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PROTEUS

PROTEUS 1 - Aracne editrice · PROTEUS Poteri in inferiora quae sunt bruta degenerare; poteris in superiora quae sunt divina ex tui animi sententia regenerari — Giovanni PicodellaMirandola

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Direttore

Luca MUniversità di Pisa

Comitato scientificoPier Francesco AUniversità degli Studi di Palermo

Marco BUniversità di Parma

Massimo Mario AUniversità di Pisa

Fabrizio BUniversità di Pisa

Luca FUniversità degli Studi di Palermo

Marco Enrico Luigi GUniversità di Pisa

Fabio MUniversità degli Studi Roma Tre

Manuela MUniversità del Salento

Rosario PUniversità degli Studi di Napoli “Federico ”

Giovanni PUniversità di Torino

Gianfranco TUniversità degli Studi di Padova

Katia CUniversità degli Studi di Padova

Giuseppa Giovanna TUniversità degli Studi di Catania

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PROTEUS

Poteri in inferiora quae sunt bruta degenerare; poteris in superiora quaesunt divina ex tui animi sententia regenerari

— Giovanni P M, Oratio de hominis dignitate

L’economia di mercato è diventata una dimensione totalizzantee si presenta, spesso, governata da leggi naturali, impersonali,immutabili, destinate, se lasciate agire indisturbate, ad assicura-re un benessere universale sempre crescente. Tuttavia, comealtre istituzioni umane, l’economia si è trasformata nel tempo,è stata caratterizzata da profonde contraddizioni, è stata l’arenadi scontri sociali, politici, culturali, morali, ha modificato inprofondità ogni aspetto dell’ambiente naturale. Esistono dif-ferenti punti di vista e strumenti d’indagine per conoscere ilmeccanismo di funzionamento dell’economia. La storia delpensiero economico ricostruisce, spiega e interpreta queste vi-suali e questi strumenti. Le concezioni del passato, d’altra parte,hanno dimostrato di saper cogliere aspetti ancor oggi salientidell’economia. Analisi e utopia, teoria e pratica hanno bisognodi idee. Comprendere la genesi di queste idee, il significato chehanno avuto per la storia dell’umanità, stabilire il contributo diconoscenza della realtà che esse hanno offerto e l’apporto cheesse hanno dato per plasmare le società che si sono alternatesul palcoscenico della storia, costituiscono altrettanti obiettividella collana Proteus di Storia del pensiero economico.

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Immagine di Gino Borgatta, per la cui riproduzione si ringraziano gli eredi

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Luca Tedesco

Dal libero scambio all’autarchia

Gino Borgatta e gli «interessi dell’economia nazionale»

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Copyright © MMXVIAracne editrice int.le S.r.l.

[email protected]

via Quarto Negroni, Ariccia (RM)

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: luglio

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Defence, however, is of much more importancethan opulence.

S, An Inquiry into the Nature and Causes of theWealth of Nations,

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Indice

Introduzione

Capitolo IFinanza pubblica, politica doganale e le borgattiane azioni«pseudoeconomiche»

.. Il protezionismo come «sentimento di egoismo patriotti-co» e la «disgregazione della maggioranza consumatrice», – .. Economia bellica, «intervenzionismo statale» e reazionefascista, .

Capitolo IIGino Borgatta e le «esigenze della difesa nazionale e dellaautonomia»

Conclusioni

Documenti

Articoli sulla stampa quotidiana

Le prospettive dell’economia mondiale, – L’intervenzionismostatale e il prepotere burocratico, – Il dopoguerra economi-co, – Come si può agire sulle cause generali del rincaro, – La situazione granaria ed il prezzo del grano, – La politi-ca commerciale dell’Italia corporativa, – L’economia dellanuova Germania, – Economia e razzismo, – La guerra el’autarchia, – Autarchia e tecnica, .

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Indice

Altri saggi

Che cos’è e cosa costa il protezionismo in Italia, – Problemieconomici dell’autarchia I, – Problemi economici dell’autar-chia II, – Problemi economici dell’autarchia III, – Appuntisu problemi dell’autarchia, .

