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Scuola superiore dell'economia e delle finanze ANNO VII - Numero 2 - Aprile-Settembre 2010 Cesare Vivante: "Per un codice unico delle obbligazioni" In questa celebre prolusione critica, pronunciata nel 1888, Cesare Vivante invitò ad una riforma del Codice del commercio, partendo da una riflessione sulla necessità o meno che il diritto commerciale e il diritto civile rimanessero ancora separati. Tale distinzione, ignota al mondo romano e nata dalla giusta necessità di tutela delle corporazioni mercantili forse era giunto il momento venisse meno:”in un codice unico gli opposti interessi dei commercianti e degli altri cittadini sarebbero stati regolati spontaneamente con proporzioni più eque e (…) i principi tradizionali del diritto comune avrebbero resistito alle soperchierie degli speculatori”. Questo intento unificatore si sarebbe realizzato solo nel 1942 con l’inserimento nel Codice civile della materia commerciale, ma questo discorso rimane di fondamentale importanza per la modernità che lo permea. Con una visione di profonda conoscenza del diritto Vivante parla della tendenza del diritto commerciale ad uniformarsi in tutti gli Stati a causa dell’apertura dei mercati per cui il mondo intero è divenuto un campo libero in cui si elabora un diritto uniforme. La separazione del diritto commerciale dal diritto civile costituisce, pertanto, un ostacolo alla formazione dei un diritto cosmopolita. D’altro canto il diritto procede, per una spirale saliente, alla conquista di regole sempre più larghe e precise, semplificando di continuo la somma dei suoi principi, ordinandoli in un sistema sempre più semplice e vigoroso, ove si raccolgono logicamente le infinite esperienze e le osservazioni dei secoli. Per il contesto storico in cui si inserisce il discorso e la figura di Cesare Vivante si rinvia all’articolo Le società dall’Unità d’Italia al Codice civile del 1942 di Maria Rita Sidoti. Per un codice unico delle obbligazioni (Prolusione al Corso di diritto commerciale letta nell'Università di http://www.rivista.ssef.it/www.rivista.ssef.it/sitee4a7.html?page=... 1 di 16 17/09/15 12:04

Prolusione Cesare Vivante

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Scuola superiore dell'economia e delle finanze

ANNO VII - Numero 2 - Aprile-Settembre 2010

Cesare Vivante: "Per un codice unico delle obbligazioni"

In questa celebre prolusione critica, pronunciata nel 1888, CesareVivante invitò ad una riforma del Codice del commercio, partendo da unariflessione sulla necessità o meno che il diritto commerciale e il dirittocivile rimanessero ancora separati.

Tale distinzione, ignota al mondo romano e nata dalla giusta necessità ditutela delle corporazioni mercantili forse era giunto il momento venissemeno:”in un codice unico gli opposti interessi dei commercianti e deglialtri cittadini sarebbero stati regolati spontaneamente con proporzioni piùeque e (…) i principi tradizionali del diritto comune avrebbero resistitoalle soperchierie degli speculatori”.

Questo intento unificatore si sarebbe realizzato solo nel 1942 conl’inserimento nel Codice civile della materia commerciale, ma questodiscorso rimane di fondamentale importanza per la modernità che lopermea.

Con una visione di profonda conoscenza del diritto Vivante parla dellatendenza del diritto commerciale ad uniformarsi in tutti gli Stati a causadell’apertura dei mercati per cui il mondo intero è divenuto un campolibero in cui si elabora un diritto uniforme. La separazione del dirittocommerciale dal diritto civile costituisce, pertanto, un ostacolo allaformazione dei un diritto cosmopolita.

D’altro canto il diritto procede, per una spirale saliente, alla conquista diregole sempre più larghe e precise, semplificando di continuo la sommadei suoi principi, ordinandoli in un sistema sempre più semplice evigoroso, ove si raccolgono logicamente le infinite esperienze e leosservazioni dei secoli.

Per il contesto storico in cui si inserisce il discorso e la figura di CesareVivante si rinvia all’articolo Le società dall’Unità d’Italia al Codice civiledel 1942 di Maria Rita Sidoti.

Per un codice unico delle obbligazioni

(Prolusione al Corso di diritto commerciale letta nell'Università di

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Bologna)

Signori!

Alla illibata e gentile memoria del Professore Valente, di cui vengo acontinuare men degnamente ch'io posso l'ufficio, rendo anzitutto umileomaggio; agli illustri Colleghi, che sono avvezzo a riverire come maestri;ai discepoli, nel cui prospero successo ripongo la fortuna del mio; aquesta forte città, maestra di diritto alle genti, le cui glorie immortalirendono perplessi e timorosi anche gli spiriti più sicuri, città ospitale, oveio vengo fidente nell'avvenire, a porre le mie radici, a Voi tutti il mioprimo, reverente, saluto.

Un’ dubbio insistente domina da lungo tempo i miei studi: perché mai ildiritto privato è ancora diviso in due campi, il civile ed il commerciale?Una barriera legislativa, puntellata da finzioni e da presunzioni legali, litiene divisi: uomini esperti nel diritto civile vi si arrestano come dinanzi aun ostacolo pieno d' insidie. AI di là di quella barriera sorgono le piùrigogliose creazioni del diritto moderno, piene di vigorosa freschezza, manon vi si penetra che a grave fatica, perché prima d'entrarvi bisogna fareuna delicata ricerca: siamo nel campo del diritto civile o in quello deldiritto commerciale? si tratta di un atto civile o di un atto di commercio?e la questione, come tulle le questioni di confine, è piena di dubbi e diguai. L'autonomia del diritto commerciale ha certo contribuito arealizzare sollecitamente ed energicamente questo ramo del dirittoprivato, ma ogni dì cresce la difficoltà di tenere distinti i due campi,perché il commercio e le sue consuetudini penetrano vivamente in ognilibra della vita civile. È giunto il momento in cui i due codici possanofondersi? La scienza e la giurisprudenza sono mature per conciliare in uncodice unico le diverse tendenze? Sarebbe utile, desiderabile quellafusione? Affrontiamo insieme l'arduo problema.

