei soggetti indicati possa essere utilizzata per ottenere più agevolmente l'elezione e comunque si vuole evitare di favorire un legame troppo stretto tra religione e politica che potrebbe nuocere alla laicità delle istituzioni.

• I ministri di culto e i religiosi di ogni ordine e congregazione non possono essere giudici popolari delle corti d'assise. Questo perché si ritiene che i ministri di culto e i religiosi possano essere condizionati nel valutare certi comportamenti dalle proprie convinzioni morali o si dimostrino eccessivamente inclini al perdono.

• Non possono esercitare le funzioni di giudice di pace e non possono essere nominati giudici onorari aggregati.

• Non possono assumere l'ufficio di notaio (si vuole evitare che il notaio-ministro di culto favorisca gli interessi patrimoniali della confessione di appartenenza influenzando i cittadini quando si accingono a formalizzare determinati atti) e quello di esattore delle imposte (in questo caso sussiste un'intima contraddizione tra la funzione è stato viale e la natura dell'ufficio ministeriale).

Norme penali: • tra le aggravanti comuni di un reato, c'è quella di aver commesso il fatto contro un ministro del culto

cattolico o di un culto ammesso nello stato; è considerata aggravante comune anche l'aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministri di un culto.

• Viene punito anche chi indossa abusivamente l'abito ecclesiastico e ciò per tutelare la fede pubblica nella veste ecclesiastica.

• Viene sanzionato il comportamento del pubblico ufficiale o del ministro di qualsiasi culto il quale, abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati o a vincolare i suffragi degli elettori a favore o in pregiudizio di determinati liste o di determinati candidati o ad indurli all'astensione.

Altre norme: • la legislazione bilaterale prende in considerazione anche i cardinali e i vescovi. Questi hanno diritto a

che non sia ostacolato il loro libero transito ed accesso attraverso il territorio italiano al Vaticano e che non si ponga impedimento o limitazione alla loro libertà personale. Ciò significa che nessun ostacolo deve impedire ad un cardinale di accedere al conclave per assolvere alla sua funzione di elettore.

• Il ministro del culto cattolico, in quanto parroco, è rappresentante della relativa parrocchia e del responsabile dei relativi immobili, compreso l'edificio di culto; in quanto rettore, è responsabile e custode della Chiesa che gli viene affidata; i vescovi, in quanto ordinari del luogo, oltre ad essere rappresentante dell'ente diocesi, è responsabile della relativa chiesa cattedrale, assolvono ad una pluralità di compiti e funzione di natura gerarchica che hanno rilevanza civile.

Condizione giuridica dei religiosi cattolici: questi sono quelli che fanno vita in comune dopo aver emesso i voti pubblici di povertà, castità ed obbedienza. Questi voti non hanno rilevanza civile, per cui per

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chi abbia emesso voto perpetuo di castità è del tutto irrilevante quando il religioso intende contrarre matrimonio. Per quanto riguarda il rapporto tra religiosi e istituto di appartenenza sotto il profilo lavoristico, si distinguono due ipotesi: • il religioso presta la propria attività all'esterno e alle dipendenze di terzi: in questo caso, ogni volta che il

religioso mette a disposizione di un terzo le proprie energie lavorative ricevendone un corrispettivo di retribuzione, si è di fronte ad un vero e proprio rapporto di lavoro. Analogamente, il rapporto di lavoro subordinato sussiste quando si basa sulla convenzione tra il terzo e l'istituto religioso. Il religioso può in tutti questi casi corrispondere la propria retribuzione all'istituto di appartenenza utilizzando le forme previste dal codice civile, ma non può rinunciare alla retribuzione nei confronti del datore di lavoro. Infatti, qualora la prestazione lo consenta, il relativo rapporto di lavoro può proseguire anche se il religioso si dimette dall'istituto.

• Il religioso presta la propria attività all'interno dell'istituto per finalità istituzionali dello stesso istituto. In questi casi non soltanto il religioso non riceve alcuna retribuzione, ma l'istituto non considera questi rapporti come rapporti di lavoro, né sulla loro base provvede ad alcuna forma di contribuzione previdenziale. Da qui il problema che può sorgere al momento dell'eventuale recesso del religioso dall'istituto, perché l'interessato si trova senza mezzi propri di sostentamento e senza che il periodo di attività svolta abbia prodotto alcun frutto retributivo o previdenziale. La dottrina ha cercato di far rientrare queste attività in uno schema lavoristico, allo scopo di tutelare i religiosi che recedono dall'istituto. Secondo una corrente dottrinale, sussiste un rapporto di lavoro subordinato ogni volta che l'istituto svolge un'attività rilevante per l'ordinamento dello Stato, che abbia cioè carattere economico ed extra ecclesiastico. In questo caso infatti opererebbe il principio previsto dalla legge 222/ 85, secondo cui le attività diverse da quelle di religione e di culto sono soggette alle leggi civili che disciplinano. Secondo un'altra interpretazione, la relazione speciale che unisce il religioso all'ente di appartenenza è tale da legittimare e giustificare la rinuncia alla retribuzione per tutto il periodo di appartenenza del singolo all'ente. Quando però questa relazione si interrompe, il rapporto di lavoro torna ad avere valore civile facendo sorgere il diritto all'indennità di fine rapporto che spetta alla religioso come a qualunque lavoratore. Tuttavia per quanto nobili nelle intenzioni, queste tesi non sembrano fondate su elementi di diritto positivo. Il rapporto che unisce il religioso all'istituto di appartenenza è fondato sulla libera e volontaria accettazione da parte del singolo della struttura istituzionale della vita religiosa: manca allo stato attuale quella alterità tra i due soggetti che può integrare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

PARAGRAFO 9: POTESTÀ GIURISDIZIONALE E DISCIPLINARE DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE Una delle Guarentigie necessarie per l'autonomia delle confessioni religiose riguarda il riconoscimento della potestà giurisdizionale in materia spirituale e disciplinare. Se questa mancasse, né deriverebbe un danno alla confessione e allo stato. Alla confessione perché non potrebbe tener fermala propria coesione interna e ogni controversia si trasferirebbe all'esterno con l'intervento di soggetti estranei, guidati da principi alieni; allo stato perché si vedrebbe costretto ad intervenire in disputa di natura religiosa senza avere le capacità e gli strumenti necessari per risolverli adeguatamente.

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Il riconoscimento della giurisdizione ecclesiastica implica che lo Stato non può mai sostituirsi alle confessioni religiose o ai loro organi interni, per decidere autoritativamente su questioni di materia disciplinare o spirituale, né può sindacare nel merito, per modificare o annullare gli atti o i provvedimenti adottati nell'esercizio delle potestà confessionali. Inoltre deve affermarsi la irrilevanza civile degli atti o provvedimenti ecclesiastici in materia disciplinare o spirituale, nel senso che la loro e esecuzione è affidata al volontario adeguamento dei rispettivi destinatari. Per esempio, una censura dottrinale nei confronti di un fedele è del tutto indifferente per l'ordinamento civile e se alla censura si accompagnano delle sanzioni queste saranno seguite soltanto se e in quanto il destinatario volontariamente le accetti e vi si adegui. Tutto ciò rientrano nella più piena autonomia confessionale e quindi non è concepibile che lo Stato attribuisca effetti nel suo ordinamento giuridico ad atti compiuti da una chiesa in una materia che rientrano sotto ogni aspetto nel campo della sua esclusiva autonomia. Tuttavia, ci sono atti ecclesiastici che investono in qualche modo la sfera civile o penale è acquistano di conseguenza rilievo per l'ordinamento dello Stato, ma perché un atto ecclesiastico possa avere effetti civili è indispensabile che questo riguardi una materia che rientra in qualche modo nell'ambito di competenza dello Stato ( per esempio quando un atto ecclesiastico, pur rientrando nell'autonomia della confessione religiosa, sia adottato con modalità che ledono un interesse o un diritto tutelato dalle leggi dello Stato oppure quando una sanzione ecclesiastica può comportare danno per la salute o per l'incolumità del soggetto). In questi casi spetta al giudice Statuale valutare non il merito del provvedimento confessionale, bensì se le modalità con le quali è stato adottato o eseguito, integrino gli estremi dell'illecito penale o della violazione di altre leggi civili e si abbiano comportato danni civilmente rilevanti. L'esercizio della potestà giurisdizionale o disciplinare può provocare ulteriori effetti civili quando l'atto ecclesiastico incide su una situazione confessionale che di per sé è già rilevanti civilmente. Per esempio, la revoca della qualifica di ministro del culto da parte della confessione religiosa determina automaticamente il venir meno di quegli effetti della legge riconnette alla qualifica stessa, come diritti, prerogative e incompatibilità. In queste ipotesi, occorre distinguere due profili: • l'esecutorietà o meno dei provvedimenti giurisdizionali ecclesiastici : non c'è dubbio che gli atti o i

provvedimenti confessionali in materia spirituale o disciplinare non sono provvisti in sede civile di alcuna esecutorietà. Essi potranno conseguire i propri effetti o per spontaneo adeguamento del destinatario o ottenendo una sentenza civile che faccia e seguire coattivamente l'atto.

• Eventuale competenza del giudice civile, suoi poteri di intervento o di sindacato nei confronti dei provvedimenti confessionali: in linea di principio non può assolutamente sindacare il merito del provvedimento proprio per non violare l'autonomia della confessione religiosa. Tuttavia, la sua competenza resta ferma quando l'azione civile è promossa non per ottenere l'annullamento o la modifica del provvedimento confessionale, ma per ottenere un risarcimento di danni valutabili civilmente a seguito della scorrettezza del procedimento adottato in sede confessionale. Queste controversie sorgono quasi sempre nell'ambito cattolico, non soltanto perché l'esiguità strutturale delle altre confessioni religiose non favorisce l'insorgere di controversie interne, ma perché l'organizzazione cattolica presuppone per gli ecclesiastici e i religiosi un vincolo istituzionale forte ed esclusivo che provoca spesso facili tensioni. Riflesso di questa situazione è l'articolo 23 del Trattato del Laterano che stabilisce che hanno piena efficacia giuridica anche in ambito civile, in Italia le sentenze ed i provvedimenti emanati da autorità ecclesiastica ed ufficialmente comunicati alle autorità civili circa persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali e disciplinari. Si è così determinata per lungo tempo una interpretazione della disposizione con cui si finisce con il riconoscere totalmente la potestà giurisdizionale della Chiesa. In un primo tempo si è addirittura affermatola possibilità di esecuzione forzata dei provvedimenti e delle sentenze ecclesiastiche. Dopo l'entrata in vigore della costituzione, dottrina e giurisprudenza hanno progressivamente criticato e fatto ricadere gli aspetti più assurdi di questa interpretazione stabilendo che non possono avere alcuna rilevanza civile quei provvedimenti che esauriscono la loro funzione esclusivamente nella sfera spirituale e sottolineando come il principio per il quale i provvedimenti di cui all'articolo 23 del trattato sono privi di per se del carattere di esecutorietà e

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devono essere fatti valere in sede giudiziaria civile per produrre effetti civili. La cassazione poi ha ritenuto che un sindacato di merito sull'intrinseca legittimità del provvedimento canonico costituirebbe chiaramente un'indebita interferenza nella sfera dell'ordinamento della Chiesa, in palese contrasto con il principio d'autonomia ed ha affermato che il giudice può esercitare sui provvedimenti ecclesiastici forme di controllo dirette a verificare l'autenticità dell'atto, la competenza dell'organo che lo ha emesso nella non contraddittorietà all'ordine pubblico o a specifiche leggi dello Stato.

PARAGRAFO 10: SANTA SEDE E VATICANO. DALLA LEGGE DELLE GUARENTIGIE AL TRATTATO DEL LATERANO Peculiarità assoluta dell'Italia è quella di dover disciplinare i rapporti internazionali con la Santa Sede, anche dal punto di vista territoriale, e regolare nel proprio ordinamento la condizione giuridica degli organi del governo universale della Chiesa cattolica. La prima soluzione della questione romana viene data dallo stato con la legge delle Guarentigie del 1871, che ha il merito di cancellare ogni ambizione ecclesiastica di far rivivere il potere temporale dei papi e di liberare la Chiesa dalle più gravi tentazioni temporaliste. Con la legge del 1871 si perviene ad una definizione dei rapporti tra Stato unitario e Chiesa di Roma. Infatti, l'entrata in Roma delle truppe italiane il 20 settembre 1870 provoca la debellatio dello Stato pontificio e pone all'Italia il problema di definire una condizione, per il pontefice e per la Santa Sede, che garantisca loro libertà e a autonomia di azione e di governo nei confronti della Chiesa universale. La legge delle Guarentigie del 13 maggio 1871 si fonda su due principi concorrenti: 1. il Papa è riconosciuto come sovrano personale e non ha nessuna sovranità territoriale. I territori dell'ex

Stato pontificio costituiscono parte integrante dello Stato italiano unitario. 2. L'Italia però concede al Papa e alla Santa Sede delle franchigie territoriali, garantendo che sui palazzi

vaticani non verrà mai esercitata alcuna autorità da parte di soggetti italiani aventi funzioni pubbliche. I palazzi vaticani e la villa di Castel Gandolfo diventano un'isola territoriale parte integrante dello Stato italiano e tuttavia immune dall'esercizio delle sue potestà sovrane

3. al pontefice vengono riconosciuti gli attributi personali della sovranità e gli viene riconosciuto il diritto di legazione attivo e passivo, ossia il diritto di mandare e ricevere ambasciatori presso altri sovrani e presso gli altri stati, con il sottinteso intento che l'attività internazionale del Papa deve limitarsi alle questioni ecclesiastiche e spirituali. Nasce così il fenomeno delle doppie ambasciate: agli ambasciatori presso il Papa e agli inviati del Papa presso i governi esteri, sono garantite le prerogative e le immunità che spettano agli agenti diplomatici.