Indice dei nomi

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Introduzione

Gino Borgatta è stato oggetto di interesse da parte della comu-nità scientifica italiana e internazionale soprattutto in relazioneai suoi studi di sociologia finanziaria. Il suo frutto più maturoin questo campo, La finanza della guerra e del dopoguerra, è statogiustamente definito «una delle vette della scuola italiana discienza delle finanze».

Meno indagato è stato invece il ruolo svolto dall’economistaaostano, allievo di Vilfredo Pareto e Luigi Einaudi, in mate-ria di politica commerciale, ruolo rilevante sia sotto il profiloscientifico che politico.

Le analisi di Borgatta, infatti, in tema di protezionismo cerea-licolo e siderurgico, che datano da prima della Grande Guerra,avrebbero inaugurato una ricca stagione di studi, che peraltro,per quanto attiene al settore primario, non si è ancora tradottain giudizi univoci circa la bontà di quell’indirizzo di politicacommerciale.

Tra i due conflitti mondiali, poi, nella fioritura di giustifi-cazioni teoriche della politica autarchica, Borgatta si sarebbedistinto per la sua interpretazione dell’autarchia come strategiadi sostituzione delle importazioni.

Alla speculazione scientifica Borgatta accompagnò costante-mente l’azione politica. Sulla grande stampa d’opinione, così,dismessi i panni dello scienziato e indossati quelli dell’opinionmaker, Borgatta, consapevole che gli anni Trenta e Quaranta

. Alessandria, Stabilimento Tipo–Litografico succ. Gazzotti di GiacintoChiarvetto, .

. N. B, La teoria della finanza pubblica in Italia, –. Saggio storicosulla scuola italiana di economia pubblica, Olschki, Firenze , p. .

. Si rinvia, a titolo esemplificativo, alla nota n. del volume.

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Introduzione

fossero quelli in cui le spese straordinarie facevano tabula rasadei canoni e delle antiche compatibilità della finanza classica,giunse a considerare le finalità della politica autarchica del regi-me fascista come un dato di fatto alla luce del quale elaborarele proposte più coerenti per conseguire dette finalità.

Nella sua teorizzazione in tema di autarchia, peraltro, Bor-gatta non avrebbe mancato di precisarne le differenze rispettoall’indirizzo protezionista tout court, da sempre osteggiato.

Mi corre l’obbligo di ringraziare la famiglia Borgatta, la casaeditrice Zanichelli e l’Associazione Studi e Ricerche per il Mez-zogiorno per aver acconsentito alla riproduzione dei saggi diGino Borgatta, il Prof. Luca Michelini per avermi proposto dipubblicare il presente lavoro nella Collana da lui diretta, il Prof.Giovanni Pavanelli e i referees anonimi per la prodigalità degliscambi d’opinione e dei suggerimenti e il personale dell’Archi-vio storico della Fondazione Luigi Einaudi di Torino per avermiagevolato nelle ricerche.

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Capitolo I

Finanza pubblica, politica doganalee le borgattiane azioni «pseudoeconomiche»∗

.. Il protezionismo come «sentimento di egoismo patriot-tico» e la «disgregazione della maggioranza consuma-trice»

È assurdo credere — affermava Gino Borgatta, allievo di Vilfredo Pa-reto e Luigi Einaudi, nel suo «manualetto antiprotezionista» del Che cos’è e cosa costa il protezionismo in Italia — che l’importazionedi merci estere perché a più buon mercato costituisca esportazionedi danaro e ricchezza italiana: le merci si scambiano colle merci: sei consumatori italiani fanno venir merci dall’estero perché ciò loroconviene, questo determina automaticamente esportazioni di merciitaliane e quindi nuovi guadagni per l’economia complessiva del pae-se. I dazi protettivi non fanno che spostare una parte della ricchezzainterna prendendola a chi compera i prodotti protetti (in Italia granoe pane, tessuti, manufatti di ferro, scarpe, ecc.) e conferendola a chila produce (medi e grandi proprietari di terreni a grano, siderurgici,ecc.): crearne di nuova, mai.