La distinzione fra questi due rami del diritto privato fu pressoché ignotaai giuristi romani. I peregrini che convenivano alla capitale del mondo vipromossero, è vero, coi loro commerci lo svolgimento di un diritto menorigido, meno formale del diritto civile di Roma. Ma quelle due fonti vive eoperose si fondevano, specialmente per opera del pretore peregrino, inun diritto eminentemente cosmopolita, e la grande flessibilità del dirittocomune escludeva il bisogno di diritto speciale al commercio. Solo negliultimi secoli dell'epoca imperiale le creazioni geniali dei tempi

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repubblicani furono turbate dalle perniciose influenze della correntereligiosa e del dissesto economico. Alla tutela del credito subentrò lasollecitudine dei debitori: la libertà delle stipulazioni fu inceppatadall'intervento paterno del legislatore che voleva proteggere il contraentepiù debole contro le tentazioni della miseria. Così si riconobbe al debitoreceduto la facoltà di liberarsi del debito rimborsando il cessionario dellasomma pagata per la cessione; si distrusse nella sua essenzal'obbligazione letterale concedendo al debitore l'eccezione non numerataepecuniae: si ammise la rescissione della vendita per lesione enorme; silimitarono gli interessi; fu tolto al creditore pignoratizio il diritto di tenersila cosa pignorata in pagamento del credito; furono conceduti ai debitoricorreali e ai fideiussori i benefici della divisione e della escussione:largheggiate su tacite ipoteche; prorogati i termini della prescrizione;mitigato il rigore dell'esecuzione; cosi gli affari rallentati dai lunghitermini, dalle molteplici eccezioni perdettero quella rapida continuità cheè necessaria per la prosperità del commercio. Quando più tardi, nelmedio evo, il commercio ripigliò il suo corso interrotto, la reazione controqueste massime deleterie , ribadite ed esagerate dal diritto canonico,contribuì a rendere necessaria una legislazione speciale al commercio.

Nel grande turbamento che segni la caduta di Roma il popolo cercòsoccorso nei vincoli di associazione: le classi sociali cui legava la difesa dicomuni interessi, si riunirono entro in società turbata da soperchierie diogni specie, per difendersi e farsi, quando i tempi lo concedevano,soverchiatrici alla loro volta. Anche i mercanti, i banchieri, gli industrialisi unirono in collegi, in corporazioni sempre più vaste e meglio ordinate.Esse divennero a poro a poco doviziose e potenti come lo attestano leinsigni loro sedi, ebbero magistrati e leggi speciali, imposero all'autoritàcivile l'obbligo di far eseguire le loro sentenze. Allora si sprigionòliberamente, sotto l'impulso dei bisogni giornalieri e reali, dallecorporazioni dei mercanti, dalle fiere dalle colonie, ove più ferveva lospirito dei guadagni, il nuovo diritta mercantile. Ogni arte raccoglievadalla testimonianza dei mercanti più provetti ed anziani le sueconsuetudini, e formava il proprio statuto, dapprima rozzo e confuso, poi,per lo frequenti revisioni, sempre più copioso e ordinato. Le corporazionipigliavano a prestito gli Statuti di altre città; si costituivano nelle fieretribunali misti di cittadini e stranieri, si citavano innanzi ai giudici gli usidi mercati lontani, che divenivano sempre più uniformi per mutueinfluenze. In quella vita nuova quanta spontaneità di sentimentogiuridico! Quale contrasto fra il diritto che emergeva rigoglioso daitraffici, e lo spirito sottile, scolastico della glossa immobilizzata nei testiromani e le dottrina canoniche sull'usura, che, mortificando ogni spirito dispeculazione, volevano ricondurre il commercio al primitivo scambio innatura! Il diritto sorgeva allora dal senso comune; l'urgente necessità direprimere un abuso, una frode, di tutelare un diritto suggeriva al

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Console, al Consiglio degli anziani un provvedimento, che poi siaccoglieva negli Statuti. Mercanti anno i Consoli mercanti erano gliStatutari, cui era delegata la compilazione e la revisione degli Statuti, dimercanti era composta l'assemblea generale dell'arte clic dovevaapprovarli: così il diritto passava dalla consuetudine nella legge per operadi coloro stessi che ne avevano fatta esperienza nella pratica degli affari.Cosi i mercanti attuarono il proprio diritto, fuori di ogni influenza curiale,come un diritto professionale, come il diritto dei commercianti, e non sipuò disconoscere che la vita chiusa della corporazione, i privilegi chequesta potè procacciarsi dal Comune dal Principe, in sua indipendenzadai tribunali ordinari, costituissero altrettante condizioni favorevoli per lasollecita formazione di un diritto nuovo, pratico, energico cosmopolita.

I meriti intrinseci di questa legislazione e del procedimento rapido,semplice, economico con cui si attuava; la riputazione che i giudicicommerciali acquistarono nel risolverete questioni del cambio, dellasocietà, della banca; la tendenza usurpatrice della corporazione, maleinfrenata dagli statuti civili, fecero si che si estendesse successivamentela giurisdizione dei suoi tribunali. Ristretta dapprima ai litigi cheinsorgevano fra coloro o contro coloro che erano iscritti nel ruolo dellacorporazione, fu estesa sollecitamente a tutti gli atti che avevanospiccatamente un carattere mercantile come la compera per rivendere, ilcambio, la società, il mutuo, il deposito bancario, benché né attore néconvenuto vi fossero matricolati. Si passò dal vecchio sistema subbiettivoal nuovo sistema obbiettivo con l'aiuto di una finzione: si disse che ognicittadino deve presumersi commerciante per i suoi affari commerciali, econ questo spediente furono sottoposti alla giurisdizione mercantileanche coloro che non erano matricolati in alcuna corporazione, anche glistranieri, anche i nobili, anche gli ecclesiastici cui era vietato ilcommercio per il pericolo gravissimo dell'usura. La giurisdizionemercantile estese ancora più i propri confini quando il tribunale dellacorporazione si trasformò in tribunale di Stato. Accanto agli atti dicommercio propriamente detti presero posta gli atti dell'industriamanifatturiera. Mentre il mestiere viveva e vive tuttora modestamentesotto l'egida del diritto comune, le grandi imprese, bisognose di credito,di pubblicità, di numerosi e rapidi spacci, cercarono una legge piùomogenea alla loro tendenza speculatrice nel Codice di commercio. E abuon diritto vi furono accolte, perché organizzando le forze dett' operaioe quelle della natura coll'aiuto del capitale, traendo dalle materie primenuovi prodotti industriali, agevolano la circolazione delle ricchezze,provvedendo ai bisogni del mercato sempre più vari ed intensi.

