43
Problematiche vecchie e nuove nell’acquacoltura del terzo millennio. V^ Corso di aggiornamento Torino, 6 aprile 2018 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Via Bologna, 148 – Torino – Sala Conferenze

Problematiche vecchie e nuove nell’acquacoltura del … · cava; anche lo storione, a livello regionale, viene spesso richiesto per la pesca sportiva, ma non ... lacustris ) ed

  • Upload
    ngophuc

  • View
    215

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Problematiche vecchie e nuove nell’acquacoltura del terzo millennio.

V^ Corso di aggiornamento

Torino, 6 aprile 2018

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Via Bologna, 148 – Torino – Sala Conferenze

2

Obiettivi del Corso: L’evento è destinato in particolare a medici veterinari, biologi, tecnici di laboratorio e della prevenzione che operano nel settore ittico. L’iniziativa ha lo scopo di fornire costante aggiornamento agli operatori sanitari che esercitano nell'ambito dell'acquacoltura, dell’ittiopatologia, della sicurezza alimentare nella filiera ittica e del benessere animale, attraverso comunicazioni puntuali su argomenti specifici di interesse attuale o comunque di competenza. L'evento prende spunto dalla richiesta degli operatori sanitari di fruire una più ampia formazione su diverse sfaccettature riguardanti la normativa vigente, malattie dominanti ed emergenti nel panorama ittico nazionale, problematiche di sicurezza alimentare legate al comparto ittico, nonché nozioni di alimentazione, fish welfare e biodiversità. - SEGRETERIA SCIENTIFICA Marino Prearo Paolo Pastorino S.S. Laboratorio Specialistico di Ittiopatologia IZS PLVA Torino Tel.: 011-2686251 E-mail: [email protected] - SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Daniela Passalacqua IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta Via Bologna, 148 10154 TORINO Tel.: 011-2686356 E-mail: [email protected]

7 crediti per medici veterinari, biologi, chimici,

tecnici di laboratorio e tecnici della prevenzione

3

PROGRAMMA Ore 08.30-09.00 Registrazione dei partecipanti Ore 09.00-09.30 Saluti delle Autorità Moderatore: Giorgio DIAFERIA (Centro Medicina Preventiva SUISM - UniTO) Ore 09.30-10.00 Il Laboratorio di Ittiopatologia a servizio dell’acquacoltura regionale Marino PREARO (IZS PLV) Ore 10.00-10.45 Le malattie notificabili dei Salmonidi: aggiornamenti sui Novirhabdovirus Anna TOFFAN (IZS Venezie) Ore 10.45-11,00 Coffee break Ore 11.00-11.45 La Lattococcosi: vecchia conoscenza, ma nuova emergenza Marino PREARO (IZS PLV) Ore 11.45-12.15 Profilassi in acquacoltura: resistenza genetica alle patologie Silvia COLUSSI (IZS PLV) Ore 12.15-13.00 Il farmaco in acquacoltura: aspetti normativi e modalità di utilizzo Raffaella BARBERO (IZS PLV) Ore 13.00-14.00 Light lunch Moderatori: Elena BOZZETTA (IZS PLV) Simone PELETTO (IZS PLV) Ore 14.00-14.30 La gestione dei ripopolamenti nelle acque interne naturali Elisabetta PIZZUL (UniTS)

4

Ore 14.30-15.00 I laghi alpini: laboratori naturali a cielo aperto Paolo PASTORINO (IZS PLV) Ore 15.00-15.30 Exhibit acquatici: la gestione al bioparco Zoom Torino Sara PIGA (Zoom Torino) Ore 15.30-16.00 Epidemiologia … per chi non sa che pesci pigliare Giuseppe RU (IZS PLV) Ore 16.00-16.15 Coffee break Ore 16.15-17.00 L’anguilla europea: note ecologiche, allevamento e nozioni sulla riproduzione Oliviero MORDENTI (UniBO) Ore 17.00-17.30 La vongola verace: una produzione nazionale da tutelare. Brevi cenni su biologia, ecologia, allevamento, patologie e salute pubblica Giuseppe ESPOSITO (UniSS) Ore 17.30-18.00 Discussione e test finale di apprendimento

5

ABSTRACT

6

IL LABORATORIO DI ITTIOPATOLOGIA A SERVIZIO DEL-L’ACQUACOLTURA REGIONALE Prearo M.1, Pastorino P.1,2, Righetti M.1, Cavazza G.1, Mugetti D.1, Arsieni P.1, Saragaglia C.1 & Dondo A.1 1 Laboratorio Specialistico di Ittiopatologia, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino; 2 Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste. Via Giorgieri, 10 – 34127 Trieste L’acquacoltura rappresenta un comparto della zootecnia nazionale molto rilevante, rivestendo un ruolo importante sia nella produzione di specie dulciacquicole che di quelle marine. L’intero settore ha un valore approssimativamente di 280 milioni di euro, impiegando circa 15.000 persone. L’acquacoltura piemontese rappresenta una delle più antiche e consolidate del Paese, con una rilevante professionalità ed esperienza degli imprenditori che porta ad avere una elevata qualità dei prodotti; le condizioni di mercato risultano alquanto favorevoli, legate soprattutto ad una domanda crescente di prodotti ittici ed un’offerta quantitativamente

limitata, lasciando ampi spazi di miglioramento produttivo. A fronte di una produzione di circa 3.000 tonnellate di prodotto ittico per un valore di circa 8 milioni di euro, sono state censite circa 30 aziende di dimensioni medie; la produzione è quasi totalmente volta all’allevamento di Salmonidi, dove la trota iridea (Oncorhynchus mykiss) viene allevata per

l’alimentazione umana, mentre la trota fario (Salmo trutta), la trota marmorata (Salmo marmoratus) e il salmerino di fonte (Salvelinus fontinalis) per il ripopolamento delle acque libere o dei laghetti di

pesca sportiva. Vi sono inoltre numerosi piccoli allevamenti presenti soprattutto nella fascia pedemontana e montana, dove vengono gestiti totalmente a livello famigliare, con 1 o al massimo 2 persone occupate e con produzioni

piccole, ma che costituiscono una fonte di reddito importante. Tali realtà hanno una vocazione soprattutto per il turismo enogastronomico e culturale locale o per prodotto pronto pesca da consumare a casa. Proprio per la tipologia degli allevamenti e della produzione, gli imprenditori piemontesi presentano una spiccata sensibilità ai problemi ambientali e sanitari. Il settore acquacoltura regionale presenta però dei punti di debolezza particolari: infatti, l’eccessiva concentrazione del prodotto in una sola specie (trota) e la presenza di impianti ed attrezzature obsolete non permettono una crescita elevata come è successo in altre regioni. Inoltre, le carenze nell’organizzazione commerciale e nell’integrazione di filiera, la concorrenza di altre realtà nazionali ed internazionali, più dotate nella commercializzazione e nella differenziazione del prodotto, portano ad una difficoltà nella crescita delle produzioni e dei consumi. A tutte queste problematiche va aggiunta la scarsità di servizi di formazione ed assistenza tecnica degli operatori che tale settore deve affrontare. In Piemonte l’utilizzo di specie ittiche dulciacquicole è molto rilevante, anche se negli ultimi decenni, il consumo di specie allevate marine è in forte crescita e la concorrenza del salmone d’importazione ha esercitato una forte pressione nei mercati. Nell’ultimo ventennio l’acquisto domestico di trote bianche è andato diminuendo, aumentando invece

7

il consumo di trota salmonata di maggiore pezzatura, sia intera che in filetto, mantenendo pertanto stabile il consumo; il livello di penetrazione nelle famiglie piemontesi ed in generale del nord Italia di questo prodotto ittico è elevatissimo, prossimo al 100%, con un notevole apprezzamento da parte del consumatore soprattutto per il suo basso tenore di grassi (circa 2,5%). Mentre la produzione di trota da consumo ha subito un lieve aumento

nel tempo, si è potuto osservare contemporaneamente una riduzione della domanda di salmonidi da ripopolamento delle acque pubbliche (circa il 20%). Un particolarità del territorio piemontese è la presenza di numerosissimi incubatoi di valle, a gestione privata o pubblica provinciale, dove viene allevato novellame di salmonidi provenienti da allevamenti certificati o viene effettuata una campagna ittiogenica dove vengono riprodotti esemplari selvatici

prelevati direttamente dagli alvei dei fiumi ed il novellame prodotto viene reimmesso negli stessi bacini idrografici di prelievo. Un’altra produzione ittica che rappresentava nel passato un’eccellenza è l’allevamento dell’anguilla (Anguilla anguilla), presente soprattutto nel comparto di pianura, ma che attualmente ha perso la sua importanza con dismissione della maggior parte degli impianti anche a livello nazionale. Un certo interesse da parte dei produttori piemontesi è stato rivolto negli ultimi anni verso altre specie ittiche, soprattutto ciprinidi (Carpa comune, Cyprinus carpio e tinca, Tinca tinca) e storioni (Acipenser spp.); la carpa comune ha un notevole interesse nel settore della pesca ricreativa, dove viene spesso utilizzata nel ripopolamento di riserve di pesca e di laghetti di cava; anche lo storione, a livello regionale, viene spesso richiesto per la pesca sportiva, ma non trova sul territorio regionale ancora una connotazione di prodotto ittico da consumo o per la produzione di caviale. Un discorso un po’ particolare va fatto per la tinca: l’allevamento

di tale ciprinide a livello regionale ha una connotazione totalmente diversa rispetto alla tipologia dell’allevamento ittico tradizionale che risale ai secoli scorsi e non ha grossomodo cambiato nel tempo le modalità di approccio tecnologico e strutturale. Infatti, tale allevamento, tipico del Pianalto di Poirino tra le provincie di Torino, Asti e Cuneo, presenta delle caratteristiche peculiari, grazie anche al territorio particolare di questo comprensorio. L’alleva-

mento storicamente viene effettuato in bacini naturali o artificiali denominati piscine, in cui il ciclo produttivo della tinca avviene in modo naturale, a carattere estensivo, con una produzione di tinche porzione intorno ai 100-150 grammi pronte all’uso alimentare per ottenere piatti tipici della tradizione contadina, che negli ultimi anni sono stati riscoperti, presentando un valore commerciale elevato nella ristorazione locale. Per quanto riguarda la pesca professionale nelle acque interne piemontesi, l’unico luogo in cui tale attività è stata tradizionalmente effettuata è il Lago Maggiore. Le specie di alto

8

pregio che vengono pescate sono il coregone (Coregonus sp.), l’agone (Alosa fallax lacustris) ed il pesce persico (Perca fluviatilis). La pesca professionistica nel Lago Maggiore ha subito delle sospensioni per fenomeni di inquinamento ed attualmente il blocco pesca rimane per l’agone. L’evoluzione dell’acquacoltura intensiva, anche in Piemonte ha portato ad un incremento inevitabile di problematiche di tipo sanitario; il peggioramento dei parametri ambientali, la comparsa di nuove patologie, la difficoltà di trattamento delle stesse e la mancanza di strutture adeguate per avere una maggior efficacia delle misure di biosicurezza da mettere in atto, portano ad una difficoltà della gestione di allevamenti spesso obsoleti. Il laboratorio specialistico di Ittiopatologia dell’IZS PLV di Torino, seppur con denominazioni diverse, fino dagli anni ’70 del secolo scorso ha collaborato con gli imprenditori ittici piemontesi e del territorio nazionale proprio nella lotta contro le patologie, nel loro controllo e nel miglioramento della gestione degli impianti. All’inizio è stato gestito dal Prof. Pietro Ghittino, al quale è subentrato il figlio Claudio negli anni ’90; dal 2000 la gestione è passata al responsabile attuale, il Dr. Marino Prearo. Entrambi i successori provengono dalla medesima scuola del compianto Pietro Ghittino, il quale può essere sicuramente definito il padre dell’acquacoltura moderna italiana. Il laboratorio specialistico di Ittiopatologia ha da sempre come obiettivo principale la diagnosi ed il controllo delle patologie degli organismi acquatici; oltre agli argomenti di sanità animale, nell’ultimo decennio, proprio per soddisfare le richieste dell’utenza, si è occupato anche di argomenti di sicurezza alimentare e di benessere animale, oltre che di tematiche inerenti l’acquacoltura, l’ambiente e la biodiversità. Storicamente il personale del laboratorio si è sempre occupato di virologia, batteriologia e parassitologia; una fetta rilevante dell’attività routinaria del laboratorio verte sulla ricerca delle malattie notificabili di origine virale. La regione Piemonte, a partire dalla fine degli anni ’90, ha intrapreso una collaborazione con l’Istituto per monitorare e mappare la situazione territoriale, andando a controllare tutti gli allevamenti ittici con specie sensibili per Setticemia Emorragica Virale (SEV o VHS) e Necrosi Ematopoietica Infettiva (NEI o IHN). Tale controllo, obbligatorio per legge nella valutazione e nel successivo mantenimento di qualifica per gli allevamenti che seminano materiale ittico in acque pubbliche, è stato esteso a tutte le troticolture regionali, anche di piccolissime dimensioni, che allevano materiale destinato al consumo e agli incubatoi di valle che attuano la campagna ittiogenica; questa estensione, ancora in atto, ha permesso una valutazione corretta e precisa della situazione sanitaria regionale rispetto a queste due virosi. Attualmente non vi sono nuovi focolai di entrambe le malattie. La diagnosi viene effettuata con le metodiche tradizionali, mediante coltivazione su monostrati cellulari ed eventuale identificazione del virus tramite immunofluorescenza. Altra malattia notificabile di recente inserimento è l’Herpesvirosi della carpa koi (CyHV3 o KHV), che per la difficoltà di isolamento su monostrati cellulari, viene gestita mediante diagnosi biomolecolare. Nel 2017 sono stati isolati tre casi di positività in altrettanti allevamenti, due sul territorio piemontese e uno in Liguria; i tre episodi non sono stati collegati epidemiologicamente, anche se la diagnosi è avvenuta più o meno in contemporanea. Il trattamento dei focolai ha previsto modalità diverse a seconda della tipologia di allevamento. Per tutte le patologie notificabili, oltre alla diagnosi effettuata dal laboratorio territorialmente competente, il quale deve notificare all’ASL di competenza, alla Regione e al Ministero della Salute la positività, è necessario avere una conferma diagnostica da parte del Centro di Referenza Nazionale per le Malattie dei Pesci, situato presso l’IZS delle Venezie di Legnaro (PD). In ambito virologico, il laboratorio ha condotto ricerche su altri patogeni quali il Rhabdovirus dell’anguilla (Eel virus European X o EVEX), il Rhabdovirus del pesce persico (Perch Rhabdovirus), gli Herpesvirus dei ciprinidi (CyHV1 e CyHV2) e soprattutto

9

l’Iridovirus degli storioni. Questa ultima patologia rappresenta il fiore all’occhiello della struttura, in quanto già dalla suo primo isolamento nel 2016, insieme al Centro di Referenza, si è iniziato a effettuare diagnosi per l’utenza, mettendo in evidenza i focolai e valutando lo stato sanitario di partite di giovanili e di riproduttori. Le malattie batteriche rappresentano il settore dove il laboratorio di Torino storicamente ha una maggiore competenza tecnica e scientifica; la diagnosi routinaria

viene condotta su tutti gli organismi acquatici ed è volta all’isolamento e alla classificazione dei patogeni batterici, sempre con l’allestimento del relativo antibiogramma, in modo da ottenere dati sulle molecole eventualmente efficaci e per valutare nel corso degli anni l’eventuale antibioticoresistenza. Da decenni ci si occupa soprattutto di patologie primarie come la Bocca rossa (da Yersinia ruckeri), la Foruncolosi (da Aeromonas salmonicida) e la Lattococcosi (da Lactococcus garvieae), ma anche di altre batteriosi come la Flavobatteriosi (da Flavobacterium psychrophilum), le Aeromonosi (da Aeromonas hydrophila/sobria) e alcune patologie che colpiscono i pesci marini. Sicuramente la malattia che maggiormente caratterizza l’azione del laboratorio è la Lattococcosi, di cui verrà ampiamente trattato in una comunicazione seguente: oltre alla diagnosi in allevamento, sono in atto ricerche specifiche sul patogeno, sull’immunità dell’ospite e sulla profilassi vaccinale. Sempre nel contesto delle malattie batteriche, un obiettivo particolare che caratterizza il laboratorio è il costante monitoraggio sanitario di partite di importazione di pesci ornamentali, per valutare lo stato di salute e di benessere dei pesci d’acquario e la prevalenza delle infezioni da micobatteri atipici. La Micobatteriosi è una problematica attuale ed è sempre più frequente il ritrovamento sia nei pesci ornamentali che nei pesci delle acque libere e di allevamento. E’

una seria problematica, non sempre messa in giusto risalto, che può causare implicazioni di sanità pubblica soprattutto negli operatori del settore. Tra i pesci ornamentali, la gestione dei doctor fish (Garra rufa) nei centri estetici rappresenta una peculiarità della struttura, dove da anni si cerca di valutare l’impatto sulla salute pubblica di tale attività con pesci vivi.