Se quelli protezionisti erano dunque solo «sofismi» (e traquesti Borgatta, annotazione di non poco momento come ve-dremo più avanti, annoverava la tesi secondo cui il dazio offriva«la possibilità di avere in casa i prodotti necessari al consumo

∗ Questo capitolo costituisce un ulteriore approfondimento di quanto al saggioche apparirà nel volume collettaneo, frutto del progetto Prin , Scienza economicae opinione pubblica nell’Italia liberale (–). Gli economisti, la politica economica e lagrande stampa quotidiana, in corso di stampa per i tipi della casa editrice FrancoAngeli.

. Libreria della Voce, Firenze, . L’espressione «manualetto antiprotezioni-sta» appare come sottotitolo.

. Ivi, pp. –.

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Dal libero scambio all’autarchia

nazionale in caso di guerra, blocchi, ecc.»), come si potevaallora

spiegare quest’infinita acquiescenza e rassegnazione della enormemaggioranza dei più diversi gruppi economici verso il privilegioeconomico di gruppi relativamente piccoli ch’essa deve pagare disua tasca? Anzitutto la mancanza generale di percezione del fatto: lospostamento di ricchezza operato dal protezionismo non è capito cheda un’infima minoranza di quelli che lo soffrono. Poi la timidezza, iltimor di parer egoisti contro i sacrosanti diritti dei produttori nazionali,uno dei più malvagi eufemismi inventati per terrorizzare quelli chepagano; l’assoluta disorganizzazione ed eterogeneità dei gruppi chepagano [. . . ]. Quest’incoscienza e disgregazione della maggioranzaconsumatrice è un fatto indiscutibile; ma l’ammetterlo non significa,come piace dire ai protezionisti, che la maggioranza non esista.

La politica doganale, aggiungeva Borgatta, «non è un fe-nomeno economico ma un fenomeno sociologico, a determina-re il quale concorrono appunto le condizioni, i sentimenti,l’equilibrio delle forze politico–sociali di un dato periodo».Difatti,

. Ivi, p. . «Un altro dei pretesi fini dei protezionisti è l’autonomizzazione (mi siperdoni) dell’economia e del consumo nazionale: le tariffe protettive avrebbero do-vuto rendere al possibile indipendenti i consumatori interni dalle forniture straniere,renderli indipendenti tanto per ciò che riguarda gli alimenti, i generi di consumoquotidiano, quanto [PER] i manufatti, le macchine, i prodotti più elaborati delleindustrie: la protezione avrebbe dovuto assicurare il mercato interno di trovarepresso i produttori nazionali tutto ciò di cui avesse bisogno il giorno (quanto lontanodio lo sa) in cui il blocco di un fantastico avversario fosse riuscito a chiuderci quelpo’ po’ di vie libere che ci collegano agli altri mercati [. . . ]. Ben più che nel oggi il consumatore italiano «dipende» «è schiavo», ecc. del produttore straniero:oggi assai più che nel la produzione italiana sarebbe insufficiente a soddisfare inostri cresciuti bisogni; ed è ben salutare che sia così. [. . . ] Ed altrettanto assurdosarebbe pensare di poter far bastare l’industria nazionale alle centinaia di milionidi manufatti esteri che consumiamo, senza contare che nel caso fantastico di unblocco ci chiuderebbero la via non solo al grano, al bestiame, alle bevande, ecc., eai manufatti, ma anche alle materie prime, al cotone, alla lana, al ferro, al legno, allagomma greggia e finiremmo per rimanere, nel caso, altrettanto affamati», ivi, pp.–.

. Ivi, p. .. Ivi, p. .