Più di recente il nostro legislatore fu condotto ad accrescere ancora la giàlunga serie degli atti di commercio che la storia ci avea tramandata daragioni di opportunità legislativa e giudiziaria. Vi iscrisse le mutue per in

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loro apparente analogia come Compagnie di assicurazione; le societàcooperative por la fretta di legittimarne in condizione giuridica; i depositinei magazzini generali per evitare conflitti di giurisdizione. Cosi lapatriarcale associazione dei possidenti contro i danni dell’incendio e dellagrandine; il sodalizio operaio che cerca in una fraterna cooperazione lavirtù di resistere alle prepotenze del capitale; il deposito che il cotono fadette proprie derrate in un magazzino generate sono presunti atti dicommercio, nè si potrebbe provare il contrario. NB vogliate credere che ilcodice di commercio, cosi pronto ad appropriarsi le nuove formeeconomiche, si sia lasciato sfuggire la giurisdizione di un solo fra quelliistituti che sono entrati nelle sue fila nel lungo processo storico della suaformazione. Esso ne conserva il dominio quantunque oggimai servano adogni funzione delta vita civile. Tutto il commercio marittimo, che ful’industria più ricca, più avventurosa, più nazionale dei tempi di mezzo,serbò l'originario carattere mercantile: l'impiegato che fa un contratto dinoleggio per trasportare le sue suppellettili da Venezia a Palermo; lostudente che fa un viaggio di istruzione per mare; il marinaio che siarruola nella stentata vita di bordo; il carpentiere che costruisce perconto altrui una nave da pesca nel suo modesto cantiere, il quale puòessere anche l'orto di casa sua, fanno degli atti di commercio: l’antitesifra la realtà di oggi la finzione della legge è così profonda che la seriedegli atti di commercio sembra, addirittura, arbitraria. Motti titoli formali,come la cambiale e gli Ordini in derrate, che pur sono oggidì strumentiusuali di ogni azienda domestica e agricola, che altre leggi consideranocome contratti di diritto comune, valgono per noi come atti dicommercio: chi fa un avallo cambiario, fosse pure per carità, chi vende lederrate del suo fondo con un biglietto all'ordine fa un atto di commercio.Questi fenomeni della vita economica, messi insieme nel codice pertradizione storica, per opportunismo legislativo o giudiziario, sono cosidisparati, che non è possibile raccoglierli nel medesimo concetto: lascienza non è riuscita a dare dett'atto di commercio una definizione chene colga l'elemento essenziale e costante: tutti i suoi tentativi sismarriscono in concetti vaghi e oscillanti sulla circolazione e sullastipulazione.

Né qui si arresta ancora il dominio di questo codice: i confini ne sonoraddoppiati, è la giusta parola, dopo che la sua disciplina si è estesaanche a quel contraente per cui fatto non e' d’indole commerciante: ilcittadino che si provvede del vitto, di una medicina, di un libro; chedeposita atta banca i suoi risparmi; che assicura una dote per la suafigliuola, che si assicura una pensione per In vecchiaia è sempre regolatodal codice di commercio: dalla nascita atta tomba, pel corteobattesimale, per In festa di nozze, per la onoranza dei morti è sempre ilcodice di commercio che ormai governa l'atto del cittadino che contraecon una impresa mercantile. La giurisdizione di questo codice e deitribunati che sono chiamati ad applicarlo si è cosi estesa, che questistanno per soccombere sotto il peso della ingente materia affidata alle

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loro sentenze: il contrasto fra il campo vastissimo della loro giurisdizionee quello ristrettissimo della loro coltura ne affrettò la caduta. Nè la lungaserie degli atti di commercio, sempre crescente, è ancora chiusa, perchèla legge consente al magistrato la facoltà di ritenere per tali, quelli altiche, nella continua evoluzione economica, vengono presentando unamanifesta analogia con quelli indicali dalla legge: facoltà eccessiva,esclusa dalla legislazione germanica, che attribuisce al giudice il potere difissare i limiti di applicazione della legge, quelli della competenzagiudiziaria, e, conseguentemente, il potere di dare al cittadino la qualitàdi commerciante, per fargli subire l'onta del fallimento, e il procedimentodei bancherottieri!

La storia del diritto commerciale è una storia di continua espansione. Vi èuna tendenza evidente, costante, che trae i nuovi fatti economici apreferire la legge del commercio, come più semplice ed efficace. Questatendenza fu così decisiva, che in qualche paese si credette opportuno diestendere la legge commerciale, almeno in massima parte, a tutti irapporti economici. Questa felice iniziativa fu di recente attuata nellaSvizzera, ove si diede al codice unico delle obbligazioni un contenutoessenzialmente mercantile, giudicando le consuetudini commercialifossero abbastanza diffuse in ogni ordine di cittadini per governarli collamedesima legge che era necessaria per la tutela del credito. L’esperienzadimostrerà indubbiamente i vantaggi di quel Codice unico, che segneràun momento solenne nella storia delle legislazioni, Intanto non avete chead aprire le sue pagine per convincervi come il diritto mercantile,semplice, rigoroso, spedito, abbia spirato un nuovo alito di vita a tantivieti istituiti del diritto civile, che, col pretesto di tutelare la proprietà e laserietà del consenso, impediscono la facile circolazione dei beni, supremanecessiti della vita economica.

Nemmeno la Germania si sottrasse a quella tendenza unificatrice. Anchela si avverti l'unità del diritto privato; si comprese la convenienza disopprimere la distinzione tradizionale, quanto più il commercio penetravaeconomicamente, socialmente in ogni ramo dell'attività umana.