Anche le patologie di origine parassitaria sono spesso al centro del nostro interesse diagnostico; tra queste malattie, quelle che maggiormente caratterizzano l’azione di laboratorio e sul campo del personale operante nel centro di Torino sono la Malattia Proliferativa Renale (MPR o PKD) e la Malattia Nodulare Branchiale (MNB) da ameba. Un discorso un po’ particolare, sempre in ambito parassitologico, va esteso alle zoonosi parassitarie ittiche, quali Difillobotriasi (da Diphyllobothrium latum), Opisthorchiasi (da Opisthorchis felineus) e Anisakiasi (da Famiglia Anisakidae), che rivestono un ruolo soprattutto in sicurezza alimentare; l’attività del laboratorio è volta al costante

10

monitoraggio delle parassitosi per una continua valutazione del rischio e per mantenere il livello di attenzione sempre alto su tali problematiche. Restando nel settore della sicurezza alimentare, l’azione persistente di monitoraggio sui contaminanti ambientali e sulla ricerca si residui di antibiotici soprattutto nella fauna ittica selvatica e nell’ambiente, è una caratteristica costante dell’azione del laboratorio sul territorio di competenza. Altra tematica che da qualche anno ha caratterizzato l’azione del laboratorio è relativa al benessere animale, dove si opera sia nella ricerca e nella valutazione di parametri ematologici base e degli enzimi epatici e renali delle diverse specie ittiche d’allevamento utili per la verifica dello stato di benessere, sia nel controllo degli stessi nelle diverse condizioni di allevamento o durante episodi stressogeni particolari. Vengono inoltre valutati da anni anche i parametri enzimatici dello stress ossidativo che sono ottimi criteri predittivi sullo stress cellulare. L’attività diagnostica di laboratorio è anche supportata da azioni sul campo volte a supportare gli acquacoltori in pratiche di igiene zootecnia, di alimentazione, di vaccinazione, di terapia e di biosicurezza in generale. Infine i ricercatori del centro di Torino stanno trattando diffusamente anche argomenti su

tematiche di ecopatologia, gestione della fauna ittica, biodiversità e presenza di specie aliene, in particolare il siluro (Silurus glanis) e il gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii), biofouling e

presenza di cianotossine nei corpi idrici. Per completare il quadro generale su come il laboratorio Specialistico di Ittiopatologia sia a disposizione del comparto ittico regionale e nazionale, resta da indicare i diversi filoni di ricerca che attualmente sono attivi; siamo in fase conclusiva dei progetti su:

- geni candidati per la resistenza alla lattococcosi; - valutazione dell’antibioticoresistenza in ambiente acquatico d’allevamento; - monitoraggio sanitario su ostriche in banchi naturali e d’allevamento; - monitoraggio sanitario e creazione di linee guida nell’utilizzo di doctor fish in centri estetici (Fondazione CRT);

sono invece attive pienamente ricerche su altre tematiche quali: - utilizzo della fitoterapia in acquacoltura; - valutazione della possibile tossicità delle acque potabili; - ricerche su disinfettanti in acquacoltura; - uso di farine di insetto nell’alimentazione dei pesci (Fondazione AGER); - i laghi alpini come laboratori a cielo aperto (Fondazione CRT). A corollario di tutta l’attività diagnostica e di ricerca, gli operatori del laboratorio, siano essi a tempo indeterminato che borsisti, nell’ultimo triennio hanno edito a stampa su riviste indicizzate, 47 lavori scientifici ed hanno partecipato a numerosi Convegni Nazionali e Internazionali su tematiche riguardanti gli organismi e gli ambienti acquatici. A conclusione del quadro fin qui esposto, il personale del laboratorio, avendo acquisito negli anni una formazione e una conoscenza relativamente ampia nell’ambito del settore ittico, da tempo è chiamato nella formazione diretta degli operatori del settore, sia a livello sanitario che gestionale, con la partecipazione in qualità di esperti, a corsi di formazione universitaria, in scuole di specializzazione ed in corsi tematici.

11

LE MALATTIE NOTIFICABILI DEI SALMONIDI: AGGIORNAMENTI SUI NOVIRHABDOVIRUS Toffan A. Laboratorio di Ittiovirologia, Centro di Referenza Nazionale per le malattie dei Pesci, Molluschi e Crostacei; Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università, 11 – Legnaro (PD) I virus della setticemia emorragica virale (VHS sin. SEV) e della necrosi ematopoietica infettiva (IHNV sin. NEI) sono virus a RNA appartenenti alla famiglia Rhabdoviridae, genere Novirhabdovirus, e sono gli agenti causali della VHS e della IHN, due fra le più gravi patologie infettive che colpiscono gli animali acquatici. Queste malattie virali interessano principalmente i salmonidi, in particolare le trote iridee (Oncorhynchus mykiss), ma anche numerose altre specie sia d’acqua dolce che marine. I Novirhabdovirus si distinguono dagli altri appartenenti alla famiglia Rhabdoviridae per la presenza di un gene aggiuntivo (chiamato non viral o NV) che codifica per una proteina non strutturale alla quale si attribuisce un ruolo importante nel determinare la patogenicità dei diversi ceppi di VHSV e IHNV. Anche i geni codificanti per altre proteine, come la proteina di matrice (M) e la nucleoproteina (N) sembrano avere un ruolo importante nel determinare la diversa virulenza osservata in diversi ceppi virali nei confronti della trota iridea. Entrambi i virus hanno una distribuzione globale, anche se ristretta all’emisfero Nord, e sono endemici in Europa ed in Italia. In Europa la diffusione di tali malattie è regolamentate da leggi nazionali ed internazionali mirate alla loro eradicazione (direttiva 2006/88/CE), ed entrambe sono malattie listate dalla World Organisation for Animal Health (OIE). In Italia l’introduzione del virus della setticemia emorragica virale risale agli anni ’60 mentre l’introduzione del virus della necrosi ematopoietica infettiva è datata 1987. A seguito della loro introduzione tali malattie si sono diffuse sul territorio italiano con un impatto sanitario ed economico molto grave per la troticoltura italiana. Sia VHS che IHN si manifestano principalmente in presenza di temperature comprese tra i 4 e i 14°C con diverse forme di decorso accompagnate da sintomi clinici differenti. Tra 9 e 12°C le infezioni causano mortalità elevata e rapida, tra 15 e 18°C le patologie hanno un decorso rapido ma la mortalità complessiva è moderata. Infine a basse temperature (1-5°C) il decorso è prolungato e a stillicidio con limitata mortalità giornaliera ma elevata mortalità complessiva. I giovanili di trota iridea sono maggiormente sensibili all’infezione con mortalità vicina al 100%, ma tutte le taglie possono essere colpite con mortalità variabile dal 5 al 90%. I pesci affetti presentano melanosi, esoftalmo, anoressia, letargia intervallata da sprazzi di iperattività e nuoto anomalo (movimenti a spirale). Le lesioni esterne più frequentemente osservate sono: melanosi, esoftalmo bilaterale, emorragie alla base delle pinne, sui fianchi, oculari e branchiali, distensione dell’addome, anemia branchiale. Entrambi i virus possiedono tropismo per l’endotelio vasale ed il tessuto ematopoietico dell’interstizio renale. Le lesioni interne possono essere variabili: emorragie nella muscolatura dorsale, anemia di fegato, rene e milza, ascite, petecchie emorragiche su tutti gli organi interni (fegato, grasso viscerale, vescica natatoria e pericardio), riduzione dell’ematocrito, leucopenia e trombocitopenia. Le malattie sono indistinguibili dal punto di vista clinico, è quindi necessario sempre ricorrere al laboratorio per la caratterizzazione del virus. Poiché VHS e IHN sono due virus distinti dal punto di vista antigenico e gli anticorpi prodotti nei confronti di un virus non proteggono dall’altro, sono frequenti sono le coinfezioni con entrambi i virus nello stesso impianto e addirittura nello stesso soggetto.

12

La trasmissione dei due virus è prevalentemente orizzontale, diretta per coabitazione (da pesce a pesce) o mediata dall’acqua (acqua che contiene virioni infettanti). Elevata escrezione virale si osserva attraverso le urine ed i fluidi sessuali. La trasmissione verticale non è stata dimostrata, anche se le uova possono essere facilmente contaminate dai fluidi riproduttivi. Gli esemplari che superano la forma clinica della patologia possono restare carrier del virus per lungo periodo, anche per tutta la vita produttiva. Dai salmonidi allevati il virus si può trasmettere anche ai salmonidi selvatici, creando così dei reservoir in ambiente naturale. Infine, la disseminazione tra corpi idrici non direttamente collegati può avvenire tramite uccelli piscivori (aironi, cormorani, gabbiani), strumentario contaminato movimentazione di salmonidi infetti. Studi recente evidenziano tra i fattori di rischio più importanti associati all’introduzione di VHS in allevamento: lo stato sanitario delle aziende limitrofe, la vicinanza ad allevamenti positivi, le movimentazioni di animali vivi. Le movimentazioni di acqua e pesce in ingresso ed in uscita sono infatti i fattori di rischio considerati dalla normativa vigente per l’attribuzione della categoria sanitaria alle aziende che allevano specie sensibili a VHS e IHN (Dec. 2008/896/CE). Le diagnosi si esegue mediante rilevazione del/i virus in isolamento cellulare o del loro genoma mediante tecniche di biologia molecolare. I dettagli sulla frequenza e tipologia di campionamenti da eseguire nonché le metodiche riconosciute per la diagnosi si trovano nella Decisione di esecuzione UE 1554/2015 recante le modalità di applicazione della Dir 2006/88/CE per quanto riguarda le prescrizioni in materia di sorveglianza e di metodi diagnostici. Studi recenti di caratterizzazione virale hanno evidenziato la circolazione in Italia di diversi cluster virali appartenenti al genotipo Ia1 per VHS e al genotipo E per IHN. In particolare l’analisi filogenetica di 89 ceppi di IHN e 108 ceppi di VHS rappresentativi di un periodo temporale di oltre 30 anni (1982-2013) hanno permesso di evidenziare nel tempo, per entrambi i virus, introduzioni virali multiple nel territorio nazionale e una diversa velocità evolutiva, con IHN che presenta dei tassi evolutivi molto più elevati rispetto a VHS, probabilmente a causa della sua più recente introduzione nel territorio nazionale. Inoltre per i ceppi di IHN italiani si sta assistendo ad un incremento della gravità delle forme cliniche ad essi associate. Ulteriori studi per approfondire i marker molecolari di virulenza di questi due virus sono in corso. In Italia, in alternativa allo svuotamento completo dell’azienda prima del ripopolamento come previsto, ove possibile, dalle norme comunitarie, è permesso effettuare il ripopolamento prima del completamento del ciclo produttivo dei pesci ancora sotto taglia commerciale (eradicazione per fasi) (Nota MinSal 2386-31/01/2017). Questo strumento normativo, innovativo e unico in Europa, permette di ridurre le perdite economiche derivate dalle pratiche di stamping out necessarie ed indispensabili per la chiusura dei focolai di malattia secondo la normativa vigente. Bibliografia Abbadi M., Fusaro A., Ceolin C., Casarotto C., Quartesan R., Dalla Pozza M., Cattoli G., Toffan A., Holmes E.C. & Panzarin V. (2016). Molecular evolution and phylogeography of co-circulating IHNV and VHSV in Italy. Front Microbiol., 7: 1306. Baillon L., Mérour E., Cabon J., Louboutin L., Quenault H., Touzain F., Morin T., Blanchard Y., Biacchesi S. & Brémont M. (2017). A single amino acid change in the non-structural NV protein impacts the virulence phenotype of Viral hemorrhagic septicemia virus in trout. J. Gen. Virol., 98 (6): 1181-1184. doi: 10.1099/jgv.0.000830.

13

Cieslak M., Mikkelsen S.S., Skall H.F., Baud M., Diserens N., Engelsma M.Y., Haenen O.L., Mousakhani S., Panzarin V., Wahli T., Olesen N.J. & Schütze H. (2016). Phylogeny of the Viral Hemorrhagic Septicemia Virus in European aquaculture. PLoS One, 11 (10): e0164475. Dixon P., Paley R., Alegria-Moran R. & Oidtmann B. (2016). Epidemiological characteristics of infectious hematopoietic necrosis virus (IHNV): a review. Vet. Res., 47 (1): 63. Leong J.A.C. & Kurath G. (2017). Chapter 2. Infectious Hematopoietic Necrosis. In “Fish Viruses and Bacteria. Pathobiology and protection”. Eds. Woo & Cipriano. CAB International, USA. Lumsden J.S. (2017). Chapter 3. Viral Hemorrhagic Septicaemia Virus. In “Fish Viruses and Bacteria. Pathobiology and protection”. Eds. Woo & Cipriano. CAB International, USA. Oidtmann B.C., Pearce F.M., Thrush M.A., Peeler E.J., Ceolin C., Stärk K.D., Dalla Pozza M., Afonso A., Diserens N., Reese R.A. & Cameron A. (2014). Model for ranking freshwater fish farms according to their risk of infection and illustration for viral haemorrhagic septicaemia. Prev. Vet. Med., 115: 263-279.

14

LA LATTOCOCCOSI: VECCHIA CONOSCENZA, MA NUOVA EMERGENZA Prearo M.1, Righetti M.1, Cavazza G.1 & Pastorino P.1, 2 1 Laboratorio Specialistico di Ittiopatologia, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino; 2 Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste. Via Giorgieri, 10 - Trieste Le infezioni ittiche causate da cocchi Gram-positivi, comunemente denominate Streptococcosi, sono delle patologie che colpiscono una grande varietà di specie ittiche. Sono state descritte per la prima volta in Giappone alla fine degli anni ’50, dove sono state diagnosticate in allevamento intensivo di trota iridea (Hoshina et al., 1958). Nel territorio nazionale casi di Streptococcosi sono stati riscontrati per la prima volta durante la tarda estate del 1991, in allevamenti di pianura dell’Italia settentrionale (Ghittino & Prearo, 1992). Sulla base della valutazione delle caratteristiche fenotipiche dei germi, si è sempre parlato della Streptococcosi ittica come di una patologia unica. Tutte le patologie sostenute dalle specie afferenti a questa grande categoria, presentano delle caratteristiche comuni, abbastanza peculiari rispetto alle altre malattie che colpiscono le specie ittiche:

- causano una precoce anoressia dei soggetti colpiti; - i pesci si presentano letargici, con evidente melanosi e marcato esoftalmo mono o bilaterale; - vengono colpiti soprattutto pesci prossimi alla taglia commerciale, risparmiando in parte i soggetti giovani (novellame).