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. Finanza pubblica, politica doganale e le borgattiane [. . . ]

in un momento storico in cui è più vivo e geloso il sentimento diegoismo patriottico, l’ammirazione esclusivista per ciò che è naziona-le, che appartiene alla nazione, che dipende dalla nazione, è naturaleche colpiscano più profondamente il sentimento della maggioran-za ignorante di come stanno le cose, le commoventi invocazioniai diritti ed ai bisogni dell’“industria” e dell’“agricoltura” naziona-li [. . . ]. I produttori liberi, non protetti e soffocati dalle protezionialtrui, diventano più timidi e paurosi di far apparire i loro bisognidi libertà commerciale come un feroce egoismo particolare esizia-le agli interessi dell’economia nazionale. Il made in Italy, la “difesadell’industria italiana”, “le invasioni delle merci straniere”, e le si-mili sciocchezze, di cui pure è incalcolabile la forza sentimentalesulle masse ignoranti dei consumatori, valorizzano enormementenell’humus sentimentale fecondato dall’ondata nazionalista.

Già durante il primo conflitto mondiale, Borgatta operavaperò alcuni distinguo. L’adozione di «temporanee e specifiche»misure di difesa dalla concorrenza estera e, più in generale, unamaggiore presenza dello Stato in economia divenivano infatti utili,anzi necessari strumenti per conseguire obiettivi sia economiciche politici, come, ad esempio, una difesa nazionale efficiente:

[S]iamo ben lungi dal negare l’opportunità di molte delle invocazio-ni e domande del «nazionalismo economico»: l’intensificazione della

. Ivi, p. . Tali considerazioni, sulle cause anche extraeconomiche del succes-so del protezionismo, sarebbero state ribadite nel primo dopoguerra. La «reazione»protezionista assumeva «un interesse sociologico grandissimo» (La Reazione protezio-nista nel mondo ed in Italia, in «Rivista d’Italia», , , p. ) e si «presenta[va] comeun’uniformità storica, perché anche dopo grandi guerre passate, specie dell’ultimosecolo, si è osservato un movimento analogo» (ibidem). Alimentato potentemente dalmito «dell’indipendenza economica del mercato nazionale», mito che era prosperatonei «sentimenti» collettivi durante il conflitto, il protezionismo aveva però fallitoproprio in occasione della prova suprema. In Italia, come negli altri Paesi belligeranti,infatti, l’importazione di prodotti protetti era aumentata. Il protezionismo dogana-le, sentenziava Borgatta, si era dimostrato «incapace ad assicurare l’indipendenzaeconomica del paese nell’ipotesi bellica» (ivi, p. ). Ciononostante, dalla fine del, complice una crisi di sovrapproduzione, esso era stato riabbracciato in Europasu sollecitazione degli industriali, degli operai delle industrie protette, dei governibeneficianti dell’incremento delle entrate fiscali grazie ai dazi, della burocrazia chein questi ultimi intravedeva uno strumento di potere e influenza ma anche graziealla «rassegnazione» dei consumatori che godevano comunque del ribasso dei prezzicausato per l’appunto dalla sovrapproduzione.

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Dal libero scambio all’autarchia

cultura professionale e tecnica anche superiore, con maggior parte-cipazione degli enti pubblici; l’opportunità che il Governo si assicuriuna certa organizzazione industriale e certe riserve per l’ipotesi diuna guerra improvvisa, con sua diretta partecipazione e controlloall’organismo industriale–militare, l’intensificazione, l’industrializ-zazione, l’aumento del cooperativismo nella nostra produzione agri-cola, difese temporanee e specifiche contro i singoli casi di dumpingquando veramente siano tali [. . . ] sono tesi non solo nelle quali glieconomisti possono logicamente convenire, ma che furono da essispesso accolte ed additate prima che sorgesse la moda nazionalistae che sono affatto separabili dall’idea della «nazione che basta a sestessa». Ma la deviazione artificiale di tutta la vita economica delPaese, mediante il protezionismo e l’autonomia doganale, e median-te l’intervenzionismo statale elevato all’assurdo, sarebbe un erroreenorme, destinato ad aggravare incalcolabilmente gli immensi dannieconomici della guerra.