4. Nei palazzi vaticani e nella villa di Castel Gandolfo e ovunque il Papa si trovi a dimorare è escluso in modo assoluto che ufficiali e agenti della forza pubblica si introducano per esercitare atti del proprio ufficio. La stessa garanzia è fornita per i luoghi dove si svolgono il conclave o il concilio ecumenico.

Pio IX i suoi successori non accettano la soluzione offerta con la legge delle Guarentigie, perché è unilaterale e quindi teoricamente revocabile in qualsiasi momento e perché non contempla quella sovranità territoriale che costituirebbe la sola garanzia in grado di assicurare l'indipendenza pontefice e alla Santa Sede. Per decenni, i papi eletti decidono di star chiusi nei palazzi vaticani quasi a testimoniare di fronte all'opinione pubblica internazionale che essi subiscono una condizione iniqua che è stata imposta dall'Italia ma che non è mai stata accettata. Ad intuire che l'Italia non può vivere in permanente antitesi con la Chiesa di Roma è nel 1921 Benito Mussolini, il quale capisce anche che l'Italia ha tutto da guadagnare, anche in termini di prestigio internazionale, da un Vaticano pienamente indipendente e da una Chiesa cattolica appagata nelle sue esigenze e rivendicazioni essenziali. Sulla base di queste considerazioni, è lo stesso Mussolini che segue e guida le trattative con la Santa Sede per l'elaborazione del Trattato del Laterano e del relativo concordato che nel 1929 porta alla definitiva soluzione della questione romana. In realtà anche in Mussolini e nel re Vittorio Emanuele III permangono delle diffidenze verso un Papa che torna ad essere sovrano temporale

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ma Pio XI insiste sul punto fino a farne una condizione irrinunciabile per il proseguimento e la conclusione delle trattative. Lo scoglio viene infine superato e con i patti lateranensi dell'undici Febbraio 1929 si riconosce pienamente la sovranità territoriale che compete alla Santa Sede sullo Stato Città del Vaticano e si stabilisce un accordo che vincola l'Italia e la Santa siede a principi e regole condivise, cedendo ogni contenzioso storico. L'accordo del 1929 è composto di due atti fondamentali: il trattato del laterano, che definisce l'assetto territoriale ritenuto necessario a garantire l'indipendenza della Santa Sede, e il Concordato, che regola i rapporti tra l'Italia e Chiesa cattolica sul territorio italiano. La motivazione fondamentale che ha dato vita al trattato del Laterano sta nella volontà delle parti di assicurare alla Santa sede in modo stabile una condizione che le garantisca l'assoluta indipendenza per l'adempimento della sua alta missione nel mondo e di riconoscere alla stessa Santa sede l'assoluta e visibile indipendenza garantendole una sovranità indiscutibile anche nel campo internazionale. Le conseguenze politico giuridiche di questa impostazione sono i due cardini e essenziali del trattato: il riconoscimento da parte dell'Italia della sovranità della Santa Sede nel campo internazionale e del riconoscimento dell'Italia alla Santa Sede della piena proprietà e della esclusiva e assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano. Sono quindi sintetizzate CONTINUITÀ e innovazione rispetto alla legge delle Guarentigie: continuità politico territoriale, perché non si torna in alcun modo all'antico Stato pontificio; innovazione storico giuridica perché la Santa Sede è riconosciuta come soggetto internazionale e il lembo di territorio del Vaticano è trasformato in un minuscolo Stato sovrano assoggettato al pontefice e alla Santa sede. Quindi il Papa non è più soggetti interno all'ordinamento italiano ma un vero sovrano. Nasce quindi uno stato a servizio esclusivo della Santa Sede, soggetto alla sua sovranità, che non potrà mai espandersi né ridursi territorialmente, e con un territorio permanentemente neutralizzato per vincolo pattizio con l'Italia. La Santa sede ha piena soggettività internazionale, ma essa rimarrà sempre estranea alle competizioni temporali tra gli altri stati. Infine la città del Vaticano sarà sempre ed in ogni caso considerata territorio neutrale ed inviolabile. In questo modo l’italia non avrà più la preoccupazione di una eventuale insorgenza del potere temporale dei papi e la Santa Sede ha avuto il riconoscimento di una piena, anche se particolare, sovranità sullo stato vaticano. PARAGRAFO 11: NATURA E CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STATO CITTÀ DEL VATICANO La città del Vaticano è una realtà Statuale strumentale nei confronti della Santa Sede, il vero soggetto detentore della sovranità sullo Stato Città del Vaticano. Per Arturo Carlo Jemolo, lo Stato vaticano non è stato creato per avere una vita propria, autonoma ed aperta ad ogni sviluppo politico territoriale come avviene per gli stati nazione. Esso non può disporre di sé né del proprio territorio e non ha quei fini generici ed indeterminati di utilità dei propri cittadini che sono tipici degli altri stati. Lo Stato Città del Vaticano ha la sua prima ragione di essere nell'assicurare e garantire alla Santa Sede la piena e visibile sovranità ed indipendenza della sfera temporale e politica per la più perfetta esplicazione dei suoi compiti religiosi e spirituali. Dunque lo Stato vaticano non ha una vita politica propria, non può disporre del proprio territorio, non può avanzare rivendicazioni territoriali nei confronti dell'Italia e non può cedere neanche un centimetro del suo territorio ad un altro Stato, perché il territorio ceduto dall'Italia alla Santa siede deve servire esclusivamente a garantire la sua indipendenza e l'assolvimento delle sue funzioni. La dottrina si è posta il problema se lo Stato vaticano sia o meno uno stato teocratico, cioè uno stato nel quale sussiste la piena identità tra potere politico e potere religioso e nel quale la guida politica è affidata ad un apparato ecclesiastico e ai suoi esponenti, con esclusione di ogni altro soggetto istituzionale o sociale. La dottrina non ha dubbi in merito ed ha risolto il problema in maniera positiva. A favore di questa tesi c'è il fatto che il sommo pontefice ha la pienezza del potere legislativo, esecutivo e giudiziario e che le fonti principali del diritto oggettivo sono per lo Stato vaticano le leggi emanate dal pontefice e il codice di diritto canonico. Tuttavia, questa impostazione non tiene in considerazione due importanti elementi, uno relativo allo stato teocratico, l'altro alla speciale conformazione dello Stato vaticano. Infatti,

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ogni stato teocratico è tale in quanto la sua popolazione viene assoggettata al potere di una casta sacerdotale e viene governata in nome di principi di un determinato credo religioso. Nello Stato vaticano, però, non esiste una vera popolazione stabile, non esistono ceti sociali o correnti politiche per il semplice motivo che l'unica componente stabile esistente è proprio la casta sacerdotale. Non esistono cittadini stabili e traspare anche la chiara volontà di impedire l'estensione numerica della popolazione. La cittadinanza vaticana è sostanzialmente temporanea e senza possibilità di crescita. Ecco perché parlare del Vaticano come di uno stato teocratico è giuridicamente quasi senza significato. In realtà lo Stato vaticano non è che un grande apparato ecclesiastico che governa se stesso. Proprio per la sua singolare natura e peculiarita dello Stato Città del Vaticano, parte della dottrina nega che esso possa considerarsi un vero soggetto internazionale e sostiene la tesi monista, in base alla quale la personalità giuridica internazionale spetterebbe soltanto ed esclusivamente alla Santa Sede, in quanto è la Santa Sede che intrattiene rapporti diplomatici con gli stati e che è presente il più delle volte nelle sedi internazionali. Queste tesi non sono del tutto condivisibili se misurate sul piano del diritto positivo, perché la Santa Sede ha voluto valorizzare la presenza e la capacità giuridica dello Stato vaticano sia nelle relazioni bilaterali con l'Italia sia a livello internazionale. Inoltre lo Stato Città del Vaticano è presente a diverso titolo in molteplici organismi internazionali. Per ovvie ragioni lo Stato vaticano non fa parte dell'Unione Europea e deve considerarsi come una entità extracomunitaria. Tuttavia, quando si è trattato di coordinare alcune scelte comunitarie con i rapporti tra l'Italia e il Vaticano, l'Italia ha provveduto ad accordarsi con i partner europei per non creare difficoltà alla Santa Sede (così è avvenuto al momento dell'adozione dell'euro quando si e convenuto sulla partecipazione dello Stato vaticano ai benefici connessi alla circolazione e fruibilità della moneta comune). Lo Stato Città del Vaticano è un tipico Stato enclave, dal momento che il suo territorio è interamente circondato da quello dello Stato italiano. Ciò comporta una molteplicità di rapporti tra i due enti sovrani e alcune singolarità. È il caso del regime giuridico di piazza San Pietro, che può essere considerata come un tratto di confine aperto sul territorio italiano. Essa, pur facendo parte della città del Vaticano, deve essere normalmente aperto al pubblico anche per consentire l'accesso alla basilica di San Pietro. Quando la piazza è aperta al pubblico, questa è soggetta ai poteri di polizia delle autorità italiane, ma le autorità di polizia si arrestano ai piedi della scalinata della basilica e devono astenersi dal montare ed accedere ad essa. Di particolare importanza sono i rapporti tra giurisdizione italiana e giurisdizione vaticana. Bisogna tener presente che lo Stato Città del Vaticano, in quanto Stato sovrano, è pienamente legittimato per esercitare al proprio interno una giurisdizione penale, ma due elementi sconsigliano l'esercizio di fatto della giurisdizione: in primo luogo, l'esiguità del territorio che imporrebbe alle autorità vaticane degli oneri eccessivi; in secondo luogo la salvaguardia dell'immagine della Santa Sede. Per questo motivo di l'articolo 22 del Trattato del Laterano stabilisce che a richiesta della Santa Sede e per delegazione, l'Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che vengono commessi nella città del Vaticano. Poiché la Santa Sede non ha dato delega permanente, si procede caso per caso secondo la scelta delle autorità vaticane e si è orientata per la delega nelle ipotesi di diritti più gravi. Tuttavia la delegazione non serve quando il delitto è commesso in piazza San Pietro mentre questa è aperta al pubblico e se l'autore è stato fermato dalle autorità di polizia italiane. Non è necessaria delegazione nemmeno quando la persona è stata arrestata nella basilica di San Pietro dalla polizia italiana su richiesta della gendarmeria pontificia.

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PARAGRAFO 12: DIRITTI E PREROGATIVE DELLA SANTA SEDE Le prerogative e le Guarentigie possono essere distinte in funzione del loro carattere personale, funzionale, reale. Guarentigia personale: la prima Guarentigia personale riguarda il sommo pontefice, che l'Italia considera come persona sacra e inviolabile. Sono punibili l'attentato contro di essa, la provocazione a commetterlo, le offese e le ingiurie pubbliche commesse nel territorio italiano contro la persona del Sommo Pontefice con discorsi, con fatti e con scritti. Questi reati sono puniti come i reati verso la persona del presidente della Repubblica. Guarentigia Funzionale: molti importanti sono le Guarentigie relative all'esercizio delle funzioni e potestà di governo della Santa Sede. • La prima Guarentigia stabilisce che gli enti centrali della Chiesa cattolica sono esenti da ogni ingerenza

da parte dello Stato italiano nonchè della conversione nei riguardi dei beni immobili. La disposizione esclude ogni imposizione volta a convertire il patrimonio immobiliare. Sancisce poi il principio della non ingerenza che implica l'inibizione di ogni potere di ispezione nonché l'incompetenza della giurisdizione dello Stato nelle questioni interne a questi enti centrali.

• Art 12 del trattato :L'Italia riconosce alla Santa Sede il diritto di legazione attivo e passivo. In questo caso l'Italia si è impegnata a rendere effettivo tale diritto permettendo il transito sul territorio italiano dei diplomatici da e verso il Vaticano.