Grazie anche allo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche basate su caratteristiche genotipiche, è stato possibile effettuare una riclassificazione, dimostrando che sono implicati almeno quattro generi: Streptococcus, Lactococcus, Vagococcus e Carnobacterium (Schleifer et al., 1985; Collins et al., 1987; Wallbanks et al., 1990; Michel et al., 1997). Da un punto di vista puramente accademico le Streptococcosi, sulla base della temperatura alla quale si manifestano in modo eclatante, possono essere divise in due gruppi:

- Streptococcosi d’acqua calda: causate da cocchi Gram positivi patogeni che provocano mortalità a temperature al di sopra dei 15°C; tra questi distinguiamo Lactococcus garvieae, Streptococcus iniae, S. agalactiae e S. parauberis; - Streptococcosi d’acqua fredda: causate da cocchi Gram positivi che risultano patogeni esclusivamente per i Salmonidi a temperature inferiori a 15°C; tra questi si annoverano Vagococcus salmoninarum, Lactococcus piscium e Carnobacterium piscicola (Eldar & Ghittino, 1999).

La Lattococcosi è una patologia causata da Lactococcus garvieae; l’agente eziologico fu isolato e descritto per la prima volta in Gran Bretagna a partire da un episodio mastitico in bovino (Collins et al., 1983). I primi focolai di lattococcosi riscontrati in allevamenti di trote iridea (Oncorhynchus mykiss) sono stati descritti in Spagna (Palacios et al., 1993). Dopo le prime segnalazioni nella troticoltura italiana tra il 1991 e il 1992 (Ghittino & Prearo, 1992), l’infezione da Lactococcus garvieae è diventata in breve tempo la malattia batterica più importante negli allevamenti di pianura che presentano un’alimentazione idrica da acque di superficie, che durante il periodo estivo subiscono un innalzamento significativo della temperatura. I ceppi isolati fino ad ora in Italia sembrano appartenere ad un unico sierotipo (Eldar et al., 1999), risultando particolarmente virulento (Manfrin et al., 2004). È responsabile di considerevoli perdite economiche, soprattutto nel periodo estivo, in pesci all’ingrasso e a fine ciclo produttivo. Tale patogeno è in grado di causare mortalità pari al 50-80% del totale della produzione (Ghittino & Pedroni, 2007).

15

Lactococcus garvieae è stato isolato in diverse specie ittiche, tra le quali la trota iridea rappresenta quella maggiormente colpita, essendo la specie più sensibile, nella quale la malattia si sviluppa in forma iperacuta - acuta, associata ad altissima mortalità. Generalmente vengono colpiti i pesci adulti (con taglia >80-100 g), anche se potenzialmente possono essere colpite tutte le taglie (Chang et al., 2002; Pereira et al., 2004). L. garvieae è quindi da considerarsi un patogeno primario, responsabile di focolai anche in assenza di fattori predisponenti (Vendrell et al., 2006). I ceppi presentano diversa patogenicità: i ceppi capsulati (KG-) sono più virulenti rispetto a quelli non capsulati (KG+) (Barnes et al., 2002). I fattori dell’ambiente acquatico che possono influenzare la comparsa della malattia sono diversi: tra questi, la temperatura e la qualità dell’acqua sono i più importanti. La patologia è associata alle alte temperature dell’acqua, manifestandosi soprattutto nel periodo estivo, quando vengono superati i 15°C. L’ingresso di nuove partite di pesce in allevamento può rappresentare la via principale di introduzione del patogeno (Vendrell et al., 2006). La trasmissione è di tipo orizzontale e avviene per contatto diretto con soggetti infetti, alimento e acqua contaminati. Il ciclo oro-fecale mantiene la malattia all’interno dell’allevamento: è stato dimostrato che l’eliminazione dell’agente tramite le feci avviene dopo 72 ore dall’infezione (Eldar & Ghittino, 1999). Lo stato setticemico che si viene a stabilire nella lattococcosi causa un’imponente diatesi emorragica (Austin & Austin, 2007). Dall’infezione la comparsa dei sintomi è rapida, circa tre giorni e il batterio agisce con alta virulenza (Eldar & Ghittino, 1999). La malattia provoca gravi perdite economiche a causa di tassi molto elevati di mortalità, diminuzione della crescita e

comparsa di lesioni tali da rendere i pesci invendibili. L'attività patogena è mediata da tossine che hanno la capacità di produrre i sintomi clinici quando vengono inoculate nel pesce (Barnett et al., 2015). La sintomatologia inizia con la rapida comparsa di anoressia, melanosi, letargia, perdita di orientamento e nuoto irregolare (Vendrell et al., 2006). Tipica e costante è la comparsa di accentuato esoftalmo uni o bilaterale (da cui il nome inglese “pop-

eye”). Si osserva inoltre la presenza di emorragie e petecchie sulla superficie cutanea a causa di lesioni all’endotelio vascolare. In particolare sono maggiormente colpite la base delle pinne e le regioni periorbitale, intraoculare, opercolare, buccale e perianale. È anche molto comune osservare i pesci con distensione addominale e prolasso anale (Eldar & Ghittino, 1999). All’apertura del pesce si osserva presenza di ascite, emorragie a carico di diversi organi, soprattutto a livello di peritoneo, vescica natatoria, grasso periviscerale, fegato e muscoli. Il parenchima epatico si presenta spesso con un imponente quadro di teleangectasia maculosa e l’intestino presenta enterite emorragica. Vi è inoltre splenomegalia e pericardite, con accumulo di

16

liquido sieroso nella cavità pericardica, meningite all’apertura della scatola cranica (Ghittino & Prearo, 1992). Sotto il profilo istopatologico si delinea una panoftalmite talvolta emorragica, con distruzione della camera anteriore e posteriore dell’occhio. Un infiltrato di cellule infiammatorie può essere osservato a livello del nervo ottico, del muscolo striato e del tessuto adiposo retrobulbare (Eldar & Ghittino, 1999). Nel SNC le lesioni sono a carico delle meningi del cervello e del cervelletto con infiltrazioni di linfociti e macrofagi. I pesci infetti presentano meningite acuta ed essudato che copre la superficie del cervello. Nel cuore, le lesioni sono costituite da infiltrato di macrofagi e linfociti a livello del pericardio. Nel rene si ha la deposizione di materiale ialino, sia a livello di epitelio che a livello di lume. Nella cavità celomatica, la peritonite è accompagnata da necrosi a carico del grasso periviscerale. L’intestino presenta vaste aree di erosione superficiale e formazione di pseudomembrane (Vendrell et al., 2006). La diagnosi clinica ed epidemiologica delle setticemie batteriche non risulta facile, poiché sono numerose le infezioni che causano una sintomatologia simile ed aspecifica. Risulta quindi fondamentale la conferma diagnostica con metodi di laboratorio che consentano la corretta identificazione dell’agente eziologico. La diagnosi clinica si basa sull’osservazione dei sintomi e delle lesioni anatomopatologiche tipiche. La conferma diagnostica si basa invece sull’isolamento del batterio e sulla sua successiva identificazione, tramite caratterizzazione fenotipica (prove colturali e biochimiche) o biomolecolare (PCR). Gli organi più appropriati da cui partire sono reni e cervello, sebbene l'agente possa essere isolato anche da fegato, milza, occhi, intestino e sangue. Gli antibiotici utilizzati per il controllo delle Streptococcosi, vengono somministrati solo per via orale, mediante mangimi medicati (Meyburgh et al., 2017) e tra le molecole più frequentemente utilizzate per il loro controllo, l’eritromicina rappresenta il farmaco d’elezione, dando ottimi risultati; altre molecole efficaci risultano l’ossitetraciclina, l’amoxicillina ed il florfenicolo. Il dosaggio terapeutico per l’eritromicina è di 50 mg/kg di peso vivo per 7 giorni (Ghittino & Prearo, 1992). Gli agenti antimicrobici mostrano una buona attività in vitro, ma scarso rendimento in condizioni di campo a causa di una serie di fattori, fra i quali l’estrema virulenza del germe, la precoce comparsa di anoressia nei pesci infetti ed in secondo luogo la possibile comparsa di ceppi batterici resistenti (Bercovier et al., 1997). Inoltre, a causa delle alte temperature delle acque e della precoce anoressia che si instaura molto velocemente, i pesci si alimentano poco e male, con conseguente scarsa assunzione di antibiotico e continue ricadute. Attualmente i risultati scoraggianti della terapia antibiotica, accompagnata dai costi molto spesso poco sostenibili, hanno fatto intraprendere campagne di vaccinazione con l’impiego di vaccini spenti. Ad oggi sono in commercio vaccini adiuvati, ma resta ancora possibile l’utilizzo di vaccini stabulogeni. Le misure sanitarie sono la prima barriera efficace nei confronti della diffusione dei batteri in allevamento. È necessario mantenere buone condizioni igieniche ambientali, usare cibi certificati e conservarli adeguatamente, effettuare la quarantena per i soggetti di nuova introduzione, ridurre le densità di pesci in vasca, le manipolazioni e eliminare i pesci morti. Inoltre può aiutare anche una periodica pulizia e disinfezione di tutti gli utensili in azienda (Vendrell et al., 2006). Infine, è importante evitare l'ingresso di uccelli ittiofagi, i quali possono agire come vettori. La lattococcosi rappresenta una malattia spesso favorita da scadenti condizioni ambientali, alto carico organico delle acque, elevate temperature e sovraffollamento (Ghittino & Prearo, 1992). Per questi motivi, quando la malattia compare in impianto, è necessario cercare di ridurre la densità dei pesci, ridurre i fattori stressanti come il trasporto e l’alimentazione spinta e controllare le vie d’infezione (cibo, acqua e pronta eliminazione dei soggetti morti). Se si hanno vasche separate e ne viene colpita solo una, è necessario usare attrezzature dedicate (Prearo et al., 2004).

17

Dai primi anni '90, L. garvieae è stato associato a diverse infezioni nell’uomo, principalmente endocarditi. Nel corso dell’ultimo decennio, le infezioni umane dovute a questo batterio sembrano essere in aumento, probabilmente a causa del miglioramento dei metodi diagnostici per l'identificazione dell’agente patogeno. Queste infezioni sono state spesso associate al consumo o alla manipolazione di pesce contaminato crudo e, di recente, uno studio genetico ha mostrato che la carne, il latte crudo e prodotti lattiero-caseari possono rappresentare fonti alimentari di infezione. Tuttavia, lo stato di L. garvieae come potenziale batterio zoonotico, è ancora molto dibattuto (Russo et al., 2012; Gibello et al., 2016). Proprio alla luce di quanto affermato e per far fronte alla nuova emergenza che gli allevatori hanno indicato, soprattutto dopo le due ultime annate, dove la vaccinazione ha in parte fallito l’obiettivo, un gruppo di ricercatori italiani (IZS di Torino, IZS di Legnaro e Università di Udine), in collaborazione con l’Associazione Piscicoltori Italiani e alcune ditte mangimistiche, sta tentando di intraprendere un nuovo studio sulla situazione epidemiologica attuale negli allevamenti italiani. L’obiettivo è quello di valutare la situazione generale, sia dal punto di vista del patogeno, per verificare gli eventuali cambiamenti delle condizioni o del germe, sia dal punto di vista della trota, verificando lo stato immunitario e la risposta mutuata dal trattamento vaccinale; inoltre si dovrà valutare l’efficienza e l’efficacia del vaccino attualmente utilizzato, cercando di portare eventuali migliorie al prodotto. Bibliografia: Austin B. & Austin D. (2007). Bacterial fish pathogens – Disease of farmed and wild fish. IV^ Ed. Springer, Germania: 1-538. Barnes A.C., Guyot C., Hansen B.G., Mackenzie K., Horne M.T. & Ellis A.E. (2002). Resistance to serum killing may contribute to differences in the abilities of capsulate and non-capsulated isolates of Lactococcus garvieae to cause disease in rainbow trout (Oncorhynchus mykiss L.). Fish & Shellfish Immunol., 12, 155-168. Barnett T.C., Cole J.N., Rivera-Hernandez T., Henningham A., Paton J.C., Nizet V. & Walker M.J. (2015). Streptococcal toxins: role in pathogenesis and disease. Cell. Microbiol., 17: 1721-1741. Bercovier H., Ghittino C. & Eldar A. (1997). Immunization with bacterial antigens: infections with streptococci and related organisms. Dev. Biol. Stand., 90: 153-160. Chang P.H., Lin C.W. & Lee Y.C. (2002). Lactococcus garvieae infection of cultured rainbow trout, Oncorhynchus mykiss, in Taiwan and associated biophysical characteristics and histopathology. Bull. Eur. Ass. Fish Pathol., 22: 319-327. Collins M.D., Farrow J.A., Phillips B.A., Ferusu S. & Jones D. (1987). Classification of Lactococcus divergens, Lactococcus piscicola, and some catalase negative, asporogenous, rod-shaped bacteria from poultry in a new genus, Carnobacterium. Int. J. Syst. Bacteriol., 37: 310-316.

