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P P R R O O G G E E T T T T O O C C O O M M U U N N I I S S T T A A continua a pagina 2

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PPRROOGGEETTTTOO CCOOMMUUNNIISSTTAA

CCoossttrruuiiaammoo nneellllee LLootttteell''AAlltteerrnnaattiivvaa CCoommuunniissttaa!!

Periodico delPartito di Alternativa Comunista sezione dellaLega Internazionale dei Lavoratori (Quarta Internazionale)ALTERNATIVACOMUNISTA.org MMaarrzzoo 99 AApprrii llee 220011 33 99 NN°°3399 99 22€€ 99 AAnnnnoo VVII II 99 NNuuoovvaa sseerriiee

Nuovi passi in avanti nel coordinamento delle lotteSSii rraaffffoorrzzaa llaa bbaattttaagglliiaa ddii NNoo AAuusstteerriittyyQuali i compiti dei rivoluzionari?LLaa ssiittuuaazziioonnee ppoolliittiiccaa ddooppoo iill vvoottoo

6­7

2­4

Quattro pagine gestite e prodotte dai giovani del PdacAA pprrooppoossiittoo ddeell ""qquuaaddeerrnnoo ssccoommppaarrssoo"":: GGrraammssccii ttrraaddiittoo14­16Intervista a Mohamed Arafat, portavoce della lotta all'IkeaLLaa lloottttaa ddeeii llaavvoorraattoorrii ddeellllee ccooooppeerraattiivvee ddeellllaa llooggiissttiiccaa9 ll''iinnsseerrttoo ddeeii

GGIIOOVVAANNII ddii AALLTTEERRNNAATTIIVVAA CCOOMMUUNNIISSTTAAnelle

pagineinterne

SPED.ABB.POST.ART.1COMMA2D.L.353/03DEL24/12/2003(CONV.IN

L.46/04DEL27/02/2004)DCBBARI

Nelle urne hannovinto i padroni

Ottant'anni di falsificazioni di stalinisti, riformisti e liberali

Nelle piazze vincerannolavoratori e studenti!

Alberto Madoglio

Il clamoroso risultato uscito dalle urne il 25febbraio ci consegna un quadro a dir pocosorprendente. In altri articoli verrà fattaun'analisi più approfondita del risultato

elettorale, tuttavia qualche breve cenno si impone.L'annunciata vittoria del Pd e della coalizione dicentrosinistra non c'è stata. Il crollo nei consensi delPdl (che vede dimezzati i propri voti rispetto al2008), il risultato molto inferiore alle attese delraggruppamento centrista guidato da Monti, cosìcome, di converso, il clamoroso successo del Movi­mento5Stelle(superioreaogniprevisione)sonose­gnali di come la crisi economica, politica eistituzionale delle classi dominanti del Paese siaarrivata a un punto tale, per cui ogni via di uscitaappare al momento impossibile.Per quanto riguarda le forze della sinistra che unavolta si definiva radicale, il fallimento della lista diIngroia oltre che mettere la parola fine alla breveesperienza politica dell'“ermellino da guardia” sici­liano, sferra un colpo mortale a Rifondazione co­munista (che si era annullata in quella alleanzaelettorale senza nessun riferimento classista). Lacrisi verticale del partito di Ferrero, unita alla suasempre più marcata irrilevanza dal punto di vistasociale(unpartitochedalungotempohapersoognicapacità di mobilitare settori del mondo del lavoro),aggraveràlostatodiquelpartito.Seaciòsommiamoil risultato molto deludente (per usare un eufemi­smo) di Sel (ancor più subalterna di Rifondazione a

un progetto di governo liberale), vediamo come siafuori dalla realtà una ripresa di qualsiasi opzione so­cialdemocratica riformista.Questi differenti fattori hanno prodotto come ri­sultato l'impossibilità per ognuno degli schiera­menti in campo di essere autonomo nel proporreuna ipotesi di governo. Come in campagna elettora­le, ognuno degli schieramenti borghesi rivendica lanecessità di una svolta politica che ponga piùattenzione alle questioni sociali: come se non fosse­ro stati loro a imporre, a fasi alterne o insieme, negliultimi vent'anni misure economiche che hanno de­vastato gli strati più deboli della popolazione, in pri­mis lavoratori, giovani e pensionati. Oltre lapropaganda rimane una sola certezza: la recessioneitaliana e mondiale non accenna a diminuire. Ilprossimo primo ministro, chiunque esso sarà, do­vrà fare i conti con questa realtà. E non è rassicu­rante.

La crisi economicacontinua e si aggrava

L'economia italiana nel 2012 ha avuto una contra­zione del Pil del 2,9%. Nel 2013 diminuirà di un altro1% (se tutto va bene). Si avranno dunque ben 30 me­si consecutivi di contrazione economica. Il redditomedio nazionale (che nel 2012 era crollato ai livellidel 1998) subirà molto probabilmente un bruscocalo. La disoccupazione arriverà a toccare il 12%,dato parziale perché non tiene conto di chi ormai ri­nuncia a cercare un lavoro (per giunta, l'Italia hauna delle percentuali più basse, fra i Paesi

maggiormente sviluppati, di occupati).In un articolo apparso su Il Sole 24 Ore dello scorso22 febbraio, Gianni Toniolo, confrontando le crisidel 1929 e del 2007, constata che quella attuale ri­schia di essere la più pesante della storia dell'Italiaunita. Non solo: aggiunge anche che, a differenzacheneglianniTrenta, l'economiadelPaesearrivada10 anni (ma in realtà sono almeno il doppio) di bas­sa crescita. Quindi non si riescono a intravvederesegnali che possano in qualche modo far bene spe­rare per il futuro.Dulcis in fundo, nel 2014, anno in cui il Pil dovrebbefinalmente far segnare un seppur flebile (0,8%) va­lore positivo, il nuovo governo dovrà applicare lenorme di riduzione del debito pubblico previste nelFiscal Compact: dal prossimo anno si dovranno va­rare manovre nell'ordine di 40/45 miliardi di euro(oltre a quelle che si dovranno fare per cercare di ri­spettare l'obbligo di pareggio di bilancio). Un vero eproprio circolo vizioso in cui la recessione aumentala necessità di manovre di austerità, le quali a lorovolta alimentano la recessione stessa. La prospetti­va “greca” (un impoverimento generalizzato dilarghi settori della popolazione, proletari, piccola emedia borghesia) non è una probabilità, ma unacertezza. Già dalle prossime settimane, quindi, ilnuovo esecutivo dovrà inasprire gli attacchi almondo del lavoro, distruggendo quel che ancora ri­manedelwelfarepubblico.Èquellochechiedonodicomune accordo la Troika (Bce, Fondo Monetario eUnione Europea) e la grande borghesia nazionale.Tutto ciò però non avviene semplicemente nel

chiusodiufficigovernativi,nellestanzediBruxelles,ma deve fare i conti con i milioni di lavoratori, gio­vani, donne, disoccupati, immigrati e pensionati,che saranno colpiti in prima persona da queste de­cisioni, che vedranno ridursi ulteriormente il lorosalario o pensione, che perderanno a centinaia dimigliaia il posto di lavoro, che una volta usciti dallascuola o dall'università non avranno altra pro­spettiva che vivere nella miseria, nella precarietà enelladisperazione.Edèaltamenteprobabilechegiàa partire dalle prossime settimane assisteremo auna crescita delle mobilitazioni dei lavoratori perrespingere gli attacchi di governo e padroni.

L'acutizzazione della lotta di classea livello internazionale

Facciamo questa previsione non perché riteniamoche ci sia un legame automatico tra crisi e aumentodella conflittualità di classe: anzi, sappiamo, cometante volte la storia ha dimostrato, che se la prima siprolunga, mentre al contempo i lavoratori subisco­no continue sconfitte, la loro capacità di resistenzatende a ridursi, facendo prevalere un senso di fru­strazione e di ineluttabilità.Tuttavia, non crediamo che sia oggi lo scenario piùprobabile. Da diversi anni, pur con diversi livelli diintensità, con alti e bassi inevitabili, la lotta di classealivellointernazionaleèinunafasedicrescita.Dallemobilitazioni in Europa (Grecia, Spagna, Porto­gallo, Irlanda, Francia), alle rivoluzioni nel Nord

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2 Marzo ­ Aprile 2013 PROGETTO COMUNISTAPOLITICA

Africa (che proprio inqueste settimane, dallaTunisia all'Egittostanno vivendo unanuova “primavera”), aisegnali di ripresa dellemobilitazioni in Ameri­ca Latina, fino a arrivarealla Cina e all'India, leclassi dominanti si de­vono scontrare quoti­dianamente concentinaia di milioni diproletari che nonaccettano supinamentel'applicazione delle mi­sure di austerità messe incampo dai vari governi.Questa fase che, come Lit ePartito di alternativa co­munista, abbiamo definitocome rivoluzionaria, minaalle fondamenta la fiduciadei governi nelle proprie azioni, ne erodeil consenso tra la popolazioni, fa crescere in manie­ra esponenziale le tensioni tra i vari Stati, che cerca­no di far pagare i costi della recessione non solo alleclassi subalterne, ma anche ai loro competitoriinternazionali. La difficoltà, per non dire l'impossi­bilità, delle varie nazioni europee di trovare ricettecondivise(esplosesettimanefaalmomentodivota­re il nuovo bilancio europeo, o rese evidenti dalmancato accordo per tentare di risollevare il

mercatocontinentale del settore automobilistico),

sono il risultato di quanto finora scritto.Quindi anche l'Italia sarà colpita dall'onda lungadella lotta di classe internazionale. Certo, i probleminon mancano. La campagna elettorale è servita,una volta di più, a smascherare il ruolo reazionariodei gruppi dirigenti delle maggiori organizzazionipolitiche e sindacali del movimento operaio che sisono schierate, fin dall'inizio e senza nessuna so­stanziale distinzione, nel sostenere una coalizione,quella di centrosinistra, che nel suo programma

elettorale aveva la prosecuzione delle politiche dilacrime e sangue per le classi subalterne. Ilconvinto endorsement che la Cgil ha fatto neiconfronti di Bersani durante la campagna eletto­rale, il fatto che il numero due della Fiom, Airaudo,si sia candidato per un partito, Sel di Vendola, cheentrando nell'alleanza col Pd ne ha sottoscritto ilprogramma elettorale, provano senza ombra didubbio che le burocrazie sindacali hanno sceltodi schierarsi a fianco dei padroni e contro i lavo­ratori. E che da oggi, a prescindere da quale saràla soluzione tecnica per cui si troverà un governo(tecnico, di Grande Coalizione, di scopo per farela riforma elettorale e tornare brevemente al vo­to) risulterà impraticabile ogni opposizione,anche se di facciata, da parte di queste orga­nizzazioni.

Sviluppare e unificare le lotte.Costruire il partito

È per ciò assolutamente indispensabile, oggipiù che mai davanti alla crisi profonda che staattraversando la grande borghesia italiana,

che le forze sociali, politiche e sindacali che nonaccettano l'inevitabilità delle politiche antioperaie,si pongano realmente l'obiettivo di fornire una so­luzione alternativa alla crisi in corso. È solo con lelotte, infatti, che i lavoratori potranno imporre le lo­ro rivendicazioni, sapendo tuttavia che da sole que­ste non bastano. Serve prima di tutto un chiaroprogramma per l'azione. Non si può, infatti, scandi­re lo slogan per cui i lavoratori “non pagheranno lacrisi” e poi avanzare richieste che, al di là della reto­rica e della propaganda, si limitano a trovare dellecure per i sintomi, la recessione, senza cercare di de­

bellare la malattia, cioè il capitalismo. Fuor di meta­fora, una proposta politica credibile e realizzabilenon può fondarsi sulla riedizione di interventi distampo neokeynesiano, ma deve porre all'ordinedel giorno una lotta per una prospettiva rivoluzio­naria anticapitalistica, per la distruzione di un si­stema sociale fondato sul più brutale sfruttamentodell'uomo (in realtà di pochi uomini) sui suoi simili.Certamente, oggi in Italia questa consapevolezza èpatrimonio di poche, anche se non marginali o insi­gnificanti, avanguardie. Tuttavia siamo certi, e il ri­sultato di queste elezioni ce lo ha dimostrato senzaombra di dubbio, che la stragrande maggioranzadelle classi sfruttate non accetta più di essere go­vernata come nel passato. Sente che questo sistemanon tutela più le sue esigenze primarie, cerca dispe­ratamente soluzioni “radicali antisistema”. Crede diaverle individuate nella demagogia populista rea­zionaria del Movimento 5 Stelle, che propone loscioglimento dei sindacati, dei partiti (senza alcunadistinzione tra partiti borghesi e del movimentooperaio), la cancellazione delle pensioni e il bloccodei pagamenti degli stipendi dei dipendentipubblici.È compito principale dei comunisti rivoluzionari, equindi è compito del Partito di alternativa comuni­sta,cercaredifornirequell'alternativachemilionidigiovani, donne e lavoratori stanno disperatamentecercando. A chi pensa che il tema della costruzionedi un partito simile debba rimanere oggetto diastratti studi accademici, rispondiamo che oggi piùche mai si tratta di una questione che deve entrarecon forza nelle lotte e nelle mobilitazioni di ognigiorno. (2/3/2013)

segue dalla prima

PROGETTO COMUNISTAPeriodico del PARTITO DI ALTERNATIVA COMUNISTAsezione della Lega Internazionale dei Lavoratori 9 Quarta Internazionale

Marzo - Aprile 2013 – n.39 – Anno VII – Nuova serieTestata: Progetto Comunista – Rifondare l'Opposizione dei Lavoratori.Registrazione: n. 10 del 23/3/2006 presso il Tribunale di Salerno.Direttore Responsabile: Riccardo Bocchese.

Direttore Politico: Fabiana Stefanoni.Redazione e Comitato Editoriale:Giovanni“Ivan” Alberotanza, Mauro Buccheri, Patrizia Cammarata,Nicola De Prisco, Adriano Lotito, Claudio Mastrogiulio,Fabiana Stefanoni,Valerio Torre.

Vignette: AlessioSpataro.blogspot.com

Grafica e Impaginazione: Giovanni“Ivan” Alberotanza[Scribus+LibreOffice su Debian GNU/Linux]Stampa: Litografica '92 – San Ferdinando di PugliaEditore:Valerio Torre, C.soV.Emanuele, 14 – 84123 Salerno.

Per scrivere alla redazione mandare una e–mail a:[email protected]

Recapito telefonico: 328 17 87 809

Dichiarazione delComitato Centrale del Pdac

Le elezioni – che molti ana­lizzano come se fossero lospecchio politico del Paese –danno sempre solo

un'immagine deformata dei rapportitra le classi. Tenendo conto di questosi possono fare alcune primissime va­lutazioni, riservandoci di tornare inmodo più approfondito nei prossimigiorni sul tema.I dati da evidenziare sono questi:1) nessuno dei tre principali schiera­menti borghesi (centrosinistra,centrodestra, centro) ottiene risultatiche gli garantiscano di governare. Ilche significa un ulteriore aggravarsidella crisi di gestione della politicaborghese (le borse sono crollateall'apertura delle urne), chiaramentecolpita da un vastro discredito dimassa per le misure anti­popolari el'impressionante dilagare dellacorruzione del suo sistema politico;2) la crisi del capitalismo e il discredi­to delle politiche borghesi si traducesia nell'astensione (che tocca nuovirecord: un quarto degli aventi diritto)che nel risultato impressionantedella lista del comico reazionarioGrillo. Quest'ultimo, sotto il mantellodi un programma che include anchepunti apparentemente radicali eapparentemente anti­sistema, capi­talizza ilmaggior ri­sultato – nell'as­senza di unamobilitazionecomplessivadella classe ope­raia. A Grillovanno voti diampi settori pro­letari ma anche diuna piccola­borghesia so­spinta dalla crisialla ricerca di solu­zioni “anti­siste­ma” (significativoin particolare il tra­vaso di voti dellapiccola­borghesiadel Nord Est dalla

Lega Nord al Movimento CinqueStelle);3) il successo della lista Grillo, al di làdelle illusioni che in essa ripongonoanche ampi settori di lavoratori, noncostituisce in alcun modo un ri­sultato politico anti­padronale. Alcontrario, assorbe il malcontentoverso le politiche del capitalismo tra­ducendolo in un programma che nonmette in discussione in alcun modo lagrande borghesia e il suo dominio. Ilprogramma di Grillo, che contemplaanche punti “di sinistra”, vede il suosegno prevalente in una genericaprotesta contro “la politica” e “i parti­ti”, prospettando in realtà soluzionireazionarie e potenzialmente perico­lose, tra cui spicca l'attacco (per oraindiretto) alle stesse organizzazionidel movimento operaio, politiche esindacali (proclami per lo “sciogli­mento” dei partiti e per il “supera­mento” dei sindacati, ecc.);4) a sinistra, la lista di Ingroia (Ri­fondazione, Idv, ecc.), che si candida­va dichiaratamente a un accordopost­elettorale col Pd e Sel (che a suavolta crolla al 3%), per garantire unacollaborazione di classe col governodei banchieri e degli industriali (ri­mandiamo per approfondimenti sultema a vari articoli pubblicati sul no­stro sito), subisce una clamorosasconfitta, rimanendo

molto lontana dalla soglia di sbarra­mento e restando dunque fuori dalparlamento borghese. È facilmenteprevedibile che ciò provocherà nonsolo la dissoluzione di quell'impastodemagogico di riformismo e giusti­zialismo che è stata la lista Ingroia maanche la conseguente ulteriore crisidei partiti riformisti (Rifondazione intesta) che potrebbero andareincontro a una esplosione dei ri­spettivi gruppi dirigenti, che tuttopuntavano su queste elezioni perrientrare nei giochi di palazzoborghesi;5) il Pcl di Ferrando, un partito centri­sta, caratterizzato da un profilo appa­rentemente rivoluzionario atravestimento di un progetto semi­ri­formista, partito immagine espres­sione di un guru che funge dasurrogato del partito di militantiinserito nelle lotte, riceve un risultatoelettorale infimo. Infimo, intendia­moci, non tanto per il dato numericoin sé (che dovrebbe importare poco aun partito rivoluzionario) ma in rela­zione all'ampia aspettativa che ilgruppo dirigente del Pcl aveva ripo­sto nelle elezioni (“l'unico partito asinistra di Rifondazione”, il “partitodell'1%”, ecc.). Nonostante (come si èvantato per un mese) il Pcl abbia po­tuto pre­ sentarsi in quasi tutte

le circoscrizioni (noncerto in virtù dellacapacità di racco­gliere le firmeovunque, visto cheha presentato liste efirme anche in re­gioni dove non hanemmeno un nu­cleo di attivisti chepotessero racco­glierle...) il Pcl siattesta sullo 0,26perdendo quasi il60% dei voti cheaveva preso nel2008. È l'ulterioreconferma chenon di un partitoleggero, elettora­lista e d'immagi­ne c'è bisogno.6) Alternativa

Comunista, che non disponeva di“aiuti” per presentarsi nelle diversecircoscrizioni, e che quindi ha potutopresentarsi solo parzialmente esimbolicamente, che non ha mai me­nato la grancassa sulle elezioni,considerandole un terreno seconda­rio della lotta e della propria costru­zione, riceve un risultato numerico

identico a quello del Pcl nonostante ilnostro candidato Adriano Lotito (unostudente ventenne) non abbia potutogodere di nemmeno un secondo divisibilità in tv e sia stato oscuratodalla gran parte della stampaborghese e da quella cosiddetta di si­nistra (il giornale il manifesto, ecc.).Nell'unica circoscrizione, la Puglia,

Elezioni,lasoluzionevacercataaltrove:nellelotteCresce la crisi degli schieramenti borghesi,esplodono le contraddizioni dei riformisti

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PROGETTO COMUNISTA Marzo ­ Aprile 2013 3POLITICA

dove è possibile un raffronto conl'altra lista che esibiva la falce emartello, cioè col Pcl, essendo l'unicaregione dove eravamo presenticontemporaneamente entrambi,entrambi prendiamo lo 0,2­ 0,3% checerto noi non celebriamo come stori­ca avanzata: non solo perché sononumeri minimi ma soprattuttoperché per noi, a differenza che peraltri, le avanzate reali non sono quelleche si fanno nelle urne ma nellepiazze e nella costruzione reale delpartito delle lotte e della rivoluzione.Per parte nostra peraltro partecipa­vamo alle elezioni (come abbiamo di­chiarato da subito) non riponendo inesse nessuna illusione e usandole so­lo – nella misura del possibile – comepiccola tribuna per amplificare il no­stro programma e la nostra prospetti­va, che è quella di unificare e farcrescere le lotte operaie e studente­sche in direzione di una alternativarivoluzionaria. In questo senso lacampagna elettorale che abbiamosviluppato, non nei salotti televisivima (di fatto unici a sinistra) nellepiazze e davanti alle fabbriche, è statautile e positiva perché ci ha consenti­to di far conoscere il nostro partito e ilsuo programma rivoluzionario a unnumero crescente di lavoratori e gio­vani, guadagnando alcune nuove esignificative adesioni militanti pro­prio in queste settimane.

7) Come avevamo scritto nelle setti­mane scorse, non è nelle elezioniborghesi che si troveranno le risposteai problemi dei lavoratori e dei giova­ni proletari. Le risposte potranno ve­nire solo dall'unificazione e dallosviluppo delle lotte che aprano lastrada a nuovi rapporti di forza tra leclassi, da costruire nelle piazze. È solonelle piazze e nelle fabbriche che sipotrà costruire la premessa diun'ascesa della lotta di classe simile aquella che già si sta sviluppando inaltre parti d'Europa, soprattutto difronte all'ulteriore incancrenirsidella crisi politica del sistema, conl'impossibilità per qualsiasi coalizio­ne borghese di gestire gli effetti dellacrisi economica capitalistica. È solocon le lotte che i lavoratori e i giovanipotranno rimettere in discussionealla radice il capitalismo putrido e ilsistema politico corrotto che ne ènaturale ed inevitabile espressione. Èsolo proseguendo nella lunga e diffi­cile costruzione di un partito comu­nista, di militanti, radicato nei luoghidi lavoro e di studio, basato su un pro­gramma rivoluzionario, partecipedella costruzione in Europa e nelmondo di un'Internazionale rivolu­zionaria, la Quarta Internazionale,che i lavoratori potranno vincererealmente.

Valerio Torre

Il risultato elettorale ha avuto – ecertamente avrà – conseguenzenotevoli sui partiti della sinistra so­cialdemocratica italiana che

conviene cercare di analizzare partita­mente, trattandosi di organizzazioniche, in virtù dei legami con il movimentooperaio, si pongono come un ostacoloalla costruzione di un partito autentica­mente rivoluzionario. Il loro riformismo,infatti, sia pure ormai su scala ridotta, se­mina illusioni all'interno della classe la­voratrice e del movimento popolare egiovanile, producendo un ritardonell'avanzamento delle coscienze.Parliamo, in particolare, di Sinistra Eco­logia e Libertà (il partito che fa riferi­mento al presidente della regionePuglia, Nichi Vendola) e di Rifondazio­ne comunista, entrambe presenti alleelezioni politiche in funzione del perse­guimento di un unico progetto, sia purearticolato da due differenti versanti.Proviamo a fare il punto della situazio­ne.

Il modesto risultato di Sel

Sel di Vendola, nata da una scissione dadestra di Rifondazione comunista dopol'estromissione dal parlamento nel2008, si è costruita nel tempo come unpartito sostanzialmente mediatico,benché con importanti legaminell'apparato burocratico della Fiom. Ilsuo principale obiettivo – esplicita­mente declinato – è sempre stato quellodel rientro nelle istituzioni parlamenta­ri ed è stato perseguito attraverso la pro­pria costruzione come ala sinistra diuna possibile coalizione di centrosini­stra con il Pd di Bersani. In questopercorso, diversi sondaggi attribuivanoaSelpercentualidi tuttorilievoascapitodei “cugini” del Prc, che, oltre alla perdi­ta di consensi, subiva una costanteemorragia di pezzi d'apparato governi­sta in direzione proprio del partito diVendola, che dunque sembrava avviatosulla strada del consolidamento comesostituto di quello che era stato untempo il partito di Bertinotti.Alla fine, l'asse privilegiato costruitocon il Pd è sfociato, nell'agosto del 2012in un accordo di coalizione che implica­va la base per un governo comunenell'ipotesi di vittoria alle elezioni. Inrealtà, sull'altare di quest'alleanzaelettorale e di governo proprio con ilpartito che aveva sostenuto le peggioripolitiche antioperaie del governoMonti, Vendola ha dovuto abbandona­re totalmente ogni critica al Pd e ingoia­re persino la possibilità di unasuccessiva intesa con Monti e le liste chelo appoggiavano (compresi Casini eMontezemolo), poiché i sondaggi indi­cavano la possibilità che questacomposita alleanza avrebbe avuto i nu­meri per governare. Ciò ha però apertola strada al disincanto di molti settoriche avevano visto in Sel la possibilità dicostruire un nuovo partito che potessefarsi portavoce dei “valori della sinistra”senza doverli sacrificare al governismo;sicché, man mano che si affermaval'immagine di Vendola come un puroornamento di sinistra del Pd, andavapalpabilmente crescendo la disillusio­ne.La partecipazione alle primarie – che,per le modalità in cui si sono svolte, so­no apparse un regolamento di contiinterno al partito capofila della coali­zione – hanno poi trascinato Vendola inuna sorta di faida contro Renzi: la suaimmagine politica si è via via to­talmente appannata al punto dascomparire dalla scena: l'esito in termi­ni di voti (1.089.000 voti alla Camera,con il 3,20%; poco più di 900.000 al Se­nato, con il 2,97%) – benché consentaalla scalpitante microburocrazia di Seldi rientrare in parlamento – rappre­senta il triste epilogo di un partito ba­sato pressoché soltantosull'ingombrante figura del suo leader econdannato a fungere da “ala sinistra”del centrosinistra e dello stesso Pd.

Rifondazione comunista:una sconfitta epocale

Per tutto un lungo periodo, il progetto diRifondazione comunista, così come

emerso dal suo ultimo Congresso na­zionale, stava nell'aspirare a un ruolo dicomparsa per il dopo­Monti allo scopo,essenzialmente, di riguadagnarequalche posto in parlamento grazie aun accordo col Pd: l'impegno era quellodi sostenere dall'esterno un futuro go­verno di centrosinistra.Tuttavia, il disegno di Ferrero ha dovutofare i conti con il progressivo isola­mento in cui il Prc è stato spinto, tantoda essere rimasto totalmente emargi­nato. Sia l'offerta avanzata al Pd, di un“patto democratico”, sia i pressantiappelli a Vendola, sono statiplatealmente ignorati. Frattanto,l'apparizione sulla scena del movi­mento “Cambiare si può” e il concre­tarsi dell'alleanza elettorale con ilsimbolo della lista Ingroia hannoofferto il destro a Rifondazione di imba­stire un tentativo per uscire dall'isola­mento.A partire dalla nascita di “Alba”(Alleanza Lavoro, Beni comuni,Ambiente), aveva fatto la sua comparsasulla scena politica l'appello “Cambiaresi può” promosso da qualche decina diprofessori, sociologi, ex magistrati,esponenti della c.d. “società civile”, perla nascita di un nuovo soggetto politicoche potesse essere alternativo – benchésempre nei limiti del sistema capitalisti­co – alle politiche liberali del Pd e peruna sua presentazione autonoma alleelezioni politiche, senza tuttaviapoggiare sulle organizzazioni politichedella sinistra, sottoposte anzi a dura cri­tica per non aver saputo realmenterappresentare le aspirazioni e leaspettative del “popolo della sinistra”ed aver privilegiato invece i propri inte­ressi d'apparato.Quest'appello, da un lato, aveva susci­tato la curiosità e l'interesse di centinaiadi attivisti che, disillusi, si erano allonta­nati dalla politica e che hanno in buonafede pensato di potere riavvicinarvisigrazie a un'esperienza di tipo nuovo ri­spetto a quelle partitiche (e, infatti, lepartecipate assemblee nazionali e loca­li che nel solo mese dello scorso di­cembre si sono realizzate in grannumero stanno a dimostrarlo);dall'altro, ha però risvegliato gli appetitidelle direzioni burocratiche di Rifonda­zione e degli altri partiti riformisti, chehanno visto in questa estesa partecipa­zione (cosa che per loro si trattava di unlontano ricordo) il terreno su cui co­struire il loro progetto per un rientro inparlamento.In realtà, i promotori dell'appello, veri epropri generali senza esercito, avevanoingenuamente creduto di poterecontrollare un simile processo fidandosolo sulla disorganizzata voglia di poli­tica degli aderenti e sottostimandoinvece la partecipazione – quella sìorganizzata – di quelle burocrazie edelle loro truppe: una organizzazioneche, sia pure ridotta ai minimi termini, èpoi stata in grado di espropriare i pro­motori del loro progetto iniziale edemarginarli dalla direzione del proces­so di cui hanno di fatto assunto ilcontrollo grazie anche alla “incorona­zione” come candidato premier dellaneonata lista Antonio Ingroia, magi­strato antimafia, figura di riferimento diAntonio Di Pietro e del sindaco di Napo­li, Luigi De Magistris.E così, la direzione burocratica del Prcha ottenuto di rientrare nel gioco politi­co, puntando ad un rilancio per qualchescranno parlamentare ed ammortizza­re così gli effetti della violenta crisi poli­tica, di militanza e finanziaria in cui dacinque anni si dibatteva.Il programma con cui la lista Ingroia,denominata Rivoluzione civile, si è pre­sentata alle elezioni era un programmatutto sommato riformista, con una forteimpronta legalitaria e trasudante giu­stizialismo reazionario, tutto interno ailimiti di compatibilità dell'ordineborghese. Per di più, il candidato pre­mier ha ripetutamente fatto trasparireche l'obiettivo reale della lista era,appunto, quello di giungere a unaccordo subalterno con il Pd(1).Ed è esattamente così che l'elettorato disinistra ha percepito, pesantementesanzionandolo col voto, questo vellei­tario tentativo (765.000 voti alla Came­

ra, col 2,25%, e poco meno di 550.000 alSenato, con l'1,79%), sancendo il falli­mento senza appello dell'esperimento,che è il fallimento del principale suoazionista di riferimento, cioè proprioRifondazione.Dopo la disfatta e il palpabile scora­mento, sono intervenute le dimissionidella segreteria del Prc, che però, lungidal rappresentare la volontà di un seriobilancio di tutto il corso della vita delpartito (e non solo della fallimentareesperienza della lista Ingroia), paionocostituire solo un passaggio obbligatoper riproporre, attraverso il lavacrocongressuale, il disastroso iter giàpercorso: basti pensare che la risoluzio­ne con cui vengono rassegnate le di­missioni contiene la proposta dirilanciare, attraverso “un vero e proprioprocesso costituente, democratico epartecipato”, proprio quella Rivoluzio­ne civile che ha costituito la pietratombale della stessa Rifondazione!Si apre ora un periodo denso di incogni­te per il Prc, in cui si profilano sullosfondo rese dei conti, fuggi­fuggi gene­ralizzati e tentativi di dissociare le pro­prie responsabilità da quelle dei gruppidirigenti. Emblematico, in tal senso, iltentativo da parte dell'opportunistacorrente interna Falcemartello di de­marcarsi. Dopo avere per qualchetempo anche sostenuto la maggioranzadi Ferrero, si è poi limitata a svolgereall'interno del partito un'Opposizionedi Sua Maestà, giungendo fino a fare unappello al voto per la lista Ingroia(2).Nondimeno, oggi, come se nulla fosse, ilprincipale dirigente di questatendenza, Bellotti, scrive: “Non ci assu­miamo neppure un grammo di re­sponsabilità per quanto ha fatto fin quiquesto gruppo dirigente”(3).Il colpo subito da Rifondazione è pe­santissimo. Per un partito da semprevissuto delle briciole (e che briciole!)economiche del parlamentarismo, sitratta di una sconfitta epocale. Dinanziagli occhi dei suoi dirigenti si staglia oralo spettro della bancarotta finanziaria,oltre quella politica: i cinque anni dal2008 e fino ad ora vissuti fuori dalle isti­tuzioni (nella speranza di rientrarvi) so­no stati affrontati svendendo i gioielli difamiglia, cioè quel tesoretto mobiliare eimmobiliare accumulato negli annidelle prebende parlamentari; ma altricinque anni così saranno ingestibili.La crisi in cui il Prc si dibatte da tempo èdestinata ad acuirsi e le contraddizioniinterne ad aumentare, se non esplode­re. Ma è evidente che il quadro in cui sidipanerà la sua vicenda rimanda allaspaventosa crisi in cui versa il riformi­smo, che, nell'epoca della crisi capitali­stica, vede i propri margini di manovraridotti al lumicino: e la crisi in cui – conle differenze del caso – Sel e Rifondazio­ne versano è, appunto, l'emblema di unriformismo senza via d'uscita.

Una prospettivacompletamente diversa

La nostra prospettiva, come rivoluzio­nari,èstataedèradicalmentediversa: lavia che abbiamo di fronte – quella dellacostruzione di un partito e diun'Internazionale autenticamente ri­voluzionari come unico strumento perfar fronte alla crisi di direzione rivolu­zionaria – è enormemente più difficile,ma sappiamo che è l'unica che puòoffrire un'alternativa alle classi lavo­ratrici.Non siamo autoreferenziali e siamoconsapevoli che quel partito equell'Internazionale sono ancora benlungi dall'essere edificati. Tuttavia,intendiamo mettere a disposizione de­gli attivisti onesti di quei partiti riformi­sti, che oggi sono tentati, dopo ilfallimento delle loro organizzazioni, diabbandonare tutto e tornare a casa,quel patrimonio di idee e di militanzache finora abbiamo costruito. Li invitia­mo a sommarsi a noi in quest'operaardua ma necessaria: saranno i benve­nuti.