È posta, in queste righe, sebbene in nuce, una costante deldiscorso economico borgattiano, vale a dire la definizione dellastrumentazione di politica economica più coerente per garan-tire l’autosufficienza dei beni e servizi essenziali nell’eventua-lità di una crisi bellica. Per il momento, Borgatta si limitava aescludere che a tal fine fosse adeguato il solo protezionismo.

Nato a Donnas, in provincia di Aosta, il febbraio ,Borgatta, intrapresi gli studi giuridici, si laurea nel conuna tesi in economia politica presso la Facoltà di Giurispru-denza di Torino, con una tesi su La diminuzione del saggio diinteresse, discussa con Achille Loria, direttore del Laboratoriodi Economia politica. Successivamente segue il corso di per-fezionamento tenuto da Luigi Einaudi presso la Bocconi diMilano e studia a Céligny e Losanna sotto la guida di Pareto.Nel consegue la libera docenza in economia politica. In-segna poi politica commerciale e legislazione doganale pressola Regia Scuola Superiore di Commercio di Venezia (–),economia politica all’Università di Sassari (–), politica

. G. B, Fatti e problemi della guerra, in «La Riforma sociale», ––,, poi in I., Rassegne Critiche di Economia, Finanza, Sociologia, III serie, (–),Società Tipografico–Editrice nazionale, Torino , p. .

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. Finanza pubblica, politica doganale e le borgattiane [. . . ]

e legislazione doganale presso la Regia Scuola Superiore diStudi Applicati al Commercio di Torino (–), scienza dellefinanze e diritto finanziario all’Università di Pisa (–) e suc-cessivamente, fino alla morte, all’Università Statale di Milanoe alla Bocconi. Sarebbe infine stato socio dell’Accademia deiLincei, dell’Accademia dei Georgofili, dell’Istituto Lombardodi Scienze e Lettere, dell’Accademia delle Scienze di Torino,dell’Econometric Society e membro onorario del Golden Clubdi Londra.

Grazie anche alla frequentazione paretiana, Borgatta svilup-pò nel secondo decennio del Novecento la critica alla teoriaedonistica della finanza pubblica e iniziò a scandagliare le possi-bilità euristiche della sociologia nel campo dell’indagine finan-ziaria, arrivando a qualificare i fatti finanziari come fenomenisociologici, in cui interveniva, accanto all’elemento economico,quello pseudoeconomico, caratterizzato, a differenza del primo,da una debole corrispondenza tra finalità soggettive ed esitisociali prodotti dalle misure poste in essere.

Parallelamente a questa attività scientifica, Borgatta si im-

. Sulla non coincidenza, peraltro, delle teorie dell’azione sociale in Pareto eBorgatta cfr. N. B, op. cit., pp. –.

. G. B, Lo studio scientifico dei fenomeni finanziari, in «Giornale deglieconomisti», gennaio . Sulla distinzione tra atti economici e atti pseudoeco-nomici Borgatta si cimenta fin dai suoi primi lavori. Cfr. a riguardo I., Le azionipseudoeconomiche, in «Rivista italiana di sociologia», –, .

. Per la ricostruzione del profilo scientifico di Borgatta cfr. M. A, Profilidi economisti moderni. Gino Borgatta, Tip. G. Carnesecchi e Figli, Firenze ; N.B, op. cit., pp. –; E. D’A, Gino Borgatta, in «Rivista bancaria», VI,, pp. –; Dizionario biografico degli italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana,Roma, , vol. XII, ad vocem; L. G, Le linee maestre dell’opera scientifica diGino Borgatta, in «Studi economici», V, , pp. –; B. G, L’evoluzionedella teoria generale della finanza nelle opere di Gino Borgatta, in Studi in memoria di GinoBorgatta, Arti Grafiche, Bologna , vol. II, pp. –; I., Le tradizioni secolari e ilprogresso attuale degli studi di scienza delle finanze e di diritto finanziario in Italia, Irce,Roma, ; M. ML, The Fiscal Sociology of Gino Borgatta: Pareto, Extra–EconomicRedistribution and Economic Growth, in «Cambridge Journal of Economics», , ,pp. –; I., The Paretian School and Italian Fiscal Sociology, Basingstoke, PalgraveMacmillan, , pp. –; la voce firmata da D. Porcheddu, in A. M (a curadi), Storia dell’Università di Sassari, vol. II, I maestri, Ilisso Edizioni, Nuoro , pp.