18

Collins M.D., Farrow J.A., Phillips B.A. & Kandler O. (1983). Streptococcus garvieae sp. nov. and Streptococcus plantarum sp. nov. J. Gen. Microbiol., 129: 3427-3431. Eldar A. & Ghittino C. (1999). Lactococcus garvieae and Streptococcus iniae infections in rainbow trout Oncorhynchus mykiss: similar, but different diseases. Dis. Aquat. Org., 36: 227-231. Eldar A., Goria M., Ghittino M., Zlotkin A. & Bercovier H. (1999). Biodiversity of Lactococcus garvieae strains isolated from fish in Europe, Asia and Australia. Appl. Environ. Microbiol., 3: 1005-1008. Ghittino C. & Pedroni A. (2007). Principali patologie batteriche dei Salmonidi: diagnosi, terapia e prevenzione. In: G. Baruchelli, “Tecniche di allevamento e trasformazione della Trota”, Ed. Istituto Agrario S. Michele all’Adige (TN): 271-284. Ghittino C. & Prearo M. (1992). Segnalazione di Streptococcosi nella trota iridea (Oncorhynchus mykiss) in Italia: nota preliminare. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 8: 4-9. Gibello A., Galán-Sánchez F., Blanco M.M., Rodríguez-Iglesias M., Domínguez L. & Fernández-Garayzábal J.F. (2016). The zoonotic potential of Lactococcus garvieae: an overview on microbiology, epidemiology, virulence factors and relationship with its presence in foods. Res. Vet. Scien., 109: 59-70. Hoshina T., Sano T. & Morimoto Y. (1958). A Streptococcus pathogenic to fish. J. Tokio Univ. Fish, 44: 57-58. Manfrin A., Corrò M., Franceschini F., Volpin M., Perin R., Friso S. & Qualtieri K. (2004). Tolleranza al trattamento termico di ceppi di Lactococcus garvieae isolati da trota iridea (Oncorhynchus mykiss). Ittiopatologia, 1: 112-119. Meyburgh C., Bragg R. & Boucher C. (2017). Lactococcus garvieae: an emerging bacterial pathogen of fish. Dis. Aquat. Org., 123, (1): 67-79. Michel C., Nougayrede P., Eldar A., Sochon E. & de Kinkelin P. (1997). Vagococcus salmoninarum, a bacterium of pathological significance in rainbow trout (Oncorhynchus mykiss) farming. Dis. Aquat. Org., 30: 189-208. Palacios M.A., Zamora M.J., Velazquez J., Zamora E. & Duran A. (1993). Streptococcosi della trota iridea (Oncorhynchus mykiss) in Spagna. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 13: 11-16. Pereira F., Ravelo C., Toranzo A.E. & Romalde J.L. (2004). Lactococcus garvieae, an emerging pathogen for the Portuguese trout culture. Bull. Eur. Ass. Fish Pathol., 24: 274-279. Prearo M., Pedron C. & Sarti M., (2004). Controllo e profilassi vaccinale della lattococcosi. Atti XI Convegno Nazionale Soc. It. Patol. Ittica, Finale Ligure (SV) 7-9 ottobre 2004:47-49. Russo G., Iannetta M., D’Abramo A., Mascellino M.T., Pantosti A., Erario L., Tebano G., Oliva A., D’Agostino C., Trinchieri V. & Vullo V. (2012). Lactococcus garvieae endocarditis in patient with colonic diverticulosis: first case report in Italy and review of the literature. New Microbiologica, 35: 495-501. Schleifer K.H., Kraus J., Dvorak C., Kilpper-Balz R., Collins M.D. & Fischer W. (1985). Transfer of Streptococcus lactis and related streptococci to the genus Lactococcus gen nov. Syst. Appl. Microbiol., 6: 183-195. Vendrell D., Balcázar J.L., Ruiz-Zarzuela I., de Blas I., Gironés O. & Múzquiz J.L. (2006). Lactococcus garvieae in fish: a review. Comp. Immunol. Microbiol. Infect. Dis., 29, (4): 177-198. Wallbanks S., Martínez-Murcia A.J., Fryer J.L., Phillips B.A. & Collins M.D. (1990). 16S rRNA sequence determination for members of the genus Carnobacterium and related lactic acid bacteria and description of Vagococcus salmoninarum sp. nov. Int. J. Syst. Bacteriol., 40: 224-230.

19

PROFILASSI IN ACQUACOLTURA: RESISTENZA GENETICA ALLE PATOLOGIE

Colussi S.1, Campia V.1, Maniaci M.G.1, Riina M.V.1, Peletto S.1, Modesto P.1, Volpatti D.2, Bulfon C.2, Byadgi O.2, Righetti M.1, Prearo M.1 & Acutis P.L.1

1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – via Bologna, 148 - 10154 Torino; 2 Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali, Università degli Studi di Udine - Via Sondrio, 2/A – 33100 Udine. Le malattie infettive rappresentano ad oggi uno dei principali problemi negli allevamenti intensivi d'acquacoltura; esse sono fonte di ingenti perdite economiche da attribuire agli elevati livelli di mortalità e alla necessità di impiegare trattamenti farmacologici che possono, peraltro, indurre lo sviluppo di fenomeni di antibiotico resistenza e inquinamento ambientale. L'implementazione di efficaci sistemi di profilassi, potrebbe pertanto favorire uno sviluppo sostenibile dell'acquacoltura: tra le tecnologie innovative utilizzabili vi è la selezione genetica degli stock ittici. Essa può essere impiegata per la selezione di tratti di interesse produttivo ma anche per la selezione di soggetti geneticamente resistenti a malattie di origine batterica, virale e parassitaria. I maggiori sforzi, in tal senso, sono stati fatti per le specie di più elevata rilevanza economica quali i salmonidi e il Nord Europa ha messo in atto piani di selezione assistita da marcatori genetici per la resistenza alla necrosi pancreatica infettiva (NPI) ottenendo un decremento del 75% dell'incidenza della malattia. Sebbene la maggior parte degli stock ittici nel mondo risulti ancora non selezionato, per ragioni prevalentemente economiche, questo rimane sicuramente un obiettivo da perseguire. In tale contesto si inserisce lo studio condotto sul gene MHC di classe IIß, quale gene candidato nel conferire resistenza alla lattococcosi nella trota iridea (Colussi et al., 2015). La lattococcosi è una infezione batterica sostenuta da Lactococcus garvieae, di notevole impatto economico per la troticoltura italiana. Le strategie di controllo disponibili si basano sull’utilizzo di vaccini autologhi e commerciali e sul trattamento terapeutico. In entrambi i casi vi sono grossi limiti dovuti alla ridotta efficacia dei vaccini e alla possibilità di immissione di antibiotici nell’ambiente, con accresciuto rischio di insorgenza di ceppi antibiotico resistenti, come dimostrato da Raissy & Ansari (2011), che hanno rilevato valori di antibiotico resistenza dal 25 al 100% su tutti i ceppi isolati da impianti di troticoltura in Iran. La selezione genetica di soggetti portatori dell'allele di resistenza del gene MHC di classe IIß, individuato nello studio suddetto, consentirebbe di applicare piani per il contenimento dell’infezione, quale ausilio alle tecniche tradizionali. Di recente è stato, inoltre, concluso un challenge test per immersione-diluizione del patogeno, finalizzato all'approfondimento dello studio della risposta immunitaria in linee di trote resistenti e suscettibili, in condizioni standardizzate. Lo studio ha evidenziato differenze significative nei parametri relativi alla immunità innata coinvolti nel contrastare il patogeno. La condizione immunologica di un organismo può suggerire, infatti, la presenza di specifici tratti genetici che lo rendono resistente alle malattie ed i parametri di immunità innata rappresentano la prima linea difensiva contro i patogeni (Das & Sahoo, 2014). Ulteriori approfondimenti verranno condotti per testare la resistenza nei confronti di ceppi differenti di Lactococcus garvieae e si procederà ad implementare metodi di crioconservazione del tessuto ovarico di trota, al fine di sopperire alla bassa frequenza con cui l'allele di resistenza è stato rilevato nelle popolazioni di trota iridea studiate.

20

Bibliografia: Colussi S., Prearo M., Bertuzzi S.A., Scanzio T., Peletto S., Favaro L., Modesto P., Maniaci M.G., Ru G., Desiato R. & Acutis P.L. (2015). Association of a specific major histocompatibility complex class IIb single nucleotide polymorphism with resistance to lactococcosis in rainbow trout, Oncorhynchus mykiss (Walbaum). J. Fish Dis., 38 (1): 27-35. Das S. & Sahoo P.K. (2014). Markers for selection of disease resistance in fish: a review. Aquaculture Inter., 22: 1793-1812. Raissy M. & Ansari M. (2011). Antibiotic susceptibility of Lactococcus garvieae isolated from rainbow trout (Oncorhynchus mykiss) in Iran fish farms. African J. Biotechnol., 10: 1473-1476.

21

IL FARMACO IN ACQUACOLTURA: ASPETTI NORMATIVI E MODALITÀ D’UTILIZZO Barbero R. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino

Dal 10 giugno 2006 è in vigore il Codice Comunitario dei medicinali veterinari: un Testo Unico che raccoglie e sostituisce tutta la precedente normativa sui medicinali veterinari per quanto riguarda l’autorizzazione all’immissione in commercio, la detenzione, la prescrizione, la fornitura e la somministrazione dei medicinali veterinari. L’art. 1 del Decreto Legislativo 6 aprile 2006, n° 193 (Decreto Legislativo 6 aprile 2006, n° 193, www.camera.it/parlm/leggi/deleghe/testi/06193dl.htm) definisce medicinale veterinario “ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative e profilattiche delle malattie animali e che può essere usata sull’animale o somministrata all’animale allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche mediante un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, oppure di stabilire una diagnosi medica”. Questo decreto si applica ai medicinali veterinari, incluse le premiscele per alimenti medicamentosi, destinati ad essere immessi in commercio e preparati industrialmente o nella cui fabbricazione interviene un processo industriale (Art. 2). Non si applica invece agli alimenti medicamentosi disciplinati dal decreto legislativo 3 marzo 1993, n° 90 e successive modificazioni che regola l’allestimento, l’immissione in commercio e l’utilizzo dei mangimi medicati. L’ art. 3, comma 1 di tale decreto recita che nessun medicinale può essere immesso in commercio senza aver ottenuto l’AIC dal Ministero della Salute, oppure dalla Commissione Europea, a norma del Regolamento (CEE) 2309/93, fatta eccezione per alcune deroghe citate nello stesso comma. Il D.Lgs. 6 aprile 2006, n° 193 non si applica neppure ai medicinali veterinari ad azione immunologica inattivati aventi caratteristiche di vaccini stabulogeni ed autovaccini, regolamentati dal D.M. 17 marzo 1994, n° 287. Questi vaccini sono prodotti dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali previa autorizzazione del Ministero della Salute e a seguito di parere favorevole dell’Istituto Superiore di Sanità. Essi, quindi, non sono “registrati” come avviene per gli altri prodotti farmacologici, vaccini compresi e possono essere utilizzati solo per motivi contingenti, in presenza di gravi patologie. Inoltre essi devono essere preparati, su specifica richiesta del veterinario curante, dopo diagnosi clinica e di laboratorio con lo specifico ceppo della singola azienda (da qui il nome di stabulogeno, cioè “nato/isolato in quella stalla”). Attualmente risultano essere autorizzati in Italia: un vaccino per la lattococcosi (IZS di Torino) e gli “storici” vaccini per la vibriosi e la bocca rossa (autorizzazione dell’IZS delle Venezie attualmente acquisita dall’ IZS di Sassari). Quanto detto costituisce solo una breve disamina sulla legislazione legata al farmaco in medicina veterinaria tuttavia appare già evidente con quante e quali difficoltà il Medico Veterinario sia obbligato ad interfacciarsi nella pratica clinica quotidiana. Inoltre, occorre inoltre aggiungere il fatto che per le specie ittiche, tutto quanto venga ulteriormente complicato dalla scarsità di molecole registrate in commercio. Nonostante il vasto numero di farmaci (antibatterici e antiparassitari), ritenuti potenzialmente idonei per il trattamento delle malattie che interessano le specie ittiche, in realtà è estremamente ristretto il campo di molecole consentite; infatti, oltre all' aspetto economico, è sempre più crescente l'attenzione sui possibili rischi che l'uso intensivo del farmaco in acquacoltura potrebbe rappresentare per la salute umana e per l'ambiente, in particolare per quanto concerne il trasferimento di farmacoresistenze ai patogeni per l’uomo. La terapia antibatterica nell' allevamento ittico è legalmente consentita solo con

22

l'impiego di mangimi medicati, costituiti dal normale alimento di base addizionato del farmaco in quantità tale da permettere l'assunzione dei dosaggi di principio attivo previsti dalle leggi vigenti. Considerando che la somministrazione di medicinali veterinari ad animali destinati alla produzione di alimenti può comportare la presenza di residui negli alimenti ottenuti dagli animali così trattati, è stato emanato nell’ambito della Comunità Europea il regolamento (CEE) 2377 del 26 giugno 1990 che definisce il limite massimo di residuo (LMR o MRL) come la massima concentrazione di residui risultante dall’uso di un prodotto medicinale veterinario (espresso in mg/kg o in µg/kg sul peso vivo) consentita legalmente e riconosciuta accettabile negli o sugli alimenti. Gli MRL variano da farmaco a farmaco, da specie a specie ed anche da un tessuto all'altro, in relazione alla possibile presenza di vie metaboliche specifiche che ne modificano il profilo farmacocinetico. La determinazione di idonei MRL consente, inoltre, di calcolare i tempi di attesa pre-macellazione dei soggetti trattati. Le caratteristiche ideali di un farmaco impiegato per via orale dovrebbero rispondere a determinati requisiti: appetibilità, buono o elevato assorbimento dal tratto gastroenterico, stabilità del principio attivo nel mangime, ampio margine di maneggevolezza, scarsa insorgenza di farmaco-resistenza e scarso o nullo impatto ambientale. Tutte queste caratteristiche non sono in realtà disponibili per le molecole attualmente impiegate per combattere le malattie batteriche dei pesci. Negli animali eterotermi, la cui temperatura corporea varia in funzione della temperatura dell’acqua, si assiste ad uno scarso assorbimento dei farmaci dal tratto gastro-enterico e ad una rilevante variabilità nell' assunzione di alimento all' interno di una popolazione ittica. Inoltre il comportamento cinetico di un farmaco nelle specie ittiche è influenzato da numerosi fattori, alcuni dei quali comuni anche alle specie omeoterme ed in particolare: dalle caratteristiche fisico-chimiche del farmaco (pH, pKa, solubilità e stabilità), dalle differenze fisiologiche e biochimiche riferibili a specie, età, sesso, dagli stati patologici degli animali, dalla composizione e dalle caratteristiche della dieta, dall’entità di legame con le proteine plasmatiche e dalla presenza di altri xenobiotici. Oltre a questi, nel caso di animali eterotermi, intervengono anche fattori ambientali, quali: la temperatura, la salinità, il pH dell’acqua, la presenza di particolari ioni, la presenza di residui organici e la quantità di ossigeno disciolto nell’acqua.