Note

(1) La riprova postuma sta nel fatto cheIngroia, dopo il clamoroso flopelettorale, ha accusato il Pd di essere lacausa della sconfitta per non esservivoluto alleare con Rivoluzione civile!(2) “Non ci sottraiamo, per il rapporto dilealtà che ci lega alla militanza delpartito, dal condividere anche questabattaglia … Ci sommiamo al voto per lalista Ingroia”(http://www.marxismo.net/prc/rifondazione­comunista­lista­ingroia).(3)Http://www.marxismo.net/prc/rifondazione­comunista­dopo­il­voto

LasinistrariformistaallaprovadelvotoIlquadropoliticoasinistradopoleelezioni

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4 Marzo ­ Aprile 2013 PROGETTO COMUNISTAPOLITICA

Grillo alla BBC:«Noi stiamo contenendo questa collera,perciò dovrebbero ringraziarmi»Patrizia Cammarata

In un'intervista rilasciataalla Bbc, pochi giorni do­po il clamoroso successoelettorale alle elezioni

politiche del febbraio 2013,Beppe Grillo, fra varie argo­mentazioni nelle quali indica ilMovimento 5 Stelle portatoredi cambiamento rivoluziona­rio, dichiara al giornalista: “Noiabbiamo creato nella rabbiauna speranza. Non c'era spe­ranza… E la rabbia senza spe­ranza crea la violenza… È unarabbia ottimista…Non è ne­gativa. Noi stiamo contenendoquesta collera, perciò do­vrebbero ringraziarmi. È unarabbia democratica, che servead andare avanti. Vedrai.”Quale migliore rassicurazioneper il sistema costituito? Qualemigliore e limpida dichiarazio­ne per far sì che i detentori delpotere economico e politicopossano ritornare a dormireserenamente, certi che non sa­rà il Movimento 5 Stelle a tirarligiù dal letto affinché restitui­scano ai lavoratori e alle massepopolari ciò che è loro? “…do­vrebbero ringraziarmi… Ve­drai.”

Dopo le elezioni

Alle elezioni 2013 ha vinto lacolazione di centrosinistraguidata dal Pd di PierluigiBersani, che ottiene la maggio­ranza sia alla Camera sia al Se­nato, ma con un marginetroppo ristretto per garantire lagovernabilità. Il Pdl è crollato,rispetto alle precedenti elezio­ni, ma non come previsto dallamaggior parte degli osservato­ri. Ma il primo partito in Italia èil Movimento 5 Stelle del bravocomico miliardario BeppeGrillo, coadiuvato da Gianro­berto Casaleggio, imprendito­re e socio­fondatore di unasocietà informatica e editoria­le che si occupa di consulenzain materia di strategie di rete. IlMovimento 5 Stelle ha ottenu­to il 25% al Senato (più del Pdche è al 23%, più del Pdl che è al18,7%, più della Lega che crollaall'11%). Alla Camera il movi­mento Cinque Stelle arriva al26,3%. Il risultato elettoraleconseguito dal Movimento 5Stelle e quello conseguito daitre principali schieramentiborghesi (centrosinistra,centrodestra, centro) porta aduna situazione di stallo nelquale nessuno dei soggetti haottenuto risultati che gli ga­rantiscano di governare.Grillo ha raccolto non solomoltissimi voti della piccola­borghesia del Nord Est chepassano dalla Lega Nord al Mo­vimento Cinque Stelle, maanche i voti di elettori del Pd, dicentro, di sinistra e di estremadestra (come da diverse di­chiarazioni rilasciate da eletto­ri e sostenitori di Grillo). Èindubbio che Grillo abbia sa­puto parlare ai settoriscontenti di tutte le classi(incluso ovviamente il proleta­riato). La sua promessa di unrivolgimento totale, questa di­namica di spostamenti di clas­se, le piazze strapiene, ilcivettare con le squadracce diestrema destra (“Se un ragazzodi CasaPound con i requisitigiusti vuole entrare nel M5S,non ci sono problemi”, ha di­chiarato Grillo), l'accenno allacancellazione di partiti esindacati, rappresentano unimpasto potenzialmente peri­coloso. Ad oggi è difficile parla­re di un fenomeno di tipofascista ma certamente è un fe­nomeno populista di massache in qualche aspetto ricordail peronismo latinoamericano,che raccoglieva simpatie tra­sversali, dall'estrema sinistraai fascisti.

Un progettointerclassista

Alcune organizzazioni stalinistehanno fatto dichiarazione di vo­to per il M5Stelle (come già fece­ro nel passato, con il governoProdi che è stato un governo diguerra e di finanziarie contro i la­voratori). Organizzazioni chehanno appoggiato quindi, unalista e di un programma che ha,in modo probabilmente consa­pevole per i suoi vertici einconsapevole per le migliaia diattivisti generosi e onesti che locompongono, il ruolo di di­fensore del sistema, della pro­prietà privata dei mezzi diproduzione, del nazionalismo,della contrapposizione fra lavo­ratori statali e privati.La “Nuova Italia” di Grillo e Casa­leggio, infatti, non prevede la so­lidarietà fra i lavoratori e Grillo, apochi giorni dal voto, dichiarache bisogna attaccare quei privi­legiati di dipendenti pubbliciche, secondo lui, avrebberoattraversato la crisi più o menoindenni mantenendo lo stessopotere d'acquisto: si tratta, se­condo Grillo, di “una gran partedei dipendenti statali” che biso­gna mettere in discussione. Ilfatto che il problema principaledella società sia la divisione fra leclassi è escluso dal suo ragiona­mento e dal suo programma e,quindi, nel suo attacco non fadistinzioni in modo chiaro, nondice di voler attaccare i dirigentipubblici pagati 180 mila eurol'anno ma parla in generale di“dipendenti statali” includendo,quindi, infermieri, operatori so­ciali, impiegati allo sportello,ecc., lavoratori pubblici sfruttatie pagati circa 1.000 euro al mesecon lo stipendio bloccato dal2009 a fronte di un'inflazionemedia di almeno il 3% l'anno.Non sarà difficile appoggiarequeste esternazioni di Grillo neiconfronti dei dipendenti stataliper il neo eletto senatore delM5Stelle, l'imprenditore EnricoCappelletti, candidato nel 1996come parlamentare nel collegio15 di Padova centro storico per laLega Nord e che attualmente di­chiara: “È fuori dubbio che tra ilM5S e la Lega Nord di 20 anni fa cisono tantissimi punti in comu­ne”.Grillo ha saputo parlare all'esa­sperazione della gente, li haaizzati contro una classe politicaarrogante e corrotta. Lo ha fattoin modo demagogico e usandospesso un linguaggio volgare; isuoi “Vaffan” sono stati molto si­mili ad altre frasi di Bossi (ri­cordiamo: “La Lega ce l'haduro”), abituato, anch'egli, adusare un linguaggio rozzo e spes­so maschilista.

Il capitalismo buono deibravi e giovani ragazzi

Grillo ha riempito le piazze indi­cando come responsabili deldisastro attuale tutti i politici, lebanche e gli imprenditoricorrotti e vecchi ai quali vuolecontrapporre politici, banche eimprenditori onesti e possi­bilmente giovani. Ancora unavolta al volto feroce del capitali­smo in crisi si propone il voltobuono, ma inesistente e impos­sibile per la stessa natura delcapitalismo, del capitalismo dalvolto umano.Un inganno che porterà anchequesto movimento, indi­pendentemente dalla volontà dimolti attivisti, ad essere funzio­nale proprio al sistema che dicedi voler cambiare. Un sistemache non è da abbattere solo per leauto blu, le cozze e champagneconsumate con i soldi dei contri­buenti, ma per la sua stessanatura che si basa sulla proprietàprivata dei mezzi di produzione,sulla divisione di classe, sullosfruttamento dell'uomo sull'uo­mo e sulla legge del massimo

profitto che sfrutta le risorsedella natura rischiando di porta­re al collasso l'intero pianeta.A questi problemi Grillo e il suomovimento rispondono conpunti programmatici alcunevolte condivisibili ma generici eraffazzonati e, soprattutto, puntiprogrammatici che non metto­no in discussione il cuore delproblema. Al di là della generici­tà quello che colpisce è anchel'assenza di coerenza con cui so­no affiancati un punto pro­grammatico all'altro. Sullasanità, ad esempio, si parla da unlato di'“universalità e gratuitàdel servizio”, dall'altro l'introdu­zione di ticket proporzionali alreddito per le prestazioni “nonessenziali” e la trasparenza delleconvenzioni con le strutture pri­vate…Sulla politica economica e dellavoro le ricette discusse e pro­poste dal Movimento sono spes­so quelle liberiste come quandosi affrontano i temi dell'energiaelettrica e delle ferrovie. Sul la­voro sono state avanzate delleproposte che non vanno oltre ilreddito di cittadinanza e la rimo­zione degli incentivi statali per leaziende che provocano un“danno sociale”. Si tratta del soli­to programma riformista cheindica il superamento della crisicon la solita “socializzazionedelle perdite e la privatizzazionedei profitti”.Le affermazioni di Grillo sul fattoche le aziende devono essere diproprietà di chi ci lavora, nonvanno al di là della frase superfi­ciale e di propaganda. Di­fendendocontemporaneamente la Costi­tuzione (nel suo programma:“Insegnamento della Costitu­zione ed esame obbligatorio perogni rappresentante pubblico”),Grillo difende al contempo laproprietà privata dei mezzi diproduzione quindi il suoconcetto di “proprietà di chi cilavora” è solo un tranello. A me­no che Grillo non si riferisse adun sistema come quello dellecooperative: anche ai lavoratoridelle cooperative viene dettoche essi sono soci/lavoratori eche l'azienda è, in qualche mo­do, di loro proprietà!C'è una bella differenza fra direche le aziende devono essere diproprietà di chi lavora, magaricome socio di minoranza, e co­munque lasciare in mano pri­vata i mezzi di produzione o direche ci vuole il socialismo, cioè lasocializzazione di tutti i mezzi diproduzione. La proprietà pri­vata dei mezzi di produzione,nel programma “rivoluzionario”

di Grillo non è messa in discus­sione, anzi, è difesa con i conti­nui appelli alla legalità, allacompetitività ecc. Parla dellefabbriche perchè è consapevoledi quello che sta succedendonelle fabbriche e vuole attingere,in questo modo, il consenso de­gli operai. Ma lui è chiaramentedalla parte dei padroni (quelli“buoni”, onesti e intelligenti co­me il suo amico Casaleggio...).Nei suoi comizi ha rivendicato laprivatizzazione delle ferrovie eha chiesto la chiusura dellefrontiere dall'”invasione dei ro­meni”, dichiarandosi inoltrecontrario alla cittadinanza ai fi­gli degli immigrati “La cittadi­nanza a chi nasce in Italia, anchese i genitori non ne dispongono,è senza senso”, ha scritto sul suoblog.Grillo e il suo movimento hannoriempito un vuoto ma sonol'ottimo parafulmine che serveper distrarre la classe lavoratricesotto attacco dal vero problemae dalla vera urgenza: mettere indiscussione il capitalismo. Lasemplice soluzione di mandarevia tutti i politici vecchi sosti­tuendoli ad una classe politicanuova, senza mettere in discus­sione la proprietà privata deimezzi di produzione, non tieneconto dell'essenziale: le leggi egli uomini di legge, come i politi­ci dei vari schieramenti, sono alservizio del potere economico e,nel quadro della crisi del capita­lismo, sono al servizio della logi­ca del massimo profitto. Lacementificazione selvaggia,osteggiata da Grillo, è la figlia delsistema economico prima di es­sere figlia del sistema politico.Serve poco cambiare i suonatorise la musica da suonare è la stes­sa.

La responsabilità delledirezioni politiche e

sindacali

Ancora una volta, come giàsuccesso con Di Pietro e con laLega, ci troviamo davanti ad unarappresentazione, demagogicae pericolosa, del cambiamento.Una rappresentazione che, alcontempo, toglie energie e pos­sibilità ad un cambiamento rea­le dato che a cadere in questatrappola non sono solo le massepopolari passive, tutte quellepersone che si muovono politi­camente solo per riporre la sche­da nell'urna ma anche,purtroppo, sindacalisti, attivistidi movimenti sociali che hannoavuto anche un ruoloimportante nel nostro Paese, fi­no ad arrivare ai militanti di

partiti di sinistra. Il movimentodi Grillo, radicale nei modi mamoderato nei contenuti, è unottimo strumento di distrazione,proprio nel momento in cui lacrisi economica strutturale delcapitalismo si abbatte con fero­cia.Infatti, mentre negli altri Paesi ilavoratori, gli studenti poveri, lemasse popolari si stanno orga­nizzando, in Italia il disagio èintercettato e incanalato dal co­mico miliardario Grillo edall'imprenditore Casaleggioche occupano il vuoto lasciatodalle organizzazioni dei lavo­ratori, sia politiche sia sindacali,troppo impegnate a ricorrerequalche poltrona parlamentareinsieme ai magistrati o a firmarecontratti a perdere per i lavo­ratori sedendosi nel frattempoalla tavola sempre ben imbandi­ta dei rappresentanti diConfindustria, dei banchieri edei loro governi.Non sarà certo il miliardarioGrillo (pompiere e nonincendiario delle lotte) o il suoamico imprenditore Casaleggioad indicare ai lavoratori, aidisoccupati e agli sfruttati lastrada che è indicata nelle piazzestracolme della Spagna e di altriPaesi europei: difesa della co­munità di esclusi, occupazionedella case per resistere aglisfratti, occupazione dellafabbriche e loro espropriazionesotto controllo dei lavoratori.

Per una vera rivoluzione,per una trasformazione

reale

Al contrario degli stalinisti che sisono messi sotto l'ombrello delM5Stelle insieme a leghisti e fa­scisti, non pensiamo chel'appoggio a questo movimentosia la strada affinché si verifichiun evento, una spaccatura cheinvestirà anche il movimentostesso traghettandolo da Grilloper farlo arrivare ad un verocambiamento sociale. Non cistupiamo che gli operai e le mas­se popolari del Paese si sianoraccolte intorno a Grillo e al suoprogramma solo apparente­mente radicale. Siamo consape­voli che “la coscienza di ogniepoca è quella della classe domi­nante” ma siamo altresì consa­pevoli che “la liberazione dellaclasse operaia sarà opera dellaclasse operaia stessa” e, inoltre,siamo convinti che “la risposta aquesta apparente contraddizio­ne è il partito”. Un partito che de­ve necessariamente essererivoluzionario e costruirsi suscala internazionale.

Lenin ha detto “la rivoluzionesocialista in Europa non può es­sere altro che l'esplosione dellalotta di massa di tutti gli oppressie di tutti i malcontenti” e che“una parte della piccola borghe­sia e degli operai arretrati viparteciperanno inevita­bilmente”(1) e ha ancheaffermato: “il piccolo proprieta­rio, il piccolo padrone, subendosotto il capitalismo un'oppres­sione continua e, molto spesso,un peggioramento incredi­bilmente rapido e brusco delleproprie condizioni di vita e la ro­vina, si abbandona con facilità aun rivoluzionarismo estremisti­co, ma non è capace di manife­stare tenacia, spiritoorganizzativo, disciplina efermezza. Il piccolo borghese“inferocito” per gli orrori delcapitalismo è un fenomeno so­ciale caratteristico, comel'anarchismo di tutti i Paesicapitalistici”, come è caratteri­stica del piccolo borghese la“folle passione per questa oquella corrente borghese di mo­da” e ci ha ricordato come “imenscevichi e i socialisti­rivo­luzionari in Russia (come neglianni dal 1914 al 1920 tutti i capidella II internazionale in tutto ilmondo) hanno cominciato atradire quando hanno giustifi­cato, direttamente o indiretta­mente, la “difesa della patria”,cioè la difesa della propria rapa­ce borghesia. Hanno poi conti­nuato a tradire quando si sonocoalizzati con la borghesia delproprio Paese ..”(2)

Appoggiare un partito, un'orga­nizzazione politica (anche se sifa chiamare “movimento”) chedifende la proprietà privata deimezzi di produzione e che lanciaappelli contro una parte dei la­voratori e contro gli immigrati,significa, nei fatti, coalizzarsicon la borghesia del proprioPaese. Solo la costruzione di unpartito comunista e internazio­nale che sia sì presente in tutte lelotte ma che sia autonomo nellapropria organizzazione e nelproprio programma, senzaattaccarsi al carro del vincitoredel momento, potrà diventare lostrumento di una trasformazio­ne sociale reale e non di una pe­ricolosa farsa.

Note

(1) V. I. Lenin, “Risultati delladiscussione sull'autodecisio­ne”,1916.(2) V. I. Lenin L'estremismo, ma­lattia infantile del comunismo,1920

Il Movimento 5 Stelle di Grillo: l'opposizione funzionale al sistema

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PROGETTO COMUNISTA Marzo ­ Aprile 2013 5POLITICA

IcriminidelVaticanoel'abdicazionediRatzingerUna lettura marxista della questione,al di là delle mistificazioni

Claudio Mastrogiulio

Lo scorso 28 febbraio,come ampiamente do­cumentato in pompamagna da tutti i media

nazionali e internazionali,Ratzinger ha abdicato.Innanzitutto una precisazioneterminologica: nelle righe cheseguiranno faremo sistemati­camente riferimento alla abdi­cazione e non alle dimissionidel Papa. Infatti, nell'ordina­mento giuridico e statualevaticano, il pontefice non èsemplicemente un leader, unpresidente o uno dei massimivertici, ma è il sovrano assolutodello Stato. Molti media di regi­me hanno furbescamente uti­lizzato il vocabolo “dimissioni”rendendosi conto di quantoanacronistico fosse utilizzareun termine, come quellocorretto e cioè “abdicazione”,che richiama a stagioni stori­che collocabili in secoli addie­tro ovvero a dinastie regnanti.Ma equiparare il capo dellaChiesa a uno qualunque dei re­gnanti ancora esistenti nelventunesimo secolo suonavacome un atto di lesa maestàche i servi sciocchi del poterecostituito non potevanoconcedersi.Noi, al contrario, non soltantoutilizzeremo il vocabolo sotta­ciuto, ma cercheremo anche dispiegare come si sostanzi il po­tere assoluto che il Papa e le altegerarchie vaticane gestiscono.

Gli scandali all'internodella Chiesa

Si è detto e scritto molto suimotivi che abbiano indottoRatzinger ad abdicare. Qualcu­no, tentando di umanizzare lafigura in abito talare, ha pro­spettato ipotesi peregrine supresunti atteggiamenti di sde­gno dell'ex prefetto per laCongregazione per la dottrinadella fede verso i vari scandaliche hanno interessato il Vati­cano.Al di là di quale sia stata la realeragione, ciò che più interessa èindagare sulla verosimiglianzache una tale ipotesi potrebbeavere in relazione all'architra­ve ideologico e normativo sucui si innesta la struttura re­pressiva interna al Vaticano.Un esempio significativo diquesta struttura fu l'emana­zione nel 1962 del cosiddetto

Crimen Sollicitationis, vale adire un documento dal caratte­re riservato emesso da unstruttura interna alla Chiesa, ilSant'Uffizio, diretto a tutti isuoi membri, dai parroci fino aicardinali. Questo documentoriguarda la procedura daadempiere nel caso in cui unappartenente al clero dovesserendersi responsabile diapprocci o rapporti sessualinei confronti dei e delle peni­tenti.Ciò che più indigna nel trattaresommariamente questoaspetto, è la centralità che neldocumento viene riconosciutaall'elemento della segretezza.Riprendendo pedissequa­mente uno stralcio del para­grafo 11 del suddettodocumento è possibile leggere“nello svolgere questi processisi deve avere maggior cura eattenzione che si svolgano conla massima riservatezza e, unavolta giunti a sentenza e postein esecuzione le decisioni deltribunale, su di essi simantenga perpetuo riserbo.Perciò tutti coloro che a variotitolo entrano a far parte del tri­bunale o che per il compito chesvolgono siano ammessi a ve­nire a conoscenza dei fatti sonostrettamente tenuti al piùstretto segreto (il cosiddetto“segreto del Sant'Uffizio”), suogni cosa appresa e conchiunque, pena la scomunicalatae sententiae, per il fattostesso di aver violato il segreto(senza cioè bisogno di unaqualche dichiarazione)”.Dunque, un silenzio tombaledeve essere mantenutointorno ad abusi che vedanocome carnefici i chierici, adogni livello, pena la scomunicaimmediata. Un meccanismocon accenni vagamente mafio­si, marcatamente omertosi,che hanno un solo ed unicoobiettivo: creare un muro digomma su cui far rimbalzareogni tentativo di far luce sullemalefatte vaticane.

La base materiale

Il tutto nasce da un assuntofondamentale, quale l'obbligoalla castità che, frustrando lenaturali pulsioni sessuali diogni essere vivente, finisce perannichilirne l'aspetto umano,deviandolo, e giungendo adepisodi aberranti, quali la pe­dofilia o gli abusi sulle donne. È

in questo senso che va lettol'obbligo alla castità che vieneimpartito ai sacerdoti, inun'ottica che assume un signi­ficato ambivalente. Il primo, dicarattere meramente econo­mico; il secondo, con una de­viazione ulteriore sul piano delricatto e della saldatura di inte­ressi.Sul versante politico, la castitàed il celibato rappresentano ilcollante più efficace che le ge­rarchie vaticane hanno adisposizione per poter ce­mentare la propria autorità ecostruire un rapporto servo­padrone con i propri subordi­nati (i preti). Il meccanismoche si innesca è psicologica­mente semplice da spiegare:occorre infatti partire dal pre­supposto che ogni essere uma­no è caratterizzato da pulsionisessuali che, se represse,danno luogo ad episodi di de­viazione e perversione (comegli abusi su donne e bambini,in particolar modo). Una voltaverificatisi questi episodi diviolenza, interviene l'autoritàecclesiale che, col suo agirepaternalistico, prova a mante­nere segrete le brutture, col du­plice risultato di gettare neldiscredito le vittime inermi eottenere una cieca obbedienzada parte del prete che in quelcaso concepirà l'autorità comel'istituzione che lo ha salvatodal carcere e dal disprezzo ge­nerale.Sul versante più prettamenteeconomico, il celibato edunque la castità rispondonoall'esigenza di restringere ilnumero di coloro che po­trebbero godere degli innume­revoli privilegi e delleinestimabili ricchezze dellaChiesa. Infatti, fino all'ottavosecolo, agli ecclesiastici eraconcessa la possibilità di spo­sarsi e avere figli, a cui avrebbe­ro provveduto grazie alle utilitàdi cui i prelati godevano invirtù del loro sodalizio con laChiesa. Dunque una partedelle ricchezze clericali sa­rebbero state indirettamenteutilizzate, per tramite del pre­lato capo­famiglia, da una plu­ralità di soggetti estranei allaChiesa, di cui avrebbero godu­to addirittura per effetto delledisposizioni successorie in se­guito alla morte del prelato pa­dre e marito. Al contrario,ancora oggi è possibile os­

servare come il sistema econo­mico clericale sia florido ecome sia gestito da pochissimisoggetti tutti interni al clero edunque estremamente fedeliai precetti dell'istituzioneChiesa. Quelli del celibato edella castità forzati, a cui siconnette il fenomeno della pe­dofilia, rappresentano stru­menti per mantenereconcentrate nelle mani di po­chi “fedelissimi” le enormiricchezze usurpate, nei secolidella sua storia, da parte dellaChiesa Cattolica agli sfruttatidi tutto il mondo.

Il ruolo dello Ior

Un ruolo fondamentale nelperpetrare il dominio che ilVaticano attua nella societàviene giocato dal suo braccioeconomico, quell'Istituto perle Opere Religiose (Ior), che ditante vicende fosche ed ambi­gue ha riempito le cronachedegli ultimi anni. Ma quelloche a noi più interessa non ètanto la disamina di questo oquello scandalo, o il malaffaredi questo o quel presidentedello Ior (da ultimo, l'ex presi­dente Gotti Tedeschi). Ciò cheè politicamente piùimportante è offrire un quadrod'insieme delle ricchezze, delpotere e dell'influenza che labanca vaticana gioca nelcomplesso del sistema capita­listico. Tanto per fare alcuniesempi, lo Ior è un importanteazionista di colossi dell'econo­mia internazionale che depre­dano ricchezze e futuro in ogniangolo del mondo. Per como­dità citiamo soltanto leaziende con un nome più alti­sonante nel gotha del capitali­smo internazionale, comeShell, Fiat, Rotschild Bank, Ge­neral Electric, Beretta (proprio

quella delle armi!), GeneralMotors, Olivetti, New York Ti­me, Alitalia e l'elenco potrebbecontinuare ancora per molto.Per non parlare dell'immensopatrimonio immobiliare di cuigode, su cui dal 1929 (anno delConcordato tra Chiesa e Statoitaliano) non vige alcun tipo ditassazione. Ogni anno il Vati­cano guadagno dal mancatopagamento dell'Ici prima, edora dell'Imu, una cifra che siaggira tra i 2 ed i 3 miliardi dieuro. L'ente che gestisce que­sto immenso capitale immobi­liare prende il nome diAmministrazione del patrimo­nio della Sede Apostolica(Apsa), e rappresenta un vero eproprio potentato economicodi caratura internazionale.Ultime stime attestano che il22% di tutte le proprietà immo­biliari esistenti sull'interoterritorio nazionaleappartengono al Vaticano, equindi al novello obiettore dicoscienza Ratzinger (sic!). Inogni città italiana quasi un edi­ficio od un ettaro su quattroappartiene al clero. Questodato, poi, schizza ulte­riormente in alto se si rapportaalla descrizione dell'allocazio­ne delle proprietà immobiliarinella città sede del Vaticano,vale a dire Roma. Qui vi si inse­diano: 400 istituti di suore, 300parrocchie, 250 scuole cattoli­che, 200 chiese nonparrocchiali, 200 case genera­lizie, 90 istituti religiosi, 65 casedi cura, 50 missioni, 43 collegi,30 monasteri, 20 case di riposo,altrettanti seminari, 18 ospe­dali, 16 conventi, 13 oratori, 10confraternite, 6 ospizi. E ci so­no inoltre altri 20 terreni efabbricati intestati ai circa2mila enti religiosi (30mila so­no quelli sparsi su tutto il terri­

torio nazionale) che operanonella Capitale, dove la Chiesa èproprietaria del 25% degliimmobili. Un vero e proprioStato nello Stato, che mette inevidenza come si tratti di unpotere tutt'altro che spirituale,astratto, ma anzi incredi­bilmente terreno, mondano,sfruttatore.

Alcune considerazioniconclusive

Dunque, ritornando alla que­stione dell'abdicazione, la do­manda è molto semplice enetta: è mai possibile che l'uo­mo che gestisce tutto l'insiemedi intrecci tra denaro, potere etrame torbide abbia una sortadi crisi di coscienza? Noi, damarxisti, riteniamo che ognicomportamento sia perlome­no influenzato dalla dinamicasociale nella quale il soggettoviene a calarsi; ma ciò in lineadi principio, non siamo certa­mente così sciocchi da pensareche questo accadimento possascaturire un'analisi comples­siva. In conclusione, si tratta diun aspetto marginale, acci­dentale che non smuove di unmillimetro la caratterizzazioneche i comunisti debbono faredel Vaticano, né tanto meno leparole d'ordine che riguarda­no la cancellazione delConcordato, l'esproprio dellegrandi proprietà ecclesiasti­che, l'eliminazione d'ogni tipodi sovvenzione ovvero sgraviofiscale. Consapevoli, ovvia­mente, che questi punti pos­sono trovare una realeincidenza solo se si legano aduna prospettiva genuina­mente anticapitalista e di clas­se. (2/3/2013)

...paura più non fa.Il papato di B16 è del tutto anomalo,avendo concentrato tutta la sua caricainnovativa negli ultimi giorni, in zonaCesarini. Ieri è arrivata una verità difede sconvolgente: "In questi anni ilsignore sembrava dormire".In poche frasi, parlando ex cathedra, ilpontefice ci ha rassicurati sul fatto chedio non è morto (questione filosoficacentrale nel secolo scorso), è non èneppure nascosto. Esiste, ma èaddormentato. Un giorno potrebbesvegliarsi. (a.)

­ Papatus interruptus: pratica cheprevede l'abbandono dello sforzopontificale proprio in dirittura d'arrivo.Si tratta di una pratica in passatogravemente condannata dalla chiesa,che vi vedeva una colpevole

dispersione di germi fecondi dellaparola del Signore, ma oggiparzialmente accettata e giustificata.­ Motu proprio: l'equivalente deldecreto legge nel diritto parlamentareitaliano. Molto in voga negli ultimi anniparkinsoniani di regno di GiovanniPaolo II, quando venne praticamentea coincidere con l'ordinariaamministrazione.­ Pontefice e merito: tentativo diportare la meritocrazia anche inVaticano, sostituendo, alle soliteraccomandazioni di spiriti più o menosanti, un sistema di abilitazionenazionale basato su valutazionioggettive dei titoli propostedall'ANVUR e ispirate ai migliori ratinginternazionali.­ Papato a progetto: dato che il papatoa tempo indeterminato è ormai cosad'altri tempi, è in atto una ricognizionedelle forme flessibili più idonee. Sipensa a una call for pope, finanziatada apposito grant. Il progettosicuramente conterrà il rilanciodell'immagine della chiesa, il

risanamento economico e politico, lanormalizzazione dei rapporti con lealtre fedi. Pare escluso il ricorso alpapato interinale, già sperimentatocon B16 (si eviti qualsiasi commentoosceno), e al papato susomministrazione (in Vaticano sisomministrano ottime tisane). (a.)

Davanti allo spettacolo indecoroso didue segretari di sedicenti partiticomunisti, mimetizzatisi sotto letonache di qualche magistrato eautoridottisi al silenzio per poterspuntare qualche parlamentare,l'elettorato ha reagito in modo civileattribuendogli circa il 2% deiconsensi. (a.)

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6 Marzo ­ Aprile 2013 PROGETTO COMUNISTANO AUSTERITY!

Fabiana Stefanoni

In Italia la mobilitazionenon è avanzata come inaltri Paesi d'Europa. Ilgoverno Berlusconi pri­

ma e il governo Monti poihanno sferrato pesantissimiattacchi alle condizioni di vitadei lavoratori e delle massepopolari. Il nuovo governo (senascerà) non cambierà musi­ca. Come ultimo atto, il go­verno Monti ha varato unalegge finanziaria (“legge distabilità”) che ha smantellatola Sanità pubblica e ha impo­sto nuovi gravosi tagli allaScuola pubblica. Gli effettidella crisi europea fannosentire i suoi effetti anche inItalia: sono dieci milioni (se­condo le stime ufficiali) i postidi lavoro persi nel solo 2012,senza contare i milioni di ope­rai che ricevono un sussidio(in forma di “cassa integrazio­

ne”) e che quindi non figuranonei sondaggi come disoccu­pati pur essendolo di fatto.Nonostante il forte controlloesercitato dagli apparati buro­cratici sindacali (in particola­re dalla Cgil) – controllo chemira a frammentare e smorza­re le mobilitazioni operaie incambio di qualcheammortizzatore sociale – ne­gli ultimi anni si sono svi­luppate importanti e radicaliesperienze di lotta. Negli ulti­mi mesi, in particolare, alcuneimportanti realtà di lottahanno cominciato acontrapporsi frontalmentealle burocrazie sindacali.No Austerity – Coordina­mento delle lotte è nato pro­prio per cercare di coordinarequeste esperienze di lotta, chefino ad oggi sono rimaste iso­late. La decisione di dare vita aquesto coordinamento dilotta è stata presa il 15 di­cembre 2012 durante un'as­semblea autoconvocata dilavoratrici, lavoratori, immi­grati, attivisti sindacali, stu­denti. L'assemblea si è svolta aCassina de' Pecchi, un piccolopaese nei dintorni di Milano,che ha però un importante va­lore simbolico: è un territoriodove si sono sviluppate dueimportanti esperienze dilotta, la lotta delle operaie edegli operai della Jabil­Nokia,che da mesi occupano e presi­diano la loro fabbrica contro lachiusura e contro i licenzia­menti, e la lotta dei lavoratoriimmigrati dell'Esselunga diPioltello, che, dopo aver orga­nizzato una resistenza duratalunghi mesi contro i licenzia­menti e contro le provocazionidei padroni (i padroni aveva­no organizzato delle squadre

punitive contro gli sciope­ranti!), oggi continuano la mo­bilitazione con nuovipicchetti e presidi.