Guarentigia reale: il trattato riconosce alla Santa Sede la piena proprietà di una serie di edifici esistenti in Roma e nei dintorni (la basilica di San Giovanni Laterano, Santa Maria Maggiore, Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo con le relative dotazioni, attinenze e dipendenze). Tutti questi immobili goderanno delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di stati esteri e non saranno mai assoggettati a vincoli o ad espropriazioni per causa di pubblica utilità se non previo accordo con la Santa Sede e saranno esenti da tributi ordinari e straordinari sia verso lo Stato che verso qualsiasi altro ente. PARAGRAFO 13: PRESENZA E ATTIVITÀ INTERNAZIONALE DELLA SANTA SEDE Dopo il 1929, il governo italiano si mostra contrario alla registrazione del Trattato del Laterano presso la società delle nazioni e si oppone all'eventuale ingresso della Santa Sede nella società delle nazioni, perché era diffidente verso una totale equiparazione della Santa Sede agli altri stati, per timore che la politica internazionale vaticana potesse far risorgere il vecchio temporalismo. L'evoluzione della politica internazionale della Santa Sede può datarsi all'epoca in cui stava per finire il secondo conflitto mondiale, quando il problema di una eventuale partecipazione del Vaticano alla prossima struttura delle Nazioni Unite viene posto al rappresentante personale del presidente degli Usa presso il pontefice. La risposta che per viene dagli Stati Uniti è sostanzialmente negativa anche perché l'articolo 24 del Trattato Lateranense sembra incompatibile con l'appartenenza della Santa Sede alla futura organizzazione, anche perché renderebbe impossibile la partecipazione vaticana alle decisioni relative all'uso della forza militare. La limitatezza territoriale poi impedirebbe allo Stato Città del Vaticano di adempiere ai compiti propri di un membro della organizzazione internazionale. I confini propri dell’attività internazionale della santa sede rimangono chiari anche nei decenni successivi. La partecipazione piena della Santa Sede ad una determinata organizzazione internazionale non è possibile ogni qualvolta questa organizzazione implica o richiede assunzione di responsabilità diretta in tema di decisioni politiche e militari e ancor di più ogni volta che postula l'assunzione di impegni di partecipazione economica o militare alle iniziative che vengono assunte. E ciò non soltanto perché la Santa Sede non sarebbe in grado di assolvere questi impegni, ma soprattutto perché la neutralità delineata

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dall'articolo 24 del Trattato impedirebbe una sua partecipazione a decisioni di carattere politico e militare. Da qui l'impossibilità per la Santa Sede di essere membro a pieno titolo dell'Onu. Al di fuori di questi confini, la presenza della Santa Sede nelle sedi e negli organismi internazionali si è avvenuta con il tempo sviluppando in modo eccezionale. Il concilio Vaticano II determina la svolta decisiva, perché la Chiesa abbandona ogni residua diffidenza verso l'ordinamento internazionale. Paolo VI in particolare esprime la fiducia massima della Chiesa all'Onu offrendo una solenne ratifica morale ad essa. È la conciliazione della Santa Sede con il nuovo ordine internazionale. Da questo momento in poi la partecipazione della Santa Sede alle attività di organismi collegati con l'Onu e la sua presenza diretta negli stessi organismi conoscono una fase di grande espansione. PARAGRAFO 14: LA CHIESA, LA GUERRA, LA NEUTRALITÀ DELLA SANTA SEDE. L'articolo 24 del Trattato del Laterano esclude che la Santa Sede possa partecipare alle competizioni temporali tra gli stati e ai congressi indetti con tale oggetto. Questa disposizione sottolinea di sicuro il permanente carattere neutrale dell'azione della Santa Sede, ma non esclude affatto che questa possa assumere posizioni di carattere religioso o morale su questioni o conflitti internazionali che chiamano in causa i valori della pace e il rispetto dei diritti umani, anche perché lo stesso articolo 24 afferma che la Santa Sede si riserva in ogni caso di far valere la sua potestà morale e spirituale. È difficile immaginare che la Santa Sede prenda parte ad operazioni belliche o favorisca militarmente od economicamente una parte belligerante rispetto ad altre, ma non può nemmeno chiedersi al Papa di mantenere quella neutralità ideologica che si esige dagli Stati neutrali, perché questa imporrebbe alla Santa Sede di tacere di fronte alle guerre moderne. Tra esercizio della funzione magisteriale, ovvero della potestà morale e spirituale, e neutralità ideologica, il confine può essere labile. Quindi il vero contenuto della neutralità delineata dall'articolo 24 del Trattato del Laterano significa che la Santa Sede deve astenersi dalle competizioni temporali dagli stati ed ai congressi internazionali indetti per tale oggetto, mentre per il resto essa è libera di valutare, giudicare, pronunciarsi sulle questioni relative alla guerra e alla pace e sulle situazioni concrete di conflitto che si verificano. In realtà, ciò che più si adatta alla natura della Santa Sede e al suo diritto-dovere di esercitare la propria potestà morale e spirituale è una politica di imparzialità, anziché di neutralità, che legittima un suo intervento ogni volta che sono in gioco valori superiori di rispetto dei diritti dei popoli, delle persone e delle regole minime di convivenza tra le nazioni. Ma essere imparziali vuol dire fare sentirela propria voce ogni volta che questi valori vengono lesi, da qualunque parte provenga la lesione. Di fronte grandi conflitti mondiali della Santa Sede ha assunto posizioni diverse. La guerra del 14-18 bene qualificata da benedetto XV come un inutile strage, ma dietro la formale neutralità la Santa Sede era più vicino agli imperi centrali che non alle potenze occidentali. Durante il papato di Pio XII, durante il secondo conflitto mondiale, la Santa Sede si mantiene rigorosamente neutrale nel corso del conflitto, ma il silenzio del Papa sulle aggressioni di Hitler verso altre nazioni venne considerato da alcuni un silenzio colpevole, quasi complice, anche se la Chiesa ha sempre difeso l'atteggiamento di pio XII asserendo che eventuali sue condanne di crimini di Hitler avrebbero causato soltanto reazioni ancora più dure nei confronti delle vittime e dunque sarebbero stati controproducenti. Una decisa evoluzione verso un'autentica imparzialità della Chiesa e della Santa Sede si ha con il concilio Vaticano II e nel pontificato di Paolo VI. Il concilio prende le distanze da tutte le guerre di conquista, ma conferma la liceità del ricorso alle armi ogni qualvolta si tratta di difendere la propria patria o quando l'aggredito deve difendersi dall'aggressore. Durante la guerra del Golfo del 1991 e le guerre nell'ex Jugoslavia, la politica vaticana è stata oscillante tra due estremi, ossia tra la condanna della guerra in quanto tale da non ammettersi per nessuna ragione e all'opposto alla teorizzazione della necessità dell'intervento armato quando ci si trova di fronte ad una aggressione nei confronti di un popolo.

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Successivamente all'invasione del Kuwait, la Santa Sede assume una posizione favorevole alle trattative diplomatiche e contraria ad ogni ipotesi di intervento militare. L'ostilità vaticana verso le scelte dell'Onu cresce con il passare di mesi fino a provocare quasi una formale condanna dell'inizio delle operazioni militari da parte delle truppe alleate nel 1991. Questa posizione provoca una seria crisi nei rapporti tra Vaticano e Stati Uniti e il Vaticano non sembra più neutrale tra le parti in conflitto. La Santa Sede ha comunque modo di tornare sul problema della guerra e dell'intervento militare internazionale in occasione del conflitto apertosi in Bosnia. Dove, a seguito del dissolvimento della federazione Jugoslava, la popolazione musulmana è aggredita dalle forze militari serbe ai fini della spartizione del territorio bosniaco. In questa circostanza la Santa Sede assume posizioni del tutto opposte a quelle teorizzate all'epoca della guerra del Golfo. Il pontefice prende più volte posizione a favore della popolazione musulmana aggredita e la Santa Sede si pronuncia apertamente per un intervento dell'Onu un volto a fermare l'aggressore.Giovanni Paolo II non solo incoraggia tutte le iniziative delle Nazioni Unite ma auspica l'intervento dell'Onu che hanno il dovere e il diritto di ingerenza per disarmare l'aggressore, non quindi per favorire la guerra, ma per impedirla. La Santa Sede assume posizioni più caute nei conflitti successivi. Quando nel 1999 il governo della Serbia estende la repressione nel Kosovo, provocando così un nuovo intervento militare internazionale, il Vaticano non approva l'intervento, ma non vi si oppone come aveva fatto all'epoca della guerra del Golfo. Rimane in una posizione diffidente, si pronuncia poco e assume una posizione quasi realmente neutrale. CAPITOLO QUARTO: STRUTTURE E ATTIVITÀ DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE PARAGRAFO 1: L'ORDINAMENTO CIVILE DI FRONTE ALLE STRUTTURE E ATTIVITÀ CONFESSIONALI Oltre che dalla loro organizzazione istituzionale, la peculiarità delle confessioni religiose emerge anche dalle strutture attraverso le quali agiscono nell'ordinamento e dalle attività che esse svolgono nella società civile. Per quanto riguarda le strutture, ci sono gli istituti religiosi. Essi potrebbero essere catalogati tra i fenomeni associativi, ma il loro concreto modo di strutturarsi, con gerarchie predeterminate o determinate in modo singolare, con la vita comune che crea una sorta di comunità familiare, con attività religiose particolarissime, rende praticamente impossibile applicare ad essi le regole valide per gli enti associativi civili. Per quanto riguarda le attività, c'è la cura d'anime, cioè l'impegno pastorale che viene profuso nei confronti dei fedeli. Essa si concreta nella Amministrazione dei sacramenti, nell'insegnamento della dottrina e nell'esercizio del culto. Queste specificità pongono allo stato il problema di quale accoglienza dare alle strutture e attività Confessionali nel proprio ordinamento. Nella tradizione italiana, il regime separatista aveva seguito un atteggiamento positivo e favorevole per tutto ciò che riguardava la cura d'anime e gli enti che vi erano preposti, mentre aveva un atteggiamento ostile e in alcuni casi repressivo nei confronti di altri enti e attività, soprattutto nei confronti degli ordini e corporazioni religiose. Nei riguardi degli Enti con cura d'anime, l'ordinamento separatista non ha mai interferito con provvedimenti soppressivi, nè ha mai condizionato l'attività pastorale dei vescovi, dei parroci e dei loro collaboratori, ma ha sempre considerato questi enti e queste attività di particolare utilità sociale, perché diretti a soddisfare bisogni religiosi della popolazione. L'ostilità nei confronti degli organi o congregazione religiose e di altri enti era motivata dal fatto che questi enti avevano accumulato proprietà immobiliari spropositate (la cosiddetta manomorta ecclesiastica) e che essi svolgevano attività non utili socialmente e sottoponevano i propri membri ad obblighi visti con diffidenza dall'ideologia dell'epoca. Un mutamento di indirizzo si determina con il Concordato del 1929, che riconobbe nuovamente gli ordini e le corporazioni religiose e affermò un principio generale per il quale lo Stato in linea di massima

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riconosce gli enti ecclesiastici così come nascono e sono configurati nell'ordinamento canonico: Enti con cura d'anime, enti a base fondatizia, enti a struttura associativa. Tuttavia, nonostante l'impronta neoconfessionista, il regime concordatario non intacca alcuni principi del sistema separatista che riguardavano i confini delle attività consentite a gli enti ecclesiastici. Questi enti possono, per il Concordato, svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, ma queste attività sono assoggettati alle leggi dello Stato previste per le stesse attività (per esempio le attività di istruzione soggiacciono alle leggi statali). Gli enti ecclesiastici potevano svolgere attività assistenziale assai ridotte ma anche queste attività e quelle dell'istruzione ricadono sotto le leggi civili che ne governano. Il Concordato conferma anche quel meccanismo della autorizzazione degli acquisti, che imponeva a ciascun ente ecclesiastico l'obbligo di sottoporsi ad un iter burocratico di verifica per ciascun acquisto (acquisto, donazione, eredità), per quanto di Modica entità. Quindi, si può dire conclusivamente che la registrazione concordataria era complessivamente favorevole, ma l'atteggiamento dello Stato non cambia per tutto quello che riguarda le attività privatistiche, soprattutto di assistenza e istruzione, e non si cancella del tutto quella diffidenza verso le persone giuridiche che si concreta nella previsione di controlli sulle loro attività. Anche nella nuova legislazione ecclesiastica del 1984 si rinvengono gli stessi principi, anche se di recente si è venuta affermando un'ondata liberalizzatrice. Infatti, la legislazione unilaterale statale ha cominciato a cancellare alcune forme di controllo dello Stato che si traducevano in limitazioni per le attività delle persone giuridiche. È stata cancellata l'autorizzazione agli acquisti per gli enti privati, è stata abolita l'obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato per il riconoscimento degli stessi enti, sono state cambiate e facilitate le procedure per l'iscrizione degli Enti in appositi registri; è venuto meno il quasi monopolio dell'assistenza pubblica ed è stato intaccato il principio del senza oneri per lo Stato riferito all'istruzione privata. PARAGRAFO 2: GLI ENTI ECCLESIASTICI. DEFINIZIONE, SPECIALITÀ DI DISCIPLINA Perché si possa parlare di un ente ecclesiastico è necessario che si abbia un organo o una unità funzionale di una confessione religiosa che svolga attività di religione o di culto, e che chieda il riconoscimento civile come persona giuridica. La ecclesiasticità è una qualifica connaturata all'ente: da ciò discende il principio fondamentale in base al quale lo Stato non potrà mai riconoscere un ente ecclesiastico che non è organicamente collegato con la confessione religiosa di cui assume la qualifica. Gli enti ecclesiastici possono essere di diversissima natura, ma possono essere riconosciuti purché rispondano ai requisiti richiesti dalla legge. Molto spesso le confessioni religiose si strutturano in circoscrizioni ed enti territoriali( diocesi e Parrocchie per la Chiesa cattolica). Enti a base associativa: all'interno di questo tipo di enti ritroviamo gli istituti religiosi per la Chiesa cattolica, che riuniscono coloro che scelgono di vivere in comune e fanno professione pubblica dei voti di povertà, castità e obbedienza. Esistono però anche associazioni cattoliche di fedeli con i fini più diversi, come promuovere il culto di un santo, diffondere lo spirito missionario tra i fedeli e nella società civile, favorire le pratiche meditative... Enti a base fondatizia: negli enti a base fondatizia gli organi competenti amministrano un determinato patrimonio per conseguire una molteplicità di fini: officiare il culto, promuovere determinate opere di religione... È importante capire le ragioni per cui lo Stato detti una disciplina speciale per gli enti ecclesiastici, mentre non sono ad essi applicabili le norme di diritto comune valide per tutte le persone giuridiche private. La ragione fondamentale sta nel fatto che lo Stato riconosce l'ente ecclesiastico così come nasce nell'ordinamento confessionale, con la sua struttura originaria, senza imporre ad esso le regole che normalmente impone alle persone giuridiche private . Per gli enti territoriali in genere vige il principio gerarchico-autoritativo, per il quale a capo dell'ente vengono preposti soggetti selezionati secondo la dottrina,la tradizione e la prassi delle confessioni religiose. A questi soggetti spesso la struttura confessionale riconosce un potere di tipo monocratico e