23

LA GESTIONE DEI RIPOPOLAMENTI NELLE ACQUE INTERNE NATURALI Pizzul E. Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste. Via Giorgieri, 10 – 34127 Trieste

La normativa in materia di pesca nelle acque interne italiane è piuttosto complessa, sostanzialmente perché ha origine da fonti diverse, principalmente Stato e Regioni, e quindi può mancare di coordinamento e portare a realizzazioni di piani gestionali anche sostanzialmente molto diversi da Regione a Regione. Il ruolo dello Stato è quello di definire i principi fondamentali che devono essere rispettati su tutto il territorio nazionale attraverso una legge-quadro, mentre le Regioni possono definire una normativa di dettaglio che tuttavia deve esplicarsi nell’ambito dei principi fondamentali contenuti nella legge-quadro. Per quanto riguarda la legislazione statale vi è un unico documento: il Regio Decreto n. 1604 dell’8 ottobre 1931 (Testo Unico delle leggi sulla pesca), che regola la pesca imponendo norme comportamentali (divieti, limitazioni, concessioni). Si tratta di un documento ancora in vigore, in quanto mai abrogato, ma che definisce delle limitazioni ovviamente ormai molto lontane dalle esigenze attuali dell’esercizio della pesca. Alle lacune che con il passare del tempo si creavano per la mancanza di un aggiornamento del Testo Unico hanno risposto quindi le Regioni che hanno di fatto legiferato svincolate da una legge quadro valida. Sono state emanate leggi regionali, regolamenti regionali, piani ittici regionali, regolamenti provinciali, piani ittici provinciali, che molto spesso erano nella sostanza e nelle finalità molto diversi tra loro ed erano pesantemente condizionati dalle richieste provenienti dal mondo della pesca sportiva. Infatti, mentre in campo venatorio si facevano e si fanno sentire le richieste di associazioni, movimenti e gruppi in difesa delle specie animali cacciate, in ambito alieutico regnava, ed in parte ciò accade ancor oggi, un completo disinteresse, quasi si trattasse di specie con dignità inferiore. Zerunian (2002) riporta che in Italia ben 41 taxa di pesci d’acqua dolce (che includono Ciclostomi e Osteitti) su 48 (85%) vengono riportati in Lista rossa; una percentuale decisamente maggiore di altri gruppi animali quali Mammiferi (64%), Uccelli (66%) e Rettili (69%), di cui al contrario dei Pesci spesso e giustamente si sente parlare di conservazione. Seguì il Decreto Legislativo n. 4 del 9 gennaio 2012 che stabilisce le misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma della legge n. 96 del 4 giugno 2010. Tale decreto ha l’obiettivo di definire una regolamentazione sul prelievo sia da pesca professionale che dilettantistica in acque marine, salmastre e dolci. Tuttavia ad incidere sulla gestione della fauna ittica nelle acque interne è il Regolamento (UE) n. 1143 emanato dal parlamento Europeo il 22 ottobre 2014, ove vengono riportate disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive. Infatti l’aspetto della pesca, che nelle acque interne è soprattutto sportiva con l’eccezione delle aree di foce e dei laghi di maggiori dimensioni, che incide maggiormente sullo stato delle comunità ittiche non è il prelievo quanto l’introduzione di materiale ittico. Introduzioni molto spesso condotte con materiale non autoctono ed effettuate in quantità eccessive rispetto a quella che è la capacità portante dell’ambiente di introduzione. Principalmente si tratta di Salmonidi, in quanto sono questi che riscuotono il maggior interesse da parte dei pescatori italiani, ma chiaramente non solo anche perché nelle acque

24

italiane finiscono anche specie che magari non rivestono importanza diretta per la pesca ma lo hanno per lo svolgimento della stessa, come ad esempio specie utilizzate in veste di esche vive (Pseudorasbora parva, Rodeo sericeus). Zerunian (2002) tra le principali cause di disturbo delle specie ittiche d’acqua dolce cita proprio l’introduzione di specie esotiche (Figura 1). Queste introduzioni possono avere effetti diversi sugli ecosistemi in cui vengono condotte, ciò dipende dalla capacità che ha la specie esotica ad adattarsi; in modo molto sintetico possiamo distinguere 3 casi:

1 – la specie esotica non trova un ambiente adatto per nutrirsi e per riprodursi 2 – la specie esotica trova cibo nel nuovo ambiente ma in esso non riesce a riprodursi 3 – la specie si adatta perfettamente all’ambiente

È evidente che le conseguenze dell’introduzione saranno più pesanti nel caso 3, ma anche nel caso 1, in cui la specie riuscirà a sopravvivere solo per un breve periodo, gli effetti comunque possono essere devastanti; infatti la specie può portare con se organismi patogeni. Nel caso della fauna ittica sono state documentate in passato introduzioni di patogeni causate, soprattutto, dal fatto che negli allevamenti ittici, per le elevate densità in cui vengono stabulati gli animali, le malattie tendono a diffondersi in modo più efficiente che nell'ambiente naturale. L'attenzione a questo pericolo è testimoniata dalle norme sanitarie che impediscono l'immissione di alcune specie ittiche in assenza di un'adeguata certificazione sanitaria attestante l'assenza di alcune patologie. Nel secondo caso al rischio sopracitato si affianca la competizione che la specie esotica innesca con le specie autoctone per le risorse trofiche o lo spazio ed il rischio di predazione. I pesci immessi a scopo di pesca devono alimentarsi accedendo alle risorse trofiche del corso d'acqua, il pericolo derivante dalla loro immissione dipende dallo spettro alimentare della specie utilizzata e da quello delle specie presenti in natura. Mentre il pericolo relativo all'uso dell'habitat è correlato alle diverse attività e fasi della vita dei pesci. La sovrapposizione di habitat può essere completa, come accade nel caso di gran parte dei Salmonidi che vivono in acque correnti, oppure parziale e legata a particolari fasi dell'attività o del ciclo biologico di una specie. Di rilevanza è anche il comportamento territoriale o meno delle specie introdotte e di quelle autoctone. Infine, quando i pesci immessi sono predatori, in particolare se si tratta di individui di grandi dimensioni, la predazione su altre specie è un fenomeno atteso. Nonostante la capacità di predazione risulti piuttosto ridotta negli esemplari che provengono da allevamenti, fattore negativo per l'attività di pesca sportiva, gli individui immessi tendono col passare del tempo e con la necessità di alimentarsi a divenire sempre più aggressivi e capaci nella predazione. Nel terzo caso, giacché si tratta di una specie esotica acclimatata, a tutti i rischi descritti precedentemente si aggiunge la possibilità di ibridazione. Quando le specie ittiche immesse sono presenti nell'ambiente naturale con popolazioni selvatiche, o sono presenti popolazioni selvatiche appartenenti a taxa molto vicini a quelli degli esemplari immessi, è possibile tale fenomeno; che è ampiamente documentato nel caso della compresenza di

25

trota fario (Salmo trutta) e trota marmorata (Salmo marmoratus) in tutto l'areale originario di quest’ultima specie. Il Regolamento (UE) n. 1143 del 22 ottobre 2014 proprio recependo tali problematiche ha di fatto sconvolto la gestione dell’ittiofauna dulciacquicola italiana, incentrata, come precedentemente detto, principalmente a soddisfare le esigenze alieutiche e poco incline a tutelare le specie autoctone, la cui salvaguardia è già a rischio dalle profonde modificazioni antropiche dei corsi d’acqua (captazioni, rettificazioni, cementificazioni degli alvei, ecc), da fenomeni di inquinamento e, non da ultimo, dalle modificazioni climatiche in atto.

26

I LAGHI ALPINI: LABORATORI NATURALI A CIELO APERTO Pastorino P.1,2, Pizzul E.2, Polazzo F.2, Bertoli M.2 & Prearo M.1

1 Laboratorio Specialistico di Ittiopatologia, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, via Bologna, 148 – 10154 Torino; 2 Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste, Via Giorgieri, 10 – 34127 Trieste

Con il termine “alpino” si definiscono due diverse categorie di laghi, i laghi appartenenti alla catena delle Alpi ed i laghi situati oltre il limite della vegetazione arborea (Boggero et al., 2011). Se la prima definizione è netta e comprensibile a tutti, la seconda è molto più vaga. Lungo la stessa catena alpina tale limite è infatti situato tra 2000 e 2500 metri di altitudine nelle Alpi centrali e tra 1500 e 2000 metri nelle Alpi meridionali e nelle vallate marginali. Inoltre, sui pendii rivolti a sudovest, le piante si spingono più in alto per una maggior irradiazione solare; viceversa, nelle regioni mediterranee, il limite di distribuzione delle piante scende perché a quote superiori l’aridità è tale da non permetterne lo sviluppo. Inoltre, il limite della vegetazione arborea non è fisso, ma tende ad innalzarsi, sia per l’abbandono dei pascoli di alta quota, che permette la crescita della vegetazione arborea, sia per effetto dell’aumento di temperatura, avvenuto nelle ultime decadi. In questa sede, sono ospitati laghi che possono avere o meno un immissario definito o essere alimentati da acque di fusione di nevai e/o di ghiacciai, ma che solitamente hanno un emissario e sono spesso considerati un’interruzione al flusso d’acqua di ruscelli o torrenti disseminati sulle montagne. I laghi alpini possono avere diversa origine (anche se la maggior parte risale all’ultima glaciazione) e diversa profondità (variabile approssimativamente fra 2 e 70 m) (Boggero et al., 2011); possono essere soggetti a periodi molto diversi di copertura ghiacciata (fino a 8 mesi) e possono presentare o meno vegetazione emersa o sommersa. È facile quindi capire come mai alcuni di essi siano soggetti a forti variazioni di livello che tendono a destabilizzarne le comunità che li abitano, rompendo equilibri importanti per il mantenimento di popolamenti vegetali ed animali terresti ed acquatici. I laghi alpini si trovano per lo più in aree scarsamente popolate e contraddistinte da spiccata naturalità, spesso inserite in zone soggette a vincoli ambientali. Sono soggetti a condizioni climatiche estreme, spesso difficilmente accessibili poiché posizionati in zone remote popolate da flora e fauna peculiari. Costituiscono un patrimonio naturalistico di primaria importanza e possiedono un’importante valenza ricreativa, turistica e didattica. Le caratteristiche del clima d’alta montagna fanno si che questi laghi siano ambienti estremi, dove la fortissima variabilità stagionale costringe le dinamiche ecologiche entro i limiti temporali di un'estate brevissima e di un inverno severo (Tilzer & Schwartz, 1976). I bassi valori di temperatura delle acque, le modeste concentrazioni di nutrienti e la presenza di una copertura di ghiaccio per diversi mesi all’anno agiscono come fattori limitanti la

Lago Sottano della Balma (foto di Paolo Pastorino)

27

produzione primaria. I laghi alpini sono generalmente piccoli, con reti trofiche più semplici di quelle dei laghi di pianura, ma fortemente influenzate da differenti fattori: ambientali, chimici e fisici (De Bernardi et al., 1982). Sono particolarmente sensibili all’impatto antropogenico; infatti, il chimismo delle acque è fortemente condizionato dalla composizione chimica delle deposizioni atmosferiche (Rogora et al., 2003; Camarero et al., 2009). Molti di essi sono lontani dalle principali fonti di inquinamento e possono essere utilizzati per studiare i cambiamenti naturali così come quelli indotti a distanza dall'attività antropica, come il trasporto a lungo raggio degli inquinanti atmosferici (Rogora et al., 2008). Gli effetti del cambiamento climatico interessano particolarmente gli ambienti di alta quota (Battarbee et al., 2002; Rogora et al., 2003; Filippelli et al., 2006; Sommaruga, 2007) così come le deposizioni acide hanno rappresentato e rappresentano tutt’oggi un problema sulle Alpi (Mosello et al., 1992; 1993; Marchetto et al., 1994; 1995; Mosello et al., 1995; Boggero et al., 1996; Boggero & Nobili, 1998; Rogora et al., 2003). Diversi fattori contribuiscono al deterioramento dell’ecosistema alpino (Mills & Schindler, 1986; Parmesan, 1996; Parker et al., 2008) tra questi, i metalli pesanti, i POPs (Persistent Organic Pollutants) e le radiazioni UV (Allan, 1999; Carrera et al., 2002; Heit et al., 2004; Kallenborn, 2006; Dag, 2007). Gli ecosistemi acquatici alpini rappresentano possibili siti di accumulo (sink) per gli inquinanti e per i nutrienti che possono essere rilasciati dai ghiacciai a seguito del riscaldamento climatico. Di conseguenza, possono rappresentare una sorgente secondaria di tali composti per ecosistemi posti a quote inferiori quali corsi d’acqua e laghi subalpini, con implicazioni importanti per la qualità delle acque ed il loro utilizzo, nonché per la salute dell’uomo. Pertanto, possono essere considerati degli ottimi indicatori ambientali, dei laboratori naturali particolarmente adatti per lo sviluppo di ricerche di base e di monitoraggio degli effetti delle pressioni antropiche sulle biocenosi e sulla biodiversità (Psenner & Schmidt, 1992; Sommaruga-Wögrath et al., 1997; Rieredevall et al., 1998; Battarbee et al., 2002). I piani di tutela e gestione delle aree protette e più in generale gli sforzi di conservazione, non possono prescindere da una conoscenza approfondita della biodiversità di questi ambienti, che a tutt’oggi si presenta frammentaria (Bowman & Seastedt, 2001) e limitata ad alcune componenti biotiche o ad alcune aree geografiche (Kownacka & Kownacki, 1975; Boggero et al., 1996; Boggero & Nobili, 1998; Fjellheim et al., 2000; Lods-Crozet et al., 2001; Maiolini & Lencioni, 2001; Rossaro & Lencioni, 2001; Burgher, 2002; Ward, 2002; Maiolini et al., 2006; Dumnicka et al., 2015). Inoltre, il ruolo di tali ecosistemi come risorsa idrica rende necessaria l’adozione di un particolare regime di gestione. Pertanto, ai fini di una corretta caratterizzazione e valutazione degli ecosistemi lacustri alpini è necessario adottare un approccio integrato che prenda in considerazione le caratteristiche fisico-morfologiche, chimiche e biologiche di questi ecosistemi nonché le pressioni antropiche esercitate su di essi. Nel corso del 2017 sono state eseguite delle indagini preliminari volte ad identificare le principali pressioni antropiche su questi ambienti. Poiché risulta impossibile estendere l’attività di ricerca a tutti i laghi delle Alpi, sono stati selezionati due ambienti tenendo conto dei seguenti criteri:

a) la collocazione geografica dei gruppi di ricerca coinvolti nel progetto: il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste (Trieste, Italia) e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valla d’Aosta (Torino, Italia); b) la geomorfologia del sito e la sua accessibilità, essendo collocati in aree spesso raggiungibili solo a piedi.

28

Alla luce di queste considerazioni, sono stati selezionati il Lago Dimon (Friuli – Venezia Giulia, Italia nord-orientale) e il Lago sottano della Balma (Piemonte, Italia nord- occidentale). Nei mesi di luglio e ottobre 2017, sono state effettuate due campagne di campionamento in ogni lago tramite elettropesca (Lago Dimon) e reti multimaglia branchiali (Lago della Balma) per ottenere informazioni qualitative relative alle popolazioni ittiche introdotte e al loro stato sanitario. Nel Lago Dimon sono stati campionati un totale di 35 individui di scazzone (Cottus gobio) (15 durante il primo campionamento, 20 durante il secondo) più alcuni individui di sanguinerola (Phoxinus phoxinus). Invece, presso il Lago della Balma, sono stati campionati un totale di 40 individui di salmerino di fonte (Salvelinus fontinalis) (20 per ogni campionamento). Per quanto riguarda le analisi batteriologiche, nel Lago Dimon è stato isolato Aeromonas sobria, un batterio ampiamente diffuso nell’ambiente acquatico che, in condizioni particolari può diventare opportunista. Nel Lago della Balma invece, sono stati isolati Plesiomonas shigelloides (anche esso ampiamente diffuso nell’ambiente acquatico) e Yersinia ruckeri. Quest’ultimo è un patogeno primario che normalmente viene isolato in impianti che allevano salmonidi. Dall’analisi istologica abbiamo ottenuto risultati interessanti: 33 esemplari di C. gobio mostrano vacuolizzazione citoplasmatica degli epatociti da moderata a severa, con localizzazione da multifocale a diffusa. Queste alterazioni non sono mai state descritte in esemplari di scazzone selvatico o mantenuto in ambiente controllato; per questo motivo, ulteriori indagini sono in corso per chiarire meglio questa segnalazione. Concludendo, è possibile affermare che l’uomo impatta questi ecosistemi in molteplici modi. Queste modificazioni danneggiano la fauna autoctona ed in generale la biodiversità acquatica. Si rendono quindi necessari ulteriori studi al fine di valutare l’impatto delle specie ittiche aliene sulla fauna terrestre ed in particolare sugli anfibi. Infine, i dati preliminari di questo lavoro sono indispensabili per poter promuovere azioni concrete volte alla conservazione di questi ambienti. Recentemente, la Fondazione CRT ha finanziato al nostro ente il progetto ALPLA – “ALPine LAkes: indicators of global change” i cui obiettivi, applicati ai Laghi della Balma (Alpi Cozie), prevedono:

1) la caratterizzazione topografica e batimetrica eseguita attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie (droni) e metodologie (rilievi aerofotogrammetrici e batimetrici) per il rilievo 3D dei laghi; 2) la caratterizzazione ecologica attraverso l’utilizzo di alcune componenti biotiche ai fini della valutazione dello stato ecologico degli ambienti lacustri alpini; 3) la caratterizzazione chimico-fisica delle acque; 4) la valutazione dell’impatto antropico sugli ecosistemi acquatici alpini attraverso l’analisi di microinquinanti ambientali rilevabili nelle comunità vegetali ed animali che popolano le loro acque; 5) la stesura di un possibile piano di gestione per tutelare questi delicati ecosistemi, prospettando azioni di conservazione che limitino l’impatto di specie introdotte per ripristinare la biodiversità e favorire la sopravvivenza di specie indigene.