La nascita di No AusterityCoordinamento delle lotteAll'assemblea del 15 dicembrenon erano presenti solo i lavo­ratori e le lavoratrici dell'Esse­lunga e della Jabil­Nokia, moltealtre sono le realtà sindacali e dilotta che hanno partecipato aquesta giornata: i delegati dellaFiom della Ferrari di Maranello(che non hanno più diritto allarappresentanza in fabbrica daquando è stato introdotto ilcontratto Fiat) e la neonata CubFerrari; gli immigrati delCoordinamento migranti di Ve­rona e del Comitato Immigratiin Italia; gli operai della Marce­gaglia; gli operai della Same diTreviglio; molti lavoratori delpubblico impiego (dai precaridella scuola della Lombardia e

dell'Emilia ai delegati Cub delComune di Vicenza); attivistisindacali della Lombardia edell'Emilia (delegati della Fiom,della Cub, della sinistra Cgil, diUsb; attivisti sindacali del Si.Co­bas, ecc.); esperienze di lottaautorganizzata (come i lavo­ratori del Coordinamento Lavo­ratori Autoconvocati); collettivistudenteschi; realtà del mondodell'associazionismo (comel'associazione “Voci della me­moria – No eternit” di CasaleMonferrato, che da anni si batteper mantenere viva la “memo­ria” dello scempio ambientale edi vite umane provocatodall'amianto). Le realtà presentierano soprattutto del Nord Ita­lia, ma c'era anche una delega­zione dal Sud di operai dellaFiat­Irisbus di Avellino (la Fiat­Irisbus era un'azienda che pro­duceva autobus e che è statachiusa): gli operai della Irisbus,

dopo la chiusura del loro stabi­limento, non si sono mai arresi econtinuano a far sentire la lorovoce con iniziative di lotta e diprotesta. Anche il Pdac era pre­sente all'assemblea e ha dato ilsuo appoggio alla nascita delcoordinamento.Importante è stata la presenzadi Dirceu Travesso, dirigentedella Csp­Conlutas. Travesso haportato la sua solidarietà all'as­semblea, rimarcando la neces­sità di estendere ilcoordinamento delle lotteanche sul terreno internaziona­le: per questo, No Austerity èstato invitato a partecipareall'incontro sindacale interna­zionale che si svolgerà a Parigidal 22 al 24 marzo.L'assemblea, dopo un vivace,ha deciso di dare vita a uncoordinamento permanentetra le varie realtà di lotta. Il nomeche è stato scelto, su propostadegli operai della Ferrari, è No

Austerity – Coordinamentodelle lotte. Sono state discusse emesse in campo una serie di ini­ziative di lotta e di solidarietà. Èstata anche votata all'unanimi­tà l'adesione all'incontro sinda­cale internazionale di Parigi.Soprattutto, è stato utilizzato unmetodo importante, purtroppoper nulla scontato nei momentiassembleari: il metodo della de­mocrazia operaia. Ogni propo­sta è stata discussa e messa aivoti, in assemblea.

L'iniziativa del 2febbraio a Maranello

A questo primo momento è se­guita, il 2 febbraio, una secondapartecipata assemblea, orga­nizzata questa volta a Mara­nello (dove si trova lostabilimento Ferrari, vicino aModena): un'assemblea che ilcoordinamento nazionale diNo Austerity ha voluto chiama­

re “No padroni day”, percontrapporre l'iniziativa allacontemporanea presentazionein pompa magna da parte diMontezemolo del nuovo mo­dello della Ferrari. Da una parteci sono i padroni, dall'altra glioperai. Un concetto per nullascontato nel panorama sinda­cale di casa nostra: qualchegiorno prima, a Grugliasco, inPiemonte, gli operai, su indica­zione degli stessi dirigenti dellaFiom, applaudivano proprioMontezemolo e Marchionne. Liapplaudivano perchéannunciavano la riaperturadella fabbrica... dopo anni distenti in cassa integrazione. AMaranello, già nel titolo dell'ini­ziativa, una cosa era chiara: nes­suno avrebbe applaudito ipadroni. E così è stato.Nell'assemblea di Maranello cisono state nuove importantiadesioni a No Austerity: dai la­voratori delle cooperative so­ciali agli immigrati delle zoneterremotate, dai precari dellascuola di Modena e di Mantovaa nuove realtà studentesche, daesponenti di liste civiche locali edell'associazionismo (Coda­

cons), a singoli operai del terri­torio. Erano presenti in salaanche esponenti dei movimentiantagonisti (centri sociali diModena a Firenze). Soprattutto,l'iniziativa è stata organizzata,oltre che con gli studenti delCollettivo autonomo studente­sco, insieme con i lavoratoridelle cooperative del settoredella logistica, che da mesistanno organizzando alcunedelle lotte più radicali ecombattive in Italia. In lororappresentanza, erano presentii facchini egiziani dell'Ikea diPiacenza (organizzati nel Si.Co­bas), che sono riusciti a re­spingere le intimidazioni delpadrone, riuscendo ad ottenereil reintegro degli operai li­cenziati. No Austerity ha avviatocon questi lavoratori unrapporto di collaborazione, peroffrire loro concreta solidarietà.Anche questa seconda as­semblea, dopo decine diinterventi, si è conclusa con lavotazione di alcune proposteper estendere e rafforzare NoAusterity, tra cui la decisione diorganizzare una nuova as­semblea nel Sud d'Italia, per

estendere anche in quelle re­gioni il progetto di No Austerity.Un importante passo in avantiinquestosensosièavutoametàfebbraio, con la decisione di uncoordinamento di lotta del Sudd'Italia (il Coordinamento Pu­gliese Lavoratori in lotta, cheraggruppa operai di variefabbriche della Puglia) di aderi­re a No Austerity.

Il sostegno del Pdac

IlPdacèimpegnatoinprimafilanella costruzione e nel rafforza­mento di questo organismo difronte unico, che, nella pro­spettiva prevedibile di un'asce­sa delle lotte anche nel nostroPaese, potrà svolgere un ruolofondamentale. Per questo, ènecessariochetalestrumentosiestenda, che l'appello ad aderi­re a No Austerity sia il più ampiopossibile, che nuove realtà poli­tiche, sindacali e di lotta vi ade­riscono. I compagni del Pdac siimpegneranno in questo senso.Un importante appuntamentoper No Austerity sarà l'incontrointernazionale di Parigi.(2/3/2013)

Nuovi passi in avanti nel rafforzamento di questoimportante strumento di coordinamento

Unirelelotteperfarlevincere:il progetto di No Austerity

Nicola Porfido

Èla fine dell'anno 2012, il

governo Monti è alla fine ela borghesia italiana (edeuropea) cerca di

organizzare la sua prossimastrategia politica dicontinuazione delle politiche diausterità che l'appena cadutogoverno “tecnico” ha messo inatto con scientifica attenzione.Gli ingenti tagli ai settori pubblicivanno a colpire duramente lamassa lavoratrice e studentescache già soccombe a una crisi dellavoro, poiché non si è maiarrestata l'ondata dilicenziamenti, precarizzazione edelocalizzazione di aziende emacchinari da quando la crisi èiniziata. Così la classe lavoratrice,precaria, studentesca,disoccupata si trova a doverpagare i costi di una crisi del

padronato mondiale, le cuiperdite vengono socializzate afronte di una continuaprivatizzazione dei guadagni.

Nasce il CoordinamentoPugliese Lavoratori in

Lotta

Nel dicembre 2012, il Partito diAlternativa Comunista organizzaun'assemblea pubblica, inoccasione della quale nasce ilCoordinamento PuglieseLavoratori in Lotta, comecontinuazione di un lavoroiniziato nell'autunno dell'annoprecedente, in occasione dellaCampagna per il Reddito Socialein Puglia. L'intento dellacampagna di raccolta firme eraquella di radunare attorno a unostesso fine,le numerose vertenzeche ormai da anni fiorivano sulterritorio pugliese, percombattere l'isolamento al qualele masse lavoratrici estudentesche vanno incontro perdisorganizzazione, malagestione di sindacati concertativie politiche borghesi.Questo lavoro si concretizza conla nascita del suddettoCoordinamento di unione dellerealtà in lotta nel territorio.Presenti in sala le realtà della OmCarrelli di Bari, della Telcom diOstuni, della Telecom di Bari,della Ambrosia di Bisceglie, dellaCiccolella di Molfetta, della Skf diBari, dei disoccupati di Bari, deipensionati, della classestudentesca e di altri singoliaderenti all'iniziativa. Al tavolodella conduzione dell'incontropresiedono tutte le realtà citate, ea tutte viene data parola, con lasoddisfacente presa d'atto chetutte le realtà di lotta, seppur nonconoscendosi tra di loro,

richiamano alla necessità dicomuni parole d'ordine di lotta,senza distinzione tra un caso el'altro. Così si procede araccogliere le parole d'ordine dilotta. Di comune intento sirivendica un'azione unita delleaderenti realtà, sia per quel cheriguarda l'unione delle vertenzesui territori con dimostrazionipratiche che di volta in voltasaranno necessarie, sia riguardoall'estensione di tale piattaformadi lotta alle altre realtà delterritorio.

Il CoordinamentoPugliese Lavoratori in

Lotta aderisce alCoordinamento No

Austerity

Ma il lavoro di unione delle lottenon si arresta alla sola Puglia.Nell'incontro di febbraio, vieneproposta l'adesione alCoordinamento No Austerity,una realtà di lotta che uniscenumerose aziende del Nord Italia(ma non solo), constatando unasostanziale condivisione dellemedesime rivendicazioni. Laproposta di adesione vienevotata unanimemente. Così uncomunicato, presente sullepagine di entrambi icoordinamenti, annuncial'adesione del C.P.L.L. alCoordinamento No Austerity,nell'ottica di unione dellevertenze di lotta, contro ladivisione e la censura dellepolitiche padronali e deisindacati concertativi, perun'estensione di una verapiattaforma di classe all'internodelle lotte contro il padronato!(Bari, 26/02/2013)

Il Coordinamento Pugliese Lavoratori in lotta aderisce a No Austerity

Unalottacomuneperinteressicomuni

L'Assemblea del 15 Dicembre a Cassina de' Pecchi

L'Assemblea del 2 Febbraio a Maranello

L'Assemblea del 2 Febbraio a Maranello

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PROGETTO COMUNISTA Marzo ­ Aprile 2013 7NO AUSTERITY!

Parigi,22­24 marzo 2013:incontro sindacale internazionale

Invito a un incontro sindacaleinternazionale ­ Parigi, 22­24marzo 2013

Questa convocazione èpromossa da organizza­zioni sindacali di Euro­pa, Africa e America. Le

nostre affiliazioni internazionali,o la non affiliazione, sono di di­versa natura: membri dellaConfederazione SindacaleInternazionale; membri della Fe­derazione Sindacale Mondiale;membri di nessuna di queste dueorganizzazioni, partecipanti adiverse reti sindacali internazio­nali,ecc.La convocazione è rivolta a tutte leorganizzazioni sindacali che sI ri­conoscono nel sindacalismocombattivo, nella democraziaoperaia, nell'autorganizzazionedei lavoratori e nella necessitàdella trasformazione sociale.La crisi del sistema capitalisticoproduce conseguenze in tutto ilmondo. Le crisi economiche, fi­nanziarie, ambientali e sociali simescolano e si rafforzano vi­cendevolmente. Questa crisi glo­bale del capitalismo mostral'impasse di uno sviluppo basatosulla distribuzione sempre piùdiseguale della ricchezza pro­dotta, sulla finanza selvaggia, sullibero commercio generalizzatoe sul disprezzo per la tutelaambientale.Per salvare i profitti degli azionistie dei padroni, e per garantire il fu­turo delle banche, le istituzionimondiali (Banco Mondiale,Fondo Monetario Internaziona­le, Organizzazione Mondiale delCommercio, ecc.), i governi e ilpadronato attaccano sempre piùviolentemente i diritti dei lavo­ratori.L'attuale sistema economico epolitico organizza il saccheggiodi molti Paesi, obbliga milioni dipersone ad abbandonare la pro­pria terra per sopravvivere... e poinega loro ogni diritto, col pretestoche sono immigrati.La distruzione dei servizi pubbli­ci, la messa in discussione di tuttiidirittisociali,gliattacchiaidirittisindacali, la violazione delle li­bertà sindacali, lo sviluppo dellaprecarietà e della disoccupazio­ne per ricattare i lavoratori... que­sti sono i metodi che si utilizzano,gli stessi metodi in tutti i Paesi!Per ottenere i loro scopi utilizza­no qualsiasi mezzo: la crimina­lizzazione, i processi,l'incarcerazione, l'interventopoliziesco, le occupazioni milita­ri, ogni sorta di ostacolo ai diritticollettivi e individuali. La repres­sione è una delle armi che usanocontro coloro che resistono, chesi oppongono e costruisconoalternative. La solidarietà, di là daogni frontiera, è una delle nostrerisposte.Il sindacalismo che rivendichia­mo non può stringere accordicon i poteri costituiti per soste­

nere le misureantisociali. Ilsindacalismo hala responsabilitàdi organizzare laresistenza suscala internazio­nale per costruire,nella lotta, la ne­cessaria tra­sformazionesociale della socie­tà.Il nostro sindacali­smo ha comeobiettivo diabbattere il modellodi sviluppo econo­mico, sociale e poli­tico basatosull'egemonia dellafinanza, sul profitto esulla competitività. Alposto di tutto ciò vo­gliamo costruire unsistema basato sui be­ni comuni, sulla redi­stribuzione dellaricchezza tra tutti colo­ro che la creano, sui di­ritti dei lavoratori e suuno sviluppo ecologi­camente sostenibile.Esigiamo l'estensione, lademocratizzazione el'appropriazione socialedei servizi pubblici (educazione,salute, trasporti, energia, acqua,casa, ecc.). La libera circolazionedelle persone e l'eguaglianza deidiritti sociali e politici di tutti,indipendentemente da naziona­lità, etnia o sesso, fanno parte deinostri obiettivi comuni.Il nostro sindacalismo combinala difesa degli interessi imme­diati dei lavoratori con la vo­lontà di un cambiamentosociale profondo. Non si limitaall'ambito delle rivendicazionieconomiche; abbraccia temi co­me il diritto alla casa, l'egua­glianza tra uomini e donne,l'antirazzismo, l'anticoloniali­smo, ecc.Gli interessi che difendiamo sonoquelli della classe operaia (lavo­ratori attivi e pensionati,disoccupati, giovani in formazio­ne). Questi interessi si intreccia­no con quelli delle massepopolari di tutte le regioni delmondo. In questo senso, ci oppo­niamo frontalmente al padro­nato e ai governi e alle istituzioniche sono al suo servizio, eaffermiamo la nostra autonomiarispetto a tutte le organizzazionipolitiche.Esistono organizzazioni sinda­cali internazionali; reti sindacaliterritoriali o professionali. Dauna parte all'altra del mondo, lanostra storia sindacale, lestrutture dei nostri sindacati e lenostre affiliazioni sindacali sonodiverse. Ma condividiamo l'es­senziale: siamo decisi ad avanza­re nel coordinamento delsindacalismo di lotta, su scalainternazionale. L'incontro cheorganizziamo nel marzo 2013 sicolloca in questa dinamica.Organizzando questo incontronon abbiamo la pretesa di di­chiarare la costituzione di unanuova organizzazione interna­zionale! Vogliamo rafforzare,ampliare, rendere più efficiente,una rete del sindacalismocombattivo, democratico, auto­nomo, alternativo, internazio­nalista.Vogliamo condividere le nostreesperienze, fare tesoro della resi­stenza e delle conquiste di tutti,

co­struire l'unità oltre le frontiere,porre in pratica la solidarietàinternazionale dei lavoratori. Difronte alla crisi che colpisce lemasse di tutti i Paesi, e della qualeil capitalismo è responsabile, ènecessario coordinare e unifica­re le nostre lotte. Facciamoappello ai collettivi sindacali aunirsi a noi per costruire questaunità d'azione sindacale, neces­saria per combattere il degradosociale, conquistare nuovi dirittie costruire una società diversa.Questa iniziativa vogliamo co­struirla passo per passo insieme atutte le organizzazioni sindacalidi lotta per le quali il sistemacapitalistico non è il modo diorganizzazione insuperabile perle nostre società, insieme alleorganizzazioni che vogliono co­struire il cambiamento attra­verso le lotte comuni dell'oggi el'elaborazione sulla società chevogliamo per il domani.Per questo incontro internazio­nale del marzo 2013 ci siamo pro­posti degli obiettivi. È insieme

che andiamo a definirlie a porli in pratica:­ rafforzare, nel tempo,azioni di solidarietàsindacale, concentratein uno o due Paesi;­ intervenire in modounitario e coordinatoper appoggiare lotte ecampagne interna­zionali già in corso:appoggio al popolopalestinese, ricono­scimento del sinda­calismo autonomonel Maghreb e nelMedio Oriente,contro l'occupazio­ne militare di Haiti,contro i trattati eu­ropei cheimpongono misu­re di austerità, peril diritto di tutti ipopoli a decideredel loro futuro,ecc.;­ rafforzare eampliare il lavo­ro internazio­nale realizzatonei vari settoriprofessionali(trasporti, edu­

cazione, call center, industria,commercio, salute, ecc.) e sullequestioni generali (diritti delledonne, immigrazione, casa, eco­logia, salute e lavoro, ecc.);­ decidere insieme circa le ri­sorse necessarie per realizzare inostri progetti comuni.Vi invitiamo a dirci se siete inte­ressati a questa iniziativa, se ilprogetto vi pare utile e se la vostraorganizzazione pensa di parteci­pare a questo incontro interna­zionale:[email protected]@solidaires.org

Per le organizzazioni promotrici:Union syndicale Solidaires(Francia), Christian MahieuxCentral Sindical e PopularConlutas (Brasile), Dirceu Tra­vessoOrganisation Démocratique duTravail (Marocco), Ali LoftiConfederacion General del Tra­bajo (Spagna), Jacinto CeaceroCubillo

encontrointernacional.com

Sindacalismointernazionale:costruiamoilfuturo!

FFaallccoonnaarraaProsegue la mobilitazione deilavoratori della “handling epulizie”dell'aeroporto perdenunciare i mancati pagamentidegli ultimi stipendi per le ditteappaltatrici. Qualche giorno fa si ètenuto un altro presidio inaeroporto ma con scarsi risultatidando il là al proseguimento dellamobilitazione.

FFiirreennzzeeIl centrosinistra che governa laRegione Toscana prosegue nellaprecarizzazione dei rapporti dilavoro, che in questo caso riguardaanche i lavoratori dei servizi diportineria in appalto. Infatti,l'appalto al massimo ribasso dellaRegione Toscana ha equiparato illoro contratto a quello dei portieridei condomini con un salarioinferiore a 5 euro all'ora rispetto alprecedente e con un aumentodell'orario di lavoro da 40 a 45 allasettimana. Dai calcoli fatti dailavoratori il salario mediodiventerebbe di 600/700 euro almese con una perdita di circa 400euro al mese.

PPeerruuggiiaaProsegue la lotta dei lavoratoridella Perugina ormai da qualcheanno di proprietà dellamultinazionale Nestlè che stariducendo i volumi lavorativi alcentro di San Sisto di Perugia.Dopo alcuni giorni di sciopero a cuila direzione padronale non harisposto, i lavoratori proseguono lavertenza.

SSiirraaccuussaaProteste dei lavoratori dellaSiracusa Risorse, società in housedella Provincia regionale diSiracusa, che hanno manifestatoin varie occasioni contro il mancatopagamento dello stipendio didicembre e gennaio.

RRoommaaLavoratori della Fonspa, bancaromana di proprietà della MorganStanley, sono in sciopero per ilpiano di ristrutturazione avviato daibanchieri americani che tagliadiversi posti di lavoro distruggendole vite di molti dipendenti. Dopoaver massimizzato i profitti neglianni precedenti, la Morgan Stanleyscarica sui dipendenti della Bancaromana i costi della sua crisi. Ilavoratori, dopo unamanifestazione sotto la sede dellaBanca d'Italia, proseguiranno lamobilitazione fino al ritiro del pianodi tagli al personale.

LL''AAqquuiillaaLavoratori aderenti alla Flaica Cubmanifestano a Roma control'accordo definito “bidone” siglatoda Cisl e Uil e la direzione dello

stabilimento della Coca Cola diOricolanell'aquilano. Ilsindacatodibase contesta ai sindacaticonfederali firmatari e al padronatodella multinazionale di puntare alleesternalizzazioni e alla creazionedi una cooperativa per farrisparmiare all'azienda molti soldisul contributo di ingresso all'Inpsper le mobilità che è di circa seimesi attualmente, diventandodella metà in base all'accordosindacale. La manifestazioneromana con lo slogan “Io non me labevo” ha avuto molte adesioni euna discreta partecipazione. Ilreferendum confermativodell'accordo truffa ha avuto lapartecipazione di meno del 20%della forza lavoro in azienda e, al dilàdellabassissimapartecipazione,si traduce in una ulterioreprecarietà dei rapporti di lavoro inazienda. La Flaica Cub ci tiene asottolineare che “Coca Cola, daquando è arrivata in Abruzzo neglianni Ottanta, si è avvalsa di leggi econtributi pubblici per tirar su i suoistabilimenti,habeneficiatodimolteagevolazioni fiscali, ha sfruttato inmodo massiccio e a titolopressoché gratuito le risorseidriche, persino la famosa AcquaMarcia di Roma”. La mobilitazioneandrà avanti per la stabilizzazionedi tutti i lavoratori e contro laprecarizzazione dei rapportilavorativi.

RRoommaaScontri con la polizia a Roma con1.500 lavoratori dell'Ippica scesi inpiazzacontro lacrisidelsettorecherischia di tradursi in centinaia dilicenziamenti. I lavoratori hannolanciato frutta e verdura contro ilMinistero dell'economia econtinueranno la mobilitazione perevitare che la crisi lasci sul campoposti di lavoro: la lotta va avantinonostante la repressionepoliziesca subita allamanifestazione di qualchesettimana fa.

TToorriinnooI lavoratori del sociale continuanola vertenza contro il sistema degliappalti e delle esternalizzazioniche precarizzano sempre più lecondizioni lavorative di centinaia diaddettidelsettore.Colsupportodelsindacato di base Cub di Torino, ilavoratori sono in lotta da circa unanno contro un padronato“spietato” che fa profitti sulla pelledei lavoratori, d'accordo con ilComune di Torino (dicentrosinistra) che esternalizzaservizi piuttosto che internalizzarlie stabilizzare i lavoratori, il tuttonell'ottica di ridurre i costi deiservizi, di conseguenza riducendoanche le garanzie per i lavoratori.

LLoottttee ee MMoobbiilliittaazziioonniiRubrica a cura di MMiicchheellee RRiizzzzii

"Grillo è un omofobo, populista,sessista, razzista. Vedo in lui lo stessopopulismo di chi alimentò la Marcia suRoma. Attenzione: anche Hitlerall'inizio sembrava un comico." FuffyVendola, 18/2/2013"Il M5S è un movimento giovane,civico, molto impegnato sullequestioni ambientali. Grillo è uninterlocutore necessario perdiscussioni feconde. Abbiamo ildovere di fare una proposta in facciaalla realtà." Fuffy Vendola, 26/2/2013

Panico nelle redazioni di Repubblica,Unità, Il Manifesto, al TG3 e a RadioPopolare. Se il PD dovesse guidareun governo di minoranza, comespiegare alla sinistra, che da ierialterna pianti a crisi di panico, che ilnuovo alleato è proprio il populistareazionario maschilista demagogofascista di cui le hanno ampiamente

parlato in queste ultime settimane? Ilgrande esperto Winston Smith è giàstato contattato per consulenze dibispensiero. (a.)

«Da quello che conosco diCasapound, del fascismo hannoconservato solo la parte folcloristica(se vogliamo dire così), razzista esprangaiola. Che non comprendel'ideologia del fascismo, che primache degenerasse aveva unadimensione nazionale di comunitàattinta a piene mani dal socialismo, unaltissimo senso dello stato e la tuteladella famiglia». Così parlò RobertaLombardi, neoeletta alla Camera deideputati e appena nominata peralzata di mano, dall'assemblea deigrillini riuniti all'Hotel Universo diRoma con Grillo e Casaleggio,capogruppo M5S a Montecitorio. Moltiora si scandalizzano e chiedono lesue dimissioni. Possiamo consolarcipensando che fra tre mesi il problemanon si porrà più: non solo perché èprobabile che per allora le Cameresaranno già sciolte, ma anche perchéi "cittadini a 5 stelle" hanno inprogramma di sostituire i propri

capogruppo appunto ogni tre mesi.Lasciamo dunque che la cittadinaLombardi gestisca i prossimi tre mesicome una primavera di bellezza, e perl'estate potremo avere al suo posto,se così decideranno il Caso e ilCasaleggio, un attivista contro le sciechimiche, o un analista delle trameRettiliane per dominare il pianetaTerra. (k.)

Senza neanche darci il tempo dicircondarli. Ancora prima di potergliusare violenza. Non li abbiamonemmeno aperti come una scatola ditonno, e già ci propongono didiscutere il programma di governo. EVAFFANCULO, morti che parlate!Non potevate perdere un po' meno,così il governo ve lo rifacevate tra voi,e noi ce ne stavamo tranquilli per iprossimi cinque anni a trasformarequest'aula sorda e grigia in un bivaccodi Meetup? (k.)

Sfortunata la lista lombarda "Pateticoa sinistra". E' stata quella che haraccolto più preferenze e meno voti dilista (se si escludono il pcl, il mir, forza

uova, casapound, il movimento per laliberazione della zucchina, il partitodella supposta, la lega dellecasalinghe del nord ovest, i peperoniverdi). Sfortunata non solo perchénon elegge nessuno, pur avendocoalizzato svariati partiti, gruppi esensibilità, ma anche perché perpochissimo non raggiunge la sogliadell'1%, utile per il rimborso elettorale.(a.)

Le prime dichiarazioni di dirigenti delPRC sono state favorevoli a unafutura riproposizione dell'esperienzadi Rivoluzione Civile. Del restol'esperienza di mettere insieme 4partiti e prendere meno di quantoavrebbe preso ciascunosingolarmente era già stata fatta conl'arcobaleno. La frontiera è mettereinsieme 6 partiti e prendere 1/6 diquello che ciascuno prenderebbe dasolo. Alle regionali del Molise il PdCI siè presentato da solo e ha preso il3,28%, più o meno come, sempre inMolise, Rivoluzione civile alla camera(3,39%) e più di quanto abbiano presoal senato (3,08%). (a.)

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8 Marzo ­ Aprile 2013 PROGETTO COMUNISTAIL PARTITO

IlterzoCongressodelPartitodiAlternativaComunista«Se saremo battuti,sarà solo dopo aver lottato.Se vinceremo,costruiremo insieme un mondo nuovo!»Nicola De Prisco

Con queste parole, cheracchiudono il sensodella nostra militanza, siè concluso l'ultimo

intervento del terzo Congresso, te­nutosi il 26 e 27 gennaio a Rimini,del Partito di Alternativa Comuni­sta. L'apertura invece è avvenutacon un intervento di PatriziaCammarata, la quale, a nome delComitato centrale uscente, ha ri­cordato i sei anni di lavoro mili­tantecheormaisonoallespalledelpartito e i passi avanti che sonostati fatti, nella consapevolezzadei propri limiti: senza sbandiera­re grandi numeri (come fannoaltri), l'organizzazione continua arafforzarsi. In questo intervento èstato ricordato anche PietroTresso(detto Blasco), tra i fondatori delPcdI nel 1921 e della QuartaInternazionale nel 1938, di cui ri­corre quest'anno il settantesimoanniversario dell'assassinio permano stalinista: compagno inte­gro e fedele alla causa deglisfruttati, Blasco non si piegò mai alcompromesso, combattette con lastessa determinazione sia il fasci­smo, sia lo stalinismo, che in Italiaaveva Togliatti come massimorappresentante. E per questo chevenne ammazzato.Tra gli applausidella platea, Tresso viene elettoalla presidenza onoraria del terzoCongresso.

L'internazionalismo deifatti e l'intervento nei

sindacati

Il relatore del documento politico èstato il compagno Adriano Lotito,in quei giorni nostro candidatopremier. Da ricordare soprattutto ilpassaggio dove viene sottolineatoche i sacrifici che richiede la mili­tanza sono dovuti alla guerra che ipadroni da sempre scatenanocontro gli sfruttati, quella stessaguerra, la lotta di classe, che i mili­tanti rivoluzionari hanno il doveredi combattere al fianco deglioppressi. Numerosi gli interventidei compagni più giovani. Moltoapplauditi gli interventi di operaiimpegnati in prima fila nelle lottesociali, sindacali e politiche di que­sti mesi. Il Congresso è stato anchel'occasione per accogliere icompagni iscritti durante lacampagna congressuale. In diversicasi si tratta di compagni usciti siada organizzazioni riformiste checentriste (molto applauditi icompagni siciliani usciti recente­mente dal Pcl siciliano in rotturacon la politica opportunista di quelpartito).Innumerevoli i saluti portati dallealtre sezioni della Lit: sono stati lettidurante i lavori i messaggi di salutodella Lct del Belgio, del Partito Ope­raio Internazionalista di Russia, delMas del Portogallo, del Pst di Co­lombia, del Pt del Paraguay, di Iz­quierda Comunista del Cile, delPstu brasiliano, del Pst del Perù, delSegretariato Internazionale dellaLit. Molto applauditi anche i salutidegli operai della General Motorsdel Brasile. La presenzadell'Internazionale nel Congressoè stata inoltre suggellata dal contri­buto al dibattito apportato da duecompagni: Juan Ignacio diCorriente Roja, sezione spagnoladella Lit, e Joao Ricardo Ayala delcoordinamento europeo, sempredella Lit. Il primo ha parlato della

rapida crescita delle lotte nel suoPaese e del ruolo che in esse stasvolgendo la nostra sezione spa­gnola. Il secondo, J.R., compagnobrasiliano di lungo corso, che hainiziato il suo percorso di militanzadurante la dittatura militare, hadato la misura del peso dell'orga­nizzazione internazionale nellacostruzione delle sezioni nazionali,sottolineando l'importanza di unostrumento di fronte unico, come adesempio No Austerity, nella lotta diresistenza del proletariato in unafase di feroce attacco padronale.L'ultima relazione della primagiornata è stata anche quella allaquale è seguito il dibattito più viva­ce: si tratta i quella tenuta da Fabia­na Stefanoni riguardo ildocumento sindacale. Il dibattito siè incentrato soprattutto sugliaspetti tattici della questione ed haevidenziato i notevoli passi avantifatti in questi anni dal Pdac nel co­struire un radicamento operaio eun intervento classista nei sinda­cati. È stata ribadita la volontà dicontinuare a sostenere le piùavanzate realtà di lotta che in questimesi si stanno iniziando connette­re intorno a strumenti di coordina­mento democratico: è il caso del NoAusterity e del Comitato puglieseLavoratori in lotta.

“Non durerete un anno”:tra il fallimento del

riformismo e l'unicasoluzione

Il secondo giorno dei lavoricongressuali è stato dedicato allariesamina dei documenti e dei re­lativi emendamenti perl'aggiornamento degli stessi in re­lazione ai più recenti sviluppi.Approvati i testi in discussione,l'assemblea ha eletto i nuovi orga­nismi dirigenti votando inoltrealcuni ordini del giorno: uno in ri­cordo della lotta del Pinherinho,uno di solidarietà con gli operaidella General Motors, un altro perinvitare alla partecipazione allamanifestazione nazionale in ri­cordo del compagno Dax (vittimadel fascismo) e infine uno di soli­darietà al popolo del Mali, vittimadell'aggressione dell'imperiali­smo francese. A concludere ilCongresso, in nome del ComitatoCentrale uscente, l'intervento diFrancesco Ricci, che ha riassunto eripreso i termini del dibattito pre­cedente. Il compagno ha fattoun'analisi accurata delle ragioni difondo della disgregazione di Ri­fondazione Comunista e del suoprogetto riformista, sottolineando

come l'esclusione dal parlamentosia, per la burocrazia di quel parti­to, intollerabile: ingannandocentinaia di compagni onesti cheancora militano in quell'orga­nizzazione, il gruppo dirigenteparassitario ha tentato la sua ulti­ma carta per provare a ritrovare ilsussidio economico dello Statoborghese: l'operazione Ingoia. Nel2006 alcuni dirigenti del Prc ci di­cevano che uscendo da Rifonda­zione comunista non saremmodurati un anno. Oggi loro sonosull'orlo dell'implosione.Guardando alle forze come noinate da scissioni del Prc, Ricci hapoi ricordato come nel 2008,quando il Pdac si presentò alle ele­zioni, i dirigenti di Sinistra Critica

sostenevano con i giornalisti che ilnostro partito non rappresentavanulla. Oggi, quello stesso partito sitrova costretto ad ammettere ilfallimento di quel progetto politi­co centrista di “riunire i rivoluzio­nari con i riformisti onesti”.Fallimento peraltro ammessosulle colonne della rivista di Sc dauno dei suoi stessi dirigenti storici,nonché ex parlamentare, Salvato­re Cannavò, ora dedicatosi al lavo­ro di giornalista per il Fattoquotidiano.Ricci ha ricordato anche quandonel 2009, un paio di elementi delgruppo dirigente del nostro parti­to, partendo da un'analisi pessi­mistica degli effetti della crisi, eprevedendo un generale rallenta­mento delle lotte, ruppero con ilPdac per entrare nel Pcl, dove (tral'altro) nessuno imponeva loro difare una battaglia classista nelsindacato (e dove dunqueaccordano il loro pessimismosulla lotta di classe con un discretoottimismo sui loro personali inca­richi negli apparati burocratici).Dopo poche settimane da quellaacuta previsione... la lotta di classesi riaccese in Europa, per esplode­re nelle rivoluzioni del Norddell'Africa e del Medio Oriente,

confermando in questo modol'esattezza delle previsioni da noiformulate. Previsioni corrette nonperché il Pdac e la Lit disponganodi una sfera di cristallo ma soloperché si sforzano di applicare allarealtàodiernaglistrumentivividelmarxismo.