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gerarchizzato, nel senso chela capacità decisionale e la responsabilità è personale, mentre della gestione dell'ente essi devono rispondere per via gerarchica. In conseguenza poi del principio di autostrutturazione e autoregolazione, sono in operanti per gli enti ecclesiastici quei poteri di intervento, di controllo, di sostituzione che il codice prevede per le altre persone giuridiche. Per gli enti confessionali vale un principio di non ingerenza: lo Stato non può intromettersi nelle attività di religione e di culto svolta dall'ente e non può assumere iniziative di controllo. Inoltre, la legislazione prevede un regime di privilegio tributario per tutti gli enti ecclesiastici riconosciuti. Proprio perché la condizione giuridica degli enti ecclesiastici è notevolmente diversa rispetto a quella propria delle altre persone giuridiche, lo Stato vuole in qualche modo cautelarsi perché la formazione e il riconoscimento di un ente ecclesiastico risponda ad una vera esigenza religiosa. Per questo motivo la procedura di riconoscimento e il potere di valutazione che compete alla pubblica amministrazione nel verificare l'esistenza o meno dei requisiti generali e specifici per il riconoscimento dell'ente ecclesiastico serve ad accertare che la realtà formale (documentale e Dichiarativa) corrisponda alla realtà sostanziale. PARAGRAFO 3: REQUISITI GENERALI PER IL RICONOSCIMENTO DEGLI ENTI. FINALITÀ DI RELIGIONE O DI CULTO. Nell' ambito della riforma della legislazione pattizia è stato utilizzato con una certa frequenza il riconoscimento per legge di enti ecclesiastici nuovi o già esistenti in via di fatto o esistenti in forme diverse. Spesso si fa ricorso a questa modalità di riconoscimento perché a volte si è di fronte ad enti ecclesiastici così rilevanti dal punto di vista qualitativo o per le funzioni svolte che il ricorso al procedimento amministrativo appare superfluo (così è avvenuto per la CEI). In altri casi il riconoscimento per legge si è reso necessario perché conseguente alla stipulazione dell'intesa tra lo Stato e una determinata confessione. Procedura tipica per il riconoscimento degli enti ecclesiastici cattolici e non cattolici: 1. l'ente deve presentare domanda di riconoscimento corredata dei documenti comprovanti il possesso

dei requisiti, generali e specifici richiesti dalla legge e di altri documenti necessari per illustrare la natura e le attività dell'ente ai fini delle riconoscimento al competente ufficio della prefettura.

2. L' amministrazione effettua l'istruttoria di verifica dei requisiti, generali e specifici, e può richiedere ulteriore documentazione, far presente determinate carenze documentarie o statutarie e chiedere modifiche statutarie necessarie per armonizzare lo statuto a criteri di buona amministrazione o al rispetto di diritti fondamentali delle persone.

3. In caso di accoglimento dell'istanza, è predisposto formale decreto del Ministero dell'interno con l'indicazione degli elementi che individuano la natura, la struttura e le finalità dell'ente. Il decreto deve essere emanato dopo aver udito il parere del Consiglio di Stato (che non è più obbligatorio), su proposta e previa istruttoria del ministro dell'interno. (Il riconoscimento in teoria viene concesso con decreto del presidente della Repubblica, ma nell'attuazione del programma di deregulation, la competenza è passata al Ministro dell'interno).

4. Il decreto viene pubblicato in sintesi sulla Gazzetta Ufficiale. 5. Il decreto viene comunicato al rappresentante dell'ente e alla autorità ecclesiastica che ha chiesto il

riconoscimento. La verifica principale che deve essere effettuata dall'amministrazione è quella relativa ai requisiti generali richiesti per ogni tipo di enti e consistono: • presupposto territoriale: l'ente deve avere sede in Italia • conformità confessionale: l'ente che aspira al riconoscimento deve essere approvato dagli organi

competenti della confessione di appartenenza. Per questi due requisiti non si ipotizza un vero esercizio della discrezionalità da parte dell'amministrazione, dal momento che deve essere accertata l'esistenza e la congruità di questi documenti.

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• Esistenza del fine di religione o di culto. Nell'accertare questo requisito l'amministrazione eserciterà maggiore discrezionalità. Il fine di religione o di culto caratterizza ontologicamente l'ente ecclesiastico: solo dopo aver verificato la sua esistenza e la sua centralità nella conformazione dell'ente, lo Stato dà luogo ad un riconoscimento. In relazione alle finalità religiose,si deve distinguere la normativa per gli enti cattolici e quella stabilite per le intese, essendo diversificate in alcuni punti importanti.

NORMATIVA DEGLI ENTI CATTOLICI: ARTICOLI 2 E 16 DELLA LEGGE 222/ 85. Secondo l'articolo 2 gli enti che hanno fine di religione o di culto sono quelli che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari. Per altre persone giuridiche canoniche, per le fondazioni e per gli enti ecclesiastici che non hanno personalità giuridica nell'ordinamento della Chiesa, il fine di religione o di culto è accertato di volta in volta in conformità alle disposizioni dell'articolo 16. Questo accertamento serve per verificare che il fine di religione o di culto sia costitutivo ed essenziale dell'ente. L'articolo 16 distingue a gli effetti civili: • attività di religione o di culto: sono le attività dirette all'esercizio del culto e alla cura d'anime, alla

formazione del clero e di religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana. L' appartenenza a questa categoria di un ente non implica che il suo riconoscimento civile è dato per certo, ma soltanto che nei suoi confronti non si dà luogo ad una indagine specifica sull'esistenza del fine di religione o di culto. Anche questa presunzione non è assoluta perché l'amministrazione deve accertare la conformità dell'ente alla sua denominazione.

• Attività diverse da quelle di religione o di culto: sono le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e le attività commerciali o a scopo di lucro. Per gli Enti che hanno attività diverse da quelle di religione o di culto, l'accertamento è diretto a verificare che il fine religioso è costitutivo ed essenziale dell'ente, nonché prevalente rispetto ad altre attività profane e costitutive la ragion d'essere dell'ente. In un solo caso attività diverse da quelle di religione o di culto possono assurger e al rango di finalità, ossia quando si tratti di attività caritative. Per l'articolo 2 della legge 222/ 85, il fine di religione o di culto può essere connesso a finalità caritative. Ciò vuol dire che la finalità religiosa non può essere connesse ad altre finalità, come l'istruzione, la cultura, la sanità, e che le attività profane possono essere svolte ma devono mantenere un ruolo marginale senza assurgere al rango di finalità. Esse cioè non devono condizionare la vita dell'ente.

Ci sono pertanto alcuni enti ecclesiastici per i quali il fine di religione o di culto è presunto, ed enti per i quali si deve effettuare l'accertamento volta per volta. NORMATIVA PER LE INTESE: il requisito del fine di religione o di culto è richiesto anche per gli enti appartenenti alle confessioni religiose non cattoliche e disciplinati da intese, ma mentre l'indicazione delle attività profane è identica a quella contenuta nella normativa di derivazione concordataria, le attività di religione e di culto sono adattate alle peculiarità e alle specifiche esigenze delle singole confessioni. Alcune intese, rispetto al sistema delineato per gli enti cattolici, contengono una differenza di disciplina di notevole rilievo quando prevedono il riconoscimento della personalità giuridica degli enti ecclesiastici valdesi aventi congiuntamente i fini di culto, istruzione e beneficenza e degli enti ecclesiastici luterani che abbiano fine di religione o di culto, solo o congiunto con quelli di istruzione o beneficenza. Il carattere anomalo di queste disposizioni è notevole perché analoga congiunzione di fini non è concessa a gli enti cattolici. PARAGRAFO 4: REQUISITI SPECIFICI PER ALCUNE TIPOLOGIE DI ENTI Il nuovo Concordato e la legge 222/85 delineano la tipologia non tassativa degli Enti e prevedono per alcuni di questi dei requisiti specifici di cui deve essere verificata l'esistenza.

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• Santa Sede: confronta paragrafo 6 cap 4 • Conferenza Episcopale Italiana: confronta CAPITOLO 3 paragrafo 6 • diocesi e Parrocchie: non ci sono dei requisiti specifici richiesti alle strutture territoriali cattoliche,

però il Concordato afferma chela Santa Sede si impegna a non includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesila qui sede vescovilesi trovi nel territorio di altro Stato.

• Chiese: devono avere tre requisiti specifici - deve essere aperta al culto pubblico: ovvero deve essere regolarmente officiata e i fedeli

devono poter accedere senza limiti predeterminati. - Deve essere provvista di mezzi sufficienti per la manutenzione e per la officiatura. - Devono essere annesse ad altro ente ecclesiastico: perché possa parlarsi di Chiesa annessa

non è sufficiente checi sia vicinanza tra l'edificio di culto e di un ente ecclesiastico, maci deve essere un rapporto di integrazione o Subordinazione e funzionale che uniscala Chiesa ad un altro ente.

• Istituti religiosi, società di vita apostolica: gli istituti religiosi sono caratterizzati dalla vita in comune dei membri dell'istituto e dalla professione dei voti di povertà, castità e obbedienza. I requisiti specifici richiesti a gli istituti religiosi sono:

- la sede principale in Italia - devono essere rappresentati da cittadini italiani aventi il domicilio in Italia.

Questi requisiti sono sufficienti per il riconoscimento degli istituti religiosi di diritto pontificio, ossia di quegli istituti che sono approvati dalla Santa Sede e che presuppongono una notevole insediamento sociale. La legge 222/85 consente il riconoscimento anche degli istituti religiosi di diritto diocesano, che sono stati eletti o approvati dall'ordinario di una diocesi e che non hanno raggiunto l'espansione e le dimensioni che di solito precedono l'approvazione pontificia. Requisiti specifici richiesti sono:

- devono ottenere l'assenso della Santa Sede rilasciato in vista del riconoscimento civile - devono fornire in sede di domanda di riconoscimento opportune garanzie di stabilità.

Per quanto riguarda le società di vita apostolica, esse si differenziano dagli istituti religiosi per il fatto che il loro membri non fanno i voti di povertà, castità e obbedienza, ma conducono la vita in comune secondo un proprio stile. Requisiti specifici sono:

- perseguimento di un fine religioso o di culto - possesso di tutti i requisiti specifici richiesti per gli istituti religiosi di diritto pontificio - assenso della Santa Sede che approva la domanda di riconoscimento è implicitamente

certifica la solidità dell'ente. • Fondazioni di culto: sono quegli enti la cui base fondatizia consiste in una massa patrimoniale destinata

al perseguimento di un fine di culto. Possono essere costituiti per favorire o promuovere il culto di un santo o di una figura o immagine religiosa tradizionale e per altre funzioni. Requisiti specifici richiesti sono:

- la sufficienza dei mezzi per il raggiungimento di fini - la rispondenza alle esigenze religiose della popolazione.

• Associazioni pubbliche e private dei fedeli Associazioni pubbliche: sono dei veri enti ecclesiastici in quanto le associazioni pubbliche impegnano l'istituzione ecclesiastica e sono collegate strettamente con la gerarchia cattolica. Requisiti specifici sono:

- l'assenso della Santa Sede - non devono avere carattere locale.