Trattati e manuali, che correvano per le mani di tutti, esponevano ildiritto commerciale, come una sezione del diritto comune: lo stessocodice di commercio tedesco favoriva quella tendenza, dacché,conteneva molte regole concernenti la teoria generale delle obbligazioni,e il Dernburg avvalorava, colla sua grande autorità, questo indirizzoscrivendo che il maggior compito della imminente legislazione tedescadoveva essere quello di togliere l'intollerabile dualismo fra il diritto civilee commerciale. Ma la Commissione eletta dal consiglio federaledell'Impero fra i magistrati supremi (1874) per proporre il piano ed ilmetodo con cui avrebbe dovuto condursi il progetto di un codice civiletedesco deluse completamente l'attesa. Goldschmidt, che ne facevaparte, indusse In Commissione a conservare la distinzione tradizionale.

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In poche settimane (16 Aprile 1874 - 22 Giugno 1874) la Relazione diquella proposta fu comunicata, esaminata, approvata dal Consigliofederale senza dar tempo ai qualsiasi discussione; perciò se la Germaniaavrà un diritto civile distinto dal diritto commerciale, non si potrà certoasseverare che questo fosse il voto della scienza tedesca.

Quando in Italia si preparò la riforma del Codice di commercio, i limiti delsuo contenuto erano già fissati dal Codice civile, che restava in vigore. Seper coordinare meglio il contenuto delle nostre leggi si fosse intrapresacontemporaneamente In riforma di entrambi, forse la necessità dellecose avrebbe condotto il potere legislativo ad accogliere il concetto di unCodice unico, O almeno a discuterlo. In vece l'arduo problema passòinavvertito. Solo l'on. Indelli con vibrata eloquenza slanciò dalla Tribunaparlamentare la profezia di un Codice unico. «A misura, egli disse, cheprogrediamo, i rapporti giuridici si moltiplicano, abbiamo bisognod'innalzarci ad affermazioni più astratte, se non vogliamo discendere allalegislazione dei casisti, al famoso nonnullorum camelorum ... Io noncredo di essere un sognatore, se ritengo che i nostri figli vedrannoancora una riforma, unificatrice più grande di tutte quelle ches'incontrano nella storia del diritto, che il Codice di commercio e il Codicecivile formeranno un solo corpo di leggi, come quelli che sonol'espressione di un solo diritto diversamente esplicato». Quel voto, checadde senza conforto nell'agone parlamentare, io raccolgo per bandirlo inquesta solenne occasione, ora che vi ho esposto rapidamente In seriestorica dei fatti che 'ne vennero preparando e indicando In soluzione.

E’ ben lontano il tempo in cui le varie classi sociali si isolavanoreciprocamente, gelose della propria autonomia. Oggidì i vari gruppi delconsorzio civile si rasentano, s' incontrano per ogni verso, travaglianoinsieme nella lotta per l'esistenza. Noi sentiamo in ogni vena, ora più orameno rapida, la pulsazione delle idee generali, delle aspirazioni delnostro tempo; una profonda omogeneità s’insinua nella società modernanon solo alla superficie ma nell'intima sua struttura. Le iniziative delfilantropo si attuano nel mondo dei commercianti; le forme che il creditoha immaginato servono promiscuamente agli istituti di mutuo soccorso edi previdenza; le abitudini fiduciose, puntuali del commercio s'impongonosempre più intensamente alla coscienza dei cittadini. Per provarlo nonabbiamo che la difficoltà della scelta. Una cura assidua punge la societàmoderna, quella di temperare i grandi egoismi del capitale a beneficio dicoloro che lo fanno fruttare; quella di disciplinare gli impeti incoerenti,ciechi della beneficenza, che spesso avvilisce chi la riceve e lo lascia allabalia del benefattore, per sostituirla con un ordinamento giuridico dellavoro, capace di risarcire l'operaio della vita che logora di per di, e chediverrà impotente prima di essere spenta. Questo diritto nuovo, cheattende ancora la sua legislazione, comincia ad attuarsi spontaneamente

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nell'opificio per solo impulso della speculazione. L' imprenditore sa perprova che l'operaio meglio retribuito lavora, più intensamente; che essopone il cuore tutto intero nell'opera sua quando pensa che, se cade nellebattaglie del lavoro, non inanellerà un soccorso ne a lui ne a suoi cari. L'imprenditore intende che è meglio rinunciare a una parte del proprioguadagno per farla ricadere in tanta benedizione sulla casa dell'operaio,piuttosto che perderlo del tutto cogli scioperi e coi tumulti che arrestanoogni lavoro. Così il tornaconto ben inteso attua le aspirazioni più nobilidella morale. Entrate in un opificio e vedrete come accanto alla ferreadisciplina dell'orario e alle multe rigorose che lo sanzionano, si senta ildovere di raddolcire il lavoro colle ore e i giorni di riposo, come si curil'igiene della fabbrica, la sicurezza delle macchine, come si tenti coningegnosi espedienti di assicurare un risarcimento all'operaio che restaferito sul campo onorato del suo lavoro. Il contratto di locazione d'opera,menzionato appena nel Codice civile per riconoscere all'operaio l'irrisoriodiritto di rompe il contratto che l'obbliga per tutta la vita, va trovandonell'opificio la disciplina che il filantropo ha vagheggiata. La necessita,d’infrenare le forze soverchianti del capitale in omaggio agli interessisociali e divenuto una convinzione comune, anche a quella, classe dicittadini che dovrà subirne maggiormente il peso economico.