La nostra arma segreta

L'ultima parte del discorsoconclusivo è stata infine dedicataall'arma segreta che ci ha permes­so, pur commettendo errori, dinon cadere nel settarismo onell'opportunismo che caratte­rizzano tutte le organizzazionichiuse nel loro orizzonte pro­vinciale: la Lega internazionale deilavoratori, organizzazione

internazionale di cui Alternativacomunista è sezione italiana.Un'organizzazione internaziona­le realmente viva in tutto il mondo(oggi è di fatto, come riconosconoanche gli avversari, la principaleorganizzazione che si richiama altrotskismo), in cui c'è un dibattitovero e una critica costante tra icompagni delle diverse sezioniper arrivare, superando le pres­sioni nazionali, a definire unastrategia e una tattica realmenteinternazionaliste. È questo il trattodistintivo del Pdac rispetto a ognialtra organizzazione del panora­ma politico a sinistra. La relazionefinale si è chiusa con la bellissimacitazione di Trotsky: «Se saremobattuti, sarà solo dopo aver lottato.Se vinceremo, costruiremo insiemeun mondo nuovo!». Il Congresso siè concluso intonando l'Interna­zionale, tra pugni chiusi e lacommozione visibile di diversidelegati. Un altro piccolo maimportante passo avanti verso lacostruzione del partito di tipobolscevico che la storia ci impone.(2/3/2013)

Privatizzazioni:unattaccoancheaidirittidelledonne

Laura Sguazzabia

Tagli di bilancio e privatizza­zioni o “esternalizzazioni” deiservizi pubblici sono ormai trale parole d'ordine acquisitenei piani d'austerità dei go­verni europei: in Italia ri­guardano il settore dellaScuola, della Sanità, delpubblico impiego e tutti iservizi connessi agli entipubblici. Tanto più queste mi­sure s'impongono, tanto piùpesantemente regredisconole condizioni sociali delle fa­sce più deboli, soprattuttodelle donne. Se, infatti, la crisieconomica globale nel primoperiodo ha colpito settori diattività prevalentemente “ma­schili” (industria, trasporti,automobile, ecc.) oggicoinvolge quei settori diretta­mente o indirettamente legatia una maggiore presenzafemminile: istruzione, sanità,cura di bambini e anziani. Lepolitiche di risparmio deglienti pubblici colpiscono piùdirettamente le donne poichéesse costituiscono in Italia,come nel resto d'Europa, i 2/3degli organici. Salari bloccati oridotti, contratti e condizionidi lavoro precari o a tempoparziale, perdita del posto dilavoro per il blocco delle as­sunzioni, allungamentodell'età pensionabile, sonocondizioni che rendono ledonne più vulnerabili nelmercato del lavoro e piùoppresse dalla crisi.

L'attacco non è solonelle condizioni di

lavoro

Vi sono, tuttavia, conseguenzeindirette sui diritti delle donnee sul loro tasso di occupazioneche derivano dalle scelte di ri­durre e/o privatizzare i servizipubblici. Non dimentichia­mo, infatti, che le donne sonole maggiori utenti dei servizipubblici: di fatto, servizicollettivi di qualità, in numerosufficiente e accessibili fi­nanziariamente, sono leveindispensabili per la loroemancipazione economica esociale. Asili nido e scuoled'infanzia a tempo pieno,ospedali che funzionino e nonrichiedano alle famiglie diconcorrere materialmenteall'assistenza, sono condizio­ni indispensabili per liberarele donne dal carico di lavorodomestico che le opprime eche devono conciliare col la­voro fuori casa: ridurre, toglie­re o incaricare al privatoqueste funzioni significa farricadere sulle famiglie, equindi sulle donne, la re­sponsabilità di rispondere acerti bisogni, di supportarne icosti economici ed orga­nizzativi. Le carenze nei servi­zi sono, quindi, compensateda ogni donna indivi­dualmente, secondo un'ideache nella Lombardia di Formi­goni ha trovato una sua teo­rizzazione nel principio di“sussidiarietà”: in questo casoè stata addirittura ratificata laclausura delle donne nella sfe­ra privata della cura familiaree del lavoro domestico,allontanandole spesso defini­tivamente dal mercato del la­voro, impedendone in questomodo l'autonomia economi­ca e la piena partecipazionealla vita politica e sindacale.Infine, ma non ultimo perimportanza, l'aspetto checoinvolge una fascia ancorapiù debole di donne, le immi­grate, molte volte senza docu­menti, che si sostituiscono nellavoro di cura alle donne ita­

liane: spesso queste donne la­vorano “in nero” e senzaaccesso alla protezione e aivantaggi sociali e professio­nali cui avrebbero diritto, conla conseguenza di esserefortemente esposte a condi­zioni che rasentano il lavoroforzato, nonché spesso vitti­me di violenze sessiste e/orazziste. Sono state attuatemanovre che hanno cercato dimascherare, fingendo dicombatterlo, quest'ennesimotentativo di relegare le donnenell'ambito privato e, alcontempo, sono servite pergiustificare altre regalie alleimprese: de­fiscalizzazionealle imprese che assumonodonne (solo fino ad una certaetà), voucher per baby­sitter/badanti/strutture pri­vate (in base al reddito e nonper tutto l'importo), congedidi paternità (retribuiti un sologiorno), ecc.

Lavoratrici e lavoratoriuniti contro l'attacco

alle donne

Come compagne e compagnidel Partito di alternativa co­munista riteniamo indi­spensabile, oggi più che mai,continuare la battaglia per ilmantenimento e il potenzia­mento dei servizi pubblici asupporto delle donne,contrastare le politiche di pri­vatizzazione ed esternalizza­zione dei servizi erivendicarne il controllo daparte delle donne e degli ope­ratori; per un servizio sanita­rio nazionale che non siaostaggio degli obiettori di co­scienza o degli amministrato­ri, ma accessibile e diffuso sututto il territorio, controllatoda lavoratori e utenti; perun'istruzione di massa epubblica senza discrimina­zioni di classe e secondo le ve­re inclinazioni di ognuna. Conla stessa forza dobbiamo edu­carci, e educare, ad un nuovomodello di famiglia, lontanoda quell'isolato e privatisticoborghese, nel quale il capitalescarica le sue inefficienze,dobbiamo opporci alle politi­che familistiche che, conincentivi finanziari di pochieuro, mirano a sottomettere ledonne, convincerle che il lororuolo è in primo luogo quellodi casalinga e madre,espellerle dal mercato del la­voro, relegandole alla funzio­ne di riproduzione della forzalavoro. Dobbiamo, infine,opporci fermamente ad ognilogica di flessibilità e preca­rizzazione lavorativa, lottareper salari uguali per ugualimansioni, per il controllo daparte delle lavoratrici suitempi e sugli orari di lavoro,per un ambiente di lavoro “arischio zero”. Questa battagliava condotta contro entrambigli schieramenti borghesi che,entrambi, hanno sottoscrittole politiche di austerità. Unabattaglia che va condotta dalavoratori e lavoratrici insie­me perché non si tratta solo diun attacco ai diritti delledonne: è un “cavallo di Troia”che consente un affondo piùviolento nei diritti faticosa­mente conquistati in anni dilotte di tutta la classe lavo­ratrice. Nella precarizzazione,nella flessibilità, nell'accetta­zione di certe condizioni di vi­ta e di lavoro, c'è la volontà dimettere in competizione “uo­mini e donne” per arrivare allatotale erosione dei diritti la­vorativi in funzione della cre­scita del profitto capitalistico.(2/3/2013)

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GGIIOOVVAANNII ddii AALLTTEERRNNAATTIIVVAA CCOOMMUUNNIISSTTAAFoglio dei giovani del Partito di Alternativa Comunista sezione italiana della Lit-Quarta Internazionale

Davide Primucci*

Premessa: le urne sonochiuse, i vincitori sonostati decretati. Tuttaviamentre scriviamo

l'articolo non sappiamo ancoracome sarà formato il nuovo go­verno o se si tornerà a votare.L'unica certezza che abbiamo èche non muteranno le politichenei confronti dell'istruzione;proseguiranno tagli e riformeverso quel processo dismantellamento dell'istruzionepubblica che da anni coinvolgetutti i governi che si sono susse­guiti. Con un diritto allo studioormai ridotto all'osso, propo­niamo una riflessione, in parteprendendo spunto da un comu­nicato del Collettivo Universita­rio Autonomo di Pisa: crediamosi debba andare oltre la mera di­fesa di un diritto ormai non piùcontemplato nemmeno dai go­verni.

Decreto Profumo: taglial fondo nazionale per le

borse di studio

Un nuovo taglio per il diritto allostudio universitario sta perabbattersi sui giovani italiani, esi tratta di un taglio epocale: adessere decurtato sarà il 92% deigià esigui fondi attuali. Nello“Stato di Previsione del Ministe­ro dell'Istruzione, dell'Universi­tà e della Ricerca” e inparticolare nel prospetto deglistanziamenti è possibile leggereun taglio al Fondo Integrativonazionale delle borse di studiopari al 92% nel 2015 rispetto adoggi. Leggendo le 310 paginepresentate dal governo Monti edal suo ministro Francesco Pro­fumo, vediamo come questi ta­gli si andrebbero a sommare aquelli già effettuati negli scorsi

anni: siamo passati da una cifradi 246 milioni stanziati nel 2009per la copertura delle borse distudio ad una di 103 per que­st'anno. Si passerebbe ora a 12,5milioni di euro per il 2014 ealtrettanti per il 2015. Questanotizia arriva proprio mentreprosegue la discussione sul co­siddetto “decreto Profumo” chemira a riscrivere le regole perl'accesso alle borse di studio e aiservizi per gli studenti “bisogno­si e meritevoli”. La discussionesulla bozza di decreto Profumosulle borse di studio è statarinviata prima dal 7 al 21 febbra­io, poi dal 21 al 28 febbraio, dopole elezioni. La conferenza Stato­regioni ha deciso del rinvio,apportando alcune modifiche altesto ministeriale. In alcunecittà d'Italia ci sono state diverseiniziative di contestazione aquesto decreto, messe in campodai gruppi del sindacalismo stu­dentesco. Iniziative tuttaviasimboliche e di testimonianzache non hanno puntato sullapartecipazione in prima perso­na dei soggetti più direttamentesotto attacco – gli attuali benefi­ciari delle borse di studio – nécercato di ricomporre attornoalla questione “diritto allo stu­dio” le differenti forme della pre­carietà universitaria estudentesca. Prevedibilmentequeste iniziative – prive diqualsiasi rapporto di forza – sisono tradotte in contentini co­me lo slittamento della discus­sione dal 21 febbraio al 28, senzaassolutamente incidere nellasostanza. C'è stata una rinunciaad assumere un piano politicoampio della manovra voluta daProfumo, rinchiudendosi neitatticismi votati a salvare ilsalvabile: come se, ancora unavolta, la posta in gioco fosse soloil cosiddetto “diritto allo studio”.

Merito ed esclusione

Il decreto, nelle sue lineeportanti, si compone di dueindirizzi fondamentali ai quali,simmetricamente, corri­spondono due retoriche masti­cate ormai da tempo:innalzamento dei requisitiformativi da conseguire intermini di Cfu per il manteni­mento delle borse di studio e ladiminuzione delle soglie diaccesso in termini di Isee ai sus­sidi per il diritto allo studio. Ilprimo aspetto articola una reto­rica del merito – pretendendo diincentivarlo – il secondo aspettoarticola una retorica dellascarsità di risorse, propu­gnando una loro razionalizza­zione. La questionedell'inasprimento dei requisitidi merito per il mantenimentodelle borse di studio investe lasoggettività in formazione sulversante dei ritmi di studio e diproduzione intellettuale: sitratta di una rimodulazione deidispositivi di disciplinamentoin funzione di una maggioreproduttività del sapere. Seattualmente al primo anno dilaurea triennale i crediti richie­sti per il mantenimento dellaborsa sono 20 con il decreto Pro­fumo questi salgono a 35 (+15).

15 crediti in più richiesti ancheper il secondo e ben 27 in più alterzo anno. Discorso analogoper i corsi di laurea a ciclo unicoe per le lauree magistrali. Vaverso la soppressione anche lapossibilità di disporre dei co­siddetti crediti bonus, misurache introduceva dei margini diflessibilità nei meccanismi diaccreditamento, rappre­sentando, nella stragrandemaggioranza dei casi, un vero eproprio salvagente. Ulteriorenovità del decreto riguardal'aggancio della concessionedelle quote monetarie di borsa aun sistema di rateizzazione rigi­damente vincolato a parametrimeritocratici. Per le laureetriennali una prima rata dellaborsa, pari al 20% del totale, vie­ne erogata entro il 10 novembre;la seconda rata, pari al 30% deltotale, è corrisposta alraggiungimento di 10 creditientro il 15 marzo; la terza ratadella borsa, in misura pari al50% del totale, e la seconda rataeventualmente non erogata,viene erogata al raggiungi­mento di 35 crediti entro il 10agosto. Una vera e propria corsaad ostacoli tra accreditamento eaccesso al reddito. Per ciò checoncerne invece il restringi­

mento a monte dell'accesso allegraduatorie per i benefici del di­ritto allo studio, la rimodulazio­ne verso il basso dei limiti Iseecostituisce un'operazionecomplementare rispetto al re­cente tentativo di riformulare ilcalcolo degli indici Isee facendoschizzare l'indicatore – ovverorelegando fuori dalla possibilitàdi accedere ai servizi – i proprie­tari di casa residenti nella stessa.L'obbiettivo resta il medesimo:ridurre la platea dei beneficiari oescludendo dai servizi o produ­cendo nuovi poveri. Il restringi­mento dell'accesso è spacciatocome “tesoretto” per l'incre­mento delle borse assegnate aimeritevoli nell'ottica della pro­mozione del merito e di un'equaallocazione delle risorse per losviluppo della competitività: da“poco a tanti”, ad “abbastanza apochi”. Altro vincolo all'accessoè rappresentato dall'istituzione,per la prima volta, di limiti di etàper poter ottenere la borsa distudio: 25 anni di età per l'iscri­zione al primo anno della laureatriennale e magistrale a ciclounico; 32 anni di età per l'iscri­zione al primo anno della laureamagistrale. Va bene il principiodel long life learning ma solo seinteso come processo senza viad'uscita e come strumento di re­golazione della precarietà e disua messa a valore. Impossibilerientrare dalla porta di servizio,fare della formazione uno stru­mento flessibile di autovalo­rizzazione, capace diintersecare percorsi di vita noninquadrati nel macchinismodella fabbrica del sapere. Au­mentano anche le distanze dallasede universitaria oltre le quali sirientra nella categoria di fuorisede: ovvero diminuiranno i ri­chiedenti alloggio per il dirittoallo studio.

Un opposizione che vadaoltre al diritto allo studioRiteniamo che, se questo si veri­ficasse, l'approvazione dei cri­teri previsti dal decreto,congiuntamente ad un ulteriorecalo degli stanziamenti, de­terminerebbe una situazioneirreversibile per il diritto allostudio in Italia. Ma è necessariospostare l'accento: non più di­fendere l'università o il dirittoallo studio come istituzioni ga­ranti di diritti universali; quantoimpedire l'ennesima espropria­zione, difenderci dalla svaluta­zione di ciascuno di noi comesoggetti che hanno una dignità eche “vogliono decidere”. Resi­stere individuando le contro­

parti, iniziando a separare ilnostro punto di vista da coloroche producono crisi, scarsità esvalorizzazione per conservaree incrementare la ricchezza ailivelli alti, la loro ricchezza. Ilnesso tra misure di austerity – apartire dal welfare studentesco –e ricapitalizzazione della fi­nanza con copertura pubblicasta nella rapina della nostraricchezza sociale a vantaggio delsistema del debito. L'opposi­zione al decreto Profumo ciimpone di verificare in cheforme si diano o si possano darele resistenze ai ritmi di studio ealla produttività laddove non c'èuna contropartita, di emanci­pazione dal sacrificio. L'assenzadi questa prospettiva apre aquesta domanda: come, per co­sa e per chi utilizziamo quellecapacità acquisite a duroprezzo? Come le rivalutiamo? Achi “venderemo” i nostri saperiin futuro? Domande che leavanguardie delle lotte do­vrebbero porsi per aprire un di­battito, non certo semplice, suquesto tema. Quello chedobbiamo fare oggi è presentareagli studenti un programma dirottura con questo sistema, unprogramma che vada oltre ilsalvataggio del salvabile, oltre ilripristino dei fondi alle borse distudio. Un programma chesappia scavalcare il semplicediritto allo studio per collegarsiad un più ampio programma dilotta che coinvolga tutti isoggetti che stanno subendo lacrisi del sistema capitalista. Ènecessario accrescere la co­scienza nei soggetti in gioco, co­struendo delle mobilitazioniche pongano come obbiettivo ilsuperamento dell'attuale siste­ma sociale ed economico. Biso­gna riorganizzarsi conmobilitazioni ad oltranza per ri­prenderci tutto quello che cistannotogliendoeperdirebastaalla cultura funzionale al capi­tale,allasottomissionedituttelenostre vite alle logiche di pro­fitto! Un sistema basato anchesullo sfruttamento dei saperi,che oggi sono svenduti per mi­seria a chi ne trae profitto. Oggipiù che mai va fatto capire allemasse studentesche che questosistema non può essere ri­formato, va abbattuto. Lottiamoper cambiare questo stato di co­se perché l´unica via d´uscita èabbattere questo sistema!*Giovani di AlternativaComunista Vicenza

GGiioovvaanniiddiiAAlltteerrnnaattiivvaaCCoommuunniissttaa..wwoorrddpprreessss..ccoomm wwwwww..aalltteerrnnaattiivvaaccoommuunniissttaa..oorrgg

Qualefuturoperildirittoallostudio?Un'analisi e alcune riflessioni

L'ultimaoffensivadiProfumo:92%ditaglialleborsedistudio

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II GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA

Adriano Lotito*

Eravamo con l'Onda, ilmovimento che si opposenel 2008 alla riformaGelmini­Tremonti. Poi

siamo stati al fianco degli studenticontro il ministro Profumo, i taglialla scuola pubblica, il finanzia­mento agli enti privati. Poi lagrande battaglia contro il progettodi legge Aprea, che giace in cas­setto pronto ad essere di nuovosbandierato dal prossimo go­verno, di qualunque colore essosia. E poi di nuovo contro l'ultimodecreto Profumo, la denuncia deitagli alle borse di studio, la lottacontro i criteri meritocratici suiquali abbiamo scritto a lungo. Sia­mo però ad un punto critico.L'offensiva contro l'istruzionepubblica e i “saperi” non si ferme­rà; anzi, si intensificherà, siestenderà, colpirà ancora larghemasse di studenti e studentesse.Per questo dobbiamo analizzare afondo il tema della “liberazionedei saperi” e ridefinire una strate­gia efficace per rispondere a que­sto attacco prolungato.Continuare a evocare il diritto allostudio, senza definire precisa­mente cosa esso sia, significaperdere tempo e seminare confu­sione.

Il sapere è un benecomune?

Innanzitutto, quando si parla di li­berare i saperi, a quali contenuti cisi riferisce? La retorica dei beni co­muni, che ha infettato considere­volmente anche il dibattitostudentesco, ha portato ad unadefinizione quanto mai ondivagadel sapere stesso. Ci riferiamo aquella concezione secondo laquale i saperi siano beni comunida tutelare e da difendere dallegrinfie del mercato e delle aziende.

L'ambiguità risiede nell'assenzadi una caratterizzazione di classedei “saperi”. I saperi trasmessinelle scuole e nelle università, nonsono beni comuni, ma contenuti(e forme) che si riferiscono ad unadeterminata classe sociale, a de­terminati interessi economici, cheintroiettano nelle coscienze deglistudenti gli schemi della culturadominante (il pensiero unico). Li­berare i saperi partendo dal pre­supposto che essi siano benicomuni significa eludere il proble­ma fondamentale: ovvero la natu­ra di classe del sapere che ci vienetrasmesso e inculcato. Questo si­gnifica che nel nostro programmadi rivendicazioni e nel conflittoche si porta avanti, bisognaintrecciare la lotta contro la pre­senza dei privati nelle scuole enelle università, con la lotta per laridefinizione del sapere stesso.Durante le occupazioni bisognariflettere su quello che studiamo,sulla meta verso la quale è diretto ilnostro studio. Meta che in questosistema non può che essere la logi­ca di produzione capitalista. Biso­gna riallacciarsi ai problemiconcreti, alla società e alla storiareale, partendo da una ridefinizio­ne delle tematiche di studio e deicontenuti del sapere: gli esperi­menti di contro­lezioni dell'Uni­versità di Trento durante ilSessantotto possono essere un ri­ferimento. Bisogna riprendere inmano i contenuti, e dare ad essiuna connotazione di classecontrapposta. Non si tratta assolu­tamente di una mera operazioneintellettuale, ma di un processo dielaborazione collettiva dal bassoche deve aver luogo nella mobili­tazione studentesca, durante leoccupazioni e le lotte portateavanti contro l'attacco all'istru­zione pubblica. A questo scopoabbiamo avanzato, unica orga­

nizzazione politica ad averlo fattodurante la campagna elettorale, larivendicazione delle commissioniparitetiche docenti­studenti­personale Ata per l'elaborazionedel piano di offerta formativa. Unarivendicazione centrale per lapartecipazione creativa degli stu­denti alla vita e alla ridefinizionedella scuole e del sapere stesso.Una partecipazione che per poteressere tale deve anche essere libe­rata dagli ostacoli repressivi che nefrenano l'impeto e passivizzano lemasse studentesche: ci riferiamoovviamente al voto di condotta, altetto massimo delle cinquanta as­senze, all'uso indiscriminato epolitico delle sospensioni e delleammonizioni. Nel nostro pro­gramma rivendichiamo l'imme­diata cancellazione di tutte questemisure repressive, il cui significatonon è tecnico, come ci vorrebberofar credere, ma profondamentepolitico e sociale.

L'unità con le classilavoratrici

Tutto questo è sufficiente perparlare seriamente di liberazionedel sapere? A nostro avviso no. Losarebbe se si intendesse il saperecome bene comune, evitandodunque di dare ad esso unaconnotazione di classe. Ma libera­re i saperi senza opporsi chiara­mente al contenuto di classe delsapere stesso è una finzione idea­listica. Infatti quanto detto nel pri­mo paragrafo attiene allatrasmissione del sapere, non aisuoi contenuti. Nel momento incui si lotta per la partecipazionestudentesca alla vita e alla gestio­ne della scuola, si introduce unadialettica dal basso che contrastacon la trasmissione nozionistica everticale del sapere. Allo stessomodo, contrastando l'entrata deiprivati nelle scuole e la creazione

di consigli di amministrazioneaziendali, ci si oppone allasubordinazione del processoformativo alle logiche di mercato.Eppure nemmeno con questo sipuò realizzare, o solo approssi­marsi, una liberazione dei saperi.La scuola, con o senza privati chela dirigano direttamente, resta unadelle “fortezze” principali delpensiero dominante; la massastudentesca, in sé amorfa e tra­sversale, è anch'essa, per la stra­grande maggioranza dei singoliappartenenti, il contenitore moltospesso acritico del pensiero e dellepratiche dominanti. Negare que­sta evidenza e appellarsi ad unopseudo­orgoglio studentesco èingenuo. Aprire alla partecipazio­ne dal basso non significa perciòemancipare il sapere dalle logichedel capitale (e tutti i benecomuni­sti dell'istruzione se ne stiano conilcuoreinpace). Inquestosenso, larivendicazione “studenti­operaiuniti nella lotta” non solo non è ilrefrain nostalgico di un dubbiopost­sessantottismo, ma non ènemmeno solo un'esigenza stru­mentale legata alla contingenza.L'apertura e l'unità con la classelavoratrice rappresenta l'architra­ve del nostro progetto di cambia­mento. Solamente legandosi allalotta operaia, alle sue rivendica­zioni e interessi oggettivi, alla lottaper i suoi diritti fondamentali (eprimo fra tutti, il diritto al potere) èpossibile mettere in campo unalucida opposizione alle logiche dimercato che dominano il mondodella formazione e la produzionedi sapere. Non si può lottare perl'emancipazione del sapere dalcapitale senza lottare perl'emancipazione del lavoro sala­riato. Ma per dialettizzare i due bi­nari del conflitto (il materiale conl'immateriale) bisogna utilizzarel'ottica di classe. Il sapere di classeche ci viene ogni giorno trasmesso(fatto di produttività valutata nu­mericamente, competitività, tra­smissione unidirezionale dinozioni spendibili sul mercato dellavoro) può essere combattuto so­

lamente dal punto di vista diun'altra classe, dei suoi diritti e deisuoi destini. Il discorso studentistase pure ammette l'esistenza di unsapere di classe, vede la possibilitàdi un suo superamento sul terrenoegemonico­culturale, interno almondo stesso della scuola e con lostudente (in senso astratto) comefigura motrice di questo cambia­mento. Ma un autentico discorsorivoluzionario pone al contrariol'accento sulla lotta di classe, sulconflitto operaio, come cardine diogni possibile cambiamentostrutturale. Solamente nel quadro

della lotta delle classi lavoratriciper il potere, è possibile inscriverele giuste rivendicazioni di parteci­pazione degli studenti alla gestio­ne della scuola e alla creazione, etrasmissione, del sapere. Senza ilpotere ai lavoratori, il sapere saràappannaggio sempre e solo delleclassi attualmente dominanti, cono senza formali possibilità deci­sionali da parte degli studenti.(2/3/2013)*Coordinatore nazionaleGiovani di AlternativaComunista

Cosasignificaliberazionedeisaperi?Alcune riflessioni sugli orizzonti del movimento studentesco

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GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA III

Unoschiaffoallalibertà:losgomberodelTeatroPinellidiMessinaLa parola a chi lotta: intervista alla compagnaValentina Robertoa cura diFrancesco Miccichè*

La Libertà è partecipa­zione! Recita cosi unacelebra canzone diGiorgio Gaber, ed è

quello che pensano realmentei militanti del Teatro Pinelli diMessina. Peccato che lo Statoborghese non sia dello stessoavviso. Infatti, per lo stato pa­drone la partecipazione attivae cosciente delle masse popo­lari è un serio rischio che vaevitato in qualsiasi modo,perché ne va della sua so­pravvivenza. Ogni uomo inquesto mondo cerca la libertàin ogni sua forma, ed è questoche i compagni messinesihanno cercato di fare in questimesi di occupazione: hannolottato per rendere libero nonsolo un luogo che per anni èstato abbandonato all'incuriadel tempo ma per liberare pri­ma di ogni cosa un popolo cheper tanti anni è stato vittimadel sistema, che ha soffocatola coscienza, e le sue grandi

capacità. Ma in questo artico­lo vogliamo dare voce a chi halottato in prima persona inquesta grande battaglia di li­bertà.

Ciao Valentina, raccontaciche cosa era veramente ilTeatro Pinelli.Il Pinelli è stato un luogo dovesi produceva cultura a costozero, aperto a tutti, esistevauno sportello aperto dove ognicittadino poteva fare la suaproposta e farsi in primapersona promotore d'iniziati­ve. Abbiamo costituito un ta­volo tecnico, fatto di cittadinied esperti per rimettere a po­sto la struttura che abbiamotrovato in pessime condizioni,perché chiusa da circavent'anni, e veniva aperto alpubblico solo quindici giornil'anno e per tutto il restodell'anno veniva dichiaratoinagibile. Il Teatro Pinelli èstato sostenuto e ha visto lapartecipazione di buona partedella città, e anche diimportanti artisti di fama na­

zionale. Il Pinelli era vicino esolidale alle vertenze messi­nesi, ai lavoratori in protesta,era presente nei blocchi dellaSicilia Limoni e vicino ai lavo­ratori della Triscele e di tantis­sime altre vertenze. Dove c'erauna lotta il Pinelli era pre­sente.

Ma come nasce l'idea di occu­pare fisicamente quel teatroche da anni era chiuso?L'idea è nata durante unadelle tante assemblee che fa­cevamo per organizzarcicontro una manifestazioneindetta da Forza nuova che sisarebbe svolta a Messina il 15dicembre; nella stessa as­semblea abbiamo deciso di fa­re un contro­corteo che sisarebbe svolto in quella stessamattina. Invece di preferire loscontro con i fascisti abbiamopensato che sarebbe stato me­glio occupare quel luogo cheda quasi 20 anni era statoabbandonato al degrado eall'incuria, cosi dopo il corteoci siamo diretti verso quel re­litto che poi è divenuto ilTeatro Pinelli.

Compagna, raccontati inparticolare cosa è successo ilgiorno dello sgombero.Alle nove di mattina leggo unallarme lanciato su facebook;immediatamente mi precipi­to per raggiungere i compagniche già si trovavanoall'interno del teatro. Arrivatasul posto, trovo due mieicompagni scoraggiati e delusiper l'ennesimo atto di prepo­tenza che la burocrazia messi­nese sferra ai suoi cittadini, edal numero consistente diforze dell'ordine che con i loro

mezzi inducono timore. Cara­binieri, vigili del fuoco, agentidella Digos e un elicotterodella polizia che passava so­pra le nostre teste. Mi sonoavvicinata ad un agente e hochiesto le motivazioni di que­sto sgombero. La risposta èstata una sentenza: occupa­zione di luogo pubblico! Ave­vano già pronti dieci avvisi digaranzia per gli occupanti diturno. Quella notte dormiva­no cinque compagni che inmaniera pacifica hanno la­sciato il teatro. Ho provatorabbia, tanta rabbia. Abbiamoreagito bloccando il trafficoper sei ore e presidiando fuoritutta la notte.

Ora che il Teatro Pinelli èchiuso cosa pensate di fare ?Il Teatro Pinelli è diventato iti­nerante! Abbiamo creato unprogetto che si chiama Ztl, Zo­ne temporaneamente libe­rate. In futuroapprofondiremo questo nuo­vo progetto. La programma­zione artistica e culturale delPinelli continua ancora, occu­pando temporaneamenteluoghi abbandonati.

Siamo alla fine di questaintervista. Valentina, ti chie­do una tua considerazionesull'attività svolta sino adoggi dentro il Teatro Pinelli.Il Pinelli ha soprattutto inse­gnato alla città, la lotta per i di­ritti e l'indignazione. Pensoche insieme a tutti i compagnisi sia trovata la chiave giustaper entrare nel cuore e nellecoscienze della gente. Le no­stre ambizioni sono alte maallo stesso tempo difficili, manon ci perdiamo d'animo e

lottiamo ogni giorno per dareuna risposta concreta allacittadinanza e a tutta quellagente che veramente ha biso­gno. I sogni non si possonofermare!

Grazie Valentina per la tuadisponibilità, siamo certi cheavremo modo di riparlare conte e con gli altri compagni esiamo sicuri che ci ritrovere­mo per le strade a lottarefianco a fianco contro tutte lerepressioni in nome di questalibertà, che noi chiamiamoSocialismo e Rivoluzione.Alternativa Comunista espri­

me tutta la sua solidarietà esostegno militante non solo alTeatro Pinelli ma anche aicompagni del Guernica diModena, anch'esso sgombe­rato brutalmente. La nostrasolidarietà va a tutti i compa­gni che in ogni parte delmondo occupano e manife­stano in nome della libertà.Ripetiamo e rinnoviamo tuttoil nostro supporto in questalotta contro il soffocamentodella libertà. La libertà non èstar sopra un albero, la libertàè anche occupazione!* Giovani di AlternativaComunista Agrigento

Bartleby: cronaca di uno sgombero e di una mobilitazioneUna lotta contro le logiche di profitto della giunta comunale e del rettoratoRiccardo D'Ercole*

Il 25 gennaio le forzedell'ordine, con l'auto­rizzazione del rettoredell'università di Bolo­

gna Ivano Dionigi, sgombe­ravano Bartleby in via SanPetronio Vecchio, nel pienocentro città. Un luogo dicultura autonoma, di sapericollettivi e socializzati chechiude i battenti per la vo­lontà autocratica del retto­rato e della giunta del Pd delcomune di Bologna. Il 26gennaio a Bologna si è tenu­ta una manifestazionecontro lo sgombero diBartleby che ha visto lapartecipazione di migliaiafra studenti e lavoratori pre­

cari che si opponevano allosgombero di un luogo che hacome scopo da semprequello di condividere saperial di fuori delle istituzioni.Sicuramente una modalitàche non si conforma to­talmente agli standard solitidell'autonomia settariadelle “avanguardie” di lottadei collettivi studenteschi(che fanno dell'antifascismodi genere e dello scontro conla polizia i massimi puntidella lotta priva di una pro­spettiva di classe e di transi­zione). Il corteo del 26gennaio scorso ha condottola folla dei manifestanti da­vanti ad un ex convento(santa Marta) nei pressi diStrada Maggiore. L'ex

convento è stato occupatodai manifestanti i quali, pri­ma del secondo sgombero,hanno dato vita ad una note­vole partecipazione alle as­semblee e alle iniziative diprotesta portate avanti daBartleby.

Il convento di SantaMarta, simbolo

dell'abbandono dellerisorse pubbliche

Il convento di Santa Marta èun ex convento del ‘400 inpieno centro, abbandonatodalla giunta comunale dopoessere stato destinato a ope­re per il bene pubblico. Do­veva infatti ospitare, per lasua notevole grandezza, un

elevato numero disenzatetto ed era stato affi­dato per tale scopo ad unente predisposto. Grazie aBartleby sappiamo di questarealtà in pieno centro a Bolo­gna che si configura comeennesimo esempio di risorselasciate a se stesse che po­trebbero essere destinate alpubblico interesse. Bartlebyperò aveva un progetto perquel luogo che dispone diuna superficie incredibiledove potevano essere messein atto innumerevoli attivitàche hanno bisogno di unospazio fisico. Tutto rigorosa­mente e realmente pubbli­co, cioè gratuito, popolare.Avevano pensato di creareun dipartimento autogestitouniversitario, un'infermeriapopolare, uno spazio cine­matografico, posti letto persenzatetto, un ufficio di au­silio legale per immigrati.Ma lo sgombero è arrivatoprima e Bartleby ora è in aulaRoveri, in via Zamboni 38. Ilcollettivo continua ad essereattivo e noi Giovani diAlternativa Comunista cisentiamo di appoggiare taliiniziative che si configuranocome alternative alle logi­che di profitto e di dominiomanifestate palesementedalle istituzioni.

I collettivi: studenti,apritevi alle lotte dei

lavoratori!