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Associazioni pubbliche che non possono ottenere il riconoscimento e associazioni private dei fedeli: ad esse l'ordinamento consente di chiedere il riconoscimento come persone giuridiche private mantenendo una certa rilevanza civile del proprio carattere ecclesiastico. Esse restano in tutto regolate dalle leggi civili, salvo la competenza dell'autorità ecclesiastica circa la loro attività di religione o di culto e i poteri della medesima in ordine a gli organi statutari. Ne discende che le associazioni citate devono agire sulla base del diritto comune e quindi devono presentare istanza di riconoscimento alla autorità civile competente, corredata dai documenti richiesti dalle leggi civili per il riconoscimento delle persone giuridiche. Tuttavia, anche in questa fase l'associazione è soggetta ad oneri particolari. Infatti, oltre a comprovare il fine di religione o di culto che persegue, essa deve allegare alla domanda all'atto di costituzione o approvazione dell'autorità ecclesiastica dal quale risulta anche l'assenso della stessa ai fini del riconoscimento. Molto importante è la questione della discrezionalità che compete all'amministrazione nell'adottare il provvedimento a favore dell'ente ecclesiastico. A questo proposito vengono distinti: • controlli di legittimità: che riguardano l'approvazione ecclesiastica dell'ente, la sede in Italia, l'assenso

dell'autorità confessionale, i requisiti del rappresentante legale per gli istituti religiosi. In questi casi l'apprezzamento civile si limita alla verifica dell'esistenza e della regolarità dei requisiti e della relativa documentazione.

• Controlli di merito: diversa è la valutazione degli organi amministrativi circa la sussistenza degli altri requisiti previsti perle diverse categorie di enti ossia per l'accertamento del fine di religione o di culto, per la verifica del carattere non locale delle società di vita apostolica, per la congruità dei mezzi, per la sufficienza dei mezzi e la rispondenza alle esigenze religiosa della popolazione. Nell'accertare l'esistenza di questi requisiti, sono di competenza dell'amministrazione le valutazioni e gli apprezzamenti riguardanti lo specifico provvedimento da adottare.

PARAGRAFO 5: CONDIZIONE GIURIDICA DEGLI ENTI ECCLESIASTICI, DAL RICONOSCIMENTO ALL'ESTINZIONE. Una volta ottenuto il riconoscimento, gli enti confessionali assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. La loro condizione giuridica è determinata da un singolare intreccio tra normativa confessionale, legislazione pattizia, diritto comune. Il primo adempimento che deve essere assolto da parte del ENTI ecclesiastici di qualunque confessione religiosa è quello dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche tenuto presso le prefetture. Devono essere indicati la data dell'atto costitutivo, la denominazione, lo scopo, il patrimonio, la durata se è determinata, la sede della persona giuridica, il nome degli Amministratori. Occorre però tenere presente che la normativa pattizia a sua volta prevede che nel registro delle persone giuridiche devono risultare le norme di funzionamento ed i poteri degli organi di rappresentanza. Circa la condizione giuridica cui sono soggetti, dopo il riconoscimento, gli enti ecclesiastici, bisogna distinguere tra le attività di religione e di culto, nei confronti delle quali è pienamente operante il principio di autonomia dell'ente e di non ingerenza delle autorità pubbliche, e le attività diverse da quelle di religione o di culto, perle quali tornano ad essere pienamente efficaci le norme e le disposizioni dell'ordinamento relative alle specifiche attività. PRINCIPI CARDINE:

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• la gestione ordinaria e gli atti di straordinaria amministrazione degli Enti ecclesiastici si svolgono sotto il controllo delle rispettive autorità confessionali e senza ingerenza da parte dello Stato. Ciò significa che gli enti ecclesiastici, per tutto ciò che riguarda la loro struttura, la gestione delle attività di religione e di culto, la gestione ordinaria e straordinaria dell'ente, sono tenuti all'osservanza, oltre che dei propri statuti, anche dei rispettivi ordinamenti confessionali, e quindi dipendono dalle autorità confessionali che sono loro proposte.

• Le attività diverse da quelle di religione e di culto, svolte dagli ENTI ecclesiastici sono soggette, nella rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, alle leggi dello stato riguardanti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime. Questo principio che ogni qualvolta gli enti gestiscono attività che ai sensi della legislazione pattizia non possono essere considerate attività di religione o di culto, essi tornano ad essere, nell'esercizio di queste attività, soggetti privati del tutto uguali a coloro che svolgono le stesse attività nell'ordinamento (spesso gli enti ecclesiastici gestiscono scuole, ospedali e attività commerciali, come quella della produzione di bevande alcoliche o prodotti dolciari). In tutte queste ipotesi la legislazione civile che riguardale singole attività torna ad essere pienamente operante per l'ente ecclesiastico gestore. Inoltre, gli enti sono tenuti ad avere una contabilità di bilancio regolare per ciascuna attività ed inoltre tali attività diverse da quelle di religione o di culto sono consentite purché compatibili con la struttura delle finalità degli Enti ecclesiastici.

• Gli enti confessionali riconosciuti devono mantenere nel tempo una sostanziale continuità di fini e di modi di essere e non possono di scostarsi sensibilmente da quei caratteri strutturali che ne hanno consentito e legittimato il riconoscimento. Con questo principio si vuole evitare che la personalità giuridica sia considerata come un mero strumento tecnico per perseguire altre finalità rispetto a quelle originarie. Per questo è stato stabilito che ogni mutamento sostanziale nel fine, nella destinazione dei beni e nel modo di esistenza di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto acquista efficacia civile mediante riconoscimento con decreto del Ministro dell'interno udito il parere del Consiglio di Stato. Le modificazioni quindi sono ammesse, ma quando tale modificazione è rilevante occorre un nuovo riconoscimento in sede civile che verifichi la congruità delle nuove condizioni di vita alla legislazione speciale su gli enti. In più, un ente può cambiare denominazione, trasferire la sua sede da una città in un'altra, modificare la dipendenza da un'autorità ecclesiastica ad un'altra, ma questi mutamenti nel modo di essere dell'ente devono essere riconosciuti in sede civile. Viene anche stabilito che nel caso il mutamento faccia perdere all'ente uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento può essere revocato il riconoscimento stesso con decreto del Ministro dell'interno, sentita l'autorità ecclesiastica e udito il parere del Consiglio di Stato. La revoca delle riconoscimento civile si può avere in caso di mutamenti profondi e radicali.

Soppressione o estinzione dell'ente ecclesiastico: questo avviene sulla base di provvedimenti dell'autorità ecclesiastica. In questi casi poiché la confessione religiosa interessata opera nell'ambito della sua autonomia, non c'è spazio per una attività discrezionale dell'amministrazione alla quale compete soltanto di dar seguito al provvedimento ecclesiastico. Il provvedimento di soppressione è trasmesso al ministero dell'interno il quale con proprio decreto ne dispone l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche e provvede alla devoluzione dei beni e all'ente soppresso o estinto. Natura giuridica degli Enti ecclesiastici: dalla disciplina comune degli enti ecclesiastici emergono degli elementi che lasciano trasparire l'intento del legislatore di accostare nei limiti del possibile la condizione giuridica di questi enti a quella delle persone giuridiche private: l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche private;la discrezionalità che presiede al riconoscimento degli Enti ecclesiastici; l'assoggettamento delle attività diverse da quelle di religione o di culto alle leggi dello Stato. Complessivamente si può dire che una volta ottenuto il riconoscimento gli enti confessionali costituiscono delle persone giuridiche private dotate di una speciale autonomia in una ragione del carattere ecclesiastico che lo Stato riconosce e tutela specificamente.

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PARAGRAFO 6: LA SANTA SEDE E LE SUE ATTIVITÀ RILEVANTI NELL'ORDINAMENTO ITALIANO La Santa Sede agisce come ufficio del pontefice, come complesso di organi di governo della Chiesa universale e come soggetto di diritto internazionale. In quanto tale, essa gode della personalità giuridica di tipo pubblicistico e internazionale ed è disciplinata dalle norme di diritto canonico, di diritto internazionale e dal Trattato del Laterano. La Santa Sede opera anche nell'ordinamento giuridico italiano come persona giuridica iure privatorum e in particolare come ente ecclesiastico: tuttavia essa non è soggetta a gli obblighi degli altri enti ecclesiastici, come l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche ecc. nella realtà le relazioni tra Santa Sede e ordinamento italiano presentano delle peculiarità. • In primo luogo, le attività puramente privatistiche (gestione di istituti scolastici, assistenziali e altre

attività economiche e commerciali) sono soggette alla legislazione italiana relativa alle specifiche attività

• le retribuzioni di qualsiasi natura dovute dalla Santa Sede, dagli altri enti centrali della Chiesa cattolica e dagli enti gestiti direttamente dalla Santa Sede, a dignitari, impiegati e salariati saranno nel territorio italiano esenti da qualsiasi tributo sia verso lo Stato che verso ogni altro ente. Questo privilegio è finalizzato a garantire alla Santa Sede la sua autonomia e riservatezza di bilancio. Bisogna anche tener conto che la maggior parte dei dipendenti della Santa Sede sono cittadini italiani e che se lo Stato italiano percepisse imposte sulle retribuzioni di questi funzionari colpirebbero apparentemente redditi prodotti sul territorio italiano, ma in realtà farebbero un prelievo sulle risorse della Santa Sede. Perciò la ragione del privilegio sta nel voler garantire che le risorse della Santa Sede impiegate nell'assolvimento della sua missione istituzionale siano considerate intangibili per lo Stato italiano, anche quando sono erogate a cittadini italiani. In pratica, le retribuzioni dei dipendenti della Santa Sede e degli Enti da essa gestiti sono da considerare a gli occhi del fisco italiano come non esistenti

• altro problema riguarda l'immunità giurisdizionale che spetterebbe alla Santa Sede e agli Enti da essa gestiti nei confronti dei rapporti di lavoro dei propri dipendenti. La cassazione ha drasticamente distinto il territorio dello Stato Città del Vaticano, su cui la Santa Sede ha giurisdizione esclusiva, dagli enti siti in una zona extraterritoriale per i quali valgono le regole del diritto consuetudinario internazionale che si applicano alle sedi diplomatiche degli Stati esteri. Si è riconosciuta quindi l'immunità giurisdizionale solo per quelle attività poste in essere dalla Santa Sede nell'esercizio delle loro finalità primarie e strettamente istituzionali. Tuttavia la cassazione è sempre più orientata verso un indirizzo restrittivo verso le immunità giurisdizionali, soprattutto quando sono coinvolti i diritti delle lavoratore e questi non sono garantiti da una giurisdizione imparziale ed equa.

PARAGRAFO 7: LE ATTIVITÀ DI ASSISTENZA E BENEFICENZA. LE ONLUS Il diritto comune ha subito negli ultimi anni una evoluzione improntata a favorire le iniziative privatistiche in una serie di settori sociali sui quali lo stato esercitava una forte egemonia. Ciò ha comportato una liberalizzazione che ha investito direttamente anche le attività degli Enti ecclesiastici. Il primo terreno di intervento è stato quello dell'assistenza e beneficenza che per oltre un secolo è stato disciplinato dalla legge Crispi, che creò le cosiddette IPAB, cioè Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, affermando quasi una monopolio dell'assistenza da parte dello Stato, restando ai privati la possibilità di istituire comitati di soccorso o di beneficenza che hanno una limitata capacità di azione. Una lunga serie di interventi legislativi ha modificato nel tempo l'impostazione della legge Crispi. Con il Concordato del 29 si sottraggono ad ulteriori trasformazioni in IPAB le confraternite aventi scopo esclusivo o prevalente di culto. Ma la corte costituzionale, in alcune sentenze del 81 e del '88, partendo dal principio dell'articolo 38 della costituzione per il quale l'assistenza privata è libera, dichiara finito il quasi monopolio statale e afferma che l'intervento privato deve potersi esplicare pienamente.

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La legge di riforma generale dell'assistenza 328/2000, fa avvertire l'esigenza di affiancare organizzazioni private e pubbliche per coprire la vasta gamma di necessità che si presentano nella società contemporanea. Il principio stabilito da questa legge è quello di realizzare un sistema integrato di interventi e servizi sociali la cui programmazione e l'organizzazione compete a gli enti locali, alle regioni e allo stato, e al tempo stesso di riconoscere e agevolare il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni ed degli Enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato Patti, accordi o intese operanti nel settore della programmazione, nella organizzazione e nella cessione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Tale legge di riforma inserisce le IPAB nel sistema integrato e prevede la possibilità di trasformare le IPAB in associazioni o in fondazioni di diritto privato. La riforma dell'assistenza ha anche previsto che gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, possano essere soggetti attivi del nuovo sistema integrato dell'assistenza. Le attività di assistenza degli Enti ecclesiastici, in quanto attività diverse da quelle di religione o di culto, sono disciplinate dalle leggi dello stato relative alle attivita assistenziali, ma il cambiamento di questa legislazione statale, un tempo restrittiva e diffidente, oggi positiva e agevolativa, tende a favorire le attività assistenziali degli Enti ecclesiastici senza le limitazioni del passato. Tuttavia, prima ancora della legge 328/ 2000, il diritto comune aveva provveduto a riconoscere e favorire attività e organizzazioni non lucrativi, in quanto negli ultimi decenni si sono moltiplicate le iniziative di privati nei più vari campi di interesse sociale e collettivo: assistenza E beneficenza, temi ambientali ed ecologici, tutela dei beni culturali, promozione di diritti civili... il decreto legislativo 460/ 97 sul riordino della disciplina tributaria degli Enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale ( ONLUS) delinea un vero e proprio regime speciale a favore di questi enti, consistente in agevolazioni fiscali, contributive e nell'esenzione di determinati adempimenti, che tende alla loro valorizzazione e promozione. Il decreto pone delle condizioni per la configurabilità di tali enti come enti non commerciali e per la fruibilità delle agevolazioni previste: • questi enti devono essere strutturati democraticamente e gli associati o partecipanti maggiori d'età

devono avere il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello Statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione.