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Dal libero scambio all’autarchia

pegnò nella campagna politico–economica a favore del liberoscambio, che lo portò ad essere, nello stesso anno della pubbli-

–; A. S, L’opera scientifica di Gino Borgatta, in «Giornale degli economisti»,IX, , pp. –; G. S, Gli scritti di Gino Borgatta su Vilfredo Pareto, in Studiin memoria di Gino Borgatta, Arti Grafiche, Bologna , vol. II, pp. –; S. S,Gino Borgatta, in «Critica economica», V–VI, , pp. –.

. Nel , come noto, l’Italia muta, seppur timidamente, il tradizionale indi-rizzo liberoscambista, adottato fin dalla nascita dello Stato unitario, e compie quellascelta protezionista che sarà poi ribadita dalla tariffa del (mitigata nei suoi effetti,in verità, dai successivi trattati di commercio), seguita nel dalla Germania enel dalla Francia. Russia, Spagna e Impero asburgico erano stati i precursoridel ritorno al protezionismo nel biennio –. Nell’Europa di fine Ottocentosolo la Gran Bretagna non modifica l’impostazione liberoscambista della sua politicadoganale mentre pochi altri Stati, per lo più di ridotte dimensioni, quali il Belgio, laDanimarca, i Paesi Bassi e la Svizzera mantengono dazi moderati. La storiografiaeconomica contemporanea, come largamente noto, è in gran parte concorde nelritenere che la scelta protezionista fosse nell’Europa a cavallo tra Otto e Novecentol’unica plausibile per un Paese che avesse voluto costruire un apparato industrialediversificato, non legato unicamente alla trasformazione dei prodotti agricoli. Dellaormai vastissima produzione scientifica in merito alla questione doganale e al dibatti-to protezionismo versus liberoscambismo in età liberale cfr., a puro titolo orientativo,F. B, La parziale eccezione. Costi comparati e teorie del commercio internazionalein Italia dalla metà dell’Ottocento alla seconda guerra mondiale, FrancoAngeli, Milano; U. C, I cento anni della politica doganale italiana, Cedam, Padova ;A. C, Stato liberale e protezionismo in Italia (–), il Mulino, Bologna, ;F. J. C, Commercio estero e politica doganale nell’Italia liberale, in G. Mori (a curadi), L’industrializzazione in Italia (–), il Mulino, Bologna ; L. D’A,Il tramonto di un’illusione. Edoardo Giretti e il movimento liberista italiano dalla primaguerra mondiale al fascismo, il Mulino, Bologna ; E. D V, La via italianaal protezionismo. Le relazioni economiche internazionali dell’Italia, –, voll., Ca-mera dei Deputati, Roma –; G. F, A. T, Was Italy a protectionistcountry?, in «European Review of Economic History», , , pp. –; F. F, Lapolitica doganale italiana. Effetti sull’economia e sulle relazioni commerciali internazionali(–), in «Italia contemporanea», , , pp. –; S. L, Nazionalismoe ideologia del blocco corporativo–protezionista in Italia, in «Ideologie. Quaderni distoria contemporanea», , , pp. –; M. L, La politica doganale italiana,Tipografia Artigianelli, Napoli ; A. M, Il protezionismo dell’Italia liberale.Economia classica e politiche di sviluppo nel dibattito parlamentare sulla tariffa doganaledel , in M.M. Augello, M.E.L. Guidi (a cura di), La scienza economica in Parlamento.–. Una storia dell’economia politica dell’Italia liberale, FrancoAngeli, Milano, vol. I; A. N, Storia delle dogane. Profili storici della politica doganale italiana,Ministero delle finanze, Roma ; A P, La politica del commercio estero, in G.Fuà (a cura di), Lo sviluppo economico in Italia. Storia dell’economia Italiana negli ultimicento anni, vol. II, Gli aspetti generali, FrancoAngeli, Milano ; M. R, Le espor-tazioni nell’economia italiana, in P. Ciocca, e G. Toniolo (a cura di), Storia economica