Ma la realtà è che il problemadella gestione degli spazi de­ve rientrare anch'essa in unaprospettiva di radicalerottura con il capitalismo econ chi ne fa le veci (giunte

comunali, università, stato).La difesa di questi spazi va ri­vendicata, certo, ma come sipuò pensare di resisteresenza dar voce ad un pro­gramma di radicale rotturacon la borghesia? Serve ilprogramma rivoluzionariodi lotta di classe anche perpoter rivendicare il proble­ma di carenza di spazi chevuol dire carenza di dirittiper ciò che riguarda l'espres­sione, la sanità, l'aggrega­zione, la casa, la cultura. Ènecessario rompere conquesto assetto economicoche schiaccia i più deboli fa­cendo loro pagare le propriecolpe e toglie loro gli spazi dicui abbiamo bisogno. Certo,occupare luoghi per dar vitaa iniziative autonome dirottura è necessario equanto mai stimolante edattuale. Ma senza l'appoggiodi classe alle lotte dei lavo­ratori gli studenti non pos­sono vincere e ottenerevittorie definitive e duratu­re. Si vedranno sempre pri­vati dei propri luoghi fisici ementali, sempre carne damacello nelle mani del pro­fitto.

Uscire dal settarismoda centro sociale per

il socialismo!

Come ben sappiamo è ne­cessario che l'avanguardiastudentesca, che oggi in Ita­lia è il punto più alto delloscontro sociale, debbaaffiancarsi alle lotte dei lavo­ratori in una prospettiva diclasse perché queste ultimevincano superando la “de­mocrazia” borghese e il capi­

talismo che la genera. Maspesso, o quasi sempre, que­sto non accade. I centri so­ciali o i collettivi autonomistudenteschi spesso di­ventano circoli chiusi, prividi democrazia interna (è ri­fiutata la democrazia che siesprime con voto a maggio­ranza e permette di stabilireuna linea di lotta impre­scindibile che scaturisce daun'analisi), le cui rivendica­zioni antisistema si tradu­cono in uno scontro per lospazio o contro la polizia. Lamatrice di tutto questo pro­blema che genera inevita­bilmente unaframmentazione delle lotteche non conduce ad alcunavittoria stabile e duratura èl'odio in sé nei confronti deipartiti, a ragion vedutaodiati e stereotipati come “ilmale in assoluto”. Ma siamodell'opinione che la formapartito sia necessaria per darvoce a tutte le lotte e unifi­carle sul piano della prassi inmodo tale da renderle effi­caci. Le strumentalizzazionidella violenza di piazza daparte degli studenti è un pa­lese esempio di ciò. Il partitoè lo strumento universale enecessario di analisi,discussione e prassi unitariache ci permetterà di farfronte agli attacchi imperio­si che i prossimi governidella borghesia capitalista ciscaglieranno. “Unità di stu­denti e lavoratori nella lottacontro il capitalismo e i suoigoverni” è, dunque, la parolad'ordine. Realizzarla pervincere. (2/3/2013)* Giovani di AlternativaComunista Bologna

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IV GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA

Qui non sono “affari tuoi”: la Brau è occupataNapoli: storia di una lotta che vede uniti lavoratori e studentiNicola De Prisco*

Uno strumento co­me questa biblio­teca, checontiene testi

importantissimi per gli studi diarea umanistica, non può e nondeve diminuire il proprio po­tenziale di divulgazione cultura­le. (...) Trovo inaccettabile, comecittadina e studentessa, che que­sta struttura con un enorme po­tenziale sia sottostimata a talpunto». Rossana è una delle pro­tagoniste “incazzate” della storiadi lotta che qui vogliamoraccontare. La Brau – Bibliotecadi Ricerca di Area Umanistica – èprobabilmente la migliore bi­blioteca di Napoli: è situata aPiazza Bellini, nel cuore dellacittà, ospita un patrimonio di 300mila libri ed è a consultazione di­retta. Nel 1995 l'ex convento diSant'Antoniello viene concessoin comodato d'uso gratuitoall'Università degli Studi di Na­poli Federico II. Per la ristruttu­razione dell'intero plesso, checomprende anche il PalazzoConca, furono spesi più di settemilioni di euro, provenienti inparte da fondi europei, in partedell'Ateneo.

Riduzione dell'orario edegli stipendi

Ma dall'apertura ufficiale, avve­nuta il 26 gennaio 2009, abbiamoassistito alla riduzione progres­siva dell'orario di ufficio. A di­cembre 2012 l'orario di chiusuraera previsto alle 16.45 e addi­rittura alle 14.15 il venerdì. Poi dagennaio il “salto di qualità”: sichiude alle 14.15 in tutti i giornidispari! Per i lavoratori significameno salario, per gli studenti, inparticolare per i pendolari, menotempo per studiare e, per i ri­cercatori, significa non avereneanche il tempo di ricercare... illibro! Tagli continui al fondo di fi­nanziamento ordinario eall'istruzione pubblica, bloccodel turn over con la Legge Gelmi­ni, impossibilità di assumerenuovo personale a seguito di de­cessi e pensionamenti: queste lecause in ordine cronologico. Afronte di tasse sempre più ele­vate, i servizi pubblici sonosempre più inesistenti ma i “no­stri” governi borghesi spendonoi soldi per finanziare le scuoleprivate (cattoliche per lo più),per comprare gli F35, e per le“grandi opere” come la Tav Tori­no Lione o il Mose a Venezia – perle quali solo nell'ultima finanzia­ria sono stati stanziati rispettiva­mente 790 e 1.200 milioni di euro– inutili alle masse proletarie,utilissime però per padroni,banchieri e, in generale, perammortizzare la brutale cadutadel saggio di profitto, conse­guente alla crisi strutturale delcapitalismo.

Come è nata la lotta

Gli studenti stanno avvertendosempre più chiaramente il soffo­cante peso di un fardello cheimpedisce loro di respirare e diguardare verso il futuro con unsentimento di dignità. Qualcunoinizia a percepire l'esigenza dimuoversi e, nel muoversi,avverte le catene, e con esse l'esi­genza di spezzarle. È in questocontesto, nella consapevolezzadel pericolo, in prospettiva, dichiusura totale della struttura,che gli studenti hanno deciso,votando a larga maggioranza inassemblea, dal 14 Gennaio, dioccupare il piano terra dellastruttura tutti i giorni fino alle ore19. «Li trovo sordi al richiamodell' esigenza degli utenti quasicome – per chi ha visto il film Gui­da galattica per autostoppisti – iVogon, alieni burocrati edinsensibili per natura» (sempreRossana, riferendosi ironica­mente alle istituzioni compe­tenti). La dottoressa Golia,

direttrice della biblioteca, mi­mando un atteggiamento conci­liante, ha già abbondantementemanifestato la sua latenteinsofferenza verso la mobilita­zione e i suoi strumenti orga­nizzativi. In uno dei primi giornidi occupazione, dà anche dispo­sizione di spegnere le luci. Glioccupanti, tra i quali era presenteanche l'autore di questo articolo,sono rimasti lì dove erano.

La lotta prosegue!

Il giorno seguente l'orario erastato ripristinato alla 16.45... perun mese! Evidentemente le auto­rità credevano di essere a un notoprogramma Rai dove qualcunochiama, fa un'offerta e poi si de­cide se tenere il pacco o accettarel'offerta. Peccato, per il RE­ttoreMassimo Marrelli, che lì nessunodegli studenti stesse giocando edopo qualche giorno l'as­semblea Brau in Agitazione hadeciso di occupare anche il pri­mo piano. La strategia del “Ma­gnifico” è sostanzialmentemirata a prendere tempo e spera­re nello sfiancamento deglioccupanti: quando ci ha ricevutiha giocato allo scaricabarile,affermando tra le altre cose, diessersi opposto con tutte le sueforze alla Legge Gelmini. La do­manda è: come mai allora il Ma­gnifico rettore Marrelli, nel 2011,in quanto presidente del Senatoaccademico, permise la nominadella commissione che avrebberiscritto lo statuto per rendereeffettiva proprio quella Legge?Come mai, quando il 14 Gennaiodi quello stesso anno, un nutritogruppo di studenti, tra i qualec'era anche il sottoscritto,interruppe il Senato accademicostesso per chiedergli una presa diposizione politica – quale potevaessere ad esempio la fuori uscitadalla Crui – non si prestò loroascolto, anzi, si minacciaronoprovvedimenti legali? Domandelegittime alle quali il rettore ri­sponde sfoderando tutto il me­glio del suo discreto repertorio

retorico da burocrate navigato.

Lavoratori e studenti uniti

Non di meno la direttrice e ilrettore stesso, hanno provatosubdolamente a contrapporre glistudenti occupanti ai lavoratori,che in buona parte comunque,non mancano di manifestare illoro appoggio alla causa, nono­stante la posizione di ricattabilità.In realtà nessuna proposta riso­lutiva che vada a ledere, in manie­ra diretta o indiretta, le condizionidi chi alla Brau ci lavora sarà mai

presa in considerazione da noi.Sarebbe d'altronde assurdopensare che la nostra battaglia,che è rivolta al miglioramentodelle condizioni e delle possibili­tà di utenza, vada contro coloroche per primi contribuiscono atenere aperta la Brau, cioè i suoilavoratori. Non sono mancati, inquesti due mesi, nemmeno epi­sodi di intimidazione. Una bellamattina, infatti, la direttricesbarrò le porte dei cancelli agliutenti, basandosi su un'interpre­tazione del tutto parziale del re­

golamento della Brau. In talecircostanza abbiamo avutoanche la ‘piacevole' visita di dueagenti delle forze dell'ordine.Soltanto dopo tre ore di vibrantiproteste i cancelli sono stati fi­nalmente aperti all'utenza tutta.

Il Pdac con gli occupanti!

Il Pdac, nell'esprimere totale soli­darietà militante agli occupanti,si unisce a loro nel rivendicare:l'estensione dell'orario di apertu­ra della biblioteca dal lunedì al ve­nerdì fino alle ore 19:00;

l'aggiornamento del patrimoniolibrario, fermo ad acquisizioniche risalgono al 2003; l'integra­zione di personale specializzatoper l'orientamento dei lettori e lacatalogazione. Bisogna porre nonsolo la Brau, ma ogni biblioteca,sotto il controllo di lavoratori eutenti. Sottrarre la cultura dal do­minio della borghesia e delle sueistituzioni, affinché questa nonsia più un privilegio per pochi, mapossa essere un diritto di tutti.(2/3/2013)*Brau in Agitazione – Pdac Napoli

««LLaa QQuuaarrttaa IInntteerrnnaazziioonnaalleepprreessttaa ppaarrttiiccoollaarreeaatttteennzziioonnee aall llaa ggiioovvaanneeggeenneerraazziioonnee ddeellpprroolleettaarriiaattoo..TTuuttttaa llaa ssuuaa ppoolliittiiccaa ssiissffoorrzzaa ddii iinnffoonnddeerree nneellllaaggiioovveennttùù llaa ffiidduucciiaa nneelllleepprroopprriiee ffoorrzzee ee nneell ffuuttuurroo..SSoolloo ii ll ffrreessccoo eennttuussiiaassmmooee lloo ssppiirriittoo bbeellll iiccoossoo ddeellllaaggiioovveennttùù ppoossssoonnooggaarraannttiirree ii pprriimmii ssuucccceessssiinneell llaa lloottttaa;;ssoolloo qquueessttii ssuucccceessssiippoossssoonnoo rriippoorrttaarree ssuull llaassttrraaddaa ddeellllaa rriivvoolluuzziioonnee iimmiiggll iioorrii eelleemmeennttii ddeell llaavveecccchhiiaa ggeenneerraazziioonnee..CCoossìì èè ssttaattoo ee ccoossìì ssaarràà..»»

Lev TrotskyProgramma di transizione

LLaa RRiivvoolluuzziioonnee ssii ppuuòò ffaarree!!

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PROGETTO COMUNISTA Marzo ­ Aprile 2013 9SINDACATO E LOTTA DI CLASSE

Ikea: solo con la lotta e con l'unità dei lavoratori si vince!“Vogliamo essere una rivoluzione”.Intervista a Mohamed Arafat,portavoce della lottaa cura diMirko Seniga e Sabrina Volta

Il magazzino centrale Ikeadi Piacenza è il maggiorehub di distribuzione inEuropa che rifornisce i va­

ri negozi in Italia, di una partedell'Europa e del Mediterra­neo; è quindi di importanzastrategica per la multinaziona­le stessa. Attraverso il sistemadelle cooperative, come la SanMartino, Cristal, Euroservizi,Ikea ha basato la sua competiti­vità sul mercato calpestando isalari e i diritti dei lavoratori,con una gestione arbitrariadella flessibilità degli orari. Lalotta dei lavoratori, iniziata adottobre 2012, è una battagliapolitica contro il blocco pro­Ikea­cooperative che va dalcentrodestra al centrosinistra.Ikea è una potenza a Piacenza,le cooperative del consorzioCgs (Consorzio Gestione Servi­

zi) presenti in Ikea sono partedel potere del sistema politico­economico emiliano che trovaespressione nel Pd e nei sinda­cati confederali. La vertenza diPiacenza balza sulle cronachenazionali il 2 novembre scorsoquando, sotto la regia del mini­stero degli Interni, sonointervenuti questura e prefettoche hanno organizzato gliattacchi polizieschi a base dimanganello, lacrimogeni e de­nunce nel tentativo di romperela lotta intimidendo i lavoratoriimmigrati. Loro sono i veri pro­tagonisti. Le forze dell'ordinesono intervenute cercando dispezzare i legami di solidarietàdi classe sorti fra gli stessi ope­rai e quelli di altre cooperativecome laTnt e Gls che, dopo il lo­ro turno di lavoro, sono accorsia sostenere i picchetti davantiall'Ikea. Picchetti ai quali hapartecipato anche il Pdac,condividendo e sostenendo la

lotta dei lavoratori. La vicendaIkea non è conclusa fino aquando non sarà effettiva­mente riconquistata lamaggioranza degli operai chesi sono sfilati dalla lotta per nonincorrere nei ricatti padronalidi riduzione dell'orario di lavo­ro e salario a meno della metà.Il rientro dei lavoratori che i pa­droni volevano espellere hadato anche ai lavoratori, chesono rimasti passivi durante lalotta, la dimostrazione che lamobilitazione paga e che unitie organizzati gli operai posso­no sfidare il potere padronale evincere; questa lotta spinge allacostruzione di un'organizza­zione delle lotte operaie piùampia, sia su scala nazionaleche internazionale e il successodella lotta contro l'Ikea è la ba­se da cui partire per sconfigge­re i ricatti e la sottomissione alpadronato. Soltanto con lalotta di classe che miri ad una

reale sottrazione del capitalepadronale e a una vera gestioneoperaia i lavoratori riuscirannoad impadronirsi dei propri di­ritti distruggendo lo sfrutta­mento dell'uomo sull'uomo.Intervistiamo Mohamed Arafatlavoratore alla Tnt, delegatosindacale del Si­Cobas e porta­voce della lotta in Ikea.

Mohamed, la vostra lotta è ini­ziata per l'applicazione delcontratto nazionale della logi­stica...Marcia indietro non si fa dopoche le lotte sono state portateavanti nonostante la neve, lapioggia, il freddo. Noi partiamochiedendo il rispetto delcontratto collettivo nazionaledella logistica ma, quandol'otterremo scopriremo chedobbiamo chiedere di più, inquanto il Ccnl non dà tutti i di­ritti e non permette comunqueuna vita dignitosa ai lavoratori.Noi vogliamo un salario digni­toso e una vita migliore per tuttii lavoratori.

L'attacco di multinazionalicome Ikea, con la complicitàdelle cooperative, condottocontro i lavoratori del settorelogistica è un caso a sé o s'inse­risce in quadro più ampio?Ogni padrone difende i suoiinteressi e utilizza ogni mezzoper reprimere le lotte dei lavo­ratori. Abbiamo portato la lottafatta alla Gsl di Piacenza alla Gsldi Bologna bloccandola per 2giorni. Dopodiché il padroneha deciso di riaprire la Gsl a Pia­cenza. Questo ci dimostra checon l'unità dei lavoratori siottengono delle conquiste. Lo­ro usano la crisi contro i lavo­ratori togliendo i diritti aglioperai per accrescere i propri

interessi. La stessa protestaunitaria è avvenuta all'Ikea do­ve l'azienda ha deciso il reinte­gro dei lavoratori, che avevanopartecipato alle lotte, dopo chenoi in mobilitazione abbiamobloccato il punto vendita Ikeadi Bologna.

La vostra lotta ha portato alreintegro di 4 lavoratori cheerano stati tenuti fuori per 3mesi, come giudichi questavittoria?Se i lavoratori dell'Ikea fosserorimasti uniti come il primogiorno avremmo ottenuto ilreintegro anche dopo un sologiorno invece che dopo tre me­si. Il padrone cerca di dividere ilavoratori. Attraverso questaintervista voglio dare un mes­saggio ai lavoratori: non doveteavere paura dei padroni, madovete essere combattivi e uni­ti. Il padrone è debole e dove ilavoratori sono uniti si vince,dove siamo disuniti si puòvincere ma è necessario piùtempo. Il fatto che i 4 lavoratorisono stati reintegrati dimostrache l'unità è il segreto di ognivittoria ed è la nostra arma.

Quale messaggio vuoi dare atutti gli operai che come voistanno lottando in Italia?Non devono lasciare che il pa­drone metta i lavoratori unocontro l'altro. Gli operai nondevono badare alle loro origini(egiziani, marocchini, italiani)perché sono tutti nelle stessecondizioni, siamo tuttisfruttati. Siamo un pericolo peril padrone per questo motivo civuole divisi, ma noi dobbiamoessere determinati e uniti.

Quali sono le prossime ini­ziative di lotta?

La prossima iniziativa sarà ilgiorno 22 marzo con uno scio­pero nazionale per il rinnovodel Ccnl. Con questo scioperorifiutiamo le modifiche delcontratto e vogliamo di più.Attraverso il vostro giornalevoglio rilanciare questo scio­pero sociale che vuolecoinvolgere studenti, disoccu­pati, famiglie che soffrono.Scendete in piazza contro il go­verno, contro il sistema capita­lista. Il vero cambiamento nonsi fa con le elezioni borghesi,ma con le nostre mani, con lanostra forza, con la nostra lotta!Viva la lotta!!!

Cosa ha significato il tuointervento all'iniziativa NoAusterity a Maranello?Il sindacato dobbiamo esserenoi, dobbiamo organizzarciper difendere noi stessi. Il SiCobas a Piacenza l'abbiamocostruito noi lavoratori con lalotta davanti alla Tnt, primadella lotta questo sindacatononerapresenteincittà.Quellache stiamo portando avanti èuna lotta di classe e non sifermerà, deve essere condivisainsieme agli operai della Ferra­ri, della Fiat, dobbiamocoinvolgere altre realtà di lotta.Siamo noi i lavoratori sfruttati,deve essere una lotta di tutto ilPaese. Dobbiamo coinvolgeretutti i Paesi europei, la Fiat staspostando i sui stabilimentiall'estero per sfruttare altri la­voratori. I padroni devonocapire che i lavoratori voglionoi loro diritti e questo sogno sirealizza coi fatti e con la lottagiorno per giorno. Noi non vo­gliamo essere uno sciopero mauna rivoluzione! (28/2/2013)

Sindacato di lotta o sindacato di governo?Dopo le elezioni politiche,dove va la Fiom?Massimiliano Dancelli*

La Fiom ormai non si na­sconde più nemmenodietro i proclami e inoccasione delle elezio­

ni politiche ha esplicitato le suevere intenzioni: tornare atrattare con i padroni e coi go­verni, che nel capitalismo sonoi garanti degli interessi di questiultimi. Sono lontani i tempi incui, almeno a parole, Landini siergeva a baluardo della classelavoratrice, unica voce di oppo­sizione al governo e puntofermo della conflittualitàall'interno della Cgil, tanto cheanche la Rete 28 aprile (area disinistra interna) decise alloscorso congresso di ergere laFiom a propria guida supremanella battaglia all'interno delsindacato.

Una falsa opposizione

La Fiom era parsa a molti l'uni­ca voce fuori dal coro: richiamialla conflittualità, con tanto dibattaglia congressuale nellaCgil; rifiuto di sottoscriverel'ormai famoso accordo del 28giugno (quello delle deroghe aicontratti nazionali, in cambiodel riconoscimento dell'agibi­lità sindacale); infine, il seccono all'applicazione del nuovocontratto Fiat, il cosiddetto“modello Pomigliano”. Noiabbiamo sempre denunciatocome le reali intenzioni delladirezione del sindacato fosseroben diverse dai proclami. Oggiappare chiaro come fosse falsae di facciata questa opposizio­ne sia alle politiche del governoche alla linea della Camusso sesi analizzano le azioni della di­rezione della Fiom alla luce deifatti. Parlavano di aumentare illivello del conflitto e chiedeva­

no lo sciopero generale ma,quando finalmente lo procla­mavano, lo facevano in ritardorispetto alle reali esigenze e conmanifestazioni locali, tenendoben divisi i lavoratori. Hannochiesto, giustamente, agli ope­rai della Fiat di votare contro ilnuovo modello contrattualeproposto da Marchione conFim e Uilm, ma poi, anche difronte alle minacce della pro­prietà, non chiamavano allalotta reale gli stessi lavoratori ein alcune aziende firmavanoaccordi simili o addiritturapeggiori (vedi il caso dellaBertone).

Una politicafallimentare

Ovviamente questa modalità diazione, di rinuncia di fatto allalotta, ha portato solo sconfitteai lavoratori (smantellamentodel contratto collettivo nazio­nale e allargamento a tutti i me­talmeccanici del modelloPomigliano, smantellamentodell'articolo 18 etc.) e problemiallo stesso sindacato, come la laperdita dell'agibilità sindacalein Fiat. Ma, anche di fronteall'evidenza, la direzione dellaFiom continuava nella direzio­ne intrapresa. Landini non tro­vava di meglio che richiamarel'applicazione del precedente­mente bistrattato accordo del28 giugno o affidarsi ai tribunaliborghesi. Emblematico è il casodei 19 delegati di Pomigliano,che erano stati licenziati dallaFiat perchè appartenenti allaFiom e poi reintegrati dal giudi­ce. L'azienda ha prima mi­nacciato di licenziare altrilavoratori per far posto a questiultimi e infine ha deciso di sti­pendiare ugualmente questioperai, ma senza permettere lo­

ro di tornare sul posto di lavoro.Questo è ciò che si verificaquando si è, volutamente, ri­nunciato ad una lotta reale neiconfronti delle svariate misureche Marchionne ha adottatocome linea generale per i suoidipendenti. Non sono mai statemesse in campo quelle iniziati­ve, come lo sciopero generale eprolungato, almeno per i di­pendenti Fiat, che avrebberopotuto, sulla base di realirapporti di forza, frenare lacorsa reazionaria e repressivadell'azienda. Il risultato è statoquello di essere estromessisindacalmente dalla fabbrica econ i lavoratori e gli attivistiFiom costretti a subire ogni tipodi malversazione. Inoltre,avendo rinunciato alla lotta perfar valere il suo peso e il suo pre­stigio tra i lavoratori, la Fiom si èritrovata tagliata fuori dal tavo­lo della trattativa per il rinnovodel contratto nazionale dei me­talmeccanici, col serio rischiodi essere estromessa anche daaltre fabbriche, con conse­guenze devastanti persino peril proprio apparato: meno soldidalle tessere, meno distacchisindacali, etc.

La campagna elettorale

La Fiom ha volutamenteabbassato il livello delloscontro, come annunciato alComitato centrale delsettembre scorso, quando co­minciava ad essere nell'aria lafine del governo Monti ed eraimminente la firma delcontratto dei metalmeccanici.Fu votato un documento in cuisi sosteneva che, per risolvere lasempre più aspra crisi econo­mica, era necessario spegnere osmorzare il conflitto in atto.Chiaro tentativo di porgere in

extremis una mano a Fe­dermeccanica. Tutto questoper due motivi principalmente:il primo per la necessità di esse­re nuovamente riconosciuti daipadroni per le ragioni che spie­gavo prima (mantenimento deiprivilegi sindacali) e il secondoper mostrarsi diligenti ed affi­dabili agli occhi della grandeborghesia al fine di preparare ilterreno ad un futuro governo“amico”. E la Fiom si è spesa almassimo nella campagnaelettorale a favore del centrosi­nistra: ha organizzato as­semblee di propaganda tra ipropri delegati e sono scesi di­rettamente in campo con lacandidatura di Airaudo,braccio destro di Landini, nelleliste di Sel, partito di riferi­mento tra il gruppo dirigente.La speranza era ovviamentequella di una sconfitta della de­stra berlusconiana e del centromontiano, al fine di poter avere

un migliore interlocutore perl'approvazione di quella leggesulla rappresentanza sindacaleche permetterebbe alla Fiom ilrientro in Fiat e il riconosci­mento al tavolo della trattativacon Federmeccanica. Ovvia­mente il quadro di ingoverna­bilità che si va delineando e lavittoria­sconfitta elettorale delcentrosinistra rischiano dicomplicare non poco i piani diLandini.

La nostra battaglia inFiom e in Cgil

Dopo il fallimento dell'areaprogrammatica “la Cgil che vo­gliamo”, la Rete 28 aprile ha de­ciso di ricostituirsi in strutturaautonoma e lo ha fatto su di unapiattaforma piuttosto radicalee più conflittuale, votata comedocumento alternativo da pre­sentare all'imminentecongresso della Cgil. Si apreuno spazio importante per la

conduzione di una battagliaclassista all'interno del sinda­cato, molti iscritti comincianoad essere stanchi della politicafallimentare sia dei vertici dellaFiom che della Cgil e pre­sentando loro, nella discussio­ne congressuale, paroled'ordine quali “no allaconcertazione” e “naziona­lizzazione ed esproprio senzaindennizzo delle fabbriche incrisi” si può aprire un dialogointeressante. E anche chi nellaRete 28 Aprile spera di condurreuna battaglia solo a parole cre­diamo sarà costretto a gettare lamaschera e decidere se prose­guire in una lotta reale o riacco­modarsi sulle comodepoltroncine che da anni occu­pano, anche ai piani alti delsindacato dei metalmeccanici.(2/3/2013)*Delegato Fiom­Cgil,Rete 28 aprile

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10 Marzo ­ Aprile 2013 PROGETTO COMUNISTADAL TERRITORIO

Conny Fasciana*

Il 2006 unisce definitivamente il noa Tav, Mose e Ponte. L'allora go­verno Prodi dichiarò la questionePonte non prioritaria ma lasciò in

sospeso il vero nodo della questione: lapenale da pagare in caso di mancata rea­lizzazione e il conseguente ricatto dellaricaduta sociale di tale onere. L'esitodella gara d'appalto era stato profe­tizzato (“vincerà Impregilo”) nel corso diuna telefonata con Paolo Savona (l'allo­ra presidente d'Impregilo) dall'econo­mista Carlo Pelanda, consulente delministro della difesa Antonio Martino,quest'ultimo non a caso di origini mes­sinesi, già uomo di vertice di Forza Italia,capolista alla Camera per il Pdl alle ulti­me politiche e intimo amico di MarcelloDell'Utri.

Gli interessi dei capitalisti

La Stretto di Messina Spa e il generalcontractor Eurolink (formata da Impre­gilo, Sacir, Condotte d'Acqua, Cmc diRavenna, Ishikawahjima­Harima, Hea­vy Industries) vantano nomi illustri: nelcda Francesco Paolo Mattioli, ex mana­ger Fiat e Cogefar­Impresit (oggi Impre­gilo), Carlo Angelici, contestualmenteconsigliere di Pirelli & C. e di TelecomItalia Mobile, società di cui erano (e so­no) azionisti i Benetton. EdizioniHolding, altro gioiello del gruppo di Tre­viso, controlla la Società per il traforo delMonte Bianco. La Società Italiana perCondotte d'Acqua è quasi interamentecontrollata dalla finanziaria Ferfina Spa.della famiglia Bruno, nel cui cda compa­riva nel giugno 2005 Emmanuele Ema­nuele, contestualmente membro delcda della concessionaria statale per ilPonte. Dal 2002, presidente della Strettodi Messina è Giuseppe Zamberletti, exministro per la protezione civile e dei la­vori pubblici, che è stato presidente delForum europeo delle Grandi Imprese eche da più di un ventennio ricopre lamassima carica dell'Igi, “centro­studi”per monitorare il mercato dei lavoripubblici e delle grandi opere e premeresugli organi istituzionali per otteneremodifiche e aggiustamenti in materia diappalti e concessioni a vantaggio degliinvestimenti privati. Nell'Igi ancheFranco Nobili, che ne era vicepresidentevicario ai tempi delle gare sul Pontenonché trentennale capo di Cogefar epresidente dal 1989 al 1993 dell'Iri; diquest'ultima è stato direttore generale emembro del collegio dei liquidatori Pie­tro Ciucci, odierno ad della Stretto diMessina. L'elenco potrebbe esserelunghissimo. I signori del Ponte di Mes­sina mitizzando gli interessi dellelobbies dietro poetici desideri millenaridi avvicinare la Sicilia al resto d'Italia,utilizzano la leggenda come paraventoborghese per gli scopi del capitale adiscapito, come sempre, degli interessisociali.

Il movimento No Pontee la sua evoluzione

L'area tra Scilla e Cariddi, però, ritenutada una parte incapace di mobilitarsi erassegnata, e dall'altra erosa da ogni vo­lontà di resistenza grazie al controllodella criminalità organizzata, ha mo­strato invece attraverso il movimentoNo Ponte un altro volto evolvendosi, dal2000 ad oggi, da quella che era una “elitedi ambientalisti” a livello locale in unadelle punte di lotta più avanzate del no­stro paese, unendo alle ragioni del nodegli ambientalisti quelle del rifiutodelle logiche del profitto. I “Campeggi”ed i forum di discussione hanno spo­stato l'asse del dissenso sul piano politi­co realizzando, anche attraverso ilconfronto con altre realtà di lotta danord a sud (prima coi No Tav e No Mose,oggi coi No Muos) un fronte comune perla riappropriazione dei territori. Ognigoverno ha sempre fatto “affari”con legrandi opere e il Ponte sullo Stretto ne èuna macabra testimonianza. La normasul credito d'imposta, ripresa dall'attua­le governo nel recente “decreto svi­luppo” rappresenta un grandissimofavore ai costruttori di grandi opere. Il 30ottobre 2012 FAI, Italia Nostra, Le­gambiente e Wwf scrivevano a Monti:“osservazioni su ratio ed obiettividell'art. 33, commi da 1 a 3, del decreto

legge n. 179/2012”, recanti “ulteriori mi­sure urgenti per la crescita del Paese”. Ladenuncia dei rischi di tali “misureurgenti”, è orwellianamente connessa alconcetto stesso di non sostenibilità delPef: basta fingere la sostenibilità e spie­gare poi, in corso d'opera che vista la“crisi” i soldi previsti non bastano più eche quindi per il completamento el'esercizio dell'infrastruttura occorreattivare il credito d'imposta! Dice LuigiSturniolo, attivista storico: «Fino aqualche tempo fa il Ponte sembravasparito dall'agenda politica nazionale.Era stato de­finanziato, e tutti sostene­vano che non si sarebbe più realizzato.In realtà con il Decreto Sviluppo è statorimesso in gioco, perché il governo si èdato ancora due anni per poter decideresulla base della sostenibilità economicaed ingegneristica. Va giù deciso, allora,su cosa potrebbe avvenire il 1° Marzoprossimo. I 300 milioni di euro per lavoria terra offerti dal governo al generalcontractor, in cambio della non banca­bilità dell'opera non solo sono stati ri­fiutati, ma Eurolink ha chiesto inoltre larescissione del contratto unilate­ralmente» puntando a incassare una pe­nale di circa 300 milioni, ma c'è chi parladi un miliardo di euro. Perché Eurolinkdovrebbe realizzare 300 milioni di eurodi lavori a terra se può ottenerli senzamuovere un dito (né un operaio) graziealla penale?

L'ultimo“inchino”delgoverno tecnico al capitale

Il tecnico candidato premier (esconfitto) ha partorito il provvedimentoche Impregilo e consociate aspettavano:300 milioni di euro per chiudere la parti­ta del Ponte sullo Stretto. E dopo i 500milioni già spesi negli anni per modelli­ni e convegni, ecco l'ultimo regalo alleimprese del nulla per veicolare le risorsepubbliche verso i loro bilanci. In perfettacontinuità con i governi precedenti,verranno tolte risorse alle casse pubbli­che per regalarle a imprese private chesucchiano la linfa vitale dei territorisenza restituire nulla se non devastazio­ne e inquinamento. Il consiglio dei mi­nistri, all'indomani dei risultatielettorali che non hanno portato al pro­fessore i risultati sperati, viene ammoni­to dalle sigle ambientaliste di cui sopra:«nella riunione del Consiglio dei Mini­stri, con un'intollerabile, ulterioreforzatura se fosse confermata, si

vorrebbe prorogare con decreto iltermine perentorio del primo marzo2013entroilqualeStrettodiMessinaSpa(concessionaria pubblica) e il GeneralContractor Eurolink (capeggiato daImpregilo) dovrebbero presentare l'attoaggiuntivo al contratto vigente, sospesocon il decreto sviluppo­bis n.179/2012,convertito nella legge221/2012»(1). Ad una prima letturadell'esito del cdm in questione,parrebbe che l'ammonimento sia servi­to. Infatti il 26 febbraio il ministro delleinfrastrutture e dei trasporti ha svoltouna relazione sullo stato della trattativatra la società Stretto di Messina Spa e ilContraente generale, evidenziando siache il Contraente generale è recedutodal Contratto lo scorso novembre e cheha impugnato di fronte al Tar del Laziol'opposizione al recesso presentatadalla “Stretto di Messina Spa”, sia l'as­senza delle condizioni necessarie perl'emanazione di un decreto legge diproroga del termine per la stipuladell'atto aggiuntivo (fissato al 1 marzo2013), come era stato richiesto dalContraente generale(2). Bene, allora è fi­nita, si potrebbe dire. In realtà, resta ilnodo di cui sopra: la penale, il capitalefantasma da quotare in borsa grazie almiracolo bocconiano(3). “La nostra po­sizione come movimento è quella di farchiudere il contratto con Eurolink,cancellare la Stretto di Messina S.p.A. esoprattutto non riconoscere alcun de­bito e nessuna penale. Questo per noi èun passaggio decisivo” (Luigi Sturniolo,23 febbraio 2013: www.noponte.it). IlPartito di alternativa comunista saràpresente il 16 marzo a sostegno dellamanifestazione nazionale che vedràinsieme No Tav, No Muos e No Ponte.Unire i No contro il sistema. Solo nellepiazze è possibile. (28/2/2013)*Pdac Sicilia

Note(1)http://www.lavoripubblici.it/news/2013/02/ambiente/Ponte­sullo­Stretto­di­Messina­denuncia­di­FAI­Italia­NostraLegambiente­e­WWF_11221.html).(2)http://www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=70477).(3)http://www.laprimapagina.net/economia/2875­ponte­sullo­stretto­fine­del­sogno­berlusconiano.html).

