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POLITECNICO DI MILANO Polo Regionale di Como Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale Corso di Studi in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio PROPOSTA D’ INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA GESTIONE DEL TERRITORIO MONTANO Relatore: Prof. Alberto Bianchi Correlatore: Dott. Geologo Sergio Chiesa Elaborato finale di: Marco Majori matr. 712356 A.A. 2010/2011

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POLITECNICO DI MILANO Polo Regionale di Como

Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale

Corso di Studi in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio

PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA GESTIONE DEL

TERRITORIO MONTANO

Relatore: Prof. Alberto Bianchi

Correlatore: Dott. Geologo Sergio Chiesa

Elaborato finale di:

Marco Majori matr. 712356

A.A. 2010/2011

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“Questa l’alte cime de’ monti consuma;

questa i gran sassi discalza e remove;

questa scaccia il mare de li antichi liti, perché col portato

terreno li inalza il fondo;

questa l’alte ripe conquassa e ruina.

Nessuna fermezza in lei giammai se vede, che subito non

corrompa sua natura.

Questa co’ sua fiumi cerca delle valli ogni pendice;

e dove leva e dove pone novo terreno…”

Leonardo da Vinci

dal trattato sulle acque

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INDICE Pagina

Premessa 4

Il territorio montano 5

- Caratteristiche peculiari 5

- Il bacino idrografico 6

- Il reticolo idrico minore: 8

Legislatura di riferimento 8

Metodologia d’individuazione 9

Verifica anomalie 10

Fasce di rispetto 11

- Prevedere e prevenire i rischi: 12

Il rischio (R) 12

Prevedere 12

Prevenire 12

Principali sistemazioni idrauliche tradizionali 14

- Le piene 14

Opere di difesa 16

Opere di difesa trasversali 18

- Le briglie: 18

Classificazione briglie 18

- Briglie di consolidamento: 19

Pendenza di compensazione (ic) 22

Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23

Dimensionamento idraulico 26

Dimensionamento statico 27

- Briglie di trattenuta o briglie selettive 32

- I pennelli 34

- Le soglie di fondo 37

Opere di difesa longitudinali 38

- Le difese di sponda 38

Le scogliere 38

Le arginature 39

Principali sistemazioni di versante tradizionali 44

- Le frane 44

Opere di difesa 46

- Muri di sostegno o contenimento: 47

Gabbionate 50

- Gradonamenti 51

- Ancoraggi 52

- Barriere paramassi 54

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L’ingegneria naturalistica 57

- Tecniche di propagazione 57

- Campi d’applicazione 60

Corsi d’acqua 60

Versanti 61

Descrizione analitica delle principali opere 62

- Sistemazioni idrauliche 62

Drenaggi 62

Palificate in legname 65

Briglie in legname e pietrame 68

Terre armate e/rinforzate 69

Interventi sulla vegetazione ripariale 71

- Sistemazioni di versante 72

Interventi preparatori e fasi operative 72

Fascinata viva 74

Viminata 75

Impianto di specie arboree arbustive 77

Messa a dimora di talee 79

Grata viva 81

Graticciata 82

Palificata in legname a doppia parete 84

La formazione dei volontari 87

- Incontri di sensibilizzazione 87

- I corsi di formazione 88

- Volontari qualificati 91

Le guide alpine 91

Schede per la determinazione dello scenario di rischio 93

- Scheda di tipo 1: rivolta agli OSAM 93

- Scheda di tipo 2: relazione tecnica 99

Caso di studio A: Valle del Prete 106

Caso di studio B: Rio Solaz/Val Furner 119

Conclusione 135

Bibliografia 137

Ringraziamenti 139

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PREMESSA

Il territorio è il patrimonio più prezioso che abbiamo ereditato. Da esso traiamo alimento,

materie prime e molti altri beni di vitale importanza. Ciò è e sarà ancora possibile solo

grazie ad un attento utilizzo delle risorse agricole, forestali, faunistiche ed ad un governo

delle acque capace di mitigare sia le conseguenze della siccità che quelle delle precipitazioni

meteoriche intense.

Il lavoro dei nostri antenati ha permesso di rendere coltivabili anche i versanti più ripidi,

realizzando sistemazioni tali da creare paesaggi agrari che tutto il mondo ci invidia.

Diversi disegni di legge prevedono che queste valenze vengano tutelate, mantenute e

conservate, ma il più delle volte gli interventi sono tardivi, se non assenti e le conseguenze

inevitabili.

Il progressivo abbandono delle zone più disagiate da parte delle nuove generazioni ha

incrementato molto l’incuria di queste delicate e fragili aree e spesso ciò è stata la causa di

molte delle cosiddette catastrofi naturali.

Le forme del territorio sono l’effetto di variegati processi nei quali l’acqua è sicuramente il

fattore dominante in grado di erodere, trasportare e deporre grandi quantità di detriti. Oltre

ai meccanismi naturali che hanno forme relativamente stabili ed in equilibrio, vi sono le

sistemazioni antropiche. Molte di queste forme non possiedono caratteristiche di durabilità

paragonabili a quelle naturali, a causa della loro vulnerabilità e/o di un inadeguato

inserimento nell’ambiente. Questo comporterebbe quindi un costante controllo,

indispensabile per avviare opere di manutenzione o rifacimento.

Il rilevamento e la messa in sicurezza delle situazioni più critiche spettano per legge ad ogni

comune. Come ottimizzare questi interventi?

La mia tesi intenderebbe proporre schede di riconoscimento delle situazioni critiche più

ricorrenti in ambiente montano ed argomenti per la creazione di corsi formativi, che

assegneranno il titolo di OPERATORE per la SICUREZZA dell’AMBIENTE MONTANO

(OSAM) ai volontari che vi parteciperanno. Tutto ciò sarà supportato nella parte finale da

due casi rappresentativi, localizzati in comuni dell’Alta Valtellina.

Tale studio s’inquadra nella gestione dei Piani Comunali di Protezione Civile, per ciò che

concerne le principali finalità: la PREVISIONE e la PREVENZIONE, aspetti spesso tenuti

in scarsa considerazione dalle amministrazioni comunali.

Questa tesi è volutamente sviluppata con un linguaggio semplice, talvolta elementare,

perché sia comprensibile a tutti, anche a chi non ha particolare dimestichezza con gli

argomenti tecnici trattati. Non dimentichiamo infatti che l’obiettivo è quello di sviluppare

un linguaggio comune, il più possibile diffuso.

Non ho avuto la pretesa di esaurire ed entrare nell’estremo dettaglio dei numerosi argomenti

trattati, pertanto certi temi potranno risultare non del tutto esaustivi.

Ritengo, tuttavia, che le indicazioni fornite possano costituire un utile ausilio, sia per le

valutazioni speditive, sia per lo sviluppo di metodologie più sofisticate.

Questo mio lavoro conclude un’importante fase della mia vita, dove le difficoltà e le

sconfitte sono state molteplici, ma pienamente ricompensate dalla certezza di aver imparato

molto, soprattutto dal punto di vista umano.

Orgoglioso di ciò che è stato fatto, ora guardo avanti fiducioso e mi auguro un domani di

poter riuscire come ingegnere, ma soprattutto come persona.

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IL TERRITORIO MONTANO

Caratteristiche peculiari

Foto 1: Massicci rocciosi coperti da ghiacciai e nevi perenni, profonde valli, boschi di

conifere e pascoli costituiscono gli elementi peculiari del paesaggio montano.

Le Alpi costituiscono, come tutti sanno, un potente sistema montuoso ben individuato

orograficamente e geologicamente. Possiamo aggiungere che mostrano anche una generale

comunanza di aspetti fondamentali. Essa non riguarda soltanto il mondo della natura, ma

anche quello degli uomini, i quali dappertutto hanno penetrato la montagna alpina e la

popolano con densità relativamente notevole. Il fatto che questa regione montagnosa ospiti

popoli diversi passa in seconda linea rispetto a certi costanti rapporti tra l’uomo e

l’ambiente, ossia quelli che si esprimono sensibilmente nel paesaggio attraverso il modo di

abitare e le forme dell’economia agricola e pastorale, qui fortemente influenzati dai

peculiari caratteri della natura alpina.

Il primo essenziale di questi caratteri risiede nella “energia” del rilievo alpino, coi suoi forti

dislivelli e i pendii di accentuata acclività. Non meno importante è lo sviluppo di ampi

sistemi vallivi penetranti la montagna, anche nelle sezioni più elevate. Se solitamente si

pensa alle alte cime nevose, le profonde valli sono forse le maggiori protagoniste del

paesaggio alpino, considerato nell’integrità dei suoi attributi. Spetta alle valli di guidare

l’assetto del popolamento e coagulare la vita dei singoli cantoni.

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In diretto rapporto coi forti dislivelli è un aspetto generale molto importante della montagna

alpina: la successione di fasce altimetriche, diversamente caratterizzate per vegetazione,

impronta umana e forme di sfruttamento, come conseguenza di un fatto primordiale, cioè la

diminuzione della temperatura al crescere dell’altitudine. Le diverse fasce, che è possibile

vedere sopra uno stesso fianco vallivo, potrebbero essere considerate ciascuna come un

distinto paesaggio (le colture, i villaggi, il bosco, i pascoli, le rocce e le nevi), ma la loro

connessione è in realtà troppo intima per ammettere una simile distinzione.

Non di tutta, ma di grandissima parte della montagna alpina è poi il caratteristico

modellamento glaciale, dovuto all’opera dei grandi ghiacciai che a più riprese si sono

espansi durante l’era quaternaria, rispetto ai quali i ghiacciai odierni appaiono soltanto come

piccoli residui.

Altra caratteristica peculiare della montagna è la generale ricchezza d’acqua, basilare risorsa

per il rifornimento idrico e per l’odierna diffusione degli impianti idroelettrici. Infine si

notano gli alpeggi, realizzati dall’uomo, come aspetto comune della massima parte del

paesaggio alpino. La montagna è comunque sempre ben definita rispetto agli atri tipi di

paesaggio, ciò non toglie però che in una fascia ai suoi piedi, subalpina o pedemontana,

ristretta e irregolare, si sviluppino caratteri speciali, che vadano ad attenuare l’impatto del

paesaggio di montagna.

Il bacino idrografico

Il bacino idrografico è una porzione di territorio che, grazie alla conformazione della sua

superficie topografica, raccoglie le acque delle precipitazioni meteoriche, le acque di

fusione dei ghiacciai e delle nevi convogliandole, direttamente o attraverso gli affluenti,

verso un unico collettore, un impluvio, che dà origine ad un corso d’acqua.

Un bacino può essere definito, misurato e descritto una volta che sia stata scelta una sezione

di chiusura, ovvero un luogo di convergenza delle acque, ubicato lungo un impluvio,

attraverso il quale passa tutta l’acqua raccolta in superficie. Attraverso questa sezione passa

tutta l’acqua raccolta dal bacino.

A partire dalla sezione di chiusura è possibile tracciare lo spartiacque del bacino. Si tratta

della linea che collega tra loro i punti a maggiore quota e separa un bacino dall’altro.

Fig.1: Schema di bacino idrografico in tre dimensioni.

All’interno di un bacino idrografico i diversi impluvi, ruscelli, corsi d’acqua, fiumi, si

dispongono spazialmente a formare il reticolo idrografico, la cui struttura dipende da fattori

geologici e geomorfologici caratteristici di ogni bacino, come la presenza di faglie e fratture,

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la litologia del substrato e le forme che si sviluppano a seguito dell’azione dei fattori

climatici. All’interno del reticolo idrografico ogni corso d’acqua ha poi un proprio

andamento, che dipende sia dai fattori descritti in precedenza sia dalle condizioni dinamiche

del corso d’acqua stesso (portata, velocità...).

La conformazione e la struttura di un bacino non sono costanti nel tempo.

La superficie terrestre infatti è in continua evoluzione, si modifica, evolve, soprattutto in

territori geologicamente “giovani” come quelli alpini.

All’interno dei bacini si possono attivare così processi naturali che coinvolgono sia i

versanti sia i torrenti. Sono processi che hanno diverse manifestazioni, in funzione di dove

ci si trova: in zona montana o di pianura.

In ambito montano, l’instabilità dei versanti origina frane di diverso tipo; il materiale

sciolto reso disponibile dalle frane e dall’azione glaciale, in associazione all’acclività dei

versanti e alle precipitazioni alimenta il trasporto solido lungo i torrenti e ne accentua le

capacità erosive. Con il diminuire della pendenza, dai fenomeni erosivi si passa a processi di

deposizione, allagamento e tracimazione, processi caratteristici degli ambienti pianeggianti

di fondovalle.

I processi sopra descritti possono attivarsi in modo occasionale, oppure ripetersi con

caratteristiche simili ma con intensità diverse, determinando condizioni di dissesto

idrogeologico, intendendo con questo termine “qualsiasi disordine o situazione di squilibrio

che l’acqua produce nel suolo e/o nel sottosuolo” (termine istituzionalizzato in seguito alla

creazione del Gruppo Nazionale per la Difesa delle Catastrofi Idrogeologiche GNDCI nel

1984).

L’evoluzione dell’ambiente naturale, che modella la superficie terrestre, non è eliminabile.

Con essa si trova ad interagire l’uomo con le sue numerose attività: dal taglio dei boschi in

montagna, all’edificazione lungo i corsi d’acqua; dall’asportazione di materiale litoide alla

modifica dell’andamento naturale dei torrenti; dalla variazione dell’uso del suolo

all’occupazione di aree interessate dalla dinamica fluviale.

Foto2: Frana di crollo. Foto 3: Calanchi. Principalmente

dovuti all’erosione da parte

dell’acqua piovana.

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Il reticolo idrico minore

Il Piano per l'Assetto Idrogeologico del bacino del Po (PAI) è stato approvato con il DPCM

del 24 maggio 2001 e la relativa pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell' 8 agosto. Il

Piano disciplina le azioni riguardanti la difesa idrogeologica del territorio e della rete

idrografica del bacino del Po, attraverso l'individuazione delle linee generali di assetto

idraulico ed idrogeologico. Il PAI, unico piano di bacino vigente a livello nazionale, inizia un processo di

pianificazione, in quanto sollecita la verifica del "quadro dei dissesti", ed avvia

l'adeguamento degli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica alle effettive

situazioni di dissesto e di rischio idraulico ed idrogeologico.

La deliberazione di adozione del PAI n. 18 del Comitato Istituzionale dell'Autorità di bacino

del fiume Po del 26 aprile 2001 ha previsto una norma transitoria che consente ai Comuni

un periodo di 18 mesi per effettuare le verifiche di compatibilità con lo stato del dissesti

idraulico ed idrogeologico del proprio territorio. Quindi, il PAI, definito come piano -

processo, lo è sia in termini di coinvolgimento di più Enti e di più livelli di strumentazione

urbanistica e territoriale al processo di aggiornamento del quadro del dissesto, sia in termini

di tempi di attuazione, anche attraverso conoscenze comuni e condivisione degli atti di

pianificazione, delle azioni e delle programmazioni.

Passando a livello Regionale, in Lombardia con deliberazione della Giunta del 25 gennaio

2002 n°7/7868 “Determinazione del reticolo idrico principale. Trasferimento delle funzioni

relative alla polizia idraulica concernenti il reticolo idrico minore, come indicato dall’art. 3

comma 114 della LR 1/2000-Determinazione dei canoni regionali di polizia idraulica” le

competenze in materia di polizia idraulica sul reticolo minore sono state trasferite dalla

regione agli Enti Locali. Successivamente tale normativa è stata integrata con la Deliberazione della Giunta

Regionale del 1 agosto 2003 n°7/13950 “Modifica della DGR 25 gennaio 2002 n°7/7868”

Tale trasferimento comporta che i comuni predispongano i necessari elaborati cartografici

con l’individuazione del reticolo minore.

Oltre a tale individuazione le municipalità dovranno dotarsi di apposito regolamento che

disciplini le attività vietate e quelle soggette ad autorizzazione all’interno di stabilite fasce

di rispetto fluviale e/o torrentizie

Legislatura di riferimento

La legge di riferimento, per ciò che concerne il reticolo idrico, è senza dubbio il Regio

Decreto numero 523 del 1904. Tale norma ha costituito il riferimento per regolamentare le

attività di polizia idraulica stabilendo, all’interno delle fasce di rispetto, le attività consentite

e quelle vietate.

La più recente Legge 5 gennaio 1994 numero 36 ha innovato il concetto di acqua pubblica

stabilendo il concetto di pubblicità di tutte le acque superficiali e sotterranee. Il recente DPR

18 febbraio 1999, numero 238, ha approvato il “Regolamento recante norme per

l’attuazione di talune disposizioni della Legge 5 gennaio 1994 numero 36, in materia di

risorse idriche”.

In particolare l’articolo 1 stabilisce che “ appartengono allo stato e fanno parte del demanio

pubblico tutte le acque sotterranee e le acque superficiali, anche raccolte in invasi o

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cisterne”. Tale disposizione (art. 1 comma 2). “ non si applica a tutte le acque piovane non

ancora convogliate in un corso d’acqua o non ancora raccolte in invasi o cisterne”.

Tale definizione è di fondamentale importanza poiché è proprio in base a questi due commi

dell’articolo 1 che potrà essere individuato il reticolo minore di competenza comunale. In

particolare all’interno di tale elenco verranno inseriti:

- i corsi d’acqua indicati come demaniali nelle carte catastali

- i corsi d’acqua oggetto di interventi con finanziamenti pubblici

- i corsi d’acqua interessati da derivazioni

- i corsi d’acqua individuati come tali nelle cartografie ufficiali (IGM, CTR)

Viceversa non verranno compresi all’interno di tale elenco, sulla base di quanto stabilito

dalla Deliberazione 4 febbraio 1977 “Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui

all’art. 2 lettere b, d ed e della Legge 10 maggio 1976 numero 319 recante norme per la

tutela delle acque dall’inquinamento”, i collettore artificiali di acque meteoriche ivi inclusi

quindi gli scorrimenti determinati dai drenaggi delle strade e piste forestali.

Infine si rammenta che, ai sensi dell’articolo 3 della Legge 5 gennaio 1994 numero 37, “se

un fiume o un torrente si forma su un nuovo letto, abbandonando l’antico, il terreno

abbandonato rimane assoggettato al regime proprio del demanio pubblico”.

Metodologia d’individuazione

Il lavoro implica una serie di passaggi che verranno di seguito esplicitati:

I FASE

1) Individuazione dei corsi d’acqua sulla cartografia ufficiale della Regione (CTR)

alla scala 1.10.000.

2) Individuazione delle aree demaniali sui differenti fogli catastali del Comune in

esame.

3) Individuazione dei corsi d’acqua oggetto di interventi pubblici.

4) Individuazione dei corsi d’acqua oggetto di derivazioni.

5) Individuazione delle aste torrentizie con pericolosità da moderata a molto elevata

sia perimetrale che non perimetrale sulla Carta dei Dissesti, ai sensi della Legge

18 maggio 1989, n°183, art. 17, comma 6 - Progetto di Piano Stralcio per l’assetto

Idrogeologico (PAI).

6) Individuazione di eventuali ulteriori aste torrentizie evidenziate sulla cartografia

Geoambientale e Geologica.

7) Individuazione dei corsi d’acqua sulla nuova cartografia a curve di livello.

II FASE

8) Sovrapposizione delle informazioni così ottenute.

9) Sopralluoghi, verifica della anomalie e correzioni cartografiche.

10) Individuazione del reticolo maggiore e del reticolo minore su CTR e su base

cartografica alla scala 1:2.000 – 1:5.000 laddove esistente.

11) Individuazione dei punti di criticità e dei tratti tombinati.

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III FASE

12) Analisi delle caratteristiche idrologiche del territorio comunale.

13) Individuazione, con differenti metodi, delle portate idrauliche dei bacini di

maggior interesse.

14) Stima delle potenzialità relative al trasporto solido dei bacini di maggior

interesse.

IV FASE

15) Presa d’atto delle verifiche idrauliche oggetto di apposito studio.

16) Identificazione della normativa vigente all’interno delle fasce fluviali relative al

reticolo maggiore.

17) Individuazione delle fasce di rispetto del reticolo minore.

18) Stesura della normativa tecnica per le fasce di rispetto.

Verifica anomalie

Dopo aver sovrapposto le informazioni ottenute grazie al lavoro della prima fase, alcune

situazioni risulteranno piuttosto ricorrenti. In sintesi possono essere così riassunte:

a) Versanti montuosi con alvei piuttosto incisi e delimitati: l’individuazione dell’alveo

di cui ai fogli catastali non coincide con quanto riportato sulla più recente CTR.

b) Conoidi e aree di fondovalle con possibilità di divagazione del corso d’acqua:

l’individuazione dell’alveo di cui ai fogli catastali non coincide con quanto riportato

sulla più recente CTR.

c) Aste laterali con scorrimento, nella parte terminale, in subalveo e/o ipogeo:

l’individuazione dell’alveo sia sulla CTR che sui fogli catastali è limitata alla parte

superiore dell’asta.

d) Tratti di alveo tombinato.

Per le “anomalie” sopra evidenziate i comportamenti seguono in generale certe modalità:

a) Quando si riscontra una discordanza limitata ad una traslazione di poche decine di

metri, si lascia l’indicazione catastale. Viceversa per discordanze più significative

(indicativamente oltre i 50 metri in pianta), che possono quindi sottendere dubbi di

interpretazione sull’unicità o meno del ramo idrografico in oggetto, si fa affidamento

sulla CTR che, per metodo di redazione e per “anzianità”, risulta certamente più

attendibile dei fogli di mappa.

b) A differenza del punto precedente in questo caso non è possibile escludere che il

rilievo dei fogli catastali sia errato. Pertanto vengono classificati entrambi i percorsi,

in quanto suscettibili di riattivazione proprio in virtù della caratteristica di possibile

divagazione del corso d’acqua.

c) Poiché ci si limita all’individuazione del reticolo minore secondo le definizioni di cui

al punto 4 dell’allegato B della DGR 25 gennaio 2002 n°7/7868 tali tratti non

verranno evidenziati. Si rammenta che su queste aree vige la normativa della LR

41/97.

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d) Ci si basa sull’articolo 21 PAI: “i soggetti pubblici o privati proprietari o

concessionari predispongono, entro 1 anno dalla data di pubblicazione dell’atto di

approvazione del Piano Stralcio per l’assetto Idrogeologico (PAI), una verifica

idraulica delle opere di tombinamento dei corsi d’acqua naturali in corrispondenza

degli attraversamenti dei centri urbani, sulla base di apposita direttiva emanata

dall’Autorità di bacino. Le amministrazioni competenti in relazione ai risultati della

verifica menzionata, individuano e progettano gli eventuali interventi strutturali di

adeguamento necessari, privilegiando ovunque possibile il ripristino di sezioni di

deflusso a cielo libero”. Va notato che la pubblicazione dell’atto di approvazione del

Piano Stralcio per l’assetto Idrogeologico (PAI) è avvenuta sulla G.U. n°183 del 8

agosto 2001.

Fasce di rispetto

Per la delimitazione delle fasce di rispetto ci si deve basare sullo studio geologico di cui alla

LR 41/97.

Quindi si analizzano le aree limitrofe al reticolo idrografico minore tenendo conto di:

- aree storicamente soggette ad esondazioni

- aree interessate da fenomeni erosivi e di divagazione dell’alveo

- garantire l’accessibilità alle sponde del corso d’acqua anche con mezzi meccanici

idonei per la manutenzione dello stesso

- garantire l’accessibilità alle sponde del corso d’acqua per la fruizione e la

riqualificazione ambientale.

Sulla base di quanto sopra esposto le fasce di rispetto relative al reticolo minore si

suddividono in due tipologie in funzione del corso d’acqua (reticolo secondario A e reticolo

secondario B) a cui fanno riferimento.

Per la maggior parte dei torrenti comunali (reticolo secondario A) è stata confermata la

fascia di metri 10, misurati dal limite esterno del reticolo.

I corsi d’acqua del reticolo secondario B non presentano problematiche che possono

comportare dissesti e rischi su aree significative e perciò la fascia risulterà di metri 5,

sempre misurati dal limite esterno del reticolo.

La misura “dal limite esterno del reticolo” fa ovviamente riferimento alla situazione reale.

L’individuazione del reticolo effettuata nella cartografia, non può che avere un valore

indicativo valido esclusivamente per l’individuazione dell’asta in quanto tale, ma non per la

misura della distanza della fascia di rispetto. E’ infatti evidente che quest’ultima vada

effettuata sui dati puntuali derivati da un rilievo dettagliato che evidenzi “la sponda incisa”

o il piede arginale esterno.

Infine esula dalle sopramenzionate fasce di rispetto l’area limitrofa alle canalizzazioni. In

questi tratti la fascia di rispetto dei corsi d’acqua attualmente coperti è finalizzata a garantire

la possibilità di accesso alle ispezioni e/o la possibilità di manutenzione tramite ispezioni

poste a distanze adeguate o per consentire la rimozione dell’opera di tombinamento.

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Prevedere e prevenire i rischi

Il rischio (R)

Il rischio può essere identificato come il punto d’incontro fra un EVENTO ANOMALO e

una VITTIMA che lo subisce.

Nello specifico esso è quantificabile derivandolo da una combinazione di fattori

determinabili:

R = P × V × E

Pericolo (P): probabilità che un evento potenzialmente dannoso si verifichi entro un certo

intervallo di tempo ed entro una data area. (E’ un fattore strettamente connesso con le

caratteristiche intrinseche del sistema considerato).

Vulnerabilità (V): suscettibilità di un bene o di una pluralità di beni a subire danni a seguito

del verificarsi di un evento di determinata entità.

Esposizione (E): valore socialmente riconosciuto dall’insieme di persone, beni, attività e

risorse esposti al pericolo di un evento naturale in una determinata area.

Prevedere

Per prevedere è necessario costruire uno SCENARIO. Esso altro non è che un modello di

futuro, che si vuole studiare rispetto ad alcune variabili considerate critiche. La sua forza

non consiste tanto nel prevedere il futuro, quanto nel “riconoscere il futuro nelle forze che

agiscono nel presente”.

Sintetizzando, esso è composto da:

- una concatenazione di danni di tipo qualitativamente diverso, legati l’uno all’altro da

relazioni sistemiche e nessi casuali più o meno laschi;

- l’innesco di tale concatenazione è dato da un evento naturale o da un incidente

antropico o industriale;

- i danni conseguenti sono dovuti alla combinazione di fattori di pericolosità, alle

caratteristiche cioè dell’evento o dell’incidente, e di vulnerabilità, che descrivono la

fragilità (o la resistenza) dei sistemi colpiti.