• La gestione deve essere condotta su basi di trasparenza, con l'obbligo di redazione e approvazione annuale di un rendiconto economico finanziario e di contabilità separata per le attività commerciali.

• Tali organizzazioni hanno l'obbligo di inserire nella rispettiva denominazione la locuzione ONLUS. In questo quadro, anche gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese possono essere considerati ONLUS, limitatamente però all'esercizio delle attività previste dal decreto stesso. Per tali enti si detta una normativa particolare per accordare la disciplina delle ONLUS con quella degli Enti ecclesiastici: infatti gli enti confessionali non hanno l'obbligo di inserire nella propria denominazione il termine ONLUS, perché se lo facessero snaturerebbero se stessi, visto che devono perseguire primariamente e prevalentemente finalità di religione o di culto. Pertanto l'ente ecclesiastico non muta natura per il fatto che svolge attività rientranti tra quelle previste per le ONLUS e non potrebbe comunque farlo dal momento che è stato riconosciuto in quanto persegue finalità di religione o di culto. Esso però, limitatamente alle attivita ONLUS, fruisce delle agevolazioni previste dal decreto legislativo 460/ 97. PARAGRAFO 8: LE ATTIVITÀ DI ISTRUZIONE Complesso in Italia è il rapporto tra scuola pubblica e scuola privata. Nei paesi anglosassoni si registra una sostanziale accettazione del ruolo formativo delle scuole private accanto a quelle pubbliche. In Francia,

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alla scuola pubblica sostanzialmente laica corrisponde una forte rete di scuole confessionali cattoliche che sono state inserite nel sistema scolastico sotto la denominazione di scuole separate. Esse sono riconosciute dallo stato che rilasciano titoli di studio validi a tutti gli effetti. In Italia, invece, una certa aspirazione confessionale della scuola pubblica ha nei fatti attenuato le richieste di rafforzare la scuola privata, che ha svolto un ruolo molto esiguo se non marginale. La Chiesa cattolica chiede da tempo una sostanziale parità tra scuola pubblica e privata, anche sotto il profilo del sostegno finanziario, ma l'ostacolo principale che impedisce la realizzazione di tale progetto resta quello del disposto costituzionale per il quale il diritto di enti e di privati di istituire scuole di ogni ordine e grado è sancito con la clausola aggiuntiva del senza oneri per lo Stato (art 33 Cost, co 2). Si è cercato in vari modi di interpretare e estensivamente tale clausola ora sostenendo che lo Stato non è obbligato ad agevolare economicamente la scuola privata, ma può intervenire a favore di questa; ora affermando che non ci può essere un finanziamento diretto alle scuole private, ma c'è possono essere sovvenzioni alle famiglie. Di recente si è fatto leva sull'articolo 33 della costituzione, per il quale è compito della Repubblica istituire scuole di ogni ordine e grado e se ne è tratta la conclusione che sia gli enti pubblici che gli enti privati possono partecipare paritariamente alla finalità sociale dell'istruzione e dell'educazione. Contro tale tesi si è sostenuto che le scuole pubbliche e le scuole private esprimono esigenze e rispondono alle logiche diverse, perché mentre la scuola statale svolge una funzione pubblica riconducibile ad un diritto sociale costituzionalmente garantito, le scuole private sono espressione della libertà di coscienza e di impresa, che godono di piena tutela e legittimità costituzionale, ma in quanto espressioni particolari di tendenze culturali e a religiose, non svolgono una funzione per tutti. Pertanto le risorse finanziarie pubbliche devono essere destinate al sistema formativo pubblico, nel quale tutti possono riconoscersi. Da questo dibattito è scaturita la prima normativa organica sul rapporto tra scuola pubblica e scuola privata. La legge 62/ 2000, detta norme per la parità scolastica e le disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione, istituisce il sistema nazionale di istruzione costituito dalle scuole statali e delle scuole paritarie private e degli Enti locali. Questa legge stabilisce le condizioni per riconoscere le scuole paritarie, abilitate cioè a rilasciare titoli di studio aventi valore legale. Le scuole paritarie: • devono avere un progetto educativo in armonia con i principi della costituzione • devono prevedere l'istituzione e gli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica • devono permettere l'iscrizione alla scuola per tutti gli studenti di cui genitori ne facciano richiesta • devono permettere l'applicazione delle norme vigenti circa l'inserimento di studenti con handicap o in

condizioni di svantaggio. Alle scuole paritarie è comunque assicurata piena libertà per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico. Circa l'impegno finanziario pubblico, la legge prevede un piano diretto alle regioni mediante il quale si assegnano delle borse di studio alle famiglie, di importo pari alle spese sostenute. Si è così scelta la strada del finanziamento alle famiglie, invece che alle scuole direttamente, per tener fede al disposto costituzionale del senza oneri per lo Stato. Ovviamente questa soluzione non ha soddisfatto né chi si attendeva una vera legge sulla parità, perché questi hanno visto nel sistema delle borse di studio soltanto un palliativo che non affrontala questione di fondo che è quella di una forma di finanziamento che riguarda tutti coloro che, invece di fruire del servizio scolastico pubblico, scelgono le strutture scolastiche private; né i sostenitori della laicità dello Stato che hanno visto in questa legge una breccia per introdurre un primo finanziamento della scuola privata. Attualmente è generalizzato il versamento di contributi a scuole private per sostenere servizio mensa per gli studenti, trasporto gratuito di tutti gli alunni, e l'assegnazione gratuita dei libri di testo per gli alunni della scuola dell'obbligo. PARAGRAFO 9: ATTIVITÀ ISTITUZIONALI DEL CLERO E A RAPPORTI FINANZIARI TRA STATO E CONFESSIONI

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Le attività di cura d'anime del clero cattolico e le attività pastorali dei ministri di culto sono per l'ordinamento civile del tutto irrilevanti. Eppure a ben guardare lo Stato risulta essere molto più interessato a queste attività rispetto ad altre che magari disciplina accuratamente e fa di tutto per agevolarle e favorirle. Con la riforma della legislazione ecclesiastica cominciata nel 1984, l'interesse dello Stato per le attività istituzionali del clero è aumentato e si è espresso all'interno di un vero sistema di finanziamento agevolato delle confessioni religiose. Il sistema di finanziamento si fonda su due concorrenti flussi finanziari, l'uno privato, l'altro pubblico. Il flusso finanziario privato consiste nelle erogazioni volontarie in denaro che i cittadini versano ad un determinato ente e che possono essere dedotte dal reddito complessivo di ciascuna persona fisica, in sede di dichiarazione fiscale annuale, fino all'importo di 2 milioni. Le erogazioni volontarie per la Chiesa cattolica sono a destinazione esclusiva, nel senso che possono essere utilizzate soltanto per alimentare il sistema di sostentamento del clero. Il flusso finanziario pubblico prevede la destinazione annuale di una quota pari all’8 x 1000 del gettito complessivo Irpef , in parte a scopi di carattere religioso a diretta gestione delle singole confessioni religiose, in parte a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale. La quota gestita dallo stato è destinata a interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione dei Beni Culturali. Le quote gestite dalle confessioni sono utilizzabili per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo. Il sistema di finanziamento delle chiese è organizzato in modo tale da superare la concezione tradizionale che limitava il contributo dello Stato al sostentamento del clero, mentre attualmente il finanziamento privato e quello pubblico possono essere utilizzati per alcuni finalità istituzionali delle confessioni, ma anche per attività sociale. Ovviamente, il sostentamento del clero cattolico e dei ministri di culto delle altre confessioni resta l'obiettivo primario della riforma dei rapporti finanziari tra stato e chiese. Pur essendo stato concepito e realizzato in modo tale da essere aperto a diverse confessioni, il sistema di finanziamento è per gran parte utilizzato dalla Chiesa cattolica in quanto confessione che riscuote la stragrande maggioranza dei consensi sociali. Di qui i due indirizzi che la riforma ha seguito:

1. indirizzo di carattere materiale: con esso sono state create le strutture abilitate a ricevere i flussi finanziari ed erogare poi le somme ai sacerdoti cattolici sotto forma di remunerazione.

2. Indirizzo di carattere giuridico: con esso sono stati definiti i diritti e i doveri delle competenti autorità ecclesiastiche e dei sacerdoti, in quanto destinatari del sistema di finanziamento.

La nuova disciplina del sostentamento del clero cattolico ha provveduto ad abolire gli antichi benefici ecclesiastici, creando al loro posto diocesi e Parrocchie, quali veri enti ecclesiastici territoriali riconosciuti. Inoltre, ha sostituito ai benefici gli istituti diocesani per il sostentamento del clero (IDSC) coordinati dall'istituto centrale per il sostentamento del clero(ICSC). Gli istituti diocesani per il sostentamento del clero sono diventati l'asse portante del nuovo sistema, in quanto hanno il compito di provvedere alla erogazione e alla remunerazione nei confronti di tutti i sacerdoti che prestano servizio in favore delle diocesi. Gli istituti diocesani per il sostentamento del clero sono degli Enti ecclesiastici singolari: • sono enti necessari, perché devono rispondere alla finalità stabilita per legge di provvedere al

sostentamento del clero e quindi non possono essere eretti o soppressi dall'autorità ecclesiastica a loro discrezione.

• Essi sono in numero quasi predeterminato, in quanto ogni diocesi deve essere provvista del suo Istituto diocesano per il sostentamento del clero.

• Anche la struttura di questi enti è predeterminata, in quanto sono gestiti da un consiglio di amministrazione composto per almeno un terzo dei suoi membri da rappresentanti designati dal clero diocesano su base elettiva.

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• Per quanto riguarda l'attività degli istituti diocesani per il sostentamento del clero, essi non possono svolgere attività contrastanti con le proprie finalità e funzioni, che comportino cioè un qualche decremento patrimoniale. Da ciò si deduce che questi enti non hanno finalità di religione o di culto immediatamente percepibile, perché il loro scopo primario è quello di gestire un patrimonio o regolare i flussi finanziari che gli pervengono, al fine di garantire il complessivo sostentamento del clero.

• Per quanto riguardala natura giuridica degli istituti diocesani per il sostentamento del clero e dell'istituto centrale per il sostentamento del clero, si può dire che presi singolarmente questi enti sono assolutamente anomali, mentre complessivamente considerati costituiscono i fondamenti di un sistema patrimoniale e finanziario cui lo Stato contribuisce direttamente, e perseguono una finalità, quella del sostentamento del clero cattolico, che riveste valore confessionale, sociale e politico. Pertanto il loro carattere ecclesiastico è del tutto diverso da quello previsto dalla legge 222/ 85 e deriva dalla finalità di sostentamento del clero.

In linea di massima nessuno Istituto diocesano è in grado, con i frutti del proprio patrimonio, di far fronte alle necessità remunerative del clero della diocesi e quindi dovrà avere una integrazione delle proprie risorse ad opera dell'istituto centrale. Questo a sua volta riceverà il flusso finanziario derivante dalle erogazioni volontarie, e quella parte della quota dell'otto per 1000 che la CEI destinerà al sostentamento del clero. Attraverso la gestione delle somme provvederà ad integrare le risorse e dei singoli istituti diocesani per il sostentamento del clero. PARAGRAFO 10: REMUNERAZIONE DEL CLERO CATTOLICO E DEI MINISTRI DI ALTRI CULTI La legge 222/ 85 completa il sistema disciplinando i profili soggettivi della remunerazione del clero cattolico, individua cioè i diversi soggetti cui si deve far riferimento per l'applicazione della riforma. Elemento propulsore del sistema remunerativo è il diritto-dovere della CEI di decidere periodicamente la misura della remunerazione che assicuri il congruo e dignitoso sostentamento del clero che svolge servizio in favore delle diocesi. Al centro della normativa, però, è il diritto soggettivo a ricevere la remunerazione, riconosciuto a tutti i sacerdoti che prestano servizio in favore delle diocesi. Soggetti obbligati sono gli istituti diocesani per il sostentamento del clero, che provvedono alla erogazione della remunerazione o ad una sua integrazione, per tutti quei sacerdoti che non raggiungono, con redditi propri, la misura stabilita dalla CEI. Alla CEI è lasciata ampia autonomia nel definire la misura della remunerazione, con il limite che questa deve essere congrua e dignitosa. Per quanto riguarda i destinatari, il nuovo sistema estende il diritto ad una congrua e dignitosa remunerazione a tutti i sacerdoti che prestano servizio a favore della diocesi, qualunque sia l'incarico avuto dei rispettivi vescovi, senza che nessuna categoria clericale ne sia esclusa. Non è necessario il requisito della cittadinanza perché il sacerdote che presta servizio a favore della diocesi riceva la remunerazione. Tuttavia viene considerato servizio ministeriale in favore della diocesi soltanto quello svolto a tempo pieno, mentre i sacerdoti a tempo definito sono coloro che svolgono occasionalmente il ministero o collaborano con la diocesi per periodi limitati, o che svolgono stabilmente attività professionali autonome. I sacerdoti a tempo definito ricevono una remunerazione proporzionale ai singoli servizi prestati. Circa la misura della remunerazione, vale il principio per il quale spetta l'intera remunerazione, nella misura prevista dalla CEI, a quei sacerdoti che non hanno altri redditi o stipendi. Coloro che fruiscono di questi redditi o stipendi, invece, percepiranno soltanto una integrazione, cioè la differenza tra la misura stabilita dalla CEI e quanto essi ricevono dall'altra fonte.