Il Ponte sullo stretto: la grandefamiglia dei signori del cementoUnire i No contro il sistema.Solo nelle piazze è possibile

Mauro Buccheri*

Il responso delle urne ha disegnatoun quadro politico apparente­mente “instabile” su scala naziona­le. Si afferma un forte terzo polo,

rappresentato non dai centristi ma daigrillini, che confermano il momento po­sitivo affermandosi come il primo parti­to alla Camera e il secondo al Senato intermini di voti. Un terzo polo costruitoattorno alla retorica antipolitica e anti­casta, che riesce a capitalizzare il diffusodisorientamento politico e la crescentesfiducia popolare verso i politicanti,attingendo a piene mani ai bacini eletto­rali del centrosinistra e del centrodestra.Sebbene restino infatti i partiti più votati(assieme al M5s), Pd e Pdl fanno registra­reunvistosocalodiconsensirispettoalleultime politiche del 2008. Rispetto a que­sto quadro generale, i dati elettorali dellaSicilia non segnano significative di­vergenze. L'affermazione di Grillo ri­sulta in terra siciliana ancora più netta:con percentuali intorno al 30% il M5sconferma il responso delle recenti ele­zioni regionali, che ne sancironol'affermazione come partito più votatonell'isola. Dietro il M5s, il solito Berlu­sconi che, sia pure in continua emorra­gia di consensi, riesce ad ammortizzare icolpi tenendosi intorno al 26%. Il PD, siapure in flessione, risulta la terza forzanell'isola. Anche in Sicilia l'operazione diMonti raccoglie ben poco, e fa registrarel'implosione di Fli (il partito di Fini) e iltracollo della Udc, storicamente forte inSicilia, e oggi ridotta al lumicino anche inseguito alla frammentazione che intempi recenti ne ha portato l'ala di de­stra, quella riconducibile a Saverio Ro­mano, all'interno del Pdl. Stessa sorte hacolpito l'Mpa, il Partito dell'ex go­vernatore Lombardo. Inserito nella coa­lizione di centrodestra, l'Mpa, capace inun recente passato di gestire un notevolemercato del voto, si attesta oggi poco so­pra il 2% incassando una pesantesconfitta.

I“sinistri”nostrani:rivoluzionari“civili”e

mediatici in Sicilia

In questo quadro complessivo, che mo­stra una convergenza di voti intorno a tregrossi partiti e il pesante arretramento divecchi protagonisti della politica isola­na, una riflessione è doverosa rispetto ai“rivoluzionari civili”. La loro sonorasconfitta a livello nazionale assume unavalenza ancora più forte in Sicilia, la terradi Ingroia. Il magistrato palermitano,simbolo della legalità borghese dietrocui si sono rifugiati i cocci della co­siddetta “sinistra radicale” (Prc e Pdci),anche nella sua regione non riesce adandare oltre un 2­3% di consensi (40­50mila voti). L'ennesima batosta ricevutadall'ennesima operazione trasformistaorchestrata da Ferrero e Diliberto, ge­mellatisi stavolta coi magistrati Ingroia,De Magistris e Di Pietro, quest'ultimo incrisi nera dopo i recenti scandali. I buro­crati dei partiti “comunisti” riformisti,disposti in funzione delle poltrone adabbracciare programmi neoliberisti e a

liquidare anche la simbologia marxista,trascinano nel baratro quel che restadella “rifondazione comunista”, un falli­mento che non potrà non condurre a se­ria riflessione tanti militanti onesti.Qualche considerazione anche sull'uni­ca lista che in Sicilia recava il riferimentosimbolico al “comunismo”. Il Partito co­munista dei lavoratori di Ferrando fa re­gistrare in Sicilia un pesante calo di votidi rispetto alle ultime politiche: al senato4600 voti contro i 10200 del 2008, alla ca­mera (circoscrizione orientale) 3400 voticontro i 6200 del 2800. Un dato che do­vrebbe fare riflettere chi ha deciso diattribuire la priorità nella propria azionepolitica alla partecipazione elettorale,anche in territori, la maggior parte, doveilPcldi fattononesiste(e incuisi favede­re dalle persone solo sotto elezioni). Airisultati elettorali, che ne rimarcano ilnetto calo di consensi non solo in Sicilia(calo già emerso nelle recenti elezioniregionali) ma in tutta Italia, il Pcl come alsolito non fa seguire alcuna analisi né bi­lancio, se non i soliti scarni comunicati(consegnati al sito nazionale e a qualchesito locale) in cui si riproducono gliscontati attacchi a Grillo e alla “sinistraradicale”, e in cui si cerca di convincereprima di tutto se stessi. Comunicati incui, con la solita presunzione, il Pcl si au­tocelebra come “unica” sinistra “antica­pitalista” o come “l'unico baluardo diresistenza in questo sistema marcio ecorrotto e prossimo alla putrefazione”(come nel sito del Pcl Firenze). Fossimonei dirigenti del Pcl, più che della penu­ria di consenso elettorale (certo graveper chi dedica gran parte delle proprierisorse alle elezioni) ci preoccupe­remmo comunque della gravissima crisidi militanza reale che attanaglia quellaformazione centrista ormai allo sbando.Nonostante sbandieri l'arrivo di “nuovicontatti”, in seguito alle comparsate te­levisive di Ferrando, il Pcl conosce infattiuna continua emorragia di validi mili­tanti.Dopol'implosionedelPcl inSicilia,con la sparizione di intere sezioni, anchein Calabria sono usciti decine di mili­tanti, e lo stesso “virus” (espressione diun compagno recentemente uscito dalPcl calabrese) si diffonde in tutto il terri­torio nazionale.

Il Pdac si sviluppaanche in Sicilia

L'astensionismo è sempre molto forte inSicilia: l'affluenza alle urne (media­menteintornoal65%)faregistrareinfattiuna flessione di circa il dieci percento ri­spetto al 2008. Un astensionismo chetuttavia solo in parte si traduce in un au­mento della conflittualità di piazza. Cosìcome dimostrato dall'attuale riflusso, ri­spetto all'autunno caldo, delle mobilita­zioni di massa (affidate principalmenteagli studenti, sicuramente la punta piùavanzata dell'opposizione sociale). Uncontesto politico difficile, insomma,nella terra che ha visto i due ultimi go­vernatori coinvolti in rapporti perversicon la mafia (uno dei due giàcondannato in sentenza definitiva) e chenei mesi scorsi ha conosciuto la diffusa eradicale mobilitazione promossa daidestrorsi forconi intorno a rivendicazio­ni corporative e autonomistiche. In unquadro di arretramento e implosionedelle “sinistre” riformiste e centriste, cheregistra anche la crescita di gruppi neo­fascisti, si apre lo spazio per la costruzio­nediunaforzarivoluzionariachemiriadaggregare i tanti compagni onesti e oggilontani per sconcerto dall'attività politi­ca. La costruzione del Partito dialternativa comunista in Sicilia è co­minciata nelle scorse settimane, e hafatto già registrare in diverse provincel'adesione di compagni impegnati neiloro territori di riferimento a livello poli­tico e sindacale. Non abbiamo pre­sunzione, rifuggiamo dallaautoreferenzialità, e non pretendiamo dibastare a noi stessi. Nei mesi che vengo­no staremo nelle piazze a fianco deicompagni delle forze antisistema che sioppongono al Muos, al ponte sullostretto, e a tutti i soprusi padronali, lavo­rando al raccordo delle lotte. Facciamoappello ai compagni sinceramente vo­tati alla militanza rivoluzionaria a unirsia noi nella costruzione di questo pro­getto. (2/3/2013)*Pdac Sicilia

Sicilia:fravecchienuovi populismiLa necessità di costruire l'alternativa comunista

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PROGETTO COMUNISTA Marzo ­ Aprile 2013 11DAL TERRITORIO

Riccardo Bocchese

LAcciaieria Valbruna,come si legge nell'ho­me page del suo sitoweb, è un'azienda lea­

der nel campo degli acciai inos­sidabili. È un'azienda privata,con oltre 1.500 dipendenti, cheproduce oltre 170.000tonnellate d'acciai speciali adalta qualità. La produzione è,attualmente, condotta in trestabilimenti: Vicenza, Bolzanoe Fort Wayne (Indiana). Proba­bilmente poiché copre imercati di nicchia con prodottiad elevata qualità, ha potuto fi­no ad oggi superare, quasiindenne, la crisi internazionaledell'economia capitalista. Lacrisi economica però, come laguerra, se è un momento tragi­co per i lavoratori e le masse po­polari, per alcuni può diventarel'occasione in cui aumentare i

propri profitti, proprio appro­fittando della situazione che lacrisi stessa crea. Nello stabili­mento Valbruna di Vicenza so­no occupati poco meno di millelavoratori e l'azienda, negliultimi mesi, ha assunto almenouna quindicina di lavoratoriattraverso un'agenzia di lavorointerinale. L'ultima assunzionerisale a metà gennaio. Nono­stante queste assunzioni, i pri­mi di febbraio l'azienda hacontattato i componenti dellaRsu per comunicare 52 mobili­tà, o meglio 42 mobilità e diecilicenziamenti. Per le 42 mobili­tà si tratta di accompagnare allapensione quanti ne sono vicinitanto che l'azienda avrebbe co­municato la disponibilità dipagare per tre anni dodicimensilità di 950 euro il primoanno, 800 il secondo e circaaltrettanto per il terzo anno. Ta­le volontà non è stata pre­

sentata come un diktat, macercando l'accordo con il lavo­ratore. Ad oggi, mentre scrivia­mo, solo diciotto lavoratoriavrebbero espresso il propriointeressamento, anche perchéla perdita economica, so­prattutto per i nuclei familiarimonoreddito, è considerevole,dato che verrebbero a manca­re, oltre a circa un terzo dellostipendio, la tredicesima e ilpremio di produzione annuale.Ma ciò che è introdotto qui, difronte alla legge Fornero chedilata fino a 67 anni l'età per lapensione, è un meccanismoche permette al padrone di li­berarsi in modo concordato,“volontariamente”, dei lavo­ratori più anziani, e quindi piùstanchi e meno efficienti, a fa­vore di nuove assunzioni di la­voratori giovani che assicuranoforze fresche al lavoro, senzaalcun costo aggiuntivo, anzi. Le

nuove assunzioni, infatti, in ca­so d'assunzione a tempo inde­terminato di disoccupati daalmeno 24 mesi, danno dirittoall'azienda ad uno sconto del50% sui contributi previ­denziali e assistenziali per 36mesi. Se poi i lavoratori sonoassunti con contratti interinali,e di conseguenza con diritti ri­dotti, i costi per l'azienda si ri­ducono ancora. Così l'azienda,con costi ridottissimi, puòpermettersi di spingere allapensione i più anziani, sosti­tuendoli con lavoratori giova­ni.

Le complicità di CgilCisl e Uil con i padroni

Più difficile la situazione per idieci licenziamenti. A finefebbraio la notizia non è ancorapassata in nessun giornale onotiziario locale. Della cosasanno solo i lavoratori, i diecidella squadra “minuto mante­nimento” (il reparto confinoall'interno dell'azienda dovesono finiti quelli che, a pareredell'azienda, non si sonocomportati “come dovevano”, eche ora, sempre secondol'azienda, “devono uscire”) etutti gli altri lavoratori che sonostati informati, con varie as­semblee, da Fim Fiom e Uilm.Pur essendo la trattativa sinda­cale ancora in corso, diversielementi si sono, però, già deli­neati. Il primo: la subalternitàdei sindacati concertativi che sisono preoccupati di nondisturbare l'azienda con catti­va pubblicità su quanto staavvenendo a danno dei lavo­ratori. Nessuna conferenzastampa o comunicato cheespliciti l'intenzione adopporsi alle intenzioni del pa­

drone. Sperano, evidente­mente, di riuscire a far sì chepadrone e operai trovino unaccordo su di una cifra dibuon'uscita per il licenzia­mento consensuale. Una pro­cedura che ha fatto infuriarealcuni dei dieci lavoratori inte­ressati che hanno denunciatoin assemblea come Cgil, Cisl eUil li abbia venduti per quattrodenari. Un sindacato che lavoriper un accordo privato traazienda e lavoratore dimostratutta la sua subalternità al po­tere padronale e dimostra lasua inutilità e pericolosità per ilavoratori. Inutilità perchéquesto lavoro sembra piùquello di un legale, che cercacioè, come nel suo ruolo, di li­mitare il danno; pericolositàperché i lavoratori non hannoun'organizzazione che li di­fenda e che risponda a loro ma,al contrario, chi dovrebbe esse­re dalla loro parte è più pre­occupato di apparireossequioso e attento alle ne­cessità padronali anziché aquelle dei lavoratori.

La necessità della lotta edell'unità di classe per

respingere l'attaccopadronale

I lavoratori hanno bisogno diun sindacato di lotta, un sinda­cato che s'impegni ad orga­nizzare una risposta adeguata,un blocco della produzione e ilrigetto dei licenziamenti edell'arroganza padronale. Il li­cenziamento non è materiacontrattabile da un sindacatoed è per questo che alcuni lavo­ratori delusi, in aperto contra­sto con l'atteggiamento di CgilCisl e Uil, stanno valutando di

restituire la loro tessera sinda­cale. Un'occasione improcra­stinabile questa, per ilavoratori, di organizzarsi in unsindacato di lotta anche dopol'ultimo episodio, in ordine ditempo, che ha visto finire alpronto soccorso un operaioimmigrato con una prognosi dicinque giorni, dopo che eraandato all'ufficio personale achiedere spiegazioni. Anchequi Fim Fiom e Uilm sono statesubito pronte a retrocedere:dopo un primo manifesto disolidarietà al lavoratore è arri­vato subito il dietrofront, conun comunicato in cui i delegatisindacali stessi hanno parlatopercontodell'azienda,comesel'azienda non avesse possibili­tà, e occasioni, per far sapere ailavoratori la propria posizione.La sezione di Vicenza del Parti­to di alternativa comunistaesprime solidarietà e vicinanzaai lavoratori delle acciaierieValbruna e invita i lavoratori anon retrocedere e a non divi­dersi. È urgente la costruzionedi momenti di lotta e di coordi­namento fra le varie lotte delPaese perché quello che staaccadendo in Valbruna è unaparte di un attacco generaleche il padronato sta condu­cendo da tempo a tutta la classelavoratrice, un attacco che nelmomento in cui è sferrato siserve abbondantemente dellacomplicità delle burocraziesindacali dei sindacaticoncertativi (Cisl e Uil in testa,ma anche Cgil e Fiom) e di chi,all'interno delle fabbriche e deiposti di lavoro, accetta divendere i propri compagni dilavoro per qualche privilegio.(27/2/2013)

AcciaierieValbruna:unesempiodicomeipadronisfruttanolacrisiMobilità e licenziamenti per gli operai più vecchi o scomodi e nuove assunzioni di interinali

Rogerio Freitas

Il II Congresso del Pdac hasancito tra le altre cose, lanascita ufficiale della se­zione di Napoli. Questo co­

stituisce da un lato ilriconoscimento di un lavorosvolto fino ad ora, e dall'altro unnuovo strumento molto prezio­so per lo sviluppo del nostropartito sul territorio partenopeoe non solo.

Il contesto

Napoli è una città particolare.Da un lato una storia, un patri­monio culturale e paesaggisticoda fare invidia al mondo. Edall'altro le problematicheannose, che attanagliano la cittàin una morsa letale e hanno fattodel capoluogo campano, lacapitale delle contraddizioni delcapitalismo italiano.Contraddizioni ampliate signi­

ficativamente dalla drammaticacrisi economica mondiale,scoppiata ormai 5 anni fa. Lapercentuale dei disoccupati, se­condo recenti sondaggi Istat, siattesta al 18 % , 45% se riferita aigiovani. Queste cifre non tengo­no in considerazione tuttavial'elevato tasso di popolazioneche è ancora in cerca del primoimpiego: i cosiddetti inoccupati.Per non parlare delle condizionidi vita degli immigrati. La prole­tarizzazione della piccolaborghesia è un fenomeno in ra­pida espansione: ne è la testi­monianza la chiusura di tanteattività commerciali. La povertàdilaga, con essa la criminalitàorganizzata, vista sempre piùcome unica possibilità di “lavo­ro”, e i suoi violenti conflitti inte­stini. In questo contestol'esigenza di lottare è forte. Èmolto forte. Tanto è vero che lemasse iniziano a muoversi, le

vertenze si moltiplicano ed èdifficile trovare un giorno dellasettimana dove, nella città nonci sia un'iniziativa, un'as­semblea, una manifestazione,un sit in di protesta, indetto dauna qualche realtà di movi­mento (operaio o studentesco).È in queste lotte che il Marxismorivoluzionario trova terrenofertile. Ed è su questo terrenoche Alternativa comunista trovala possibilità concreta di svi­lupparsi, di iniziare quel difficilepercorso di radicamento tra lemasse, necessario, anzi indi­spensabile per la rottura rivolu­zionaria di un sistema criminaledi oppressione e sfruttamentoche va sotto il nome di capitali­smo.

La nostra giovaneesperienza militante

Abbiamo avuto modo di cono­scere realtà in lotta come quella

dell'Eavbus, i cui lavoratori sisono visti caricare sulle spalle –già messe a dura prova – il pesodi un fallimento provocato dallacrisi del capitalismo e accele­rato dalle avide gestioni di que­sta o quella giunta regionale. Sisono visti imporre, con lacomplice passività dei sinda­cati, Il nuovo progetto tecnicogestionale, il quale prevede unulteriore taglio di 750.000Km/anno, con conseguenti esu­beri che si sommano a quelli giàprevisti sul finire del 2012 (circa250). Questo comporta, oltreall'utilizzo dei contratti di soli­darietà, anche l'abolizione deicontratti di secondo livello: ilche significa la perdita di ulte­riore salario da una busta pagagià ridotta all'osso. Abbiamocondiviso le loro lotte, non su fa­cebook, ma nelle strade e neglistabilimenti: a via nuova Agna­no come a via Galileo Ferraris(1).Siamo presenti nel movimentostudentesco. E lo siamo non insenso platonico, perché erava­mo nelle aule di Ingegneria aPiazzale Tecchio a interromperei corsi e parlare agli studenti didiritto allo studio, eravamo dalpreside della stessa facoltà,quando questi minacciò disgomberare l'aula occupata P3­2 Vincenzo De Waure, a riba­dirgli con chiarezza perché lasua storia non è la nostra(2). Era­vamo davanti alla Mostrad'Oltremare quando gli sbirrisparavano i lacrimogeni adaltezza d'uomo ai manifestantiche “non gradivano” la presenzadel ministro piangente Fornero.Eravamo per le strade il 14 No­vembre scorso durante lo scio­pero generale europeo, ederavamo sui binari della stazio­ne di Napoli Centrale, ad occu­

parli. Insieme a tanti altricompagni. Insieme a tantissimistudenti, precari, disoccupati,lavoratori. Insiemeatuttaquellamassa di donne e di uomini chenon ce la fanno più buttare giù ilboccone amaro di un debito chenon hanno contratto e di unacrisi che non hanno provocato.

La promessa

Nei limiti delle nostre ancormodeste forze noi eravamo pre­senti: con la nostra bandiera, lanostre parole d'ordine e il nostroprogramma di cambiamento. Econ le nostre modeste forze,nelle lotte, noi siamo presenti.Siamo presenti, come occu­panti, alla Brau, dove il bloccodel turn over e la carenza dipersonale, conseguenti allepolitiche di massacro sociale deivari governi borghesi, hannoportato a ripetute riduzionid'orario. Con le nostre forze econ le forze dei compagni chevorranno abbracciare il pro­gramma del sacrificio rivolu­zionario, Alternativa Comunistasarà presente. La Lit sarà pre­sente. Per costruire insiemequello treno indispensabile perdirigere le lotte nell'unico sensoche la storia potrà rivelarevincente: quello rivoluzionarioe socialista.

Note

(1) Strade dove sono dislocatidue stabilimenti della Eavbus.(2) In questa sede il Preside Sa­ladino rimarcò come gli stu­denti non potessero capire lasua posizione in quanto questinon potevano fregiarsi della suastoria. Un nostro compagno(Nicola De Prisco) ricordò luicome noi fossimo fieri di nonavere la sua storia.

Stopthetrain:vulimmsaglì!Nasce la sezione di Napoli di Alternativa Comunista

'

La nuova presidenza dello Ior è stataaffidata in extremis all'avvocato Ernstvon Freyberg, presidente della VossSchiffswerft und Maschinenfabrik , unasocietà di Amburgo attiva nellacantieristica navale civile e militare.Probabilmente il papa uscente si èanche preoccupato di rispondereindirettamente alla famosa domanda diStalin: "Quante divisioni ha il papa"?.Una bella corsa agli armamenti, conrelativa guerra, per il Vaticano, sarebbequanto di meglio per far dimenticare gliscandali. (a.)

"Non venite a rompermi i coglioni a mesulla democrazia ... Se c'è qualcuno chereputa che io non sia democratico, ...prende e va fuori dalle palle". Ma chil'ha detto, che Beppe Grillo non è più uncomico??? (k.)

Grande trionfo elettorale della lista delprof. Monti: ha preso il 10% in piùrispetto alle precedenti elezioni (vistoche partiva da 0) e il 10% in menorispetto alle previsioni iniziali. Labrillante e lungimirante operazionepolitica, fortemente voluta dagli statistiPierferdi Casini e Gianfry Fini, hascaraventato il secondo fuori dalparlamento, e il primo a percentualiinferiori addirittura a Rivoluzione Civile.A proposito di ingoiare... (a.)

Nella lista dei defenestrati dalparlamento ("trombati" sarebbealquanto inelegante) risultano anchePaola Acconcia, storica sdoganatricedi Casapound (altro che Grillo), e PaolaBinetti (storica sdoganatrice del cilicio).La leader LGBT senza steccati e laleader del cattosadomaso sono oraaccomunate non solo dal nome dibattesimo, ma dal dover promuovere ipropri ideali senza prebende erimborsi. Speriamo non finiscanoentrambe a Casapound, a prendersi acinghiate ai concerti nazi rock e adibattersi sul valore della famiglia. (a.)

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12 Marzo ­ Aprile 2013 PROGETTO COMUNISTAINTERNAZIONALE

Mariucha Fontana(Corriente Roja, sez. della Litin Spagna)

Lo scorso 23 febbraio, di­verse manifestazionihanno percorso l'interaSpagna. A Madrid, una

marea umana ha occupata laPiazza del Nettuno, facendoviconfluire quattro colonne giunteda diverse regioni. Le “maree ri­vendicative” hanno inondatomolte strade. Alla marea verde infavore dell'istruzione pubblica,a quella bianca contro la pri­vatizzazione della sanità, allanera in difesa delle miniere e allarossa in difesa del trasportopubblico, si sono aggiunti i piùdiversi settori in lotta, comequelli che lottano contro glisfratti o contro gli Ere(1) o lachiusura di imprese. “Ci sono fintroppi motivi per scendere inpiazza oggi”, ha evidenziato alquotidiano El Público RosaTorres, del comitato d'impresadella compagnia Ups, della dire­zione di Co.Bas e di CorrienteRoja, che insieme ad altricompagni sfoggiava ungiubbotto giallo scuro control'Ere che stanno subendo alla te­sta dello spezzone diretto daCo.Bas e Corriente Roja. Il corteopartito dal Ponte di Vallecascantava in coro: “Ci manca il de­naro, ce l'ha il tesoriere!”, “Go­verno: dimissioni! Corrotti eladroni!”. “Non sono suicidi, so­no assassini!” era un altro sloganlanciato per ricordare quelli che,per colpa di uno sfratto, si sonotolti la vita. Alla colonna di Colónpartecipavano minatori di Leóne di Aragón vestiti di nero e con icaschi. Inoltre, impiegati dellacompagnia aerea Iberia, con igiubbotti verdi, o donne con ma­gliette viola marciavano in dire­

zione di Piazza del Nettuno.Nella colonna di Embajadoreslavoratori della metropolitanacriticavano la riduzione dei lorosalari. Nella colonna di Sol ci so­no state ovazioni per i vigili delfuoco che si sono rifiutati diprendere parte agli sfratti. Némancavano attori e giornalisti li­cenziati da Telemadrid. Lagiornata del 23 febbraio è stataorganizzata al di fuori degliapparati burocratici e ancorauna volta si è riusciti a unificarenelle strade molti settori in lotta.Tuttavia, la burocrazia sindaca­le, quantunque screditata e incrisi, costituisce ancora un osta­colo importante nel momento diunificare i conflitti strutturali eimporre unitariamente i metodidi lotta della classe operaia. Laregione di Madrid ha registrato,fino al 15 febbraio, un totale di632 manifestazioni o concentra­zioni, una cifra doppia rispetto aquella registrata nello stesso pe­riodo dell'anno precedente. Piùdi 3.900 manifestazioni si sonosvolte nel 2012, una media didieci al giorno, giungendo inqualche giorno a 58. Lo scorsoanno si sono perse per scioperipiù di 40 milioni di ore di lavoro:il 187,34% in più rispetto al 2011.

Perchénonsiunificanolelotte?

Se i lavoratori lottano contro glistessi tagli, se gli sfratti non ca­dono dal cielo, se i provvedi­menti di austerità provengonotutte dal governo Rajoy e daglialtri governi delle autonomie,perché l'impegno a dividere lelotte? Il fatto è che la burocraziasindacale, i dirigenti di CC.OO. eUgt(2) prospettano al governo di“iniziare un processo di dialogosociale e concertazione”. Cioè laloro strategia consiste nel ca­

valcare le lotte senza nes­sun'altra intenzione se non “farepressioni sul governo” affinché liconvochi per negoziare un“patto sociale” e “adeguamenticoncordati”. E, se il governo noncede, le proteste debbono inde­bolirlo preparando il terrenoaffinché nelle prossime elezioniPsoe e IU(3) capitalizzino ilmalcontento e possano costitui­re un governo che non vadaaffatto a scontrarsi con i pianidella Troika, ma possa negoziareun piano “più morbido” di tagli epagamento del debito. Mentreapplicano questa strategia,parlano di “unità” per cercare“soluzioni realiste” impresa perimpresa, il che porta allaconcertazione e a trasformare isindacati in autentiche macchi­ne per firmare Ere. Con questapolitica consegnano alladisoccupazione i lavoratori delleimprese più piccole, mentrequelli delle aziende più grandientrano in una dinamica diconcessioni che preparano nuo­vi arretramenti. Si firmanoaccordi che prevedono tagli sa­lariali per “impedire licenzia­menti”, ma in poche settimane siperdono salario e posti di lavoro.E così via, in una spirale conti­nua.

La crisi della burocraziae la necessità di una

nuova direzione

I recenti scandali di corruzione,sommati all'approfondimentodella crisi economica e sociale,fanno crescere l'indignazione eanche la possibilità di unoscoppio sociale. Le cupole diCC.OO. e Ugt continuano ad es­sere parte integrante del regimedella Transizione(4) che stacrollando. Per il ruolo che

svolgono esse sono enorme­mente screditate, ma non sonoancora state del tutto sostituitedal nuovo, che ancora sta na­scendo. La crisi del governo èparte della crisi di un regime chesta crollando, consumato da unacorruzione che è diventata me­tastasi e colpisce tutte le istitu­zioni. Il bipartitismo si èesaurito. La spaccatura del Parti­do Popular si accompagna alfallimento del Psoe, che percorrela stessa strada del Pasok greco.Rajoy non vuole dimettersi oconvocare elezioni anticipate.Né il Pp, né il Psoe, né la Troika levogliono e vi ricorrono soloquando non hanno altri rimedi.Intanto, già si comincia a parlaredi un possibile “governo tecni­co” come quello di Monti. La pri­ma cosa da fare è far cadere ilgoverno e questo deve essere de­ve essere l'obiettivo di ogni mo­bilitazione. È necessariocostruire un altro sciopero gene­rale fino a cacciarlo. È necessarioinoltre riunire tutte le organizza­zioni e i movimenti sociali cherespingono la strategia diCC.OO. e Ugt per mettere apunto un piano di lotta unitarioche poggi sulla base del movi­

mento e per esigere da CC.OO.­Ugt e IU una unità d'azione fina­lizzata a respingere apertamentei decreti e provvedimenti chedistruggono diritti, cacciando ilgoverno Rajoy. Dopo il 23febbraio bisogna dare continui­tà all'unificazione e al coordina­mento delle lotte. Lo scioperogenerale del 14 novembre è statauna pietra miliare con la mas­siccia manifestazione alternati­va che ha riunito più di 60.000persone. Le organizzazioni delsindacalismo alternativo, i mo­vimenti sociali come quello del15M o del 25S(5) hanno evi­denziato che si trattava di unifi­care le lotte intorno arivendicazioni comuni: abbassoi tagli, no alla riforma del lavoro,no al pagamento del debito e noal patto sociale. Oggi, il sindaca­lismo di classe e alternativo èobbligato a continuare questopercorso unitario contro il go­verno. Si tratta di riprendere ilcammino unitario perché, dallabase e democraticamente, possalavorarsi per un incontro cheunifichi gli obiettivi di lotta e sta­bilisca un piano d'azione unifi­cato che deve avere comeobiettivo la convocazione di un

nuovo sciopero generale e comestrategia aprire una via d'uscitaoperaia e popolare alla crisi.(2/3/2013)

Note del traduttore

(1) Expedientes de regulación deempleo: si tratta di procedimentiamministrativi con cui impreseche ritengono di versare in catti­ve condizioni economicheottengono dalle autorità l'auto­rizzazione a sospendere o li­cenziare lavoratori.(2) Comisiones Obreras e UniónGeneral de Trabajadores, le dueprincipali centrali sindacalispagnole.(3) Cioè il Partito socialista e Iz­quierda Unida.(4) La Transizione è il periodostorico in cui si realizza il pas­saggio dal regime dittatoriale delgenerale Francisco Francoall'attuale regime democraticofondato sulla monarchia.(5)Rispettivamente,15maggioe25 settembre, le giornate in cuivennero realizzate due fra le piùgrandi manifestazioni degli ulti­mi tempi.

Matteo Frigerio

Trentasette e settanta. Ilquadro della crisi dellaFrancia e la perditacompleta di ogni resi­

duo di pudore della socialde­mocrazia francese (e per estesoeuropea, che aveva presentatoHollande come suo campione),nonché gli inganni insiti nel so­gno di un'Europa capitalista“sociale” alternativa a quella deitagli imposti dalla Germania edalla Troika (Fmi, Bce eCommissione europea).

Il massacro sociale...