Di difficile stesura a causa della grande interdisciplinarità che lo interessa, lo scenario

rimane indubbiamente uno strumento molto efficace per descrivere futuri possibili e

previsioni di danno.

Conseguenza diretta di questa analisi, volta ad identificare gli aspetti più fragili della nostra

sicurezza, è la prevenzione.

Prevenire

A causa delle sempre più ristrette risorse economiche e del peggioramento delle condizioni

del territorio, non è più ammissibile risolvere il problema dei disastri con una mera politica

di gestione delle emergenze.

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Solo la pianificazione del territorio e la mitigazione sostenibile degli effetti delle calamità

naturali devono diventare gli obiettivi prioritari dello sviluppo di un paese che vede nella

qualità dell’ambiente, nella qualità della vita e nella politica economica lungimirante, i

fondamenti della propria civiltà.

Il Piano di governo del territorio (abbreviato in PGT) è un nuovo strumento urbanistico

introdotto in Lombardia dalla legge regionale lombarda n.12 dell'11 marzo 2005. Il PGT ha

sostituito il Piano regolatore generale come strumento di pianificazione urbanistica a livello

comunale e ha lo scopo di definire l'assetto dell'intero territorio comunale. Salvo deroghe, la

legge prevedeva che tutti i comuni lombardi si dotassero di un PGT entro marzo 2009. A

quella data solo il 5% dei 1.546 Comuni lombardi ha adottato il PGT. Il Consiglio regionale,

preso atto della situazione, ha prorogato il termine al 31 marzo 2010 e successivamente al

31 marzo 2011.

Lo sforzo iniziale è quindi di notevole entità, infatti si deve considerare che per mantenere i

centri abitati montani ed i necessari collegamenti viari sui versanti, è indispensabile

prendere numerose precauzioni, intervenire con attenzione e predisporre accorgimenti

costruttivi particolari.

Questa impostazione fa ovviamente aumentare i costi di realizzazione e gestione ed impone

delle limitazioni: si tratta di un problema analogo a quello che deve affrontare la

popolazione che vuole restare a vivere nelle aree sismiche.

Infatti, come nel caso delle aree sismiche, che hanno il problema dell’adeguamento del

patrimonio edilizio, nel caso del territorio montano ci si deve concretamente confrontare

con il problema dell’adeguamento delle infrastrutture, la loro messa in sicurezza, la

riduzione delle interferenze con i processi naturali, l’eliminazione delle condizioni di

pericolo indotto e con un necessario costante controllo dell’efficienza delle opere di difesa

dagli eventi e di mitigazione delle conseguenze.

In particolare i singoli comuni devono tenere sotto controllo e curare la manutenzione dei

corsi d’acqua minori (Reticolo Idrico Minore), per mantenere la loro efficienza ed assicurare

la loro capacità di drenaggio. Quasi sempre mancano dati aggiornati sullo stato di questo

fondamentale elemento e sulle interferenze con le strutture antropiche.

In genere vengono erogati (anche se proprio in occasione degli ultimi eventi interessanti in

Regione Lombardia è emersa una evidente lentezza e difficoltà nella disponibilità di fondi

per gli interventi, anche di massima urgenza) investimenti adeguati a seguito di catastrofi,

quindi su aree in cui ormai il danno si è verificato, ed è spesso meno probabile che si

riproduca in tempi brevi.

Mancano o sono del tutto insufficienti gli investimenti a carattere preventivo.

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PRINCIPALI SISTEMAZIONI IDRAULICHE TRADIZIONALI

Le piene

I fenomeni di piena si verificano in conseguenza di eventi pluviometrici di forte intensità nel

bacino idrografico sotteso dalla sezione fluviale di interesse. Infatti se la quantità di acqua

che cade al suolo supera abbondantemente quella che contemporaneamente passa

nell’atmosfera per evapotraspirazione, nelle rete idrografica si verifica un progressivo

incremento dei livelli idrici che caratterizza lo stato di piena del fiume.

In via schematica si può ritenere che la formazione dei deflussi di piena avvenga attraverso

4 distinti meccanismi.

Afflusso diretto

Rappresenta la parte del volume di pioggia che cade direttamente sulle superfici liquide del

bacino. Esso risulta trascurabile, pertanto la portata conseguente a tali afflussi viene

conglobata con quella derivante dal deflusso superficiale che, di solito, rappresenta

l’aliquota più cospicua del complessivo deflusso di piena.

Deflusso superficiale

Questo fenomeno inizia a formarsi dopo un certo tempo dall’inizio dell’evento

pluviometrico, allorché l’intensità di pioggia supera globalmente l’intensità di

evapotraspirazione e di infiltrazione e, inoltre, dopo che si sono esaurite le capacità d’invaso

naturali ed artificiali presenti nel bacino che non hanno connessione diretta con la rete

idrografica. Il ritardo con cui le portate si presentano in alveo non è grande ed è in stretta

relazione con i caratteri geomorfologici del bacino idrografico e con il suo stato iniziale di

imbibizione.

Deflusso ipodermico

Talvolta accade che parte dell’acqua di pioggia infiltratasi nel terreno scorra più o meno

parallelamente alla superficie del suolo in uno strato superficiale dello spessore di alcune

decine di centimetri. Il deflusso ipodermico dipende dalle caratteristiche litologiche del

bacino: esso infatti può risultare significativo quando, a piccole profondità sono presenti

strati di terreno impermeabili e tra quest’ultimi e la superficie del suolo c’è presenza di

macroporosità dovuta all’apparato radicale della vegetazione.

Per le difficoltà dovute all’individuazione di tale deflusso e per la sua costante di tempo

prossima alla componente superficiale, anche in questo caso, si tende ad accorpare il

deflusso ipodermico a quello superficiale.

Deflussi profondi

Il contributo di tali deflussi alla formazione della portata di piena in una sezione di fiume è

considerato quando parte dell’acqua d’infiltrazione ha la possibilità di raggiungere la rete

idrografica a monte della sezione in esame.

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Essendo il moto delle acque filtranti molto lento, i deflussi sotterranei giungono in alveo

con notevole ritardo rispetto all’inizio del fenomeno piovoso. A causa poi di serbatoi

sotterranei, l’andamento nel tempo delle relative portate è molto più regolare di quello delle

portate superficiali.

Da quanto detto, appare chiaro che il processo attraverso cui gli afflussi si trasformano in

deflussi è del tutto differente per le componenti che raggiungono rapidamente il corso

d’acqua (afflussi diretti, deflussi superficiali) e per la componente sotterranea che è molto

più lenta. Ciò consiglia di analizzare il fenomeno di piena complessivo disgregandolo nelle

due componenti principali, superficiale e profonda.

In figura 2 è rappresentato, in modo schematico e a titolo esemplificativo, un evento

pluviometrico ed il corrispondente idrogramma di piena. Il ramo AB dell’idrogramma che

precede l’inizio del fenomeno caratterizza la fase di esaurimento del fiume: le portate che

esso rappresentano derivano solo da deflussi sotterranei generati da precipitazioni

verificatesi precedentemente. Col sopraggiungere in alveo dei deflussi superficiali

conseguenti alla pioggia, le portate crescono rapidamente e l’idrogramma s’impenna fino a

raggiungere il colmo C. Le portate cominciano quindi a diminuire fino a cessare del tutto in

corrispondenza di un certo istante (tD) a partire dal quale inizia il ramo di esaurimento

formato da soli deflussi sotterranei.

Le portate derivano esclusivamente da deflussi profondi negli istanti di tempo che

precedono il punto B e seguono il punto D. Nell’intervallo tB-tD le portate sono dovute sia

ai deflussi profondi che a quelli superficiali, ma in prevalenza ai secondi.

Fig.2: Suddivisione dell’idrogramma di piena nelle componenti sotterranea e superficiale.

E’ chiaro comunque che, poiché alle portate sotterranee di esaurimento precedenti l’evento

di pioggia si aggiungono quelle prodotte nel corso dello stesso evento e, d’altra parte, la fase

d’esaurimento delle portate sotterranee inizia, al limite, a partire dall’istante tD (anzi

certamente prima), l’idrogramma di piena conseguente ai soli deflussi sotterranei avrà

verosimilmente un andamento qualitativo come quello indicato con le lettere ABFD.

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L’individuazione esatta della linea di separazione delle due componenti dell’idrogramma di

piena è praticamente impossibile da ottenere a causa delle scarse conoscenze che si hanno

della complicatissima dinamica che caratterizza i fenomeni di infiltrazione, di circolazione

nel terreno e di scambio tra acque superficiali e sotterranee. Per avere un’idea di tale

complessità si osservino le curve di figura 3. La prima, che indica schematicamente

l’andamento dei livelli di falda in rapporto all’evolversi dei livelli idrici del corso d’acqua

mostra che al termine del periodo di siccità le portate fluviali sono prodotte dai soli deflussi

sotterranei e la superficie piezometrica della falda è inclinata verso il fiume (Fig.3a-falda

AB). A seguito della precipitazione, sia il livello idrico del fiume che la superficie libera

della falda tendono a rialzarsi; l’innalzamento di quest’ultima è tuttavia molto più lento e

graduale, cosicché, quando nel fiume transita l’onda di piena il livello idrico può superare

repentinamente quello della falda e determinare un deflusso profondo inverso, cioè dal

fiume verso l’esterno (Fig.3a-falda CD). In tale fase si avrebbero, quindi, deflussi

sotterranei negativi (Fig.3b).

a)

b)

Fig.3: Interazione tra corsi d’acqua superficiali e falde sotterranee.

Una volta transitata l’onda di piena e riabbassatosi il livello idrico, la falda riprende ad

alimentare il fiume. In una situazione del genere, dunque, la separazione delle due

componenti dell’idrogramma avverrebbe secondo una linea di gran lunga differente da

quella indicata in figura 2.

OPERE DI DIFESA

Il compito delle opere di sistemazione idraulica è di regolare la portata liquida e/o la portata

solida in seguito alle piene e consistono in interventi sul corso d'acqua.

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Opere tradizionali secondo lo scopo

Scopo Tipo di opera

Serbatoi

Riduzione della portata Casse di espansione

Derivazioni scolmatori

Arginature

Svasi periodici

Aumento portata convogliabile Rivestimento

Rimodellazione d’alveo

Drizzagni

Stabilizzazione alveo Traverse

Rivestimenti

Regimazione della falda Canali di bonifica

Dispositivi di ricarica

Tab.1: Opere per la regolarizzazione della portata liquida.

Scopo Tipo di opera

Manufatti di recapito nel recipiente

Stabilizzazione cono deiezione Canalizzazioni o arginature

Piazze di deposito

Correzione dell’alveo Rivestimento

Briglie di consolidamento

Muri di sponda

Stabilizzazione delle sponde Difese elastiche

Pennelli

Salti di fondo

Stabilizzazione del fondo Soglie di fondo

Smorzatori d’energia

Laghetti collinari

Riduzione di portata Briglie ritardanti

Derivazioni

Riduzione trasporto solido Briglie di trattenuta

Tab.2: Opere per la regolarizzazione del trasporto solido (trattenendo materiali

precedentemente erosi o impedendo nuovi prelievi).

Di seguito saranno presentati gli aspetti generali delle opere comunemente più utilizzate per

la sistemazione dei torrenti montani.

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OPERE DI DIFESA TRASVERSALI

Le briglie

I corsi d’acqua di montagna si distinguono in torrenti di trasporto e di erosione: i primi sono

in grado di allontanare e trasportare a valle il materiale solido che affluisce dai versanti

senza modificare apprezzabilmente la morfologia dell’alveo, in particolare le quote del

fondo; i secondi, invece, hanno capacità di trasporto superiore alle portate solide provenienti

dai versanti e pertanto tendono ad erodere l’alveo mobilitando volumi di materiale che sono

ancora in grado di trasportare. Questo materiale assieme a quello proveniente da monte

satura la capacità di portata del torrente e viene trasportato verso valle. Mentre in questi

ultimi torrenti si verifica un progressivo abbassamento del fondo alveo e l’erosione delle

sponde, in quelli di trasporto tali fenomeni evidentemente sono assenti. Anzi, se il

quantitativo di materiale proveniente dai versanti supera la capacità di trasporto del torrente,

una parte di questo materiale si deposita in particolari tratti d’alveo (dove la corrente

rallenta) formando zone di accumulo che, se particolarmente ingombranti, possono creare

seri problemi di deflusso idrico, specie durante gli stati di piena.

Quando questi squilibri tra materiale affluente e materiale trasportato non si riescono a

modificare con interventi estesi sul bacino di alimentazione, il controllo di queste due

opposte tendenze, entrambe pericolose, si ottiene con la costruzione di opere trasversali di

“consolidamento” e di “trattenuta” che prendono il nome di briglie.

Classificazione briglie

Tipo Morfologia strutturale Sottotipo Materiali

Piene Rettilinee

A Gravità (C-T-L-M)

A trave o a tiranti (C-CA-A)

A mensola (CA-A)

Ad arco (C-CA-M)

Aperte

Verticali Grigliate (filtranti) (CA-M)

A pettine (CA-M)

Orizzontali Dispositivo Rosic (C)

Dispositivo Clauzel (M)

Tab.3: Briglie di consolidamento terreno.

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Tipo Morfologia

strutturale Sottotipo Materiali

Permanenti

(a capacità limitata)

Piene Rettilinee

Piene ad Arco

Aperte Verticali

(C-A-CA-T-M)

(C-A-CA-T-M)

(C-A-CA-T-M)

Temporanee

(a svuotamento)

A fessura A trattenuta meccanica (C-CA)

A dissipazione d’energia (C-CA)

Selettive A griglia fissa (C-CA-M)

A griglia mobile (M)

Ritardanti (Laminazione delle

piene) (C-CA-A-M)

Continue

(a capacità illimitata)

Dispositivo Clauzel (M)

Tab.4: Briglie di trattenuta sedimenti.

Sigla Materiale Commento

A Acciaio Poco usato

C Calcestruzzo Da non usare

CA Cemento armato Da non usare

L Legno Per piccole opere

M Materiali diversi

G Gabbioni Materiale idoneo

TA Terre armate Materiale “ecologico” (problemi statici)

P Pietrame a scogliera Materiale idoneo

MS Muratura a secco Poco idoneo

MIL Muratura idraulica in laterizi Da non usare

MIP Muratura idraulica in pietrame Da non usare

Tab.5: Sigle usate per indicare i materiali utilizzati nella costruzione dell’opera.

Briglie di consolidamento

Un torrente lasciato in balia di se stesso tende a produrre la sua pendenza di compensazione

ic . Questo stato di equilibrio può essere raggiunto solo col tempo, a seguito di franamenti ed

erosioni.

Attraverso la sistemazione si tende a conseguire artificialmente ed in anticipo l'assetto del

corso d'acqua, evitando le erosioni ed i franamenti.

Non è però necessario sistemare tutti i torrenti, infatti non tutti danneggiano, e anche se

danneggiano, non tutti i danni hanno il carattere dell’insopportabilità.

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Molti torrenti infatti anche presentando caratteristiche simili (pendenza, altitudine delle

sorgive, intensità delle precipitazioni meteoriche) di altri, non trasportano uguali quantitativi

di materiale solido, ciò è possibile per la diversa natura geolitologica dei terreni.

Saranno così in condizioni assai precarie i torrenti che scorrono in bacini costituiti da terreni

franosi (argille, marne, etc.) o peggio ancora quelli che hanno bacini impermeabili, che

danno luogo a piene impetuose (graniti, gneiss, etc.).

In tali casi bisognerà prendere in seria considerazione la necessità di sistemarli.

Non così sarà per i torrenti i cui bacini sono costituiti da terreni e rocce permeabili che

favorendo l'assorbimento delle piogge danno luogo a piene meno forti e più lente (arenarie,

sabbia, ghiaia, calcari fessurati).

Le briglie sono sbarramenti di piccola altezza, posti a conveniente distanza tra loro. A

monte delle briglie si accumulano i materiali portando il fondo alla pendenza voluta.

Il Regolamento Ministeriale, contenuto nelle "Norme per la preparazione dei progetti per

sistemazioni idraulico-forestali nei bacini montani", approvate con decreto ministeriale

20/9/1912, prescrive tra l'altro al Cap. 10 che: "la corona delle briglie dovrà essere concava

con ali rialzate sui fianchi o sul fianco corrodibile, in modo che la portata massima del

torrente sia contenuta tra sponde salde. Il profilo a valle deve essere verticale".

Fig.4: Parti principali di un sistema briglia.

In generale le briglie vengono realizzate in muratura di pietrame, quasi sempre disponibile

in loco o nelle immediate vicinanze e, più raramente, di laterizi. Ovviamente tale materiale

viene utilizzato per il corpo briglia vero e proprio mentre per la platea e la contro-briglia

possono esserci varie soluzioni tecniche.

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Fig.5: Prospetto e sezione trasversale di una generica briglia.

Con gaveta s’intende la parte centrale del corpo briglia entro il quale deve transitare la

portata massima. La gaveta deve la maggior larghezza possibile compatibilmente con le

caratteristiche geometriche dell’alveo di valle e con la stabilità delle sponde. La gaveta deve

essere realizzata in pietra dura e protendersi verso valle di tanto quanto è sufficiente ad

evitare l’impatto della lama d’acqua stramazzante sul parametro di valle.

La funzione della platea è quella di costituire un letto dove le acque stramazzanti dalla

gaveta possano dissipare la propria energia senza compromettere la stabilità della briglie e la

stessa struttura della platea. Questa deve essere realizzata con materiali non rigidi ed in

grado di assorbire le sollecitazioni che l'acqua precipitando con violenza, durante le piene,

le imprime.

Sono ottimi i materassi realizzati con o senza rete di filo metallico zincato di pietrame,

specie se di grosse dimensioni. Se il pietrame é di dimensioni compatibili (in ordine di

grandezza) con la capacità di trasporto dell' acqua é preferibile la sua organizzazione in

gabbioni.

Sono del tutto da escludere le strutture rigide quali quelle in muratura di vario tipo (pietrame

compreso) e di calcestruzzo che in merito ha dato pessimi risultati dimostrando non solo la

tendenza ad un rapido deterioramento (difetto di tutti i calcestruzzi se non opportunamente

confezionati) ma anche un' eccessiva fragilità nei confronti degli urti dell' acqua.

La contro briglia serve non solo a delimitare la zona di platea, ma anche a favorire la

funzione dissipativa creando un risalto e quindi un passaggio da corrente veloce a lenta.

Essa può essere realizzata ancora in muratura di pietrame od in gabbioni, ma non sono

escluse altre soluzioni quali strutture lignee o metalliche.

Le fondazioni hanno il compito di scaricare sul terreno le sollecitazioni provenienti dal

corpo della briglia. Innanzitutto vanno impostate su di un terreno idoneo ad assorbire le

dette sollecitazioni. Pertanto occorrerà scavare sin tanto che si trovi una terreno compatto o

sciolto idoneo.

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Più delicato é il problema che si presenta ai lati della briglia, infatti le acque fluviali, ove la

briglia non sia ben ammorsata alla pareti laterali dell'alveo, potrebbero scavarsi un varco tra

briglia e pareti naturali.

Tale problema ovviamente non sussiste se le pareti naturali hanno idonea consistenza e la

briglia è su di esse ben ferma. Ma quando le pareti naturali sono composte da materiali

sciolti, facilmente erodibili, un buon ammorsamento non è sufficiente, da qui la necessità di

muri d'ala, cioè di opere di tipo longitudinale che costringano l'acqua a rimanere nell'alveo,

impedendole di cercare altre vie. Ovviamente i muri d'ala devono essere spinti a monte fino

al punto in cui la corrente idrica non risenta dell'effetto della briglia.

Fig.6: Pianta di una generica briglia con muri d’ala.

Pendenza di compensazione ( ic)

Tramite la seguente formula sperimentale è possibile trovare il valore della velocità

dell’acqua di fondo (vf):

vf = 3,75 × d

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Essa rappresenta la velocità, superata la quale, si ha trasporto nell'alveo di materiale sciolto

di diametro "d" (o inferiore).

E’ evidente che occorre far sì che la velocità della corrente liquida si mantenga, sul fondo, al

di sotto del valore di vf , il che significa che la velocità media (V), tenendo conto che il

rapporto tra velocità di fondo e quella media è di 0,75 dovrà essere:

V =vf

0,75

V è considerata la velocità riferita al valore di portata che nel corso dell' anno trasporta il

maggior volume di materiale solido, cioè la così detta portata di modellamento.

Inserendo dunque nella formula di Manning (od in formule similari) il valore della velocità

media (V) e quello del raggio idraulico (Rm ) dedotto in corrispondenza delle altezze di

modellamento (altezze acqua per cui si ha la portata di modellamento) si avrà:

ic = V2

K2 × Rm

43

K = Coefficiente di Strickler

La pendenza ic è detta pendenza di compensazione; ad essa infatti, non corrisponde né

erosione né deposito del materiale di diametro "d". Il valore ic ottenuto avrà delle incertezze

legate alle difficoltà di associare le altezze alle relative portate di modellamento. Converrà

come vedremo di seguito sovrastimarlo.

Calcolo del numero e dell' altezza delle briglie

S’inizia col dividere il torrente in un certo numero di tronchi, isolando i tratti di roccia non

erodibile. In ogni tronco il diametro medio del materiale dovrà mantenersi presso che

costante; si calcola allora per ogni tronco la pendenza di compensazione ic in base al

diametro del materiale in moto che si vuole arrestare.

A mezzo di opportuni recipienti stagni si può determinare il volume medio e quindi il

diametro medio "d" dei sassi.

Basterà mettere i sassi nel recipiente, riempirlo d'acqua, quindi dividendo la differenza tra il

volume della cassa e il volume dell'acqua aggiunta per il numero dei sassi si otterrà il

volume medio dei sassi.

Nei primi tentativi si adotta questa pendenza calcolata ic per stabilire il numero e la

posizione delle briglie.

L'altezza della singola briglia è invece funzione del tipo di materiale con cui sarà costruita.

Occorrerà quindi stabilire anticipatamente al calcolo del numero di briglie, il campo di

variabilità della loro altezza. Generalmente le briglie non superano i 4 metri d'altezza, ma in

casi particolari si possono raggiungere anche i 35 metri. Questo crea però un inconveniente,

infatti la vena stramazzante arriverà con maggior energia sulla platea a valle della briglia,

andandola a guastare più rapidamente.

E' poi da tener conto che in genere aumentando il numero delle briglie si ha un risparmio

sulle loro singole altezze, ma anche un loro conseguente avvicinamento. Per permettere però

all’acqua di assumere il suo corso regolare non si ammettono briglie distanti meno di 60÷80

metri tra loro.

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Ha un ruolo importante anche la natura geologica dell'alveo riguardo la scelta di certe

tipologie di briglie piuttosto che altre.

L’altezza totale delle briglie (h) si calcola:

h = H− ic × L

L = lunghezza del tronco considerato

H = dislivello tra gli estremi del tronco

Fig.7: Progetto schematico di regolazione di un torrente.

Fissata la pendenza di compensazione ic per ciascun tronco del torrente e l'altezza totale

delle briglie, si procede per trovare la posizione che esse devono avere. Si divide perciò

l'altezza totale (h) in n parti uguali, in modo che ciascuna non superi l’altezza che si assume

per le briglie.

Dai punti di divisione si tracciano le parallele alla ic fino ad incontrare il profilo dell’alveo.

Nei punti d'incontro si costruiscono le briglie schematicamente segnate in figura 7. Bisogna

poi verificare se la distanza fra le briglie rispetta i limiti stabiliti.

La disposizione di queste briglie costituisce il primo periodo di lavoro e viene detto di

“impianto” o delle “grandi briglie”.

In questo periodo la pendenza di compensazione è stabilita in base ad un valore di ic che,

data la sua incertezza, potrà essere in eccesso o in difetto rispetto alle esigenze reali.

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Se la scelta è avvenuta in difetto: la ic sarà minore della reale e ne risulteranno briglie più

alte del necessario e quindi una soluzione antieconomica.

E' dunque preferibile fare previsioni in eccesso del valore di ic: si avrà allora persistenza

dell’erosione (anziché compensazione), che si dovrà poi correggere.

Quindi potrà succedere che la costruzione non risponda del tutto all'obiettivo, nel senso che

nonostante i calcoli, l’accennato sovradimensionamento di ic porti al verificarsi di fenomeni

di erosione e trasporto. Per ovviare a questo problema bisognerà attendere uno o due anni e

poi alzare la briglia od interporne altre, se questa non avrà altezza sufficiente.

Queste nuove traverse avranno naturalmente dimensioni più ridotte delle prime, ma anche

per esse però la linea che collega la sommità di una al piede dell’altra a monte, dovrà

essere parallela alla nuova pendenza di compensazione.

Questo successivo intervento dicesi periodo di formazione delle briglie di secondo ordine.

Fig.8: Schematizzazione dell’intervento con briglie di secondo ordine.

Successivamente alle opere di secondo ordine i fenomeni di rassodamento delle frane e di

rimboschimento proseguiranno ancora fino ad essere completamente finiti e cioè fintanto

che le acque del torrente non siano divenute chiare (si intendono per acque chiare quelle che

trasportano solo limo, sabbia, o detrito di roccia). Il fondo si avvierà allora verso la

pendenza detta di equilibrio.

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Contrariamente a quanto detto, può verificarsi che sia necessario intervenire di nuovo,

disponendo nuove briglie intermedie tra quelle di secondo ordine.

Quest'ultimo periodo detto di consolidamento o delle briglie minori, è in genere

caratterizzato dalla costruzione di semplici briglie in legno e/o fascinate, cioè da sbarramenti

di altezza assai limitata (non superiori ai 2 metri).

Ciò non vuol dire però che tutta questa serie di opere sia sempre necessaria, perché succede

che, come vi sono i torrenti per i quali occorrono tutti e tre i suddetti distinti periodi

lavorativi, per altri sono sufficienti solo i lavori del primo periodo, in quanto questi bastano

a sopprimere ogni pericolo sia d'erosione che di trasporto di materiale.

Riguardo l'ordine con cui vanno eseguiti i lavori di imbrigliamento, si deve tener presente

come regola generale, che bisogna cominciare a consolidare i tronchi superiori, perché se

non si correggono i disordini prodotti dalle frane ed erosioni nella parte a monte, sussisterà

un continuo pericolo per gli eventuali lavori eseguiti a valle.

Tuttavia questa regola presenta frequenti eccezioni; ad esempio può accadere che per

conseguire in minor tempo la sistemazione di tutto il bacino, convenga suddividere il

torrente in un certo numero di tronchi separati da punti fissi (tratti dove affiora la roccia),

così da poter effettuare contemporaneamente i lavori in tutti i tronchi.

Si andrà allora a sbarrare a valle ogni tronco con una grande briglia, così da proteggere i

tronchi sottostanti da un’eventuale piena.