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Quanto ai soggetti erogatori, essi sono gli istituti diocesani per il sostentamento del clero. Questi sono tenuti a corrispondere ai sacerdoti delle rispettive diocesi la remunerazione nella misura integrata o nella misura dell'integrazione. A tal fine i sacerdoti comunicano annualmente all'Istituto diocesano le remunerazioni che ricevono da altri enti ecclesiastici e gli stipendi corrisposti loro da altri soggetti. Una volta verificati i dati ricevuti, l'istituto stabilisce la misura della remunerazione spettante a ciascun sacerdote, se intera o limitata all'integrazione. A questo punto si inserisce il diritto soggettivo dei sacerdoti alla corresponsione della remunerazione dall’Istituto diocesano per il sostentamento del clero quando questo corrisponde la misura intera della remunerazione o una integrazione; e dagli Enti ecclesiastici dai quali percepiscono una remunerazione che viene calcolata ai fini della misura erogata dal Istituto diocesano per il sostentamento del clero. Questo diritto è civilmente azionabile, nel senso che il sacerdote potrà citare in giudizio di questi enti in caso di loro inadempienza. Particolarmente acceso è il dibattito dottrinale sulla natura giuridica del rapporto che lega il sacerdote alla diocesi a favore della quale presta servizio e della remunerazione che gli compete ai sensi della legge 222/ 85. La cassazione ha escluso nettamente una configurazione laburistica del ministero sacerdotale. Tra le altre opinioni dottrinale c'è chi interpreta la remunerazione come un corrispettivo di un servizio prestato dal sacerdote. Altri interpretano il diritto alla remunerazione come un diritto di natura alimentare o assistenziale e a questo orientamento aderisce in buona sostanza la cassazione, secondo cui la remunerazione consisterebbe in una erogazione patrimoniale prevista dalla legge al fine di assicurare i mezzi necessari per vivere ai cittadini che non prestano lavoro retribuito in senso stretto e avrebbe la struttura e la funzione di una prestazione assistenziale. Questi orientamenti dottrinale non possono considerarsi conclusivi perché prescindono dall'impostazione generale data alla questione dal legislatore pattizio e interpretano in modo discutibile alcune disposizioni della legge 222/85. Il rapporto di servizio che unisce il sacerdote alla diocesi è il presupposto necessario e sufficiente per l'insorgere del diritto soggettivo a ricevere la remunerazione. Così riguardata alla questione, è inaccettabile configurare la remunerazione come il corrispettivo di una prestazione di lavoro, nel momento in cui il legislatore ha fatto di tutto per escluderlo. Poiché il rapporto di servizio che unisce sacerdoti e diocesi è il presupposto formale e sostanziale per la normativa sulla remunerazione, si potrà dire che il diritto alla remunerazione è un diritto di credito puro. Per quanto riguarda le altre confessioni diverse dalla cattolica, di questo complesso sistema di sostentamento del clero non c'è traccia negli accordi, nonostante le Intese prevedano il sostentamento dei ministri del culto tra le finalità cui devono essere destinati i flussi finanziari. Poiché questi ministri sono per ciascuna confessione in numero molto minore rispetto al clero cattolico, lo Stato ha lasciato alle rispettive confessioni piena autonomia nello scegliere le forme e modi per attuare tale sostentamento. PARAGRAFO 11: IL MATRIMONIO RELIGIOSO CON EFFETTI CIVILI. PRINCIPI COMUNI A CONCORDATO E INTESE Nel periodo separatista si è dato vita al matrimonio civile come istituto giuridico fruibile da tutti cittadini, abolendola competenza giurisdizionale canonica sulle controversie matrimoniali. Tuttavia, si è operata una vera forzatura quando si è voluto imporre di fatto il sistema della doppia celebrazione, quella religiosa priva di rilevanza civile e quella civile obbligatoria per tutti. L'Italia ha conosciuto nel giro di un secolo tre discipline dell'istituto matrimoniale. La disciplina separatista ha introdotto con il codice del 1865 la celebrazione civile del matrimonio, rendendo irrilevante il matrimonio canonico. La legislazione ecclesiastica del 1929 ha nuovamente consentito il riconoscimento del matrimonio cattolico e, con la legge sui culti ammessi, dei matrimoni celebrati con altri diritti, ma ha determinato la reviviscenza della giurisdizione ecclesiastica sulle cause di nullità dei

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matrimoni concordatari. La disciplina del 1984, pur mantenendo alcuni privilegi per il matrimonio concordatario, ne ha ridotto l'incidenza. • Principio generale dell'odierno sistema normativo è che ciascuno è libero di celebrare il matrimonio in

qualsiasi forma religiosa senza chiedere per esso il riconoscimento degli effetti civili. In questo caso, il matrimonio sarà del tutto irrilevante dal punto di vista statale e la convivenza delle parti sarà simile ad una convivenza extra matrimoniale. In linea generale, però, le confessioni religiose non consentono ai propri fedeli di celebrare un matrimonio che non sia destinato ad ottenere effetti civili.

• Altro principio generale è che lo Stato non richiede perla celebrazione di un matrimonio destinato ad avere effetti civili chele parti appartengano alla confessione nel cui ambito sarà celebrato il matrimonio.

• Altro principio è che, ove le parti o una di esse, chiedano e ottengano il divorzio, questo provocherà, dal momento della pronuncia del giudice, la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso in qualunque forma celebrato.

Il matrimonio religioso ottiene gli effetti civili con la trascrizione nel registro dello stato civile. All'atto della richiesta delle pubblicazioni, le parti comunicano all'ufficiale dello stato civile la volontà di celebrare il matrimonio in forma religiosa, indicando la confessione il cui ministro presiederà alla celebrazione. La fase delle pubblicazioni è diretta ad accertare che non esistano impedimenti perla celebrazione del matrimonio e si conclude con il rilascio del nulla osta, con il quale l'ufficiale dello stato civile certifica l'inesistenza di ostacoli perla celebrazione delle nozze. Per il matrimonio cattolico sarà sufficiente che non esistano impedimenti inderogabili. Il rilascio del nulla osta in duplice originale da parte dell'ufficiale dello stato civile, costituisce un'importante garanzia tra le parti, perché possono star certe che il matrimonio sarà trascritto, anche se in seguito dovessero insorgere opposizioni o si avesse notizia di impedimenti prima non considerati. Per quanto riguarda la celebrazione del matrimonio, si registrano delle diversità tra le discipline pattizie. Per il culto cattolico e quello ebraico, saranno il parroco o il rabbino che spiegheranno durante la celebrazione del matrimonio i diritti e i doveri dei coniugi, dando loro lettura dei relativi articoli del codice civile. Per le altre confessioni tale adempimento dovrà essere fatto dall'ufficiale dello stato civile e ne dovrà essere dato atto nel nulla osta. la celebrazione del matrimonio è lasciata alla autonomia della confessione religiosa, che si regolerà secondo le proprie tradizioni o i propri riti. Tuttavia, nell'ambito della cerimonia religiosa deve esistere il momento nel quale le parti dichiarano espressamente di voler contrarre matrimonio, anche perché questa dichiarazione deve essere certificata nell'atto di matrimonio che il ministro del culto dovrà inviare l'ufficiale dello stato civile. Immediatamente dopo la celebrazione, inizia l'iter finalizzato alla trascrizione del matrimonio. Il ministro deve redigere in due originali l'atto di matrimonio e inviarne uno dei due entro cinque giorni all'ufficiale di stato civile insieme al nulla osta che l'ufficiale aveva rilasciato dopo le pubblicazioni. Inoltre per l'intesa israelitica e per il concordato con la Chiesa cattolica, le parti possono in conclusione di celebrazione rendere le dichiarazioni relative alla scelta del regime patrimoniale della famiglia e dell'eventuale riconoscimento dei figli naturali. Anche queste dichiarazioni, come lo stesso atto di matrimonio, acquistano rilevanza giuridica a seguito della trascrizione ad opera dell'ufficiale di stato civile. La trascrizione è effettuata entro le 24 ore successive al ricevimento dell'atto di matrimonio e di essa deve essere data notizia al ministro del culto. La trascrizione ha carattere costitutivo ed ha effetti retroattivi. Ciò vuol dire che qualsiasi evento si verifichi tra la celebrazione e la trascrizione, quest'ultima avrà comunque luogo e garantirà retroattivamente tutti gli effetti giuridici e patrimoniali che possono determinarsi tra le parti, e tra le parti e i terzi. Per lo stesso motivo, il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione anche se l'ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione abbia eseguito la trascrizione oltre termini prescritti. In altre parole, le parti sono garantite in modo assoluto nei confronti di ritardi e dimenticanze dovute ad altri soggetti dopo la celebrazione del matrimonio.

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Per le confessioni acattoliche senza intesa vige ancora alla disciplina della legge 1159/ 29 sui culti ammessi, che prevede il riconoscimento del matrimonio celebrato dinanzi ad un ministro del culto acattolico. L'iter procedimentale non si differenzia molto rispetto a quello per i culti cattolici, se non per due aspetti: • il ministro del culto che celebra il matrimonio deve aver ottenuto l'approvazione governativa, e ciò a

pena di nullità del matrimonio. • Dopo le pubblicazioni, l'ufficiale di stato civile rilascia l'autorizzazione che abilita il ministro del culto a

celebrare il matrimonio tra le persone che hanno chiesto le pubblicazioni. Anche la mancanza di questa autorizzazione specifica è considerata causa di nullità del matrimonio.

PARAGRAFO 12:. LA TRASCRIZIONE DEL MATRIMONIO CONCORDATARIO Questo iter è sostanzialmente comune sia a quello del matrimonio acattolico, disciplinato dalle intese, sia a quello definito in sede concordataria con la Chiesa cattolica. Tuttavia il Concordato del 1984 contiene due differenze di rilievo in materia di impedimenti e di trascrizione. Impedimenti: mentre per il matrimonio acattolico il nulla osta successivo alle pubblicazioni non viene rilasciato ogni volta che sussiste un impedimento civile, il Concordato prevede che la trascrizione non potrà avere luogo:

1. quando gli sposi non rispondono ai requisiti della legge circa l'età richiesta per la celebrazione.

2. Quando sussiste tra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile e cioè:

- quando uno dei contraenti è interdetto per infermità di mente. Per quanto riguarda invece il matrimonio dei minori, questo può essere regolarmente trascritto quando questi abbiano chiesto e ottenuto l'autorizzazione del tribunale che può essere concessa a quanti abbiano compiuto 16 anni e dopo che il tribunale abbia accertatola loro maturità psicologica. Tuttavia può essere anche trascritto mediante la trascrizione tardiva, dopo che il minore abbia raggiuntola maggiore età e sia trascorso un anno. Per quanto riguarda il matrimonio di chi è incapace naturale, se l'istanza di interdizione è stata promossa, il pubblico ministero può chiedere la sospensione della trascrizione fino al passaggio in giudicato della sentenza. Anche in questo caso la trascrizione può essere effettuata tardivamente quando, dopo la revoca dell'interdizione, le parti abbiano coabitato per un anno. - quando tra gli sposi sussiste un altro matrimonio valido a gli effetti civili. - quando ci sono impedimenti derivanti da delitto o da affinità in linea retta. Per quanto riguarda l'affinità, impedimento permane anche se il matrimonio è dichiarato nullo, ma allora le parti possono essere autorizzate dal tribunale a contrarre matrimonio: in questo caso è ammessa la trascrizione anche tardiva del matrimonio religioso. L' impedimento da delitto, invece, sussiste tra persone delle quali una sia condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra, ed è assolutamente non dispensabile.