Infine, è stato redatto un apposito piano di comunicazione per divulgare le azioni e i risultati del progetto. Bibliografia Allan R.J. (1999). Atmospheric mercury contamination of remote aquatic ecosystems in Canada. Wat. Sci. Technol., 39: 173-177.

29

Battarbee R.W., Grytnes J., Thompson R., Appleby P.G., Catalan J., Korhola A., Birks H.J.B., Heegaard E. & Lami. A. (2002). Comparing palaeolimnological and instrumental evidence of climate change for remote mountain lakes over the last 200 years. J. Paleolimnol., 28: 161-179. Boggero A. & Nobili M. (1998). Macrobenthic community and chemical characteristics of four Alpine lakes in Canton Ticino. Bollettino Società Ticinese Scienze Naturali, 86: 17– 23. Boggero A., Nocentini A.M., Nobili M. & Gianatti M. (1996). Ricerche sulla fauna macrobentonica litorale in laghi d’alta quota nel bacino imbrifero del Lago Maggiore. Proceedings of the VII Congress of the Società Italiana di Ecologia (S.It.E.), Napoli, Italy, September 11–14, (1996). S.It.E. Atti, 17: 83–86. Boggero A., Zaupa S., Rossaro B., Lencioni V. & Gherardi F. (2011). Guida tecnica alla programmazione del campionamento e alla scelta della strumentazione idonea per lo studio della fauna macroinvertebrata lacustre. Report CNR-ISE, 02-11: 1-63. Bowman W.D. & Seastedt T.R. (2001). Structure and Function of an Alpine Ecosystem – Niwot Ridge Colorado. Oxford University Press, Oxford: 222-236. Burgher P. (2002). Biodiversity of zoobenthos in Alpine streams: the Val Roseg. EAWAG News, 54: 22–23. Camarero L., Botev I., Muri G., Psenner R., Rose N. & Stuchlik E. (2009) Trace elements in alpine and arctic lake sediments as a record of diffuse atmospheric contamination across Europe. Freshwater Biology, 54: 2518–2532. Carrera G., Fernandez P., Grimalt J.O., Ventura M., Camarero L., Catalan J., Nickus U., Thies H. & Psenner R. (2002). Atmospheric deposition of organochlorine compounds to remote high mountain lakes of Europe. Environ. Sci. Technol., 36: 2581-2588. Dag O.H. (2007). Effects of UV radiation in arctic and alpine freshwater ecosystems. In: Ørbæk J.B., Kallenborn R., Tombre I., Hegseth E.N., Falk-Petersen S. & Hoel A.H. “Arctic alpine ecosystems and people in a changing environment”. Springer Berlin Heidelberg: 1-434. De Bernardi R., Giussani G. & Lasso Pedretti E. (1982). Selective feeding of zooplankton with special reference to blue-green algae in enclosure experiment. Plankton Ecology Group Annual Meeting, 3–28 Aug. 1982, Trondheim (Norway): 51: 147-165. Dumnicka E., Steingruber S., Colombo L., Zaupa S., Boggero A. (2015). Oligochaete assemblages of Swiss Alpine lakes. Italian Journal of Zoology, 82 (1): 112 - 123. Filippelli G.M., Menounos B., Slater-Arwater S., Jull A.J.T. & Slaymaker O. (2006). Alpine lake sediment records of the impact of glaciation and climate change on the biogeochemical cycling of soil nutrients. Quat. Res. 66: 158–166. Fjellheim, A., Boggero A., Halvorsen G.A., Nocentini A.M., Rieradevall M., Raddum G.G. & Schnell Ø.A. (2000). Distribution of benthic invertebrates in relation to environmental factors. A study of European remote alpine lake ecosystems. Verhandlugen der Internationale Vereinigung fur Theoretische und Angewandte Limnologie, 27: 484–488. Heit M., Klusek C. & Baron J. (2004). Evidence of deposition of anthropogenic pollutants in remote rocky mountain lakes. Wat. Air Soil Poll., 22: 403-416. Kallenborn R. (2006). Persistent organic pollutants (POPs) as environmental risk factors in remote high-altitude ecosystems. Ecotoxicol. Environ. Safety, 63: 100-107. Kownacka M. & Kownacki A. (1975). Gletscherbach Zuckmucken der Otztaler Alpen in Tyrol (Diptera: Chironomidae: Diamesinae). Entomologica Germanica, 2: 35–43. Lods-Crozet B., Castella E., Cambin D., Ilg C., Knispel S. & Mayor-Simèant H. (2001). Macroinvertebrate community structure in relation to environmental variables in a Swiss glacial stream. Freshwater Biology, 46: 1641–1661.

30

Maiolini B. & Lencioni V. (2001). Longitudinal distribution of macroinvertebrate assemblages in a glacially influenced stream system in the Italian Alps. Freshwater Biology, 46: 1625–1639. Maiolini B., Lencioni V., Boggero A., Thaler B., Lotter A.F. & Rossaro B. (2006). Zoobenthic communities of inlets and outlets of high altitude Alpine lakes. Hydrobiologia, 562 (1): 217-229. Marchetto A., Mosello R., Psenner R., Barbieri A., Bendetta G., Tait D. & Tartari G.A. (1994). Evaluation of the level of acidification and the critical loads for Alpine lakes. Ambio, 23: 150-154. Marchetto A., Mosello R., Psenner R., Bendetta G., Boggero A., Tait D. & Tartari G.A. (1995). Factors affecting water chemistry of alpine lakes. Aquat. Sci., 57: 81-89. Mills K.H. & Schlinder D.W. (1986). Biological indicators of lake acidification. Wat. Air Soil Pollut., 30: 779-789. Mosello R., Della Lucia M., Marchetto A. & Tartari G.A. (1993). Trends in the chemistry of surface water in north-western Italy. I - Atmospheric deposition. Memorie - Istituto Italiano di Idrobiologia. Mosello R., Marchetto & Decet F. (1992). Chemistry of atmospheric deposition and freshwater acidification: Research in Italy Memories, Istituto Italiano di Idrobiologia, 50: 417-455. Mosello R., Wathne B.M., Lien L. & Birks H.J.B. (1995). AL:PE projects: water chemistry and critical loads. Wat. Air Soil Pollut., 85: 493-498. Parker B.R., Vinebrooke R.D. & Schindler D.W. (2008). Recent climate extremes alter alpine lake ecosystems. Proc. Nat. Ac. Sci., 105: 12927-12931. Parmesan C. (1996). Climate and species range. Nature, 382: 765-766. Psenner R. & Schmidt R. (1992). Climate-driven pH control of remote alpine lakes and effects of acid deposition. Nature, 356: 781–783. Rieredevall M., Jimènez M. & Prat N. (1998). The zoobenthos of six remote high mountain lakes in Spain and Portugal. Verhandlugen der Internationale Vereinigung fur Theoretische und Angewandte. Limnologie, 26: 2132–2136. Rogora M., Massaferro J., Marchetto A., Tartari G.A. & Mosello R. (2008). The water chemistry of Northern Patagonian lakes and their nitrogen status in comparison with remote lakes in different regions of the globe. J. Limnol, 67: 75-86. Rogora M., Mosello R. & Arisci S. (2003). The effect of climate warming on the hydrochemistry of alpine lakes. Wat. Air Soil Pollut., 148: 347-361. Rossaro B. & Lencioni V. (2001). Analysis of relationships between chironomid species (Diptera, Chironomidae) and environmental factors in an Alpine glacial stream system using a general linear model. Studi Trentini di Scienze Naturali. Acta Biologica, 76: 17-27. Sommaruga R. (2007). Interactive effects of solar radiation and dissolved organic matter on bacterial activity and community structure. Environmental Microbiology, 9: 2200-2210. Sommaruga-Wograth S., Koinig K.A., Schmidt R., Sommaruga R., Tessadri R. & Psenner R. (1997). Temperature effects on the acidity of remote alpine lakes. Nature, 387: 64-67. Tilzer M. & Schwartz K. (1976). Seasonal and vertical patterns of phytoplankton light adaptation in high mountain lake. Arch Hydrobiol, 77: 488-504. Ward J.V. (2002). The ecology of Alpine streams. EAWAG News, 54: 3-5.

31

EXHIBIT ACQUATICI: LA GESTIONE AL BIOPARCO ZOOM TORINO Piga S. Zoom Torino - Cumiana (TO)

Il rapporto diretto con animali vivi è un meccanismo che suscita forti emozioni nel visitatore e ciò è tanto più vero quanto più l’animale è particolare o poco conosciuto. Circa 60 milioni di persone ogni anno visitano acquari pubblici e giardini zoologici nel mondo. Gli Exhibit acquatici sono acquari che riproducono caratteristiche tipiche di un habitat naturale, al cui interno sono presenti animali appartenenti a una o a più specie. Uno degli Exhibit acquatici che suscita maggiore interesse a Zoom è l’Hyppo Underwater, nel quale è stato ricreato l’habitat del Lago Malawi, uno dei più grandi laghi africani dove convivono numerose specie, tra cui ippopotami e pesci. La gestione di un acquario multispecie prende in considerazione diversi aspetti legati alle specie ospitate, in linea con le norme sanitarie in termini di movimentazione, benessere animale e protezione delle specie in via di estinzione. La Normativa di riferimento per quanto riguarda gli aspetti legati alla detenzione e al benessere animale è la legge zoo (D.L.vo 73/2005). Tale decreto legislativo si riferisce alle condizioni di custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici e negli acquari, prendendo in considerazione aspetti legati alla conservazione della biodiversità e protezione della fauna selvatica. L’apertura ed il funzionamento di tutte le strutture zoologiche nel territorio nazionale sono subordinate al decreto 73/2005. La licenza ministeriale è vincolata dai seguenti requisiti minimi: programmi di ricerca, programmi di educazione e sensibilizzazione al pubblico, riproduzione e scambio con altre strutture, benessere animale, presidio veterinario. La normativa sanitaria a cui si fa riferimento per gli aspetti legati al trasporto è la direttiva “balai”, (Dir. 92/65/CEE: “norme sanitarie per gli scambi e le importazioni di animali non soggetti a normative comunitarie specifiche”), recepita a livello nazionale con il D.lvo 633 /96, che, includendo gli “animali di specie diversa da quelle contemplate in specifiche normative sanitarie comunitarie”, comprende anche i pesci ornamentali. Gli exhibit acquatici nei moderni acquari e giardini zoologici, comprendono sempre di più una collezione animale fatta da specie appartenenti a Taxa molto diverse tra di loro. Il ruolo del medico veterinario è quello di gestire sistemi con un’alta variabilità interspecifica. Il controllo delle specie animali, i protocolli di vasca, le normative sanitarie e le prescrizioni della legge Zoo sono di competenza del medico veterinario.

32

EPIDEMIOLOGIA … PER CHI NON SA CHE PESCI PIGLIARE Ru G. & Bona M.C. BEAR, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta - Via Bologna, 148 – 10154 TORINO. La relazione sarà incentrata sull’applicazione del campionamento in ambito sanitario e non per lo studio della demografia ittica. Saranno utilizzati esempi tratti da esperienze di collaborazione tra esperti in ittiopatologia ed epidemiologi veterinari. Come in ogni branca della veterinaria anche in ittiopatologia gli studi su base campionaria dipendono dalle decisioni riguardanti quanti soggetti includere e come selezionarli. Durante l'intervento verranno introdotti i concetti essenziali della teoria del campionamento statistico (popolazione oggetto di studio, campione rappresentativo della popolazione, inferenza statistica, stima e affidabilità delle stime, bias). Verrà fatto cenno ai vantaggi e gli svantaggi dei principali piani di campionamento statistici probabilistici a uno e due stadi, e distinguendo situazioni in cui l’obiettivo è la stima della prevalenza rispetto a quelle in cui si vuole escludere/confermare la presenza di una malattia. In quest’ultimo ambito sarà contrapposto il campionamento rappresentativo all'approccio risk-based che permette di migliorare l’efficienza di campionamento. Sarà anche presentata la l’opportunità di campionamenti in pool rispetto a quelli individuali.

33

L’ANGUILLA EUROPEA: NOTE ECOLOGICHE, ALLEVAMENTO E NOZIONI SULLA RIPRODUZIONE Mordenti O., Casalini A., Guercilena N. & Emmanuele P. Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum - Via Tolara di Sopra, 50 – 40064 Ozzano dell'Emilia (BO); Corso di Laurea in Acquacoltura ed Igiene dei Prodotti Ittici - Viale Vespucci, 2 - 47042 Cesenatico (FC).

L’anguilla (Anguilla anguilla) ha corpo serpentiforme, anteriormente cilindrico e posteriormente appiattito, di colore sempre uniforme, giallastro, bruno-oliva, nerastro sul dorso, ventralmente giallastro chiaro o bianco-perla; il colore cambia a seconda del periodo fisiologico, a tonalità più giallastre nella fase trofica (anguille gialle) e scure in quella riproduttiva (anguille argentine). Pelle nuda e viscida ma con piccole squame cicloidi. L'anguilla europea è distribuita in tutte le acque dolci e salmastre dell'area atlantica e Mediterranea, compresa l'Europa e l'Africa settentrionale. Si riproduce in atlantico, nel Mar dei Sargassi; le uova schiudono in circa 48 ore, dando origine a larve di 5 mm (leptocefali) che migrano verso le coste europee trasportate dalla Corrente del Golfo per circa 6.500 Km; dopo circa 22-30 mesi raggiungono la platea continentale europea ed ivi completano la loro metamorfosi che le renderà in forma di ceche pronte a risalire la foce dei fiumi. Così come riportato dalla lista rossa delle specie a rischio (IUNC), dal 2007 la popolazione selvatica di anguilla europea (Anguilla anguilla) “si ritiene che la specie debba essere valutata in pericolo critico sulla base delle evidenze di forte declino degli stock locali e della drastica contrazione del reclutamento che è evidenziata da ormai oltre 30 anni”. Il Regolamento Ce n.1100 del 18 settembre 2007 definendo la popolazione dell’anguilla in forte diminuzione, ha istituito misure per la ricostituzione dello stock europeo, secondo le linee guida per la stesura dei Piani di gestione nazionale (Guidance Document for the Preparation of the Eel Management Plan). L’Italia ha redatto un Piano di gestione per l’anguilla secondo quanto richiesto dagli indirizzi del regolamento europeo indicando una strategia di gestione sostenibile per questa specie volta alla valutazione della risorsa, alla raccolta di dati e allo sviluppo di metodologie in grado di accrescere le conoscenze sulla sua vita dal periodo di riproduzione a quello di crescita. Oltre a definire i criteri di gestione dello sforzo di pesca di tale specie, sono stati avviati i primi studi scientifici per accrescere le conoscenze di vita delle anguille e per attivare le prime esperienze di riproduzione. La carenza di informazioni sulla vita dell’anguilla, viste le peculiarità biologiche e di sfruttamento di questa specie catadroma, porta a definire una serie di obiettivi a livello locale e la loro trasposizione in iniziative concrete all’interno di uno schema di riferimento scientifico di portata globale. Il presupposto è quello di riuscire a individuare una strategia ben precisa, con il duplice fine di assicurare la conservazione dell’anguilla contribuendo al ripristino dello stock della specie sul territorio in un quadro di sostenibilità delle attività socio-economiche ad esso correlate e di ridurre l’impatto sulle tradizionali produzioni e sullo sforzo di pesca esercitato nelle acque costiere ed interne regionali. L’anguilla infatti è un alimento della tradizione italiana e ancora diffuso è il suo allevamento. L'allevamento di Anguilla anguilla attualmente risulta praticato da impianti che utilizzano acque calde reflue da attività industriali o di falda, con temperature superiori ai 13-14°C. Poiché la specie non si riproduce in cattività, qualsiasi produzione da allevamento è strettamente dipendente dall'approvvigionamento del novellame in natura. Nell'ultimo periodo la diminuzione di catture di ragani selvatici ha spinto gli allevatori ad