Dimensionamento idraulico

Il dimensionamento idraulico comporta il soddisfacimento delle condizioni di sicurezza

connesse alla funzionalità dell’opera in presenza della corrente idrica: acqua, acqua e

materiale solido. Esso precede il dimensionamento statico ed è strettamente connesso alle

modalità di funzionamento ipotizzate dal progettista.

Nel dimensionamento idraulico è di prioritaria importanza la scelta della sezione (gaveta)

ove deve defluire la portata di progetto (QPROG ), che è funzione del tempo di ritorno

considerato (tipicamente centennale).

E’ opportuno assicurare una gaveta tale da contenere, con un certo margine (se temo

depositi) la QPROG e una parte centrale tale da contenere le piene ordinarie (Tr= 2-5 anni).

Dimensionamento di massima della lunghezza della gaveta:

LGAV . ≅LALVEO

2

Fig.9: Schematizzazione gaveta.

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27

Per quanto riguarda invece il dimensionamento della profondità (h) della gaveta, esso varia

a seconda della geometria adottata. Varrà comunque sempre la relazione tra la portata

puntuale (q) e quella distribuita lungo tutta la sezione (QPROG ) pari a:

q =QPROG

L

Se la gaveta è RETTANGOLARE:

Fig.10

h = 0,7 × QPROG

LGAV .

2 3

Se la gaveta è TRAPEZIA:

Fig.11

In questo caso viene suggerita una lunghezza equivalente pari a:

L∗ = L + 2 × ∆L

∆L = Distanza tra il vertice α e la proiezione sulla base maggiore del baricentro del triangolo rettangolo (Fig. 11).

La profondità sarà data dunque da:

h = 0,7 × QPROG

L∗

2 3

Se la gaveta è TRIANGOLARE: L = 0 allora q = QPROG

Dimensionamento statico

Il dimensionamento statico comporta il soddisfacimento delle condizioni di equilibrio e

stabilità globale della briglia con il coefficiente di sicurezza opportuno ed in relazione alle

forze esterne di progetto: spinta idrostatica, sottospinta, trasporto solido, azioni sismiche,

spinta dei versanti.

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Fig.12: Le parti da dimensionare nel corpo di una briglia.

Grafico 1: Avendo il valore di z (m) e di h (m), è possibile trovare rapidamente lo spessore

della base b (m) di una briglia a gravità.

S è detto coronamento e può essere calcolato in funzione degli altri dati:

s = 0,6 ÷ 0,7 × h → Nel caso in cui si consideri solo l’effetto della spinta idrostatica.

s = 0,7 + (0,1 ÷ 0,2) × z Ora verranno prese in considerazione le forze esterne agenti sul corpo della briglia. Esse

saranno necessarie per le verifiche di sicurezza, che garantiranno la stabilità della briglia.

Fig.13: Tipi di forze che intervengono.

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Dalla figura 13, è possibile dedurre 2 tipi di forze.

Forze non stabilizzanti:

spinta idrostatica sul paramento di monte (S1 + S2)

sottospinta esercitata dall’acqua (S3)

spinta sul paramento di monte esercitata dal terreno immerso, posto al di sotto del

piano dell’alveo, spinta attiva (S4)

spinta del terreno di riempimento (dopo il riempimento), spinta passiva (S5)

S4 ed S5 vengono generalmente trascurate in quanto: S5 > S4

Forze stabilizzanti:

peso proprio del manufatto (P1 + P2)

peso dell’acqua gravante sulla gaveta (P3)

peso del terreno immerso gravante sulla fondazione e sul paramento a monte

(P4 + P5)

Eseguito il dimensionamento di massima dell’opera e identificate le forze esterne, si

procede alle verifiche di stabilità.

Le verifiche saranno fatte per quanto riguarda:

lo scorrimento

il ribaltamento

le pressioni sul terreno o schiacciamento

il sifonamento

Verifica allo scorrimento

La sommatoria di tutte le forze orizzontali e di quelle verticali deve assolvere la relazione

qui di seguito:

FORIZZ . < f × FVERT .

f = Coefficiente attrito tra la fondazione ed il terreno

Verifica al ribaltamento

Il momento di una forza può essere definito come il prodotto vettoriale della forza

considerata per il suo braccio. Il braccio è la lunghezza tra il punto d’applicazione della

forza e un punto O, in questo caso identificato nello spigolo di valle e a contatto col terreno

della fondazione.

La sommatoria dei momenti di tutte le forze stabilizzanti e di quelle ribaltanti deve

assolvere la relazione qui di seguito:

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MS,O

MR,O≥ 1,5

MO,S = Momento stabilizzante rispetto al punto O (N × m)

MO,R = Momento ribaltante rispetto al punto O (N × m)

Verifica allo schiacciamento

Fig.14

V = FVERT .

u = MS,O − MR,O

V

u è la distanza tra il punto C e lo spigolo di valle della fondazione.

e =b

2− u = eccentricità (m)

L’eccentricità è la distanza tra il baricentro della fondazione (M) ed il punto C: dove

s’intersecano la risultante di tutte le forze (R) ed il piano di fondazione.

σv =V

b 1 +

6 × e

b

Trovato il valore del carico σv , riferito ad 1 metro lineare di opera, esso non deve superare il

carico di sicurezza in funzione del tipo di terreno.

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Tipo di terreno Carico di sicurezza (kg/𝐜𝐦𝟐)

Terreni smossi, non compatti, di riporto 0-1

Terreni incoerenti compatti (sabbie e ghiaie) 2-4

Terreni coerenti 0-3

Rocce in buone condizioni 10-15

Tab.6: Carico di sicurezza allo schiacciamento in funzione del tipo di terreno.

Verifica a sifonamento

Il fenomeno avviene a causa del dislivello piezometrico tra monte e valle, s’innesca un moto

di filtrazione sotto la base di fondazione ai lati dell’opera. Se la velocità di filtrazione

dell’acqua raggiunge valori alti può verificarsi la graduale asportazione del terreno di

fondazione.

Fig.15

E’ necessario verificare che la velocità di filtrazione dell’acqua in ogni punto del terreno

permeabile sotto l’opera, sia compatibile con l’equilibrio del materiale solido presente.

LF

H > CW

LF è la linea di scorrimento lungo la superficie di contatto tra il terreno e la fondazione della

briglia.

H è il dislivello tra il pelo libero di monte e di valle.

CW è il rapporto critico di trascinamento (funzione del tipo di terreno di fondazione).

Determinazione della linea di scorrimento:

LF = yi +1

3 xi

yi e xi rappresentano rispettivamente la generica porzione verticale ed orizzontale della

linea di scorrimento

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I tratti verticali contribuiscono alla riduzione del rischio di sifonamento in misura maggiore

di quelli orizzontali di pari lunghezza.

TERRENO DI FONDAZIONE

𝐂𝐰

Fanghi e limi 20

Limi e sabbia finissimi 18

Sabbia fine 15

Sabbia media 12

Sabbia grossa 10

Ghiaia da fine a grossa 9-4

Argilla da ben compatta a molto dura 6-3

Tab.7: Valori del rapporto critico di trascinamento (CW ) in funzione del tipo di terreno di

fondazione.

Si nota dai valori indicati in tabella 7, che i terreni limosi sono più a rischio di sifonamento

per via delle dimensioni contenute delle particelle. Mentre i terreni costituiti da ghiaie e

ciottoli e quelli impermeabili (argille dure) sono i più idonei per evitare questo problema.

Briglie di trattenuta o briglie selettive

Le briglie di trattenuta sono in genere più grandi di quelle di consolidamento e sono situate

isolate in luoghi ove la configurazione orografica della valle sbarrata determina serbatoi di

accumulo di volume significativo. In queste condizioni è possibile sottrarre ai corsi d’acqua

più vallivi quantità rilevanti di detriti solidi tra i quali possono essere presenti massi di

grandi dimensioni e materiali ingombranti di varia natura e provenienza (ceppaie ed alberi)

che, trascinati dalla corrente, oltre che sovralluvionare gli alvei, sono frequente causa

dell’ostruzione, spesso totale, delle sezioni fluviali più strette e delle luci dei manufatti di

attraversamento.

Le briglie di trattenuta hanno struttura aperta e presentano fori o varchi di varia forma la cui

area trasversale complessiva è insufficiente a far defluire durante le piene le portate idriche

corrispondenti ai segmenti di colmo. Di conseguenza al presentarsi di una piena, a monte

della struttura si crea un ristagno d’acqua che provoca il deposito dei materiali di maggior

dimensione. I materiali più piccoli riescono invece a defluire, sia pure in parte, verso valle,

fintanto che i fori praticati nella struttura non si occludono completamente con i materiali di

dimensione maggiore trasportati dal torrente che possono anche incastrarsi tra loro. Per

questa attitudine a selezionare il materiale, trattenendo quello più grossolano e lasciando

proseguire il più fino verso valle, queste briglie vengono anche dette selettive. E’

d’aggiungere che, specie nelle briglie a fessura, durante i periodi di morbida o di piena

ordinaria, la corrente idrica riesce ad erodere i materiali più fini accumulatisi a monte,

svolgendo in tal modo una sorta di funzione di autopulizia.

Periodicamente, a intervalli dipendenti dal volume d’invaso disponibile, dalla frequenza

delle piene più intense, dall’estensione e dalle caratteristiche erodibilità del bacino sotteso,

occorre rimuovere il materiale accumulatosi a tergo per non annullare l’efficacia di tali

opere. Deve perciò essere garantita l’accessibilità ai luoghi ed alle macchine operatrici

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necessarie a questo scopo, eventualmente realizzando reti viarie di servizio la cui

costruzione deve pertanto essere prevista nel progetto dell’opera.

Le briglie selettive presentano il vantaggio di ridurre, a parità di condizioni, i costi e i tempi

di costruzione e di allungare la “vita” della capacità d’invaso a monte. Questa caratteristica

è da considerarsi positiva nei riguardi del mantenimento delle condizioni d’equilibrio degli

alvei di valle.

A seconda di come viene ottenuta la “permeabilità”, si hanno i seguenti tipi di briglie:

Fig.16: Tipi di briglie selettive.

A causa della complessità dei fenomeni naturali che governano la dinamica morfologica dei

torrenti, nella progettazione delle briglie sia di trattenuta che di consolidamento i modelli

teorici disponibili offrono un aiuto piuttosto modesto, almeno nella fase d’impostazione e di

scelta delle soluzioni ottimali. Queste devono essere perciò ricercate contando sul buon

senso ingegneristico e, ove possibile, sull’analisi dei risultati ottenuti con l’impiego di opere

simili realizzate nello stesso ambiente o in altri fisicamente confrontabili.

L’interpretazione, anche se approssimativa dal punto di vista quantitativo, dei fenomeni di

piena e del trasporto solido e le analisi geologiche e geotecniche preliminari forniscono i

primi elementi su cui basare il dimensionamento di queste opere.

A queste analisi preliminari devono seguire le verifiche della funzionalità delle opere,

considerate singolarmente e nel loro complesso, adottando le metodologie più idonee. A tal

riguardo è utile e talvolta fondamentale l’uso di modelli di trasporto solido oltre che di

quelli idraulici e idrologici.

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Le formule di trasporto solido (vedi scheda di tipo 2: relazione tecnica a Pag.99) consentono

di valutare la capacità di trasporto del torrente e di procedere quindi, in base alla

distribuzione temporale della portata liquida, alla stima dei volumi di materiali

movimentabili in prefissati intervalli temporali. Questa stima è fondamentale per la scelta ed

il dimensionamento delle aperture delle briglie selettive.

I pennelli

I pennelli sono opere impostate sulle sponde del corso d’acqua ad opportuna distanza l’uno

dall’altro che si protendono verso il centro dell’alveo (Fig.17). Questi possono essere

realizzati in sostituzione delle opere longitudinali, allo scopo di allontanare la corrente dal

piede della sponda che s’intende proteggere.

Tra un pennello e l’altro si determina una zona di acqua che non prende parte al moto di

trasporto della corrente ed è sede di moti vorticosi (zona di ripascimento). Questa zona

favorisce la sedimentazione del materiale trasportato dalla corrente ed il conseguente

rialzamento del fondo alveo che, nel tempo, può determinare l’emersione di una parte più o

meno estesa della zona delimitata dall’opera, sottraendo al corso d’acqua parte del suo alveo

primitivo. Quando i pennelli sono realizzati in alvei alluvionati a forte pendenza, come tutte

le opere che sporgono in alveo, investiti dalla corrente, determinano il formarsi di vortici ad

asse verticale che provocano nel fondo alluvionale erosioni localizzate profonde fino a

qualche metro. Ne deriva che, a prescindere dai danni che subiscono essi stessi, se la

distanza fra un pennello e l’altro non è giusta, invece di ottenere una zona di ripascimento,

si possono verificare addirittura fenomeni di erosione.

Più confortanti sono gli effetti di pennelli realizzati in tratti d’alveo a debole pendenza in

curva, a protezione della sponda concava in erosione. In tali casi, infatti, è possibile disporre

i pennelli in direzione ortogonale, lungo entrambe le sponde o sulla sola sponda esterna, che

è quella maggiormente esposta al rischio di erosione.

Dal punto di vista idraulico, essendo normalmente sommergibili durante le piene

straordinarie, i pennelli determinano una riduzione di sezione, con il conseguente

incremento del livello idrico e della capacità di trasporto di sedimenti. Questo effetto può

essere vantaggiosamente sfruttato per la sistemazione di tronchi fluviali caratterizzati da

capacità di trasporto inferiore alla quantità di materiale solido proveniente da monte e sede

quindi di possibili fenomeni di deposito.

In linea di massima il fondo mobile di un tronco d’alveo sistemato con una serie di pennelli

tende ad essere eroso dando luogo ad una riduzione progressiva della pendenza di fondo.

Col tempo la morfologia dell’alveo si dirige verso un assetto a cui corrisponde una sorta di

equilibrio tra la sua capacità di trasporto e l’apporto di materiale solido dall’esterno.

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Fig.17: Pianta di due scelte progettuali. a: pennelli semplici orientati nel verso della

corrente, b: pennelli a forma composita: a martello (T), a baionetta (L).

I pennelli possono essere realizzati in una notevole varietà di forme, così come è

esemplificato in figura 17. I pennelli orientati nella direzione della corrente comportano,

rispetto a quelli orientati controcorrente, una contrazione della sezione più graduale e di

conseguenza l’insorgenza di fenomeni di escavazione del fondo meno intensi. I pennelli in

controcorrente, disposti solitamente ad una distanza minore l’uno dall’altro rispetto ai

sopracitati, assicurano una più efficace difesa di sponda. Infatti la corrente liquida tende ad

assumere la direzione perpendicolare a quella dell’asse del pennello stesso ed a indirizzarsi

verso il centro dell’alveo.

Dal punto di vista strutturale i pennelli sono costituiti da strutture chiuse realizzate con

muratura in pietrame o di calcestruzzo, con scogliere in materiali sciolti, con gabbioni

metallici. Essi, anche se non perfettamente impermeabili, hanno la peculiarità di non farsi

attraversare dalla corrente idrica e di costituire, di conseguenza, uno schermo nei confronti

della zona retrostante.

Essendo a struttura rigida, nei pennelli sono pertanto da temere i cedimenti del terreno di

fondazione conseguenti all’escavazione che si verifica in prossimità della testa dell’opera. I

fenomeni erosivi possono essere contenuti proteggendo la testa con una gettata di massi

naturali o artificiali di dimensione opportuna.

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Fig.18: Sezione pennello.

Al fine di fissare l'altezza dei pennelli (h2) si dovrà determinare l’altezza massima (hmax )

che verrà raggiunta dal livello dell’acqua in occasione delle piene (Fig.18). h2 sarà pertanto

più elevata rispetto al livello delle acque ordinarie (h1), ma inferiore rispetto ad hmax , in

maniera tale che l’intera sezione possa partecipare al deflusso della corrente quando si

verificano le piene più importanti.

Fig.19: Distanza fra pennelli successivi in un tratto rettilineo.

Fig.20: Posizionamento dei pennelli in curva.

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La distanza (d) tra due pennelli successivi rappresenta quindi un fattore molto importante

per l’efficacia della protezione. La determinazione di essa è legata alla sporgenza della

sponda (s) del pennello di monte ed al suo orientamento rispetto alla sponda stessa.

Indicando con β l’angolo di espansione della corrente a valle del pennello di monte e con α

l’angolo d’inclinazione del pennello rispetto alla sponda, secondo uno di tali criteri deve

essere: (Fig.19): d ≤ s (d= cos α + cos β). In accordo con i riscontri sperimentali, β si può

assumere compreso tra i 9° e 11°. Adottando cautelativamente β = 11°, risulta d ≤ 5 × s

per pennelli orientati normalmente alla corrente. Si hanno invece valori maggiori per

pennelli orientati nella direzione della corrente (α < 90°) e minori per pennelli orientati

controcorrente (α > 90°). La distanza d = 5 × s è quella consigliata, in letteratura, anche

sono numerosi i casi di sistemazioni realizzate con distanze minori. Nei tratti in curva la

distanza tra i pennelli è generalmente minore e può ottenersi con la semplice costruzione

grafica riportata in figura 20.

Le soglie di fondo

Le soglie di fondo sono opere trasversali che a differenza delle briglie hanno il coronamento

allineato con il fondo del corso d’acqua. Esse, come le briglie, si prefiggono lo scopo di

ridurre la tendenza all’erosione dei torrenti e di ottenere in tal modo la stabilizzazione degli

alvei. Per questa ragione, queste opere vengono frequentemente utilizzate a valle di

manufatti o opere trasversali, allo scopo di proteggerli da fenomeni di escavazione

generalizzati. Esse trovano utilizzo anche in tronchi d’alveo sistemati con opere di difesa

longitudinali radenti o delimitati mediante arginature, in modo da ridurre i fenomeni

transitori di erosione durante le piene. Le soglie vengono costruite con materiali in grado di

resistere all’azione erosiva esercitata dai materiali solidi trascinati dalla corrente. Si hanno

così strutture in calcestruzzo armato e non, in pietrame a secco o annegati nel calcestruzzo. I

materiali da adottare vengono scelti di volta in volta in relazione all’inserimento ambientale

delle opere e alla loro reperibilità.

Fig.21: Soglia di fondo in pietrame.

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Le soglie, oltre alla stabilizzazione del fondo alveo ottenuta con una struttura che ne fissa la

quota, consentono anche di ottenere la riduzione della pendenza longitudinale del corso

d’acqua. Questa viene raggiunta per effetto dell’erosione che si determina a valle delle

stesse (Fig.21, Sez.B-B). In tal modo si riduce l’azione di trascinamento della corrente

idrica e di conseguenza la quantità di materiale trasportabile dalla stessa. In definitiva con

tale provvedimento si agisce nella direzione di un ripristino del bilancio quantitativo tra il

materiale affluente al torrente e la capacità di trasporto dello stesso, facendo evolvere

l’alveo verso una situazione di equilibrio con maggiore rapidità rispetto a quella naturale.

OPERE DI DIFESA LONGITUDINALI

Le difese di sponda

Le difese di sponda sono opere disposte parallelamente alla direzione della corrente,

realizzate con materiali diversi (terra, scogliera, muratura di pietrame, c.a., legname) e

aventi come scopo il rivestimento della sponda, per impedire che questa venga erosa dalla

corrente che la lambisce. Non mancano casi, però, in cui ad un’opera di difesa sia affidata

anche la funzione di muro di sostegno, nel qual caso essa deve essere realizzata con strutture

idonee a resistere alla spinta del terrapieno retrostante.

Le scogliere

Le scogliere sono difese di sponda radenti e devono essere eseguite in maniera differente a

seconda della tipologia di tronco fluviale. Nei tronchi incisi montani, è bene che esse si

estendano su lunghezze sempre limitate, solo per impedire che le acque erodano il piede

delle pendici. Tali opere, infatti, non possono alterare in maniera sostanziale le portate

solide che affluiscono alla rete idrografica, le quali provengono quasi esclusivamente dai

versanti, generalmente per effetto dell’azione disgregatrice degli agenti atmosferici, di

smottamenti o colate superficiali. È evidente, cioè, che per avere effetto sulle aste vallive,

nei tronchi montani gli interventi di difesa di sponda, devono essere accoppiati, oltre che a

briglie, ad interventi di carattere agrario - forestale di sistemazione dei versanti.

Negli alvei alluvionati si ricorre a difese di sponda quando uno dei rami che la corrente di

piena incide nel letto, si muove radente ad una delle sponde o ne investe frontalmente il

piede, provocando fenomeni di erosione.

Se il ramo di corrente si stabilizza per un tempo più o meno lungo, le erosioni della sponda

hanno il tempo di progredire e possono determinare frane o smottamenti del terreno

sovrastante.

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Fig.22: Scogliera con muri in cemento o in laterizio.

La soluzione presentata nella figura 22 è stata utilizzata per anni, ma essa è errata sia dal

punto di vista ecologico (impedimento iniziale di qualsiasi forma di vita e poi sviluppo di

vita indesiderata), ma anche dal punto di vista idraulico in quanto impedisce lo scambio,

necessario, di acqua con il sottosuolo.

Di gran lunga più adeguata risulterà la soluzione presentata in figura 23:

Fig.23: Scogliera in grandi massi ciclopici.

La dimensione dei massi di figura 23 viene stabilita in relazione alle caratteristiche

idrodinamiche della corrente defluente in alveo (velocità, azione di trascinamento materiali):

il loro peso non deve essere comunque inferiore a 500-1000 kg. Nelle scogliere a secco, tra i

vari blocchi può essere disposto pietrame di minori dimensioni in piccole percentuali (non

più del 2-3% in volume) per migliorare la stabilità globale dell’opera.

Il materasso di fondazione deve essere protetto da soglie di fondo o anche da repellenti,

realizzati sempre con grossi massi, disponendo le pietre di dimensione maggiore nella parte

bassa dell’opera. Per il buon esito dell’intervento è inoltre importante eseguire l’opera

utilizzando idonei sistemi (modine) per definire la sagoma trasversale della scogliera.

Le arginature

Le arginature sono costituite da rilevati con sommità posta a quota tale da contenere

nell’alveo la portata di piena di progetto (Tr = 200 anni).

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Esse devono essere realizzate in modo da turbare il meno possibile il regime del corso

d'acqua ed in modo da rendere minima l'elevazione del fondo.

Le arginature non sono da considerarsi opere permanenti, infatti dato il progressivo

interramento e quindi l'elevazione del fondo, si dovranno convenientemente rialzare ad

intervalli di più o meno lunghi.

Per il loro studio dovremo conoscere:

- le portate Q dei tronchi di fiume da sistemare;

- le sezioni trasversali con i relativi particolari;

- il livello di magra ordinaria;

- il livello di magra minima;

- il livello di magra massima.

Interessa particolarmente conoscere il livello di magra ordinaria, dovendo regolare le opere

di fondazioni soprattutto se subacquee in base ad esso.

Distingueremo due tipi di arginature.

1. Arginature urbane:

Fig.24: Schema di arginatura urbana.

Dalla figura 24 è possibile distinguere due diversi ordini di muri:

- per il letto di magra;

- per il letto di piena.

I primi devono essere, protetti per vincere l'azione dei gorghi, che minaccerebbero le

stabilità dell'opera.

I secondi, invece possono essere distanti dal letto ordinario e pertanto non occorre che le

fondazioni siano troppo profonde.

Le fondazioni dei muri esterni vanno fissate ad almeno 40-50 cm al di sopra del livello di

magra e portate a profondità di 8-10 m per metterle al sicuro dall'azione di eventuali gorghi.

Per consentire il passaggio del traffico veicolare la sommità arginale e delle banchine deve

avere larghezza superiore di 3-4 m.

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2. Arginature suburbane

All’interno delle sezioni fluviali arginate è spesso presente un secondo alveo di area limitata

(denominato alveo di magra), capace normalmente di contenere la portata di piena ordinaria.

L’argine principale (argine maestro) è in tal caso collocato in ritiro rispetto all’alveo di

magra, separato da una zona (golena) che viene interessata dalle acque solo in occasione

delle piene più intense (Fig.25). Il complesso dell’alveo di magra e delle golene individua

l’alveo di piena. Nella sezione fluviale sono spesso presenti anche argini minori (argini

secondari o golenali) con sommità inferiore a quella degli argini maestri, destinati ad essere

sommersi durante le piene più importanti. La loro funzione è quella di contenere le piene di

minore importanza all’interno dell’alveo di magra, proteggendo in tal modo la golena che

pertanto risulta allagata con minor frequenza e può quindi essere variamente utilizzata

(agricoltura stagionale, coltivazione di pioppi, tempo libero…). Quando manca la golena

l’argine maestro si dice collocato in froldo (Fig.25); con questa disposizione il rilevato

arginale è più esposto all’azione erosiva della corrente idrica; inoltre trovandosi più a lungo

contatto con l’acqua risulta più difficilmente ispezionabile.

L’altezza dell’argine viene determinata imponendo che al passaggio della portata di progetto

il livello liquido risulti inferiore di una quantità assegnata (franco di sicurezza, generalmente

> 50 cm) alla quota della sommità arginale.

Fig.25: Schematizzazioni dell’arginatura di alvei, con caratteristiche diverse.

Fig.26: Sezione trasversale di un argine.

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Il rilevato arginale, specie nei corsi d’acqua più grandi, viene realizzato solitamente in terra

presa da cave superficiali poste in prossimità dell’alveo o con materiale scavato nelle

golene. Infatti, dato il notevole sviluppo longitudinale di queste opere, i volumi in terra da

movimentare risultano ingenti e conseguentemente risulta antieconomico trasportare

materiale proveniente da cave lontane dalla zona d’impiego. In genere viene utilizzata terra

omogenea, posta in opera in strati successivi di circa 50 cm di spessore, costipati secondo

norme standard indicate nel capitolato. L’altezza del rilevato deve essere convenientemente

maggiorata (10-15%) per tener conto del prevedibile abbassamento dovuto al costipamento

del terreno. Regole pratiche consigliano di utilizzare un miscuglio composto da 2/3 di

sabbia e da 1/3 di argilla; in ogni caso, si cercherà di utilizzare materiali a bassa

permeabilità (k = 10−4 ÷ 10−6 m s ).

Le scarpate arginali devono essere rivestite per proteggerle dalle azioni esercitate dalla

corrente idrica (scarpata interna) dalle acque piovane e dagli agenti meteorici. Per il

paramento esterno è generalmente sufficiente un rivestimento erboso; mentre per quello

interno, devono essere previsti rivestimenti particolari, maggiormente in grado di resistere

alle azioni erosive.