Altre influenze rinnovatrici salgono dal mondo mercantile a tutti gli ordinisociali. Il commercio esige il rigore nell'esecuzione dei contratti, perché lapuntualità gli è condizione imprescindibile per prosperare. Gli affaricommerciali sono legati cogli anelli di una catena: se un debitore nonpaga alla scadenza, tutta la serie dei rapporti che si collegavano aquell'affare può restare turbata o interrotta. Ebbene, colle ferrovie, coitelegrafi, colla posta, colle istituzioni di credito si diffonde la convinzioneche la puntualità e un dovere e un diritto per tutti; che essa reca pocofastidio agli individui in paragone del gran bene che reca alla comunità;che lo dilazioni, i termini di rispetto e di grazia, le lunghe prescrizionidiffondono le abitudini del disordine e della negligenza; che il pagamentomoroso riesce spesse volte più grave del pagamento in scadenza quandosi sa di non poter contare sulla dilaziona indulgente del creditore o, delgiudice. Il grande impulso della concorrenza spinge l'attività mercantilenei più remoti centri della vita cittadina ed agricola: il commessoviaggiatore di un grande opificio, l'agente di una Compagnia diassicurazione americana od inglese, lo spedizioniere di un'impresaferroviaria collegata coi servizi cumulativi a tutta la rete ferroviariad'Europa battono alla porta umile del colono, dell'operaio, e coi rapportid'affari vi diffondono la legge e le consuetudini mercantili. L'atto dicommercio, nel senso largo del codice, è divenuto famigliare in ogniordine di cittadini; le condizioni giuridiche, di cui l'ambiente mercantili;più operoso e più pratico, sentì primo il bisogno, si invocanonell'interesse di tutti nella autonomia del diritto commerciale, che siconserva non ostante la grande uniformità della vita moderna, figuracome un detrito storico che non ha più ragione di essere.

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Intanto questa autonomia è cagione di gravi guai, dopo che il legislatoreimpose il codice di commercio, così come sta a chiunque piglia parte inun atto commerciale. Esso impose a tutti i cittadini, senza temperarli, gliusi che il commercio, specie il grande commercio, si è venuto creandoper proteggere i propri interessi; chiamo a Compilare il nuovo Codice gliindustriali, i banchieri, gli assicuratori, i rappresentanti delle grandisocietà ferroviarie, le Camere di commercio, tutrici, anch'esse, delgrande commercio, gli uomini che nella professione, nell'insegnamentoerano abituati a difenderne gli interessi, e poi disse ai consumatori: eccoil Codice che deve valere anche per voi. Ma non si dovea porre la sortedegli assicurati, dei deponenti, degli speditori nelle mani deicommercianti che hanno tolto l'interesse a speculare sui loro bisogni: nelfare una legge comune, come nel fare un giudizio, si dovea porgereascolto agli opposti interessi, che doveano esserne regolati. Intantoquest'errore di metodo ha condotto a stridenti ingiustizie. Io ho presentinella memoria e segnate nel margine del mio codice numerosedisposizioni, che furono dettate dalla più evidente soperchieria delleimprese commerciali a pregiudizio dei cittadini. Voi crederete, ad. es.,che chi è derubato di un titolo al portatore, rimasto irreperibile per uncerto numero d’anni, possa chiederne un duplicato all'istituto emittente.Ebbene non è cosi; la prescrizione non corre a beneficio del proprietarioma dell'impresa debitrice: se il possessore del titolo derubato non sipresenta, essa o liberata: così l'impresa specula sul furto, e guadagna ciòche il ladro non ebbe coraggio di esigere. Un altro esempio. Le imprese diassicurazioni sulla vita accumulano colle riserve dei premi, decine,centinaia di milioni, che sono matematicamente indispensabili per pagarei capitali assicurati: se quelle riserve non sono conservate integralmentela Compagnia deve inevitabilmente fallire nelle sue promesse, perché lamorte non ti risparmia neanche gli uomini previdenti che si assicurano.Quelle riserve sono il fiore del risparmio nazionale: costituiscono i capitaliche la nostra generazione prepara, con inflessibile virtù di sacrificio, aquella che ci cresce intorno. Pareva che il Governo dovesse provvederecolla maggiore vigilanza all'integrità di quelle riserve: ma gliamministratori delle Compagnie vi si opposero gli assicurati stettero zitti,e intanto il loro risparmio rimase abbandonato alla balia di quelliamministratori. Un ultimo esempio. Certe clausole, con cui le Compagniedi navigazione si esonerano da ogni responsabilità per i trasporti maleeseguiti sono divenute usuali nel commercio marittimo. Protette daquelle clausole esse sbagliano impunemente il destino del carico o loconsegnano in ritardo: di recente in un porto vicino una di esse costrinseil destinatario a ricevere una cassa di sassi, invece che una cassa diindaco. Sono clausole piene di prepotenza. Le Compagnie si valgono delmonopolio di fatto, se non di diritto, che esercitano nei nostri porti, perimporre agli speditori quelle clausole d’irresponsabilità, che leautorizzano a non eseguire diligentemente il trasporto nell' alto stesso

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che ne riscuotono il nolo. La giurisprudenza, che trova la legge, nelcontratto, dovette applicarle; ma il legislatore doveva accogliere il gridodi dolore che il diritto offeso alzava verso di lui; avrebbe dovuto negareefficacia a quelle clausole, come fece pei trasporti ferroviari; ma chinò ilcapo alle resistenze delle Compagnie. Onesti ingiusti favori urtanosiffattamente l'interesse generale, che ora vi si sta riparando, almeno inparte, con progetti di leggi speciali. Ma è certo che in un codice unico gliopposti interessi dei commercianti e degli altri cittadini sarebbero statiregolati spontaneamente con proporzioni più eque e che i principitradizionali del diritto comune avrebbero resistito alle soperchierie deglispeculatori.