Trentasette sono i miliardi di ta­gli e tasse approvati dal governodi Hollande per il 2013 che,neanche a dirlo, ricadono inmassima parte sulle spalle deilavoratori mentre la stampaborghese parlava solo delle mi­sure sensazionali, nonché inuti­li, che sono servite benissimoallo scopo di mistificare, finoanche a rovesciare apparente­mente, il contenuto di classedelle misure di austerità appro­vate dai “socialisti” francesi. Latanto sbandierata aliquota del75% che ha fatto scappare inRussia Gérard Depardieu è unaclamorosa “bufala”: doveva es­sere infatti un “contributo ecce­zionale di solidarietà” impostosui redditi da lavoro superiori almilione di euro. Non andavaquindi ad intaccare né i grandipatrimoni già accumulati, nétanto meno le rendite di tipoazionario e nemmeno i famosi“superbonus” dei grandi mana­ger, visto che la maggior parte diquesti sono corrisposti sottoforma di azioni e quindi non co­me reddito da lavoro. Insommauno specchietto per le allodoleche di fatto colpisce pochissimi,

forse solo gli attori e i calciatori.Invece l'imposta sul patrimo­nio, seppur con aliquote diversecomprese tra lo 0,55 e l'1,8%,colpisce tutti, col risultato di es­sere un'imposta regressiva chepeserà maggiormente sullespalle dei lavoratori e dei più de­boli. Inoltre, a compensare leperdite dei padroni ci pensano i20 miliardi di sgravi fiscali chesono stati approvati per leimprese francesi. Per i lavoriinvece 10 miliardi di tagli e l'au­mento dell'Iva. Ma questo è solol'inizio. Le poche misure che po­tevano potenzialmentedanneggiare le aziende sonostate magicamente scaricatesulle spalle dei lavoratori attra­verso una riforma del mercatodel lavoro che non avrebbe nullada invidiare a quella italianadella Fornero. Chi pensava cheun “nuovo corso” di sinistra,attento al lavoro e all'occupa­zione, potesse svilupparsi in Eu­ropa dalla vittoria di Hollande èstato clamorosamente smenti­to. Tra l'altro queste posizionierano condite da un certo scio­vinismo e revanchismo anti­te­desco: in questo disegnoHollande doveva essere il solita­rio paladino della sinistra che siopponeva ai disegni neoliberistidegli altri governi europei, di­fendendo i Paesi in difficoltà daulteriori tagli. Invece si può ve­dere benissimo come l'orienta­mento del governo franceseabbia ben poco a che fare con ilavoratori in quanto difendeesclusivamente gli interessi na­zionali della borghesia francesein rapporto alla borghesia tede­sca che è stata, per la sua forzaeconomica, egemone negli ulti­mi anni nell'Unione europea:questo è il senso del nuovo asseMonti­Hollande (che tra l'altro

sembrerebbe avere l'appoggiodegli Stati Uniti). Ma in definiti­va la differenza con la Germaniadella Merkel non è di idee, ma diinteressi materiali immediati,ed ecco perché Hollande, comegià la Fornero e il governo italia­no, riforma in senso tedesco ilmercato del lavoro (ossia preca­rizza il lavoro e la vita di giovani elavoratori) e opera i suddetti ta­gli. L'accordo, sottoscritto l'11gennaio tra l'associazione degliimprenditori e tre dei cinquemaggiori sindacati (non hannofirmato solo Cgt e Force ouvrie­re) e definito come l'intesa piùimportante degli ultimitrent'anni dal capo del governoAyrault e da Hollande come unsuccesso del dialogo sociale,serve a ridurre le disparità tra la­voratori garantiti e lavoratorinon garantiti, che nella neo­lingua della borghesia equivalealla precarizzazione generaledel lavoro. Questo accordo, chesotto forma di progetto di leggesarà esaminato dal parlamentofrancese a Marzo, prevede laflessibilità dei salari e degli oraridi lavoro, nonché la mobilità deidipendenti.

...e il massacroumanitario

All'inizio del nostro esame dellepolitiche del presidente “socia­lista” Hollande avevamo indi­cato due numeri esemplificatividi come il sogno di cambia­mento della socialdemocraziaeuropea sia in realtà un incuboper i lavoratori. Il numero 37indicava i miliardi di tagli e tasseche ricadranno sulle spalle deilavoratori a fronte di misure pu­ramente propagandistiche ri­volte “contro” i padroni e volte amascherare le molte concessio­ni fatte alla borghesia francese.

L'altro numero era 70, che sono imilioni che sono già stati spesidalla Francia per l'interventoimperialista nel Mali. Pre­sentato ufficialmente come unamissione anti­terrorismo,sembra essere, più che altro, unamissione volta a stabilizzarequella zona del Nord Africa occi­dentale in cui la Francia hatutt'ora dei forti interessi,avendo mantenuto dei“rapporti privilegiati” con le sueex­colonie: in particolare ci so­no in ballo gli interessi nellosfruttamento delle miniere diuranio. Anche se inizialmente laFrancia avrebbe preferito resta­re dietro le quinte e muovere allaguerra i suoi burattini, cioè i go­verni africani a lei legati, dandoloro solo un supporto logistico eforniture di materiali militari,Hollande, che pure durante lacampagna elettorale aveva di­chiarato di non volersicomportare come “gendarmed'Africa”, si è trovato nella ne­cessità di intervenire diretta­mente, per assicurare gliinteressi neocoloniali francesinelle ex­colonie africane ricchedi materie prime, continuandocon la linea politica dei socialistifrancesi almeno da Mitterand inpoi, che già nel '57 scriveva che“senza l'Africa non ci sarà unastoria della Francia nel XXI seco­lo”. Sia detto per inciso, questaposizione di Hollande lo rendenon poi così dissimile dal suopredecessore “gendarme d'Afri­ca” – Sarkozy che aveva dato ilvia ai bombardamenti sulla Li­

bia e addirittura il paladino dellasinistra europea finisce col ritro­varsi più a destra di alcuni “illu­stri” gollisti, come l'expresidente Giscard d'Estaing,che pensavano che la Franciadovesse dare semplicemente unsostegno logistico alle forzearmate africane ed evitareun'evoluzione dell'azionefrancese in Mali, che ha definitoesplicitamente come neocolo­nialista. Di fatto ora la Francia èimpegnata in un conflitto costo­so, da cui spera di disimpegnarsie cerca almeno il supporto dialtri Stati occidentali, per crearsiuna via d'uscita a breve termine.La guerra sta infatti costando aicontribuenti francesi la bellezzadi 2,7 milioni di euro al giorno,che appaiono elevati rispetto aicosti di altri conflitti in cui laFrancia è intervenuta negli ulti­mi anni, dalla Libia 1,6all'Afghanistan 1,4. Hollande hadichiarato di voler diminuire ilcontingente di 2500 soldatiimpegnati in Mali già da Marzoed ha chiesto aiuto economicoagli Usa, che hanno stanziato 50milioni per aiutare gli forzi mili­tari della Francia e del Ciad.Tutto questo in attesa della deci­sione del Consiglio di Sicurezzadell'Onu, su cui la Francia sta giàesercitando la sua pressione, didispiegare un contingente di6000 caschi blu, misura previstadalla risoluzione 2085. Questeforze dovrebbero permetteredelle nuove elezioni in estate,ma separerebbero di fatto in dueil Paese, posizionandosi come

un cordone sanitario e la­sciando il nord ai tuareg. Ovvia­mente l'intervento non serve adare una sistemazione equa alMali, ma a garantire gli interessidegli imperialisti nell'area,quindi perché preoccuparsi deiproblemi della popolazione?

Aprire gli occhi

Ecco il vero volto del governoHollande: antioperaio e guerra­fondaio, pronto a tutto pur dipiegarsi alla grandeur, allo scio­vinismo nazionale e quindiall'interesse della borghesiadella propria nazione, calpe­standoidirittideisuoicittadiniebombardando a fini “umanita­ri” chiunque possa mettere inpericolo gli interessi di rapinadelle imprese francesi che deru­bano le ex colonie. Con gli anni,la degenerazione della so­cialdemocrazia si è completatae, in verità già da qualche de­cennio, nelle formazioni chefanno riferimento alla Secondainternazionale, di sociale è ri­masto solo il nome e la capacitàdi socializzare le perdite dei pa­droni sulle spalle dei lavoratoriincontrando una minore resi­stenza sociale. Sarebbe ora che ilavoratori e gli intellettuali “disinistra” aprissero gli occhi esmettessero di dare il loroconsenso a queste formazioniche ormai bisognerebbe defini­re liberiste. Nulla di buono puòvenire da questi padroni fintiprogressisti. L'alternativa puòessere solo rivoluzionaria e diclasse. (2/3/2013)

Spagna:lelottenonsifermano!I lavoratori spagnoli avanguardia delle lotte in Europa

Francia:Hollande,unincuboperilavoratoriLacrémedellasocialdemocraziaeuropeaallaprovadeifatti

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PROGETTO COMUNISTA Marzo ­ Aprile 2013 13INTERNAZIONALE

Simone Tornese

L'Egitto tra crisi economicae instabilità politica

L'economia egiziana ha iniziatoad attraversare momenti parti­colarmente difficili proprio apartire dal 2011, nel periodo dimassimo sviluppo della rivolu­zione e più o meno in concomi­tanza con la cacciata di Mubarak.La disoccupazione giovanile siattestò fin da subito al 25%, in unPaese in cui solo tre cittadini sudieci sono sopra i trenta anni. Diconseguenza venne il resto: de­clino del turismo, blocco degliinvestimenti, inflazione cre­scente, forte indebitamento ealto deficit statale. A monte diquesti eventi stanno numerosifattori, connessi alla dipendenzadel Paese dal capitale internazio­nale, che affondano le loro radicinel passato. Grazie alla forte cre­scita economica registrata sottola dittatura di Mubarak e allacancellazione del debito estero,concesso nel periodo della primaguerra del Golfo, l'Egitto ottennelo status di “economia a redditomedio­basso”. Ma i costi di que­sto processo imperialista, avviatonegli anni sessanta da Anwar Sa­dat, li pagarono interamente icontadini e le masse popolari ingenere. Si innescò un forte pro­cesso di inurbamento che contri­buì a evidenziare l'insostenibiledisuguaglianza di benessere trala borghesia nazionale, l'unicanel Paese a godere i vantaggi delliberismo imperante, e le classisubalterne. Tutto ciò è stato allabase del processo rivoluzionarioesploso fin dagli inizi del 2011, edè uno dei motivi che lo scorso no­vembre ha costretto il governoMorsi a sottoscrivere un accordopreliminare con il Fondo Mone­

tario Internazionale per un fi­nanziamento di 4,8 miliardi didollari, nell'ambito di un pro­gramma che prevede un cambiosostanziale del sistema dei sussi­di e una nuova, impopolareimpostazione in tema fiscale.Morsi è stato però costretto a unprecipitoso dietrofront, a seguitodella fortissima reazione popola­re alle previste misure di incre­mento degli introiti fiscalimediante l'imposizione di nuovetasse su acqua, carburante econsumi elettrici, nonché sualcuni beni di largo consumo co­me sigarette, bevande e liquori.Per il momento, questo ulterioree durissimo attacco alle già mise­re condizioni di vita delle massepopolari è stato respinto. Le diffi­coltà economiche, intrecciatesiallo sviluppo della lotta di classe(che ha visto, tra l'altro, splendidiesempi di protagonismo operaio,come dimostrano i numerosiscioperi dei lavoratori dell'indu­stria tessile di Mahalla al­Kubra),hanno finito col condizionare eridefinire l'impianto politico eistituzionale del Paese. È statochiaro fin da subito che i FratelliMusulmani, saliti al potere nelgiugno dello scorso anno, nonavrebbero messo in discussione ilpotere della gerarchia militare,vero e proprio ponte di collega­mento con l'imperialismo, impe­dendo di conseguenza il realesvolgimento della rivoluzione. Siè avuta conferma, per l'ennesimavolta, della necessità di uno svi­luppo socialista delle rivoluzionidemocratiche nei Paesi di­pendenti, dato che le loroborghesie nazionali – come ha di­mostrato quella (peraltro in partereazionaria) dei Fratelli Mu­sulmani – non sono grado di farsicarico nemmeno dei compiti de­mocratici della rivoluzione, pri­

mi fra tutti l'indipendenzanazionale e la risoluzione dellaquestione agraria.

La situazione sociale epolitica inTunisia

LaTunisia è il Paese che di fatto hadato avvio al processo rivoluzio­nario che ha attraversato il NordAfrica. Gli avvenimenti storiciche hanno portato alla caduta diBen Ali sono il risultato di unlungo percorso di lotte e mobili­tazioni collettive, condotteprincipalmente da organizzazio­ni come il sindacato Ugtt, la Legatunisina dei diritti dell'uomo,l'Unione dei laureati disoccu­pati, le associazioni di migrantiecc. A queste si sono aggiuntenuove forme di coordinamento,tra cui quello dei blogger “yizzifok” e la coordinazione del 18ottobre 2007. In tale contesto lerivendicazioni “democratiche” sisono unite a quelle sociali ed eco­nomiche, permettendo l'avvio diquel processo rivoluzionario cheè tuttora in corso. Non passasettimana senza che si sentaparlare di scioperi generali diintere città, come quelli chehanno riguardato El Kef, Siliana,Ben Guerdan, Sidi Bouzid. I mo­vimenti di contestazione più de­terminati sono soprattutto quellilegati al tema della disoccupa­zione e delle disuguaglianzenello sviluppo tra le zone costieree il resto del paese.Vedono prota­gonisti giovani disoccupati pro­fondamente delusidall'immobilismo del governosulle questioni relative all'impie­go e alla riduzione delle disparitàregionali. Guardando ai nuovimovimenti sociali emergenti –come il gruppo “Manifesto 20Marzo”, il “Movimento NuovaGenerazione” o il “Forum dei di­ritti economici e sociali” – si nota

l'emergere di una nuova visionedella politica, che rompe sul pia­no organizzativo (e non solo) conle organizzazioni classiche. Ciòche contraddistingue questigruppi è il tentativo di creare unponte tra le cosiddette rivendica­zioni democratiche e le questionisociali, connesse al lavoro. Lemobilitazioni per sostenere idisoccupati si muovono in soste­gno alle doleances dei feriti dellarivoluzione, la difesa delle libertàindividuali inizia ad esserestrettamente legata alla rivendi­cazione di giustizia sociale, e lamobilitazione per i diritti dei mi­granti si unisce a quella contro gliaccordi di partenariato euro­me­diterranei. Come afferma uno deiragazzi coinvolti nella lotta, “labattaglia politica (condotta dalleforze politiche tradizionali, ndr) èevidentemente quella per laspartizione della torta, e non ciinteressa. Noi vogliamo lavoro,vogliamo uscire dalla miseria edal disprezzo dell'autoritàcentrale, e non siamo disposti atacere finché le nostre rivendica­zioni non saranno soddisfatte”.

La guerra civile in Siria

Ma le notizie più preoccupantidelle ultime settimane riguarda­no soprattutto la situazione in Si­ria. A fine febbraio, l'esercitosiriano ha intensificato gliattacchi con missili balistici nellearee controllate dai ribelli; tremissili sono stati lanciati sulla

città di Aleppo e uno nella vicinaTel Rifat: i morti ammontano adalmeno 141, di cui 71 bambini. Èl'ennesimo atto della repressionesanguinaria che negli ultimi mesiil governo di Assad ha note­volmente intensificato. Numero­se battaglie sono tuttora in corsoanche in altre zone di Aleppo,mentre l'aviazione di Assad habombardato a Rastan e Garnata,nei pressi di Homs, come anche aDaraya e Muadiamat al Sham, neisobborghi di Damasco, con i co­mitati di coordinamento localiche denunciano almeno una de­cina di morti. Per quel che ri­guarda le potenze internazionalidirettamente o indirettamentecoinvolte nella guerra civile siria­na, la Russia sostiene sempre ilgoverno siriano – anche perché èil suo ultimo punto d'appoggionella regione – mentre l'Europasta mettendo in opera sanzionieconomiche contro questo pae­se. La Lega Araba, da parte sua,tenta una mediazione fra i ri­voltosi e il governo, sempre pre­occupata che il contagio dellarivolta giunga fino alla penisolaaraba. Il governo turco vorrebbeinstaurare una “zona di sicu­rezza” nella parte della Siriaconfinante, e il governo franceseha proposto l'idea di stabilire un“corridoio umanitario” in territo­rio siriano. Come sempre,quando i governi imperialistiparlano di “missioni umanitarie”si intende che vogliano preparare

la guerra (come è avvenuto per ilMali). Dalla fine del 2010 la classelavoratrice ha subito ulterioriattacchialpropriolivellodivita: ilsalario, eroso dall'inflazione, nonriesce a soddisfare le esigenzeprimarie delle famiglie.Maggiormente colpite sono lezone rurali, in seguito al totalefallimento del piano di libera­lizzazione economica, come di­mostrano le sommosse avvenutea Daraa, Dariya, al­Moadamiya,Doma, Harasta, al­Tell, Saqba, al­Rastan eTalbisa. A ciò si aggiungel'impennata dei prezzi dei generialimentari di prima necessità,verificatasi anche negli altri paesiarabi. Il risultato è che, oggi,anche in Siria buona parte dellapopolazione vive al di sotto dellasoglia di povertà.

Conclusioni

Sono questi i veri motivi che sonoall'origine delle lotte eroichedelle masse popolari di questipaesi. La Lega Internazionale deiLavoratori,dicui ilPdacèsezioneitaliana, si schiera al loro fianco,nell'ottica della costruzione diuna Federazione delle Repubbli­che Socialiste Arabe e della crea­zione di un governo operaio econtadino. Per la caduta del regi­me di Assad! Per l'instaurazionedi un governo dei lavoratori per ilavoratori! Per il trionfo della ri­voluzione socialista mondiale!(1/3/2013)

a cura di Diego Rodriguez

Herbert, dall'Italia abbiamoseguito con moltaattenzione la vostra lottacontro la General Motors. Ci

puoi spiegare brevemente come sietearrivati alla situazione di scontro delloscorso gennaio?Questa situazione di scontro contro laGM risale al settembre del 2011, perché aquel momento risalgono le minaccedella GM contro gli operai. Il conflitto si èinasprito nel mese di gennaio, perché erail mese in cui era prevista la fine dellatrattativa per evitare il licenziamento di1800 operai. Per richiamare l'attenzionedella popolazione brasiliana, abbiamodato vita a varie manifestazioni, inclusal'occupazione per un'oradell'autostrada principale del Paese. Ègrazie a queste manifestazioni e allaresistenza dei lavoratori che l'azienda hadovuto fare marcia indietro.

Quali sono le ragioni che ha inventatola GM per licenziare i lavoratori eprocedere con il ridimensionamentodella produzione?La GM dice che ha bisogno di ridurre isalari e i diritti per avere un piano diproduzione più competitivo. In Brasile cisono grandi aziende di produzione di

automobili come la Ford, la Volkswagen,la Fiat, ecc. Il Brasile è uno dei principaliPaesi nel mondo di produzione e venditadi automobili. Per aumentare i loroprofitti, le aziende automobilisticheattaccano i lavoratori per abbassare icosti abbassando i salari. Per questo, laGM sta ricattando gli operai dicendo chese non accettano la riduzione dei salari lafabbrica verrà chiusa.

Durante l'occupazionedell'autostrada, i lavoratori reggevanouno striscione rivolto a Dilma Rousseff(attuale presidente del Brasile, inrappresentanza del Pt di Lula). Cheruolo ha giocato il governo “di sinistra”di Dilma in questo scontro?Il governo di Dilma ha fatto molto pocoper i lavoratori della GM. Piuttosto, ilgoverno ha aiutato molto le aziende conl'esenzione delle imposte come l'Ipi (latassa sui prodotti industriali). I governi diLula e Dilma sono stati il periodo in cui leimprese dell'automobile hanno fatto piùprofitti. Dilma avrebbe potuto attuaredelle misure concrete per evitare ilicenziamenti in Brasile, ma non lo hafatto perché il suo governo ècompromesso con le aziende. La cosapiù assurda è sapere che le aziendestanno ricevendo finanziamenti

pubblici dal governo e quelle stesseimprese licenziano i lavoratori!

La Csp­Conlutas (il più grandesindacato di base del Brasile edell'America Latina; è il primosindacato nello stabilimento GM di SaoJosé dos Campos, ndr), insieme con ilavoratori del settore automobilistico,ha portato avanti una lotta esemplarecontro i licenziamenti alla GM. Qualirelazioni ci sono state con gli altrisindacati brasiliani (burocratici) e con imovimenti sociali e le forze politiche?Molti sindacati e molte organizzazionedel movimento sociale hanno portatosolidarietà alla lotta alla General Motors.Ma purtroppo le più grandiorganizzazioni sindacali, come la Cut oForça Sindical, che avrebbero potutodare un appoggio alla campagna contro ilicenziamenti, hanno fatto ben poco.Questi apparati sindacali in realtàdifendono il governo Dilma e i suoiaccordi con i padroni.

Soffermiamoci ora sulla campagnainternazionale di solidarietà che avetepromosso e che si è concretizzataanzitutto nella giornata internazionalein solidarietà agli operai della GM, conmobilitazioni in vari Paesi. Che valoreattribuisci a questa iniziativa? Pensiche abbia dato un contributo allavostra lotta?La solidarietà internazionale e l'unità deilavoratori contro i padroni èfondamentale nella lotta contro gliattacchi e gli effetti del capitalismo. Èstato possibile costruire la giornatamondiale di lotta contro la GM il 23gennaio grazie alla comprensione, daparte di molti attivisti e sindacalisti, delfatto che l'attacco che la GM ha sferrato èlo stesso in molti Paesi del mondo.Osserviamocheglistessiattacchi,comeilicenziamenti e lo smantellamento deidiritti, avvengono in molti Paesi doveesistono fabbriche della GM. A Bochumin Germania la General Motors haintenzione di chiudere la fabbrica nel

2016, in Colomba e negli Usa la GMaccelera sul terreno dellosmantellamento dei diritti. La giornatamondiale di azione contro la GM, oltre afar conoscere al mondo gli attacchi diquesta multinazionale, è servita perdimostrare alle organizzazioni operaiedi tutto il mondo che solo l'unitàinternazionale dei lavoratori sarà ingrado di respingere gli attacchi delleaziende e del capitalismo.

Di fronte agli attacchi delle impresemultinazionali come la GM(delocalizzazioni, chiusura distabilimenti, riduzione dei salari peressere più “competitivi”, ecc.) qualeruolo può giocare il sindacalismo diclasse e alternativo? Di fronte altradimento globale dei burocratisindacali, di quali strumenti può

dotarsi la classe operaia internazionaleperfarfronteadattacchidiquestotipo?

La lezione che abbiamo imparato daquesta lotta contro al GM è che prima diogni altra cosa è necessario semprerestare con i lavoratori e dire loro semprela verità. Dico questo, perché moltiburocrati sindacali per mantenere i loroprivilegi devono mentire agli operai. Unaltro aspetto importante è la piattaformadi resistenza e di lotta. Se non siorganizzano lotte e manifestazioni diprotesta con gli operai, i padroni sisentono liberi di andare avanti coi loroattacchi. E, infine, la solidarietàinternazionale è molto importante, enon solo per le iniziative che sono statemesse in campo, ma anche per imessaggi di appoggio e solidarietà cheabbiamo ricevuto. (2/3/2013)

Dueannidopol'iniziodella“Primaveraaraba”Egitto,Tunisia,Siria: le rivoluzioni e i loro possibili sviluppi

Brasile: la lotta degli operai GM contro i licenziamentiIntervista a Herbert Claros,del Sindacato dei metalmeccanici della Csp­Conlutas

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14 Marzo ­ Aprile 2013 PROGETTO COMUNISTATEORIA E PRASSI

A proposito del “quaderno scomparso”: Gramsci tradito

Francesco Ricci

Sta facendo molto discu­tere il libro di Franco LoPiparo L'enigma del qua­derno(1). Ma è una

discussione surreale in cui i tanti(di fatto la maggioranza deglistorici di tutti gli orientamenti)che respingono lo studio e l'ipo­tesi di Lo Piparo fingono diperdere di vista il fatto che daottanta anni l'azione e l'opera diGramsci sono sistematicamentefalsificate da stalinisti, socialde­mocratici e liberali in un'opera­zione gigantesca iniziata daTogliatti, e che va ben oltre il casodel quaderno forse scomparso.Ma partiamo dall'inizio.

La ricerca di Lo Piparo

Franco Lo Piparo, filologo(2), hasvolto una indagine meticolosa eintelligente, avvalendosi delcontributo di storici e di grafolo­gi. Il suo denso libretto, che silegge come un giallo (ma che èdocumentatissimo e tutt'altroche “fantasioso”, a differenza diquanto hanno scritto la granparte dei recensori), rivela falsi­ficazioni certe operate da To­gliatti e dal Pci sugli scritti diGramsci e, sulla base di prove eindizi, avanza la ragionevoleipotesi che uno dei Quaderni diGramsci, scritto nella clinicaQuisisana, dove Gramsci (uscitodal carcere fascista dopo diecianni) rimase dall'agosto del1935 fino alla morte nell'aprile1937, sia stato fatto scomparireda Togliatti e dunque maipubblicato. Quel quaderno, se­condo Lo Piparo, o è statodistrutto o rimane ancora fra lecarte di Togliatti o di Piero Sraffa(che fu uno dei due “angeli cu­stodi” di Gramsci, insieme allacognata Tania) o chissà dove.

Gli indizi

Nelle 150 pagine del libro, Lo Pi­paro accumula una tale serie diindizi che se pure, ovviamente,non assicurano per certo l'esi­stenza di questo quadernoscomparso, comunque appaio­no sufficienti, a nostro avviso,per ritenere l'ipotesi avanzatanon solo possibile ma ancheprobabile. Non possiamoelencare tutte le scoperte fatte daLo Piparo nel suo accurato lavo­ro filologico. Basti qui dire che insvariate lettere, tra cui quelle diSraffa aTogliatti, diTogliatti al di­rigente russo Manuilski (non de­stinate al pubblico), si parlasempre di “trenta” quaderni(mentre noi ne conosciamo soloventinove, più quattro quadernidi traduzioni); che l'indaginefatta sulle copertine dei qua­

derni di Gramsci e sulle etichettee scritte apposte sulle copertinedimostra inequivocabilmenteche etichette e scritte non sonosolo di Gramsci e di Tania (la co­gnata che lo assisteva in Italia eche numerò i quaderni allamorte del dirigente comunista)ma vi sono segni inequivocabilidi manipolazioni, rinumerazio­ni, grafie successive dei “curato­ri”.

Le reazioni alla scopertadi Lo Piparo

La maggior parte degli studiosi,come dicevamo, ha respintol'ipotesi di Lo Piparo (in parte giàanticipata nel precedente librodi Lo Piparo, uscito un anno fa).Qualcuno cercando (senza riu­scirvi) di argomentare circal'impossibile esistenza di unaltro quaderno, qualcuno fa­cendodell'ironiasbrigativa. Ipiùaccaniti sono stati chiaramentegli storici ex stalinisti o ancoraoggi stalinisti o comunquetransitati nel Pd ma sempre fe­deli alla versione liturgica dellastoria del Pci tramandata dal to­gliattismo e dalla scuola di PaoloSpriano. Guido Liguori, autoreperaltro di testi interessanti (vediil riquadro bibliografico), ha li­quidato il libro di Lo Piparoparlando sul manifesto di “uncastello di congetture”(3).Sempre sul manifesto (che di­fende con fervore la versione delTogliatti curatore fedele), LuigiCavallaro(4) riprende la cantilenadel Togliatti “raffinato giocatoredi scacchi” che si limitò a fingeredi sostenere lo stalinismo per poimeglio allontanarsene con la“svolta di Salerno” (che in realtà,come è stato ampiamente dimo­strato da decenni fu decisa a Mo­sca in piena sintonia tra Stalin eTogliatti) e così intraprendere li­beramente la “via italiana al so­cialismo” che ha consentito lanascita di questa nostra bella Re­pubblica fondata sulla santa Co­stituzione ecc. ecc. È questo illeitmotiv anche dei dirigenti delPd. D'Alema(5) liquida tutto di­cendo che si tratta di un pretestoper attaccare le lontane radicidel Pd. Il quotidiano Repubblicaha dato ampio spazio alla vi­cenda ma tendendo a sostenerela tesi ufficiale, cioè quella del Pde dell'Istituto Gramsci e del suodirettore (Gramsci anti­stalini­sta perché, con Togliatti, padredelle varie giravolte che hannoportato il Pci da partito stalinistaa partito socialdemocratico einfine all'approdo liberale colPd), Giuseppe Vacca(6). Il qualeultimo, peraltro, a fronte dellaevidenza degli indizi trovati daLo Piparo ha ritenuto necessario

avviare una commissioned'inchiesta (di cui fa parte lostesso Lo Piparo): a indirettaconferma, appunto, che non sitratta di pure fantasie liquidabilicon un sorriso. Innumerevoli so­no stati gli interventi di vari altristorici e studiosi, vari oggi di areaPd e diversi di loro con trascorsistalinisti (qualche volta nonancora superati): AngeloD'Orsi(7), Gianni Francioni(8) masoprattutto Alexander Hobel evari altri del medesimo orienta­mento che si sono sfogati sul sitoMarx XXI (animato dallacorrente ex­Ernesto di Soriniecc., passata dal Prc al Pdci,sempre mantenendosi fedelenei secoli al togliattismo). Sidistingue in questo casosoltanto un togliattianoconvinto come Luciano Canfo­ra, che riconosce validità all'ipo­tesi di Lo Piparo, pur noncondividendone le conclusioni(che peraltro Lo Piparo tiene bendistinte dall'analisi scrupolosadei fatti), e cioè che nel quadernoscomparso potrebbero esserci leprove di un abbandono da partedi Gramsci del “bolscevismo”(termine col quale Lo Piparomette insieme Stalin e Lenin). Afronte degli elementi di indagineportati da Lo Piparo, diffi­cilmente confutabili nel merito,il leitmotiv dei suoi avversari èuno solo: perché mai Togliattiavrebbe pubblicato i Quadernidi un Gramsci eretico? avrebbepotuto semplicemente buttarlitutti. Se conosciamo Gramsci,concludono inesorabilmentetutti (Liguori, Cavallaro,Francioni, D'Orsi, ecc.), “lodobbiamo a Togliatti”. In realtàl'argomento è risibile: Togliattifece con Gramsci quanto Stalinaveva fatto con Lenin: loimbalsamò per meglio de­formarne e canonizzarne l'ope­ra, usandola come un solidopiedistallo su cui ergere nellarealtà la propria azione – cioè ilrovesciamento speculare di unpensiero che si andavamettendo sotto la teca di vetro.

Il vero caso Gramsci

Ovviamente gli avversari dellatesi di Lo Piparo hanno un puntoenorme a loro favore: siccomequesto eventuale quadernoscomparso non è stato ritrovato,non ve ne è prova: manca, infatti,il corpo del delitto. Dunque, so­stengono, l'onere della provaspettaaLoPiparoeachisostieneche ci sarebbe un quadernoscomparso. Il ragionamento insé non fa una grinza: se non fosseche Lo Piparo mette in fila, ripe­tiamolo, un numero tale di provedi falsificazioni sicuramenteavvenute sui quaderni diGramsci conosciuti e assommauna serie tale di altri elementiinspiegabili diversamente, chenell'insieme siamo di fronte aqualcosa di ben più consistentedi una semplice ipotesi. E nessu­no dei suoi contestatori (almenoa nostra conoscenza) è stato fi­nora in grado di fornire spiega­zioni diverse agli indizi di LoPiparo. Per questo concludonotutti ripetendo che “è grazie aTogliatti se conosciamo le operedi Gramsci”. Ma attraverso qualelavoro Togliatti ci ha “messo adisposizione” le opere di Grams­ci?Vale la pena di ricordarlo.

Il lavorio diTogliattiattorno

alle opere di Gramsci

Gramsci muore, ricordiamolo,nel 1937. La prima edizione dellesue lettere (in apparenza i testipiù innocui e per anni presentaticome tali, cioè come semplicetestimonianza di una espe­rienza umana) è stata pubbli­cata da Togliatti (che lecustodiva gelosamente)soltanto nel 1947. Cioè diecianni dopo la morte di Gramsci!