Trascrizione tardiva: questa previsione normativa affondale sue radici in una certa pratica sociale per la quale, in presenza di difficoltà temporanee per la celebrazione di un matrimonio valido a gli effetti civili (possono indurre a questa scelta una certa situazione famigliare, professionale o economica), si preferisce procedere comunque alla celebrazione puramente religiosa rinviando a tempi successivi la richiesta di trascrizione. In alcuni di questi casi le parti possono decidere di contrarre un matrimonio segreto, in altre un matrimonio religioso con l'intenzione di provvedere più tardi alla trascrizione per ottenere gli effetti civili della celebrazione pregressa. la legislazione concordataria viene incontro a queste esigenze prevedendo che “la trascrizione può essere effettuata anche posteriormente, su richiesta dei contraenti o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo Stato libero

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dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dei terzi” (articolo 8 L’121/85). L' innovazione più rilevante rispetto alla disciplina del 1929 è quella che prevede che spetta ai contraenti, e solo ad essi, il diritto di chiedere in ogni tempo la trascrizione, mentre in precedenza anche l'autorità ecclesiastica poteva inoltrare la richiesta delle parti non potevano opporsi. L’ufficiale di stato civile dovrà acquisire piena sicurezza sulla chiara ed esplicita volontà di entrambi coniugi di conferire effetti civili al loro matrimonio. In seguito, egli procede agli altri adempimenti, in primo luogo ad acquisire i documenti occorrenti e ad affiggere alla casa comunale un avviso dell'avvenuta celebrazione del matrimonio con tutte le indicazioni contenute nell'atto di matrimonio. L'avviso resta esposto per lo stesso tempo richiesto per le pubblicazioni (180 giorni) ed ha la stessa finalità di queste, ossia di ricevere eventuali opposizioni in relazione di impedimenti non derogabili. Questi impedimenti, oltre a non sussistere dal momento della celebrazione del matrimonio, non devono essere intervenuti neanche successivamente e non devono sussistere al momento della richiesta di trascrizione. È comunque indispensabile che i contraenti abbiano conservato lo Stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione. La trascrizione tardiva ha effetti retroattivi ma solo per i rapporti tra i coniugi, mentre non subiscono pregiudizio i diritti legittimamente acquisiti dei terzi. In questa forma di trascrizione non basta un mero ritardo nell'invio dell'atto di matrimonio per provocare il ricorso alla trascrizione tardiva. Ad essa si fa luogo soltanto se la richiesta di trascrizione perviene all'ufficiale di stato civile dopo il 180º giorno, cioè entro il termine di validità delle pubblicazioni, perché in questo caso si è esaurito l'intero arco di tempo necessario per celebrare validamente il matrimonio. PARAGRAFO 13: CAUSE DI NULLITÀ DEL MATRIMONIO. DOPPIA CONCORRENTE GIURISDIZIONE E RILEVANZA DELLE SENTENZE CANONICHE DI NULLITÀ Il nuovo Concordato ha conservato il privilegio ottenuto dalla Chiesa cattolica con i Patti del 1929, con il riconoscimento della giurisdizione ecclesiastica sulle nullità dei matrimoni canonici. L'articolo 8 n.2 del Concordato prevede che le sentenze ecclesiastiche di nullità munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo (il supremo tribunale della segnatura apostolica), su domanda delle parti o di una di esse, sono soggette al giudizio di delibazione2 da parte della corte d'appello. La corte d'appello deve accertare (per poterle dichiarare efficaci nel territorio della Repubblica): • che il matrimonio dichiarato nullo dalla sentenza ecclesiastica era stato celebrato in conformità alle

norme di derivazione concordataria. • Che nel procedimento davanti al tribunale ecclesiastico è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di

resistere in giudizio in modo non difforme dei principi fondamentali dell'ordinamento italiano. • Che ricorrano le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana perla dichiarazione di efficacia

delle sentenze straniere. Infine, sempre per l'articolo 8 del Concordato, la corte d'appello, nella sentenza che rendere esecutiva la sentenza canonica, può statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei due coniugi il cui

2 La delibazione o exequatur è la procedura giudiziaria che serve a far riconoscere, in un determinato Paese, un provvedimento giudiziario emesso dall'autorità giudiziaria di un altro Paese. In Italia il procedimento si svolge dinanzi alla Corte d'Appello territorialmente competente e deve accertare che il procedimento straniero si sia svolto con le regole del contraddittorio, che la sentenza in oggetto sia passata in giudicato, che questa stessa sentenza non sia contraria ad un'altra pronunciata in Italia e che non contenga delle disposizioni che siano contrarie all'ordinamento italiano. Un caso molto frequente di delibazione si ha in presenza di procedimenti civili per scioglimento di matrimonio, in quanto si deve conferire efficacia alle sentenze ecclesiastiche di nullità, in modo che sia permesso un nuovo matrimonio religioso.

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matrimonio è stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia. Con questa complessa disciplinasi esclude che l'inoltro delle sentenze di nullità da parte del Tribunale Della Segnatura determini l'avvio del giudizio civile, mentre soltanto l'iniziativa delle parti può consentire l'apertura del giudizio di delibazione. Nasce a questo punto il primo grande problema della nuova disciplina concordataria, se con essa è venuta meno la riserva di giurisdizione, esplicitamente sancita dall'articolo 34 del Concordato del 1929, a favore dei tribunali ecclesiastici, e quindi se le parti possono adire anche i tribunali civili per far dichiarare nullo il matrimonio celebrato nella forma religiosa cattolica. Alcuni autori si sono pronunciati a favore del mantenimento della riserva di giurisdizione ecclesiastica: secondo questo orientamento se il vincolo matrimoniale nasce nell'ordinamento canonico e da questo è regolato, esso non può essere valutato, sotto il profilo della validità, se non dai giudici e dai tribunali ecclesiastici. A questo indirizzo dottrinale si ribatte che nel momento in cui il matrimonio canonico viene trascritto, con efficacia costitutiva, nei registri dello stato civile esso finisce con l'avere una duplice origine, canonica e civile. Un'altra parte della dottrina invece sostiene l'esaurimento della riserva di giurisdizione: secondo questo orientamento il silenzio del legislatore pattizio dimostra che la riserva di giurisdizione non ha più alcun fondamento di diritto positivo dal momento chela giurisdizione italiana si esercita nei confronti dei cittadini italiani e che essa potrebbe venir meno, nelle cause di nullità del matrimonio canonico, solo in presenza di una espressa riserva a favore dei tribunali ecclesiastici. Il più importante argomento testuale utilizzato da questi orientamenti dottrinale è desunto dall'articolo 8 del Concordato, quando questo afferma che nel giudizio di delibazione delle sentenze ecclesiastiche la corte di appello deve accertare che ricorrano le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana perla dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. Questo rinvia al Protocollo addizionale che stabilisce che bisogna accertare che la sentenza non sia contraria ad un'altra sentenza pronunciata da un giudice italiano e che non sia pendente davanti al giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse parti. Si deduce che alle parti è lasciata facoltà di adire il tribunale ecclesiastico o il tribunale civile al fine di ottenere la dichiarazione di nullità del vincolo. La controversia dottrinale è stata risolta dalla Cassazione, che si è avvicinata a quanti sono favorevoli alla doppia concorrente giurisdizione ed ha rilevato che l'accordo di revisione non contiene nessuna disposizione da cui si può dedurre che la giurisdizione in materia matrimoniale è prerogativa dell'ordinamento canonico. Inoltre, sempre per la cassazione è significativo al riguardo l'articolo 8 n.2 del Concordato che condiziona la dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica nella Repubblica italiana all'accertamento delle altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere e alla non contrarietà della sentenza straniera o ad un'altra sentenza pronunciata da un giudice italiano e all'inesistenza di un processo per il medesimo oggetto davanti a un giudice italiano. Ciò conferma che è possibile che davanti ai giudici dello stato penda un processo sulle nullità del matrimonio canonico trascritto e che di conseguenza si possa avere una sentenza italiana su tale nullità. Una volta stabilita la competenza di entrambe le giurisdizioni canonica e civile a valutare le questioni di nullità dei matrimoni concordatari, una parte della dottrina è incorsa in un grosso equivoco, sostenendo che il giudice italiano deve applicare nello specifico giudizio le norme di diritto canonico, anziché quelle desumibili dal codice italiano. Si tratta di una tesi assolutamente da respingere, in quanto non soltanto nel Concordato del 1984 non c'è nessuna norma che ammetta questa possibilità, ma bisogna anche tener conto che la giurisdizione dello Stato non deve trovarsi in alcun modo coinvolta nella prospettiva confessionale del matrimonio. È la laicità stessa dello stato che impedisce al giudice civile di sostituirsi al giudice canonico nell'applicare e interpretare il diritto canonico. Inoltre, c'è anche un'altra ragione che impedisce questa eventualità ed è per la stessa ragione per cui è stata abolita la riserva di giurisdizione: per consentire a coloro che abbiano modificato il proprio orientamento ideologico o religioso di non soggiacere ad un ordinamento confessionale, e ai relativi tribunali, nei quali non si riconoscono più. Quindi sarebbe assurdo che il cittadino ricorra al giudice civile per chiedere la nullità del proprio

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matrimonio, perché non da più valore significato confessionale del vincolo e si ritrovi uno giudice italiano che valuti il suo matrimonio applicando proprio diritto canonico. Per quanto riguarda gli accertamenti cui devono essere sottoposte le sentenze ecclesiastiche, la corte costituzionale e la corte di cassazione hanno stabilito che il primo accertamento che deve farsi è se sia stato rispettato il diritto di agire e resistere in giudizio delle parti conformemente ai principi fondamentali dell'ordinamento. Dunque il giudice italiano può valutare l'intero procedimento canonico, ma soltanto per individuare concrete, specifiche e gravi violazioni del diritto di difesa, nonché per accertare che le parti abbiano avuto una sufficiente possibilità di provvedere alla propria difesa davanti al giudice competente ed in contraddittorio tra di loro. Per quanto riguarda le singole cause di nullità, la differenza tra simulazione assoluta, delineata dal codice civile e la simulazione parziale, prevista dall'ordinamento canonico in ordine all'esclusione di uno degli Elementi essenziali del matrimonio (bonum prolis, bonus sacramenti, bonum fidei), non è ritenuta ostativa per l'esecutività delle sentenze ecclesiastiche. Con riguardo all'esclusione del bonum prolis, non soltanto non viene previsto alcun principio è essenziale di non procreazione, ma è configurato il matrimonio come fondamento della famiglia cioè come società naturale comprendente anche i figli, quale il normale, anche se non essenziale sviluppo dell'unione coniugale. In relazione al bonus sacramenti, nonostante la legge sul divorzio, la cassazione ha stabilito che il legislatore italiano ha inteso conservare il principio dell'indissolubilità consensuale del matrimonio e ha voluto escludere ogni possibilità per gli sposi di predeterminare la durata o di sciogliere il vincolo con il loro mutuo consenso. Perciò sotto questo profilo non c'è contrasto tra il diritto canonico e il diritto statuale; in entrambi gli ordinamenti è sancito il divieto dei nubendi di apporre al matrimonio termini o condizioni. Altrettanto, non contrasta con una concezione civilistica dell'istituto matrimoniale la sentenza ecclesiastica che annulla un matrimonio per esclusione del bonum fidei, dal momento che l'articolo 143 del cod. civ. prevede proprio l'obbligo della reciproca fedeltà dei coniugi. La cassazione, invece, ha precluso l'esecutività delle sentenze ecclesiastiche nel caso di riserva mentale da parte di uno dei due coniugi, con la quale si escludono uno dei tria bona, senza che l'altro ne fosse messo a conoscenza. In questo caso di simulazione unilaterale, la cassazione ritiene che ci sia un contrasto assoluto con il principio dell'affidamento e della buona fede. La cassazione ha escluso l'esecutività dei provvedimenti canonici super rato. Con questi provvedimenti di dispensa pontificia si scioglie il matrimonio quando, pur essendo formalmente perfetto, non è stato consumato sessualmente tra i coniugi. Quanto al rapporto tra la sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale e una eventuale precedente sentenza di divorzio, alcuni negano che possa essere delibata una sentenza canonica di nullità quando il matrimonio tra le stesse parti sia stato sciolto per divorzio, perché la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio fa venir meno la possibilità di impugnare la validità del vincolo. Chi agisce per ottenere la cessazione degli effetti civili riconosce che il vincolo si è formato; lo stesso si può dire per il convenuto che non fa eccezione preliminare di inesistenza del vincolo. Anche sotto il profilo processuale si sostiene chela sentenza di divorzio costituisce cosa giudicata rispetto tutto quanto attiene allo stato coniugale degli interessati e di conseguenza non può essere travolta da una successiva sentenza di nullità. Altri autori sono di opinione radicalmente diversa: secondo questi autori, la sentenza di nullità travolge in ogni caso la sentenza di divorzio perché l'azione di invalidità è volta a far annullare o dichiarare la nullità del matrimonio per una causa che incide sul negozio, mentre l'azione di divorzio è voltalo scioglimento del vincolo coniugale per una causa che ritiene intollerabile la continuazione. La cassazione è stata a lungo favorevole alla tesi che vuole il divorzio travolto dalla nullità del vincolo, ma di recente ha modificato il proprio orientamento, soprattutto per quanto riguardale statuizione di carattere patrimoniale contenute nella sentenza di divorzio. Infatti,la delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità travolgerebbe tutta intera la sentenza di divorzio, facendo venir meno anche le decisioni di ordine

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economico, che sono assai più gravose per il coniuge abbiente rispetto all'eventualità di un matrimonio nullo. Si è quindi stabilito che le statuizione di ordine economico non possono essere rimessi in discussione, anche perché gli impegni assunti con il Concordato non toccano la competenza dello Stato italiano circa la disciplina dei rapporti patrimoniali tra i coniugi derivanti dai conseguenti effetti civili dei matrimoni concordatari.