La sezione trasversale dei rilevati arginali (Fig.26) ha forma trapezia fino ad altezze di circa

3-4 m, con pendenza più elevata nel lato fiume e più dolce verso il lato campagna.

La pendenza del parametro interno (di solito inferiore a 2/3 = 65%) deve essere stabilita

assicurando un valore adeguato al coefficiente di sicurezza allo scivolamento. Il parametro

esterno (di solito inferiore a 1/2 = 50%) deve essere tale da evitare l’affioramento della

superficie libera della corrente filtrante che si sviluppa all’interno dell’argine (Fig.27). Per

altezze maggiori risulta conveniente prevedere per il lato campagna e per la scarpata lato

fiume la realizzazione di banchine d’interruzione con lieve pendenza verso campagna (1/20

= 5%) per garantire lo scolo delle acque piovane e ridurre l’effetto dei fenomeni di

filtrazione. Usualmente le banchine lato campagna vengono denominate, a partire dalla

sommità, banca, sottobanca e piè di banca, quelle lato fiume, petto, antipetto, parapetto

(Fig.26).

Fig.27: Disposizione delle banchine verso il piano campagna per ovviare alla filtrazione.

I fenomeni di filtrazione attraverso il corpo arginale ed i terreni di fondazione devono essere

accuratamente studiati verificando che siano rispettati i criteri assunti per garantire la

sicurezza a sifonamento dell’argine. Spesso, infatti, il terreno su cui è fondato l’argine è

permeabile o sono presenti, a piccola profondità, strati molto permeabili in comunicazione

con l’alveo fluviale. In queste condizioni si possono verificare, a valle dell’argine,

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risorgenze localizzate (fontanazzi) e, se la velocità di filtrazione è superiori a certi valori

limite, si può innescare il fenomeno del sifonamento, caratterizzato dalla rapida

asportazione del materiale di fondazione. Come provvedimento di pronto intervento si usa

circoscrivere i fontanazzi con piccoli argini realizzati in terra o con sacchetti di sabbia o con

altro materiale, in maniera da ottenere l’innalzamento del livello di affioramento e ridurre in

tal modo il carico motore disponibile per il moto dell’acqua nel terreno. Quando si temano

fenomeni di sifonamento nel terreno di fondazione, si può intervenire con diaframmature

impermeabili (c.a.) spinte, ove possibile, fino a raggiungere un sottostante strato

impermeabile così da intercettare completamente il flusso di filtrazione.

E’ infine da tener presente che gli interventi diretti ad abbattere la linea di filtrazione

all’interno del rilevato arginale o a limitare la filtrazione attraverso il terreno di fondazione

dell’argine, potrebbero determinare un’interruzione della continuità tra il fiume e la falda

idrica, impedendo i normali interscambi. In conseguenza di ciò si potrebbe determinare la

riduzione della capacità di ricarica della falda da parte delle acque superficiali nei periodi di

piena o di morbida e, inversamente, una minore alimentazione del corso d’acqua da parte

della falda stessa nei periodi di magra. Tali effetti, che possono risultare di notevole impatto

se il tratto arginato è lungo, devono essere valutati con appositi studi idrogeologici e con

l’impiego di particolari modelli matematici.

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PRINCIPALI SISTEMAZIONI DI VERSANTE TRADIZIONALI

Le frane

Le frane sono un fenomeno essenzialmente gravitativo, anche se nella maggior parte dei

casi sono favorite molto dall’acqua. Esse sono dovute alla forza di gravità che agisce su

tutta la massa instabile e che, in un certo istante, supera gli attriti che si oppongono al

movimento stesso. Lo spostamento coinvolge masse relativamente importanti

contemporaneamente, con volumi che vanno da qualche metro cubo sino a decine di milioni

di metri cubi. Oltre alla forza di gravità e alle precipitazioni anche i sovraccarichi antropici e

le sollecitazioni sismiche, possono determinare l’innesco del fenomeno.

Le semplici acque di ruscellamento hanno scarsa importanza sul fenomeno sinché restano in

superficie. Hanno invece grande importanza le acque che s’infiltrano nella zona a rischio

poiché, se la pressione dell’acqua negli interstizi della roccia aumenta, si riducono

fortemente gli attriti e può iniziare il fenomeno franoso.

La frana è quindi un fenomeno naturale che si verifica di norma solo in situazioni

meteorologiche particolari e, se in materiali sciolti, con movimenti che prima di raggiungere

il collasso sono irregolari, con periodi di stasi seguiti da accelerazioni rapide in

corrispondenza di piogge intense o di eventi sismici.

In roccia lapidea la situazione è di norma molto più pericolosa per l’incolumità poiché se è

possibile individuare le zone a rischio, è praticamente impossibile prevedere quando si

scatenerà una frana, che sarà in genere improvvisa e con modestissimi segni premonitori a

breve termine.

Vi sono molti metodi di classificazione. Il più utilizzato è quello di Varnes, che si basa sul

tipo di materiale e sulla velocità di movimento.

I principali tipi di frana sono:

1. I crolli

2. Le colate

3. Gli scivolamenti

1)

Nei crolli il corpo di frana si muove prevalentemente in aria con possibili rimbalzi e

rotolamenti.

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2)

Le colate sono flussi di materiali incoerente, terreni o detriti, ricchi d’acqua, che si muovono

velocemente.

3)

Negli scivolamenti il movimento comporta uno spostamento per taglio lungo una o più

superfici che possono essere planari (scivolamento traslativo) o curve (scivolamento

rotazionale).

In generale la gran parte delle frane sono di tipo complesso. Queste quando interessano

ampie porzioni del sistema versante-fondovalle, sono frequentemente del tipo: "crollo di

roccia-scivolamento traslativo di detrito" nella parte superiore e "scivolamento rotazionale-

colata" nella zona di accumulo.

Talora nel caso in cui non vengano direttamente interessate aree urbanizzate o di particolare

interesse produttivo o paesaggistico-ambientale, l'impegno tecnico-finanziario richiesto per

l'eliminazione o anche solo la riduzione dei fenomeni negativi connessi all'esistenza di

questi grandi, spesso molto antichi, corpi di frana, può essere ritenuto insostenibile.

In questi casi, è possibile lasciare che i fenomeni geomorfologici evolvano liberamente

verso configurazioni più stabili, se del caso controllando solo lo sviluppo di eventuali forme

di riattivazione superficiale.

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Foto 4: Frana lungo la sponda di un torrente causata dall’azione di scalzamento alla base,

effettuata dal corso d'acqua. Il fenomeno costituisce uno dei più comuni meccanismi

morfogenetici delle sponde dei numerosi tratti di alveo in erosione.

Tra i fattori naturali, va annoverato un carattere morfologico comune a quasi tutti i bacini

montani, che è quello di avere il profilo longitudinale dei corsi d'acqua caratterizzato da un

tratto iniziale generalmente breve, ma molto acclive, ed i settori intermedio e terminale

molto più sviluppati e con inclinazione modesta. La parte più elevata, "giovanile", del

bacino è spesso sviluppata a ventaglio, mentre la parte intermedia e terminale ha morfologia

"tubiforme", ossia ristretta e allungata. Questo fatto contribuisce, assieme all'elevata

erodibilità dei versanti, dovuta sia alle caratteristiche litologiche, sia al degrado

vegetazionale, a determinare durante le precipitazioni più intense un notevole e soprattutto

rapido afflusso idrico e solido, che nel fondovalle può dare luogo a rigurgiti e tracimazioni,

non appena la corrente incontri un significativo ostacolo o un brusco rallentamento.

OPERE DI DIFESA

Le opere di versante comprendono gli interventi il cui obiettivo è quello di contrastare

un movimento di versante. L’azione di difesa si può esplicare con opere che migliorano le

caratteristiche geotecniche dei terreni in cui agiscono, ad esempio drenando l’acqua che si

infiltra nel terreno, aumentandone la resistenza con l’ausilio di rinforzi (interventi attivi);

oppure con interventi finalizzati a resistere e proteggere dal potenziale movimento franoso.

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In questo ultimo caso si tratta di interventi anche consistenti, progettati per sopportare il

manifestarsi del movimento franoso (interventi passivi).

Scopo Fenomeno Metodo Tipo di opera

Consolidamento

terreni franosi

Scalzamento

alla base causato

dal torrente

Consolidamento alla

base

Terrazzamenti

Gabbionate

Muri a secco

Disordinato

andamento delle

correnti idriche

Drenaggio Fossi drenanti

Canalizzazione

Cunettoni

Canali di gronda

Canali di deviazione

Instabilità

Rivestimento vegetale

Rimboschimento

Cespugliamento

Inerbimento

Opere di sostegno Muri di sostegno

Ancoraggi

Conservazione del

suolo

Erosione lineare Brigliette

Canalette

Erosione diffusa

Modellamento pendici Riprofilatura

Rinsaldamento pendici

Muri a secco

Fascinate

Graticciate

Gradonamenti

Prevenzione

processi erosivi e

regolazione scoli

Superficiale Controllo recapiti Rivestimenti

Profondo Drenaggio Drenaggi coperti

Tab.7: Opere attive per evitare il movimento solido. Sono interventi diffusi nel bacino di

formazione del torrente.

Di seguito saranno presentati gli aspetti generali delle opere attive comunemente più

utilizzate per la sistemazione dei versanti.

Muri di sostegno o contenimento

Questi tipi di manufatti hanno la funzione principale di sostenere, o contenere, fronti di

terreno di qualsiasi natura. Essi si caratterizzano essenzialmente in relazione al materiale

con il quale vengono realizzati; questo infatti, può essere del tipo non resistente a trazione

(muratura, calcestruzzo o gabbionate) o resistente a trazione (c.a.). La scelta del materiale

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riguarda ragioni economiche (disponibilità sul luogo, attrezzature e mano d’opera) e

progettuali (dimensioni della parete).

In generale si distinguono 3 tipi di muri, a seconda del principio statico su cui si basano:

A gravità (Fig.28/a), ovvero elementi murari di adeguate dimensioni che fondano la

loro stabilità sulla particolare robustezza della struttura e del peso;

A contrafforti, in cui i contrafforti lavorano in un piano verticale, prendendo su di sé

la spinta delle terre ed il pannello murario lavora per inflessione in piani orizzontali,

con la funzione principale di contenimento del terreno;

A mensola (Fig.28/b), ovvero elementi murari snelli, con fondazioni particolarmente

ampie (in modo da realizzare l'incastro al piede) in cui la parete svolge entrambe le

funzioni, di sostegno e di contenimento.

a) b)

Fig.28: Muro in muratura (a) e in c.a. (b).

Come per le briglie, anche i muri vengono dimensionati in funzione delle forze attive che su

di essi agiscono; si trascura il sifonamento, in quanto non ci si aspetta valori di pressione

dell’acqua così elevati da innescare il fenomeno.

Per garantire la stabilità del muro, vengono valutati i valori ottenuti dalle verifiche:

1) Al ribaltamento;

2) Allo scorrimento;

3) Allo schiacciamento;

4) Alla stabilità globale.

Le verifiche si effettuano sempre su tutto il muro e soprattutto nel caso dovesse presentarsi

una brusca variazione della sezione del muro (sezione di spiccato).

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1) Il ribaltamento

E’ rappresentato dalla possibilità di rotazione della parete attorno al suo punto più a valle.

- L’azione ribaltante è data dalla componente orizzontale della spinta della terra;

- L’azione stabilizzante è data invece dalla componente verticale della spinta della

terra, dal peso proprio dell’opera (γm) e dal peso della terra che eventualmente grava

direttamente sul manufatto. (Per un muro in pietrame il γm = 18000 N/m3, mentre per

un muro in c.a. γm = 25000 N/m3).

La verifica a ribaltamento si esprime facendo il rapporto tra il momento stabilizzante e il

momento ribaltante. Il valore ottenuto deve avere un grado di sicurezza maggiore/uguale a

1,5:

momento stabilizzante

momento ribaltante≥ 1,5

2) Lo scorrimento

S’innesca quando le componenti delle forze parallele al piano di contatto tra fondazione e

terra vincono l’attrito terra-fondazione.

Nella verifica a scorrimento sono presenti la forza normale (N), che comprende tutte le forze

perpendicolari alla base del muro, la forza tangenziale (T), che comprende le forze

tangenziali alla base e il coefficiente di scorrimento (f) che ha valori compresi tra 0,3 e 0,7.

Il valore ottenuto deve avere un grado di sicurezza maggiore/uguale a 1,3:

N

T× f ≥ 1,3

(Per ridurre il pericolo dello scorrimento si può inclinare il piano di posa della fondazione).

3) Lo schiacciamento

Trovato il valore del carico σv , riferito ad 1 metro lineare di opera, esso non deve superare il

carico di sicurezza in funzione del tipo di terreno σTERR . su cui poggia il muro (Tab.6).

N = FNORM .

u =momento stabilizzante − momento ribaltante

N

u è la distanza tra il punto C (dove s’intersecano la risultante di tutte le forze (N+T) ed il

piano di fondazione) e lo spigolo di valle della fondazione del muro.

e =b

2− u = eccentricità (m)

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L’eccentricità è la distanza tra il baricentro della fondazione ed il punto C.

σV =V

b 1 +

6 × e

b

σV ≤ σTERR .

4) La stabilità globale

Questo controllo risulta opportuno nel caso in cui le terre con cui si ha a che fare siano

notevolmente instabili. La verifica che viene fatta è la seguente:

f = tanφ

N

T× f ≥ 1,3

φ = angolo attrito pendio

L’angolo d’attrito è il valore massimo che teoricamente può raggiungere l’inclinazione del

pendio, purché questo rimanga stabile. E’ quindi funzione delle caratteristiche del tipo di

terreno considerato.

Gabbionate

In alternativa ai muri rigidi in muratura o in c.a., vengono spesso usate le gabbionate o

gabbioni soprattutto per il consolidamento del piede delle scarpate. Essi non sono altro che

parallelepipedi formati da una rete metallica riempita con i sassi reperibili sul posto. I grandi

vantaggi di questa struttura elastica sono la velocità di realizzazione e ripristino in caso di

danneggiamento e la facilità di adattamento ai cedimenti differenziali del terreno.

I gabbioni metallici sono formati con rete di filo di ferro zincato a maglia esagonale

(generalmente 50x70 mm o 60x80 mm) forniti normalmente nella larghezza di 2 o 3 m,

lunghezza compresa tra 4 e 6 m, con interposte piccole falde di rete distanti fra loro 1 m in

maniera da avere una struttura formata da una serie di tasche della dimensione di 2x0,30x1

m, pronte per essere riempite di pietrame. Le modeste dimensioni della maglia della rete

consentono l’utilizzo di materiale di limitate dimensioni, facilmente reperibile in loco. Lo

spessore dei materassi varia dai 15 ai 30 cm, indicativamente esso non deve risultare

inferiore a 2 volte il diametro d50 del materiale di riempimento.

I singoli elementi vengono forniti dai produttori, piegati ed allestiti in loco, preferibilmente

fuori opera, provvedendo alle legature con filo di ferro zincato; il materasso viene quindi

posato nella sua posizione definitiva e collegato, sempre con l’uso di filo di ferro, con i

materassi adiacenti. Successivamente si effettua con mezzi meccanici il riempimento con

pietrame, procedendo dal basso verso l’alto e infine si passa alla legatura del coperchio

metallico di ciascun elemento.

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Foto 5: Gabbionate.

Quando nei gabbioni vengono inserite ramaglie vive ed eventualmente piante legnose

radicate, l’opera è detta rinverdita. I gabbioni rinverditi vengono utilizzati per stabilizzare

pendii, fossi e sponde di corsi d’acqua. Essi sono dotati di notevole elasticità e lasciano

filtrare l’acqua. Queste caratteristiche li rendono particolarmente adatti per il rapido

risanamento del letto di torrenti e fiumi. In torrenti con modesta portata liquida e solida essi

vengono anche utilizzati come opere trasversali. Applicazioni frequenti si riscontrano anche

negli interventi di rinaturazione.

Gradonamenti

Il gradone è un ripiano continuo ad andamento livellare, in leggera contropendenza verso

monte della larghezza di 0,8-2 m: la distanza tra due gradoni può variare da 1,5 a 10 m

secondo la pendenza del versante. Il ripiano viene ottenuto con modesto scavo e riporto a

valle a formare una piccola scarpata che può essere eventualmente rinforzata col pietrame

rinvenuto sul posto o con zolle erbose.

Con il gradonamento (e con il terrazzamento in campo agrario), ossia con la successione in

serie di ripiani, si realizza la riduzione di pendenza del versante al fine di rallentare la

velocità dell’acqua di scorrimento superficiale e di accrescere il contenuto idrico del suolo

favorendo l’insediamento e lo sviluppo della vegetazione.

Il gradinamento in passato veniva eseguito a mano ma oggi, per economizzare, si tende ad

eseguirlo a macchina: in questo caso è indispensabile una certa cautela per evitare situazioni

che favoriscano l’erosione.

Per il consolidamento delle frane in formazioni rocciose risultano molto efficaci le

gradonate vive. La loro realizzazione è analoga a quella dei gradonamenti classici, ma con

l’aggiunta nei ripiani di talee di salice e piante radicate (vedi pag.57), ricoperte con terra per

3/4 della loro lunghezza. Le talee radicano e con le piante formano file dense di materiale

vegetativo che, con estesi e fitti strati di radici, contribuiscono alla stabilizzazione del

versante. Il metodo si presta anche per consolidare rilevati di materiale sciolto.

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Fig.29: Gradonate vive.

Le gradonate vive possono essere eseguite in due varianti:

- Con strati intermedi longitudinali costituiti da tavole, lastre di lamiera, cartone

catramato o fogli di plastica larghi da 10 a 30 cm inseriti sotto la ramaglia in

corrispondenza dello spigolo del gradone, col fine di migliorare il contenuto di

umidità del terreno, di diminuire il pericolo di erosione sui bordi e di rinforzare il

corpo terroso. Questa variante viene utilizzata su pendii aridi costituiti da terreni

granulari;

- Con rinforzo, costituito da stanghe longitudinali e trasversali in legno di diametro

fino a 15 cm, posti in opera sotto o sopra i materiali da costruzione vivi (rami e

piante). Questa variante trova impiego su pendii molto ripidi sede di possibili frane.

Ancoraggi

L'applicazione di tiranti, bulloni e chiodi di ancoraggio nell'ammasso roccioso, sono alcuni

dei moderni sistemi maggiormente usati in Italia, ma anche all’estero per la stabilizzazione

dei fronti di scavo o di scarpate e pendii instabili.

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Questi sistemi sono definiti “attivi” in quanto migliorano sensibilmente le caratteristiche

geomeccaniche dell'ammasso roccioso, aumentando le forze di resistenza al taglio

(coesione).

In funzione della tipologia e dell’azione esercitata, gli elementi metallici di rinforzo sono

chiamati rispettivamente chiodi, bulloni e tiranti di ancoraggio.

I chiodi sono ancoraggi costituiti da aste metalliche (o di vetroresina, fibre di carbonio o

altro materiale) integralmente connesse al terreno e sollecitate in fase d'esercizio

prevalentemente a taglio (nel qual caso l'intervento è chiamato "chiodatura"). La

connessione al terreno può essere fatta con cementazione mediante miscele cementizie o

chimiche o mediante mezzi meccanici.

I bulloni sono aste metalliche con diametro > 25 mm e lunghezze fino a 12 m. Le aste ed i

bulloni metallici sono inseriti nei fori di sonda, praticati nella roccia, o direttamente infissi

nel terreno mediante idonee attrezzature.

L'ancoraggio alla base può essere meccanico, realizzato mediante dispositivi di espansione

che entrano in funzione durante la fase di avvitamento del dado (bullone ad espansione),

oppure mediante cementazione con boiacca di cemento o resine dell'intercapedine foro-

bullone che può interessare un tratto della estremità inferiore o l'intera lunghezza del foro

(bulloni cementati).

I chiodi ed i bulloni sono fissati sulla superficie esterna, in genere, mediante piastra di

ripartizione e dispositivo di bloccaggio (dado).

I tiranti di ancoraggio sono elementi di rinforzo sollecitati in esercizio da sforzi di trazione

e capaci di trasmettere forze resistenti all'ammasso roccioso o al terreno in cui sono inseriti.

Un tirante tipico d'ancoraggio è costituito da una “testa” munita di piastra di ripartizione e

sistema di bloccaggio, collegati ad una “parte libera”, che comprende la porzione

tensionabile e la guaina di rivestimento, ed una “fondazione”, dotata di armatura.

L'ancoraggio della fondazione nella roccia intatta e stabile può realizzarsi mediante un

dispositivo ad ancoraggio meccanico o per cementazione. La testa del tirante è di solito

cementata ad una struttura di sostegno quale: muri diaframmi o pali.

I tiranti d'ancoraggio possono essere:

- pretesi (o attivi) quando gli stessi elementi sono sollecitati in esercizio da

sforzi di trazione impressi all'atto dell'esecuzione;

- non pretesi (o passivi) quando gli elementi di rinforzo sono sollecitati a trazione, che

si mobilita in seguito all'instaurarsi di movimenti e deformazioni dell'ammasso;

- parzialmente pretesi quando viene impressa loro all'atto dell'installazione una

tensione minore di quella d'esercizio.

L'inserimento ed il bloccaggio di un'asta o tondino metallico nell'ammasso roccioso o nel

terreno, fornisce un notevole incremento delle forze resistenti e della stabilità dello stesso,

rendendolo autoportante.

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Fig.30: Consolidamento di una porzione di terreno tramite tiranti e chiodatura.

Barriere paramassi

Le barriere paramassi sono delle strutture di difesa passiva, realizzate in genere lungo la

base di versanti in roccia instabili e/o in canaloni, dimensionate ed ubicate in modo tale da

arrestare blocchi e massi anche di grosse dimensioni e materiale detritico mobilizzato. In

funzione del loro comportamento fisico, dei materiali e delle modalità costruttive si possono

distinguere due tipi principali di strutture: barriere paramassi rigide e barriere paramassi

elastiche.

Paramassi rigidi

Sono strutture poco deformabili, pesanti e di grandi dimensioni, capaci di opporsi con

notevoli forze resistenti agli impatti. Il loro dimensionamento tiene conto in fase di

progettazione della sollecitazione dinamica indotta dall’impatto di un “masso di progetto”.

Generalmente sono realizzate in calcestruzzo armato, con o senza contrafforti,

opportunamente ancorati al terreno stabile con micropali o tiranti di ancoraggio. Al disopra

dei muri, nei punti più critici, spesso è installata una barriera elastica formata da pannelli di

elementi metallici o da reti metalliche.

In particolari situazioni ambientali, soprattutto quando sono richieste strutture resistenti e

deformabili su pendii ripidi, si adottano muri in gabbioni metallici. I gabbioni forniscono un

ostacolo deformabile con assorbimento dell'impatto in parte elastico in parte rigido, inoltre

hanno il grande vantaggio di poter sfruttare l'abbondanza dei detriti di versante per il loro

riempimento e sono facilmente riparabili in caso di danneggiamenti.

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Foto 6: Vallo paramassi.

Paramassi elastici

Sono strutture deformabili, leggere con elementi altamente resistenti, formati da materiali di

alta qualità e durata. La leggerezza della struttura, la semplicità, la rapidità di installazione e

di manutenzione, consentono di eseguire l'intervento anche in zone montuose di difficile

accessibilità.

La struttura è progettata e dimensionata in modo tale da poter intercettare, rallentare o

arrestare la caduta di massi isolati o di detrito. Spesso queste barriere sono associate ad altri

sistemi di difesa passiva, quali ad esempio muri in c.a., valli e rilevati paramassi.

In funzione delle tipologie costruttive e dei materiali impiegati, le barriere elastiche

possono presentare varie configurazioni quali:

- barriere formate da reti flessibili installate su strutture di sostegno rigide tipo muri in

c.a. o di altro tipo.

- barriere formate da pannelli di reti flessibili d'acciaio, con sostegni (ritti) ed elementi

di rinforzo (tiranti d'ancoraggio) infissi direttamente nel terreno o sulla sommità di

terrapieni o di strutture di sostegno di vario tipo (ad esempio muri in gabbioni), ed

installati secondo lo schema tradizionale ”a sacco”.

Le barriere paramassi elastiche sono essenzialmente formate da singoli pannelli in rete

estensibile ad alto assorbimento d'energia in funi d'acciaio galvanizzato ad alta resistenza,

disposte in maniera da formare maglie di varia forma. I pannelli, collegati tra loro da funi di

cucitura d'acciaio, sono posti in opera perpendicolarmente al pendio, sostenuti da piedritti

(ritti) metallici, con interasse di qualche metro, tiranti di monte e controventi di valle in cavi

di acciaio ad alta resistenza. Gli elementi di sostegno e di rinforzo (piedritti,cerniere dei

piedritti, tiranti) sono ancorati e fissati nella roccia o nel materiale detritico mediante barre

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d'acciaio ad aderenza migliorata cementate o in micropali di lunghezza adeguata.

La progettazione in assenza di una normativa specifica nel settore, è effettuata sia sulla base

delle indagini geologico-strutturali dell'area e dell'analisi cinematica del processo di caduta

e rotolamento dei massi (simulazione di caduta, rimbalzo, rotolamento e arresto di massi o

di detrito mobilitato, eseguito al computer su modelli teorici o su dati reali rilevati da prove

in sito), sia sull'analisi dell'energia cinetica posseduta dal masso di progetto in caduta o

rotolamento, trasformata, con l'impatto sulla rete estensibile, in lavoro di deformazione degli

elementi della struttura.

Foto 7 e 8: Reti paramassi.

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L’INGEGNERIA NATURALISTICA

L'ingegneria naturalistica (I.N.) o bioingegneria forestale è una disciplina tecnico-scientifica

che utilizza, le piante vive o parti di esse (semi, radici, talee), da sole o in combinazione con

materiali naturali inerti (legno, pietrame, terreno), materiali artificiali biodegradabili

(biostuoie, geojuta) o materiali artificiali non biodegradabili (reti zincate, geogriglie,

georeti, geotessili), per ridurre il rischio di erosione del terreno negli interventi di

consolidamento, con un impatto ambientale minimo.

L’ingegneria naturalistica è un settore relativamente nuovo per l’Italia, mentre in Europa ha

ormai qualche decennio di applicazioni. Le società di bioingegneria operano dal 1977, ma

interventi sistematici di bioingegneria forestale vennero iniziati in Austria, Germania,

Svizzera già nel dopoguerra.

Al centro di queste tecniche sta la pianta e le sue capacità di rafforzare il terreno con le

radici e dissipare l’energia idraulica con la sua crescita.

I processi per i quali la natura impiega forse 100 anni, vengono accorciati dalla

bioingegneria forestale, che abbrevia i tempi dell’insediamento e del consolidamento con il

miglioramento delle caratteristiche stazionali ed una accelerazione dei processi della

successione naturale.