E’ noto che il diritto commerciale tende a uniformarsi in tutti i Paesi delmondo: colle teorie del libero scambio, che apersero i mercati e i porti diogni paese al commercio di tutti i popoli, il mondo intero è divenuto ilcampo libero ove si elabora un diritto uniforme: colla corrispondenza, coltelegrafo, coi viaggi, col cambio si comunica anche il diritto: la navecarica di merci porta con se le scritture che contengono nuove formegiuridiche; il negoziante che ritorna dai mercati forestieri reca laconoscenza di nuovi istituti, e l'inquieto desiderio di attuarli nel propriopaese. Ma se si vuole che questa universalità del diritto si compiaveramente e utilmente; che il progresso del diritto procedasimultaneamente in ogni paese civile; che i diritti nazionali, vere barrierescientifiche, si fondano in un diritto cosmopolita, bisogna che in teoriagenerale delle obbligazioni segua il movimento dei vari Istituti. Sefaremo una legislazione internazionale dei trasporti, delle avarie, dellacambiale, mentre la teoria generale rimane legata alla sorte del dirittodomestico oggi avrebbe creato uno strumento comune chi è profano aldiritto può supporre che i principi intorno alla colpa, al risarcimento, alpagamento, alla novazione e via dicendo non esercitino una continuainfluenza sui giudizi dei tribunali, sulla dottrina dei vari paesi. E finché inteoria generale delle obbligazioni resterà diversa, ogni Stato continueràad avere una propria giurisprudenza; l'esperienza del diritto che ilcittadino francese avrà fatto in materia di cambio lungo la lenta e costosavia crucis dei suoi tribunali, dovrà rifarsi in Italia, in Belgio, in Grecia,dovunque: l'uniformità del diritto sarà solo esteriore, ma continuerannole cause del dissidio, tanto più dannose quanto più latenti. Quando sivolle dare agli Stati tedeschi e ai Cantoni svizzeri un diritto comuneuniforme si sentì che era una inevitabile necessità di introdurre nelCodice di Commercio una buona parte o tutta la teoria delle obbligazioni.Così se si vuole giungere davvero a un diritto commerciale uniforme, sesi vuole assecondare la sua tendenza cosmopolita, bisogna aprire tutto ildiritto delle obbligazioni all'influenza internazionale, a quella stessainfluenza che ha già dato un'impronta comune ai vari istituti speciali,regolati dal Codice di Commercio.

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Coloro che hanno la mente ancor piena di vecchie questioni, felicementerisolte, sulla precedenza degli usi mercantili o del diritto civile, sarannoforse presi dal timore che formato un codice unico, sia soppressa lafunzione legislativa dell’uso, questa fonte perenne, onde il diritto trael'alimento che lo rinnova. Ma è timore ingiustificato. Compiuto il codiceunico, l’uso resterebbe egualmente una fonte di diritto, chiamata asupplire le lacune della legge e dei contratti. In questo argomento siavrebbe a introdurre alcuna radicale riforma, perché il Codice Civile e ilCodice di Commercio vanno inconsapevolmente d'accordo, in quantoentrambi ammettono che nei contratti, i quali formano quasi per intero lamateria del Codice di Commercio, si deva ricorrere all'uso perinterpretare il silenzio dei contraenti o l'ambiguità delle loro espressioni.Si attingerebbe ancora all'esperienza dei mercanti più pratici, alleBanche, ai Sindacati di Borsa, alle Camere di commercio la conoscenzadegli usi: questa fonte vivrebbe ancora accanto alla legge, per regolaregli istituti che sorgono via via nell'eterna evoluzione del diritto. Anzi siaprirebbe meglio la strada alla loro influenza legislativa. Imperocchémolte norme generali di equità restano oggidì abbandonate alleincertezze degli usi; perché manca il posto ove legiferarle. Non furonoaccolte nel Codice di Commercio perché vi mancava in regola generalecui si collegavano per restringerne o estenderne il significato; non furonoaccolte nel Codice civile perché chi lo ha compilato non potevaconoscerle. Aprite la raccolta di consuetudini di Venezia, o di Milano; ilfiore di quegli usi, una freschezza di materia giuridica, che ha tutte leseduzioni dell'equità da cui è ispirata, vi sta come inavvertita, eattenderà, Dio sa quanto, l’onore legislativo.

La questione che qui ci muove a parlare non è una semplice questione disimmetria e di eleganza legislativa: essa ha un'importanza essenziale pelvalore scientifico e pratico del nostro diritto privato.

Chiunque abbia qualche famigliarità col nostro Codice di Commercio sisarà convinto come sia giusta l'accusa che gli fu più volte ripetuta, di unagrande povertà nelle regole generali, di una soverchia particolari nellenorme dei vari istituti. E non poteva essere altrimenti, perché le regolegiuridiche si presentavano al legislatore ancora aderenti al caso concreto,alla specie, non ancora elaborale, semplificate dalla dottrina. Onestodifetto del codice ha una sua spiegazione nel difetto della nostraletteratura giuridica. L'opera dei nostri scrittori di diritto commerciale,fatta qualche rara eccezione, è quasi tutta descrittiva: essiaccompagnano ogni istituto giuridico dall'origine alla fine ripetendo tuttociò che si trova nel documento mercantile, nella legge o nellagiurisprudenza, senza discernere ciò che ha importanza essenziale da ciòche, non ne ha. Pare a questi giureconsulti improvvisati che tutte lecombinazioni nuove abbiano bisogno di una regola nuova; parlano a ogni

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piè sospinto di contratti sui generis, dì eccezioni al diritto comune;appena sentono dalla tradizione giuridica qualche imbarazzo la mettonoin disparte; il lavoro lento, sagace del giureconsulto sullo che tenta di farrientrare anche i nuovi istituti nelle regole vecchie, e non cede che difronte all'evidente necessità di una regola nuova, che riavvicina i variistituti per risalire a una norma comune, vi è trascurato, e, quasi direi,dispregiato. Questa debolezza scientifica del diritto commerciale trae inparte origine dalla sua autonomia. Infatti chi studia gli istituti mercantilinon tiene l’occhio fisso ed attento alla teoria generale delle obbligazioni,che appartiene a un'altra disciplina, distinta nei codici, nella dottrina, eanche, in parte, nella pratica giudiziaria. Esso studia ciascun istituto,quasi isolandolo dalla teoria generale, compiacendosi di moltiplicare leeccezioni al diritto comune, come di altrettante scoperte giuridiche, chegiustificano quell'autonomia. Le regole astratte, che a poco a poco,coll’osservazione perseverante si staccherebbero spontaneamente dallaforma casistica da cui hanno origine, vanno perdute pel civilista che nonne tien conto, pel commercialista, che non ha voce in capitolo nella teoriagenerale e non si occupa di raccoglierle sistematicamente.