34

intraprendere il ciclo di ingrasso a partire da giovani anguille del peso di circa 0,25-0,35 g (ceche). Lo svezzamento delle ceche viene normalmente effettuato al chiuso, in locali ben coibentati, per consentire una climatizzazione delle acque sui valori ottimali di 23-25°C. L’alimentazione prende avvio con la somministrazione di sardine intere scottate che in seguito vengono macinate e miscelate con farine micronizzate e olio di pesce. Le vasche, in vetroresina, PVC o cemento, variano per forma e dimensioni, ma in genere non superano i 10 mc. La durata della fase di svezzamento è molto variabile: già dopo 3-4 mesi le "teste" di produzione, costituite da raganelli di 4-6 g, possono essere trasferite all'ingrasso, ma mediamente occorrono 8-10 mesi. Gli indici di sopravvivenza, estremamente variabili, si attestano mediamente sul 60-90%. Una seconda tecnica, molto più rapida in 3 settimane si possono avere già le prime ceche svezzate), è quella di usare uova di gadidi decongelate associate a mangimi sbriciolati estrusi. Questa metodica tuttavia porta alla produzione di una elevata percentuale di maschi. L’ingrasso prevede la produzione di buratelli (soggetti di sesso maschile dal peso di 120-180g) oppure di femmine con peso minimo di 300g fino ad oltre il chilogrammo. L'ingrasso può avere luogo in vasche di cemento, in bacini in terra con prevasche in cemento, oppure in bacini rivestiti con teloni di PVC. Le dimensioni variano in funzione delle tecniche di allevamento e delle disponibilità idriche. In Italia si usano, di solito, vasche in cemento o rivestite in PVC di superficie fra 100 e 500 mc, o bacini in terra di superficie tra 500 e 2.000 mc, a pianta rettangolare e profondità di m 1-1,5. Una densità iniziale compresa fra 1-5 kg/mc, ad una temperatura costante di 20-24°C e 2-3 ricambi totali/vasca/giorno, consente di ottenere, nel volgere di 12-16 mesi, anguille di 400-800g. L'alimento somministrato è solitamente costituito da pastone umido costituito da farina miscelata con acqua e olio di pesce distribuito su mangiatoie galleggianti. Stanno altresì diffondendosi vasche circolari funzionanti a ciclo chiuso per la produzione intensiva (oltre 100 kg/m3) di buratelli alimentati con mangimi estrusi. Per quanto riguarda l’aspetto scientifico, il Centro di Ricerca Universitario di Cesenatico (Corso di Laurea in Acquacoltura ed Igiene delle Produzioni Ittiche) ha avviato a partire dal 2010 delle sperimentazioni sul processo di maturazione gonadica di anguille selvatiche provenienti da areali diversificati del nord Adriatico (Valli di Comacchio, Basse Valli venete e laguna friulana di Marano-Grado). In particolare il gruppo di ricerca, è riuscito a mettere a punto una tecnica di riproduzione artificiale in ambiente controllato, di tipo non invasivo, che ha permesso do ottenere, primi in Europa, ad una produzione cospicua di uova feconde e di forme larvali. Seppur ancora a livello sperimentale, i risultati fino ad ora raggiunti si presentano di enorme interesse in quanto rispondono pienamente alle direttive europee di salvaguardia della specie sia per le ricadute applicative in ambito protezionistico (programmi di ripopolamento) che zootecnico (riduzione degli acquisti sul mercato di giovanili selvatici per dare avvio all’allevamento). Le anguille selvatiche utilizzate dai ricercatori sono state catturate grazie ai tradizionali “lavorieri” presenti nelle valli che sfruttano la movimentazione naturale degli animali nel periodo autunno-invernale e primaverile e trasportate presso la serra ittiologica dell’Università di Cesenatico dove ha preso avvio la fase di acclimatamento alla cattività. Prima di dare avvio alla fase di induzione alla maturazione tutte le anguille vengono identificate grazie ad un marcatore specifico per pesci, inserito nell’area dorsale attraverso un’apposita pistola, e dotato di un codice alfanumerico necessario per individuare in vasca ogni singolo animale ed utile per costituire una “cartella clinica” per ciascun soggetto. In seguito le anguille vengono sottoposte ad una serie approfondita di analisi (determinazione dell’età, rilevazioni morfometriche, analisi istologiche ed ematiche) grazie alle quali viene

35

calcolato l’indice di argentinizzazione di ciascun soggetto, attraverso il quale è possibile identificare i maschi e le femmine migliori da utilizzare per la riproduzione artificiale. Una volta creato il “parco riproduttori” il gruppo di ricerca da avvio ad un programma di riproduzione artificiale piuttosto complesso ed articolato che avviene, in massima sintesi, attraverso il controllo dei principali parametri ambientali (fotoperiodo, intensità luminosa, temperatura e salinità dell’acqua) associato ad un programma di stimolazione ormonale. Questo protocollo, che avviene con modalità differenti in relazione al sesso degli animali, ha permesso ai ricercatori di portare a piena maturazione i maschi in un tempo di circa 10-12 settimane mentre per le femmine il tempo impiegato è risultato molto più lungo (15-25 settimane). Una volta che le anguille hanno raggiunto la completa maturazione gonadica, i pesci vengono sottoposti alla pratica della riproduzione artificiale che consiste inizialmente nella raccolta separata delle uova dalle femmine e del liquido semimale dai maschi e conseguentemente nella fecondazione con tecnica “a secco” in cui i gameti vengono miscelati in ambiente privo di acqua. Dopo la fecondazione le uova vengono trasferite in appositi incubatoi studiati appositamente per ospitare gli embrioni di anguilla caratterizzati da un elevatissimo grado di sensibilità alle manipolazioni ed alle variazioni ambientali. Gli ultimi anni di studio hanno permesso di individuare una tecnica di riproduzione in ambiente controllato non invasiva basata sulla spontanea riproduzione delle anguille, affinando il protocollo di induzioni ormonali, e soprattutto utilizzando un nuovo tipo di vasca, progettata dagli stessi ricercatori, dotata di sala parto ed un sistema di raccolta automatico delle uova. Con questa tecnica è stato ridotto lo stress dei riproduttori e, per quanto riguarda le uova e le larve, sono stati azzerati gli shock meccanici da manipolazione, migliorandone di conseguenza la quantità e la qualità a tal punto da considerare la possibilità di un ulteriore passo in avanti nella sperimentazione: lo svezzamento larvale.

36

LA VONGOLA VERACE: UNA PRODUZIONE NAZIONALE DA TUTELARE. BREVI CENNI SU BIOLOGIA, ECOLOGIA, ALLEVAMENTO, PATOLOGIE E SALUTE PUBBLICA Esposito G. Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Sassari - Via Vienna, 2 - 07100 Sassari.

Oggigiorno, le produzioni ittiche mondiali ammontano approssimativamente a 167 milioni di tonnellate, di cui 146 destinate al consumo umano. In questo scenario, i quantitativi derivanti da attività di acquacoltura hanno raggiunto livelli del tutto ragguardevoli, rappresentando pressappoco il 44% del totale pari a circa 74 milioni di tonnellate (FAO, 2016). Nello specifico, nel 2014, quasi 23 milioni di tonnellate (circa 31%) sono state ottenute senza l’utilizzo di mangimi; considerati uno dei principali ostacoli alla crescita dell’acquacoltura, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo (FAO, 2016). A tale riguardo, tra i più importanti organismi “non alimentati” troviamo i Bivalvi, una classe appartenente al Phylum Mollusca. La molluschicoltura italiana attualmente rappresenta la settima voce produttiva dell’acquacoltura mondiale e la terza a livello europeo dopo Spagna e Francia. La produzione nazionale è basata principalmente su mitili (Mytilus galloprovincialis), vongole veraci (Ruditapes spp) e lupini (Chamelea gallina), a cui si aggiungono maggiormente limitate quantità di ostriche (Crassostrea gigas ed Ostrea edulis), fasolari (Callista chione), cuori (Cerastoderma glaucum) e tartufi di mare (Venus verrucosa), (Prioli, 2008; Arcangeli et al., 2012).

Esemplari di vongola verace della specie Ruditapes decussatus. Particolare dei sifoni.

Nel 2014, infatti, a fronte di una produzione europea pari a circa 630.000 tonnellate, con oltre 400 impianti attivi su tutto il territorio nazionale la nostra produzione si è attestata in circa 100.000 tonnellate (Andaloro et al., 2016; FAO, 2016). Questi dati, tuttavia, non rendono l’idea della notevole produzione globale di molluschi bivalvi poiché un’ elevata quota di prodotto passa attraverso canali commerciali non convenzionali. In questo scenario, la Sardegna contribuisce al comparto nazionale con quantitativi medi annui di tutto rispetto. Nel 2013, infatti, la produzione relativa soltanto a mitili ed ostriche ha

© Dott. Giuseppe Esposito

37

sfiorato le 14.000 tonnellate, per un valore commerciale, relativo al 2009, stimato intorno ai 20 milioni di Euro (Viale, 2009; Laore, 2016). Come detto in precedenza, tra i molluschi di interesse commerciale che popolano le acque mediterranee, il genere Ruditapes occupa un posto rilevante; rappresentato in Italia da due diverse specie: R. philippinarum e R. decussatus. Quest’ultima specie è l’unica vongola verace del Mar Mediterraneo, anche se la legge italiana (DM 31/01/2008) estende tale appellativo alla congenere indopacifica, R. philippinarum. La vongola verace R. decussatus (Linnaeus, 1758) è un invertebrato appartenente alla famiglia dei Veneridi (Tabella 1). Questo mollusco bivalve è endemico del Mar Mediterraneo, distribuito altresì lungo le coste dell’Atlantico, dalla Norvegia al Senegal, e lungo le coste sud ed ovest delle isole britanniche (Tebble, 1966; Breber, 1985). È una specie tipicamente fossoria, rinvenibile in fondali costieri o lagunari, generalmente poco profondi, sabbiosi e/o fangosi (Parache, 1982).

Phylum Mollusca Classe Bivalvia Linnaeus, 1758

Sottoclasse Heterodonta Neumayr, 1884

Ordine Veneroida H. & A. Adams, 1815

Superfamiglia Veneroidea Rafinesque, 1815

Famiglia Veneridae Rafinesque, 1815

Sottofamiglia Tapetinae Gray, 1815

Genere Ruditapes Chiamenti, 1990

Specie Ruditapes decussatus Linnaeus, 1758

Tabella 1. Scheda tassonomica.

Quest’organismo, come del resto tutti gli appartenenti alla classe dei Bivalvi, presenta una tipica simmetria bilaterale e risulta compresso lateralmente, con il corpo molle contenuto all’interno di una conchiglia rigida. Questo involucro protettivo può raggiungere una lunghezza massima di circa 75 mm (Gosling, 2003) e, risulta costituito da due porzioni, dette valve, distinte ed incernierate tra loro mediante legamenti ed incastri, la cui apertura/chiusura viene assicurata dalla presenza di due robusti muscoli dorsali (adduttori). Ciascuna valva è di forma ovale, possiede margini lisci e più sottili ventralmente, maggiormente ispessiti dorsalmente ed una parte rigonfia dorsalmente, detta umbone, intorno alla quale si trovano strie di accrescimento radiali e concentriche. Possiede un elevato polimorfismo cromatico, mentre la porzione interna tende al bianco ed è liscia. La conchiglia è composta essenzialmente da carbonato di calcio (CaCO3) e viene edificata ad opera del mantello (o pallio), le due lamine di tessuto connettivo che avvolgono il corpo molle dell’animale. Avvolti dal pallio, nel corpo molle si riconoscono il piede, una struttura deputata allo scavo dei substrati, e le branchie con la caratteristica struttura lamellare, deputate sia alla funzione respiratoria che alla raccolta del cibo mediante la filtrazione dell’acqua (Figura 1).

38

Figura 1. Anatomia di una vongola (Modificato). Fonte: http://cssmith.co/.

Nonostante le vongole veraci non posseggano una struttura cefalica differenziata, il loro apparato digerente comprende la bocca delimitata da palpi labiali, uno stomaco completamente incastonato nella ghiandola digestiva o epatopancreas, un sottile intestino e l’ano (in corrispondenza del sifone esalante). Peculiarità dell’apparato digerente è la presenza dello stilo cristallino contenuto all’interno di un diverticolo e deputato alla produzione di enzimi digestivi. Più dettagliatamente, questi invertebrati si alimentano filtrando il plancton presente nell’acqua (microfagia) introdotta mediante una struttura denominata sifone inalante; tali particelle vengono avvolte da secrezioni mucose e successivamente convogliate alla regione buccale ed ivi ingerite, mentre quelle indesiderate vengono espulse come pseudo-feci dal sifone esalante. Il cuore è contenuto nel pericardio, è costituito da due atri ed un ventricolo e quest’ultimo risulta ripiegato attorno all’intestino. Presenta una circolazione aperta, il sangue è incolore e privo di pigmenti respiratori (concentrazione di O2 correlata alla frazione disciolta nell’acqua). Il sistema nervoso è piuttosto semplice e ridotto. I sessi sono separati, sebbene occasionalmente siano stati segnalati casi di ermafroditismo (Delgado & Camacho, 2002). La fecondazione è esterna ed è successiva all’emissione dei gameti nel mezzo acquoso circostante. Nel dettaglio, dopo la fecondazione dell’uovo si ha la formazione di una larva (trocofora) che conduce una prima fase di vita planctonica (veliger e pediveliger) per poi passare definitivamente alla fase bentonica. Ruditapes decussatus è la vongola più apprezzata dai consumatori italiani (Pais et al., 2006). La pesca di questo bivalve viene praticata soprattutto nelle acque di transizione, come gli ecosistemi lagunari e/o nella fascia costiera caratterizzati da un’elevata trofia. L’allevamento in senso stretto (Venericoltura) riguarda invece la specie alloctona R. philippinarum, introdotta in Italia agli inizi degli anni ’80. Tuttavia, questa specie ha determinato negli anni una rapida regressione di banchi naturali della vongola nostrana R. decussatus (Breber, 1996). Prima di allora il mercato nazionale assorbiva circa 1000 t/anno di vongole veraci (R. decussatus) provenienti da areali localizzati principalmente nell’alto Adriatico (Cesari & Pellizzato, 1985; Breber, 1996; Turolla, 2008). Per sottolineare questa grave situazione, a partire dall’anno 1999 le produzioni (pari a circa 130 t) erano limitate alle sole Isole Maggiori (Prioli, 2001).