E' importante però evidenziare come ogni opera di I.N., proprio perché realizzata con

materiali naturali, necessiti di controlli e manutenzione periodica (sfalcio della copertura

erbosa, potatura delle piante arboree), nonché comportino un automatico incremento dei

costi.

Negli ultimi anni, in Italia, si è registrata una maggiore sensibilità nei confronti

dell'ambiente in generale ed in particolar modo della tutela del paesaggio, con un

conseguente incremento nella diffusione delle tecniche di I.N.

E' opportuno però ricordare che qualsiasi intervento "sistematorio" sia di versante, sia su un

corso d'acqua debba essere sottoposto preventivamente ad una stringente analisi di verifica

della correttezza degli obiettivi e delle inevitabili ripercussioni ambientali. Non è dunque

sufficiente sostituire le tradizionali opere di sistemazione con le più rispettose tecniche di

I.N. (spesso utilizzate come semplice “abbellimento verde”), ma occorre compiere la scelta

di inserirsi in una strategia coerente di buongoverno dei fiumi e del territorio.

Tecniche di propagazione

Le tecniche di propagazione delle piante interessano sia l’applicazione diretta in cantiere

che la produzione vivaistica. In fase progettuale è importante conoscere le caratteristiche

delle specie anche sotto questo aspetto per utilizzare quelle che meglio si adattano, oltre che

per le loro funzionalità ecologiche o biotecniche, all’ottenimento di un risultato rapido e al

tempo stesso duraturo. La propagazione può avvenire per seme o per via vegetativa,

utilizzando parti di pianta (astone, ramo o branca, talea, talea radicale, rizoma, stolone) in

grado di dar vita ad un nuovo individuo.

- Astone: soggetto vegetale con gemma apicale; branche secondarie non ancora

sviluppate.

- Talea: porzione di ramo o di fusto (50-100 cm; Ø 5-10 cm) prelevato durante il

riposo vegetativo.

- Talea radicale: porzione di radice prelevata durante il riposo vegetativo.

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- Rizoma: fusto sotterraneo a sviluppo orizzontale che emette radice e rami.

- Stolone: ramo basale di alcune specie erbacee poliennali che striscia sul suolo e dai

nodi emette radici e culmi.

I materiali vivi utilizzati per gli interventi di I.N. sono costituiti da: semi di specie erbacee,

arbustive ed arboree, zolle erbose e prato in rotoli, piante complete a radice nuda o in

contenitore, parti di piante con capacità di emettere radici.

La scelta di un materiale rispetto ad un altro è ovviamente funzione delle condizioni

stazionali, delle necessità progettuali e di quelle che si possono presentare in cantiere.

L’intervento più semplice è la ricostruzione della copertura erbacea che può avvenire

attraverso la semina manuale o l’idrosemina di specie erbacee; il trapianto di cespi o

d’intere zolle erbose (ecocelle), l’impianto di rizomi o stoloni.

Ove la ricostruzione del cotico erboso non sia sufficiente e venga richiesta un’azione di

consolidamento più profonda, è buona norma procedere all’impianto di specie arbustive

autoctone al fine di accelerare i processi dinamici e ottenere una copertura del terreno più

efficace. Su sponde di corsi d’acqua o su frane, la messa a dimora di talee potrà accrescere

notevolmente la stabilità del terreno, secondo diverse modalità d’esecuzione; le talee, in

particolare di salice, trovano un impiego come picchetti viventi per stuoie, reti o fascine

oppure, abbinate a piantine radicate di latifoglie, vengono disposte “a pettine” in trincee

parallele, formando gradonate vive (vedi pag.52).

L’obiettivo finale è la formazione di dense file vegetative parallele tra di loro che

stabilizzino il versante con fitti strati di radici. In entrambi i casi si procederà infine ad

inerbire il pendio mediante la semina o l’idrosemina.

Astoni e ramaglia di specie con capacità di moltiplicazione vegetativa, in particolare di

salice, possono essere riuniti in fascine di varie dimensioni (lunghezza 2,5-4 m; Ø 40-60

cm) disposte in solchi orizzontali con funzione di consolidamento, analogamente a

gradonate e cordonate; verticalmente, secondo la massima pendenza o a spina di pesce con

funzione di drenaggio; per la difesa al piede di sponde fluviali o lacustri. Le fascine possono

essere costruite con materiale vivente o miste o anche con ramaglia morta. Lo sviluppo

della vegetazione secondo linee oblique, orizzontali o verticali favorisce oltre al drenaggio

profondo delle acque anche un assorbimento attivo con un’azione di prosciugamento

biotecnico. I materiali, anche in questo caso, sono prevalentemente rappresentati dalle

piante, se si esclude il filo di ferro per la legatura delle fascine ed eventualmente il tondino

di ferro per la realizzazione dei picchetti che possono però anche essere di legno.

Per la difesa spondale, la posa a strati alternati sovrapposti di fascinate e gradonate con talee

dà origine alla tipologia costruttiva denominata ribalta viva, più resistente alla forza di

trascinamento dell’acqua rispetto alla sola posa di fascine.

Un ultimo esempio in cui le funzioni tecniche antierosive o di consolidamento sono svolte

quasi esclusivamente dalle qualità possedute dai materiali viventi, vede la loro applicazione,

quando le caratteristiche idrauliche del corso d’acqua lo permettano, lungo le sponde

fluviali. Astoni e ramaglia di salice vengono sistemati in senso verticale, costituendo una

copertura diffusa. Per il fissaggio dei salici vengono impiegati picchetti in legno o in ferro;

tondame di legno per mantenere aderente al terreno la copertura diffusa e filo di ferro per le

legature.

L’uso dei materiali vivi è inizialmente subordinato alla costruzione di una struttura in

legname con funzione di sostegno. La palificata, a parete semplice o doppia, viene realizzata

disponendo i tronchi con diametri generalmente variabili da 25 a 35 cm in modo da formare

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un’incastellatura, riempita con una miscela costituita da inerte terroso locale e terreno

vegetale, piantata con talee e piantine radicate. I tronchi sono uniti fra loro con chiodature in

tondino di ferro e ancorati al terreno con piloti in ferro (spezzoni di rotaia o picchetti). Con

il tempo le talee e le piante radicheranno in profondità aumentando la stabilità del pendio.

La profondità massima della struttura in legno solitamente non supera quella di sviluppo

degli apparati radicali (2-2,5 m).

Sui versanti in frana con pendenze fino a 60° circa, ove il modellamento superficiali sia

difficoltoso, trova collocazione ideale la grata viva. Questa tipologia costruttiva, come la

palificata, utilizza per la parte strutturale, legname con chiodature e picchetti in tondino di

ferro. Il tondame (lunghezza circa 4-5 m, Ø 25-30 cm) viene disposto verticalmente sul

terreno sul quale, successivamente , si procede alla chiodatura dei tronchi orizzontali

formando una maglia quadrata (0,5-1x1-1,5 m2) riempita con la miscela di inerte terroso

locale e terreno vegetale. L’inserimento di talee e piantine avviene sui gradoni creati dalla

posa dei tronchi orizzontali.

In questo modo i limiti iniziali delle piante, che raggiungeranno la massima efficienza dopo

7-8 anni dall’impianto, vengono superati dalla costruzione in legname (palificata o grata) la

quale lascerà a sua volta il passo alla vegetazione. Entro questo periodo è pertanto possibile

stabilire la riuscita dell’intervento stesso dal grado di attecchimento e di sviluppo dei

materiali viventi.

La messa a dimora di alberi, nelle opere di I.N. non è sempre desiderabile e vi sono casi in

cui la presenza di specie arboree è persino sconsigliabile perché può rappresentare un

rischio per la futura stabilità del versante. Sulle sponde, lungo i corsi d’acqua, deve essere

valutata attentamente l’opportunità di mantenere alberi al di sopra di certe dimensioni

(superiori ai 4-5 m di altezza) in considerazione degli aspetti idraulici. Le specie che

possiedono le qualità migliori di resistenza e durabilità sono: il larice e il castagno. Inoltre

accorgimenti particolari quali la scortecciatura o l’abbruciamento servono ad aumentare la

resistenza agli agenti esterni prolungando la durata del legname.

Quanto finora descritto appartiene perciò alle opere di sostegno temporanee legate alla

durabilità del legname impiegato. L’efficienza complessiva dell’intervento è però

determinata dalla presenza delle piante, destinate a durare nel tempo, ben oltre le possibilità

offerte dal legname.

Le piante si possono abbinare, per esigenze costruttive particolari, ad altri materiali da

costruzione inerti. I materiali lapidei vengono suddivisi secondo le dimensioni:

- I massi ciclopici per la costruzione di scogliere per sostenere e difendere le sponde

fluviali (vedi pag.39);

- Il pietrame di varia pezzatura per il riempimento di fossi drenanti e di gabbioni, per la

costruzione di muri a secco e di rampe a blocchi lungo i corsi d’acqua (vedi pag.50).

Un settore in rapida evoluzione è quello dei materiali di supporto a semine e idrosemine,

utilizzati per gli interventi di rivestimento vegetativo. Esiste infatti in commercio una

grande varietà di reti, stuoie, feltri, geotessili applicabili ad una casistica molto ampia. La

funzione principale di questi materiali è di proteggere il terreno dall’erosione nelle fasi

iniziali, prima cioè che il cotico erboso e, in seguito, la vegetazione arbustiva svolgano

questo compito autonomamente.

Una prima distinzione viene fatta sulla natura dei materiali costituiti da fibre vegetali,

sintetici, in ferro zincato.

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Le fibre vegetali più comuni sono il cocco, la juta e il sisal; tra queste il cocco ha una

resistenza e una durata maggiori; ci sono stuoie in juta, biofeltri in cocco e paglia o in fibre

miste, biofeltri trucioli di legno, stuoie e georeti biodegradabili di cocco; georeti

tridimensionali in materiali sintetici: nylon, polipropilene, polietilene, polietilene ad alta

densità.

Quando è necessaria un’opera permanente devono essere utilizzati geotessuti artificiali,

quando è sufficiente un’opera temporanea si possono impiegare geotessuti naturali.

Esistono poi reti metalliche, in acciaio: rete zincata o rete zincata e plastificata a maglia

esagonale a doppia torsione: per il rivestimento o la costruzione di gabbioni e materassi ed

infine per le intelaiature di terre rinforzate verdi.

Geocelle a nido d’ape in materiale sintetico: non tessuto poliestere o polietilene estruso

vengono impiegate per la protezione di scarpate in terra e commercializzate in pannelli.

E’ possibile infine realizzare opere verdi anche in condizioni estreme di pendenza,

pressoché verticali, con l’ausilio di terre rinforzate verdi costruite secondo varie modalità

offerte dalle ditte specializzate.

Campi di applicazione

Le tecniche di I.N. vengono applicate in diverse tipologie di ambiente, su tutte:

Corsi d'acqua: consolidamento di sponde soggette ad erosione, costruzione di briglie

e pennelli;

Versanti: consolidamento ed inerbimento dei versanti.

Corsi d’acqua

In ambito fluviale, le tecniche dell’ingegneria naturalistica offrono 2 campi di applicazione

di rilevante importanza economica:

- Risanamento dissesti;

- Rinaturazione delle sponde e dell’ambiente fluviale.

Le tecniche d’I.N. mostrano la massima efficienza nel risanamento dei dissesti minori lungo

le sponde dei corsi d’acqua , su versante e lungo la rete stradale. Tali dissesti si presentano

diffusi sul territorio, ma singolarmente di modesta entità e pertanto mal si prestano

all’attuale sistema di gestione delle opere pubbliche per appalto; essi si presentano inoltre in

maniera imprevedibile, a seguito per lo più di eventi meteorologici, e quindi non rientrano

nella prassi corrente che prevede scarsissimi fondi per la manutenzione ordinaria, ma rinvia

le possibilità d’intervento sul territorio ai provvedimenti legislativi d’urgenza a seguito di

eventi calamitosi gravi.

Nella maggioranza dei casi, le opere di risanamento dei dissesti minori non richiedono

particolari progettazioni e pertanto la prassi ordinaria risulta ridondante. Inoltre le opere di

I.N. devono essere realizzate in ben determinati periodi dell’anno per favorire così lo

sviluppo delle specie vegetali utilizzate.

La rinaturazione dei corsi d’acqua consiste nel ripristino di forme e rivestimenti spondali

originari allo scopo di favorirne la rivitalizzazione. Un effetto non trascurabile

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dell’applicazione delle tecniche di I.N. ai corsi d’acqua risulta essere l’incremento della

biodiversità.

Il problema della manutenzione periodica deve essere adeguatamente compreso e perseguito

con apporti che, necessariamente, non possono essere solo demandati solo all’Ente pubblico

che vi provvede, attualmente, con saltuari appalti in fase di emergenza. Bisogna infatti

pensare che, proprio a proposito delle opere di difesa longitudinali e trasversali, il ricorso al

calcestruzzo non dipende solo dalla facilità di esecuzione, ma anche dalla costante richiesta

di ridurre al minimo gli interventi di manutenzione. Ciò non comporta necessariamente un

risparmio, ma nella prassi attuale, mentre la ricostruzione dell’opera distrutta rientra negli

impegni previsti dalle leggi speciali che sempre seguono un evento calamitoso, non rientra

nella procedura ordinaria l’assegnazione agli Enti territoriali di una quota costante su base

pluriennale per interventi preventivi o di riparazione. Tali fatti sono spesso richiamati

all’attenzione allorché si avanza la proposta di utilizzare tecniche che prevedono l’impianto

di talee di salice o specie aventi analoghe funzioni per il consolidamento delle scogliere in

massi o il ricorso a palificate di sostegno delle sponde o del piede delle scarpate stradali. La

costante preoccupazione per la durevolezza del manufatto dovrebbe essere mitigata dalla

ricerca di opere caratterizzate da rapido inserimento nel contesto ambientale circostante, che

garantiscano il ripristino di situazioni para-normali.

Versanti

Un pendio naturale non è mai del tutto sicuro. Una morfologia a profilo inclinato va sempre

considerata come situazione solo temporaneamente stabile che in tempi più o meno lunghi,

e forse per fasi successive, verrà modificata dalle forze di gravità, fino a raggiungere la

morfologia pianeggiante. Se il processo di degradazione è lungo per le rocce lapidee lo è

meno per le rocce sciolte che, spesso, sono in sosta momentanea, in condizioni di equilibrio

limite, in attesa che questo venga rimosso dalla mano dell’uomo, ovvero da eventi naturali,

fra i quali la maggior protagonista è sempre l’acqua.

Quindi il progettista, che deve conoscere la geologia della zona e compiere i doverosi

accertamenti geofisici e geotecnici, deve studiare, anche se i risultati delle sue indagini sono

rassicuranti, soluzioni specifiche, tenendo presente che il profilo inclinato di una roccia

sciolta è una situazione innaturale e come tale pericolosa. In altre parole, va considerato che

l’eccezione non è il pendio instabile bensì quello stabile.

Nella progettazione di ingegneria naturalistica è quindi importante attenersi ad alcune regole

fondamentali:

a) Per quanto sia possibile, evitare di modificare il pendio naturale se non in senso

migliorativo, ossia riducendo l’angolo del pendio o intervenendo con piantumazioni e

opere di governo delle acque sotterranee e superficiali.

b) Tenere conto che, se un pendio viene modificato in senso peggiorativo, dovrà essere

contenuto a lungo termine con opere che devono rispondere ai requisiti di legge per

quanto concerne il coefficiente di sicurezza (è il rapporto tra le forze che tendono a

farlo scivolare a valle e quelle che invece tendono a mantenerlo stabile).

Opere che limitano l’erosione e che governano le acque (viminate, palificate, fossi di

guardia e drenaggi) sono ottime per ridurre i fenomeni di degradazione, ma hanno scarsa

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efficacia per quanto attiene al rischio di frane, se non vengono rispettati i profili e le opere

di contenimento dettati dalla geotecnica e dalla meccanica delle rocce.

Gli interventi di consolidamento frane in terreni sciolti vanno eseguiti soprattutto attraverso

una buona regimazione delle acque e in questo è fondamentale l’intervento dell’I.N. poiché i

migliori fossi di guardia sono sicuramente quelli in terreno naturale protetto adeguatamente;

l’esperienze con embrici in calcestruzzo o con semitubi in lamiera ondulata o con manufatti

in muratura (per raccogliere le acque, non per trasportarle) hanno dato sempre risultati

deludenti, al contrario dei fossi al naturale.

Un altro punto fondamentale però del consolidamento delle frane è il ripristino

dell’equilibrio delle masse in movimento attraverso uno spostamento dei pesi, quale un

alleggerimento della testa del corpo di frana, una ricarica al piede del versante o un

contenimento con adeguate opere d’arte: l’intervento dell’I.N. è fondamentale per il rapido

recupero ambientale delle zone movimentate e per impedire l’erosione delle superfici messe

a nudo, ma grande prudenza va usata nell’uso di tecniche naturalistiche in grandi opere di

contenimento, se si vogliono ottenere risultati sicuri.

Vi sono problemi di durata, di costi, di materiali, di conoscenza delle tecniche da applicare

che non sempre giustificano questo tipo d’intervento.

Per le grandi opere di contenimento sono forse da preferirsi tecniche tradizionali scelte in

modo da poter essere abbinate ad una “finitura” di tipo naturalistico (ad esempio scogliere

ciclopiche o gabbioni con tiranti che possono esser facilmente calcolati, ma altrettanto

facilmente abbinati a piantumazioni ed interventi di consolidamento e mascheramento

naturalistico).

DESCRIZIONE ANALITICA DELLE PRINCIPALI OPERE

Sistemazioni idrauliche

1) Drenaggi

Generalità:

Il principio è quello di neutralizzare gli effetti dannosi dell’acqua sui terreni ripidi. Un dreno

per essere tale deve intercettare l’acqua e convogliarla o disperderla senza danni.

Interventi:

a) Canalette o pozzetti in legno. Queste strutture vengono costruite per raccogliere ed

allontanare l’acqua superficiale e proteggere la scarpata da erosioni fino al completo

sviluppo della vegetazione.

b) Trincea drenante con fascinate vive e morte o con struttura sintetica. Viene utilizzata

per il prosciugamento superficiale di frane costituite da materiale incoerente di

matrice limoso-argillosa.

c) Drenaggio verticale combinato. Tecnica applicabile in presenza di numerosi

affioramenti d’acqua diffusi ed irregolari con portata non rilevante ma continua, non

regimabili mediante una sistemazione con briglie.

d) Cuneo filtrante. E’ utilizzato per bonificare pendii bagnati soggetti a franamento a

causa della mancanza di appoggio al piede.

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Modalità di esecuzione:

a) Le canalette vengono costruite con tavolame dello spessore di 3-4 cm, assemblato a

forma di V o U e fissate al terreno con picchetti in legno o in ferro. Anche per i pozzetti

s’impiegano tavoloni di larice forando con una motosega la parete a monte che funge

da filtro. Il pozzetto viene quindi interrato inserendo nella parte a valle il tubo di

scarico e coprendo la struttura con un chiusino. La possibilità di costruzione in

magazzino e la facilità di trasporto rende l’applicazione di tali strutture particolarmente

agevole ed economica.

Foto 9: Canaletta in legno fissata con picchetti in legno.

b) Il metodo delle trincee drenanti consiste nello scavo di un fosso della profondità di 80-

100 cm, che viene riempito con fascine di ramaglia, fissate al terreno con picchetti di

legno o di ferro. Dove è necessaria un’azione permanente di drenaggio si utilizzano

fascine costituite da ramaglia viva di salice che, a contatto con il terreno emettono delle

radici formando una linea di drenaggio vegetata e persistente. Al riguardo è bene

ricordare che queste dovranno essere disposte sempre con la parte più grossa rivolta a

monte. Le fascinate morte o vive svolgono la loro azione di prosciugamento in seguito

all’intercettazione e al convogliamento dell’acqua da parte dei rami. Dopo

l’attecchimento delle piante subentra l’effetto pompante delle stesse e quindi il

mantenimento dell’effetto drenante nel tempo. La disposizione delle fascinate lungo il

pendio può essere verticale, lungo linee di massima pendenza, o inclinato per captare le

emergenze idriche diffuse. Nel caso in cui si sostituisse la ramaglia con materiale

sintetico la struttura drenante sarà costituita da un geotessile composto da una struttura

tridimensionale in nylon ad alto contenuto alveolare interposto a 2 non-tessuti di

poliestere. Lo spessore della struttura è di pochi cm e pesa circa 10 N/m2. La profondità

della trincea sarà di 1 o 2 m e il dreno verrà posato addossandolo alla parete di monte,

si provvederà poi al posizionamento del tubo microforato e infine al riempimento della

trincea con il materiale presente in loco. Il vantaggio dell’utilizzo di materiale sintetico

consiste nel fatto che non è necessario portare materiale drenante dall’esterno, come nei

drenaggi classici, ma si utilizza il materiale del posto.

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Fig.31: Trincea drenante con struttura sintetica.

c) Col drenaggio verticale combinato l’acqua viene captata nei vari punti di affioramento

ed allontanata con una condotta sotterranea lungo la massima pendenza. In tal modo

tutta la superficie viene rivegetata anche negli impluvi con un chiaro effetto

stabilizzante.

Fig.32: Drenaggio verticale combinato.

d) Cuneo filtrante. Alla base della zona bagnata si costruisce un muro in legname di

altezza adeguata nel quale s’inserisce una guina o una canaletta zincata per smaltire

l’acqua proveniente dall’alto. Successivamente si ricarica la zona bagnata con del

materiale molto permeabile (ghiaione, pietrisco), dopo aver eventualmente inserito

lungo il pendio dei tubi microforati che aiutano l’emungimento dell’acqua. Durante la

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ricarica del ghiaione drenante o successivamente si inseriscono delle grosse talee di

salice fino a raggiungere il terreno bagnato e favorire il prosciugamento attraverso il

consumo attivo.

Fig.33: Cuneo filtrante.

2) Palificate in legname

Generalità:

Sono manufatti a gravità formati da una struttura cellulare in pali di legno abbinato alla posa

di piante. Il deterioramento del legname, in alcuni decenni, presuppone che i parametri di

stabilità del manufatto vengano riferiti ad un parametro esterno assimilabile ad una pendice

ben vegetata e ad un terreno con buone caratteristiche di attrito. In presenza di adeguata

manutenzione (taglio periodico delle piante al fine di impedire l’appesantimento delle

ceppaie) si possono raggiungere accettabili condizioni di stabilità per pendenze del

parametro esterno dell’ordine di 60°.

Interventi:

Questa tecnica viene utilizzata soprattutto per interventi di consolidamento o ricostruzione

di sponde fluviali e torrentizie. I materiali usati sono: tondami di legno ad elevata durabilità

(robinia, castagno…), pioli o tondini in metallo ad aderenza migliorata, talee e piantine di

latifoglie e georeti di materiale biodegradabile (juta, fibra di cocco, polipropilene,

poliammide).

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Modalità d’esecuzione:

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Note:

La scortecciatura dei pali aumenta la durabilità del legname.

Da curare il posizionamento della palificata ad almeno 0,5-1 m al di sotto del fondo ovvero

realizzare la struttura appoggiata al di sopra di una base in massi. La gestione di un lavoro

con tondame di diametro 30-40 cm, preferibile dal punto di vista costruttivo, presenta la

necessità di disporre di un escavatore per la movimentazione dei tronchi. La costruzione con

tondame di diametro massimo 20 cm può presupporre invece la realizzazione di un cantiere

con mezzi manuali. A mente delle attuali normative sulla sicurezza del lavoro la

movimentazione manuale deve essere limitata a tondame, gestito da due operatori, di peso

unitario non superiore a 40 kg (donne) o 60 kg (uomini).

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3) Briglie in legname e pietrame

Generalità:

Si utilizza il legno e la pietra per la costruzione di briglie secondo gli schemi classici. La

durata del legname è limitata rispetto ad altri materiali tradizionali (massi, gabbioni in

assenza di elementi corrosivi nelle acque) ed il suo utilizzo è pertanto giustificato solo in

presenza di impossibilità logistica di trasporto di massi sul posto ovvero in presenza di

legname in vicinanza dell’alveo.

Interventi:

Tecnica utilizzabile per necessità di manufatti di dimensioni limitate ad altezze (quota

gaveta) da 1 a 1,5 m. I corsi d’acqua che verranno considerati dovranno avere limitato

trasporto solido ed un deflusso minimo costante, così da evitare cicli di

disseccamento/imbibizione del legname ed aumentarne quindi la durabilità.

Modalità d’esecuzione:

La briglia deve essere calcolata come manufatto a gravità tenendo presente che il volume

occupato dal legname non superi il 20-25% del volume totale del manufatto.

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Note:

Da curare la presenza della platea a valle della briglia e la progettazione della pendenza e

dell’ammorsamento della struttura, a monte della gaveta, per evitare occasioni di

scalzamento.

4) Terre armate e/o rinforzate

Generalità:

Questa tipologia d’intervento comprende tutti i modellamenti e le ricostruzioni di sponda e

di versante che utilizzano terreno ed inerti con interposti strati di materiali geosintetici in

modo da migliorare indirettamente le caratteristiche geotecniche dei terreni medesimi. I

volumi di terreno interessati dalla lavorazione a strati successivi (terreno-rinforzo-terreno) si

comportano così come manufatti a gravità con il vantaggio di presentare una buona

flessibilità e la possibilità d’inserimento di vegetazione sul parametro esterno. Le terre

armate devono riconoscersi nella finalità di rispettare parametri costruttivi che consentano

lo stabilirsi di un’efficiente copertura vegetale (pendenza del paramento, caratteristiche del

terreno, materiale di rinforzo impiegato) considerando in ogni caso come la tecnica del

rinforzo delle terre consenta la realizzazione di manufatti con scarpate ed inclinazioni

maggiori dell’angolo d’attrito del terreno che lo compone (fino a 60°-70°).

Interventi:

Questa tecnica è efficace per consolidare il piede di una frana, per la ricostruzione di pendii

e porzioni di versante, per la formazioni di terrapieni consolidati e vegetati per rilevati

stradali ed in corrispondenza di tratti tombinati. I materiali impiegati sono: geogriglie in

materiale plastico, tessuti ad alta tenacità e reti metalliche.

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Modalità d’esecuzione:

Note:

Risulta molto importante nel periodo idoneo alla posa del materiale vegetale (autunno

inverno-primavera fino ad Aprile) in quanto il tipo di lavorazione rende difficoltoso

l’inserimento di piantine e talee nella struttura in un momento successivo al completamento

della struttura stessa.