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. Finanza pubblica, politica doganale e le borgattiane [. . . ]

cazione del manualetto antiprotezionista, tra i principali anima-tori del convegno, celebratosi a Milano nel maggio , dellaLega antiprotezionista, promossa da Salvemini sul finire del. Alla Lega aderirono studiosi, deputati e personalità poli-

d’Italia, vol. III, Industrie, mercati, istituzioni, tomo , I vincoli e le opportunità, Laterza,Roma ; B. S, Gli scambi con l’estero e la politica commerciale italiana dal al , in R. A L (a cura della), Cinquant’anni di vita italiana,Hoepli, Milano ; R. V, Il fallimento del liberalismo. Studi sulle origini delfascismo, il Mulino, Bologna , pp. –. In particolare, per quanto riguarda ilprotezionismo cerealicolo, si rinvia a G. F, Commercio dei cereali e dazio sulgrano in Italia (–). Una analisi quantitativa, in «Nuova Rivista Storica», /,, pp. – e S. F, Politica doganale, sviluppo industriale, emigrazione:verso una riconsiderazione del dazio sul grano, in P. Ciocca (a cura di), Il progressoeconomico dell’Italia. Permanenze, discontinuità, limiti, il Mulino, Bologna . Sullapolitica commerciale italiana tra le due guerre rinviamo poi a G. T, La politicacommerciale durante il fascismo, in D. Fausto (a cura di), Intervento pubblico e politicaeconomica fascista, FrancoAngeli, Milano . Più in generale, circa lo sviluppoeconomico del Paese, cfr. G. A, Economia e politica nell’Italia liberale (–), ilMulino, Bologna ; F. Bonelli, Il capitalismo italiano. Linee generali d’interpretazione,in Storia d’Italia. Annali, vol. I, Dal feudalesimo al capitalismo, Einaudi, Torino ; L.C, Dualismo e sviluppo nella storia d’Italia, Marsilio, Venezia ; G. F,Introduction, in Id. (a cura di), The Economic Development of Italy since , Aldershot,Elgar ; S. F, Riflessioni sull’esperienza industriale italiana dal Risorgimentoalla prima guerra mondiale, in G. Toniolo (a cura di), L’economia italiana –, La-terza, Roma–Bari ; S. F, Lo sviluppo economico dell’Italia nel lungo periodo:riflessioni su tre fallimenti, in P. Ciocca, G. Toniolo (a cura di), Storia economica d’Italia,vol. I, Interpretazioni, Laterza, Roma–Bari ; A. G, Il problema storicodell’arretratezza economica, Einaudi, Torino ; R. R, Breve storia della grandeindustria in Italia –, Cappelli, Bologna ; P. S–L, Problemi dellosviluppo economico, Laterza, Bari ; G. T, Alcune tendenze dello sviluppoeconomico italiano –, in Id. (a cura di), L’economia italiana –, cit.; I.,Storia economica dell’Italia liberale –, il Mulino, Bologna ; D. T, Sulleforme iniziali di sviluppo economico e i loro effetti nel lungo periodo: la formazione di unaeconomia dualistica, in A. Caracciolo (a cura di), La formazione dell’Italia industriale,Laterza, Bari ; V. Z, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economicadell’Italia (–), il Mulino, Bologna .