39

Il genere Ruditapes oltretutto è sottoposto a vincoli europei, nazionali e regionali sulla taglia minima di cattura. Questa secondo la legislazione europea è pari a 25 mm (Reg. CE n. 1967/2006) e, l’Italia ha da tempo accolto questa misura (D.P.R. n. 1639/1968 ss.mm.ii.). La Regione Autonoma della Sardegna al contrario, adopera una regolamentazione più restrittiva dove la taglia minima è fissata a 35 mm (D.A.D.A.R.S. nr. 412/ 1995). Da sempre, i bivalvi sono esposti a diverse tipologie di patogeni che possono causare importanti perdite sia durante tutte le fasi dell’allevamento che nei banchi naturali. Data la notevole importanza economica di questi organismi esistono numerose informazioni a riguardo. Nello specifico, tra i principali agenti patogeni dei molluschi bivalvi marini troviamo: virus, batteri, funghi, protozoi e crostacei parassiti (Gosling, 2003). Di seguito, in Tabella 2 sono riportate le principali patologie che colpiscono la specie nostrana R. decussatus.

Patologia Agente eziologico Tipologia Lesioni Effetti Autori

Perkinsiosi Perkinsus olseni

Perkinsus atlanticus Protozoo

Noduli bianchi e/o marrone chiaro principalmente sulle branchie. A

seconda del grado di infezione può interessare anche piede, gonade, epatopancreas, rene e mantello.

Distruzione tessuti connettivi e delle cellule epiteliali

Emaciazione. Pallore ghiandola digestiva. Retrazione del mantello. Alterazione dei

normali processi fisiologici (respirazione, riprodu-zione e

crescita/soprav-vivenza). Alta mortalità.

Azevedo, 1989

Almeida et al., 1999

Haplosporidiosi Minchinia

(= Haplosporidium) tapetis

Protozoo

Prevalenza dell'infezione solita-mente bassa. Patogenicità della fase plasmodiale minima ma, lo stadio di sporulazione nel tessuto connettivo,

provoca importanti lesioni nell'epatopancreas e nelle branchie.

Il mollusco appare emaciato. Colorazione scura dei tessuti. Decolorazione della ghiandola digestiva. Sebbene non siano

state attribuite mortalità, l'effetto sulle popolazioni di vongole è

sconosciuto.

Navas et al., 1992

Azevedo,

2001

Vibriosi larvale e degli stadi

giovanili

Vibrio alginolyticus Vibrio splendidus

Batterio Gram

negativo

Necrosi tissutale (dovuta alla produzione di esotossina da parte dei batteri). Lesioni a carico del

velum (organo per il nuoto)

Probabile diminuzione dell'at-tività di alimentazione.

Alta mortalità.

Gómez-León et al., 2005

Zannella et al., 2017

Brown Ring Disease (BRD)

Vibrio tapetis Batterio Gram -

Deposito organico marrone sulla superficie interna della conchiglia.

Degenerazione dei diverticoli digestivi. Degenerazione del tessuto

connettivo.

Normale processo di calcifica-zione disturbato. Incapacità di immagazzinare e mobilizzare

riserve corporee (principalmente glicogeno). Crescita stentata.

Alta mortalità.

Paillard & Maes, 1994

Plana et al.,

1996 Gosling, 2003

Infezione da Herpes-like

virus Herpes-like virus Virus Istologicamente, le lesioni sono

limitate ai tessuti connettivi.

Colpisce principalmente le larve e le forme giovanili. Difficoltà

nel nuoto (forme larvali): movimento circolare.

Alta mortalità.

Renault & Arzul, 2001

Tabella 2. Principali patologie associate alla vongola verace della specie Ruditapes decussatus.

Nel 2004 dopo l’entrata in vigore dei Regolamenti comunitari del “Pacchetto igiene”, sono state definite le Linee Guida Nazionali a tutela della salute del consumatore che riguardano la produzione e la commercializzazione dei Molluschi Bivalvi Vivi (MBV). In base a tali norme le zone di produzione e stabulazione devono essere classificate in aree A, B e C (Tabella 3). Benché il criterio di classificazione sia esclusivamente di tipo microbiologico (determinazione di Escherichia coli e Salmonella spp.) è comunque indispensabile eseguire dei controlli per ulteriori tipologie di contaminanti come i metalli pesanti, le diossine, i pesticidi (Reg. CE n. 1881/2006) e le biotossine algali (Reg. CE n. 853/2004 e 854/2004). Sulla base di quanto detto, gran parte della salubrità del bivalve è prima del processo di depurazione e quindi, legato alla qualità delle acquee in cui esso vive. Nel

40

dettaglio, i microrganismi che causano malattie alimentari hanno principalmente tre origini:

a) patogeni da reservoir umano ed animale, b) patogeni naturalmente presenti nell’acqua c) patogeni associati alle operazioni post raccolta.

Il consumo dei molluschi bivalvi, crudi o poco cotti, è considerato uno dei principali responsabili di trasmissione all'uomo di diverse malattie d'origine batterica e virale (specie patogene di Vibrio spp., batteri patogeni di origine fecale e i virus enterici) nonché intossicazioni da biotossine algali. Nel dettaglio, i virus enterici sono tra i responsabili della maggior parte delle malattie dovute al consumo di molluschi bivalvi. Sono virus a trasmissione oro-fecale e tra questi quelli più segnalati nei bivalvi sono il virus dell’epatite A (HAV) ed il Norovirus. Inoltre, sono termolabili, pertanto possono essere inattivati con un’adeguata cottura e non con il semplice processo di depurazione o stabulazione.

Tabella 3. Criteri per la classificazione delle aree di raccolta.

Note: 1 Il metodo di riferimento è dato dalla ISO 16649-3. 2 Regolamento CE n. 854/2004, Reg. CE n. 853/2004 e Reg. CE n. 2073/2005. 3 Reg. CE n. 1021/2008. 4 Reg. CE n. 854/2004. 5 Livello non specificato in nessun regolamento, ma non è conforme

con le classi A, B e C.

Al contrario, le biotossine algali sono sostanze tossiche prodotte da alcuni tipi di alghe unicellulari microscopiche (principalmente appartenenti alle classi dei Dinoflagellati e delle Diatomee) che vivono in sospensione nella colonna d’acqua ed altresì fonte di alimento (fitoplancton) per molti organismi acquatici, tra cui i molluschi bivalvi. Le biotossine algali vengono suddivise in base alle caratteristiche di solubilità in idrosolubili e liposolubili. Nei nostri mari sono più diffuse le liposolubili, tra cui le cosiddette diarroiche (DSP = Diarrhetic Shellfish Poisoning), (Arcangeli et al., 2012). Queste fitotossine al

CATEGORIA STANDARD MICROBIOLOGICO 1 TRATTAMENTO

Classe A

< 230 Escherichia coli /100 g di polpa e liquido intervalvare di MBV2

≤700 E. coli /100 g di polpa e liquido intervalvare di MBV²

Salmonella spp: assente

Nessuno

≤ 4600 E. coli /100 g di polpa e liquido intervalvare di MBV nel 90% dei

campioni Classe B

Il rimanente 10% non deve superare i 46000 E. coli /100 g di polpa e liquido

intervalvare di MBV3

Depurazione, stabulazione o

trasformazione con metodi riconosciuti

Classe C ≤ 46000 E. coli /100 g di polpa e liquido

intervalvare di MBV4

Stabulazione (≥2 mesi) o trasformazione con metodi riconosciuti

Proibita > 46000 E. coli /100 g di polpa e liquido

intervalvare di MBV5 Raccolta proibita

41

contrario dei virus enterici sono termostabili e pertanto la cottura non elimina il problema così come il processo di depurazione nella rimozione delle stesse. Bibliografia Almeida M., Berthe F., Thebault A. & Dinis M.T. (1999). Whole clam culture as a quantitative diagnostic procedure of Perkinsus atlanticus (Apicomplexa, Perkinsea) in clams Ruditapes decussatus. Aquaculture, 177: 325-332. Andaloro F., Battaglia P., Giovanardi O., Livi S., Raicevich S., Marino G., Petochi T., Romeo T. & Tomassetti P. (2016). Pesca e acquacoltura. In: ISPRA, Annuario dei Dati Ambientali: Edizione 2016. Roma: 1-26. Arcangeli G., Dalla Pozza M., Mascarello G. & Tiozzo B. (2012). Molluschi bivalvi: frutti del nostro mare. IZSVe, Italia: 1-24. Azevedo C. (1989). Fine structure of Perkinsus atlanticus n. sp. (Apicomplexa, Perkinsea) parasite of 138 clams, Ruditapes decussatus, from Portugal. J. Parasitol., 75: 627-635. Azevedo C. (2001). Ultrastructural description of the spore maturation stages of the clam parasite Minchinia tapetis (Vilela, 1951) (Haplosporida: Haplosporidiidae). Syst. Parasitol., 49: 189-194. Breber P. (1985). On-growing of the carpet shell clam (Tapes decussatus (L.)): two years’ experience in Venice Lagoon. Aquaculture, 44: 51-56. Breber P. (1996). L’allevamento della vongola verace in Italia. Cleup: 1-157. Brusà B., Ponis E. & Cacciatore F. (2011). Dalla pesca all’allevamento della vongola filippina in Laguna di Venezia: il preingrasso. ISPRA, Roma, Italia: 1-82. Cesari P. & Pellizzato M. (1985). Molluschi pervenuti in laguna di Venezia per apporti antropici volontari o casuali. Acclimatazione di Saccostrea commercialis (Iredale & Roughely, 1933) e di Tapes philippinarum (Adams & Reeves, 1850). Bolletino Malacologico, 21 (10-12): 237-274. D.A.D.A.R.S. n. 412 del 10.05.1995 (1995). Disciplina dell’attività di pesca; dimensioni dei pesci, molluschi e crostacei: disciplina della pesca del novellame, pesca del bianchetto e del rossetto. Delgado M. & Pérez Camacho A. (2002). Hermaphroditism in Ruditapes decussatus (L.) (Bivalvia) from the Galician coast (Spain). Scientia Marina, 66 (2): 183-185. D.P.R. n. 1639 del 2 ottobre 1968 (1968). Regolamento per l'esecuzione della Legge 14 luglio 1965, n. 963, concernente la disciplina della pesca marittima. Food and Agriculture Organisation of the United Nations (2016). The State of World Fisheries and Aquaculture. FAO, Roma, Italia: 1-204. Gómez-León J., Villamil L., Lemos M.L., Novoa B. & Figueras A. (2005). Isolation of Vibrio alginolyticus and Vibrio splendidus from aquacultured Carpet Shell Clam (Ruditapes decussatus) larvae associated with mass mortalities. Appl. Environ. Microbiol., 71 (1): 98-104. Gosling E. (2003). Bivalve molluscs: biology, ecology and culture. In: Gosling E. (Eds). “Bivalve molluscs: biology, ecology and culture”. Fishing News Books, Oxford: 1-443. Laore (2016). Acquacoltura in Sardegna: tradizioni, innovazione, sapori e ambiente. Servizio Sviluppo delle Filiere Animali, Sardegna, Italia: 1-48. Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (2008). D.M. 31 gennaio 2008: Denominazione in lingua italiana delle specie ittiche di interesse commerciale.

42

Navas J.I., Castillo M.C., Vera P. & Ruiz-Rico M. (1992). Principal parasites observed in clams, Ruditapes decussatus (L.), Ruditapes philippinarum (Adams et Reeve), Venerupis pullastra (Montagu) and Venerupis aureus (Gmelin), from the Huelva coast (S.W. Spain). Aquaculture, 107 (2-3): 193-199. Paillard C. & Maes P. (1994). Brown ring disease in the Manila clam Ruditapes philippinarum: establishment of a classification system. Dis. Aquat. Org., 19: 137-146. Pais A., Chessa L.A., Serra S. & Ruiu A. (2006). An alternative suspended culture method for the Mediterranean carpet clam, Tapes decussatus (L.), in the Calich lagoon (North western Sardinia). Biol. Mar. Mediterr., 13 (2): 134-135. Parache A. (1982). La palourde. La Pêche Maritime, 1254: 496-507. Plana S., Sinquin G., Maes P., Paillard C. & Le Pennec M. (1996). Variations in biochemical composition of juvenile Ruditapes philippinarum infected by a Vibrio sp. Dis. Aquat. Org., 24: 205-213. Prioli G. (2001). Censimento nazionale sulla molluschicoltura. Technical Report. Consorzio Unimar: 1-97. Prioli G. (2008). La molluschicoltura in Italia. En A. Lovatelli, A. Farías e I. Uriarte (Eds).”Estado actual del cultivo y manejo de moluscos bivalvos y su proyección futura: factores que afectan su sustentabilidad en América Latina”. Taller Técnico Regional de la FAO. 20-24 de agosto de 2007, Puerto Montt, Chile. FAO Actas de Pesca y Acuicultura. No. 12. Roma, FAO: 159-176. Regolamento (CE) n. 852/2004. Igiene dei prodotti alimentari. Regolamento (CE) n. 853/2004. Norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale. Regolamento (CE) n. 854/2004. Norme specifiche per l'organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano. Regolamento (CE) n. 1881/2006. Tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari. Regolamento (CE) n. 1967/2006. Misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo e recante modifica del regolamento (CEE) n. 2847/93 e che abroga il regolamento (CE) n. 1626/94. Renault T. & Arzul I. (2001). Herpes-like virus infections in hatchery-reared bivalve larvae in Europe: specific viral DNA detection by PCR. J. Fish Dis., 24: 161-167. Tebble N. (1966). British bivalve seashells. A handbook for identification. The British Museum, London: 1-211. Turolla E. (2008). La venericoltura in Italia. En A. Lovatelli, A. Farías e I. Uriarte (Eds). “Estado actual del cultivo y manejo de moluscos bivalvos y su proyección futura: factores que afectan su sustentabilidad en América Latina”. Taller Técnico Regional de la FAO. 20-24 de agosto de 2007, Puerto Montt, Chile. FAO Actas de Pesca y Acuicultura. No. 12. Roma, FAO: 177-188. Viale I. (2009). Il comparto dell’acquacoltura in Sardegna alla luce dei risultati dell’indagine conoscitiva condotta dall’Agenzia Laore. Acquacoltura in Sardegna: le opportunità del biologico e dei disciplinari di produzione. Siamaggiore, 2 Ottobre 2009. Zannella C., Mosca F., Mariani F., Franci G., Folliero V., Galdiero M., Tiscar P.G. & Galdiero M. (2017). Microbial diseases of bivalve mollusks: infections, immunology and antimicrobial defence. Mar. Drugs, 15, 182: 1-36.

43

Atlante per il riconoscimento di specie del genere Ruditapes I principali fenotipi per l’identificazione della vongola verace indigena rispetto alla specie indopacifica

Ruditapes decussatus (Linnaeus, 1758) Ruditapes philippinarum (Adams & Reeve, 1850) (Vongola verace nostrana) (Vongola verace indopacifica)

Sifoni completamente separati Sifoni quasi totalmente fusi. Separati solo nell’apice.

Impronta del seno palleale. Impronta del seno palleale.

Strie di accrescimento meno marcate. Strie di accrescimento più spesse.

© Dott. Giuseppe Esposito © Dott. Giuseppe Esposito

© Dott. Giuseppe Esposito

© Dott. Giuseppe Esposito

© Dott. Giuseppe Esposito

© Dott. Giuseppe Esposito