Mentre il flusso, continuamente rinnovato, della materia prima soverchiala virtù collaboratrice della nostra disciplina, all'opposto è l’alimento chemanca al diritto civile. I suoi istinti si svolgono con grande precisionelogica di deduzioni, il pensiero legislativo vi è tutto penetrato dalla ricercamicroscopica del commentatore, ma l'alito della vita ha cessalo di correrein molti dei suoi istituti, che sembrano mere esercitazioni di scuola.Citiamone qualche esempio. L'organismo amministrativo delle societàcivili vi è così mal regolato, che la loro gestione è costretta ad arrestarsial primo dissidio dei soci; la locuzione di opera, che offre tanto nuovecombinazioni fra capitale e lavoro, vi è abbandonata al mutevolesentimento del magistrato; il deposito irregolare vi prende una ibridafigura che non è né deposito né mutuo, incapace di garantire chi depositail suo nelle banche, nelle casse di risparmio; il contralto di pegno o resocosi molesto dalle forme solenni, dall'intervento del giudice, che il creditoreale, cui esso dovrebbe soccorrere, costo di più del credito personale; ilcontratto di vitalizio ricorda ancora i tempi in cui si giuocava una voltatanto sulla durata della vita altrui tentando la buona fortuna, mentreoggidì, basato sull'esperienza statistica della mortalità per opera delleCompagnie assicuratrici, offre innumerevoli combinazioni e opportunegaranzie, regolate matematicamente secondo il valore attuale dellerendite dovuto al vitaliziato; la disciplina del contralto di trasporto ricordai poveri tempi in cui una diligenza impiegava otto giorni da Venezia aFirenze, se pur vi arrivava, e sembra aver sonnecchiato mentre le forzemeccaniche applicate ai veicoli trasformavano la faccia della terra. Siavvicini il nuovo al vecchio, si riconducano le correnti della vita alleistituzioni civili e vedremo restaurarsi, rianimarsi molti istituti, che, perdifetto di funzioni, rischiano di morire per atrofia. Si abbandoniquell'inorganico istituto delle Società civili , fondate sopra un arcadico

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senso di fratellanza fra i soci, e valgano per tutte le Società, qualunquene sia l'oggetto, le forme più flessibili e rigorose che il dirittocommerciale si è elaborato, conciliando la responsabilità degliamministratori col vigore dell'amministrazione; si avvicinino i frammentiscritti nel codice di commercio intorno alla vendita al diritto comune, escompariranno tante apparenti antinomie, p. es., sulla vendita della cosaaltrui, sulla vendita con precedente assaggio, per comporsi in una formapiù precisa, capace di svolgersi logicamente nelle molteplici combinazionidel commercio moderno; si accostino le poche regole retoriche che lalocazione d'opere ha nel diritto civile alla disciplina che questo contrattotrova nell'opificio, e nello stesso codice di commercio vigente intornoall'arruolamento dei marinai, e si vedrà come si possa conciliare la rigidadisciplina del lavoro colla tutela dell'operaio. Si avvicinino gli istituti, cheora mettono le loro radici in questi due mondi, civile e commerciale,artificiosamente distinti: si accosti ad es., la legge che regola i dirittid'autore che sono spesso ispirati ad alti ideali civili, a quella che regola idiritti dell'inventore, che lavora per lo più a scopo di concorrenza e dispeculazione, e si scoprirà più facilmente il carattere giuridico di questoanomalo diritto di proprietà, intorno a cui si affaticano finora indarno, consforzi isolati e divisi, la dottrina e la giurisprudenza. Agevolando questiriavvicinamenti con un codice unico, si giungerà indubbiamente a unacostruzione giuridica più perfetta, perché più precisa e comprensiva,della teoria generale. L'opera riunita di quanti si affaticano nelle indaginidi diritto privato ci condurrà ad una elaborazione scientifica più alta, ovela massa enorme dei Codici e delle leggi speciali, che ora sembraimpedire la formazione di un diritto scientifico, sarà semplificata collaconquista di principi e di definizioni, che potranno fare le veci diun’infinità di regole sparse alla rinfusa, e ripetute inconsapevolmentenelle nostre leggi.

I danni più sensibili di questa separazione emergonono quotidianamentedalla pratica giudiziaria, poiché gli attriti che sorgono per l'applicazionedei due codici rendono malagevole al cittadino la via della giustizia. Itribunali sono tuttodì occupati a giudicare se l’affare per cui è sorto illitigio è o meno un atto di commercio: la questione è frequente, perchèconviene deciderla per determinare con quale legge, con qualeprocedimento, da qual tribunale deva giudicarsene; per stabilire laqualità di commerciante, o la capacità di chi si è obbligato. Chi vuolavere giustizia deve fare una causa preliminare per sapere dove e comepuò esercitare il proprio diritto. Ed è una causa difficile, in cui può fallireanche il criterio di un provetto causidico, perché il limite che separa ildiritto civile dal commerciale è in perpetuo movimento. Esso oscillacontinuamente secondo le tendenze economiche del magistrato, secondol'ambiente in cui giudica, e specialmente secondo le conclusioni pratichecui vuoi arrivare: il magistrato sarà favorevole a riconoscere all’atto il

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carattere commerciale quando vorrà agevolare l'ammissione di unaprova, respingere un' eccezione dilatoria del debitore; sarà disposto anegarlo, quando può risparmiare ad un cittadino la dichiarazione difallimento, un processo di bancarotta, una tassa di esercizio: finora lenostre Corti negavano spesso il carattere commerciale per restringere lacompetenza dei tribunali di commercio di cui diffidavano; appena lacognizione dei litigi mercantili sarà affidata al giudice comune muterannoi loro criteri di apprezzamento. In tale materia le opinioni più disparatesono spesso egualmente razionali e accettabili, perché la definizionedell'atto di commercio che la scienza ci offre è così generica da lasciarciin balia agli apprezzamenti del giudice. E mentre i magistrati sipalleggiano l'onore e l'onere del giudizio, chi ci va di mezzo o la fedenella giustizia, perché simili questioni processuali, che non s'intendonocol senso comune, ci avvezzano a patire il sopruso, a rinunciare al nostrodiritto, dinanzi alla necessità di farlo valere per vie così lente e insidiose.