. Cfr., a cura del sottoscritto, Il canto del cigno del liberoscambismo: La Legaantiprotezionista e il suo primo convengo nazionale, Lacaita, Manduria–Bari–Roma, e S. I, La predica inutile dei liberisti. La lega antiprotezionista e la questionedoganale in Italia (–), Milano, Franco Angeli, . Il convegno ebbe qualcheeco sulla stampa di carattere economico, soprattutto quella di segno protezionista.Carlo Tarlarini, dirigente della De Angeli, industria cotoniera, denunciò causticola povertà delle adesioni al convegno; solo «qualche teorico della economia» (C.T, Il convegno antiprotezionista, in «L’Industria», maggio , p. )

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Dal libero scambio all’autarchia

tiche liberali, socialiste, repubblicane e radicali, riviste come«L’Unità», «La Riforma sociale» e «La Voce», diverse Cameredi commercio e del lavoro e alcuni imprenditori, soprattuttoserici. Presidente della Lega fu Antonio de Viti de Marco.

La Lega nasce nel momento di massima espressione deinazionalismi europei, che sul terreno doganale si traduce nelrafforzamento della politica protezionista, politica considerataelemento irrinunciabile e strategico nella lotta per l’egemoniamondiale. Il sensibile rincaro della vita registratosi nel co-stituì l’elemento che riportò in Italia la tematica doganale alcentro del dibattito politico. L’antiprotezionismo militante col-se così l’occasione per mobilitarsi in occasione del rinnovo dei

che disdegnava quindi l’osservazione empirica, alcuni industriali serici, qualcheesponente politico radicale e socialista, rari i liberali. Sull’impegno di Borgattanell’organizzazione della Lega, cfr. la lettera di Edoardo Giretti a Gaetano Salveminidel dicembre , in G. S, Carteggio –, a cura di E. Tagliacozzo,Laterza, , pp. –: Einaudi «lo vedrò appena lo saprò ritornato e le diròquello che insieme crederemo di poter fare per organizzare la Lega od il Gruppoantiprotezionista [. . . ]. Per conto mio sono dispostissimo a fare la mia parte didovere, pur avendo già tante altre cose che assorbono una gran parte del mio tempo.È però necessario che la Lega od il Gruppo si fondi con un centro a Torino, alquale tutti gli interessati si possano rivolgere. Occorre fondare un modesto Ufficiodi segreteria, sufficientemente fornito dei mezzi finanziari indispensabili per spesedi stampa, posta, conferenze. Abbiamo però l’uomo che ci occorre, un giovaneallievo e collaboratore del prof. Einaudi, il dott. Gino Borgatta». Poco più di un annodopo Borgatta scriveva però sconsolato che «purtroppo la scarsa salute e gli impegninon mi consentono di dedicare alla lega antiprotezionista il tempo che vorrei: quinon è possibile trovar qualcuno che ci si dedichi ex professo: e si potrebbe far tanto![. . . ] Abbiamo rinviato all’autunno; e nell’autunno speriamo proprio di organizzarequalcosa di più. . . organico. È incredibile, ma sta tutto qui. Noi tocchiamo cento volteelementi che si lascerebbero trascinare ed anzi agirebbero efficacemente, ma nonpotendoli accudire, poi si disperdono senza effetti» (lettera indirizzata a Salveminidel giugno , in G. S, op. cit., pp. –). Comunque, l’anno seguenteBorgatta sollecitava nuove iniziative politiche: «volevo scriverle più a lungo ancheper vedere se non fosse possibile combinare qualcosa contro i protezionisti e i gruppiprotetti che aumentano continuamente le pretese e l’audacia col pretesto della guerra,della difesa dell’industria nazionale [. . . ]. E in quasi tutti c’è questa utilizzazionedella guerra che per loro è una specie di manna» (lettera del ottobre a LuigiEinaudi, in Archivio Luigi Einaudi, Carte Gino Borgatta, presso la Fondazione LuigiEinaudi di Torino, b. ).

. Cfr. in proposito S. I, op. cit., p. .