La permeabilità all’acqua per i tessuti geosintetici varia in modo inversamente

proporzionale alla resistenza alla trazione per ordini di grandezza da 15 a 1 m3/s per m

2.

Questo dato indica come l’utilizzo dei geosintetici in presenza di alte resistenze alla trazione

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possa inficiare la possibilità di ottenere idonei sviluppi delle specie vegetali poste a dimora.

Questa difficoltà non si presenta nel caso di utilizzo di reti.

5) Interventi sulla vegetazione ripariale

Generalità:

La manutenzione ordinaria e straordinaria della vegetazione localizzata nell’alveo dei corsi

d’acqua consiste soprattutto in tagli periodici a carattere selettivo e/o in tagli periodici a

raso, finalizzati all’eliminazione di vegetazione instabile ed alla regolarizzazione dei

deflussi. In sintesi, le principali funzioni della vegetazione ripariale sono:

- Consolidamento e stabilizzazione delle sponde;

- Rallentamento della velocità della corrente;

- Formazione di ecosistemi ad elevato valore vegetazionale, faunistico e paesaggistico;

- Depurazione delle acque;

- Formazione di ambienti a valenza sportiva e turistico-ricettiva.

Interventi:

S’interviene sui corsi d’acqua con presenza di vegetazione ripariale a forte sviluppo per

assenza di manutenzione ed in condizioni di abbandono. I tagli devono essere effettuati

preferibilmente nel periodo tardo autunnale ed invernale, evitando di intervenire in

primavera.

Modalità d’esecuzione:

- Taglio raso. L’intervento deve essere effettuato nei limiti dell’alveo di piena

ordinario o attivo, intendendo con tale definizione l’alveo interessato da eventi di

piena con tempo di ritorno di circa 30 anni. L’intervento consiste nel taglio raso, al

colletto, delle piante isolate e dei nuclei di piante presenti, sia in caso di piante da

seme che di polloni da ceppaia. Verrà interessata tutta la superficie di eventuali

“isole” presenti in alveo, dovute a deposito solido. Le ceppaie tagliate non dovranno

essere asportate (ad esclusione di interventi di taglio preparatori a movimentazioni in

alveo, costruzione manufatti, ecc…), in modo da mantenere la fondamentale azione

di difesa spondale e consentire la formazione di polloni dalle ceppaie stesse, così da

ricostruire fasce di vegetazione caratterizzate da strutture più stabili, di minore

ingombro e maggior elasticità. L’intervento dovrà interessare naturalmente anche

piante e ceppaie sradicate, che dovranno essere rimosse; successivamente si dovrà

provvedere al rimodellamento ed alla profilatura del terreno e/o delle scarpate.

- Taglio selettivo. All’esterno dell’alveo attivo e lungo gli argini, il taglio raso dovrà

essere limitato esclusivamente alle ceppaie a forte densità di polloni ed intasate da

materiali di risulta (che costituiscono concrete riduzioni di sezione), mentre

l’intervento ordinario sarà il taglio selettivo, effettuato con intensità comprese tra il

40 e il 60% del numero di piante presenti, lasciando le piante di portamento e

sviluppo più equilibrato, con taglio delle piante deperenti, malformate e concorrenti

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con esemplari di maggior stabilità e vigore, provvedendo a rendere omogenea la

densità del soprassuolo. Tale criterio sarà applicato agli esemplari fino a 12 cm di

diametro (ad 1,30 m da terra), mentre per i soggetti con diametro > 12 cm è

opportuno prevedere l’abbattimento, in considerazione della stabilità, mediamente

scarsa, che caratterizza gli esemplari arborei di maggiore dimensioni presenti nelle

formazioni ripariali.

- Materiali di risulta. I materiali legnosi di risulta dai tagli potranno essere sramati in

posto, divisi tra ramaglia e legname (con diametro > 8-10 cm); la ramaglia dovrà

essere eliminata o allontanata dall’alveo e potrà essere concentrata in zone non

vegetate, in piccoli mucchi e successivamente bruciata, qualora sussistano i

presupposti di distanza minima dal bosco. In alternativa, la ramaglia potrà essere

cippata con apposita macchina o allontanata dall’alveo e conferita a pubblica

discarica. Il legname dovrà essere depezzato nelle misure ritenute più opportune per

l’eventuale successiva utilizzazione, e dovrà essere accatastato in aree esterne alla

sezione interessata dalla portata di massima piena, in modo da evitare che venga

trasportato dalla corrente di piena. Il materiale legnoso di risulta potrà essere anche in

parte reimpiegato per le eventuali opere di I.N. previste, opportunamente valutato in

funzione del vigore vegetativo. I rifiuti presenti lungo le sponde dei corsi d’acqua

dovranno essere separati dal materiale vegetale e legnoso, concentrati e trasportati a

cura dell’impresa a pubblica discarica. Deve esser assolutamente vietato

l’abbruciamento.

Note:

E’ opportuno considerare che la corretta manutenzione degli ambiti fluviali dovrà passare

dalla attuale logica di interventi straordinari alla logica della manutenzione ordinaria. In fase

d’esecuzione lavori sulla vegetazione ripariale connessi ad interventi di I.N., occorre

riservare in piedi esemplari adatti in quantità sufficiente alla fornitura di materiale di

propagazione, fino al momento dell’utilizzazione.

Sistemazioni di versante

1) Interventi preparatori e fasi operative

Generalità:

Si tratta di interventi preliminari alla realizzazione delle opere di I.N., consistenti nella

preparazione e nel modellamento delle aree in dissesto finalizzati ad ottenere maggiori

garanzie di successo degli interventi, migliori condizioni operative ed un completo

inserimento paesaggistico dell’area interessata.

Interventi:

Il recupero di un area di versante degradata deve avvenire nel rispetto dell’esecuzione di

tutte le seguenti fasi:

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- Consolidamento al piede dell’area in dissesto;

- Scoronamento delle parti instabili e profilatura del terreno;

- Regimazione delle acque;

- Stabilizzazione superficiale e rivestimento vegetativo.

Modalità d’esecuzione:

Note:

La realizzazione d’interventi preparatori riveste assoluta importanza per qualunque opera di

I.N. e quindi i campi di applicazione sono molteplici e diversificati, rientrando comunque

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nelle aree in dissesto sia di origine naturale che antropica, suscettibili di recupero con

interventi di I.N.

2) Fascinata viva

Generalità:

E’ un’opera stabilizzante lineare, con effetto di ritenzione idrica quando la disposizione

delle fascinate è orizzontale; con effetto di deflusso idrico quando la disposizione è obliqua.

Essa è costituita da fascine formate da rami, aventi capacità vegetative, poste e fissate

all’interno di un solco scavato nel pendio.

Interventi:

L’intervento è adatto per scarpate con pendenza non eccessiva (da 30° a 35°), in un corpo

terroso e morbido. I materiali impiegati sono: fascine di rami quanto più possibile dritti e

lunghi, tratti da piante legnose aventi capacità vegetativa e picchetti in legname lunghi circa

60 cm, vivi o morti (in alternativa tondini in ferro della medesima lunghezza).

Limiti di fattibilità:

Il consolidamento avviene solo dopo la radicazione delle fascine; l’opera teme la caduta dei

sassi e l’abrasione dei getti, pertanto è necessario utilizzare materiale resistente

all’inghiaiamento.

Modalità d’esecuzione:

Si preparano dei solchi larghi da 30 a 60 cm ed altrettanto profondi; contemporaneamente si

preparano le fascine composte da talee e ramaglia viva di diametro superiore ad almeno 1

cm (non è necessario che le fascine siano legate strettamente; i punti di legatura possono

distare da 50 a 70 cm l’uno dall’altro) fino a formare fascine di 20-30 cm di diametro. Si

collocano quindi le fascine nei solchi e si fissano, conficcando i picchetti o le aste di tondino

ad intervalli di 80 cm circa; questi possono essere infissi o attraverso la fascina (secondo

Kraebel), oppure a valle della stessa (secondo Hofmann). Si riempiono quindi i fossi con la

terra scavata, lasciando sporgere dalla terra solo piccoli tratti di rami.

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Note:

La variante delle fascinate vive combinate con piantine necessita di solchi più larghi. Questi

anche se riempiti, comportano un possibile ristagno di acqua e quindi un pericolo di

franamento; pertanto essi andranno eseguiti con disposizione diagonale (con angolo

compreso tra 10° e 30° rispetto all’orizzontale), a formare linee a zig-zag o a spina di pesce

lungo il pendio.

3) Viminata

Generalità:

Anche questo è un intervento stabilizzante lineare su pendio che può avere disposizione a

file orizzontali oppure incrociate; nel secondo caso l’incrocio può avvenire in diagonale, a

formare una costruzione di rombi, oppure ad angolo retto, a formare quadrati. Essa è

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composta da un intreccio di verghe aventi capacità vegetative, fissato al terreno mediante

picchetti di legno o tondini in ferro e successivamente interrato.

Interventi:

L’intervento è adatto al rapido consolidamento ed al rivestimento superficiale del terreno,

nel caso di modesti franamenti ed erosioni. Le viminate diagonali o quadrate sono più

efficaci al fine della ritenuta di terreno di copertura, in conseguenza della formazione di

camere di contenimento. L’opera si adatta bene anche scarpate spondali.

Limiti di fattibilità:

A causa dei costi elevati rispetto ad altri interventi di stabilizzazione, del limitato numero di

specie adatte e del rischio di non radicazione qualora le viminate non vengano

sufficientemente interrate, questo intervento viene effettuato ormai quasi esclusivamente

quando sia necessario ottenere un effetto immediato di trattenuta del terreno.

Modalità d’esecuzione:

Si infiggono nel terreno i picchetti di legno di diametro compreso tra 3 e 10 cm e lunghi

circa 1 m, alla distanza l’uno dall’altro di 1 m circa; essi devono essere conficcati nel

terreno per circa 2/3 della loro lunghezza. Tra di essi si infiggono altri paletti più corti a

distanza di 30 cm l’uno dall’altro (meglio talee vive). Ai paletti s’intrecciano le verghe,

l’una sopra l’altra, in numero sufficiente (a formare un intreccio di altezza pari a circa 30

cm); esse devono essere spinte all’interno del terreno affinché possano radicare.

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Note:

Attecchiscono bene solo le viminate interrate completamente.

4) Impianto di specie arboree e arbustive

Generalità:

Intervento per la stabilizzazione di scarpate, zone in erosione superficiale ed aree in ogni

caso prive di copertura arborea ed arbustiva, consistente nella piantagione di piantine a

radice nuda e/o con pane di terra.

Interventi:

S’interviene per scarpate in scavo ed in riporto, come completamento d’interventi di I.N. e

recupero ambientale, per stabilizzare superficialmente rilevati, accumuli di materiali sciolti

e sponde fluviali. Vengono utilizzati:

- Materiale da vivaio: piantine a radice nuda, in fitocella, in contenitore, con pane a

terra, h = 20-50 cm, età 2-5 anni

- Materiale reperito in loco: trapianti di specie arboree ed arbustive, zolle di specie

arbustive

- Materiali vari: terricci, concimi, idroritentori, pacciamanti.

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Limiti di fattibilità:

E’ caratterizzato da grande valenza applicativa, limitatamente alla stabilizzazione

superficiale dei versanti, sia in scavo che in rilevato. La funzionalità dell’opera è

strettamente connessa all’attecchimento ed allo sviluppo delle piantine.

Modalità d’esecuzione:

Nell’ I.N. si utilizza prevalentemente l’impianto in buche, aperte manualmente o con piccole

trivelle meccaniche, portatili. Il materiale d’impianto, giovane, necessita di buche di

dimensioni comprese tra 25x25x25 e 50x50x50 cm3, in relazione alle dimensioni ed alla

natura del suolo; in fase di scavo deve essere asportato ed accantonato il materiale detritico

grossolano, da riutilizzare per eventuali altre opere complementari. Successivamente la

piantina va posta a dimora nella buca; in caso di piantina a radice nuda si deve porre

attenzione alla disposizione dell’apparato radicale ed alla formazione di vuoti che

potrebbero determinare disseccamenti delle radici stesse. In caso di materiale in contenitore

non biodegradabile (fitocelle in plastica, vasetti…) si dovrà provvedere alla sua

asportazione ed allontanamento dal cantiere. La buca va riempita con il materiale di risulta

dello scavo, fino al colletto della pianta, provvedendo al compattamento del terreno; a

lavoro terminato correttamente, la piantina deve opporre una certa resistenza alla sua

estrazione. Il lavoro può essere completato con la posa di pacciamanti (feltri, paglia,

corteccia di resinose, pietrame) e di ritentori idrici (polimeri) in caso di siccità estiva

prolungata.

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5) Messa a dimora di talee

Generalità:

Lavoro di consolidamento di pendii e di sponde con l’impiego di specie legnose con buona

capacità di moltiplicazione vegetativa per talea.

Interventi:

S’interviene su sponde fluviali, lacustri e /o scarpate a pendenza limitata. Utilizzate anche

come picchetti viventi nella posa di reti e stuoie, di fascinate e nella realizzazione di

coperture diffuse oppure infisse negli interstizi di scogliere e gabbionate. Le specie di piante

più utilizzate sono: salice (Salix nigricans), tamerice (Tamarix parviflora), alloro (Laurus

nobilis), ligustro (Ligustrum vulgare) ed altre specie legnose a riproduzione vegetativa.

Limiti di fattibilità:

Presenta limiti altitudinali (600-1800 m s.l.m.). In terreni particolarmente tenaci o in

presenza di scheletro abbondante può risultare opportuna l’apertura preliminare di un foro

mediante punta metallica.

Modalità d’esecuzione:

Le talee legnose di arbustive idonee, di 2 o più anni di età, prelevate dal selvatico, vengono

messe a dimora nel verso della crescita previo taglio a punta e con disposizione

perpendicolare o leggermente inclinata rispetto al piano di scarpata. Le dimensioni sono

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variabili secondo le specie da un minimo di 1-5 cm e fino a 10 cm di diametro; e in

lunghezza da 50 cm fino a 2-2,5 m. L’infissione delle talee può venire eseguita a mazza

previa apertura di un foro; in caso di rilevati la posa può procedere contemporaneamente

all’esecuzione della scarpata, mentre per i gabbioni avviene durante il riempimento con

pietrame.

Note:

Per una migliore radicazione lungo tutta la talea è consigliabile la messa a dimora

orizzontale. La capacità di radicazione aumenta con l’età e con il diametro della talea; talee

più grosse hanno più elevate capacità di crescita.

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6) Grata viva

Generalità:

Provvedimento intermedio tra la stabilizzazione di pendii superficiale e quella profonda;

utilizzata su scarpate e versanti in erosione molto ripidi e con substrato compatto.

Interventi:

S’utilizza per pendii e/o sponde con acclività compresa tra 45° e 60°, per nicchie di frana

con difficoltà o impossibilità di rimodellamento del versante, per scarpate di infrastrutture

viarie. Tecnica adatta a zone in scavo con coltri poco profonde. Vengono utilizzati picchetti

e pali in castagno, robinia o altro legname con buona resistenza e durabilità facilmente

reperibile in loco. Inoltre chiodi, tondini in acciaio ad aderenza migliorata, griglia in ferro

elettrosaldata a maglia quadra 5x5 cm2, talee, piantine radicate di specie arbustive locali.

Limiti di fattibilità:

Le specie verranno scelte in funzione delle caratteristiche biotecniche, della loro

disponibilità in loco e considerando l’altitudine, il tipo di terreno e la luce.

Modalità d’esecuzione:

In terreno stabile viene eseguito un solco di fondazione nel quale viene collocato un tronco

longitudinale di base. Sul pendio vengono disposti i tronchi verticali sui quali dovranno

essere fissati con chiodi, tondini o graffe metalliche i tronchi orizzontali per la costruzione

della grata. Le dimensioni dei tronchi sono Ø 15-25 cm e lunghezza 2-5 m; i tronchi con

diametri maggiori vengono disposti alla base della grata e procedendo verso l’alto si

dispongono quelli eventualmente con diametri minori. Gli elementi verticali vengono

collocati a distanza di 0,8-1,5 m e quelli orizzontali con interasse pari a 0,8-1,5 m, in

funzione dell’inclinazione del pendio. La grata dovrà poi essere fissata al terreno mediante

picchetti di legno di Ø 8-10 cm e lunghezza 1 m o di ferro di dimensioni idonee per

sostenere la struttura. La grata verrà poi riempita con inerte terroso locale e lungo i tronchi

orizzontali verranno disposte talee e ramaglia a pettine, con eventuale supporto di una

griglia metallica per un migliore trattenimento del terreno. L’intera superficie potrà essere

seminata.

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Note:

Per la grata, come per tutte le opere che utilizzano materiali vivi, c’è l’esigenza d’interventi

manutentori con funzione tecnica ed ecologica, che dovranno essere previsti fin dai primi

anni dall’ultimazione dell’opera. L’altezza massima possibile per le grate vive è di 15 m.

7) Graticciata

Generalità:

Intervento per la stabilizzazione di scarpate consistente nella realizzazione di strutture in

legname trasversali alla linea di massima pendenza, composte dai picchetti infissi nel

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terreno, dalla realizzazione di intreccio di rami e pertiche legnose di specie prive di capacità

vegetativa tra i picchetti e posa a dimora di materiale vegetale vivo nel gradone ottenuto.

Interventi:

Utilizzate per scarpate in scavo, per il consolidamento di solchi di erosione, per la

stabilizzazione superficiale di rilevati e/o accumuli di materiale sciolto. I picchetti sono in

legno di castagno o di legname reperito in loco Ø = 12-15 cm, lunghezza = 80-120 cm. Le

pertiche sono invece composte da ramaglia reperita in loco, caratterizzata da una buona

flessibilità, Ø = 3-8 cm, lunghezza = 200-300 cm.

Limiti di fattibilità:

Intervento tradizionale, ampiamente utilizzato, limitatamente alla stabilizzazione

superficiale dei versanti, sia in scavo che in rilevato. La funzionalità dell’opera è

assolutamente connessa alla sua corretta esecuzione.

Modalità d’esecuzione:

Si procede all’infissione dei picchetti nel terreno, posti a distanza reciproca di 80-120 cm,

curando che siano infissi nel terreno per almeno 2/3 della loro lunghezza, con asse verticale

o leggermente in contropendenza a monte. Si deve creare la sede per almeno 1-2 ordini di

pertiche trasversali che, in più ordini sovrapposti in funzione delle dimensioni e dell’altezza

fuori terra, costituirà l’intreccio in legname. A monte della struttura si ricaverà un piccolo

gradone (50-60 cm di profondità, per tutta la lunghezza della struttura), dove verranno poste

a dimora talee e/o le piantine, provvedendo al successivo ed accurato rinterro.

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Note:

Molto spesso le graticciate sono realizzate senza rinterro a monte, con altezze fuori terra

eccessive, senza curare il rinterro, senza piantagione di materiale vivo a monte, con pertiche

di legname poco duraturo e con sviluppi lineari continui eccessivi. In mancanza di corrette e

complete tecniche esecutive, la graticciata ha una durata di pochissimi anni, inadeguata alla

prevalenza di casi di recupero ambientale.

8) Palificate in legname a doppia parete

Generalità:

Manufatto a gravità formato da una struttura cellulare in pali di legno abbinato alla posa di

piante. Il deterioramento del legname, in alcuni decenni, presuppone che i parametri di

stabilità del manufatto vengano riferiti ad un parametro esterno assimilabile ad una pendice

ben vegetata e ad un terreno con buone caratteristiche d’attrito. In presenza di adeguata

manutenzione (taglio periodico delle piante al fine di evitare l’appesantirsi delle ceppaie) si

possono raggiungere accettabili condizioni di stabilità per pendenze del parametro esterno

dell’ordine di 60°.

Interventi:

Tecnica per il consolidamento al piede di frana, per la ricostruzione del pendio e di porzioni

di versante, per la formazione di terrapieni consolidati e vegetati, per il consolidamento di

scarpate stradali a valle ed a monte del piano viabile.

Limiti di fattibilità:

La formazione di palificate vive presuppone la possibilità di realizzare manufatti di

considerevole spessore (almeno 1,5 m). In alcuni casi, in presenza di limiti di spazio, risulta

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difficoltoso realizzare l’opera senza incidere negativamente sulla parte del pendio già

consolidata.

Modalità d’esecuzione:

a) Montaggio della struttura in legname.

Il piano va realizzato con una contropendenza verso monte stabilita in sede di calcolo

di stabilità (5°-15°). Si procede alla posa della prima fila di legname in senso

parallelo alla pendice (corrente), curando il posizionamento in bolla, durante la posa

del tondame si realizzano i collegamenti tra un legno ed il successivo. Il montaggio

prosegue con la posa del successivo ordine di tondame da posizionarsi in senso

ortogonale alla prima fila ed alla pendice (traverso): questi legni avranno lunghezza

variabile desunta dai calcoli progettuali e variabile da 1,5-3 m. Si procede quindi al

fissaggio dei legni con la linea sottostante sempre tramite tondino in ferro. Nel

procedere alla realizzazione dei piani successivi si segue lo schema descritto, con

l’avvertenza di posizionare i legni correnti sempre in posizione arretrata rispetto al

sottostante. Realizzando strutture con riempimento di terreno eseguito

contemporaneamente alla costruzione del manufatto o che non prevedono l’utilizzo

di reti e stuoie sul fronte a vista è preferibile realizzare il posizionamento sfalsato dei

traversi, favorevole alla stabilità della struttura.

b) Riempimento della struttura e posa del materiale vegetale.

Dopo aver realizzato il montaggio di 2 o 4 ordini di tondame, occorre collocare il

terreno negli spazi vuoti tra i pali, opportunamente compattato. Si procede quindi alla

posa di talee in posizione coricata, delle piantine sempre in posizione coricata o delle

piantine sul fronte a vista in posizione eretta. Le talee o le piantine radicate vengono

posate in ragione di una ogni 10-15 cm di fronte per ogni ordine di tondame

longitudinale ovvero circa 20/30 talee/piantine per ogni m2. di paramento esterno

della palificata.

c) Formazione di drenaggio.

La palificata in legname si presenta come un manufatto a forte capacità drenante;

occorre tuttavia curare lo sgrondo delle acque che si dovessero accumulare a livello

del piano di posa. Questi elementi drenanti vanno collocati longitudinalmente nella

posizione a quota più bassa sul retro del piano di posa e quindi collegati per lo

scarico con elementi in posizione ortogonale alla pendice e con pendenza verso valle.

d) Posa di stuoie o georeti sul parametro esterno.

Uno degli aspetti di maggior vulnerabilità della palificata, almeno nei periodi

immediatamente successivi alla sua realizzazione, è la possibilità di asportazione

parziale del terreno di riempimento ad opera di acque di ruscellamento superficiale.

Al fine di evitare questa eventualità si può prevedere la posa di reti o stuoie che

proteggano il fronte a vista. Questa modalità di posa assicura al legname esterno sul

fronte a vista una più moderata alternanza dei cicli imbibizione-disseccamento a tutto

vantaggio della durabilità. L’utilizzo delle stuoie può originare difficoltà nella posa

del materiale vegetale.

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LA FORMAZIONE DEI VOLONTARI

Incontri di sensibilizzazione

Gli incontri saranno rivolti agli amministratori locali per migliorare la conoscenza

dell’importanza della prevenzione delle catastrofi e dei compiti che spettano loro. Ciò è

possibile attraverso qualche incontro, che possa trasmettere loro esempi sullo stato attuale

delle situazioni critiche tipiche del territorio montano e chiarire alcuni concetti di vitale

importanza. A livello economico si chiederà uno sforzo iniziale, atto a sostentare le piccole

squadre di volontari, con il compito di fare il punto sulla situazione presente e, quindi,

individuare tutti i potenziali siti a rischio idrogeologico, per poter predisporre un piano di

ripristino di condizioni di sicurezza. I fondi impiegati per questo scopo e per le eventuali

piccole manutenzioni, risulteranno irrisori rispetto a quelli necessari a risarcire i danni delle

catastrofi frutto dell'incuria. La prevenzione ed il mantenimento continuo del territorio

montano in buono stato, sono alla base di una politica lungimirante, destinata a raccogliere

i frutti del proprio impegno in tempi poco lontani.

Si propongono quindi uno, massimo due incontri di circa 2 ore ciascuno, in cui si

tratteranno:

- Brevemente gli aspetti geomorfologici e idrogeologici del territorio.

- L’ importante significato del rispetto dei gradi di fattibilità sul territorio comunale.

- La necessità di procedere ad un censimento delle opere di sistemazione idraulico

forestale e di difesa idraulica, che permetta di valutarne lo stato di efficienza ed

efficacia.

- I piani di protezione civile correlati ai vari scenari. Strumento fondamentale per la

previsione e la mitigazione dei danni possibili.

- Le prescrizioni che sarebbe opportuno inserire negli appalti e nelle autorizzazioni

costruttive, per evitare di introdurre rischi dove prima non ve n’erano.

- I vantaggi economici dati dall’investimento nella prevenzione e controllo.

- Alcuni esempi di catastrofi già successe, le quali si sarebbero potute evitare con

interventi preventivi di piccola entità.

Per conoscenza:

Oggi in Lombardia siamo alle porte di un’importante innovazione amministrativa la

legge regionale sul Governo del Territorio, dove vedremo accolte e riconosciute in un

organico strumento di pianificazione su tre livelli (regionale, provinciale e comunale) le

conoscenze e le esperienze geologiche di questi ultimi decenni, espresse come

indispensabile supporto alle scelte di sviluppo.

Tuttavia vi sono molte altre cause del dissesto geologico e non tutte potranno essere

affrontate e risolte con un nuovo strumento di governo del territorio. Nel pianificare e

nell’amministrare, ad esempio, non si possono trattare allo stesso modo la pianura e la

montagna. La montagna ha spazi assai più ristretti della pianura, dinamiche naturali assai

accentuate e fragilità elevata del suolo, che si traducono in costi di esercizio maggiori.

D’altra parte la montagna ha meno abitanti e dunque ha meno risorse e meno

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rappresentatività della pianura; ma senza aver cura della montagna che cosa sarebbe

della pianura? Occorre rendere attivi ed efficaci i concetti di complementarietà e di

sussidiarietà, capovolgendo una delle grandi criticità del sistema di pianificazione fin qui

usato: quello che vede la capacità di spesa di ogni Comune ormai in rapporto diretto con

la possibilità e la velocità di edificazione del territorio, dove il pareggio di bilancio è

direttamente legato ad un forte consumo di suolo.