Si dirà che un sistema degli atti di commercio è necessario perdeterminare chi è commerciante, e che tutte le diaboliche questioni chenoi deploriamo sulla natura dell'atto risorgerebbero anche con un codiceunico, ognivolta che si dovesse ricercare se uno è o non è commerciante.Si può togliere quasi ogni valore a quest'obbiezione, osservando che lepiù accorte legislazioni hanno agevolato nella ricerca coll'istituire ilregistro dei commercianti, e coll'imporre ai medesimi l'obbligo diiscriversi, mediante la minaccia di tali sanzioni, che i più sono spinti dalproprio interesse ad eseguire quel precetto. Ma quand'anche si dovessein rarissimi casi indagare se l'atto è commerciale, sia per iscrivere nelregistro chi dovea farlo da sé, o per cancellarvi chi si iscrisseindebitamente, avremmo in ogni modo ottenuto l'immenso beneficio dirisparmiarci questa ricerca in tante altre occasioni, in quella specialmenteche si riferisce alla scelta del codice che si deve applicare in ogni singoloaffare. Sarebbe cosi spianata in via alla giustizia, tolto un ostacolo che neinsidia il limitare, esautorando innanzi agli uomini di affari, chedomandano una giustizia sollecita ed economica, l’autorità della legge,dei giudice e degli avvocati.

Riassumendo: il diritto commerciale fu il più nobile frutto della vitachiusa delle corporazioni mercantili, fu benefica reazione contro quelleancor più deleterie del diritto romano, sofisticato dai suoi glossatori, econtro quelle ancor più deleterie del diritto canonico. Ma combattendo lebattaglie del diritto, a tutela del credito, il commercio lavorava per tuttoil popolo, e la sua disciplina giuridica è divenuta patrimonio comune.Oggidì in cui v'è un solo potere legislativo, che s'ispira agli stessi principidi eguaglianza e di libertà per ogni ramo del diritto privato; - in cui la

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riforma delle leggi civili può seguire agevolmente i progressi economici;— quell'autonomia non ha più ragione di essere. Finché essa dura,continuerà il contrasto fra il nostro sistema legislativo e l'uniti dellanostra vita economica: il diritto subirà un'influenza storica che non lasciapiù tracce nella società moderna, su cui pur scende la sua disciplina.Intanto quella separazione è un ostacolo, ognora più sensibile, allaformazione di un diritto cosmopolita, mentre pare che lo favorisca; ècagione di continue soperchierie a danno dei cittadini, costretti a subirela legge che i commercianti si vennero elaborando a tutela dei propriinteressi; nuoce al progresso scientifico e legislativo del diritto privato:del diritto commerciale, perché esso trae uno scarso beneficio dalladottrina giuridica tradizionale, e del diritto civile, perciò gli mancal'elemento che può rinnovarlo secondo lo necessità della vita reale;nuoce infine all'esercizio pratico perché è cagione di inestricabili difficoltàprocessuali.

Il problema, tranne qualche cenno alla sfuggita, può dirsi ancoraintentato: forse non si ardì di indagarlo per rispetto a un'autonomiaconsacrata da secoli, cui si lega tanta parte delle glorie medievali d’Italia.Ma la scienza del diritto è paziente, perché essa conosce per prova comesi elabori lentamente ogni riforma giuridica destinata a durare. Noidobbiamo cooperarvi modestamente avvicinando la teoria degli istitutimercantili a quella generale delle obbligazioni, pensando che se stannoseparate nei codici, costituiscono un solo organismo giuridico.L'imminente soppressione dei Tribunali di commercio, per cui quei codicisaranno applicati dal medesimo giudice, ci affida che la futuragiurisprudenza compirà più intimamente la desiderata fusione dei principiche li governano.

Cosi il diritto procede, per una spirale saliente, alla conquista di regolesempre più larghe e precise, semplificando di continuo la somma dei suoiprincipi, ordinandoli in un sistema sempre più semplice e vigoroso, ove siraccolgono logicamente le infinite esperienze e le osservazioni dei secoli.

Sono per voi, o miei diletti studenti, le ultime parole.

Lavoriamo. Vi è nella scienza un'attrattiva che può suscitare tutte le virtùbattagliere dei giovani. Lavoriamo. Io amo quelle file attenti di giovaniche si affollano nei primi banchi della scuola; che fecondano nellebiblioteche, negli archivi i germi raccolti nella lezione; vorrei che viabituaste a vincere la ripugnanza che si sente da principio per le fonti, aseguire le varie fasi di un istituto giuridico nelle sue origini storiche, nellagiurisprudenza, nelle leggi e negli usi vigenti. Si apprende di più da unaricerca condotta colla propria mente che da un intero sistema giuridico,appreso a memoria. Se qualche dubbio vi agita, se vi manca una guidanelle vostre ricerche, un libro per compiere qualche studio; se volete un

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consiglio, un giudizio schietto sui vostri lavori, se vorrete più tardi che viagevoli il modo di pubblicarli, venite a me liberamente: il mio pensieroper voi non si arresta al limite dell'Università.

Il Giusti — lui che studiava senza tregua — ha fatto or sono 40 annil'apologia del “papparsi in quindici giorni l’esame, in barba aglisgobboni”. Quei versi ebbero la sventura di sopravvivere al tempo in cui(furono scritti. Allora la gioventù italiana congiurava e fremeva per lalibertà e per la patria: allora era triste poltrire nella scuola mentre sidovevano affilare le armi per la sua redenzione. Dopoché furono vintequelle sante battaglie, la gioventù si raccolse nelle Università senza guidae senza ideale, ondeggiante in una tepida atmosfera di scetticismo: vitasfaccendata e senza riposo. Ora la gioventù si è fatta più seria: la lottaper l'esistenza proietta le sue malinconiche ombre anche in queste aule.Entrando nell'Università Voi già pensale alla professione in cui farete piùtardi le vostre prove, ed io intendo e rispetto queste inquietudiniantecipate, io che ho pure dovuto vivamente lottare per aprirmi una via.Ma ricordatevi che solo in questi anni, consacrati alla scuola, Voitroverete ogni agevolezza per rendervi famigliari i principi e il metododella ricerca scientifica. Se avrete imparato ad usarne con facilità,potrete accrescere, anche professando, la vostra dottrina, ma se nonavrete saputo educare la mente alla fatica delle ricerche, scenderete poirapidamente, incalzati dai bisogni quotidiani, nella via dell'empirismovolgare.

Bologna 14 Gennaio 1888.

CESARE VIVANTE

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