Non solo: come è risultato evi­dente dopo altri vent'anni la pri­ma pubblicazione delle Lettereera falsificata e monca. Solo nel1964 Togliatti mette a disposi­zione di Elisa Fubini e di Caprio­glio nuovi materiali per unapubblicazione “accresciuta”delle lettere di Gramsci per l'edi­tore Einaudi (edizione del 1965).Nella nuova raccolta compaionoben 119 lettere che non figurava­no nella prima edizione e vengo­no infine ripristinati riferimentiche nell'edizione del 1947 eranostati cancellati. Si tratta in parti­colare di riferimenti di Gramsci aBordiga, a Rosa Luxemburg, aLev Trotsky (degli ultimi duechiedeva di avere in carcere di­verse opere) o alla vicenda dellalettera di Grieco (su cui tornia­mo più avanti). Dunque il To­gliatti che secondo i suoisostenitori di ieri e di oggi “ci hafatto conoscere Gramsci” ha pri­ma aspettato dieci anni dalla suamorte per pubblicarne le lettere(certo, ci ripetono: “c'era laguerra e altre cose a cui pensa­re”); poi ha atteso altri venti anniper far uscire lettere tenute na­scoste e consentire la pubblica­zione integrale, non mutilata,delle prime apparse (e qui la scu­sa della guerra non c'è più). Enon è finita: bisognerà infattiattendere il crollo dello stalini­smo e vari anni ancora per arri­vare alla pubblicazione – nel1997! – delle risposte di chi corri­spondeva con Gramsci, e inparticolare delle lettere di Tania.L'edizione completa di questocarteggio, che ha gettato nuovaluce sul reale significato di moltelettere di Gramsci, chiarendoallusioni e frasi che parevanopoliticamente insignificanti, èstato fatto, ribadiamolo, nel 1997(da Daniele e Natoli(9)): cioè ses­sant'anni dopo la morte diGramsci. E tutto sommatol'amorevole cura riservata dalPci alle Lettere è poca cosa ri­spetto a quella dedicata ad altriscritti ancora più direttamentepolitici. Gli scritti di Gramscisull'Ordine Nuovo, che per la lo­ro chiarezza non davano spazioad “interpretazioni”, sono statiripubblicati solo nel 1966!Quanto ai Quaderni dal carcere,anche ammettendo che sianotutti (e dunque che non esista unulteriore quaderno occultato), èbene ricordare che la prima edi­zione “tematica”, curata da Feli­ce Platone e personalmente daTogliatti, fu fatta tra il 1948 e il1951 (e qui torna la scusa dellaguerra che impediva di occu­parsene). Ma fu un'edizionetalmente manipolata da rendereincomprensibile gran parte deitesti. Si dovettero aspettare qua­si altri trent'anni perché fi­nalmente, nel 1975, fossepreparata una edizione dei Qua­derni così come erano statiscritti, curata da ValentinoGerratana per Einaudi. Rispettoalla prima edizione, tra l'altro,furono anche qui (come per leLettere) ripristinati interi pas­saggi che erano stati censurati. Èlo stesso Gerratana (storico pe­raltro di stretta ortodossia to­gliattiana) ad ammetterlo invarie occasioni (quando ormaiqueste cose si potevano dire conpiù facilità). Ad esempio inun'intervista del 1987(10)

Gerratana confrontando l'edi­zione da lui curata con quella diPlatone­Togliatti concede chenella prima edizione dei Qua­derni “(...) talune affermazionifurono espunte, altre delimitate,altre temperate. Gli apprezza­menti di Trotsky, laddove nonc'era anatema, furono tolti (...).”Riassumendo: sappiamo percerto che le Lettere furono peranni in parte tenute negli archividel Pci e infine pubblicate contagli e censure; che la stessa sorteconobbero i Quaderni. Eppuretutto questo – che è cosa nota da

ben prima che Lo Piparo inizias­se la sua indagine su questo ipo­tetico quaderno scomparso – èrimosso dai critici stalinisti o exstalinisti, riformisti o liberali diLo Piparo. Tutti pronti a esclude­re per principio che Togliattiabbia potuto nascondere unquaderno di Gramsci e tuttiimpegnati a ripeterci la storiellasecondo cui è grazie aTogliatti seconosciamo Gramsci... Ma nonfu forse Togliatti, come riportaLo Piparo, a scrivere il 31 apriledel 1941 a Dimitrov(11) “(...) i qua­derni di Gramsci, che io ho giàquasi interamente studiato concura, contengono talvolta unmateriale che può essere uti­lizzato solamente dopoun'accurata redazione. Senzauna tale redazione il materialenon può essere utilizzato e addi­rittura alcune parti, qualora fos­sero utilizzate nella formaattuale, potrebbero non giovareal partito. Perciò ritengo che sianecessario che il materiale ri­manga nel nostro archivio e chequi venga lavorato. [in modo che(...)] tutto sia utilizzato come èopportuno e necessario.”? Èforse il caso di aggiungere che ilcandore con cui i vari Liguori,Cavallaro e compagnia guarda­no alla storia del Pci e dello stali­nismo rimuove alcune cose chesono certe e provate da oltreottant'anni e che non richiedo­no studi filologici sullo stile diquelli che Lo Piparo sta dedi­cando ai Quaderni di Gramsci. Ècerto e provato da tempo che lostalinismo (di cui Togliatti fu tra imassimi e convinti dirigenti)falsificò regolarmente atti, do­cumenti e storia del movimentooperaio. Il primo falso fu proba­bilmente quello operato diretta­mente da Stalin sul Testamentodi Lenin (ne abbiamo parlatodiffusamente nel numero 2 dellarivista Trotskismo oggi(12)). Furo­no falsificati i libri di storia, attri­buendo a Stalin un ruolo che maiebbe nella rivoluzione. Furonofalsificate persino le fotografie.Su un cumulo di menzogne e difalsificazioni furono costruiti iProcessi di Mosca nei quali, ametà degli anni Trenta, furonoaccusati di essere agenti “fascio­trotskisti” i principali dirigentidella rivoluzione d'ottobre. Bi­sogna forse ricordare a Liguori eagli altri che Togliatti aveval'incarico di propagandareall'estero la giustezza di questiprocessi (contro coloro che defi­niva nei suoi articoli: “agenti delfascismo in seno al movimentooperaio”) e che continuò a farlocon così tanto zelo che ancoranel 1956, a due anni dalla mortedi Stalin e nel pieno della co­siddetta de­stalinizzazione,continuava a difendere la so­stanziale correttezza di quellemostruose falsificazioni cheportarono al massacro di centi­naia di rivoluzionari, definendo­li “terroristi”? Noi non sappiamose la tesi di Lo Piparo sul qua­derno scomparso troverà maiverifica: se cioè il quaderno saràmai ritrovato. In ogni caso è utilerammentare che se esistente es­so sarebbe stato scritto daGramsci nell'ultimo periododella sua vita quando, nella clini­ca Quisisana, si intratteneva conSraffa (fu Sraffa a testimoniarlo aLeonetti) sui Processi di Mosca ene parlava con disgusto per lefalse “confessioni” estorte (conla pistola alla tempia dei familia­ri) a grandi rivoluzionari che“confessavano” inesistenticomplotti orditi insieme ai fasci­sti e a Trotsky contro la Russia.

La rottura tra Gramsci eTogliatti

Decine di documenti emersi da­gli archivi russi dopo il crollodello stalinismo e centinaia distudi storici hanno reso possibi­le conoscere da anni alcuni fatticerti, che persino gli storici che

vogliono cercare in qualche mo­do di tutelare Togliatti hannodovuto ammettere. Non possia­mo ricostruire qui, per ragioni dispazio, questo enorme lavoro divero e proprio scavo archeologi­co che è stato necessario fare perportare alla luce almeno in partela storia reale del Pci che è intante parti ben diversa da quellache si trova nella storia ufficialedi Paolo Spriano e degli altri sto­rici stalinisti autorizzati. Provia­mo a riassumere alcune coseormai appurate e incontestabili.

La lettera del 1926

Nel 1926, poco prima di finire incarcere, Gramsci assunse unaposizione critica nei confrontidei vertici del Partito comunistarusso e per questo ebbe un duroscontro con Togliatti. Il 14 otto­bre del 1926 scrisse, a nome delladirezione italiana, al ComitatoCentrale del Pc russo. Quellalettera non indica per nulla (adifferenza di quanto ha volutosostenere chi ha cercato diaccreditare l'immagine di unGramsci più o meno trotskista inquel periodo(13)) che Gramsciabbia in quei giorni preso posi­zione contro Stalin. Al contrario,in quella stessa lettera (e nelsuccessivo scambio con To­gliatti) Gramsci sostiene chesulla linea generale la ragione èdalla parte della maggioranzarussa contro Trotsky. Tuttavia,nel fare questo, Gramsci: a) criti­ca aspramente i metodi impie­gati contro l'opposizione (all'oradiretta da Trotsky, Kamenev eZinovev); b) scrive alla direzionedi Stalin che con simili metodiche inibiscono il dibattito (e checondurranno, aggiungiamo noi,dopo poco all'espulsione dagliorganismi dirigenti e poi dalpartito degli oppositori) “(...) voioggi state distruggendo l'operavostra, voi degradate e correte ilrischio di annullare la funzionedirigente che il Pc dell'Urss ave­va conquistato per l'impulso diLenin”; c) indica in Trotsky, Ka­menev e Zinovev (cioè quelli chegià vengono dileggiati e trattaticome nemici) come “i nostrimaestri”, coloro che “hannocontribuito potentemente aeducarci per la rivoluzione”. So­prattutto, nel pieno delloscontro sulla pseudo­teoriadella “rivoluzione in un Paesesolo”(cheservedacoperturaallaburocraziapermetterealriparoipropri privilegi burocratici dallosviluppo di una rivoluzioneinternazionale che li avrebbespazzati via), Gramsci arriva acriticare Stalin perché “(...) cipare che [dimentichiate] che ivostri doveri di militanti russipossono e debbono essereadempiuti solo nel quadro degliinteressi del proletariatointernazionale.” Ripetiamolo:Gramsci, nello scrivere tuttociò(14), si schiera comunqueesplicitamente (e ciò non va di­menticato nel giudiziocomplessivo sulla sua figura, sucui arriveremo tra poco) con lamaggioranza (cioè con Stalin)ma lo fa in un modo così criticoche certo non può già più essereaccettato in una Internazionalecomunista in cui la pratica dellalibera discussione interna,normale ai tempi della direzionedi Lenin e Trotsky, venivacancellata. Non è un caso cheTogliatti,cheèaMoscaericevelalettera, si rifiuta di inviarla al Co­mitato Centrale russo. Da quiscaturisceunoscambiodiletteretra Togliatti e Gramsci in cuimentre il primo (lettera del 18ottobre 1926) spiega perché nonè opportuno permettersi di cri­ticare la direzione di Stalin ri­schiando di apparireequidistanti nello scontro russotra opposizione e maggioranza(alla quale, viceversa, bisogna“aderire senza limiti”), il se­condo risponde (lettera del 26

Ottant'anni di falsificazioni di stalinisti,riformisti e liberali

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PROGETTO COMUNISTA Marzo ­ Aprile 2013 15TEORIA E PRASSI

ottobre 1926) che questoatteggiamento di Togliatti gli hafatto “un'impressione penosis­sima” e l'intero ragionamento diTogliatti gli appare “viziato diburocratismo”. È la prima rottu­ra di fatto tra i due. Gramsci pocodopo (8 novembre del 1926) vie­ne arrestato e incarcerato daMussolini.

Il dissenso di Gramsci incarcere

Gramsci in carcere non condivi­de per niente le sceltedell'Internazionale e in partico­lare dissente sicuramente sullalinea del “terzo periodo” (o “so­cialfascismo”). Su questo esisto­no ormai ampie prove che siaggiungono alle testimonianzedirette: c'è il rapporto di AthosLisa (in carcere con Gramsci)indirizzato alla direzione delPci(15); c'è la testimonianza diGennaro Gramsci (il fratello) ri­lasciata nel 1966 al biografo diGramsci, Giuseppe Fiori(16), incui Gennaro sosterrebbe (ilcondizionale è dovuto al fattoche Gennaro morì poco dopoaver parlato con Fiori e non ci so­no prove di questa conversazio­ne) che nell'inviare il propriorapporto al Pci(17) dopo aver fattovisita a Gramsci in carcere nelgiugno 1930 egli (Gennaro)avrebbe mentito nascondendoal partito il dissenso di Gramsciche si era con lui espresso su po­sizioni simili a quelle dei “tre”(Tresso, Leonetti, Ravazzoli) chesi batterono in quegli anniall'opposizione di Togliatti e inconcordanza con le posizioni diTrotsky. Gennaro avrebbe, se­condo Fiori, mentito per evitarea Gramsci di essere espulso dalpartito come già accaddeappunto ai “tre” (e a tanti altri).La storiografia ufficiale del Pcinon ha mai preso per buona laversione di Fiori. Non vi è un attodi espulsione di Gramsci dalpartito, ma è certo che gli altricarcerati comunisti ne chieserol'espulsione proprio per il dis­senso con la linea ufficiale chemanifestava nei colloqui con lo­ro. Dunque come minimo si de­ve ammettere – e lo fa persinoValentino Gerratana, storico delPci e curatore dell'edizione del1975 dei Quaderni – che Gramsciera “piuttosto emarginato” incarcere(18). Se Gramsci non fuespulso fu solo, come sostienegiustamente Antonio Mo­scato(19), perché era chiaro chenon sarebbe mai sopravvissutoal carcere e si preferiva tenerenascosto il suo dissenso. Grams­ci manifesta il suo dissenso nonsolo nei colloqui con gli altri co­munisti incarcerati ma anchecerca di fare conoscere la suaopinione agli altri dirigenti delPci. Ad esempio lo fa in una lette­ra del 1 dicembre 1930(20) alla co­gnata Tania (che trasmettevatutte le lettere a Togliatti). QuiGramsci critica duramente il“carattere rozzo” del marxismoche è “diventato imperante”nell'Internazionale dominatada Stalin. Togliatti sa del dis­senso di Gramsci, e cosa fa?All'epoca chi dissentiva veniva,nel migliore dei casi, espulso dalpartito; più normalmenteinviato in un gulag o ucciso. Solouno storico di parte (stalinista)come Paolo Spriano potè averel'impudenza di scrivere che To­gliatti, pur sapendo del dissensodi Gramsci, lo rispettava inquanto “Togliatti ha come

norma di non drammatizzare ildissenso”(21).

La“strana”lettera diGrieco

Nel febbraio del 1928 Grieco(braccio destro di Togliatti) scri­ve tre strane lettere a Gramsci,Terracini e Scoccimarro, che so­no in carcere. Si tratta di letteresu cui gli storici non hanno fino­ra trovato un accordo se non sulfatto che sono quanto meno“strane”, sembrano quasi delleprovocazioni, sicuramente nonfacilitano la posizione dei pri­gionieri. C'è chi ha scritto che lalettera di Grieco a Gramsci fu unatto di “leggerezza” (è la tesi diAldo Natoli(22)); chi ha ipotizzatoche possa essersi trattato di unfalso della polizia fascista opersino che Grieco stesso fosseun infiltrato dei fascisti (è la tesidi Canfora(23)). La preoccupa­zione tanto di Natoli come diCanfora è quella di togliere a To­gliatti ogni responsabilità perquesta lettera dannosa. Altri, inparticolare Giuseppe Vacca,hanno con facilità dimostratocome una tesi a lungo sostenutada alcuni, e cioè che la letteraavrebbe compromesso la posi­zione processuale di Gramsci,confermandolo come principa­le dirigente del Pci, è infondata,in quanto i fascisti già conosce­vano l'organigramma (ovvia­mente segreto all'epoca) del Pcie soprattutto perché la letteraarrivò quando l'istruttoria delprocesso era ormai conclusa.Infatti: ma il punto è un altro. Èormai certo che i sospetti diGramsci a proposito di questalettera erano riferiti non al pro­cesso ma ai tentativi di suascarcerazione. È infatti suffra­gato da numerose prove (lo rico­noscono anche Vacca e Rossi(24))che Stalin non fece nulla perottenere la liberazione diGramsci (e, aggiungiamo noi,anche in ciò vi era totale sintoniacon Togliatti e il Pci). In ogni ca­so, ciò che importa è che Grams­ci si convinse che la lettera diGrieco fosse stata scritta voluta­mente per far saltare il tentativodi sua scarcerazione perché, ve­nendo letta dai suoi carcerieri (aGramsci fu esibita dal suo giudi­ce, che ironizzava sugli “amici”che lo compromettevano in quelmodo), spezzava l'esile filo cheGramsci stava intessendo. Ciòperché nella lettera si presenta­va l'eventuale scambio di prigio­nieri non come una“concessione” di Mussolini aMosca (in un rapporto tra Stati)ma come una vittoria strappatafurbescamente dal Pci (cosa che,ovviamente, non poteva cheindisporre Mussolini indu­cendolo a interrompere ognitrattativa). Non solo: Gramsciera convinto che il veromandante di quella “strana”lettera fosse Togliatti. In unalettera a Tania del 5 dicembre1932 Gramsci scrive che la lette­ra è stata scritta da uno “irre­sponsabilmente stupido”(Grieco) ma che è convinto che“qualche altro, meno stupido, loabbia indotto a scrivere” (il rife­rimento evidente è a Togliatti, dacui Grieco dipendeva gerarchi­camente nel partito). È da quelmomento che la rottura con To­gliatti, iniziata nel 1926, divente­rà definitiva. Gramsci rimarràconvinto (lo testimoniano tuttele lettere purgate dalla primaedizione curata da Togliatti) cheTogliatti volesse in ogni modolasciarlo in carcere a causa dellesue posizioni in dissenso conquelle dominanti nell'Interna­zionale, cioè le posizioni di Sta­lin e Togliatti. È per questo cheraccomandò alla cognata Tania(la cosa è riportata da Tania allasorella Giulia, moglie di Grams­ci, in una lettera del 5 maggio1937), uscendo dal carcere perandare in clinica, che i suoi qua­derni non fossero in alcun modoaffidati a Togliatti che definì “examico” e che (v. lettera del 27febbraio 1933) includeva inquell'“organismo molto più va­sto” di “condannatori” che si unìal Tribunale speciale fascista per

non fargli mai più respirareun'aria senza sbarre.

Gramsci stalinista?liberale? trotskista?

Alla morte di Gramsci, su LoStato operaio, organo del Pci, siscrisse che nelle opere (alloraancora inedite) elaborate daGramsci in carcere si sentival'influsso esercitato su di luidallo studio delle opere di Stalin.Abbiamo visto la profonda falsi­tà di questa affermazione. Eppu­re da ottant'anni il pensiero diGramsci viene conteso (e tradi­to) non solo dagli ultimi stalinistirimasti ma anche da socialde­mocratici e liberali. Ognunocerca di accreditarsene l'eredità.In risposta a queste forzature efalsificazioni, vari autori che sisono in qualche modo richia­mati al trotskismo hanno incli­nato il bastone in senso opposto.Abbiamo già detto dei tentatividi Livio Maitan specialmenteper accreditare l'idea di unGramsci che, una volta guada­gnato alle posizioni di Lenin eTrotsky e alla battaglia control'ultrasinistrismo di Bordiga, sa­rebbe rimasto sempre di fatto untrotskista più o meno inconsa­pevole, passando in modo linea­re dalla lettera del 1926 aldissenso di inizi anni Trenta finoalla morte. Molto più ponderataci sembra l'analisi che fece a suotempo Roberto Massarinell'introdurre e pubblicare iBollettini della Nuova Opposi­zione Italiana (Noi) di Tresso,Leonetti e Ravazzoli. Massari (v.bibliografia) giustamente evi­denzia le diverse posizioni diGramsci e distingue tra unGramsci che a Vienna, agli inizidel 1924, appena tornato da unlungo soggiorno a Mosca (du­rato dal 1922 al novembre 1923)dove è stato fortementeinfluenzato dall'incontro conTrotsky, prende inizialmente ledifese della nascente opposizio­ne russa allo stalinismo; unGramsci che per il resto del 1924e fino al 1926 sostanzialmente sidisinteressa dello scontro in attoin Russia e con un'ottica nazio­nal­comunista si preoccupa so­lo della sua battaglia in Italiacontro Bordiga; il Gramsci chescrive nell'ottobre 1926 per dareun debole e critico e non argo­mentato sostegno alla maggio­ranza di Stalin, pur rivendicandoil suo “maestro” Trotsky; ilGramsci che in carcere sviluppaposizioni oggettivamente ostilialle varie giravolte della politicastaliniana fino a collocarsi neifatti fuori dal partito di Togliatti.Non ci convincono le conclusio­ni di Massari, che tende a ridi­mensionare i gravi errori diGramsci (pur riconoscendoli) eche finisce con il sostenere, purcon argomenti ben diversi daquelli di Maitan, che in sostanzala stessa Noi, e cioè la primaforma di trotskismo in Italia,nacque sotto il segno diTrotsky eGramsci. Conclusione zoppi­cante perché Tresso e gli altri fe­cero appunto ciò che Gramscinon fece (forse, non lo escludia­mo, anche perché il carcere limi­tò la sua capacità dicomprendere fino in fondo la si­tuazione): cioè si schieraronocon Trotsky e dunque prosegui­rono con lui la “ultima battagliadi Lenin”, quella contro la dege­nerazione burocraticadell'Internazionale comunista.Tuttavia di grande importanza èquesta differenziazione tra variperiodi di Gramsci su cui Massa­ri ha richiamato l'attenzione perprimo. Importantissime (e spes­so sottovalutate) sono allora lelettere di Gramsci a Togliatti,Terracini ecc. scritte nei primimesi del 1924 da Vienna. Qui(25)

Gramsci scrive che nel 1917 “Le­nin e la maggioranza del partitoera passato alle concezioni diTrotsky” (sulla rivoluzionepermanente) mentre all'oppo­sizione di questa linea (cioè dellalinea che portò alla vittoriosa ri­voluzione) stavano Kamenev eZinovev che sfiorarono la scis­sione. Dunque Trotsky si pre­occupa a ragione, scrive

Gramsci, “di un ritorno allavecchia mentalità” (cioè alle po­sizioni di Kamenev e Zinovev del1917) “che sarebbe deleteria perla rivoluzione”. Ricordiamo allettore che nel 1924 Kamenev eZinovev sono ancora alleati conStalin. È agli inizi del 1924,dunque, che Gramsci si diced'accordo con Trotsky: eppure èindubbio che a queste parolenon corrisponderà nel crucialeperiodo successivo una suaeffettiva partecipazione allalotta condotta dal bolscevismoautentico contro Stalin: anzi,nella già citata lettera del 1926 silimiterà a dei distinguo da Stalino, per meglio dire, a sostenerlo,seppure molto criticamente.Perché? Una incomprensione diquella che era la vera posta ingioco? Un gigantesco errore divalutazione? È difficile dirlo. Re­sta il fatto – è giusto riconoscerlo– che a schierarsi apertamentecon la battaglia internazionaledi Trotsky per un certo periodofu in Italia soltanto AmadeoBordiga. E lo fece a partire dal VIesecutivo allargato dell'Interna­zionale, nel marzo 1926, quandochiese un incontro della delega­zione italiana con Stalin e loattaccò pesantemente: al cheStalin gli rispose “Dio vi perdonidi averlo fatto”. Non ci è dato sa­pere se dio perdonò Bordiga ri­sparmiandogli l'inferno cuisiamo destinati tutti noi comu­nisti: certo Stalin non lo perdo­nò. Fu dunque Bordiga asostenere Trotsky, quello stessoBordiga contro cui Trotsky avevaarmato da un punto di vista teo­rico Gramsci nel 1922­1923affinché, tornato in Italia, svi­luppasse quella necessaria lottapolitica per liberare il Pci dai ma­li dell'ultrasinistrismo che neavevano paralizzato l'azione neisuoi anni iniziali (lotta culmi­nata nella vittoria schiacciantedi Gramsci al Congresso di Lionedel 1926, condotta anche conmetodi non esattamente demo­cratici). Bordiga peraltro neglianni seguenti non darà corso aquesto breve avvicinamento aTrotsky e riprenderà, coi suoi se­guaci, un cammino che giusta­mente Trotsky definirà esserequello di “una morta setta” chespera “che l'avanguardia delproletariato si convinca da sola,attraverso lo studio (...) della giu­stezza delle loro posizioni”(26). EGramsci? Gramsci in carcere svi­luppò, è vero, su alcune posizio­ni un atteggiamento simile aquello dell'opposizione trotski­sta ma maturò anche posizioniche, seppure non furono di di­leggio di Trotsky, come hacercato di far credere il Pci, certonon convergevano con il pro­gramma della rivoluzionepermanente. Molte sono infattile ambiguità delle posizioni ulti­me di Gramsci, molti sono iconcetti che si ha difficoltà adannoverare come uno sviluppodel marxismo sulle sue basi. Nonpossiamo qui dedicare lo spazioche sarebbe necessario per ana­lizzare oltre alle scelte politiche(come qui abbiamo fatto) anchei testi di Gramsci: ci ripromettia­mo di farlo in un futuro articolo.A una certa canonizzazione diGramsci e a una sopravvaluta­

zione dei Quaderni ha contri­buito non solo lo stalinismo (cheaveva solo l'intento di falsarlo)ma anche tanti anti­stalinistiche cercavano in qualche mododi recuperare Gramsci sotto leincrostazioni della falsificazionestalinista. Lo studio sulla figuradi Gramsci e su quanto della suaopera possa ancora oggi servireai rivoluzionari va proseguito,senza tacerne i gravissimi erroricentristi e tra essi specialmente ilnon essersi schierato – nel mo­mento decisivo – con Trotsky econ l'opposizione bolscevica.Tuttavia, ed è questa la conclu­sione di questa nostra lunga ri­flessione, resta fuori di dubbioche, a prescindere dall'esistenzao meno del quaderno ipotizzatada Lo Piparo, la figura di Gramscinon può essere in alcun modo ri­vendicata né dagli stalinisti nédai riformisti né dai liberali.Gramsci ragionò sempre con lasua testa e, a differenza di To­gliatti, non si piegò mai a soste­nere per opportunismoburocratico posizioni che noncondividesse. Per questo, di làdai suoi errori centristi, fu un ri­voluzionario non assimilabile,per quanti sforzi hanno fatto efaranno i suoi “interpreti” diso­nesti, a qualsivoglia difesadell'ordine di cose esistente ealla collaborazione di classe.

Note

(1) F. Lo Piparo, L'enigma delquaderno. La caccia ai mano­scritti dopo la morte di Gramsci(per questo e per gli altri libri ci­tati nelle note gli estremi biblio­grafici precisi, se qui nonriportati, si trovano nella Notabibliografica in queste pagine).(2) Lo Piparo si è già occupato diGramsci in vari precedenti lavo­ri: alcuni dedicati a questionilinguistiche e uno, recente, dedi­cato alla prigionia di Gramsci (v.Nota bibliografica).(3) Guido Liguori è tornato piùvolte sul tema: si vedano:“L'invenzione di un teorico libe­rale. Antonio Gramsci secondoFranco Lo Piparo” (manifesto 2febbraio 2012) e “Un revisioni­smo storico in nome del bene as­soluto” (manifesto 2 marzo2012), a proposito del libro ante­cedente di Lo Piparo, e poi “Unaspy story colma di congettureirrisolte” (manifesto, 19 febbraio2013) che si riferisce al libro di LoPiparo di più recente uscita (v.nota 1).(4) L. Cavallaro, “Gramsci, millee una eresia” (manifesto, 11gennaio 2012).(5) Vedi B. Gravagnuolo, “D'Ale­ma: falsità su Gramsci per dele­gittimare i partiti”, l'Unità, 8giugno 2012.(6) Si vedano vari articoli di Si­monetta Fiori su Repubblica e inparticolare “Gramsci: manca unpezzo?” (2 febbraio 2013); “Ilquaderno di Gramsci? È solo vo­glia di scoop” (10 febbraio 2013),intervista al gramscista JosephButtigieg che ridicolizza il tutto(ma senza uno straccio di argo­mento) parlando di un gioco difantasia.(7) Di D'Orsi si veda “Gramscinella guerra dei mondi” su LaStampa, 15 marzo 2012.(8) Gianni Francioni (su l'Unità

del 2 febbraio 2012) riferendosial libro di Lo Piparo sui “duecarceridiGramsci”(incuivenivaanticipata la tesi sul quadernoscomparso) cerca, arrampi­candosi sugli specchi, di dareuna spiegazione delle diverseetichette discordanti sulle co­pertine dei quaderni. Ma il 5febbraio 2012 Lo Piparo (sempresu l'Unità: “Quaderno 32, il mi­stero c'è”) gli risponde con argo­menti sensati e convincenti(peraltro ulteriormente svi­luppati e col suffragio di prove eperizie nel libro appena uscito ededicato al tema: v. nota 1).(9) A. Gramsci, T. Schucht, Lette­re 1926­1935, a cura di A. Natoli eC. Daniele.(10)IntervistadiEugenioMancaa Valentino Gerratana in Grams­ci,lesueideenelnostrotempo,ed.l'Unità, 1987).(11) SivedalaletterariportatadaLo Piparo a p. 115 del suoL'enigma del quaderno e ripro­dotta anche nella versione origi­nale (in tedesco) nell'appendiceal medesimo libro.(12) Si veda il nostro articolo sulTestamento in appendice alsaggio: “L'attualità di un partitodi tipo bolscevico”, Trotskismooggi, n. 2, giugno 2012.(13) Una lettura di questo tipo siriscontra nei testi soprattutto diLivio Maitan e di Antonio Mo­scato: si vedano i rimandi nellascheda bibliografica.(14) Questa lettera rimarrà alungo sconosciuta. Sarà pubbli­cata per la prima volta da AngeloTasca nel 1938, in Francia, e perla prima volta in Italia nel 1954,da Bandiera Rossa (organo deitrotskisti italiani).(15) Il rapporto di Athos Lisa, ri­servato a Togliatti, “Rapportosulla situazione personale diGramsci”, 13 febbraio 1933, è ri­portato anche in Spriano,Gramsci in carcere e il partito, pp.150­154.(16) Si veda G. Fiori, Vita diAntonio Gramsci.(17) Il rapporto di GennaroGramsci è stato ritrovato daSilvio Pons (dell'Istituto Grams­ci) nel luglio del 2003 negliarchivi del Comintern. Lo si puòleggere nell'appendice al libro diVacca­Rossi che indichiamonella scheda bibliografica.(18) Si veda l'intervista già citataalla nota 10.(19) Si vedano, sul sito antonio­moscato.altervista.org, vari testidi Antonio Moscato dedicati allaricostruzione della storia del co­munismo falsificata dallo stali­nismo. Pur non condividendospessoleconclusionidiMoscatosu Gramsci (come su altri temi),pensiamo che i suoi testi sianocomunque fonte di valide indi­cazioni perlomeno dal punto divista storico (politicamente si­curamente no, essendo Moscatodirigente della semi­riformistaorganizzazione Sinistra Critica).(20) Vedi A. Natoli, Antigone e ilprigioniero (p. 150).(21) L'incredibile riconosci­mento aTogliatti di Spriano è nellibro di Spriano del 1977 citato inbibliografia (alla p. 53 dell'edi­zione del 1988).(22)Vedi A. Natoli, op.cit.

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16 Marzo ­ Aprile 2013 PROGETTO COMUNISTA

Un giornale che vede continuamente ampliarsi ilnumero dei suoi lettori, a cui dedica un numerocrescente di pagine (ora sono venti, con un fogliocentrale scritto dai Giovani di Alternativa Comunista),notizie di lotta, interviste, articoli di approfondimentosulla politica italiana e internazionale, traduzioni diarticoli dalla stampa della Lit-Quarta Internazionale,testi di teoria e storia del movimento operaio.Progetto comunista è un prodotto collettivo: ad ogninumero lavorano decine di compagni.E' scritto da militanti e si rivolge a militanti e attivistidelle lotte.Viene diffuso in forma militante dalle sezioni delPdac e da tutti i simpatizzanti e da coloro che sonodisponibili a diffonderlo nei loro luoghi di lavoro o distudio.Abbonarsi a Progetto comunista non è soltantoimportante per leggere il giornale e sostenere unacoerente battaglia rivoluzionaria:è anche un'azione utile per contribuire a far crescerele lotte, il loro coordinamento internazionale, la lororadicalità. Se vuoi conoscere PROGETTO COMUNISTA,puoi leggere i pdf dei numeri precedenti sualternativacomunista.org

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Indicazioni bibliografiche

La bibliografia di studi suGramsci annovera migliaia emigliaia di testi. Ci limitiamoqui a indicare alcuni tra i testipiù importanti che abbiamoutilizzato per scrivere questoarticolo e in particolare vari testiusciti negli ultimi anni chehanno portato nuova luce sufatti controversi.Per quanto riguarda le letturenon staliniste di Gramscisegnaliamo quattro testi: LivioMaitan, Il marxismorivoluzionario di AntonioGramsci (Nei, 1987); AntonioMoscato, “Togliatti e Gramsci.Tra Bucharin e Stalin”, in Il filospezzato. Appunti per una storiadel movimento operaio(Adriatica, 1996) e, sempre diMoscato, “Mito e veritànell'azione di Togliatti” inSinistra e potere (Sapere 2000,1983); ma soprattutto (per imotivi spiegati nel nostroarticolo) l'ottima introduzionedi Roberto Massari ad AA.VV.,All'opposizione nel Pci conTrotsky e Gramsci (ed.Controcorrente, 1977, poiristampato da Massari editore,2004).Per approfondire la questionedelle Lettere e delle varie

edizioni e manipolazioni sonoutili: Antonio Gramsci, TaniaSchucht, Lettere 1926­1935, acura di Aldo Natoli e ChiaraDaniele (Einaudi, 1997); e AldoNatoli, Antigone e il prigioniero(Editori Riuniti 1990).Per avere un'idea della letturagiustificazionista di Togliatti siveda l'ultimo lavoro di PaoloSpriano: Gramsci in carcere e ilpartito (Editori Riuniti, 1977;ristampato con nuoveappendici nel 1988 da l'Unità).Una lettura relativamente piùcritica è in Giuseppe Fiori,Gramsci, Togliatti, Stalin(Laterza, 1991) oltre che nellaclassica biografia di Fiori:Vita diAntonio Gramsci (Laterza, 1966,ristampata anche di recentedalla stessa casa editrice).Nell'articolo facciamo ancheriferimento a: Gramsci a Roma,Togliatti a Mosca.Il carteggio del1926, a cura di Chiara Daniele,con un saggio di GiuseppeVacca (Einaudi, 1999) e adAngelo Rossi, Giuseppe Vacca,Gramsci tra Mussolini e Stalin(Fazi editore, 2007).I libri più recenti e piùinteressanti su questi temisono: Giuseppe Vacca, Vita epensieri di Antonio Gramsci,1926­1937 (Einaudi, 2012); la

riedizione del 2012 (aggiornata)di un libro del 1996 di GuidoLiguori, Gramsci conteso.Interpretazioni, dibattiti epolemiche 1922­2012 (EditoriRiuniti, 2012); i due libri diLuciano Canfora apparsi nel2012 per i tipi di Salernoeditrice: Gramsci in carcere e ilfascismo e Spie, Urss,antifascismo. Gramsci 1926­1937.Infine lo spunto di questoarticolo nasce dai due libri diFranco Lo Piparo di recentepubblicazione: I due carceri diGramsci. La prigione fascista e illabirinto comunista (Donzellieditore, 2012) e L'enigma delquaderno. La caccia aimanoscritti dopo la morte diGramsci (Donzelli editore,2013).Per ultimo (ma non certo perimportanza) suggeriamo lalettura degli Scritti sull'Italia diLev Trotsky (ed.Controcorrente, 1979;ristampati anche in tempi piùrecenti da Massari editore;nell'articolo abbiamo citatol'edizione del 2001) in cui sitrovano i primi scambi traTrotsky e i bordighisti e traTrotsky e la nascenteopposizione trotskista in Italia.

(23) Canfora torna sulla“strana” lettera di Griecosia nel suo La storia falsa(Rizzoli, 2008) sia nel piùrecente Gramsci incarcere e il partito.(24) Sugli sforzi fatti (onon fatti) da Mosca perottenere la liberazione diGramsci si veda il libro diRossi e Vacca (v. biblio­grafia). Gli autori scri­vono che:“Evidentemente Stalinnon aveva interesse achiedere la sua libera­zione (...) la liberazionedi Gramsci, critico dellapolitica dell'Urss fin dal1926, avrebbe rappre­sentato un problema inmeno per Mussolini e unproblema in più per Sta­lin.”(25) Ampi stralci dellalettera si trovanonell'antologia curata daMassari sulla NuovaOpposizione Italiana (v.bibliografia).(26) L. Trotsky, Scrittisull'Italia (a p. 177dell'edizione citata inbibliografia).

IL PARTITO

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