Dunque il rischio c’è nella delega della pianificazione ai Comuni, anche perché essi sono

soggetti abituati ad una visuale troppo ristretta, gravati da troppi interessi e vincoli locali,

mancanti di strutture tecniche e di risorse economiche. E’ in ogni caso una sfida da

accettare per crescere. Per tentare un vero cambiamento di mentalità si deve partire da

lontano, dalla scuola, dai giovani; ma anche si sente il bisogno di un riordino della

funzione pubblica.

Infatti un altro elemento di criticità nel governo del territorio ed in particolare nella

bonifica e nella manutenzione geologica, è il frazionamento delle competenze e delle

risorse economiche negli interventi. Con l’idea di accontentare un po’ tutti, da decenni si

finiscono per sciupare ingenti risorse economiche, poiché nella maggior parte dei casi i

lavori di bonifica geologica o idraulica se non vengono conclusi nella loro interezza non

servono a niente; talvolta addirittura fanno più danno che bene e finiscono per

deteriorarsi e dover essere rifatti. Uno degli imperativi nella gestione del territorio deve

essere proprio quello che gli interventi siano progettati, finanziati ed eseguiti

rapidamente nella loro interezza. Già, perché un altro grosso problema, che ben emerge

molte volte anche oggi, è la lentezza, l’eccessiva lunghezza dei tempi di decisione, di

finanziamento, di effettiva disponibilità delle risorse e d’intervento.

I corsi di formazione

I corsi hanno lo scopo di approfondire la tematica del rischio idrogeologico e fornire le

conoscenze necessarie ai volontari non professionisti per poter intervenire di prima mano e

creare una documentazione utile ai tecnici sulle condizioni di salute del reticolo idrico

minore. I professionisti tramite questi dati saranno in grado di associare alle condizioni

riscontrate uno scenario di rischio che permarrà fino agli eventuali interventi più corposi.

Attraverso contributi tecnici interdisciplinari di Docenti universitari, di Funzionari e

dirigenti della Provincia e di Professionisti esperti nel settore, verranno trattati gli aspetti

generali relativi alla prevenzione dei rischi idrogeologici, alla pianificazione territoriale ed

urbanistica ed argomenti specifici quali: soglie di rischio, criteri idraulici e geomorfologici

per la stima della pericolosità, progettazione degli interventi di mitigazione e scenari di

rischio.

Un esempio di programma del corso:

1° giorno:

8.30-9.00 Registrazione partecipanti

9.00-9.15 Presentazione del corso

9.15-10.30 Il territorio montano e il bacino idrografico: generalità e concetti tecnici di base

10.45-13.00 Botanica e geologia

14.30-17.00 Topografia ed orientamento

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89

2° giorno:

8.30-10.30 La protezione civile; concetto di rischio, prevenzione e previsione

10.45-13.00 Il reticolo idrico minore

14.30-16.30 L’onda di piena

3° giorno:

8.30-12.30 Le briglie

14.00-15.00 I pennelli e le soglie di fondo

15.00-16.30 Scogliere e arginature

4° giorno:

8.30-10.30 Le frane

10.45-12.30 Muri di sostegno e contenimento

14.00-16.30 Gradonamenti, ancoraggi e barriere paramassi

5° giorno:

8.30-12.30 Ingegneria Naturalistica: sistemazioni idrauliche

14.00-17.00 Ingegneria Naturalistica: sistemazioni di versante

6° giorno:

8.30-12.30 Presentazione delle schede per la determinazione dello scenario di rischio

14.00-17.00 Lezione in campo

7° giorno:

8.30-12.30 Lezione in campo

12.30-13.00 Compilazione test di gradimento e chiusura

Terminato il corso, vi sarà dopo circa un mese, un incontro dove la commissione dei

docenti, attraverso un colloquio individuale, accerterà le conoscenze apprese e consegnerà a

tutti gli effetti il titolo di Operatore per la Sicurezza dell’Ambiente Montano (OSAM). Tale

titolo sarà inquadrato all’interno della protezione civile e permetterà di far parte delle

squadre incaricate al periodico aggiornamento delle condizioni del reticolo idrico minore e

allo svolgimento di altre mansioni legate alla prevenzione ed alla gestione delle emergenze.

Scopi degli OSAM

1) Individuare i punti critici dell’impluvio e mantenere aggiornate le loro posizioni e la

descrizione del loro stato. A causa del loro continuo cambiamento negli anni, si

propone quindi di effettuare un sopralluogo lungo l’impluvio con periodicità almeno

biennale.

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90

Con punti più critici s’intendono le sezioni dove i parametri di deflusso possono essere

diversi da quelli stimati precedentemente in condizioni migliori. Questi punti a causa

della posizione, interesseranno in modo diretto i beni e la comunità (esposizione alta).

Le caratteristiche che permettono di riconoscerli sono:

- Rifiuti e detriti che ostruiscono l’alveo

- Tombinature nei pressi del centro abitato

- Opere fondate in alveo con strutture scalzate al piede dalla corrente

- Restringimento delle sezioni d’alveo per la presenza di costruzioni in alveo

- Instabilità delle sponde

- Zone d’alveo con erosione spinta

- Ponti con sezioni non adeguate al massimo deflusso

2) Saper compilare in modo adeguato la scheda notizie (vedi Pag.93) e la tabella

associata alle foto dei punti critici (Tab.8).

3) Provvedere alla determinazione di b (sezione libera o non ostruita), di P (perimetro

bagnato, ossia il perimetro della sezione libera) e di I (pendenza dell’asta nel punto)

con l’ausilio di un metro tradizionale o telemetro per la misurazione della sezione e

del perimetro bagnato e di un inclinometro classico o digitale per la pendenza.

Se l’inclinometro a disposizione dovesse avere solo il calcolo dell’inclinazione, ossia

dell’angolo, espresso in gradi [°], formato dall’asta rispetto l’orizzontale; la trasformazione

sarebbe semplice ed immediata:

I =angolo × 100

45= [%]

4) Intervenire direttamente sui punti o le parti che possono essere sistemati con tecniche

di semplice fattura e realizzabili con mezzi manuali.

5) Collaborare con la protezione civile nella gestione delle emergenze.

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91

Volontari qualificati

I frequentatori dei corsi potranno essere persone che hanno a che fare tutti i giorni con le

problematiche del proprio territorio:

Amministratori comunali

Tecnici comunali

Dipendenti delle comunità montane

Persone con cultura montana ed attaccamento al proprio territorio (guide alpine,

volontari soccorso alpino, iscritti al CAI, alpinisti, amatori della montagna).

Le guide alpine

La Guida Alpina è la figura professionale riconosciuta a livello nazionale ed internazionale

come unica competente e in grado di garantire una corretta frequentazione dell’ambiente

montano.

Ruolo della Guida Alpina è accompagnare e far conoscere la montagna nei suoi molteplici

aspetti. La relazione profonda e consapevole con l’ambiente è il valore primario trasmesso

dalle Guide Alpine a chi desidera avvicinarsi alla montagna nel modo più corretto e sereno.

La Guida Alpina opera in tutte le attività legate all’alpinismo, quindi è presente in ogni

stagione sul territorio montano. L’esperienza e la familiarità con l’ambiente alpino che

questo comporta rappresentano il grande valore che la Guida Alpina è in grado di

trasmettere, al di là degli aspetti tecnici, parimenti importanti. La presenza delle Guide in

montagna rappresenta, inoltre, un costante controllo che può limitare i danni ambientali e

favorire il maggior grado di sicurezza possibile nella relazione con l’ambiente.

La Guida Alpina trasmette conoscenze tecniche, parametri di comportamento ed

orientamento e sensibilizza alla lettura profonda dell’ambiente, requisito primario di

fruizione della montagna anche in termini di sicurezza.

Nel bagaglio formativo della Guida Alpina vi sono conoscenze scientifiche e didattiche di:

- comunicazione didattica

- metodologia, strategie didattiche

- normativa professionale e ambientale

- meteorologia, nivologia

- geologia, glaciologia

- topografia

- medicina, fisiologia

- Basic Life Support (BLS)

- botanica

- zoologia

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92

- materiali

- catena dell’assicurazione

- cultura alpina, storia dell’alpinismo

e conoscenze tecniche:

- nodi

- assetti e manovre di base

- autosoccorso di base in parete, roccia e ghiaccio

- autosoccorso di base su ghiacciaio

- autosoccorso di base in valanga

- progressione su ghiaccio, neve e roccia

I settori operativi classici sono:

- arrampicata su roccia naturale - accompagnamento ed insegnamento

- alta montagna e ghiaccio - accompagnamento ed insegnamento

- scialpinismo - accompagnamento ed insegnamento

- escursionismo - accompagnamento ed insegnamento

- soccorso in montagna

- sovraintendenza a lavori in quota con funi

I settori operativi emergenti sono:

- torrentismo o canyoning

- direzione pista e sicurezza nei comprensori sciistici

- attrezzatura di falesie per l'arrampicata

- educazione ambientale

- accompagnamento nelle aree protette

- consulenze per aziende nel settore sport e sicurezza

- educazione, sviluppo e consolidamento delle abilità motorie nell'età evolutiva

- formazione tecnica degli addetti ai lavori temporanei in quota su funi

- nordic walking

Sulla base di queste conoscenze la guida alpina è la figura professionale più appropriata per

controllare o accompagnare in massima sicurezza chi dovrà effettuare sopralluoghi nelle

zone più remote ed impervie del territorio montano. In questo modo si potenzierà la

conoscenza del territorio e di conseguenza l’efficienza degli interventi preventivi.

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93

SCHEDE PER LA DETERMINAZIONE DELLO SCENARIO DI RISCHIO

Verranno proposti due tipi di schede: la prima rivolta ai volontari formatisi con i corsi

proposti (OSAM) e la seconda rivolta ai tecnici che potranno così definire lo scenario di

rischio dell’impluvio.

Scheda di tipo 1: rivolta agli OSAM

Descrizione generale:

Si forniranno le caratteristiche principali dell’impluvio a partire da monte procedendo verso

valle, completando le schede con le notizie riportate di seguito.

Informazioni generali

Data sopralluogo:

Bacino principale:

Sottobacino:

Impluvio:

Informazioni geografiche

Provincia:

Comune:

Località:

Descrizione sintetica asta

% qualitativa media d'ostruzione

delle sezioni dell'impluvio:

25 75

50 100

Opere d'attraversamento

Tipo Quantità Quota

(m s.l.m.)

Stato di pulizia:

Alto Medio Basso Molto

basso

Acquedotti, fognature o altro in

subalveo

Servizi intubati pensili

Ponti, passerelle e guadi

Tombinature per scopo di viabilità

o altro

Altro…

Note personali:

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94

Opere di mitigazione delle piene e del trasporto solido

Tipo Quantità Quota

(m s.l.m.)

Stato efficienza:

Alto Medio Basso Molto

basso

Canalizzazioni aperte

Canalizzazioni coperte

Vasche di deposito o

sedimentazione

Arginature

Soglie di fondo

Briglie di consolidamento

Briglie selettive

Pennelli

Griglie

Interventi di ingegneria

naturalistica

Altro…

Note personali:

Descrizione sintetica delle sponde

Substrato roccioso Metamorfico

Sedimentario Vulcanico

Tipo di copertura

Conifere ad

alto fusto Latifoglie ad alto

fusto

Conifere a

basso fusto Latifoglie a basso

fusto

Pascolo

Detriti rocciosi Rivestimento

artificiale Altro…

Condizione stabilità delle sponde: Molto critica Critica Poco critica Non critica

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95

Opere di mitigazione rischio frane

Tipo Quantità Quota

(m s.l.m.)

Stato efficienza:

Alto Medio Basso Molto basso

Muri di sostegno o

contenimento

Gabbioni

Gradonamenti

Ancoraggi

Barriere paramassi

Interventi di ingegneria

naturalistica

Altro…

Note personali:

Interventi suggeriti

Valutazione qualitativa del rischio

Elevato Marcato Moderato Ordinario

Nome osservatore volontario

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Documentazione fotografica:

Le foto dovranno documentare nel modo più esaustivo possibile lo stato generale

dell’impluvio.

Si distingueranno le foto in:

- raffiguranti le parti d’impluvio ritenute rappresentative per una migliore

comprensione delle caratteristiche generali del caso studiato. Ad esse basterà

associare la quota del punto, le coordinate geografiche, l’azimut di ripresa ed una

breve descrizione;

- raffiguranti i punti ritenuti critici: prossimi al centro abitato e/o in cattive condizioni.

Ad essi sarà necessario associare oltre che la quota, le coordinate geografiche,

l’azimut di ripresa ed una breve descrizione anche: la sezione libera b, la pendenza

dell’impluvio I nel punto, il tipo di materiale di cui questo è costituito ed il perimetro

bagnato P (vedi Fig.31).

Fig.31

Quota punto (m s.l.m.):

Coordinate UTM:

Azimut di ripresa:

b (m2):

I:

P (m):

Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata

Conglomerato cementizio

Mattone

Prefabbricato

Pietrame e calce

Pietre a secco

Terra con manutenzione

Roccia o terra senza

manutenzione

Note:

Tab.8: Informazioni da associare alla documentazione fotografica dei punti critici.

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97

Calcolo sezione libera (b)

L’ostruzione da vegetazione e/o detriti causa il restringimento della sezione trasversale

caratteristica dell’alveo. Inoltre essa può generare un’accelerazione locale della corrente che

può dar luogo a fenomeni di scavo del letto dell’alveo (per la valutazione di tale erosione si

rimanda alla formula di Straub).

Ciò che verrà preso in considerazione sarà le dimensioni della sezione libera, che

chiameremo b.

La valutazione di b verrà effettuata nei punti ritenuti critici. Gli OSAM provvederanno,

mediante strumenti di misura tradizionali (metri, bindelle o telemetri), a misurare le

dimensioni di detta sezione.

Sezione rettangolare, triangolare o trapezoidale

Fig.32

Se la sezione libera riscontrata è approssimabile ad un rettangolo, ad un triangolo o ad un

trapezio il calcolo dell’area sarà equivalente a quello di queste figure geometriche, aventi le

stesse dimensioni.

Sezione circolare

Fig.33

Per quanto riguarda invece i casi di sezione circolare o assimilabili, si è stabilito a priori che

l’area massima utile per la corrente è quella corrispondente ad un riempimento fino ad

un’altezza pari a 2/3 del diametro (D) (Fig.33). Questo per evitare un repentino

cambiamento dei parametri idraulici (evidente dall’analisi della funzione detta “scala delle

portate” per sezioni circolari).

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98

Formule per il calcolo dell’area corrispondente a 2/3 del diametro (𝐴2 3 )

Fig.34

ht = r− (23 × D)

AB = 2 × r2 − ht2

AOB = 2 × sin−1( AB D )

A1 = πr2 × (AOB 360 )

At =AB × ht

2

A = A1 − At

A2 3 = πr2 − A P2 3 =(D × π) × AOB

360

D = diametro [m] r = raggio [m]

D [m] 𝐀𝟐 𝟑 [m2]

𝐏𝟐 𝟑 [m]

0,50 0,14 0,96

0,70 0,27 1,34

1,00 0,56 1,92

1,50 1,26 2,88

2,00 2,23 3,88

3,00 5,02 5,76

Tab.9: Valori di A2 3 e P2 3 per riempimenti corrispondenti a 2/3 D.

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99

Scheda di tipo 2: relazione tecnica

Informazioni generali

Data sopralluogo:

Bacino principale:

Sottobacino:

Impluvio:

Informazioni geografiche

Provincia:

Comune:

Località:

Ortofoto:

Dovranno essere inserite una o più foto aeree. Su di esse si evidenzierà l’andamento

dell’impluvio dal suo punto di origine fino al punto di confluenza con il reticolo idrico

principale.

Per la regione Lombardia potrà essere consultato il sito:

http://www.cartografia.regione.lombardia.it/geoportale

Cartografia e caratteristiche principali:

Attraverso carte topografiche (catastali e/o CTR a scala: 1:10.000, 1:5.000 o 1:2.000) e

utilizzando software adeguati si può facilmente misurare l’area del bacino e la lunghezza

dell’asta principale dell’impluvio considerato.

Pendenza media asta principale:

A tale scopo è utile rappresentare in un grafico il profilo altimetrico dell’asta principale.

Imed =Hmax

Liki=1

= pendenza media asta principale

Hmax = hmax − hmin

hmax = quota sezione d′interesse più a monte

hmin = quota sezione d′interesse più a valle

Li = lunghezza tratto di asta tra 2 curve di livello consecutive

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100

Soglie di precipitazione limite:

E’ possibile calcolare direttamente il valore della piovosità limite per un’area utilizzando la

formula proposta nel Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI).

i t = a × tn

All’interno delle direttive allegate al PAI è possibile desumere, per l’area d’interesse, i

valori dei parametri per tempi di ritorno di 20, 100, 200 e 500 anni. Sulla base di ciò sono

stati calcolati i valori riportati in tabella 10.

a n i (1 ora)

t = 20 anni 15,90 0,53 15,90

t = 100 anni 19,54 0,53 19,54

t = 200 anni 21,07 0,53 21,07

t = 500 anni 23,13 0,54 23,13

Tab.10: Soglie di precipitazione limite (mm) calcolate sulla base di alcuni tempi di ritorno e

sui parametri a ed n, in questo caso, propri della Valtellina.

Portata di picco:

Il calcolo della portata di picco potrà servire, oltre che per la verifica della funzionalità dei

manufatti, anche per la definizione a monte delle fasce di rispetto. La portata di picco verrà

calcolata per 3 diversi tempi di ritorno: 20, 100 e 200 anni. Questo sarà possibile utilizzando

l’intensità di pioggia (it) ed il coefficiente di deflusso (ct) con uguale tempo di ritorno, come

riportato in tabella 10 e 11 a titolo d’esempio.

Metodo Razionale

Il metodo assume come condizioni che la precipitazione sia distribuita uniformemente su

tutto il bacino, che la portata stimata abbia lo stesso tempo di ritorno dell’intensità della

pioggia che la genera e che l’intensità della pioggia abbia una durata pari a quella del tempo

di corrivazione, ossia il tempo impiegato da una goccia d’acqua per raggiungere il punto

critico partendo dal punto più distante del bacino da esso sotteso.

Qmax ,t = 0,28 × ct × it × AB

Qmax ,t = portata di picco (m3/s)

ct = coefficiente di deflusso

it = intensità di pioggia (mm/h)

AB = superficie del bacino (km2)

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101

Tipo di Superficie Tempo di Ritorno (anni)

10 20 50 100 200

Asfalto 0,81 0,85 0,90 0,95 0,97

Calcestruzzo 0,83 0,87 0,92 0,97 0,98

Coltivazione 0,36 0,39 0,43 0,47 0,52

Pascolo 0,42 0,45 0,49 0,53 0,56

Bosco 0,41 0,44 0,48 0,52 0,55

Tab.11: Valori del coefficiente di deflusso (c) per i diversi tipi di superficie e per i vari

tempi di ritorno.

I valori di portata ottenuti con il metodo razionale possono essere cautelativamente utilizzati

per le verifiche idrauliche dei torrenti aventi un bacino di dimensione modeste.

Calcolo trasporto solido:

Metodo di Meyer-Peter e Muller

Con questo metodo è possibile calcolare il trasporto solido dovuto alla corrente presente

nell’impluvio considerato.

Il valore del d50 (diametro per cui la metà in peso dei sedimenti, è di diametro maggiore di

questo) pari a 35 mm può essere cautelativamente utilizzato per i bacini montani. Questo

valore tiene conto in media del flusso non sempre continuo dei sedimenti prodotti

dall’erosione delle scarpate montane. Altresì per una stima più precisa bisognerebbe servirsi

della curva di distribuzione granulometrica.

Per il peso specifico dei sedimenti (γs) verrà utilizzato un valore pari a 2700 kg/m3. Questo

considera le litologie montane prevalenti, ma anche la presenza di rocce più dense come:

gabbri, anfiboliti, peridotiti e certe serpentiniti.

Con questi dati è possibile calcolare il valore di φt:

φt =Rt × Imed × γ

(γs− γ) × d50

× k

k′

3 2

- il rapporto tra k e k′ si approssima a 1

- il valore di Imed è pari alla pendenza media dell’asta principale

- γs e γ sono rispettivamente i pesi specifici dei sedimenti e dell’acqua (1000 kg/m3)

- Rt corrisponde al raggio idraulico dell’asta. Calcolato attraverso la formula della scala

delle portate, per i 3 tempi di ritorno considerati (t = 20, 100 e 200 anni):

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102

Rt =

Qmax ,tb × Ks

2

Imed

3

4

b e Ks sono rispettivamente la media aritmetica delle misure delle sezioni libere e dei

coefficienti di Strickler dei punti critici considerati.

Noto il valore di φt , si otterranno i valori di θt:

θt = 8 × φt − 0,047 3 2

e della portata solida Qs,t :

Qs,t = θt × g × γ

s− γ

γ× d50

3 2 × Lmed

dove Lmed è la larghezza media dell’alveo, dato ottenuto calcolando la media aritmetica dei

perimetri bagnati (P) relativi ai punti critici e g l’accelerazione gravitazionale (9,89 m/s2).

Definizione scenario:

Per definire lo scenario di rischio dell’impluvio vengono considerati per ogni punto critico:

la sua sezione libera (b), il suo raggio idraulico (R), il suo coefficiente di Strickler (Ks) e la

sua pendenza (I). Inoltre si terrà conto della portata di picco (Qmax ,t) ed del trasporto solido

(Qs,t), entrambi in funzione di 3 diversi tempi di ritorno (t): 20, 100, 200 anni.

Una volta in possesso di tutti i dati necessari, si possono trovare la portata di riferimento con

tempo di ritorno stabilito (Qt) e la portata realmente smaltibile nel punto critico (q),

attraverso le seguenti formule:

Qt = Qmax ,t + Qs,t

Scala delle portate: q = C × b × R × I

con:

C = Ks × R16

Ks = coefficiente di Strickler (dipendente dalla scabrezza dell′alveo)

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103

Tipo di superficie Coefficiente 𝐊𝐬 [𝐦𝟏𝟑

𝐬]

Conglomerato cementizio 70

Mattone 65

Prefabbricato 83

Pietrame e calce 35

Pietre a secco 23

Terra con manutenzione 45

Roccia o terra senza manutenzione 35

Tab.12: Valore del coefficiente Ks di scabrezza di Strickler per differenti superfici.

Confrontando Qt e q, si possono definire 4 tipi di scenario:

Scenario di ordinaria criticità: 𝑄200 < 𝑞

Incrementi ordinari del livello idrometrico e/o fenomeni non critici di erosione

localizzata e/o smottamenti di debole entità nel reticolo idrico minore.

Incrementi ordinari del livello idrometrico nei tratti vallivi dei principali corsi

d’acqua, sempre al di sotto dei livelli di attenzione.

Fenomeni di allagamento assenti.

Interventi di sistemazione e strutturali non necessari.

Scenario di moderata criticità: 𝑄100 < 𝑞 ≤ 𝑄200

Incrementi modesti del livello idrometrico e/o fenomeni poco critici di erosione

localizzata e/o smottamenti di media entità nel reticolo idrico minore.

Incrementi modesti del livello idrometrico nei tratti vallivi dei principali corsi

d’acqua, con raggiungimento dei livelli di attenzione.

Fenomeni di allagamento localizzato, per incapacità di smaltimento del reticolo

idrico minore.

Sono utili interventi di sistemazione nel breve periodo.

Scenario di marcata criticità: 𝑄20 < 𝑞 ≤ 𝑄100

Incrementi forti del livello idrometrico e/o fenomeni critici di erosione localizzata e

spondale e/o smottamenti di forte entità nel reticolo idrico minore.

Incrementi forti del livello idrometrico nei tratti vallivi dei principali corsi d’acqua,

con superamento delle condizioni di piena ordinaria.

Fenomeni di allagamento diffusi, connessi al passaggio della piena.

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104

Sono necessari interventi di sistemazione, ma non necessariamente strutturali, in

tempi brevi.

Scenario di elevata criticità: 𝑄20 ≥ 𝑞

Incrementi molto forti del livello idrometrico e/o fenomeni molto critici di erosione

spondale e/o fenomeni franosi nel reticolo idrico minore.

Incrementi molto forti del livello idrometrico nei tratti vallivi dei principali corsi

d’acqua, con raggiungimento dei livelli di allarme.

Fenomeni di alluvionamento, danni alle opere idrauliche e di attraversamento.

Sono necessari interventi di sistemazione e strutturali importanti nel più breve tempo

possibile.

Per ogni punto critico, in funzione alla sua criticità, si assegnerà un punteggio (vedi Tab.13).

CRITICITA’ PUNTUALE PUNTEGGIO

Ordinaria 0

Moderata 4

Marcata 7

Elevata 10

Tab.13

Al fine di stabilire uno scenario generale rappresentante le condizioni dell’intero impluvio,

sarà calcolato un valore medio (M) dei punteggi pesato rispetto alla distanza che intercorre

tra i vari punti critici.

Le distanze saranno determinate direttamente con l’ausilio della cartografia a disposizione.

Per il punto più a monte la distanza da considerare sarà quella misurata a partire dal punto di

origine dell’asta principale.

M = dn × pn

n1

D

n = numero punto critico, da monte (1) a valle (n)

pn = punteggio assegnato ad ogni punto critico

dn = distanza tra ogni punto critico [m]

D = distanza totale [m] = dnn1

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105

In ultimo si seguiranno le istruzioni fornite dalla tabella 14:

CRITICITA’ GENERALE IMPLUVIO

Μ < 4 ORDINARIA

4 ≤ M < 6 MODERATA

6 ≤ M < 8 MARCATA

M ≥ 8 ELEVATA

Tab.14

Il file Excel allegato potrà velocizzare le operazioni di calcolo degli indici necessari per

l’attribuzione dello scenario di rischio puntuale e generale.

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106

CASO DI STUDIO A: VALLE DEL PRETE

SCHEDA DI TIPO 1

Informazioni generali

Data sopralluogo: 01/10/2010

Bacino principale: Fiume Adda

Sottobacino: /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////

Impluvio: Valle del Prete

Informazioni geografiche

Provincia: Sondrio

Comune: Valdisotto

Località: Cepina, Zola

Descrizione sintetica asta

% qualitativa media d'ostruzione

delle sezioni dell'impluvio:

25 75

50 x 100

Opere d'attraversamento

Tipo Quantità Quota

(m s.l.m.)

Stato di pulizia:

Alto Medio Basso Molto

basso

Acquedotti, fognature o altro in

subalveo 0

Servizi intubati pensili 0

Ponti, passerelle e guadi 0

Tombinature per scopo di viabilità

o altro 4

1170 x

1155

x

1150

x

1146

x

Altro… 0

Note personali:

L’impluvio nella parte alta (dai 1770 m ai 1390 m) necessita

di pulizia come anche l’ultima tombinatura, che si presenta

in parte ostruita

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107

Opere di mitigazione delle piene e del trasporto solido

Tipo Quantità Quota

(m s.l.m.)

Stato efficienza:

Alto Medio Basso Molto

basso

Canalizzazioni aperte 1 Da 1170

a 1146 x

Canalizzazioni coperte 0

Vasche di deposito o

sedimentazione 1 1170

x

Arginature 0

Soglie di fondo 0

Briglie di consolidamento 0

Briglie selettive 1 1170 x

Pennelli 0

Griglie 1 1155

x

Interventi di ingegneria

naturalistica 0

Altro… 1 1180

x

Note personali:

Dai 1390 m ai 1170 m l’acqua viene captata da 2 opere di

presa che diminuiscono la portata totale o lasciano dei tratti

d’impluvio senza flusso. Questi tratti soprattutto, ma anche

quelli con la presenza di acqua, necessitano di un intervento

di pulizia.

Descrizione sintetica delle sponde

Substrato roccioso Metamorfico x

Sedimentario Vulcanico

Tipo di copertura

Conifere ad

alto fusto x

Latifoglie ad alto

fusto

Conifere a

basso fusto Latifoglie a basso

fusto x

Pascolo

Detriti rocciosi Rivestimento

artificiale Altro…

Condizione stabilità delle sponde: Molto critica Critica Poco critica Non critica

x

Page 109: PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA … · Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23 Dimensionamento idraulico 26 ... 27 -Briglie di trattenuta o briglie selettive

108

Opere di mitigazione rischio frane

Tipo Quantità Quota

(m s.l.m.)

Stato efficienza:

Alto Medio Basso Molto basso

Muri di sostegno o

contenimento 0

Gabbioni 0

Gradonamenti 0

Ancoraggi 0

Barriere paramassi 0

Interventi di ingegneria

naturalistica 0

Altro… 0

Note personali: //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////

Interventi suggeriti

Realizzazione di viminate o graticciate per la stabilizzazione superficiale dei tratti più ripidi delle

sponde

Valutazione qualitativa del rischio

Elevato Marcato Moderato x Ordinario

Nome osservatore volontario

Marco Majori

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109

Documentazione fotografica:

Quota punto (m s.l.m.): 1250

Coordinate UTM: 32T 0603923 5143816

Azimut di ripresa (°): 223

Note: Stato pulizia impluvio. S’intravede

in alto a sinistra l’opera di presa

Quota punto (m s.l.m.): 1180

Coordinate UTM: 32T 0603998 5143791

Azimut di ripresa (°): 123

Note: Dettaglio muro contenimento detriti

trasportati dall’acqua

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110

Quota punto (m s.l.m.): 1170

Coordinate UTM: 32T 0604025 5143788

Azimut di ripresa (°): 47

Note:

Vasca di deposito associata ad una

briglia selettiva a monte

dell’intersezione con la prima

strada comunale

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111

Quota punto (m s.l.m.): 1170

Coordinate UTM: 32T 0604036 5143793

Azimut di ripresa (°): 150

b (m2): 0,9

I: 0,44

P (m): 2,7

Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata

Conglomerato cementizio x

Mattone

Prefabbricato

Pietrame e calce

Pietre a secco

Terra con manutenzione

Roccia o terra senza

manutenzione

Note: Intersezione con la prima strada

comunale

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112

Quota punto (m s.l.m.): 1155

Coordinate UTM: 32T 0604098 5143816

Azimut di ripresa (°): 114

b (m2): 1

I: 0,49

P (m): 3

Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata

Conglomerato cementizio x

Mattone

Prefabbricato

Pietrame e calce

Pietre a secco

Terra con manutenzione

Roccia o terra senza

manutenzione

Note: A monte della tombinatura è stata

posizionata una griglia

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113

Quota punto (m s.l.m.): 1150

Coordinate UTM: 32T 0604136 5143819

Azimut di ripresa (°): 208

b (m2): 1

I: 0,49

P (m): 3

Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata

Conglomerato cementizio x

Mattone

Prefabbricato

Pietrame e calce

Pietre a secco

Terra con manutenzione

Roccia o terra senza

manutenzione

Note: Punto di chiusura e intersezione

con la seconda strada comunale

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114

Quota punto (m s.l.m.): 1146

Coordinate UTM: 32T 0604217 5143801

Azimut di ripresa (°): 225

b (m2): 0,8

I: 0,22

P (m): 2,4

Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata

Conglomerato cementizio x

Mattone

Prefabbricato

Pietrame e calce

Pietre a secco

Terra con manutenzione

Roccia o terra senza

manutenzione

Note: Confluenza con il fiume Adda

Page 116: PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA … · Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23 Dimensionamento idraulico 26 ... 27 -Briglie di trattenuta o briglie selettive

115

SCHEDA DI TIPO 2: RELAZIONE TECNICA

Informazioni generali

Data sopralluogo: 15/10/2010

Bacino principale: Fiume Adda

Sottobacino: /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////

Impluvio: Valle del Prete

Informazioni geografiche

Provincia: Sondrio

Comune: Valdisotto

Località: Cepina, Zola

Ortofoto:

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116

Cartografia e caratteristiche principali:

La porzioni di carta indica l’asta principale considerata. La base cartografica è una CTR a

scala 1:2.000

Lunghezza dell’asta: 608 m

Quota inizio asta: 1390 m s.l.m.

Quota confluenza: 1140 m s.l.m.

Superficie del bacino : 1,23 km2

Quota massima bacino: 2690 m s.l.m.

Quota sezione di chiusura del bacino: 1150 m s.l.m.

Quota media bacino: 1780 m s.l.m.

Pendenza media asta principale: 49%

Portata di picco con metodo razionale:

𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟐𝟎 3,61 m3/s

𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟏𝟎𝟎 5,05 m3/s

𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟐𝟎𝟎 5,58 m3/s

Il coefficiente di deflusso c, utilizzato per la risoluzione della formula del metodo razionale

nei vari tempi di ritorno, è stato calcolato facendo una media aritmetica tra il c proprio del

bosco e quello proprio del calcestruzzo (vedi tabella 11). Questo perché, in prima

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117

approssimazione, l’impluvio considerato presenta entrambi i tipi di terreno in misura

similare.

Calcolo trasporto solido:

PORTATE SOLIDE 𝐐𝐬,𝐭

𝛄𝐬 [kg/m

3]

𝛄 [kg/m3]

𝐝𝟓𝟎

[m] 𝐈𝐦𝐞𝐝 𝐋𝐦𝐞𝐝 [m] 𝐑𝟐𝟎[m] 𝛗𝟐𝟎 𝛉𝟐𝟎

𝐐𝐬,𝟐𝟎

[m3/s]

2700 1000 0,035 0,49 2,78 0,02 0,19 0,41 0,02

𝐑𝟏𝟎𝟎 [m] 𝛗𝟏𝟎𝟎 𝛉𝟏𝟎𝟎 𝐐𝐬,𝟏𝟎𝟎

[m3/s]

2700 1000 0,035 0,49 2,78 0,04 0,31 1,06 0,05

𝐑𝟐𝟎𝟎 [m] 𝛗𝟐𝟎𝟎 𝛉𝟐𝟎𝟎 𝐐𝐬,𝟐𝟎𝟎

[m3/s]

2700 1000 0,035 0,49 2,78 0,04 0,36 1,37 0,06

Definizione scenario:

PORTATE SMALTIBILI q

Punto

Critico

Punto

Critico

[m s.l.m.]

b [m2] P [m] R [m]

𝐊𝐬

[𝐦𝟏𝟑 𝐬 ]

I q [m3/s]

1 1170 0,90 2,70 0,33 70 0,44 20,02

2 1155 1,00 3,00 0,33 70 0,49 23,47

3 1150 1,00 3,00 0,33 70 0,49 23,47

4 1146 0,80 2,40 0,33 70 0,22 12,58

PORTATE DI

RIFERIMENTO 𝐐𝐭

𝐐𝐬,𝟐𝟎

[m3/s]

𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟐𝟎

[m3/s]

𝐐𝟐𝟎

[m3/s]

0,02 3,61 3,63

𝐐𝐬,𝟏𝟎𝟎

[m3/s]

𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟏𝟎𝟎

[m3/s]

𝐐𝟏𝟎𝟎

[m3/s]

0,05 5,05 5,10

𝐐𝐬,𝟐𝟎𝟎

[m3/s]

𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟐𝟎𝟎

[m3/s]

𝐐𝟐𝟎𝟎

[m3/s]

0,06 5,58 5,64

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118

DEFINIZIONE SCENARIO

Punto

Critico

Distanza

tra i Punti

[m]

Scenario Puntuale Punteggio

1 200 ORDINARIA CRITICITA' 0

2 30 ORDINARIA CRITICITA' 0

3 10 ORDINARIA CRITICITA' 0

4 22 ORDINARIA CRITICITA' 0

Media Pesata Punteggio 0

Scenario Generale ORDINARIA CRITICITA'

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119

CASO DI STUDIO B: RIO SOLAZ/VAL FURNER

SCHEDA DI TIPO 1

Informazioni generali

Data sopralluogo: 02/09/2010

Bacino principale: Fiume Adda

Sottobacino: Torrente Frodolfo

Impluvio: Rio Solaz/Val Furner

Informazioni geografiche

Provincia: Sondrio

Comune: Valfurva

Località: S. Nicolò

Descrizione sintetica asta

% qualitativa media d'ostruzione

delle sezioni dell'impluvio:

25 75

50 x 100

Opere d'attraversamento

Tipo Quantità Quota

(m s.l.m.)

Stato di pulizia:

Alto Medio Basso Molto

basso

Acquedotti, fognature o altro in

subalveo 0

Servizi intubati pensili 0

Ponti, passerelle e guadi 0

Tombinature per scopo di viabilità

o altro 5

1525

x

1480

x

1470

x

1450

x

1340

x

Altro… 0

Note personali: La tombinatura nei pressi del paese ha sezione di 1 m2

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120

Opere di mitigazione delle piene e del trasporto solido

Tipo Quantità Quota

(m s.l.m.)

Stato efficienza:

Alto Medio Basso Molto

basso

Canalizzazioni aperte 1 Da 1450

a 1340 x

Canalizzazioni coperte 1 Da 1480

a 1450 Non verificato

Vasche di deposito o

sedimentazione 2

1445 x

1361 x

Arginature 0

Soglie di fondo 0

Briglie di consolidamento 0

Briglie selettive 0

Pennelli 0

Griglie 0

Interventi di ingegneria

naturalistica 0

Altro… 0

Note personali: /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////

Descrizione sintetica delle sponde

Substrato roccioso Metamorfico

Sedimentario x Vulcanico

Tipo di copertura

Conifere ad

alto fusto x

Latifoglie ad alto

fusto

Conifere a

basso fusto Latifoglie a basso

fusto x

Pascolo

Detriti rocciosi Rivestimento

artificiale Altro…

Condizione stabilità delle sponde: Molto critica Critica Poco critica Non critica

x

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121

Opere di mitigazione rischio frane

Tipo Quantità Quota

(m s.l.m.)

Stato efficienza:

Alto Medio Basso Molto basso

Muri di sostegno o

contenimento 0

Gabbioni 0

Gradonamenti 0

Ancoraggi 0

Barriere paramassi 0

Interventi di ingegneria

naturalistica 0

Altro… 0

Note personali: //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////

Interventi suggeriti

Pulizia parte alta impluvio

Valutazione qualitativa del rischio

Elevato Marcato Moderato Ordinario x

Nome osservatore volontario

Marco Majori

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122

Documentazione fotografica:

Quota punto (m s.l.m.): 1525

Coordinate UTM: 32T 0608994 5146828

Azimut di ripresa (°): 200

b (m2): 0,5

I: 0,11

P (m): 2,5

Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata

Conglomerato cementizio

Mattone

Prefabbricato

Pietrame e calce

Pietre a secco x

Terra con manutenzione

Roccia o terra senza

manutenzione

Note: Intersezione con la prima strada

comunale

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123

Quota punto (m s.l.m.): 1525

Coordinate UTM: 32T 0608996 5146804

Azimut di ripresa (°): 180

Note: Stato pulizia impluvio in estate

Quota punto (m s.l.m.): 1480

Coordinate UTM: 32T 0608961 5146733

Azimut di ripresa (°): 104

Note: Stato pulizia impluvio in autunno

(13/11/2010)

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124

Quota punto (m s.l.m.): 1480

Coordinate UTM: 32T 0608946 5146689

Azimut di ripresa (°): 100

b (m2): 0,04

I: 2

P (m): 0,08

Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata

Conglomerato cementizio

Mattone

Prefabbricato

Pietrame e calce

Pietre a secco

Terra con manutenzione

Roccia o terra senza

manutenzione x

Note: Prima intersezione con seconda strada

comunale

Page 126: PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA … · Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23 Dimensionamento idraulico 26 ... 27 -Briglie di trattenuta o briglie selettive

125

Quota punto (m s.l.m.): 1470

Coordinate UTM: 32T 0608927 5146652

Azimut di ripresa (°): 100

b (m2): 1

I: 2

P (m): 2,9

Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata

Conglomerato cementizio

Mattone

Prefabbricato

Pietrame e calce

Pietre a secco x

Terra con manutenzione

Roccia o terra senza

manutenzione

Note: Seconda intersezione con seconda

strada comunale

Page 127: PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA … · Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23 Dimensionamento idraulico 26 ... 27 -Briglie di trattenuta o briglie selettive

126

Quota punto (m s.l.m.): 1450

Coordinate UTM: 32T 0608893 5146578

Azimut di ripresa (°): 104

b (m2): 0,56

I: 0,44

P (m): 1,92

Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata

Conglomerato cementizio

Mattone

Prefabbricato x

Pietrame e calce

Pietre a secco

Terra con manutenzione

Roccia o terra senza

manutenzione

Note: Terza intersezione con seconda

strada comunale

Page 128: PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA … · Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23 Dimensionamento idraulico 26 ... 27 -Briglie di trattenuta o briglie selettive

127

Quota punto (m s.l.m.): 1445

Coordinate UTM: 32T 0608890 5146567

Azimut di ripresa (°): 100

Note: Tombinatura a sezione circolare e

canalizzazione

Quota punto (m s.l.m.): 1361

Coordinate UTM: 32T 0608804 5146328

Azimut di ripresa (°): 140

Note: Sezione di chiusura

Page 129: PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA … · Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23 Dimensionamento idraulico 26 ... 27 -Briglie di trattenuta o briglie selettive

128

Quota punto (m s.l.m.): 1361

Coordinate UTM: 32T 0608807 5146330

Azimut di ripresa (°): 145

Note: Vasca di deposito in buono stato

Quota punto (m s.l.m.): 1340

Coordinate UTM: 32T 0608798 5146263

Azimut di ripresa (°): 350

Note:

Punto oggetto di lavori di

tombinatura da parte della

Comunità Montana Alta Valtellina

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129

Quota punto (m s.l.m.): 1338

Coordinate UTM: 32T 0608797 5146259

Azimut di ripresa (°): 100

b (m2): 1

I: 0,18

P (m): 3

Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata

Conglomerato cementizio x

Mattone

Prefabbricato

Pietrame e calce

Pietre a secco

Terra con manutenzione

Roccia o terra senza

manutenzione

Note: Confluenza con il torrente Frodolfo

Page 131: PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA … · Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23 Dimensionamento idraulico 26 ... 27 -Briglie di trattenuta o briglie selettive

130

Quota punto (m s.l.m.): 1336

Coordinate UTM: 32T 0608799 5146257

Azimut di ripresa (°): 196

Note: Torrente Frodolfo

Page 132: PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA … · Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23 Dimensionamento idraulico 26 ... 27 -Briglie di trattenuta o briglie selettive

131

SCHEDA DI TIPO 2: RELAZIONE TECNICA

Informazioni generali

Data sopralluogo: 06/09/2010

Bacino principale: Fiume Adda

Sottobacino: Torrente Frodolfo

Impluvio: Rio Solaz / Val Furner

Informazioni geografiche

Provincia: Sondrio

Comune: Valfurva

Località: S. Nicolò

Ortofoto:

Page 133: PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA … · Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23 Dimensionamento idraulico 26 ... 27 -Briglie di trattenuta o briglie selettive

132

Cartografia e caratteristiche principali:

La porzione di carta indica l’asta principale considerata. La base cartografica è una carta

catastale comunale a scala 1:2.000

Lunghezza dell’asta: 1580 m

Quota inizio asta: 1977 m s.l.m.

Quota confluenza: 1338 m s.l.m.

Superficie del bacino: 0,474 km2

Quota massima bacino: 2070 m s.l.m.

Quota sezione di chiusura del bacino: 1361 m s.l.m.

Quota media bacino: 1716 m s.l.m.

Pendenza media asta principale: 49%

Portata di picco con metodo razionale:

𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟐𝟎 1,39 m3/s

𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟏𝟎𝟎 1,94 m3/s

𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟐𝟎𝟎 2,15 m3/s

Il coefficiente di deflusso c, utilizzato per la risoluzione della formula del metodo razionale

nei vari tempi di ritorno, è stato calcolato facendo una media aritmetica tra il c proprio del

Page 134: PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA … · Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23 Dimensionamento idraulico 26 ... 27 -Briglie di trattenuta o briglie selettive

133

bosco e quello proprio del calcestruzzo (vedi tabella 11). Questo perché, in prima

approssimazione, l’impluvio considerato presenta entrambi i tipi di terreno in misura

similare.

Calcolo trasporto solido:

PORTATE SOLIDE 𝐐𝐬,𝐭

𝛄𝐬 [kg/m

3]

𝛄 [kg/m3]

𝐝𝟓𝟎

[m] 𝐈𝐦𝐞𝐝 𝐋𝐦𝐞𝐝 [m] 𝐑𝟐𝟎[m] 𝛗𝟐𝟎 𝛉𝟐𝟎

𝐐𝐬,𝟐𝟎

[m3/s]

2700 1000 0,035 0,49 2,08 0,02 0,15 0,25 0,01

𝐑𝟏𝟎𝟎 [m] 𝛗𝟏𝟎𝟎 𝛉𝟏𝟎𝟎 𝐐𝐬,𝟏𝟎𝟎

[m3/s]

2700 1000 0,035 0,49 2,08 0,03 0,24 0,69 0,02

𝐑𝟐𝟎𝟎 [m] 𝛗𝟐𝟎𝟎 𝛉𝟐𝟎𝟎 𝐐𝐬,𝟐𝟎𝟎

[m3/s]

2700 1000 0,035 0,49 2,08 0,03 0,28 0,92 0,03

Definizione scenario:

PORTATE SMALTIBILI q

Punto

Critico

Quota

[m s.l.m.]

b

[m2]

P [m] R [m] 𝐊𝐬

[𝐦𝟏𝟑 𝐬 ]

I q [m3/s]

1 1525 0,50 2,50 0,20 23 0,11 1,30

2 1480 0,04 0,08 0,50 35 2,00 1,24

3 1470 1,00 2,90 0,34 23 2,00 15,94

4 1450 0,56 1,92 0,29 83 0,44 13,50

5 1338 1,00 3,00 0,33 70 0,18 14,23

PORTATE DI

RIFERIMENTO 𝐐𝐭

𝐐𝐬,𝟐𝟎

[m3/s]

𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟐𝟎

[m3/s]

𝐐𝟐𝟎

[m3/s]

0,01 1,39 1,40

𝐐𝐬,𝟏𝟎𝟎

[m3/s]

𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟏𝟎𝟎

[m3/s]

𝐐𝟏𝟎𝟎

[m3/s]

0,02 1,94 1,96

𝐐𝐬,𝟐𝟎𝟎

[m3/s]

𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟐𝟎𝟎

[m3/s]

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DEFINIZIONE SCENARIO

Punto

Critico

Distanza

tra i

Punti [m]

Scenario Puntuale Punteggio

1 450 ELEVATA CRITICITA' 10

2 50 ELEVATA CRITICITA’ 10

3 5 ORDINARIA CRITICITA' 0

4 30 ORDINARIA CRITICITA' 0

5 210 ORDINARIA CRITICITA' 0

Media Pesata Punteggio 6,71

Scenario Generale MARCATA CRITICITA'

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CONCLUSIONE

Il rischio idrogeologico in Italia ha un notevole impatto nella nostra Società: 5.400 alluvioni

e 11.000 frane negli ultimi 80 anni, 15 miliardi di Euro negli ultimi 20 ed oltre 100 vittime

negli ultimi 3 anni.

Sulla base di questi dati allarmanti, la metodologia proposta può rivelarsi un ulteriore

supporto alle decisioni in ambito politico. La definizione dei livelli di criticità degli impluvi

del reticolo idrico minore aiuterebbe a definire i programmi di prevenzione, necessari per

evitare le catastrofi e di conseguenza la perdita di vite umane e lo sperpero di risorse

economiche.

E’ evidente che nel caso di specie dei programmi di prevenzione la politica dei due tempi

(cioè la predisposizione, prima, di una completa e dettagliata ricognizione delle situazioni di

rischio e successivamente la programmazione degli interventi) appare poco efficace, sia per

i ritardi che possono in tale prospettiva accumularsi, sia perché in tutto il territorio nazionale

la conoscenza del rischio idrogeologico, anche se non sempre sufficientemente organizzata,

è ampia e può consentire un primo livello di programmazione degli interventi. E’

fondamentale però la necessità di procedere per fasi successive, con una programmazione

dinamica, che in una prima fase oltre a realizzare gli elaborati sulla base delle conoscenze

disponibili, programmi le indagini e gli approfondimenti necessari ad una migliore

conoscenza delle situazioni a rischio. Questa esigenza di periodici aggiornamenti deriva

anche dal fatto che il quadro del rischio idrogeologico subisce frequenti modifiche sia

perché cambiano i livelli di antropizzazione e si realizzano sempre nuovi interventi di

sistemazione, sia perché col tempo le condizioni degli alvei fluviali del reticolo idrico

minore possono peggiorare.

Sono molti anni ormai che si parla della necessità di passare dalla “logica dell’emergenza” a

quella della prevenzione ma, finché non ci sarà una rete di monitoraggio sul territorio, sarà

impossibile fare questo salto di qualità. Per rete di monitoraggio non intendo solamente una

rete strumentale, ma, come ho cercato di trattare in questo mio lavoro di tesi, una rete di

“corrispondenti” diffusa sul territorio, che provveda in tempo reale all’aggiornamento di una

banca dati posta dove ha sede il coordinamento e dove vengono prese le decisioni. Le

Comunità Montane potrebbero essere rivalutate come unità operative di gestione del

territorio e a loro si dovrebbero dare le figure professionali adatte ed i mezzi, dando forza

all’idea che la manutenzione del territorio è oggi una spesa necessaria e vitale, tanto quanto

i collegamenti viari e le telecomunicazioni.

In generale l’Alta Valtellina, memore degli eventi del passato (uno su tutti: la frana della

Val Pola nel 1987), è una zona montana attenta alle problematiche legate al rischio

idrogeologico. Infatti tutti gli impluvi su cui ho effettuato sopralluoghi, hanno mostrato

interventi di entità più o meno elevata per la mitigazione del rischio derivante dalle piene e

dalle frane, anche se in certi casi andrebbero mantenuti in condizioni più efficienti.

I casi di studio trattati sono simili per quanto riguarda la disposizione ed il tipo di opere, atte

al mantenimento di un livello di rischio accettabile, ma nonostante queste affinità i valori di

criticità sono risultati differenti. La causa è da imputare soprattutto alla presenza di

materiale che a tratti ostruisce il deflusso naturale delle acque. La problematica è risolvibile,

dunque, in tempi e con sforzi tutto sommato piccoli. Attuando infatti un programma di

pulizia di certe porzioni d’alveo e di alcuni imbocchi dei tratti tombinati, sarebbe possibile

riportare il rischio ad un livello di ordinaria criticità.

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Il tipo di prevenzione basata sui programmi di sopralluogo/intervento è sicuramente un

passo importante per una gestione oculata del territorio, rimango però dell’idea che la vera

prevenzione sta nella corretta pianificazione urbanistica, attenta al contesto geologico -

ambientale ed alla risorsa acqua. Infatti le nostre scelte, quelle che facciamo e che faremo

attraverso i PTCR, i PTCP (piani territoriali di coordinamento regionali e provinciali) e i

PGT (piano di gestione del territorio), non possono mettere al primo posto tra gli elementi

discriminanti la richiesta d’insediamento, non possono derogare dalla disponibilità di risorse

territoriali, perché sono queste che ci danno il limite quantitativo dello sviluppo e, almeno

per certi aspetti, ne determinano anche il livello qualitativo.

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- Seminario su: rischio idrogeologico: fenomeni di colata detritica. 14-15-16 Aprile

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Siti internet a cui ho fatto riferimento:

- www.parc.beniculturali.it

- www.sorellanatura-acqua.org

- www.costruzioniidrauliche.it

- www.adb.basilicata.it

- www.comune.erba.co.it

- www.guidealpine.it

- http://gis.csi.it/disuw/sicod/doc/manuale_censimento_opere.pdf

- www.provincia.bergamo.it/provpordocs/d1_b_07.pdf

- http://www.cartografia.regione.lombardia.it/geoportale

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RINGRAZIAMENTI

Giunto alla fine di questo iter di formazione, vorrei esprimere la mia gratitudine verso tutti

coloro che mi hanno accompagnato, sostenuto ed ispirato.

- A mio figlio Federico, senso della mia esistenza.

- Ai miei genitori, per tutto ciò che hanno fatto e continuano a fare per me.

- Ai miei nonni Gabriella e Luigi, per tutto il bene che da sempre mi vogliono.

- A Lei, perché pur senza certezze è più di un anno che mi sopporta e mi fa sorridere

nei momenti difficili.

- Ai miei amici più cari: Daniel Antonioli, Cristiano Trameri “Tano” e Davide Spini,

persone su cui potrò sempre contare.

- Al Col. Marco Mosso ed al Magg. Patrick Farcoz, per le opportunità che mi hanno

concesso finora e per le nuove che, spero, mi concederanno in futuro.

- Al Lgt. Luigi Pedrolini “Pedro”, amico, sostenitore e fonte di preziosi consigli.

- Al mio compagno di studi ed amico Dott. Ing. Marco Morelli “Moro”, fondamentale

per il raggiungimento di questo mio importante risultato.

- Al Dott. Sergio Chiesa, Geologo appassionato e storico amico di famiglia.

- Al Prof. e Guida Alpina Alberto Bianchi per avermi dedicato tempo prezioso e per la

sua disponibilità.

- A tutti coloro che, nonostante i miei numerosi errori, non hanno mai smesso di

credere nelle mie qualità umane e professionali. A loro va la mia più profonda

riconoscenza e stima. A loro la mia porta sarà sempre aperta.

Como, 31 Marzo 2011